Filiberto di Chalon, principe di Orange, signore di Arlay, Nozeroy, Rougemont, Orgelet e Montfaucon, conte di Charny e Pentièvre, visconte di Besançon, principe di Melfi, duca di Gravina, e vicerè del Regno di Napoli (queste tre ve le spiego dopo) nacque il 18 marzo del 1502 a Lons-le-Saunier. Sarete stupiti di apprendere, dopo questa orgia di titoli feudali, che in questa cittadina della Franca Contea sarebbe nato, 258 anni dopo, Claude Joseph Rouget de Lisle, che, come tutti voi europei sapete, è l'autore della Marsigliese, e un altro paro de cent'anni dopo vi avrebbe trascorso la sua infanzia Jean-Luc Mélenchon, che, come gli europeisti non sanno, è un perdente.
Filiberto invece no. Era figlio di Giovanni IV di Chalon-Arlay, quarto del suo casato, la cui attività riproduttiva era stata piuttosto laboriosa.
La prima moglie, Giovanna di Borbone, figlia di Carlo I di Borbone (a sua volta bisnonno di Francesco I di Francia e dell'imperatore Carlo V, dettaglio che ci tornerà utile in seguito) e di Agnese di Borgogna (e per quella via nipote del duca di Borgogna Giovanni senza paura), era morta nel 1483, dopo 16 anni di matrimonio, senza dargli figli.
Andò meglio la seconda volta, con Filiberta di Lussemburgo, figlia di Antonio di Lussemburgo, che era stato nominato ciambellano di Francia da Luigi XII di Valois, dopo aver cambiato casacca. Sì, perché Antonio, che sarebbe il nonno materno del Filiberto dal quale siamo partiti, aveva prima combattuto Luigi XI nei ranghi della Lega del bene pubblico, una specie di fronda ante litteram. Ma un soggiorno nella torre di Bourges, dopo la sconfitta un battaglia a Guipy (nel 1475, come ogni europeista sa), indusse in lui un subitaneo amore per la casa di Francia.
D'altra parte, il doppio gioco, o, come si direbbe oggi, il "ribaltone", era nel suo DNA. Il padre di Antonio (e quindi il nonno di Filiberta e il bisnonno di Filiberto), Luigi di Lussemburgo, nonostante fosse conestabile di Francia, aveva a lungo fatto il doppio gioco, aiutando un po' Luigi XI, e un po' Filippo il Buono di Borgogna. Ora, Filippo il Buono (figlio di Giovanni senza paura, che era il nonno di quella Agnese di Borgogna dalla quale Giovanni IV di Chalon-Arlay, il padre di Filiberto, non aveva avuto figli) era buono di nome e di fatto. Certo, un po' di ruggine coi francesi c'era. Basti pensare che Filippo il buono aveva iniziato a regnare a 23 anni perché il delfino Carlo (futuro Carlo VII di Francia) aveva avuto l'ottima idea di far pugnalare Giovanni senza paura. Scambi di cortesie fra capi di governo. Ma il doppio gioco di Luigi di Lussemburgo lo aveva tollerato. Il successore di Filippo nel ducato di Borgogna, però, aveva un ben altro carattere, e infatti lo ricordiamo come Carlo il Temerario. Nel 1471 Carlo decise di mettere il suo avversario (Luigi XI) al corrente del doppio gioco di Luigi di Lussemburgo. Questo, da buon lussemburghese, non si fece né in qua né in là, e passò al triplo gioco, appellandosi a Edoardo IV di York, re d'Inghilterra. Solo che quest'ultimo si mise d'accordo con Luigi XI, e a Luigi di Lussemburgo non restò altro da fare che rifugiarsi dal suo ex alleato Carlo il Temerario. Pessima idea, perché fu proprio lui a consegnarlo a Luigi XI, che gli fece tagliare la testa nel luogo a ciò deputato (Place de la Grève, come voi europei sapete: quella dove d'inverno montano il pattinatoio).
