lunedì 19 marzo 2012

Cosa sapete della produttività?

Scusate, mi rendo conto che vi sto trascurando, ma è il mio ultimo mese prima di rientrare in Italia e devo ancora chiudere cinque dei sette lavori che volevo fare. Però non sta bene interrompere il discorso iniziato, per quanto inutile esso sia. Inutile certo non per la qualità degli interlocutori, ma per la qualità dei tempi che stiamo vivendo. Comunque, visto che ieri ho tritato i miei globi oculari sul commercio bilaterale di India e Vietnam, oggi starò in vostra compagnia.


Volevo ripartire da un’osservazione di contessaelvira: “grazie alle lezioni di Goofy ora è estremamente chiaro il modo in cui la competitività del mercato tedesco, che è forse il più importante per noi, sia stata esiziale per l'Italia.” Elvira è gentile e posso solo sperare che abbia ragione. Spero cioè di essere riuscito a far capire quanto centrale sia la dinamica dell’inflazione nella spiegazione di quello che ci sta succedendo. Dell’inflazione non si parlava da un decennio, convinti come si era che il problema fosse risolto, visto che finalmente l’inflazione era bassa, e quindi la convergenza “nominale” si fosse realizzata. Sì, molti erano convinti che moneta unica significasse di per sé inflazione unica. Una convinzione totalmente idiota, fondata su una teoria economica ampiamente screditata, la teoria quantitativa della moneta, secondo la quale è la moneta a “causare” l’inflazione. Quindi se la moneta è una, l’inflazione deve essere una. E allora perché in Italia, dove la moneta è una da 150 anni ancora non c’è ancora stata piena convergenza dei prezzi?

La “teoria” quantitativa è un parto di Irving Fisher, un economista americano degli anni ’20. Un genio dell’economia, pare, visto che 90 anni dopo ancora dobbiamo spiegare le sue teorie agli studenti. Ma non esattamente un genio della finanza, a giudicare da quello che racconta John Kenneth Galbraith in The Great Crash. Traduco passim la sua descrizione della parabola di Fisher dall’edizione francese (due euro spesi molto bene dal bouquiniste della place du Vieux Marché):


“il 15 ottobre 1929 il professor Irving Fisher di Yale (che era consulente di una importante finanziaria del Michigan) pronunciò il suo giudizio immortale: ‘il prezzo delle azioni ha raggiunto quello che sembra essere un altopiano permanente’ e aggiunse: ‘conto di vedere fra qualche mese il mercato ben più in alto di quanto non sia oggi’. In effetti, la sola cosa inquietante, in quelle giornate d’ottobre, era la discesa abbastanza regolare del mercato.... Prima della fine dell’anno il professore diede prova di sé in un libro, The Stock Market Crashand After. Affermava, e a ragione dati i tempi, che i prezzi delle azioni, per quanto scesi rispetto a prima, erano ancora ai massimi, che la catastrofe era un serio incidente, ma che il mercato era cresciuto ‘soprattutto a causa di solide e giustificate aspettative di guadagno’. Concludeva che ‘almeno per l’avvenire immediato le prospettive sono brillanti’. Questo libro ebbe poco eco. Il problema dei profeti è che quando hanno torto si trovano privi di pubblico, proprio nel momento in cui ne avrebbero il massimo bisogno per potersi giustificare. Irving Fisher era il più originale fra gli economisti americani. Per fortuna ha fatto cose migliori (la sua teoria monetaria), per le quali ci ricorderemo di lui.”



Bello, no? C’è tutto: la hybris, la cecità a fronte dell’evidenza più palmare, la capacità di spiegare perfettamente domani perché quello che si era previsto ieri non si è verificato oggi. Il tutto espresso in una prosa (quella di Galbraith, voglio dire) efficace e piacevole. Mi permetto di aggiungere solo un avverbio in fondo all’ultima frase: “ci ricorderemo di lui, purtroppo”. Perché l’idea formalizzata da Fisher che la moneta “causi” i prezzi è alla base della fallimentare costruzione ideologica dell’eurozona (quindi sarebbe stato meglio dimenticarselo, il geniale Fisher), ed è anche alla base dell’abbaglio ideologico che ha portato a trascurare il fatto che i differenziali di inflazione fra i paesi dell’eurozona non si erano annullati, tutt’altro! E il motivo è che l’inflazione non è “causata” semplicisticamente dalla moneta, ma dipende in modo molto più cogente dalle condizioni del mercato del lavoro, profondamente segmentato fra i paesi dell’eurozona (perché nulla è stato fatto per renderlo omogeneo).

Abbiamo visto in questo post cosa c’è “a valle” dei persistenti differenziali di inflazione della periferia a vantaggio della Germania: squilibri commerciali e indebitamento estero. Abbiamo anche visto quello che non c’è, ma ci dovrebbe normalmente essere: una dinamica dei prezzi che riequilibra naturalmente gli sbilanci. Nel paese i cui beni sono più domandati (il paese esportatore netto, quindi la Germania) i prezzi dovrebbero salire, per ovvi motivi (legge della domanda e dell’offerta), e questo dovrebbe ristabilire un equilibrio. Ma in Germania ciò non accade per un complesso di cause interrelate: una politica di crescita che comprime la domanda interna, una politica dei redditi fortemente punitiva verso i salariati (con buona pace di chi pensa il contrario), e un bel po’ di disoccupazione nascosta. La Germania, come abbiamo più volte mostrato, interferisce così con le leggi del mercato, in un modo che, per quanto lecito (io non sono contro la sovranità nazionale!), è ovviamente non cooperativo rispetto ai propri partner europei. Di questo atteggiamento non cooperativo la Storia le chiederà prima o poi il conto, come ha già fatto due volte nello scorso secolo.

Sed de hoc satis.

Cerchiamo ora, come mi avete chiesto più volte, di risalire la catena delle cause. Cosa c’è “a monte” del differenziale di inflazione?

Be’, in parte l’ho già detto: “a monte” c’è quello che non c’è “a valle”, ovvero il fatto che la dinamica riequilibrante dei prezzi è inibita in vario modo. Basterebbe questo...

Ma nel discorso sullo stato dell’unione (monetaria) tornano, con la tediosa regolarità di una stagione poco amata, due argomenti. Perché vedete, se il problema è che siamo poco competitivi (in termini di competitività di prezzo), allora bisognerà pur trovare delle soluzioni. E le soluzioni delle quali si parla sono essenzialmente due. Oggi ne affronteremo una.

Prima di dirvi quale, però, cioè prima di dire di cosa parleremo, vorrei attirare l’attenzione sul come se ne parla di solito. Una precisazione, vi assicuro, molto importante.

Io mi chiedo: possibile mai che l’intellettuale standard di sinistra (intendo sinistra per bene e decotta), uso ad ostentare una “pastrufaziana latitudine di visuali”, un sovrano disprezzo per ogni retaggio moralistico, in campi disparati che vanno dai comportamenti sessuali, all’espressione artistica, alla bioetica, al colore della pelle, alle scelte religiose, e chi più ne ha più ne metta, quando si arriva a parlare di economia tira fuori una pruderie da far invidia a una pensionata del beghinaggio di Gand nel XVII secolo?


Io vorrei dire a questi amici (vostri): “miei cari, vedete, quando si parla di sesso, di morte, di arte, certo, sono d’accordo, il moralismo è fuori posto, ma chi lo applica ha per lo meno la scusa di avere alle spalle secoli e secoli di condizionamenti religiosi! Ora, possibile mai che voi, mentre  sfottete giustamente chi applica preconcetti moralistici a queste categorie, non vi rendiate conto di far di peggio, cioè di applicarli a categorie dove essi hanno ancor minore diritto di cittadinanza, cioè le fredde categorie economiche?”. Va anche detto che questa contraddizione in realtà è più apparente che reale. L’intellettuale di sinistra ostenta, certo, ma poi, alla prova dei fatti... Come dire: con le figlie degli altri tutti sono sessualmente liberi! La larghezza di vedute di certi personaggi spesso è solo patetica ipocrisia buonista, da dispensare manibus plenis  nelle conversazioni salottiere. Ma quando si passa a parlare di cose serie (cioè di soldi, o della propria famiglia, o dei soldi della propria famiglia) questa vernice politicamente corretta si scrosta subito, e riaffiora il più gretto, miope, unilaterale moralismo borghese ottocentesco.


E quindi, siccome la domanda crea l'offerta, nei media è molto ma molto difficile sentir parlare in termini limpidamente fattuali di svalutazione e di produttività. Scatta subito il giudizio di valore. La svalutazione? È immorale! La produttività? È virtuosa. Il tutto condito con dati di fantasia. E naturalmente, in virtù di questa antinomia morale, l’amico intellettuale della sinistra per bene e decotta (sto cercando di non usare una certa parola, altrimenti Marco Basilisco, rockapasso, Santarelli e togarossa mi mettono giustamente in croce), il nostro amico, dicevo, in virtù di questo suo manicheismo, non riesce a vedere alcuna relazione fra un concetto profondamente immorale (svalutazione) e uno profondamente morale (produttività), non più di quanta ne veda fra la sua bambina e la signora che incontra di notte sui viali.


E allora, perdonatemi, dopo questa lunga premessa, per reagire allo sbrodolamento moralistico del quale i media non sono avari, nel resto di questo post sarò piattamente tecnico. Anche qui sarò rimproverato dal quartetto di cui sopra: “se sei troppo te stesso perdi consenso! Se sei troppo tecnico perdi lettori!”.


Giusto (questa è arte, quindi siate di late visuali).


Oggi parliamo di produttività.



Quale produttività?
Intanto vi ricordo che in economia il termine “produttività” ha tante accezioni, e che la produttività della quale si parla nel dibattito corrente è precisamente la produttività media del lavoro, definita come valore aggiunto per addetto, cioè:


L’idea è quella di misurare quale sia il “rendimento” medio, in termini di produzione, dell’input di lavoro, con l’idea di per sé condivisibile che più è e meglio è.

Già qui, vi rendete conto, sorgono problemi di tutti i tipi. Esempio: quale misura utilizzare per l’input di lavoro? Dobbiamo utilizzare le posizioni lavorative (il numero di persone assunte)? Non sarebbe meglio utilizzare le unità di lavoro (i full time equivalent, cioè una misura dell’occupazione costruita in modo che due impiegati che fanno un part-time al 50% figurano come un unico occupato)? E non sarebbe ancora meglio utilizzare direttamente le ore lavorate, che poi in definitiva sono la misura più accurata dell’effettivo input?

Certo, naturalmente. Una caratteristica degli amatori è che sanno sempre cosa è “meglio”. Tutto giusto e tutto vero, solo che il meglio spesso è nemico del bene: il dato più “raffinato” spesso non è disponibile per periodi di tempo sufficientemente lunghi, non è direttamente confrontabile con quello di altri paesi (che magari non lo calcolano), e si basa su indagini campionarie più sofisticate, e quindi, ahimè, potenzialmente più fragili. E allora in quel che segue mi atterrò alla definizione della contabilità nazionale: (valore aggiunto)/(occupati totali). Del resto, questa è la definizione che ci interessa, per il motivo che passo a spiegarvi.


Perché ci interessa la produttività?
La produttività media del lavoro ci interessa perché da essa dipende il famoso “costo del lavoro”. Anche qui bisogna che ci capiamo. Cosa è il “costo del lavoro”? Nel dibattito giornalistico di solito si chiama “costo del lavoro” quello che gli economisti chiamano più correttamente “costo del lavoro per unità di prodotto” (CLUP, in inglese ULC: Unit Labour Cost). Come è costruito? Come rapporto fra i redditi unitari da lavoro dipendente (il costo del lavoro per addetto) e la produttività media (il prodotto per addetto):


Se la produttività aumenta, il CLUP a parità di altre condizioni (cioè se il reddito medio da lavoro dipendente rimane fisso) diminuisce: lo stesso costo del lavoro per addetto si ripartisce su un numero più ampio di prodotti. Nelle condizioni di mercato oligopolistico (pochi produttori) oggi prevalenti, il prezzo del prodotto viene determinato come margine sui costi medi variabili (principio del costo pieno). Quindi, in linea di principio, quando la produttività aumenta e il CLUP diminuisce diminuiscono anche i prezzi (alla produzione): l’impresa diventa più competitiva.

Va da sé che questo ragionamento è semplicistico. Ad esempio, esso presuppone che la riduzione del costo del lavoro venga traslata interamente sui prezzi, ma questo potrebbe anche non accadere: semplicemente, il produttore potrebbe lasciare inalterato il prezzo, cioè aumentare il proprio margine di profitto. L’idea che mercati con tre o quattro (o anche dieci o venti) big player mondiali possano funzionare come funziona la concorrenza perfetta nei libri di scuola è un po’ rozza. I produttori possono mettersi d’accordo, e lo fanno (è sui giornali ogni giorno), per cui, come dire, il legame fra aumento della produttività e diminuzione del prezzo finale non è così meccanico. Diciamo però che a grandi linee il meccanismo funziona, e che quindi in effetti la dinamica della produttività si ripercuote nel lungo periodo su quella dei prezzi.

La dinamica
Quello che conta in effetti è la dinamica, come ho cercato di spiegare in questo post. Il problema non è tanto se la produttività è “alta” o “bassa”, quanto se aumenta o diminuisce, esattamente per lo stesso motivo per il quale, quando ragioniamo in termini di prezzi, il problema non è se il paese X ha prezzi bassi o alti, ma se essi calano o crescono rispetto ai prezzi del paese Y.

Ora, normalmente ci aspettiamo che la produttività media di un paese aumenti, e questo per diversi motivi. Il primo è il progresso tecnico: gli stessi occupati con macchine migliori producono di più. Il secondo è il capitale umano: gli stessi occupati con le stesse macchine producono di più quando diventano più esperti o se hanno ricevuto un’istruzione migliore. Il terzo è il cambiamento strutturale. Supponiamo che nell’anno t vada in pensione un agricoltore e venga assunto un informatico: gli occupati sono gli stessi, ma il valore aggiunto è aumentato (un software costa più di una patata), quindi la produttività del paese è aumentata. Vedete che il quadro è lievemente più complesso di quello che potrebbe avere in mente un ingegnere (with all due respect: io apprezzo molto gli ingegneri, soprattutto quando scrivono romanzi).

Poi ci sono i trucchi. Se la produttività è misurata rispetto agli occupati anziché rispetto alle ore, o se le ore di straordinario sono riportate infedelmente (ad esempio perché il precario le fa senza registrarle, in modo del tutto “spintaneo”, perché gli si fa capire che così verrà strutturato), allora per “aumentare” la produttività basta far lavorare più ore (possibilmente con lo stesso stipendio) gli stessi operai: il prodotto aumenta, gli occupati sono (apparentemente) gli stessi, e così si risolvono i problemi.

Va da sé che quest’ultima soluzione è di breve periodo. Il motivo è molto semplice. Mentre il genio umano è illimitato, e ne ha dato prova nel bene e nel male, la rotazione della Terra sul proprio asse (o, per quelli che dicono che svalutare è immorale, la rotazione del Sole intorno alla Terra) avviene sempre in circa 24 ore. Al massimo quindi puoi portare l’orario di lavoro a 168 ore a settimana, poi ti devi fermare. Non è così che siamo passati dal produrre amigdale  al produrre F14 (tanto per ricordare a cosa serve produrre, e soprattutto come si fa a vendere quello che si è prodotto).



La débâcle
La Fig. 1 riporta l’indice della produttività media del lavoro in Italia e Germania dal 1970 a oggi, costruito con base 1970=100.


Si tratta del Labour productivity index del sito OCSE (base 2005=100), ribasato sul 1970 per comodità espositiva. Vorrei chiarire come si interpretano gli indici. Quello che conta, in un indice, è la dinamica, non il valore. Quando pongo uguale a 100 la produttività media di Germania e Italia nel 1970, non sto dicendo che in quell’anno un operaio tedesco e un operaio italiano producevano entrambi 100 chiodi. Quanti chiodi, o quanto valore aggiunto, producessero si può ricavare dalle statistiche, ma non interessa più di tanto. Quello che interessa, e che l’indice ci dice, è come si è sviluppata la produttività nel tempo. Verosimilmente il tedesco già nel 1970 produceva qualche chiodo in più dell’italiano, ma magari i chiodi italiani costavano di meno ecc. Di questo parliamo un’altra volta. Quello che la figura ci dice è che la produttività tedesca è raddoppiata (da 100 a 200) in 23 anni (dal 1970 al 1993), quella italiana in poco di più (dal 1970 al 1997), dopo di che quella tedesca ha continuato a crescere, e quella italiana si è sostanzialmente appiattita.