Qualora vi fosse mai capitato di volere la testa di un
lussemburghese, ecco, ora sapete che il vostro desiderio non è
particolarmente originale: ma sapete anche che per realizzarlo dovreste essere re di Francia.
Formato da questo insegnamento, il figlio di Luigi di Lussemburgo, cioè Antonio di Lussemburgo, cioè il nonno paterno di Filiberto, dopo la legnata presa a Guipy e la prigionia a Bourges restò fedele alla casa di Francia, e ben gliene incolse, perché nel 1504, quando Filiberto aveva due anni, Luigi XII gli restituì i suoi beni (sì, perché Luigi XI a Luigi di Lussemburgo non aveva tolto solo la testa, ma anche i feudi: e del resto, che te ne fai di un feudo, se non hai più la testa per amministrarlo)?
Insomma, con Filiberta le cose andarono bene, e Giovanni IV di Chalon-Arlay ebbe da lei ben tre figli. Quattro anni prima del Filiberto del quale vi sto parlando (e voi vi chiederete perché...), aveva avuto Claudia, che sarebbe andata in sposa a 17 anni (nel 1515) al conte Enrico III di Nassau-Breda, al quale avrebbe dato un figlio, Renato di Chalon. Dopo Claudia, Giovanni IV ebbe da Filiberta un Claudio, il quale, però, ebbe l'infausta idea di morire a un anno. Fu gioco forza riprovarci (magari era anche piacevole: non ho trovato ritratti di Filiberta), e nacque così Filiberto, il de cujus, che si trovò così ad essere l'unico discendente maschio del casato di Chalon-Arlay, e pertanto erede dell'antico titolo di principe di Orange.
Apro e chiudo una parentesi per segnalarvi che quindi, quando Filiberto morì, questo titolo passo al suo nipote, al figlio di Claudia, cioè a Renato, che diventò anche principe di Orange. Alla morte di Renato il titolo sarebbe poi passato a suo cugino (eh sì, anche lui aveva un cugino), Guglielmo il Taciturno, Statolder d'Olanda e stipite della casa di Orange-Nassau. E da lì, giù per li rami, sarebbe arrivato fino a Guglielmo Alessandro di Orange-Nassau, che, come gli europeisti non sanno, è l'attuale re di Olanda (c'è di mezzo anche il congresso di Vienna, ma non vorrei annoiarvi).
Bella la Storia, vero?
Allora: con Filiberta Giovanni IV aveva risolto (o meglio: credeva di aver risolto) il problema della sua discendenza. Notate: lui pensava di aver messo le cose a posto con due figli maschi, ma poi il suo titolo è arrivato fino a oggi grazie alla sua figlia femmina (Claudia). Ma quello della riproduzione era solo uno, dei problemi. Poi c'era anche quello di decidere da che parte stare. Ma anche questo problema si risolse da solo. Avrete capito che fra la casa di Francia e quella di Borgogna non correva ottimissimo sangue. Ora, credo intuirete (siete uomini di mondo) che se uno va d'accordo coi Francesi, certo non chiede in sposa come prima scelta la nipote di Giovanni senza paura (da non confondere con Giovanni senza terra, ma questo lo sapete). Quindi Giovanni IV di Chalon-Arlay stava coi borgognoni (e del resto, anche geograficamente, gli conveniva: ma non entriamo anche in questo).