Il trionfo dell’intelletto (di sinistra)
E qui siamo al trionfo dell’intellettuale di sinistra, il quale può finalmente “dimostrare” i suoi due assiomi:

(1) i tedeschi sono migliori (detto anche "assioma di Tafazzi". Conseguenza: la loro minore inflazione è dovuta a una crescita più rapida della produttività), e

(2) la colpa è di Berlusconi (visto che l’appiattimento della produttività italiana, a spanna, si verifica prima intorno al 1995, e poi manifesta un paio di recrudescenze intorno al 2001, e al 2008).

Ecco, vedi, Bagnai, te lo avevo detto! Ma tu non ci volevi credere, animato come sei da odio ideologico verso l’euro...

Dunque. Intanto vorrei sapere se Craxi era meglio di Berlusconi. Non era lui il demonio, una volta? Lui, il corrotto corruttore, l’uomo che ha zavorrato la nostra economia con il debito pubblico che tuttora uccide la nostra produttività (dicono), ecc. Ma allora perché dal 1983 al 1987 la produttività italiana era esattissimamente allineata a quella tedesca? Erano meno bravi i tedeschi? A parte che questo contraddice l’assioma di Tafazzi (l’italiano è sempre e comunque peggiore degli altri), va anche detto che dal grafico non sembra.

A me pare più probabile che l’argomento Berlusconi, puramente ideologico, da rotocalco, valga meno della carta su cui ci viene propinato. Non sto dicendo che Berlusconi è bravo. Penso anch’io che sia piuttosto cattivo, non lo vorrei per genero e lui non mi vorrebbe per suocero, ma mi pare che il lungo elenco delle sue qualità negative non abbia molta più relazione con la Fig. 1 di quanta ne abbia con lo tsunami di Fukushima o con il terremoto dell’Aquila. Non tutti i cattivi sono responsabili di tutte le catastrofi. Chi vede una relazione fra Berlusconi e la catastrofe della produttività italiana è invitato a dimostrarla, possibilmente non con aneddoti, e ricordando che quella che i grafici mostrano è una tendenza di lungo periodo (un fenomeno che va avanti da quasi venti anni, durante i quali non ha governato solo Belzebù) e riferita all’intera economia. Le favolette sono buone per il popolino. Il popolino vuole un cattivo (vuole anche un buono): basta darglielo, e poi lui fa quello che vuoi tu (esempio: entra nell’euro). Ma fra il fenomeno (arresto della produttività media dell’intera economia) e la favoletta (dove Berlusconi è il cattivo) non c’è un gran legame, e allora dobbiamo andare alla ricerca di altre spiegazioni


I dettagli
Come sempre, sono i dettagli a deliziare l’intenditore. Dal 1970 ad oggi Italia e Germania si sono rincorse. La rincorsa italiana è stata più o meno efficace. Andiamo a vedere nel dettaglio (mettete gli occhiali). Si parte nel 1970.


L’Italia passa in testa (Fig. 2). La recessione del 1975 è pesantissima e la riporta sotto il livello tedesco, ma l’Italia riparte e passa nuovamente in testa nel 1979. Ma a partire da quell’anno il suo slancio si attenua, la produttività si appiattisce una prima volta, fino al 1983, anno in cui la Germania sorpassa nuovamente l’Italia (Fig. 3).


Dal 1984 la corsa della produttività italiana riprende e nel 1989 siamo di nuovo al sorpasso, ma... che succede? L’Italia perde colpi: la produttività si appiattisce di nuovo, per circa 3 anni, e poi dal 1993 la corsa riprende, ma ormai il distacco è visibile. Fra 1995 e 1996 la produttività diminuisce (non succedeva dal 1982), poi si rialza, ma entra in un’altalena di aumenti e diminuzioni, registrando fra 1996 e 2010 una crescita media annua dello 0% (per i precisini, 0.2%). Nello stesso periodo la crescita media della produttività tedesca è stata dell’1.3%.


Per chi non lo sapesse: il Sistema Monetario Europeo (SME) era un accordo di cambio fra paesi europei in virtù del quale questi si impegnavano a mantenere il proprio tasso di cambio fisso rispetto a una valuta di riferimento, l’ECU (European Currency Unit). Il valore dell’ECU era calcolato come media dei valori delle valute dei partecipanti (ponderata con i rispettivi pesi economici). L’impegno era quello di evitare che le valute si scostassero di ±2.5% dalla parità centrale in termini di ECU. Questo significa che se una valuta veniva spinta al limite superiore della banda e un’altra al limite inferiore, di fatto la prima aveva rivalutato del 5% (e la seconda svalutato del 5%). L’Italia aveva negoziato una speciale “banda larga” di ±6%.

13 marzo 1979: l’Italia entra nel SME.

14 giugno 1982: riallineamento dello Sme: la Germania rivaluta del 4.25%, la lira svaluta del 2.75% (totale: 7%).

21 marzo 1983: riallineamento dello Sme: la Germania rivaluta del 5.5%, la lira svaluta del 2.5%, come il franco francese (totale: 8%).

5 gennaio 1990: la lira adotta la banda di oscillazione ristretta del ±2.5%.

17 settembre 1992: la lira abbandona lo SME e comincia a fluttuare liberamente, perdendo circa il 20% in un anno.

24 novembre 1996: l’Italia rientra nello SME.

E il resto lo sapete, o dovreste saperlo. Per inciso, avete letto bene: la Germania, nello SME, poteva rivalutare. Nell’euro no. Capito?


Coincidenze
E ora, però, parliamone. Perché vedete, la cosa divertente nel “dibattito” sulla produttività, è che chi ne sostiene le virtù la propone per lo più come un dato ingegneristico (migliori macchine, migliore organizzazione), sociologico, o addirittura biologico (cioè, diciamolo pure, razziale), ma comunque indipendente dal quadro macroeconomico. Chiaro: il problema dell’ingegnere è quello di costruire macchine più efficienti, che producano di più. A lui questo sembra bene, ed è giusto che sia così: ci mancherebbe altro che le macchine producessero di meno (magari inquinando di più)! Ma l’imprenditore, caro ingegnere, caro sociologo e caro razzista, ha anche un altro problema, che è quello di vendere ciò che produce. Se per qualche motivo i suoi prodotti non hanno mercato, lo stimolo a produrre di più in qualche modo viene a cadere. Dice: be’, però tu puoi fare innovazione, ricerca, sviluppo (mantra su mantra) e così ridiventi competitivo. Certo: ma i soldi per fare tutte queste belle cose chi te li dà? Come compri una macchina migliore o un progetto migliore se sei soffocato da un quadro macroeconomico che ti chiude i mercati di sbocco? Ci state arrivando?

Quello che la cronologia ci dice è una cosa molto semplice: tutte le volte che l’Italia ha, in qualche modo, irrigidito la propria politica valutaria, e quindi compromesso le proprie esportazioni, prima entrando nello SME, poi entrando nella banda di oscillazione ristretta, poi rientrando nello SME, poi entrando nell’euro, la sua produttività si è appiattita. E l’appiattimento è stato irreversibile quando la decisione di “irrigidirsi” lo è stata, ovvero con l’euro.

Odio ideologico
E qui, naturalmente, apriti cielo! “Franti, tu uccidi tua madre!” O, come mi dice l’amico (spero) Nuti: “non capisco il tuo odio ideologico verso l’euro”. Eppure posso spiegarlo in modo molto semplice. Non è odio, è fastidio. Lo stesso fastidio che Gadda provava per la catenella del cesso che si strappa quando la tiri (Alex, aiutami tu a ritrovare la citazione). Il fastidio per le cose mal congegnate e mal eseguite, che procurano inutile disagio.

Certo, qualcuno adesso penserà: “guarda questo Bagnai, accecato dall’odio verso i tedeschi! Se lo stiamo a sentire è in grado di spiegare con l’entrata nell’euro anche Caporetto o il terremoto di Messina! Lasciamo perdere...”. Ecco, bravi: voi lasciate perdere. Tanto quando questa tragica farsa finirà come deve finire, voi tornerete, dicendoci che lo avevate detto. Aspettiamo fiduciosi. Nel frattempo cerco di spiegare agli altri che il ragionamento che sto sviluppando non si fonda su un non meglio identificato “odio” ideologico.


La produttività non è esogena
Osserviamo la Fig. 4, che rappresenta il tasso di crescita di produttività (in blu) e esportazioni (in rosso) in Italia dal 1971 al 2009. La spezzata blu è il tasso di crescita della spezzata verde in Fig.1 (la produttività media del lavoro in Italia).


Si percepisce, credo, che entrambe le serie tendono a decrescere nel tempo: per la produttività lo abbiamo già visto, la sua crescita si arresta più o meno dal 1996, e da allora in effetti il suo tasso di crescita (spezzata blu in Fig. 4) oscilla attorno allo zero (asse orizzontale). Le due serie in effetti decrescono insieme: la loro correlazione, per chi non si accontenta del colpo d’occhio, è 0.67, positiva e significativa. Dice: ma le serie scendono, perché la loro correlazione è positiva? Perché la correlazione è un numero compreso fra -1 e +1 che esprime come si muovono due variabili: è positiva se salgono insieme, positiva se scendono insieme, negativa se una sale e una scende, e nulla se ognuna fa come gli pare. In questo caso è positiva perché sia la crescita della produttività che quella delle esportazioni col tempo diminuiscono.

(Per i sofisticati: l’outlier delle esportazioni, -20% nel 2009, non influenza la correlazione. Se lo eliminiamo la correlazione passa da 0.67 a 0.65).

Bene, direte voi, o forse lo dirà un altro: il quadro è chiaro. Noi italiani, feccia dell’umanità, siamo diventati meno produttivi, quindi il nostro CLUP è cresciuto, quindi i nostri prezzi sono aumentati, quindi siamo diventati meno competitivi, quindi le esportazioni sono diminuite. Che orgia di “quindi”! La parola preferita dall’intellettuale di sinistra... Un economista direbbe che la causazione è unidirezionale: dalla produttività alle esportazioni. Che poi, se volete, ha anche la sua logica: una logica neoclassica: dato che per esportare prima devi produrre, è chiaro (?) che più produci più esporti.

Ma è proprio così chiaro?

È nato prima l’uovo o la gallina? (paragrafo tecnico)
La Fig. 4 ci dice che produttività e esportazioni vanno insieme, ma la storia dell’economia è fatta di centinaia di cose che vanno insieme. Quando insegnavo Econometria alla Sapienza mi divertivo molto a illustrare agli studenti una fantastica equazione che spiegava benissimo i consumi delle famiglie italiane. Poi cominciavo a usarla per fare delle previsioni, e veniva fuori una catastrofe. Tutto quello che avevo spiegato fino a quel giorno non funzionava: le variabili, dentro il campione, erano correlate perfettamente, ma fuori succedeva di tutto. Dov’era l’errore? Semplice: stavo spiegando i consumi italiani con i redditi della Nuova Zelanda. La correlazione dentro il campione c’era: qualsiasi variabile che cresce è correlata con qualsiasi altra variabile che cresce. Ma fuori dal campione qualche problema c’era... Chi l’ha studiata così la cointegrazione rischia anche di averla capita.

Cosa voglio dire? Semplice. La Fig. 4 mostra una correlazione, cioè il fatto che due variabili si muovono insieme. Da qui a stabilire una causazione (cioè il fatto che l’una causi l’altra, e in particolare che sia la produttività a causare le esportazioni) ce ne passa.

Intanto, stabiliamo un principio: non sempre quello che viene prima causa quello che viene dopo: è il famoso sofisma post hoc ergo propter hoc, dal quale sappiamo che occorre diffidare. Tuttavia è abbastanza difficile (e qui ovviamente aspettiamo Schneider) che quello che viene dopo abbia causato quello che viene prima. Questo principio è stato messo in pratica da un premio Nobel recentemente scomparso, Clive Granger, per elaborare un test di non causalità.


Non causalità?


Sì, perché l’idea non è dimostrare che A abbia causato B (compito impegnativo), ma solo quella di escludere che A preceda B, sia un suo antecedente. Se A non precede B, non può averlo causato, e questa è l’ipotesi che il test vuole accertare. Poco, ma meglio di niente.


Lo so, già avete il mal di testa. E il peggio deve venire. Ma volete continuare a sentirvi dire che la colpa è vostra perché non lavorate abbastanza? E allora lavorate!

Intanto, la cosa interessante è che nel periodo dal 1970 al 1995, prima della débâcle, le variazioni delle esportazioni precedono quelle della produttività, e non viceversa  (e lo si vede anche dalla Fig. 4). Insomma, in quel periodo sembra di poter escludere che la produttività causi le esportazioni. Per i non tecnici, guardate ad esempio cosa succede fra 1979 e 1983: il punto di minimo della crescita delle esportazioni (-8% nel 1980) anticipa di due anni il minimo della crescita della produttività (-0.4% nel 1982).

Per i tecnici, questo è il correlogramma incrociato:


dal quale si vede che la produttività è (debolmente) correlata con i valori passati delle esportazioni, ma per niente correlata con quelli futuri, e questo è il test di non causalità di Granger:


dal quale si vede che l’ipotesi che la produttività non causi le esportazioni è accettata, mentre quella che le esportazioni non causino la produttività è respinta (al 10%). Nulla di granitico, ma un indizio questi risultati lo danno. Questo tipo di correlazione evapora se estendiamo l’analisi a tutto il campione. Il fatto è che i dati annuali sono pochi per un’indagine statistica di questo tipo. Se però passiamo ai dati trimestrali, il quadro si fa più chiaro (per i tecnici):


Adesso l’ipotesi che le esportazioni non causino la produttività viene respinta recisamente, mentre quella che la produttività non causi le esportazioni viene accettata. In parole povere, i dati ci dicono che sono le esportazioni a causare la produttività, non il contrario.

Non è poi così strano, se torniamo all’inizio del discorso. In fondo la Fig. 1 che storia ci raccontava? Una storia molto semplice: ogni volta che l’Italia ingessava la propria valuta, penalizzando le proprie esportazioni, la produttività cominciava a declinare. Quando i cambi si riallineavano si ripartiva. Che poi è proprio quello che ci dice questa analisi: cambio ingessato, meno esportazioni, meno produttività, e viceversa.

Perché?
Ma è così strano? No. Non è strano per niente. Anzi, è esattamente quello che viene previsto dal modello di crescita post-keynesiano di Kaldor-Thirlwall, un modello che ha ricevuto un discreto supporto empirico (diverse centinaia di verifiche pubblicate nella letteratura scientifica internazionale), e del quale perfino Pierre-Richard Agénor (dottore alla Sorbona, carriera in Banca Mondiale fino alla posizione di lead economist, poi a Yale, ora a Manchester, economista non sospettabile di eterodossia) ha dovuto ammettere la fondatezza.

Gli omodossi (anche detti prekeynesiani) tendono a vedere la crescita economica in un’ottica ingegneristica: ci sono le macchine e i lavoratori, più macchine compri e più lavoratori assumi, più produci. La crescita economica, loro, la spiegano esclusivamente dal lato della produzione, ovvero, come dicono gli economisti, dell’offerta. Loro, gli omodossi, non si preoccupano di sapere chi comprerà quello che viene prodotto, perché partono dal presupposto (detto legge di Say) che l’offerta crei la propria domanda. Un presupposto già dubbio in teoria, e abbastanza screditato in pratica. Se l’offerta crea la propria domanda, perché la Thyssen-Krupp ha dovuto pagare 150 milioni di euro di mazzette per farsi comprare i propri sommergibili dalla Grecia? Il sommergibile basta produrlo, poi lo porti al mercato (in un cestino) e qualcuno lo comprerà, perché siccome per produrlo hai distribuito redditi, e chiunque ha soldi in tasca li spende subito (altra intuizione di quel geniaccio di un Fisher), ecco che tornerai a casa col cestino vuoto e le tasche piene.

O no?

No.

L’esperienza mostra che la domanda può effettivamente porre un vincolo alla crescita economica e la storia economica fornisce decine di conferme: le grandi potenze economiche nella fase del proprio decollo hanno regolarmente praticato politiche mercantilistiche, fondate sull’essere liberiste a casa altrui e protezioniste a casa propria, semplicemente perché per promuovere la crescita del proprio prodotto e quindi della propria produttività era indispensabile dotarsi di mercati di sbocco di taglia adeguata.

Questa intuizione è formalizzata nel modello kaldoriano di crescita, che ha due componenti essenziali: la prima è la cosiddetta “legge di Thirlwall”, che stabilisce che la crescita di un’economia è direttamente proporzionale a quella delle sue esportazioni (da Anthony Thirlwall, 1979, “The balance of payments constraint as an explanation of international growth rate differences”, Banca Nazionale del Lavoro Quarterly Review). La seconda è la “legge di Verdoorn”, che stabilisce che la crescita della produttività è proporzionale alla crescita dell’economia (da Petrus Verdoorn, 1949, “Fattori che regolano lo sviluppo della produttività del lavoro”, L’Industria, n. 1). Queste due leggi interagiscono in un meccanismo di causazione circolare e cumulativa di questo tipo: se un paese riesce (ad esempio adottando un tasso di cambio sostenibile) a promuovere le proprie esportazioni, il suo prodotto cresce, il che determina un incremento della produttività, il che determina una riduzione del CLUP, il che determina un aumento della competitività, il che determina un ulteriore aumento delle esportazioni, e si ricomincia (il modello è esposto in dettaglio da Anthony Thirlwall, 2002, The Nature of Economic Growth, Cheltenham: Edward Elgar).