Purtroppissimo come la storia finì lo sapete: voi siete europei, quindi Rilke l'avete letto:
"Aber am nächsten Morgen, dem siebenten Januar, einem Dienstag, fing das Suchen doch wieder an. Und diesmal war ein Führer da. Es war ein Page des Herzogs, und es hieß, er habe seinen Herrn von ferne stürzen sehen; nun sollte er die Stelle zeigen. Er selbst hatte nichts erzählt, der Graf von Campobasso hatte ihn gebracht und hatte für ihn gesprochen. Nun ging er voran, und die anderen hielten sich dicht hinter ihm. Wer ihn so sah, vermummt und eigentümlich unsicher, der hatte Mühe zu glauben, daß es wirklich Gian-Battista Colonna sei, der schön wie ein Mädchen war und schmal in den Gelenken. Er zitterte vor Kälte; die Luft war steif vom Nachtfrost, es klang wie Zähneknirschen unter den Schritten. Übrigens froren sie alle. Nur des Herzogs Narr, Louis-Onze zubenannt, machte sich Bewegung. Er spielte den Hund, lief voraus, kam wieder und trollte eine Weile auf allen vieren neben dem Knaben her; wo er aber von fern eine Leiche sah, da sprang er hin und verbeugte sich und redete ihr zu, sie möchte sich zusammennehmen und der sein, den man suchte. Er ließ ihr ein wenig Bedenkzeit, aber dann kam er mürrisch zu den andern zurück und drohte und fluchte und beklagte sich über den Eigensinn und die Trägheit der Toten. Und man ging immerzu, und es nahm kein Ende. Die Stadt war kaum mehr zu sehen; denn das Wetter hatte sich inzwischen geschlossen, trotz der Kälte, und war grau und undurchsichtig geworden. Das Land lag flach und gleichgültig da, und die kleine, dichte Gruppe sah immer verirrter aus, je weiter sie sich bewegte. Niemand sprach, nur ein altes Weib, das mitgelaufen war, malmte etwas und schüttelte den Kopf dabei; vielleicht betete sie."
Eh sì, forse pregava.
Carlo il Temerario (quello che aveva consegnato il bisnonno di Filiberto a Luigi XI) era morto, il 5 gennaio del 1477, alla battaglia di Nancy. Renato II di Lorena gli aveva fatto un certo scherzetto, coi suoi mercenari svizzeri (mi piacerebbe fornirvi le technicalities, ma non c'è tempo). Il suo cadavere fu ritrovato "
am nächsten Morgen", come dice Rilke - anche se a me risulterebbe essere il sei e non il sette gennaio - sfigurato dai lupi, su indicazione di un paggio, e poi finì per vie traverse a Bruges, dove ebbi modo di riverirlo.
Pare che l'esito letale sia stato provocato da quello che un politico chiamerebbe un "difetto di comunicazione": "Nul ne peut dire avec certitude qui, dans la soldatesque anonyme, lui porta le coup fatal mais la tradition relate qu'un obscur soldat nommé Claude de Bauzémont se serait jeté sur lui sans le reconnaître ; Charles aurait crié « Sauvez le duc de Bourgogne ! », mais ce cri, compris comme « Vive le duc de Bourgogne ! » aurait entraîné la mise à mort immédiate de Charles par ce soldat".
Ce soldat non aveva capito di aver trovato la gallina dalle uova d'oro: sai che riscatto avrebbe potuto chiedere? Ma vabbè, sono errori che si fanno.
E notate il dettaglio: il buffone di Carlo si chiamava Louis-Onze.
Chissà perché...
Del resto, anche oggi circolano buffoni di corte con nomi regali...
Ai fini politologi: chi ci guadagnò da questo epico scazzo fra le case di Borgogna e di Lorena? Ma è semplice! La casa di Francia. Morto Carlo il Temerario, Louis-Onze, quello vero, fece filotto, e in particolare confiscò tutti i beni della casa di Chalon-Arlay. Povero Giovanni IV! Ma la soluzione era a portata di mano: cambiare casacca, ovvero saltare sul carro del vincitore. Così fece Giovanni, che, se ve lo andate a cercare su Wikipedia, in effetti ne fece di ogni pure lui - ma ebbe il privilegio, rispetto a Luigi di Lussemburgo, di essere impiccato solo in effigie! In ogni caso, i beni gli ritornarono. Notate, quindi che il nostro Filiberto aveva ricevuto l'allele del bandwagoning sia da parte di madre (ricordate i principi di Lussemburgo?), che da parte di padre.
Non c'è quindi da stupirsi se anche il nostro Filiberto, che aveva avuto un'infanzia difficile (suo padre era morto a 49 anni quando lui aveva 21 giorni...), cercava di destreggiarsi come poteva fra i due nuovi poli della politica europea: i due bisnipoti del padre della prima moglie di suo padre: Francesco I di Valois e Carlo V d'Asburgo (eh già: gira che ti rigira, è sempre Francia contro Germagna...).
Ma insomma, a un certo punto una scelta bisogna farla. L'adesione della sua stirpe alla casa di Francia non era stata il massimo della spontaneità, e forse anche per questo nel 1524 Filiberto passò decisamente dalla parte di Carlo V, che nel 1516 lo aveva insignito (segretamente) dell'ordine del Toson d'Oro. D'altra parte, pare che Francesco I avesse trattato Filiberto con estrema supponenza quando questi era andato a lamentarsi per uno sconfinamento dell'esercito francese nel principato di Orange. Che è sì, geograficamente e oggi, in Francia, ma che allora era un principato sovrano (chiaro il concetto)? Però Francesco I era più forte e se ne batteva (quindi non è cambiato niente).
Filiberto era bravo. Certo, qualche rovescio capitò anche a lui. Ad esempio, Andrea Doria lo fece prigioniero davanti a Marsiglia nel 1524. Ma per fortuna Carlo V fece prigioniero Francesco I a Pavia nel 1525, e con il Trattato di M... Trattato di Ma...
(...
no, non di Maastricht, non quell'infamia che passerà alla storia solo per essere vituperata nei secoli come passo decisivo nel processo di distruzione della nostra civiltà...)
...con il Trattato di Madrid, nel 1526, Filiberto tornò libero e felice, a fare il suo mestiere, quello delle armi, un mestiere al quale gli uomini sono comandati qualche volta dalla stirpe (e questo era il suo caso), e altre volte dalle circostanze.
E così, un anno dopo, nel 1527, vi ricordate cosa successe? Ma quello che sta succedendo ora, pari pari!
Il sacco di Roma.
Un papa fiorentino (Clemente VII), preoccupato per l'affermazione di Carlo V (sapete, anche lì c'era una vecchia ruggine, quella fra papato e impero), promosse la Lega di Cognac, sfruttando il risentimento dei francesi, e mettendo su contro Carlo V una variopinta congerie di milanesi, veneti, genovesi e fiorentini. Praticamente, un "movimentodalbasso" di Stati sovrani. Carlo V, per non sbagliare, prima sguinzagliò i Colonna contro il papa, e poi gli mandò 12000 lanzichenecchi assoldati fra Bolzano e Merano da Georg von Frundsberg (e qui so che all'amico Jorg verserà una lacrimuccia), ma guidati dal conestabile di Borbone: Carlo III di Borbone, conte di Montpensier, delfino di Auvergne, conte di Clermont e di Sancerre, e signore di Mercoeur e Combraille. Un altro "de passaggio", che fra l'altro era un cugino di quarto grado del Carlo I di Borbone bisnonno di Francesco I e di Carlo V (nelle famiglie si litiga) e padre della prima moglie del padre di Filiberto. Nel "board" degli assalitori figuravano anche il nostro Filiberto, e Fabrizio Maramaldo (napoletano). Come andò lo sapete:
un fiorentino di buon gusto stese con un'archibugiata il conestabile di Borbone. Le truppe allo sbando acclamarono come loro comandante il nostro Filiberto, anche perché il Frundsberg aveva nel frattempo marcato visita. Le cronache riportano che Filiberto cercò di placare i lanzichenecchi. Ma, forse perché non parlava la lingua (che in effetti è un po' ostica), non riusci a convincerli. E così Roma sperimentò quello che oggi sperimenta la Germania: una crisi demografica che la portò da 55000 a 30000 abitanti.
E ora parliamo d'altro.