Insomma: il presupposto del “decollo” di un sistema economico è che si riesca ad allentare il vincolo della domanda. Politiche di “vincolo esterno” basate su un cambio sopravvalutato ovviamente vanno nella direzione opposta, e del resto l’imposizione (o la “calda raccomandazione”) di adottare un cambio sopravvalutato alle economie “periferiche” è sempre il primo imprescindibile passo della strategia di conquista messa in pratica dalle potenze mercantiliste (come ampiamente descritto da Roberto Frenkel e Martin Rapetti, 2009, “A developing country view of the current global crisis”, Cambridge Journal of Economics).

Tutti “economisti”.

Sintesi
Non sto dicendo che viale Parioli debba svalutare rispetto a via dei Monti Parioli: sto solo dicendo che il dimensionamento di un’area valutaria deve essere fondato su criteri razionali, e il primo di questi criteri, da Mundell in giù, è l’omogeneità del mercato del lavoro, che è quello dal quale dipende il tasso di inflazione, e quindi la sostenibilità di tutta la baracca (questo è per l’amico del tornese, che ho trovato nello spam. Lui sa chi è, e lo so anch’io. Poi torniamo sul discorso).

Non sto dicendo che gli italiani sono una razza eletta e che in quanto tali non debbano alterare i propri comportamenti e le proprie istituzioni: sto solo dicendo che non sono delle merde come la “loro” attuale leadership vorrebbe far credere loro: se qualche italiano non è d’accordo, lo esorto ad applicare a se stesso le ovvie conseguenze del suo pensiero (sperando che la catenella tenga allo strappo).

Non sto dicendo che i tedeschi sono la feccia dell’umanità e che in quanto tali meritano di essere consegnati alla pattumiera della Storia: sto solo dicendo che il modello non cooperativo praticato dalla loro leadership sta chiaramente mostrando la corda, e che il futuro dell’Europa è nella valorizzazione della sua ricchezza e quindi diversità culturale, non nell’appiattimento di tutti su un modello fallimentare a medio (e forse ormai a breve) termine.

Non sto dicendo che la rivalutazione della Germania risolverebbe tutti i problemi. Certo, essere entrati in un sistema che, a differenza dello SME, la esclude, ha creato degli ovvi problemi accessori, che si sarebbero potuti evitare. Ma è altrettanto certo che in Italia ci sono molte cose da migliorare. Solo che è suicida farlo in un contesto nel quale istituzioni macroeconomiche palesemente fallimentari ci tolgono risorse e prospettive.

Sto dicendo che ragionare esclusivamente in termini di offerta (l’importante è produrre!) è, come dire, lievemente amatoriale. La domanda conta, conta nel breve, e conta anche nel lungo, come sanno tutte le potenze che hanno costruito il proprio futuro aggredendo i propri mercati di sbocco. La produttività dipende certo dai mille e mille fattori di cui si è parlato anche in questo blog, dipende dalla sociologia, dal clima, dalla religione, da quello che vi pare, ma dipende anche e soprattutto dal quadro macroeconomico, come l’esperienza italiana riassunta in questo post dimostra. Non capirlo significa pretendere di andare da Roma a Fiumicino nuotando controcorrente, semplicemente perché nuotare controcorrente è più faticoso, quindi più virtuoso. Peccato che Fiumicino sia a valle di Roma. E comunque alla fine a Fiumicino ci arrivi perché tanto il fiume ti ci porta: ma preferisci arrivarci prima vivo, o dopo morto?

Di questo moralismo da poveracci (si può dire?) forse dovremmo veramente liberarci. Ma dopo svariati decenni di disinformazione mi rendo conto che il compito è superiore alle forze di ognuno di noi.



Per i precisini
I lags del test di Granger sono stati selezionati applicando il test sequenziale del rapporto delle varianze modificato secondo Helmut Lütkepohl (1991), Introduction to multiple time series analysis (New York: Springer), corretto per i gradi di libertà secondo Chris Sims (1980), “Macroeconomics and reality”, Econometrica, così come viene implementato da EViews 5, partendo da un ordine massimo di 20. I dati trimestrali di valore aggiunto, occupati totali e esportazioni provengono dal sito dell’I.Stat, rispettivamente dal 1992, 1980 e 1991. I dati precedenti, fino al 1975, sono stati retropolati con i tassi di variazione delle serie corrispondenti, provenienti dalla release 1996:03 della contabilità nazionale trimestrale, la più recente fra quelle trovate nelle tasche di Eta Beta. Occorre altro?


E così abbiamo sistemato quelli che “l’importante è produrre” e quelli che “la svalutazione è come l’aspirina”. Scusa, caro, se hai il mal di testa cosa fai? Preferisci soffrire? O preferisci amputare? Io una preferenza ce l’ho, ma non la esprimo. L’atteggiamento moralistico secondo il quale meglio la sofferenza della medicina, e se proprio medicina deve essere, almeno intingiamo la pasticca nel fiele, altrimenti non fa bene, ecco, questo atteggiamento non ha alcun fondamento scientifico, direi che non ha alcun fondamento umanistico, anzi, direi che non ha alcun fondamento umano. Capisco che avete avuto un’infanzia difficile, ma non è un buon motivo per avvelenarvi il resto della vostra esistenza, e per avvelenarla a noi.

Vedete? Non ho detto “piddino”, e non ho detto nemmeno una parolaccia (dai, merda non conta, Hugo ci scrive tutto un capitolo nei Miserabili). Si può fare! Adesso, secondo il quartetto di cui sopra, mi telefona subito Floris per invitarmi a Ballarò. Peccato che io sarò sperso nella campagna portoghese a seguito di un sacrosanto (per loro) ma funesto (per me) sciopero generale. Probabilmente non arriverò a Coimbra: dovrò fermarmi a Fatima. E non è detto che sia meno utile. Sicuramente più utile che andare a Ballarò (checché voi ne pensiate). Ave maris stella.

Dai, Ro, lo so che hai ragione tu, come sempre. Ci sto provando...

187 commenti:

  1. E a quelli che hanno tanta voglia di "produrre" ricordo questo. Vanum est vobis ante lucem surgere...

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    1. Bagnai,
      mi riservo di leggerlo tutto con calma. Ma il concetto di produttività così come viene impiegato soprattutto nelle discussioni politiche non ha il significato univoco che gli si può dare a livello intuitivo. Ce l'ha solo se vale la legge del Say. Inoltre, preso asetticamente, essendo una grandezza vettoriale che dipende da un prodotto scalare (l'output) e uno scalare, basta diminuire lo scalare (il numero di occupati) e zack, magicamente la produttività si alza :-) Ecco, poi non parliamo della misurazione della produttività del capitale o, peggio, di certe puttanate di stampo solowiano, altrimenti mi viene l'orticaria ...

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    2. Carissimo, prendi pure il tuo tempo, perché sento puzza di espertonismo. In che modo, di grazia, la produttività sarebbe una grandezza vettoriale? Ingegnere? Puoi smettere quando voglio, sai? La produttività in economia è uno scalare perché è il rapporto fra due scalari. Eventualmente un problema dimensionale si pone perché abbiamo a che fare con un rapporto fra flusso e stock (questo direbbe un economista). Quanto alle funzioni di produzione neoclassiche, sappiamo tutti cosa pensarne qui, e mi sono espresso in modo sufficientemente chiaro nella presentazione del nostro modello. Quindi queste osservazioni a cosa servono? A dirmi che qualcuno mi sta leggendo? Be', ti do una notizia: non sono più i tempi in qui ciò faceva notizia...

      Stammi bene e non sentirti obbligato a leggere: i referee di una rivista internazionale hanno detto che è un excellent paper ma devo aggiustare alcuni dettagli, cosa che sto facendo. A me basta che abbiano letto loro.

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  2. applausi; vivi, concordi applausi da tutta l'assemblea.
    Davvero grazie.

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    1. È stato un piacere. Sempre meglio che perdere un pomeriggio a capire come mai COMTRADE omette nel 1995 il dato delle esportazioni del Bhutan verso la Corea.

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    2. mi unisco. gran bell'articolo, seriamente. diversi spunti da approfondire su cose che conosco poco (e si purtroppo a sto giro mi devo affidare molto di più alla fiducia, non fa bene, ma tant'è).

      e soprattutto ti ringrazio per una cosa in particolare. non hai utilizzato neologismi (senza conoscere i vecchi) come fanno tutti gli antagonisti (dicono loro) quando devono spiegare qualcosa.

      ---

      non è un caso che ieri ho visto un'intervista de Lucreziona indove diceva che la BCE dovrebbe creare un po' di inflazione. dev'essere un casino per chi ci lavora doversi fare il giro dei negozi a modificare col pennarello i prezzi.

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  3. Torno a casa e trovo questo regalo, che divorerò dopo la cena al posto della visione del Gad nazionale. Non so perché ma ho l'impressione di averci guadagnato nel cambio. Da sellino pentito non posso che ringraziarla in questo suo tentativo di aprirci gli occhi. Oltre che grazie posso solo dirle che spero che la lettura di questo suo lavoro mi sia di stimolo a tentare di capire ancora meglio quello che sta succedendo e, nel mio piccolo, a tentare di diffondere questa coscienza.

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  4. La più sublime parola mai detta da un francese...

    Ma è vero che la CA dell'India è in deficit cronico da anni, ciononostante l'India cresce ad un buon passo? Come fanno, svalutano?
    Questa era una domanda un po' da studente, lo ammetto. Ma della prossima domanda, ti giuro, non ho idea di quale possa essere la risposta.
    Un altro paese del (ex) terzo mondo che può vantare robusta crescita e deficit sprofondante è la Turchia. La Turchia era caratterizzata, fino a qualche anno fa, da inflazione galoppante e svalutazione pantagruelica. Erdogan ha posto un freno a l'una e l'altra, stabilizzando prezzi e tasso di cambio.
    Quindi, la domanda è: ma da dove prendono i soldi per finanziare le ingenti e crescenti importazioni?

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  5. Grazie Alberto! un altro tassello comincia ad andare al suo posto. Con te basta aspettare e tutto arriva, le parole misteriose si chiariscono sempre di più. Mi piacerebbe sapere....ma in quei malefici trattati c'è qualcosa che ci obbliga ad avere per partner pricipali questi signori perfettini?

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    1. Cara Elvira, purtroppo qui bisogna prendere il primo rivolto della tua domanda: la domanda giusta sarebbe stata: "visto che la struttura storica, geografica ed economica del nostro commercio ci condiziona ad avere relazioni privilegiate con questi paesi, siamo obbligati a concludere con loro un simile patto leonino?".

      Gli orientamenti del commercio sono un dato condizionato dalla storia. Non possiamo certo decidere che il nostro partner principale diventi la Nuova Zelanda! Ma avremmo potuto decidere di non suicidarci. I motivi per i quali abbiamo deciso di farlo credo siano chiari (disciplina del sindacato, ecc.).

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  6. Prof hai proprio ragione: non ho mai trovato da nessun altra parte questo becero moralismo economico ( stato=spreco, svaluatare=male) se non in certi sinistroidi che rifiutano ogni giudizio morale in altri ambiti e si che la lex di Hume è un pezzo che sta scritta...

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    1. Il fatto è che abbiamo bisogno di una "rivoluzione copernicana culturale". Non è possibile stabilire un dibattito con persone "economicamente tolemaiche". Questo è il problema più serio. Il modo in cui vengono "totemizzate" categorie economiche che, in quanto tali, sono entità prodotte e gestibili dall'uomo, ha dell'incredibile. Lo "spread"! Mica è uno tsunami!? Ma l'ingenuità che si ammanta di sapere frettoloso fa tanti di quei danni...

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    2. Per risolvere il problema non e' possibile utilizzare i mezzi con cui e' stato creato.
      Ci vuole un cambio di paradigma,(qualcosa che sostituisca il rapporto di valore).
      Finche' penseremo io ho il petrolio ed io ho la pasta non cambiera' nulla.
      Il rapporto di valore ci ha fatto uscire dalla misera ed arrivare fino a qui,ma non ci portera' oltre,e' diventato il nostro limite.
      Ne'il privato ne' lo stato sono piu' in grado di creare ricchezza.

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    3. Sarà per questo che l'1% della popolazione mondiale si sta arricchendo vertiginosamente e che il tenore di vita nei paesi emergenti aumenta? Complimenti per la supercazzola, caro anonimo. Tuttavia, fattelo dire: hai sbagliato blog.

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  7. Considerando che studio storia, e di economia ce ne capisco generalmente poco (seppur la materia mi affascini), devo ringraziarti per la chiarezza espositiva. Un incentivo un più ad approfondire la materia

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  8. "...le catenelle del water-closed che ti rimangono in mano, sono altrettanti simboli di quello che può essere, anche nella attività dello spirito, l’inizio esiguo di una grossa stortura, d’un malanno, d’una catastrofe".

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    1. Grazie Mauro. Questa è la mia Italia, che non è, probabilmente, tutta l'Italia. L'inizio esiguo di una catastrofe può anche essere un differenziale di inflazione di soli 0.6 punti.

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  9. Ma come, professore!

    Mi boccia così?

    Le assicuro che le domande “sai cosa sono le economie di apprendimento?”, “hai considerato lo spostamento della forza lavoro da un settore all’altro?” e “secondo te si vende tutto quello che si produce?” non le ho proprio sentite...

    C’è un altro appello?

    Cordiali saluti.
    Giorgio

    P.S.
    Grazie per l’approfondimento.

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    1. Ma mica ti ho bocciato. Ti ho esposto un pezzo del problema. Come vedi sono d'accordo con te sul fatto che aumentare (truffaldinamente) il monte ore non risolve la situazione. Se poi questo pezzo del problema lo conoscevi, meglio per te. Rimango del parere che il vero problema sia antropologico: bisognerebbe avere il coraggio di giudicare le persone dai risultati. Ma nel paese delle Mamme è più difficile che altrove (con tutto il rispetto, ovviamente).

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  10. Ch.mo Bagnai,
    il suo ultimo post devo ancora studiarlo con il tempo che merita, tuttavia ha fatto (ri)sorgere in me una domanda che, mi auguro, non sia fuori luogo.

    Quando sento dire da persone del calibro di Treu (che ha accompagnato le mie scaloppine ai funghi su rainews) che la riforma (sic) delle pensioni è necessaria "poiché la vita media si è allungata", mi sono sempre posto una domanda. Questo ragionamento per caso non si esime dal contemplare l'ipotesi che nello stesso lasso di tempo un lavoratore trent'anni fa non produceva lo stesso valore prodotto da un lavoratore oggi (come mi pare di aver argutamente intuito dai grafici ivi proposti)?

    Le chiedo dunque, senza pretendere risposte tecnicamente ineccepibili: faccio bene a pormi simili domande o torno a capire come spiegare, senza sembrare pazzo, l'esempio delle palle da biliardo di Hume?

    Cordiali saluti e, visto che stasera il governo dovrebbe chiudere la "trattativa", toccatina di m...

    Schneider (detto l'apotropaico)

    Ps: non tedio con citazioni di Hume ovviamente. Lei intanto ci saluti gli scioperanti. Io le ho già salutato suo figlio che sta per raggiungerla, tronfio e in camicia nera per la prossima guerra civile portoghese (la prima volta nella penisola iberica era andata piuttosto bene per loro se non rammento male).

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    1. Allora con la categoria di "causa" stiamo a posto? Certo che se ci metti di mezzo Hume... Ma lo sai chi è Hume? Il teorico del gold standard! Alle potenze imperialiste fa comodo dissolvere la categoria di causa, così possono fare il porco comodo loro e dire che quello che succede sta succedendo per caso...

      Comunque: io ricordo pertinentemente di aver letto, al tempo della carta, nella biblioteca del dipartimento, un Occasional Paper non so più se del Fondo o della Banca, che diceva che il sistema pensionistico italiano era perfettamente sostenibile (tardi anni '90) e che i problemi ce li avevano Francia e Germania. Ho sognato? (credo all'epoca di aver avuto sufficienti ormoni per sognare qualcosa di meglio) Siamo invecchiati tutti d'un colpo? O c'è un sistema finanziario privato che anela a gonfiare con i nostri risparmi le sue fottute bolle?

      Ah, saperlo, saperlo...

      Lei invece mi saluti il compagno Treu.

      A chi la riforma?

      A NOI!

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    2. Come diceva Lui...

      Schneider

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    3. Tranquillo, Schneider, quando sarò a Palazzo Venezia affiderò a te la riforma dell'istruzione. Mi sembri così Gentile...

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    4. Sta per finire la mia ora "buca" e sto per affrontare tre interrogazioni sul Parmenide e il Sofista di Platone... Dunque questo sarà il mio ultimo post prima di impiccarmi.

      Così, a memoria, Hume polemizzava con la teoria mercantilista secondo la quale la ricchezza di una nazione dipendeva, in sintesi estrema, dall'aumento delle esportazioni e dalla riduziione delle importazioni, al fine di accumulare una maggiore quantità di metalli preziosi.

      Ciò comporta, secondo Hume, l'aumento del prezzo dei beni del proprio paese, dunque un riequilibrio della bilancia commerciale. Certo, se tra i due paesi fosse in vigore una valuta comune tale meccanismo spontaneo verrebbe a mancare.

      Il gold standard in tutto ciò che ruolo avrebbe? Senza contare che, da quanto mi risulta, l'abbandono definitivo del gold standard del 1971 da parte degli Usa non fu precisamente contro i loro interessi.

      Mi illumini, o meglio gli altri lettori nel caso ne avessero bisogno, dato che sto per abbandonare questa valle di lacrime.

      Schneider

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  11. grande Alberto! Questo articolo è il top! :)

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    1. Ero sicuro che un po' più di tecnica ti avrebbe fatto piacere.

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  12. Provo a dire una stupidaggine: se fossimo fuori dall'euro i nostri prezzi non sarebbero penalizzati dal fatto di acquistare le materie prime con una moneta debole?
    Riccardo avanzi

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    1. Non è assolutamente una stupidaggine! Sarà l'argomento di un prossimo post. Si tratta di una obiezione ricorrente, che non tiene conto della storia e dell'ordine di grandezza dei fenomeni. A me, ad esempio, fa sbellicare dalle risate il fatto che nessuno si ricordi che la moneta "forte" (l'euro) appena introdotta si è svalutata del 20% in un anno...

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    2. Allora attendo con grande curiosità il post relativo. Grazie. R.A.

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  13. Suvvia prof Bagnai lasci a Fisher il merito di aver elaborato la debt deflation tanto cara al dottor Mazzalai

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  14. Ballarò non so, c'è domani, invece all'Infedele stasera c'era Pierre Carniti in collegamento video che, interrogato sull'art. 18 e le misure per l'occupazione che intende varare il governo, ha detto che tutto ciò non c'entra nulla con i reali problemi dell'occupazione dei giovani e nemmeno col debito, ma che gli sembra di essere ritornato ai tempi in cui i teologi di corte discutevano del sesso degli angeli col Tamerlano alle porte. E i teologi di corte in studio a ridersela divertiti del paragone. Poi lo hanno liquidato (il Carniti) con un applauso, hanno tolto il collegamento e i cortigiani sono tornati a discutere del sesso degli angeli, senza fare una piega. Pare che il vecchio Carniti sia arrivato a un'età in cui può dire ciò che pensa... Insomma, nel paese dei ciechi l'orbo è re. E questo è quello che si perde, Profe, standosene in quella antica città fredda e grigia.
    roberto

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  15. Un dopocena produttivo, altroché. Ci tengo a sottolineare che la disinformazione ha giocato un ruolo decisivo, come tutt'ora continua a fare sotto una moltitudine di aspetti.

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  16. Scusi professore, ma Lei sta dicendo che se si esporta si riesce ad essere produttivi e non viceversa? E' davvero controintuitivo. Poi ho letto l'argomentazione ed è convincente; ma allora, il ruolo dell'innovazione e della tecnologia qual'è?

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    1. Hai visto? Sono contrintuitivo anch'io, come i veri economisti, quelli dei quali parlo nel par. 3.3 di "Crisi finanziaria e governo dell'economia".

      So che può non essere immediatamente evidente, ma nel meccanismo di causazione circolare e cumulativa kaldoriano la tecnologia e l'innovazione hanno un loro ruolo. Quando dici: più esportazioni, quindi più reddito, quindi più produttività stai dicendo che parte dei redditi viene appunto avviata a finanziare ricerca e sviluppo, e questo, insieme alle economie di scala date dai rendimenti crescenti, è un pezzo del guadagno di produttività.

      Poi, naturalmente, il cerchio, che come sai è un poligono con infiniti lati, potrebbe anche "iniziare" in un altro modo. Se tu domani inventi la pietra filosofale, ecco che il processo potrebbe partire da lì! Voglio dire che sicuramente esiste anche l'incremento di produttività esogeno dovuto all'invenzione geniale o alla riforma razionale dei processi produttivi.

      Ma di solito le nozze vengono meglio se per farle hai qualcosa di più dei fichi secchi, no?

      Comunque la metafora non è ben scelta, perché a noi serve un divorzio: dall'euro.

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    2. Prof. a proposito di questa sua ultima affermazione , i fuffari dicono senza ovviamente circostanziare le ragioni , che un'uscita dall'euro sarebbe un disastro , una apocalisse economica , la rovina totale , l'ordigno finedimondo http://www.youtube.com/watch?v=zOrg95yHld4 .
      Premesso che potrei andarmelo a cercare con google (cosa che farò sicuramente una volta concluso questo commento) rischio comunque di incappare in argomentazioni ideologiche e fuffizzanti ; ha qualche rimando a suoi articoli o comunque ad articoli che condivide in cui analizzano con onestà intellettuale questo scenario (uscita dall'euro) ?

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    3. Due articoli che ho trovato utili sono questo su come uscire dall'euro, e questo su come costruire una vera Europa.

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  17. Il sottomarino portato al mercato dentro il cestino mi ha fatto esplodere in risate a scena aperta! troppo bello!
    e certo questa disposizione all'ilarità è positivamente correlata alla soddisfazione crescente (man mano che mi inoltravo nella lettura di tanta bella lezione) di sentir detto così a puntino pane al pane e vino al vino, in tempi in cui l'assurdo ha preso il posto del buon senso... grazie.

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  18. Claudio caro... Adesso però mi metti nella posizione di quel "général Anglais, Colville selon les uns, Maitland selon les autres, leur cria: Braves Français, rendez-vous!"...

    Dunque: la prima volta che ho cercato di dire in Italia che gli emergenti asiatici (India e Cina) non stanno svalutando è stato in risposta a un articolo delirante di Pisani-Ferry su lavoce.info. Non mi pubblicarono, ma meglio così, perché mandai a China Economic Review, che è un filo meglio. Poi sono riuscito a dirlo in italiano nel forum dei volenterosi, in risposta a un articolo delirante di Zingales.

    Il caso dell'India è un po' diverso: dal 1990 al 2009 la rupia si è svalutata del 150%, ma visto che l'inflazione cumulata indiana è stata circa del 150%, in effetti l'India ha solo moderatamente svalutato in termini reali. Forse se lo avesse fatto di più avrebbe un minor deficit, ma perché avrebbe dovuto farlo? In fondo il saldo delle sue partite correnti è sì negativo, ma dal 1999 al 2009 in media è stato pari a -0.7 punti di Pil. Non è poi un cattivo risultato per un paese che cresce al 6%, no? E in effetti l'India era arrivata all'inizio degli anni '90 con un debito estero al 30% del Pil, e prima della crisi finanziaria era riuscita ad abbatterlo fino al 15% del Pil.

    Se non fosse che lì non tira una buona aria per gli italiani (ora che tutto il mondo ci rispetta), ci sarebbe da farci un pensierino, non trovi?

    La Turchia la conosco di meno. Qualche tempo fa ho dovuto "referare" un articolo che si occupava della sostenibilità del suo debito estero (e diceva che non era sostenibile). Dal '90 al 2007, mentre quello indiano si dimezzava, quello turco è più che raddoppiato (da 21 a 49 punti di Pil).

    Secondo me tirarsi dentro la Turchia significa portare in Europa un'altra bella bomba finanziaria! Mentre dal punto di vista culturale e dei diritti umani non vedo che obiezioni possiamo fare (dopo Genova), da quello finanziario qualche dubbio è lecito.

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    1. Scusa: la risposta all'ultima domanda, per i meno esperti, è questa: i soldi li prendono all'estero. Ora la domanda sarebbe: perché l'estero glieli dà, visto che son zeppi di debiti? E la risposta è nell'articolo di Frenkel e Rapetti citato nel post.

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    2. Dovremmo tutti prendere esempio da Cambronne. Almeno salveremo l'onore.

      Per quanto riguarda l'India: devo aver fatto confusione tra le partite correnti e la bilancia commerciale, pensavo che il suo deficit fosse più grosso. E mi scordo sempre la differenza tra termini reali e nominali... Messa così la situazione indiana sembra piuttosto "tranquilla".

      Dopo aver scritto la domanda mi sono reso conto di essere comunque uno studente: in realtà, nel profondo, credevo di sapere la risposta! Solo che in questo caso era più o meno giusta. Parlo della Turchia. In effetti non c'era altra soluzione rispetto ad una valanga di prestiti dall'estero. Meno male che la Turchia è islamica e non l'hanno fatta entrare nell'euro-manicomio (UE+UME). A volte la fede è salvezza...

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    3. Et iustitiam eius manet saeculum saeculi.

      Speriamo, perché ne abbiamo bisogno.

      Ma il paper era mica questo? http://www.eurojournals.com/irjfe_20_07.pdf

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  19. Professore, una domanda (stupida, ma della quale le assicuro che non conosco la risposta): ma perchè mentre negli anni '80 noi svalutavamo la lira per sostenere la competitività, la Germania rivalutava il marco?
    Michele

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    1. Credo semplicemente perché esisteva, per una serie di motivi storici e politici, una maggiore consapevolezza del fatto che alla risoluzione degli squilibri occorre cooperare dalle due parti. Ribadisco: un paese in surplus vede domandare la propria valuta (che serve per acquistare i suoi beni). Se i beni tedeschi sono domandati, il marco è domandato, e quindi normalmente dovrebbe apprezzarsi. Quelli che continuano a dire che noi eravamo la feccia dell'umanità che viveva svalutando non capiscono questo. Una parte della nostra "svalutazione competitiva" (come la chiamano loro) era in realtà "rivalutazione fisiologica" del marco. Ma questo non gli entra in testa, e non c'è modo di farcelo entrare. Forse la soluzione è quella proposta dal trotzkista.

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    2. Grazie mille per la risposta, professore.

      Questo significa che l'Italia che svalutava negli anni '80 era in deficit?

      Oppure si può dire che funzionava così? (i) la bilancia dell'Italia era più o meno in pareggio; (ii) il marco si rivalutava perchè era richiesto all'estero per comprare i beni tedeschi (ma anche perchè era usato come riserva di valore in certe economie esteuropee, no?); (iii) la media centrale SME saliva (iv) il CLUP italiano denominato in lire diventava insostenibile per tenere la bilancia italiana in pareggio; (v) l'Italia svalutava?

      Questo scenario immagino descriva ciò che lei chiama "rivalutazione fisiologica" del marco. Ma perchè dice che solo "una parte della nostra "svalutazione competitiva"" in realtà dipendeva dall'apprezzamento del marco? Significa che c'era una componente della svalutazione che in realtà si giustificava solo con la necessità di rendere beni e servizi italiani più convenienti all'estero? Se sì. perchè agli occhi di un tedesco questa componente marginale della svalutazione non dovrebbe apparire come concorrenza sleale?

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    3. Signore aiutami!

      Non voglio urtarla, però bisogna che stabiliamo alcuni punti.

      Io credo che intanto non sappiate proprio cosa è un mercato. Se il mercato vi piace, allora dovete capire che ci sono una domanda e un'offerta che si incontrano per determinare un prezzo. Questa cosa non è né leale né sleale. È. Altrimenti fondiamo delle belle comuni agricole come quelle cinesi, e poi, ad esempio, crepiamo di fame.

      Se, come dice il mio amico Fabio, ci siamo fin qui, vado avanti.

      Quando il cambio è "fisso" questo non significa che un decreto divino impedisca al cambio di variare con la domanda e con l'offerta: significa solo che le Banche centrali, per rispettare dei patti internazionali, praticano politiche attive per interferire con il funzionamento del mercato, acquistando la valuta nazionale se c'è troppa offerta (perché il paese importa molto: gli importatori offrono valuta nazionale per acquistare valuta estera con la quale acquistano i beni esteri), vendendola se c'è troppa domanda (perché il paese esporta molto: gli esportatori domandano valuta nazionale in cambio della valuta estera guadagnata vendendo all'estero).

      I riallineamenti venivano concordati dalle parti quando la pressione del mercato diventava insostenibile per le banche centrali, che non avevano più fondi per impedire al mercato di funzionare (ovviamente, questo succedeva alle banche dei paesi deficitari, ma anche i paesi eccedentari avevano i loro problemi, connessi alla necessità di sterlilizzare i surplus).

      I riallineamenti venivano condordati.

      I riallineamenti venivano concordati.

      I riallineamenti venivano concordati.

      Se la Germania avesse avuto l'impressione che le leggi del mercato venissero manipolate slealmente, avrebbe semplicemente potuto denunciare questi accordi, uscire dallo SME, e seguire la sua strada, no?

      Più esattamente: la leadership tedesca ha cercato e cerca di dare al suo elettorato questa impressione, che però è totalmente infondata in termini di razionalità economica, e quindi, ovviamente, si regola di conseguenza, cioè non secondo quello che dice (la colpa è dei porci del Sud), ma secondo quello che è (il mercato fa il suo lavoro). Se infatti dovesse regolarsi secondo quello che dice, ovviamente uscirebbe da qualsiasi accordo con i porci. Ma non esce perché ci ha guadagnato, ci guadagna, e, temo, ci guadagnerà finché le opinioni che lei legittimamente esprime saranno così diffuse.

      Ma è così difficile?

      Faccia una cosa: lei li vede i Simpson? Sa come inizia ogni episodio? Ecco: si procuri una lavagna e scriva 40 volte: "Per chi crede nel mercato non tutte le svalutazioni sono competitive"...

      Poi, se posso permettermi, giri la lavagna e dietro scriva quaranta volte: "Ogni svalutazione di qualcuno è una rivalutazione di qualcun altro, e ogni rivalutazione di qualcuno è una svalutazione di qualcun altro".

      Facendo questo esercizio quaranta volte al giorno per quaranta giorni forse fra quaranta anni si sarà liberato dei pregiudizi che le hanno tatuato (senza sua colpa alcuna) nei circuiti cerebrali in quaranta anni di disinformazione autodenigratoria.

      Non è colpa sua se l'economia è un'altra cosa, e una cosa che permetterebbe a tutti di stare meglio. Ma naturalmente sono quattro milioni di anni che il problema è lo stesso: qualcuno vuole stare "più meglio", e il sistema periodicamente esplode...

      Io più di questo non so cosa dirle. Eventualmente si rivolga ai blog del Fatto Quotidiano...

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    4. ma per quel che ne capisco io, non rispondendo direttamente a te Anonimo, ma ragionandoci un po' su, questa cosa della concorrenza sleale lascia anche un po' il tempo che trova se la cosa la guardiamo da un punto di vista più ampio, ovvero della bilancia dei pagamenti in toto. la svalutazione ha un effetto teoricamente positivo sulla bilancia commerciale, ma la bilancia commerciale non è tutta la bilancia dei pagamenti.

      come si ricordava poi in quello che fu questo:

      http://goofynomics.blogspot.it/2012/01/la-crisi-la-svendita-e-mi-cuggino.html

      e non parlo dell'Italia e dell'eventuale svalutazione che di dovrà essere (ma che ci fu già, come appunto si dice lì), ma parlando in generale, i cosiddetti acquisti a man bassa (gli IDE) e redditi netti dall'estero negativi e in particolari i redditi da capitale rimpatriati all'estero entrano tutti nella BdP, quindi non è solo una faccenda di concorrenza sleale, ha i suoi pro e i suoi contro e il deficit di partite correnti non è per forza dato in primis dal deficit di bilancia commerciale. L'Australia è un classico esempio, per dire.

      lo so, son ovvietà, ma a volte mi pare che i mangianastri teutonici abbiano una visione della bilancia dei pagamenti un po' limitata quando giudicano la slealtà della svalutazione.

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    5. Esatto.

      Quello che non si capisce è che il funzionamento del mercato non è "unilaterale". Ogni "evento tecnico" ha vantaggi e svantaggi. Se il mercato esercita una pressione al ribasso sul cambio, e questa non viene contrastata, da un lato c'è un aumento delle esportazioni (vantaggio), ma c'è anche un aumento di vari oneri, fra i quali, guarda un po', il costo delle materie prime importate, o il servizio del debito estero. Ubi commoda ibi et incommoda. Poi bisogna entrare nel dettaglio e fare un'analisi costi benefici. Tra l'altro non è nemmeno detto che la svalutazione aiuti il saldo commerciale, o comunque non subito (condizioni di Marshall-Lerner, effetto J).