L'altopiano delle Cinque Miglia è un altopiano carsico lungo circa 9 km, situato in provincia dell'Aquila fra la valle dei Gizio (affluente del Pescara) a Nord e quella del Sangro a Sud. A est lo delimita lo costiera del Rotella, a ovest un gruppo di montagne che culminano nel massiccio del monte Greco: i monti di Roccaraso, quelli dove si scia, per capirci. Da secoli l'altopiano è una importante via di comunicazione fra l'Aquila e Sulmona da una parte, e le città del Sud dall'altra, e infatti ancora oggi è attraversato dalla SS 17 dell'Appennino Abruzzese ed Apulo-Sannitica, che unisce l'Aquila a Foggia (insomma: la versione moderna del Tratturo l'Aquila-Foggia). L'altopiano è un posto un po' freschetto. D'inverno facilmente la temperatura arriva a -25. Niente male, no? Sarà per questo che ieri, sul monte Greco, che è mille metri più alto, avevo tanta nostalgia del mio PC... D'altra parte, se intorno ci si scia, tanto caldo non potrà farci...
E ora torniamo al nostro Filiberto.
Il quale, dopo aver preteso nel giugno del 1528 la capitolazione del papa, viene mandato da Carlo V a Napoli (c'è sempre tanto da fare), dove nel frattempo il viceré Hugo de Moncada y Cardona (nato a Valencia) si era preso anche lui un'archibugiata nella battaglia navale di Capo d'Orso, al largo di Salerno, da una flotta nemica comandata da Filippino Doria (il nipote di Andrea, quello che aveva fatto prigioniero Filiberto). Carlo V quindi inviò prontamente Filiberto a fare il viceré (ricordate: qui saltano fuori i titoli di viceré di Napoli, principe di Melfi e duca di Gravina). Insomma, non c'è che dire: la meritocrazia è una bella cosa. Guardate Filiberto! A 26 anni promosso viceré sul campo, per merito. Mica come voi, che aspettate dalle amicizie e dalle parentele l'occasione per procurarvi un posto fisso!
La situazione a Napoli era quella che era. I francesi avevano assediato la città, la volevano per loro. E occorrevano rinforzi. Così Filiberto chiamò un contingente di 500 tedeschi per sostenere la città, stretta d'assedio e dal blocco navale, per rompere il quale il suo predecessore aveva trovato la morte. E i tedeschi si incamminarono lungo la strada che da Nord porta a Sud. Ebbero però l'idea non brillante di passare per l'altopiano delle Cinque Miglia. Li colse una tormenta, e morirono in cinquecento (ti ci voglio vedere a -25°). Che poi, a dirla tutta, il problema è solo che loro non avevano, come oggi i migranti, gli smartphone. Altrimenti, andando su Google, avrebbero visto che l'anno prima, nello stesso posto, erano morti 300 mercenari che invece andavano da Sud a Nord, perché Venezia li aveva assoldati per combattere contro Carlo V. E avrebbero evitato.
Conoscere la storia eviterebbe tanti disastri...
Voi direte: sì, affascinante, ma debbase che ce ne frega?
E ora ve lo spiego.
Nel suo blog Quarantotto ha espresso qualche perplessità sull'idea che "abbiamo bisogno" dei migranti - cioè di immigrati, per parlare italiano - perché non facciamo figli. Le sue perplessità derivano dal fatto che questo argomento è sostenuto dai media con dati
quanto meno incoerenti. Non discuto ora i dati, ma aggiungo, ed evidenzio, due altri aspetti che credo siano cruciali. Nei nostri media nessuno si pone due domande cruciali: perché i siriani scappano? E perché gli italiani fanno pochi figli?
Qui mi soffermo sulla seconda, tanto la risposta alla prima la sapete.
L'idea che viene diffusa dai media tutti è quella colpevolizzante (manco a dirlo): le italiane, abituate alla mollezza e agli agi della vita da single, sarebbero ormai moralmente degenerate.