      Ma il punto che volevo sollevare è proprio questo: l'idea che chi non si oppone al mercato stia truccando i conti è molto molto limitata, e tutto questo latrare oltre confine è purtroppo una prova di estrema cattiva fede, questo bisogna dirlo...

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    6. "ma anche i paesi eccedentari avevano i loro problemi, connessi alla necessità di sterlilizzare i surplus"

      dici? e se avvenisse più spesso automaticamente? ovvero le banche dei paesi in surplus si ritrovano con liquidità che utilizzano per ripagare debiti precedentemente contratti con la Banca Centrale, attuando una "sterilizzazione automatica" su iniziativa delle stesse banche commerciali.

      ok, non è una mia idea, è di Kaldor che la chiamava "compensation thesis" o "reflux mechanism" ora non ricordo, la chiamano in ambedue i modi.

      alla fine è molto simile a quello che avviene ora fra le banche core e le banche periferiche in sostanza, con alcune differenze dovuto all'assetto istituzionale ovviamente.

      poi, si fa per parlare, era giusto per sapere se t'era mai capitato di leggere qualcosa su questo punto scritto da Kaldoro.

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    7. La traduzione di "IDE" con "acquisti a man bassa" mi piace moltissimo

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    8. @istwine

      Non mi è capitato. Io sono ancora all'antica, penso che se la Banca centrale del paese eccedentario vuole drenare l'eccesso di liquidità lo fa gestendo il proprio portafoglio (operazioni di mercato aperto), ma certo che potrebbe anche agire attraverso il canale del rifinanziamento.

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  20. Mi sento in colpa: ho capito e mi sono divertito... e non sono mai stato piddino (piccino nel'67). mariof

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  21. A proposito della regola "la domanda crea l'offerta" vs "l'offerta crea la domanda", segnalo questo articolo:

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/20/libro-shock-litigare-tedeschi-cultura-passo-dallinfarto-ostacolo-allinnovazione/198711/

    dove si dice che in Germania si è creata tanta offerta di un bene (in questo caso la cultura) con le sovvenzioni, ma che adesso è meglio lasciar perdere perchè non c'è sufficiente domanda.

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  22. Prof, questo articolo potrebbe essere il suo capolavoro :) A parte tecnicismi di calcolo statistico su cui sono mancante, é tutto perfettamente chiaro.

    Salvo e metto in sacoccia, come una buona bottiglia da tirar fuori nelle grandi occasioni.

    Vorrei porle una questione che spesso mi viene sollevata dai simpatici superstiziosi disinformati che ogni notte controllano che sotto il letto non ci sia la superinflazione da spesa in deficit positiva...

    ..riguarda i sistemi di controllo dell'inflazione in regime di sovranità monetaria e spesa in deficit virtuosa. Una parte della risposta lei la da in quest'articolo. Semplicemente la quantità di moneta circolante non é strettamente correlata all'inflazione. Io nella mia follia penso che basti citare ogni quantitative easing recente di paesi come USA, Inghilterra e magari Giappone (con nullo aumento dell'inflazione), ma questo non gli basta.
    Quando faccio lo sborone allora cito le tasse (ma quelle vere, non quelle dell'era euro dove lo stato ci tassa per pagare il ponte sullo stretto). Le tasse in uno stato a moneta sovrana servono proprio (tra le altre cose) a tenere sotto controllo la massa monetaria circolante, ma non certo a costruir ponti (che in genere vengono finanziati con la spesa in deficit o emettendo titoli di stato...). Spesso mi si chiede, tornati alla lira, quali criteri e quali principi di tassazione lo stato dovrebbe usare per controllare l'inflazione al meglio. Proprio dal punto di vista fiscale. Come si fa ad impedire efficacemente oggidì a ricchi, potenti e corrotti di far sparire tonnellare di denaro all'estero? Quale potrebbe essere una politica fiscale moderna e virtuosa da proporre onde rassicurare codesti fifoni?

    Grazie!!!

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    1. Mattia caro, ti sento piacevolmente affetto dalla sindrome di Rimini...

      Ma se ricchi, potenti e corrotti portano i soldi all'estero, in nessun caso questo genera inflazione nel paese in cui risiedono, per cui se la tua domanda è come controllare l'inflazione, allora non capisco il nesso...

      Ma la Goofynomics, come saprai, è nata ai Bagni 93 Luigi di Cattolica. Il solito campanilismo italiano...

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    2. E che vuol farci professore, ho un po' di difficoltà a districarmi tra disinformazione, contro-disinformazione e rettifica alla contro-disinformazione. Sigh, sono solo un povero ing, quando fornisco un'analisi sbagliata o faziosa o truffaldina ad un problema di solito insorge il licenziamento... ;) Praticamente lei sta affermando che tutto il discorso donaldiano sulla tassazione come mezzo di controllo dell'inflazione é del tutto infondato?

      Comunque ha ragione lei, in effetti le domande sono DUE:
      1. Spesso mi viene chiesto come imbrigliare il sistema perverso con cui i capitali spariscono nel sommerso, nei paradisi fiscali o se ne fuggono all'estero. Molti me incluso temono che aumentando la disponibilità di moneta circolante, potrebbe aumentare anche questo fenomeno che comporta molta iniquità sociale.

      2. Il sistema fiscale attuale mostra la corda (non che sia colpa dell'euro eh), e il ceto medio di dipendenti paga per tutti. Che cosa si potrebbe fare per arginare il fenomeno dell'evasione senza abusare di imposte indirette recessive? Io sono piuttosto pessimista su manovre spettacolar-demagogiche come quelle della GDF a cortina. Secondariamente, Non c'é il rischio che se masse eccessive di soldi sfuggono sistematicamente al controllo del fisco, ciò causi inflazione? Lo so che lei ha appena dimostrato che non esiste correlazione fra le due cose, ma vorrei proprio la sua posizione su questa specifica osservazione.

      Grazie!

      ps. Ah, le cito una chicca:
      http://www.youtube.com/watch?v=cSP5G89QhOk&feature=player_embedded

      E' la CONFESSIONE SPONTANEA di Herr Shultz (presidente del parlmento europeo, il tizio a cui Silvietto diede del kapò). In breve, ecco cosa dice:
      -L'euro così concepito (moneta estera per tutti, moneta che gli stati ricevono in PRESTITO a tassi altissimi dalle banche centrali e dalle banche d'affari) é la più grande truffa ai danni della gente che la storia ricorderà
      -La Germania ne é diretta responsabile, anzi, ha posto la creazione di questo sistema come condizione inappellabile per entrare nell'euro, sapendo bene cosa esso avrebbe comportato
      -La Germania stessa (almeno frau Merkel) non accetterà MAI una riforma di questo sistema

      Non male da mostrare alle riunioni di condominio eh? :)

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    3. Senti, lo sai che io a te voglio bene, quindi...

      Ho capito una cosa: che dopo due secoli al termine dei quali gli economisti ancora non sanno esattamente cosa sia l'inflazione, qualcuno studiando un paio di mesi ha capito come la si combatte. Effettivamente c'è di che aver fiducia nel genere umano, o forse nel genere degli anseriformi.

      Qualcuno vi ha messo in testa che per evadere le tasse occorre avere circolante a disposizione. Sarà. Io sapevo che tantissima Iva è evasa con fatturazioni false, ecc. ecc. Io di evasione non mi intendo. Mi era sembrato sensato questo articolo, letto una parola sì e una no. Magari dice un sacco di boiate, se me lo fate notare ve ne sarò grato.

      Non riesco a capire il discorso "masse di soldi che sfuggono al controllo del fisco". I soldi generano inflazione, eventualmente, se vengono spesi, non so se è chiaro. Chi evade, generalmente, accantona all'estero il frutto delle sue fatiche. Quei soldi non vengono spesi qui, o comunque non tutti, o comunque non tutti insieme. Punto.

      La tracciabilità dei pagamenti in qualche modo è già stata messa.

      Volete sapere come si fa a risolvere il problema dell'evasione? Semplice. Come nella Francia di Vichy (ne ho parlato in un altro post).

      Comunque il discorso di Schulz dimostra solo che siamo alla mercè del dibattito da cortile della politica politicante tedesca. Non vedi, caro, che il simpatico kapò vuole solo fare lo sgambetto alla Merkel e prendersi l'applauso della platea ingenuamente signoraggista? In quel video non c'è altro. Se al potere ci va lui, tutto resterà peggio di prima.

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    4. Grazie del chiarimento, e in effetti é vero. Se non li spendono o li trasferiscono altrove, che diavolo di inflazione si produce? :)

      Sul buon kapò non credevo certo a una conversione o simili... ma un simile intervento per quanto sia una sparata elettorale é magnifico per far capire agli euroentusiasti che c'é qualcosa di veramente MARCIO in danimarca...

      ps. No, pietà, il signoraggio no! sono perseguitato dai signoraggisti. Fin troppi in giro quando provi ad argomentare ti dan del signoraggista e chiudono la discussione. Ci vorrebbe un bel post antibufala sull'argomento ;)

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    5. Non mi ci far litigare, sono troppi!

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    6. bo a dire il vero Schultz in realtà secondo me non ha capito cosa gli ha detto il tizio, tanto che ha risposto una cosa risaputa da tutti, ovvero che la BCE non può acquistare al primario e raramente acquistava nel secondario, e la BCE e totalmente indipendente e così è stata voluta (lo so, c'è tutta una serie di acchiappafantasmi che gira per il web a dire che Draghi ci ha salvato, e guarda caso votano proprio PD, ma sono acchiappafantasmi, e dal momento che non sono né Dan Aykroyd né Bill Murray, se ne possono andare definitivamente affanc...)

      no?

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    7. Diciamo che la domanda era già mal posta di per sé, perché utilizzava una terminologia sbagliata (il lender of last resort). A proposito: dov'è finito il mio nuovo amico?...

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  23. scusa Alberto ma quando sei arrivato a "non tutte le svalutazioni sono competitive" mi sono persa. Non soffro di pregiudizi (la lavagna per me è inutile) ma devo aver saltato qualche passaggio.

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    1. Allora, ricominciamo.

      C'è un mercato, quello valutario.

      C'è una domanda di valuta nazionale, espressa dagli acquirenti esteri (per acquistare i beni nazionali: sono le esportazioni del paese).

      C'è un'offerta di valuta nazionale, espressa dagli acquirenti nazionali (per acquistare la valuta estera con la quale acquistare i beni esteri, sono le importazioni del paese).

      La domanda e l'offerta si incontrano e si forma un prezzo: è il tasso di cambio.

      Abbiamo (più di) tre casi:

      1) la Banca centrale passivamente registra domanda e offerta senza intervenire sul mercato valutario: fluttuazione libera del cambio. Se il paese tende a essere in deficit, il cambio dovrebbe tendere a svalutarsi (tenete presente che ancora, per colpa mia, non sapete cos'è la bilancia dei pagamenti, ma più o meno ci siamo), se è in surplus il cambio tende a rivalutarsi. Questo normale meccanismo di mercato riporta (in certe condizioni) l'equilibrio esterno. Lo vogliamo chiamare sleale?

      2) la Banca centrale interviene per "pulire il mercato" e quindi per assorbire la domanda in eccesso o fornire l'offerta in eccesso. In questo caso il prezzo (cambio) rimane fisso.

      3) la Banca centrale può anche, suppongo, intervenire per MANIPOLARE il mercato. Esempio: voglio esportare di più, vendo valuta nazionale, che si deprezza, e così agisco sul cambio forzandolo verso il basso.

      A me questa sembrerebbe una eventualità un po' strana, ma non dobbiamo escluderla. Qualche svalutazione, o meglio, qualche mancata rivalutazione, potrebbe in effetti essere "competitiva", cioè volta a interferire con il meccanismo di mercato in un senso artificialmente favorevole alla competitività di un paese.

      Ma attenzione!

      Teniamo presente, ad esempio, che la Cina è stata accusata di svalutazione competitiva... PERCHE' MANTENEVA FISSO UN CAMBIO CHE SI SAREBBE DOVUTO RIVALUTARE (SECONDO GLI AMERICANI)!

      OVVERO, PERCHE' STAVA FACENDO ESATTAMENTE QUELLO CHE FA LA GERMANIA DENTRO ALL'EURO. CON IN PIU' IL PROBLEMA CHE LA CINA STAVA RIVALUTANDO IN TERMINI REALI (INFLAZIONE MAGGIORE DEI PARTNER) E LA GERMANIA SVALUTANDO (INFLAZIONE MINORE),PER CUI LE ACCUSE ALLA CINA ERANO RIGOROSAMENTE CAMPATE IN ARIA, E NESSUNO FACEVA L'OVVIO LEGAME CON IL CASO TEDESCO, AL QUALE QUESTE ACCUSE, VICEVERSA, SI APPLICAVANO PERTINENTEMENTE.



      In ogni caso, la svalutazione (1) è fisiologica: funzionamento di un meccanismo di mercato; la svalutazione (3) (o la non rivalutazione (2)) può essere "patologica, dolosa, sleale, immorale, turpe, blasfema, obbrobriosa" ecc. nel senso che nel caso (2) e (3) sto ipotizzando che esista (vuoi in virtù di accordi, vuoi in via spontanea) un comportamento attivo della Banca Centrale che potrebbe essere volto a "drogare" la competitività del paese.

      Ma se un prezzo scende o sale perché il mercato funziona, si può capire, riuscite a dirmi con parole vostre (e non di quelli che vi hanno candeggiato il cervello) quale sarebbe il problema?

      IO CONTINUO A NON CAPIRE PERCHE' SECONDO CERTI "LIBERISTI" IL PREZZO DELLA VALUTA (CAMBIO) DEVE ESSERE CALMIERATO.

      Più chiaro? Meno chiaro? Vedrai che quando parleremo della bilancia dei pagamenti si chiarirà anche questo.

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    2. Vediamo se ho capito...esiste un tipo di svalutazione spontanea che si realizza tramite la fluttuazione del cambioe questa non è competitiva ma ristabilisce un uquilibrio. La mancata rivalutazione, quella della Germania, invece è competitiva perchè è una forzatura del mercato, una droga come dici tu ? Se va benino fin qui aspetto speranzosamente il resto, sennò me vado a ripone

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    3. Grazie professore. Con questo intervento ho capito perché ho così tanta confuzione in testa sull'inflazione. Un sacco di fuffa pregressa, e a questo punto temo proprio che Donald me ne abbia ficcata in testa dell'altra sui suoi metodi di controllo dell'inflazione mediante tassazione in regime di moneta sovrana...Sgrunt.

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    4. No, no, nun te ripone. Questo non è il post sulla svalutazione,è quello sulla produttività.I tuoi dubbi mi sono molto utili. Li affronteremo.

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    5. Ma io questa cosa della tassazione che controlla l'inflazione me la devo far spiegare da istwine, perché sinceramente non la capisco. Non vedo il modello, come direbbe MB. E in questo caso devo ahimè convenire seco lui...

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    6. cosa tosta in realtà a spiegarsi, se un giorno hai due ore la prendiamo alla larga, altrimenti non ci capiamo, perché ho l'impressione che loro pensino sia già così (non è un impressione, lo pensano perché lo dicono), per diversi motivi tecnici.

      o poi, se non le hai meglio, c'è un bel po' di roba da approfondire qui in odore di squilibri che son più interessanti momentaneamente (egoisticamente ok).

      se poi, Mattia vuoi capir meglio che intende Barnard, anche se io non sono certificato UMKC (!), te lo posso spiegare, ma l'è lunga, ti avverto!

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    7. La 227° università al mondo, o giù di lì. Sta meglio la Sapienza! Sì, un giorno ne parliamo, ma tu ricorda sempre: se la gente capirà i saldi contabili, espugneremo Harvard e l'MIT...

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    8. Eheh! non é un problema istwine, anzi. Se quella sulle tasse anti-inflazione é una cazzata (e ora so che lo é, ma vi dico che 2 anni di donald mi avevano convinto di brutto brutto...) devo capire velocemente come spiegarglielo al meglio senza far scattare macelli. Il mio piano é sempre quello di unire le forze di tutti, dopo tutto... ;)

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    9. No ma non è che sia una cazzata in sé, semplicemente va capito il contesto in cui lo dice. siccome quello lì è l'uomo di marketing più scarso del pianeta e pretende che la gente ripeta quell'idea dopo secoli di economia senza neanche spiegare il perché e da dove arriva quell'idea, ma solo con la fede, allora è ovvio che risulta una scemenza buttata lì.

      ma in quel dato contesto come inteso dalle sue fonti ha un significato ben preciso e anche interessante teoricamente. ma se lo capisci lui s'incazza, non lo devi capire, lo devi ripetere perché se no sei spocchioso e inutile. you know?

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    10. Uhm... allora.

      Il professor bagnai ha smontato in toto la teoria quantitativa della moneta di fisher, giusto? In base a questa si dice anche che l'aumento della quantità di moneta circolante in un sistema provoca inflazione.

      Benissimo, se questo é falso, allora perde molto significato anche il discorso di donald che in breve recita: "si, la spesa in deficit dello stato provoca inflazione, ma tranquilli. la risolviamo ad esempio sottraendo circolante nel sistema tramite tasse. Questo perché l'inflazione é proporzionale al rapporto valuta circolante/beni circolanti".

      A questo punto QUALCOSA non torna, non é solo un problema di contesto storico e di condizioni a contorno di quest'affermazione. Direi che sarei molto grato a chiunque volesse chiarire la cosa. Mi servirebbe capire COSA esattamente sia l'inflazione, che legame abbia con la svalutazione/apprezzamento di una valuta, se ne ha, cosa c'entrano le tasse in tutto ciò etc.
      Grazie mille.

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    11. Vedi, Mattia, il problema degli amatori che studiano in due mesi quello che fior di scienziati stanno cercando di capire da due secoli è proprio questo: a loro è tutto chiaro. Che la scienza sia la religione del dubbio non gli passa nemmmeno per la testa, a certi bipedi non implumi, anche perché è una cosa che non si presta a fare brillanti esercizi di comunicazione complottista.

      L'affermazione secondo cui "l'inflazione è proporzionale al rapporto valuta circolante/beni circolanti" sarebbe sembrata un po' ingenua anche a Wicksell (accomodati), quindi io non ho smontato un bel niente, è solo che, ti piaccia o no, hai perso un po' di tempo in compagnia di un demagogo ignorante, che volendoti portare nel futuro in realtà ti ha portato prima del 1850.

      Se vuoi sapere tutte le belle cose che ti interessano (beato te) devi prendere un testo serio di macroeconomia e studiarlo. Non ci sono miracoli, non ci sono dream team, nella vita. C'è solo l'umiltà e la presunzione. Chi è umile lavora, e chi è presuntuoso presume (di sapere, e invece non sa un cazzo e fa perder tempo a sé e agli altri).

      Questa è la premessa. Delle cose che chiedi, se proprio vuoi saperle da me, probabilmente parlerò anche, ma siccome, partendo io da una prospettiva istruita, non le ritengo prioritarie, e questo non è un blog "on demand", saprai avere pazienza. Se invece ti serve aiuto a scegliere e a leggere un testo, allora scrivimi in privato. Altrimenti cosa ho dedonaldizzato a fare? Ti pare? Fila il ragionamento?

      @istwine: nota bene: l'inflazione così definita è il risultato di due giorni di seminario con teorici della moneta endogena! Fischia!

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    12. Chiarisco il concetto: a pochi giorni dal maxi-evento, tutti i partecipanti con i quali dialogo (perché molti decido di mandarli a fare in culo, quelli più educati, quindi in teoria più istruiti, quindi in pratica meno scusabili) non sanno dire con parole loro nemmeno una cosa che dovrebbero aver imparato. Io, dopo quattro mesi che mi faccio questo mazzo, ho la soddisfazione di andare ogni tanto a sbirciare in giro, e vedo che ci sono sempre più lettori che tengono testa a troll dementi con argomenti sensati, e so che questi argomenti possono averli letti solo qua.

      Questo per la retorica dello "scaldasedie" e dell'uscire dalla torre d'avorio e del fare cose utili.

      Mattia mio, tu hai fretta e sei doppiamente scusato: una prima volta perché la situazione è grave, e una seconda volta perché sei giovane, e stranamente il tempo sembra meno a chi ne ha di più.

      Però coglione non sei, quindi non credo che tu possa ragionevolmente pensare di capire il mondo in due mesi. Se hai voglia di capire e POI di fare, allora "festina lente".

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    13. che è esattamente quello che ho detto io 3 mesi prima dell'evento, quando il blog di Alberto neanche lo conoscevo (perché non si pensi che egli mi ispiri).

      il punto è questo Mattia, tu non devi credere a me o a Alberto a priori, come non devi credere a Barnard a priori. se sei interessato alla teoria MMT vai e ti leggi la letteratura o i blog e fai domande direttamente a loro. Barnard come tramite, come modi, come mezzi e come approccio è controproducente. liberi di offendersi i suoi adepti (so di cosa parlo a differenza loro, di TUTTI loro) [e io la parte storica del saggio suo la ritengo interessante, certo, narrata in maniera un tantino forzata, ma ha degli spunti rilevanti, non sono così severo come Alberto]

      insomma, per esser chiari, la fiducia in questi argomenti non dovrebbe entrare. e la maggior parte son fiduciosi senza sapere di cosa parlano, cosa ripetono ecc. non passa giorno che sul Fatto non appaia uno a ripetere la classica identità contabile, per spiegare TUTTO. e questo non va bene, perché è piddinismo allo stesso modo e anche ridicolo. o, poi, vero che dietro quell'identità si nascondono diversi aspetti ma loro non li sanno perché Barnard non glieli spiega. e quindi Estiqaatsi degli attivisti pensa che siano molto utili, Estiqaatsi di Barnard ritiene che sia un bravo tramite.

      l'altro punto è che io una cosa del genere non l'ho mai letta detta dagli ufficiali. anche perché non parlano mai di "circolante". semmai rigettano, come qui si è fatto, la teoria quantitativa della moneta. voglio dire, quel rapporto di cui tu parli, può essere al massimo riferibile all'ovvietà che se fai deficit spending in una situazione di pesante disoccupazione, è arduo che questo risulti in maggiore inflazione. che non è altro che il rifiuto della teoria quantitativa. ma è comunque più complesso e ci son tanti aspetti. quella relazione di cui hai parlato è decisamente semplicistica posta così. e ovviamente rifiutano la neutralità della moneta.

      per concludere, se sei interessato alla teoria MMT, leggiti anche le critiche, è fondamentale.

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  24. Interessante la sua esposizione professore, come del resto tutti i suoi articoli in questo blog.Grazie.
    Per conto mio mi son fatto l'idea che il potere delle banche centrali e non, è la lobby più grande ed efficente che cè al mondo e x questo motivo ne il dollaro ne l'euro mai spariranno ciò non toglie che le sue argomentazioni sono precise ma questo non basta x cambiare i poteri che muovono il mondo.
    Sicuramente il suo blog ci indica il motivo della sofferenza.

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    1. E quindi, per cambiare i poteri, cosa bisogna fare? Andare a fare indigestione in qualche località balneare? Spero che tu non voglia arrivare a questa conclusione, vero? Se così fosse, dai un'occhiata sopra per vedere perché non la penserei come te.

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  25. Risposte
    1. Be', però se non rispondi deve essere un 24 politico.

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    2. Ci riprovo... :)

      produttività media e salario reale medio coincidono...

      se in un'economia in cui si produce un solo bene, la ristampa del gaddus, opera omnnia, la produttività media è di 5 libri per lavoratore e i lavoratori sono 2 il prodotto è 10 libri... il salario reale medio è di 5 libri...

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    3. non c'è correlazione diretta tra stipendi medi e produttivita' media ( nè di segno nè quantitativa)

      insomma la produttivita' media puo' migliorare senza che gli stipendi vengano adeguati , ma anche viceversa

      ps:sul paper del fmi c'era tutto un capitoletto dedicato
      alla grande malata italia dove manca innovazione (l'ha ispirato il veneziano?) ma soprattutto dove c'è un lag
      di competitivita' nella formazione ,troppi pochi laureati rispetto alla nazioni dell'europa civile ecc...ecc..insomma se l'italia è in crisi in fondo la colpa è dei professori universitari che terrorizzano i poveri studenti ^^

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    4. Siete dei fottuti comunisti! E al povero imprenditore non ci pensate?

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    5. @Robert

      Guarda che io ho pensato alla vera riforma dell'università: inviare a ogni italiano la laurea insieme al codice fiscale, a due mesi di vita (circa). Pensa ai vantaggi! Servono ingegneri? Solo lauree in ingegneria. E io potrei fare ricerca.

      L'alternativa?

      Quella che stiamo sperimentando: fornire dei titoli che si chiamano "laurea" ma che non hanno nulla a che vedere con una vera laurea italiana, così come non ce l'avevano le varie "triennali" e "master" ovunque accordate nel mondo (ragione per cui gli studenti italiani avevano sempre una marcia in più nel mondo).

      A chi si preoccupa della fuga dei cervelli dico di stare tranquillo: la riforma ci ha abbassato al livello degli altri, ora i nostri cervelli non li vorrà più nessuno...

      Comunque: sotto l'ipotesi di concorrenza perfetta con tecnologia Cobb-Douglas il salario reale è proporzionale alla produttività media del lavoro. Fidati!

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    6. Non posso rispondere, ancora non mi hai spiegato cos'è il Valore Aggiunto. Se è quello che scrivono su Wikipedia, fermo restando il resto se cresce il salario reale diminuisce il valore aggiunto, dunque anche la produttività media. Ma ho capito bene la domanda?

      Non accetto meno di 28, che è quello che mi concesse Catello una vita fa. In caso riprovo al prossimo appello.

      antonino

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    7. Ma... i capitalisti... sono proprio indispensabili?
      :)

      Caso mai posso inserire nell'economia del gaddus la produzione delle macchine per stampare i libri... diciamo che una parte del prodotto non viene consumato ma investito e che per questo i salari reali saranno un po' inferiori rispetto alla produttività media?

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    8. Ma c'è una cosa che non ho capito: tu hai studiato economia

      a) sì
      b) no
      c) non so non ricordo.

      Barra la casella corrispondente e complimenti per vari motivi in ogni caso (se sì perchè non ti sei sclerotizzato, se no perché ne sai comunque abbastanza, se non ricordi perché non me lo ricordo nemmeno io).

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    9. ma per chi è la domanda "hai studiato economia"? m'hai bocciato?


      antonino

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    10. No, era per Giorgio. Qui per fortuna non devo bocciare nessuno. Anche se non mancano quelli che "ce vengono a prova'"...

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    11. Beh, sì in effetti ho fatto diversi esami che avevano il termine economia nel titolo... per dirla tutta ho fatto pure un esame di econometria di cui non ricordo nulla... un vero peccato.

      Oddio... spero di non finire nella categoria degli "amatori" :)

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  26. Qualcosa inizia a muoversi anche su Repubblica...
    http://www.repubblica.it/economia/2012/03/20/news/commento_clericetti-31875612/?ref=HREA-1

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    1. Be' sai, anche loro devono comunque stare al vento... Anche perché quando tutto andrà come dovrà andare, i primi a dire che l'avevano detto dovranno essere loro: è fondamentale per tenere calmo il popolo piddino. Quindi giustamente sparano questi piccoli ballons d'essai (con il che non sto dicendo che l'autore sia di per sé in cattiva fede, non lo conosco e non lo penso).

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    2. ^Se vinceranno i partiti progressisti la musica cambierà. Sperando che non sia troppo tardi.^

      volevo fare un lungo discorso ma la faccio breve : fate schifo

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    3. A proposito dell'art.18 a me sembra che ci sia un punto che viene sistematicamente trascurato, stranamente anche dai sindacati.

      L'art.18 non protegge solo il singolo lavoratore quale che sia nei suoi diritti individuali ma protegge in particolare un tipo ben specifico di lavoratore: il leader sindacale.

      In questo senso l'eliminazione sostanziale dell'art.18 consente di diminuire il costo del lavoro (e il costo del rispetto delle norme in generale, anche sulla sicurezza sul luogo di lavoro) perché consente di indebolire la capacità contrattuale dei lavoratori eliminandone la leadership... dove c'è.

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    4. Anche io ho ricevuto la stessa impressione del professore, in virtù della genericità dell'analisi ed il rifiuto conseguente di far luce sulle responsabilità a livello nazionale. Perché se fosse pur vero che la signora Merkel è solo una cocciuta egoista - così più o meno la disegna l'articolo - dovremmo in ogni caso chiedere ragioni della condiscendenza ai diktat di chi invece è stato eletto per difendere gli interessi dell'Italia... Ah già, non è stato eletto però... e seguirebbero allora domande incendiarie per i lenzuoli bianchi, le tante piccole coscienze con diritto di voto che è opportuno rimangano immacolate

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  27. Qual'é in tutto questo gioco il ruolo della Francia? Lo chiedo perchè si parla molto di asse franco-tedesco e finora l'accento è stato posto su cosa e quanto ha guadagnato la Germania.

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    1. Storicamente il ruolo della Francia è quello di andare in crisi un anno dopo l'Italia e di riscrivere le regole. La Francia ha fatto una bella spesa in Italia negli anni '90, lo avrai notato, ma è piena di debiti e ha 50 miliardi di deficit commerciale...

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    2. Sì, in effetti quello che so è che le multinazionali francesi si sono molto impegnate nelle privatizzazioni italiane e Sarkozy si è messo a fare il porta a porta in giro per il mondo per vendere le centrali nucleari farlocche dell'Areva.
      Se la Francia entra in crisi allora per noi può essere una speranza che l'euro si decomponga da solo? Chissà!
      Certo è che anche se riconquistiamo la sovranità monetaria, ma con le aziende in mano ai crucchi, diventa molto più difficile ripartire...

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  28. Caro professore,

    mi piace molto il test di non causalità di Granger, si può dire che è uno strumento per la falsificazione di una teoria (alla Popper, se Schneider è d’accordo...)?

    Forse no, perché non solo può respingere una teoria ma può anche accettarla... la accetta in attesa di una falsificazione?

    “l’ipotesi che le esportazioni non causino la produttività viene respinta recisamente, mentre quella che la produttività non causi le esportazioni viene accettata”

    L’ipotesi che le esportazioni non causino la produttività è respinta, quindi è falsa. Va bene.

    L’ipotesi che la produttività non causi le esportazioni è accettata. E’ accettata in che senso? Nel senso che è vera? O nel senso che i dati non consentono di respingerla?

    Ho letto il discorso di Granger, e ho visto che cita di passaggio Popper, ma non ho capito... tra l’altro Granger dice che l’idea della cointegrazione (qualunque cosa sia) gli è venuta volendo dimostrare che un suo collega si sbagliava ma lo ha portato a dimostrare che invece aveva ragione:

    “A colleague, David Hendry, stated that the difference between a pair of integrated series could be stationary. My response was that it could be proved that he was wrong, but in attempting to do so, I showed that he was correct, and generalized it to cointegration, and proved the consequences such as the error-correction representation. I do not always agree with the philosopher Karl Popper, but in his book “The Logic of Scientific Discovery,” according to Hacohen (2000), page 244, Popper believed the “discovery was not a matter of logic” but rather the application of methodology, which fits the discovery of cointegration.”

    Cordiali saluti.
    Giorgio

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    1. Notoriamente nella teoria dei test classica un test può solo respingere o non respingere l'ipotesi nulla. Nel caso del test di Granger l'ipotesi nulla è quello di non antecedenza. Ovviamente se scrivo un post e non un paper dirò accettata per evitare di sommergere i lettori sotto un cumulo di litoti. Ma un'ipotesi non può, in statistica, essere accettata (almeno nella teoria classica). Può solo non essere respinta. Il punto sollevato nel post è che l'idea che le esportazioni NON precedano la produttività è fortemente respinta. Non sapevo che strada avesse seguito Granger. Hendry rimane un grandissimo, e la storia lo dimostra. Ma qui stiamo parlando di giganti, cioè di persone delle quali secondo AB (che non sono io) non dobbiamo fidarci.

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    2. (dall' aldilà)

      La falsificabilità di una teoria per Popper, almeno nella prima formulazione, è indice della sua scientificità (poiché non dogmatica, tipo cristianesimo, psicanalisi e marxismo che sarebbero omnipredittivi). La sua falsificazione è invece semplicemente la sua falsificazione, ovvero se è falsa non è vera (ma dai?).

      Il che significa che, prima della sua falsificazione, la teoria liberista (per la quale più produttività = più esportazioni) era una teoria scientifica. Il fatto che invece si continuino a proporre teorie non suffragate da evidenze empiriche dimostra solo che Popper non aveva capito una mazza (io ho sempre tifato per Kuhn).

      Dico solo (quindi), magna cum humilitate, che chi cita Popper dal mio punto di vista perde molti punti, quasi (quasi) quanto quelli che si perdono citando editorialisti del Corriere (sebbene anche un orologio rotto possa segnare l'ora corretta).

      Sul concetto di causa mi è poi tornata in mente questa barzelletta sul professore tedesco (sarà un caso?) e la pulce... www.labont.com/public/papers/ferraris/ferraris_inemendabilità.pdf (la barzelletta è a pag.4)

      Con stima.