La durezza del vivere di schioppiana memoria essendo per loro solo un ricordo, esse non desiderano che un fastidioso marmocchio le distolga, coi suoi balocchi, dai loro profumi, e così non si concedono ai loro compagni se non in accoppiamenti sterili, per evitare che la petulante presenza di un marmocchio disturbi le loro pratiche lussuriose. Certo, creature così egoiste non meritano che lo stato si occupi di loro, magari provvedendole di quei servizi sociali che le allontanerebbero vieppiù dalla salutare e pedagogica durezza del vivere: ospedali dove partorire, asili nido dove lasciare i neonati... E quindi ben venga chi da altri paesi, mosso da spirito di solidarietà, viene qui a lavorare per pagare la pensione a queste ingrate che, a ben vedere, nemmeno lo meriterebbero...
Ma siamo sicuri che sia così?
Preciso: fare figli non è obbligatorio. È biologia, ma l'uomo (cioè la donna) può tranquillamente fottersene della biologia (mentre non dovrebbe fottersene della Storia). Così come noi, a differenza dei cervi, non siamo obbligati a darci appuntamento ogni settembre in Vallelunga per fare a cornate, altrettanto le nostre gentili compagne potrebbero scegliere di non volere figli, e questa scelta, se tale è, cioè se è libera e non necessitata da logiche altrui, va rispettata. Potrebbe dipendere da mille e un motivo: non aver trovato la persona giusta, non sentirsi pronte o disposte, e via dicendo. Però io giro tanto, e forse sarò sfortunato, ma incontro tante persone per le quali questa scelta è una non scelta. Se per campare devi avere due stipendi e con la gravidanza arriva il licenziamento, ecco che la libertà di scelta è, come dire, lievemente coartata. Questo non è un problema? Certo, è un problema meno urgente di quello di salvare e accogliere chi sta rischiando la sua pelle.
Ma meno urgente non significa meno grave.
Apro e chiudo una parentesi per sottolineare che l'argomento secondo il quale "abbiamo bisogno" dei migranti perché le nostre donne sono, in sintesi, "troppo emancipate" per mettersi a fare figli, è diventato, in seguito alla crisi umanitaria che stiamo vivendo, il cavallo di battaglia della sinistra, cioè di quella parte politica che ha giustamente fatto della lotta per l'emancipazione femminile una sua bandiera... salvo ora rimproverare alle emancipate di non conformarsi al saggio e teutonico principio jedes Jahr ein Kind!
Ma questo è uno schema mentale al quale ormai siamo abituati: i progressisti di questa risma sono anche quelli che difendono a costo della nostra vita un sistema monetario basato sulle regole di un consulente di Pinochet (la crescita dell'offerta di moneta al
k%), cioè su quel monetarismo friedmaniano che molti di loro mi insegnavano a valutare criticamente negli anni '80, in quanto intrinsecamente conservatore e strutturale a un certo tipo di capitalismo finanziario. Oggi invece il
k% è diventato di sinistra! Pinochet diventa un modello, e l'emancipazione femminile (il controllo della donna sul proprio corpo) diventa deprecabile... Che strana sinistra!
Ma il fatto è che in molti casi i figli non si fanno perché il controllo sul corpo della donna non ce l'ha (ancora) lei, ma (sempre) il capitale.
Per un esempio, torniamo a Filiberto, anzi, ai suoi mercenari.
Vi scrivo da Barrea, che rientra nell'ASL Abruzzo 1 dell'Aquila e di Sulmona. Ovviamente qui se succede qualcosa devi andare a Pescasseroli (il pronto soccorso è lì). Son 20 chilometri, in 27 minuti si fanno. A Roma può capitare di metterci di più per arrivare a un pronto soccorso. E se devi partorire? Bè, prima c'era il "punto nascite" all'ospedale di Castel di Sangro. Bisogna scavallare verso Alfedena, d'inverno ci vogliono le catene, ma si resta sempre nell'ambito della mezz'oretta. Poi, però, siamo dovuti diventare virtuosi. E quindi il punto nascite, mi dicono, è stato chiuso: oggi se vivi a Barrea partorisci a Sulmona. E qui le cose si complicano: sono una sessantina di chilometri, ma per farli ci vuole più di un'ora, e da dove si passa? Dall'altopiano delle Cinque miglia.