      Schneider (detto il dannato)

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    3. Ma in effetti non ho proprio capito perchè Granger si sia messo su quella strada. Diciamo che Popper va bene se ti ascolti i Bee Gees, o forse Nilla Pizzi. Nel frattempo qualcosa è successo. Sul rapporto fra economisti ed epistemologia credo che qualcuno di competente potrebbe scrivere cose esilaranti.

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    4. Schneider,

      eppure... a me piace l'idea che non si possa stabilire che una teoria è vera ma solo che è falsa, e quindi che quelle vere lo sono, per così dire, in attesa di essere smentite... l'esperimento con i neutrini non è stato fatto nella speranza che la loro velocità fosse maggiore di quella della luce?

      E quindi, l'evidenza empirica può confermare una teoria? O tutto quello che si può dire è che non c'è evidenza che sia falsa?

      Spero di non aver scritto troppe cavolate...
      Giorgio

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    5. Assolutamente no, e comunque non più di quante ne abbia scritte Popper che infatti è responsabile di simili catrastrofi: http://www.youtube.com/watch?v=BYmJOKxG0_o

      Comunque cosa sia una teoria scientifica purtroppo non è scontato, per cui io rimanderei a "La struttura delle rivoluzioni scientifiche", che mi sembra ancora il testo migliore nonostante tutto su questo problemino.

      Con stima.

      Schneider (il rivoluzionario)

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    6. Concordo e sottoscrivo.

      Bagnai (il copernicano)

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    7. Ringrazio entrambi per il suggerimento :)

      Non ho ben capito però cosa unisce Popper, Pera (oddio, mi viene in mente una canzonaccia) e la Chiesa cattolica... :)

      Per quanto riguarda la teoria "più produttività = più esportazioni" (in realtà se ho capito bene l'ipotesi che la produttività non causi le esportazioni non è stata respinta quindi non si può dire se sia vera o falsa) mi è venuto un dubbio: i dati sulle esportazioni e sulla produttività (il sito dell'OCSE non è il massimo della fruibilità però ho trovato che Labour productivity is defined as GDP per hour worked) sono in grado di catturare un eventuale aumento delle esportazioni dovuto ad un aumento della produttività?

      Mi spiego: immaginiamo che domani la Fiat progetti un automobile bellissima e che trovi il modo di produrla a un costo bassissimo e che decida di venderla in Germania.

      Finché l’automobile, una volta prodotta, rimane di proprietà della Fiat in Italia l’incremento di produttività non è osservabile.

      Quando l’auto attraversa la frontiera per essere consegnata a un concessionario Fiat in Germania viene rilevata come esportazione? Se sì, con quale valore?

      (Nella multinazionale per la quale ho lavorato stavano molto attenti a definire il prezzo alla frontiera in modo tale da distribuire gli utili nel modo più conveniente dal punto fiscale)

      Oppure l’esportazione viene rilevata al momento della vendita dell'automobile al cliente tedesco?

      Se l’esportazione viene registrata al momento della vendita per forza di cose l’esportazione precede o al limite coincide con l’aumento della produttività, che è dovuto all’aumento del PIL derivante da quella esportazione, cioè da quella vendita.

      Inoltre l’eventuale aumento delle esportazioni conseguente ad un aumento della produttività può essere di molto successivo rispetto al momento nel quale l’innovazione che ha consentito l’aumento di produttività è stata introdotta.

      E’ un dubbio legittimo?

      Cordiali saluti.
      Giorgio

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    8. http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020822b.htm
      http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020301e.htm

      Concludo con: http://www.youtube.com/watch?v=U-3IqtiXwX0

      Cordiali saluti.

      Schneider

      Schneider

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    9. Fate voi, io non me ne intendo...

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    10. Va be'... Battista... Pera... anche i ciellini sono riusciti ad impossessarsi di Pasolini ma questo non vuol dire che abbia scritto delle cavolate o che lo abbiano fatto legittimamente.

      Tra l'altro il vittimismo che ostentano è veramente specioso (come sempre)... il libro di Kuhn è stato pubblicato dalla Einaudi una quarantina di anni fa in una collana che include qualche numero dopo anche Popper.

      Cordiali saluti.
      Giorgio

      P.S.
      Sto finendo il libro di Ermanno Rea su Federico Caffè, poi ho il libro di un certo Bagnai, poi passo a Kuhn... :)

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    11. L'unica cosa che mi sento di dire è che una serie di considerazioni di Giorgio che personalmente ho trovato condivisibili (sulla riforma dell'articolo 18 come mezzo per colpire i delegati sindacali ad esempio) difficilmente Popper avrebbe potuto sottoscriverle.

      Pasolini era - più o meno - comunista, i ciellini no. Popper era un liberale, piaccia o meno Pera e Battista anche. Se il liberalismo sta avendo questa parabola (dopo questa del resto http://it.wikipedia.org/wiki/Blocchi_Nazionali) un motivo ci sarà pure.

      Cordiali saluti come sempre (e buon Kuhn).

      Schneider (l'illiberale)

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    12. Caro Schneider,

      non ci conosciamo e quindi te lo dico senza polemica solo per chiarire un fatto: le etichette non mi impressionano. :)

      Se chiamiamo liberali Einaudi e Popper, Pera e Battista, Giolitti e Monti, Berlusconi e Bush, Mises e Croce, Feltri e Belpietro, Hayek e John Stuart Mill e chi più ne ha più ne metta è chiaro che alla fine il termine perde di significato.

      Per quanto riguarda la Chiesa cattolica invece la questione è già stata risolta tanto tempo fa da Salvemini: “Il clericale domanda la libertà per sé in nome del principio liberale, salvo a sopprimerla negli altri, non appena gli sia possibile, in nome del principio clericale”.

      Quindi io mi sento libero di prendere da ognuno quello che mi convince e scartare il resto senza badare alla copertina.

      So bene che qualcuno ritiene che questo denoti confusione ideologica o quello che sprezzantemente viene definito un comportamento da supermarket (io ho sentito questa definizione almeno vent’anni fa ma pare che sia ancora di moda: http://brunocorino.blogspot.it/2012/01/il-supermarket-della-politica-ma-cose.html)

      :)

      Cordiali saluti.
      Giorgio
      (l’eclettico)

      P.S.
      A proposito di art.18, le motivazioni con le quali i giudici dell’appello hanno disposto il reintegro dei tre operai licenziati dalla Fiat:
      http://www.repubblica.it/politica/2012/03/23/news/melfi_i_giudici_duri_sui_licenziamenti_fiat_vuole_cacciare_i_sindacalisti-32102438/index.html?ref=search

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    13. E sarebbe bello allora farsi una chiacchierata su questo ma - purtroppo - temo sarà difficile.
      Grazie per lo scambio Giorgio, alla prossima (e se sono stato eccessivamente polemico, sono io che mi scuso).

      Schneider (il professorino, che si merita la solita domanda http://www.youtube.com/watch?v=9Z_yBdVEp2M)

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  29. Prof. contravvengo all'autocensura che mi sono imposto , previa lettura approfondita di tutti i post "arretrati" che ci ha donato , per l'unica ragione di aggiungermi ai ringraziamenti per il lavoro pro bono di de-fuffizzazione che sta facendo con goofynomics
    Sto diffondendo il suo blog e i suoi post a man bassa !!

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  30. Stai facendo proseliti, per fortuna.
    http://tempesta-perfetta.blogspot.it/2012/03/la-crisi-dellitalia-la-propaganda-di.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+tempestaperfetta+(TEMPESTA+PERFETTA

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  31. C'e' sempre da imparare :) Non sapevo del test di causalita' di Granger.
    Pero' visto che aumentando il numero di osservazioni le significativita' statitiche migliorano in tutte e due i casi, mi domandavo che cosa succede se lasci invariato DLX e randomizzi la sequenza di DLPROD. O meglio, se produci la distribuzione delle probabilita' con N(=1000) randomizzazioni di DLPROD che significativita' ha la probabilita' ottenuto con i dati reali?
    Il motivo e' per vedere se tutte le ipotesi alla base del test di Granger sono rispettati.
    Non che non mi fidi pero' la statistica e' sempre una scienza strana...
    Igor P

    RispondiElimina
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    1. Non ho capito bene cosa mi stai chiedendo. Io ho quei dati e con quelli lavoro. Pensi a un reshuffling delle osservazioni, o mi chiedi un bootstrapping di qualche tipo? Ma perché? Non è che vieni da facoltà strane...

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    2. Ebbene si' anche questa volta mi hai scoperto maledetto Nick Carter ;)

      Diciamo che forse vengo da uno dei corsi piu' strani delle facolta' piu' strane, ovviamente la cosa dipende poi
      dai punti di vista :D

      Il punto di partenza e' che non mi fido mai molto delle statistiche perche' non sei quasi mai sicuro
      che le ipotesi alla loro base, tipo normalita', siano verificate.
      Quindi puoi procedere nella maniera che descrivo dopo per vedere se la probabilita' che calcoli coi test ha qualche
      significato oppure no ed e' un abbaglio di una statistica applicata in maniera non corretta.
      Quando un test dice che accetti l'ipotesi con un CL del 98% vuol dire in soldoni che solo in 2 casi su 100 un'estrazione casuale
      ti dara' quel risultato.
      Siccome per i dati che hai non puoi ripetere ovviamente l'osservazioni allora generi dei dati casuali col reshuffling della serie
      temporale degli incrementi (il reshuffling noi lo chiamiamo randomizzazione).
      Su ogni serie casuale fai rigirate il test e vedi che probabilita' ha di esser accettato.
      E questo lo fai N volte.
      Quello che ti aspetti e' che il numero di serie casuali che abbiano il CL migliore di quello dei dati veri sia circa il 2%.
      Ovviamente e' solo un modo grossolano di controllare e quindi se ottieni il 5% va bene lo stesso pero' se ottieni il 10% c'e' magari da
      riguardare le cose.
      Altro beneficio e' che puoi ricostruire una approssimazione della distribuzione dei CL collezionando tutti risultati delle serie casuali.


      Altro suggerimento.
      Potresti usare dropbox, per esempio, per mettere a disposizione i dati che hai usato cosi i mal fidati come me possono toccare con mano:D

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    3. Tesoro caro, ricordandoti che sono stato indegnamente ricercatore di econometria e che quindi, come dire, un po' ne mastico, e ricordandoti anche che i malfidati me li fanno girare, ma riconosco la loro utilità (sai, non so se sei del mestiere, ma noi andiamo avanti inviando lavori a malfidati di professione), concordo sul fatto che il bootstrapping potrebbe essere utile, visto che il test di normalità dei residui ha un p-value di 0.053, quindi, come dire, il dubbio di non normalità c'è (la distribuzione ha un filo di asimmetria positiva). Quello che mi spieghi lo so, solo che lo so meglio di te (può capitare) perché nel tuo discorso mi sembra che vada distrutta la struttura autocorrelativa delle serie, che invece dobbiamo preservare. Quindi il bootstrapping andrebbe fatto, ma come lo descrive Enders in Applied Economic Time Series. Se mi scrivi ti mando dati e riferimento. Sono curioso di vedere cosa viene fuori.

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  32. MB ho capito chi è non per mia intelligenza ma bastano le citazioni frammentarie... su AB (non lei) non riesco per difetto mio (pigrizia), Esiste una legenda per le iniziali e/o acronimi da lei utilizzate?
    Se non esiste o lei non mi vuole aiutare va bene lo stesso, continuerò seguirla anche se per punizione volesse farmi scrivere cento volte: non devo ragionare come un piddino, non devo ragionare come un piddino....

    Cordialità

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  33. Dunque: intanto bisognerebbe capire se parliamo dell'oggi o della prospettiva storica. In questa prospettiva certo che esiste un problema di dipendenza energetica dell'Italia, ma direi non da oggi.

    Per inciso, sto guardando un bel documentario su quante guerre si sono fatte e si stanno facendo in giro per il mondo per avere l'acqua, quindi non preoccuparti... presto sarà peggio!

    Non sono però assolutamente d'accordo col catastrofismo sull'uscita. Di questo avremo modo di parlare.

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  34. Mi affaccio dalle ultime file della tua aula con il riconoscimento sincero per le analisi sistemiche che proponi concedendomi l’appartenenza alla coniugazione del secondo singolarel, con la semplice consapevolezza di chi sa e vuole con-dividere la conoscenza tra le ombrosità delle nebbie di questi tempi: la tua una analisi affidabile.
    Gioco anch’io, nella giocosa ingenuità e incoscienza dei dati numeri del Comtrade, e rilevo semplicemente saldi negativi, da anni, e mi chiedo, ingenuamente, chi sta pagando il consumo delle risorse.
    A fianco di queste banali considerazioni rilevo uno “shadow banking system” e un’ “OTC derivatives market” attorno ai quali anche gli istituzionali sistemici www.financialstability.boad.org e www.bsi.org si “domandano” da qualche tempo, tanto da presentarli nel ottobre 2011 ai G20 delle nozze di Cannes nel quale in molti speravano nel riempimento della “casse” vuote riempite dai BRICS.
    Una sola domanda: quanto le sistemiche analisi economiche proposte considerano queste variabili “sistemiche” e quali le proprietà emergenti rilevanti?
    Una sincera appartenenza.
    Poggi-o-poggiolini
    (ps scusami … ho “sollevato” anche un … rumoroso polverone)

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    1. Appunto. Diciamo che non ho capito una sega, ma comunque benvenuto.

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  35. ti faccio notare che questo ^blocco della circolazione dei capitali, autarchia creditizia (chi ti fa credito sapendo che svaluti e che svaluterai visto come sei messo?), aumento del differenziale tecnologico (la tecnologia prodotta all'estero costerebbe molto di più), impennata dei costi energetici^

    si sta' GIA' verificando e aumentera' di intesita' prossimamente...


    ^Io però rimango ancora in attesa della Grande Risposta. Perché questi differenziali di inflazione fra Italia e Germania se la nostra domanda interna sta crollando?^
    perchè la germania dagli anni '50 costruisce la sua competetivita' correndo contro l'inflazione...certo se avessi esperienza del mondo tedesco non ti porrersti neppure la domanda...la domanda giusta è perchè mai dovremmo pensare che italia e germania dovrebbero produrre inflazioni identiche (visto che sono diverese in tutto?)
    comunque la germania ha implementato ottime leggi sul risparmio energetico ....(anche se forse gli inglesi hanno fatto anche di piu!)

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  36. Ma Robert, cosa mi dici mai! La catastrofe è uscire dall'euro. Perché, vedi, tu non lo vuoi capire, ma è evidente. Ci sono solo due possibilità. O la moneta unica, che ci difende, o la balcanizzazione monetaria: ogni comune batterà la propria moneta e si impegnerà in svalutazionicompetitive (scusatemi se lo scrivo come fosse un'unica parola: ormai ho capito che per i miei lettori svalutazionecompetitiva è un'unica parola) contro gli altri comuni d'Italia, mentre in tutti i comuni d'Italia prevarranno quella corruzione e quella pigrizia che l'euro, se sapientemente gestito dalla sinistra, avrebbe sicuramente dissipato, come un fulgido raggio di sole dissipa le nebbie mefitiche dell'ozio e della slealtà.

    Bene.

    Il background è questo.

    Ed effettivamente mi chiedo come abbia io potuto vivere fino a quasi 40 anni in un mondo diverso, un mondo nel quale le aree valutarie erano dimensionate ai rispettivi mercati del lavoro.

    Un po' me ne vergogno. Sarà per questo che sono diventato pigro. Chi viene con me in cima a Monte Amaro?

    (che poi è un modo per dire: tu sei impeccabile, ma chi ce lo fa fare? L'amico del tornese è quello che mi ha detto che lui rimane della sua idea, i tedeschi non vogliono comprare le nostre aziende, e il giorno PRIMA l'Audi aveva fatto alla Ducati un'offerta che non si puù rifiutare. Si è incazzato perfino lo spam di Google!)

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  37. Ho capito, Alessandro, io voglio bene a tutti, però questa non è la mostra mercato del luogo comune. "Svalutare lirette" va benissimo al bar. Diciamo che non hai vinto, ritenta e sarai più fortunato. Scusami, ma, come dire, a ciascuno secondo i suoi bisogni, e da ciascuno secondo le sue possibilità. Tu fai un bellissimo lavoro e anche molto utile, che presuppone un minimo di cervello, quindi se vuoi fare anche il mio, di lavoro, perdonami ma devi dare di più. Perché credo che tu abbia sperimentato, che tu debba sperimentare, nella tua vita, originalità di pensiero. E allora non metterla in soffitta quando vieni da noi.

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  38. alberto sai qual'è il problema di dipendenza energetica dell'italia ? è il problema che i partiti non fanno politica
    e sono piu' o meno tutti proprietari cosi' petrolieri e immobiliarisisti e costrutturi bloccano il normale sviluppo tecnologico ....(sia per il trasporto che per l'energia)

    poi c'è un altro aspetto : il tedesco 'vuole' risparmiare
    dal profondo del suo cuore ... quindi forse l'italia ha una politica energetica scadende perchè agli italiani NON interessa!