Ora, abbiamo detto che della biologia, in quanto vertici del creato (secondo noi) potremmo fottercene, e che della storia non dovremmo fottercene. Ma della geografia non possiamo fottercene. Barrea dista da Sulmona poco più di 35 chilometri in linea d'aria: diciamo quanto Francoforte da Wiesbaden (voi siete europei, mi capirete). Però cosa manca, fra Francoforte e Wiesbaden? La Genzana (2170 metri) e il Greco (2285 metri). E per aggirarli si passa in un posto dove d'inverno non fa 1°, come a Francoforte, ma può anche fare -25°: in confronto Tromsø è Gran Canaria!
Ci siamo?
Poi, certo, una quando si avvicina il termine può sempre andare a stare in albergo a Sulmona. E del resto chi te lo fa fare di vivere in montagna?
Ecco, a me di tutta l'ipocrisia pelosa, di tutta la patente manipolazione nella quale siamo immersi, una cosa dà soprattutto fastidio. L'assoluta certezza che quando nelle famose sedi "europee" vengono prese da burocrati non eletti le decisioni intese a "moralizzare" le nostre economie, certi dettagli strutturali non vengano nemmeno presi in considerazione. L'Europa, loro, non sanno proprio com'è fatta. E non mi riferisco alla sua storia e alla sua cultura. Mi riferisco proprio alla sua conformazione fisica, alla sua geografia. Non capire che andare da Barrea a Sulmona non è come andare da Wiesbaden a Francoforte è grave, mi direte. Ma sono sicuro che quando certe decisioni vengono prese, su dettagli così banali nessuno riflette. "La densità media per chilometro quadrato", "il numero di posti letto per abitante"... le famose statistiche che ci vengono elargite da quel paradiso fiscale che è l'OCSE, per capirci, sono prive di senso se messe a contatto con l'unica vera durezza del vivere: quella del territorio (che vi ho mostrato nei post precedenti).
Ma naturalmente si può sempre pensare che anche quello di voler vivere dove si è nati sia un deplorevole eccesso di mollezza, e che tutti dovrebbero, per "razionalizzare", darsi al nomadismo per confluire in poche grandi città: sostanzialmente, nei capoluoghi di regione, che poi potremmo a loro volta accorpare, per risparmiare, sopprimendo le regioni, e costruendo poche megalopoli in modo da "ottimizzare" l'offerta di servizi pubblici, non disperdendola su un territorio troppo ampio e frastagliato. In fondo, in Cina fanno così: la popolazione italiana entra nelle loro prime quindici città!
Sono sicuro che nella famosa
spending review saranno stati compresi anche provvedimenti di questo tipo. E va bene così: trasformiamo il nostro paese in un deserto (e poi diamo la colpa ai suoi abitanti se non si riproducono). Tutto questo, come abbiamo visto più e più volte, a lode e gloria di quelle banche cialtrone e dissennate che prestando in modo malaccorto si sono messe nei guai. E babbo Stato, tanto deprecato dai liberisti, deve ora togliere ospedali (e asili, e pensioni, e stipendi) a noi per dare a loro, direttamente o indirettamente.
Ma la colpa, va da sé, è delle donne, che preferiscono andare al cinema anziché cambiare pannolini.
Quanto può continuare?
(...
Filiberto continuò per poco. Alla battaglia di Gavinana, nel 1530, si prese un'archibugiata pure lui - cose che a quel tempo capitavano, come avrete capito. Sì, è la stessa battaglia dove Maramaldo illustrò il suo nome uccidendo Francesco Ferrucci, che stava dalla parte dell'imperatore, e che quindi si trovò a mal partito quando il suo comandante in capo venne abbattuto. Ripeto: cose che capitano. Ma ora che abbiamo abolito i confini non capiteranno più: per i pensatori secondo i quali l'economia non dipende dalla geografia fisica, l'antropologia dipende dalla geografia politica! State sereni e buona notte...)
(...
metamorale: capito perché a me viene da ridere quando mi parlano del Bilderberg?...)