    RispondiElimina
  39. Esempio: abbiamo mandato Rubbia in Spagna. Aspetto l'espertone che arriva a dirmi che questo non risolverebbe i nostri problemi. Certo: infatti meglio non iniziare nemmeno...

    Sì, il problema è antropologico, sono d'accordo. Ma io sono Don Gonzalo, o il capitano in congedo. E voglio incoronare imperatore d'Occidente un samoiedo sordo. Quindi io andrò in Germania, e Alessandro resterà qui.

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  40. Sera Prof !
    Lo ammetto la parte per i tecnici dell' articolo ( le tre tabelle ) non le ho proprio capite ! Però il post se pur complesso ( almeno per le mie conoscenze in materia economica ) è molto bello e riesce a spiegare in maniera efficace dov' è il "trucco" della "bellissima" produttività Tedesca e della "bruttissima" svalutazione che si viveva con la liretta.
    E credo di aver inquadrato anche il pensiero del nostro governo e degli Euroasadici in generale, ragionano secondo la legge di Say, sono sicuri che la loro grande produzione di cetrioli verrà soddisfatta da una grossa domanda degli stessi.
    P.S. volevo chiederle se per un novizio come me in fatto di economia, il suo PDF è un punto di partenza buono per conoscere meglio l' economia ho è troppo tecnico ?

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  41. certo rubbia e un sacco di altre cose , tipo ho scoperto che c'era un progetto per i biocarburanti (negli anni'90) che hanno fatto fallire miseramente...l'italia non sa fare squadra questo è punto o meglio gli italiani...i tedeschi si! in italia gli industriali giocano a fottersi vicendevolemente invece che giocare di squadra e cosi' gli italiani fra di loro...è penoso ma se si va' a finire male -come stiamo andando- a livello macro micro e statuale non è certo un caso
    quanto a fare come la germania prova a vederla cosi :l'economia puoi vederla come un confrontro sportivo la
    germania è la migliore sui 400 e sugli 800 l'italia era ottima sui 5000 e 10000 se tu 'italia' pretendi di battere la germania correndo i 400 e gli 800 per quanto ti sforzi verrai umiliato...
    purtroppo il training mentale
    della stampa e l'informazione è stato micidiale ...

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  42. Caro Prof, dopo due giornate intensi per chiudere un'offerta di un certo rilievo ( visti i tempi che corrono) ieri sera comunque mi sono letto tutto il post ( chiamarlo post poi è anche riduttivo) anche se ad un certo punto ho trovato difficoltà a segurla ma non per colpa sua ma per mia ignoranza ci sono teorie e nomi che sono nuovi per il sottoscritto. Stasera invece mi sono letto tutti i commenti rinunciando di vedere Ballarò ( e questo è stato un grande sacrificio) . Non sono nelle condizioni migliori concentrarmi quindi vado sul facile e faccio una piccola riflessione sul post e sui vari commenti.

    Ho capito ( almeno spero) che prima di affermare che un paese mantiene artificiosamente bassa la moneta bisogna guardare anche alla sua inflazione reale, deduco che a questo punto la moneta funge da deflattore per ristabilire un equilibrio competitivo.

    Forse ho capito che la svalutazione incide su una parte del prodotto finito che è fatto di materie prime.

    Non capisco cosa ci sia di immorale nello svalutare la moneta se l'economia non è più un mercato dove domanda e offerta si incontrano prive da condizionamenti tutto è lecito ciò che conta è il risultato. Se l'economia perde la sua funzione sociale di creare benessere diffuso all'ora se c'è dal mio punto di vista una cosa immorale che crea una competizione sleale è la divergenza istituzionale che crea vantaggi che si basano sul cosiddetto Dumpig sociale. Spesso faccio un esempio quando mi capita di intervenire all'interno dell'associazione di categoria che è questo “ visto che molti politici criticano le PMI perchè piccolo non e bello ma solo piccino e non crea economie di scala, bene a dimostrazione che noi imprenditori Italiani non siamo da meno di quelli Cinesi, facciamo una cosa, io metto a disposizione la mia esperienza voi affermano datemi una zona franca, con operai che costano 200 euro al mese,con una tassazione di 40 punti in meno, con agevolazioni e incentivi sui terreni dove costruirò la mia fabbrica e io vi dimostro che costruirò oggetti con un buon rapporto prezzo qualità, ma vi dico fin da ora che a prezzi Cinesi posso solo fare paghe Cinesi ( naturalmente i Cinesi sono un pretesto)”. Tradotto nel commercio Internazionale ci sono squilibri che creano posizioni di leaderschip di costo il posizionarsi su una leaderschip di costo produce valore aggiunto ( plusvalore) il valore aggiunto è uno dei punti di forza della creazione di valore di Porter, al creazione di valore crea risorse che possono essere investite in dosi massicce in ricerca e quindi generano ulteriore valore di prodotto spendibile sul mercato competitivo. MA QUESTO NON TOGLIE CHE TUTTO NASCE DA UNA DIVERSITA' PROFONDA DA STATO A STATO SUI RAPPORTI DI PRODUZIONE.

    La concorrenza buona.

    La concorrenza Buona è quella che ho fatto a Novembre 2011 nel mio comune aggiudicandomi una gara insignificante da 30.000,00 euro con il 30% di ribasso. SONO MATTO? Secondo i miei colleghi si, infatti alla fine di ogni anno brontolano perchè io faccio il pirata. E io dopo un po' mi sono scocciato e ho affermato “ Vi voglio un bene dell'anima ma a natale vi regalo un libro di economia aziendale, cosi conoscete la storiella dei due falegnami e delle quattro seggiole ordinate il 1 di dicembre e consegnate entro Natale” uno rifiuta e l'altro accetta E' SCEMO QUELLO CHE HA VENDUTO? Se si siamo in due ma voi prima guardate i tempi di consegna dei lavori che io mi aggiudico a fine anno.

    PS:

    La produttività si misura sulle ore effettivamente lavorate, altrimenti è solo una unita di misura per fare comparazioni generiche.

    Mi sembra di capire che il Grande Crollo di Galbraith gli è piaciuto,non è curioso il fatto che se cambiamo i nomi dei politici potrebbe sembrare scritto proprio per questa Crisi viste le affermazioni, e non è curioso che ancora oggi siano coinvolte alcune Banche di all'ora ( se non ricordo male c'è un capitolo su Goldam Sachs).

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  43. Guarda: quelli che mi danno torto sono una merce rara e quindi preziosa, che io cerco di tutelare al massimo anche perché pensando di dare torto alla mia umile persona si schiantano contro i dati... e io rimango senza interlocutori!

    Io ho detto che l'Italia diventerà una fabbrica cacciavite, non che i singoli "gioielli di famiglia" (visto che siamo alla sagra del luogo comune mi abbandono con voluttà al linguaggio giornalistico) lo siano. La strategia della Germania verso il Sud Europa è quella degli Stati Uniti verso l'America Latina. Ma certo, quelli sono peones, e tu invece vieni dal Nord Est e ti sei fatto con le tue mani... o sbaglio?

    Se vuoi che Porretta Terme svaluti rispetto a Bologna puoi proporre una legge di iniziativa popolare. Magari ti dice bene.

    Il ragionamento per cui o è tutto bianco o tutto nero, quindi o c'è l'euro o ci sono le valute comunali, non mi interessa, è intrinsecamente distruttivo e non dialettico. Certo che la mobilità del lavoro (come asetticamente la chiami) ha "risolto" qualcosa per il Sud. Si vede, no? E ti sembra che una tragedia umana di quelle proporzioni sia riproponibile su scala europea?

    In realtà l'osservazione di Robert mi sembra vada perfettamente d'accordo con la tua. Ci sono anche fattori culturali e antropologici. Nessuno li nega. Poi c'è la razionalità economica, che non si impara al bar, e che non un'opinione. Vogliamo usarla per migliorare le cose o per peggiorarle?

    Caro Alessandro, non so se ti è chiaro: tanto finirà come deve finire, come non può non finire. Quindi invece di sparare paradossi su tornese e baiocco, aiutaci a capire come gestire l'inevitabile. Non evitandolo, evidentemente, dato che questo è per definizione impossibile. Se sbaglio, mi correggerai.

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  44. Egregio Professore,
    innanzitutto la ringrazio per il tempo e l'impegno che spende per mettere il suo sapere a disposizione di tutti.
    Spero non le dispiaccia se tra i suoi lettori/commentatori se ne aggiunge una che di economia non sa proprio nulla.

    Eppure, quello che ha scritto nel post (e non solo in questo) coincide esattamente con quello che penso. Non avrei saputo esprimerlo così bene, nè avrei saputo documentarlo, ma le assicuro che il suo scritto e il mio pensiero coincidono alla perfezione.

    Allora, mi domando:

    1) perché quando sostengo questi principi, mi dicono che sono un'ignorante di economia e quindi è meglio che taccia o mi prendono per pazza?

    2) se basta un po' di buon senso per capire queste cose perché molti esperti (politici e giornalisti) non le capiscono?
    Stanno lavorando per noi o per la Germania e le élite finanziarie e neomercantili (mi scusi per i termini un po' complottistici, ma non saprei in quale altro modo chiamarle)?

    3)Come possiamo liberarci dell'euro e dei politici che ci stanno portando alla rovina? Siamo ancora in tempo?

    grazie
    silvia

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    Risposte
    1. Risposte:

      1) perché i tuoi intelocutori non capiscono, debitamente istruiti dai giornalisti;

      2) non tutti i politici e non tutti i giornalisti non capiscono, quindi... la seconda che hai detto; del resto, se le tue finanze ti permettessero di comprare un giornale o una televisione, saresti un partito interessante (nel senso del matrimonio, non in quello politico: non è una proposta, è un esempio! L'informazione è di chi la compra (non me ne voglia massimorocca), e questo non è né turpe, né virtuoso, come non lo è la svalutazione. Semplicemente è.

      3) sì, anche se ovviamente ci sono dei costi, che crescono con il protrarsi della situazione, più che altro perché questo protrarsi ci indebolisce.

      Elimina
  45. Ecco, qui ti capisco meglio, e direi che siamo anche meno off topic, e tra l'altro ti condivido in pieno. Con alcune precisazioni, non dogmatiche ma interlocutorie.

    La prima è che io sono perfettamente d'accordo sul fatto che nel lungo periodo non si debba "spingere" l'economia con la spesa corrente. Il senso di questo post è proprio che lo Stato deve riprendere il suo ruolo di intermediario perché lo Stato può permettersi di avere la vista lunga, cosa che l'impresa, accecata dalla totem della profittabilità a 365, 364, 363,... giorni non può avere. E quindi parlavo di investimenti.

    In questo senso, quelli che vengono a parlare dello Stato "datore di lavoro di ultima istanza" dicendoci che questa cosa ha salvato l'Argentina perché i Re Magi sono andati a salvarla (e i miei amici argentini si fanno un sacco di risate), al di là del problema del lieve falso storico, vedono solo un pezzo del problema. Non si può confondere la situazione di un paese che era intorno all'80° posto nella scala dello sviluppo con quella di un paese che più o meno è (forse non più) fra i primi venti.

    Però aggiungo una rettifica: io credo che tu sappia che noi NON abbiamo un problema di spesa corrente. Noi abbiamo un notevole surplus primario. Il nostro problema è la spesa per interessi, e il nostro debito è esploso quando abbiamo dovuto alzare i tassi di interesse per obbedire agli obblighi dello SME. Perché il problema è che se devi mantenere il cambio fisso, occorre che qualcuno domandi la tua valuta, e quando non te ne domandano abbastanza per le merci, devi far sì che te la domandino per comprare carta (titoli), e per far questo devi alzare il tasso di interesse, con conseguenze devastanti. Sapete che devo parlarvi del debito pubblico, restate in ascolto.

    Quindi io non solo NON ho detto che bisogna fare più spesa corrente, ma noi NON abbiamo un problema di spesa corrente, e invece abbiamo un problema di spesa per interessi DIRETTAMENTE RICONDUCIBILE a un disegno europeo costruito sulla moneta.

    Posso essere d'accordo sul fatto che certi progetti richiedano scala EUROPEA. In realtà sono convinto che sarebbe già una bella cosa andare da S. Sepolcro a Forlì senza passare da Canili, per farti un esempio, e che questo ci avrebbe anche risparmiato i lavori della variante di valico, e che quindi un progetto piccolo spesso può sostituirne utilmente uno grande.

    Ma ammettiamo la dimensione EUROPEA. Bene: non esiste alcun nesso logico cogente fra la cooperazione economica e l'unione monetaria. Il nostro problema è che la Germania non vuole cooperare, non che noi non siamo "abbastanza bravi da permetterci l'unico strumento di integrazione che è la moneta", perché la moneta, come dicono gli amici neoclassici, in questo caso è effettivamente un velo che si sovrappone alla realtà. Non è uno strumento di alcuna integrazione, se non di quella finanziaria, che permette alle banche di gonfiare i singoli stati periferici come palloncini per poi farli esplodere. Mille e uno esperimenti di integrazione economica sono attualmente in corso nel mondo, pochi prevedono integrazione monetaria, e non sono quelli che vanno meglio.

    Posso anche accettare che uno Stato abbia il ruolo di guida, se me lo dicono esplicitamente, e se la guida avviene in un contesto istituzionale razionale come questo. Il problema è che credo che la Germania non abbia questa capacità di leadership, perché la sua attuale classe dirigente NON ha una visione europea, e lo si vede dal modo "leghista" col quale ha gestito la crisi, tutto scandito sulle menopause elettorali di Anghela. Cambiare una istituzione che vede a 365 giorni con una istituzione che vede a 4 o 5 anni non è un gran cambiamento.

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  46. Sul secondo intervento ("ricorda qualcosa"?) direi di sì, mi ricorda alcune scene di Ludwig di Luchino Visconti. Non quella dove l'infelice principe soffre le pene dell'inferno ascoltando la sua promessa che scortica un'aria del Lohengrin (mi pare), no, mi ricorda piuttosto la battaglia di Sadowa. Tu sei storico, quindi mi hai capito. Del resto, amico caro, Martin Feldstein lo aveva detto: se vi piace la moneta unica, vi deve piacere anche la GUERRA. Chiaro? GUERRA.

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  47. Prof. riguardo agli interessi lei dice "il nostro debito è esploso quando abbiamo dovuto alzare i tassi di interesse per obbedire agli obblighi dello SME".

    Per quanto io ne so, gli interessi sui titoli erano molto alti anche prima dell'entrata dell'italia nello SME. I motivi forse erano altri, e io non ho la competenza storica, e nemmeno l'eta' per conoscerli.

    Non ho un grafico alla mano, mi sono limitato a guardare alcune annate qui: http://www.bancaditalia.it/banca_mercati/operazioni/titoli/tassi

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  48. Grazie infinite per le risposte.
    Ma chi ci potrebbe portare fuori dall'euro?
    A parte la Lega (che non mi piace per vari motivi, in primis perchè è capace solo di contestare, ma non ha mai portato nessuna soluzione costruttiva) tutti gli altri stanno appoggiando Monti. E comunque non sono previste elezioni a breve.

    Ho la senzazione che la dicotomia tra destra e sinistra sia solo di superficie, che in realtà sono tutti al servizio dello stesso padrone (la sinistra mi pare più zelante), e che comunque non esiste una terza possibilità, dal momento che queste due forze si sono comprate giornali e tv.

    Inoltre, mi sembra che cerchino di metterci tutti gli uni contro gli altri, per frammentare la nostra forza additandoci di volta in volta il "nemico" (gli evasori, gli extracomunitari, il modo arabo, i tassisti...) e di terrorizzarci con il dafault (citando Sciascia "La sicurezza del potere si basa sull'insicurezza dei cittadini").

    E anche tra i cittadini comuni, tutti sono preoccupati e si lamentano, ma per quello che sento in giro, la stragrande maggioranza (talmente condizionata dai media da non accorgesi neppure di essere condizionata) è rassegnata, pensa che non ci siano alternative o si disinteressa. Tutti a dire che la Germania non può pagare per tutti e a deplorare l'Italia e la Grecia...

    Personalmente, ero una sostenitrice dell'Unione Europea (non a livello economico data la mia ignoranza, ma come idealistica fratellanza tra popoli) e mi ritrovo a temere/odiare una Germania che mi sembra sia rimasta sempre la solita Germania di sempre...

    Penso comunque che, grazie ad internet, una sempre meno ristretta fascia di persone stia cominciado a capire. Come organizzarci e farci sentire? Come evitare che ci liquidino come pazzi complottisti? Esiste una forza politica che sostiene queste teorie?

    grazie
    silvia

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    Risposte
    1. Per quel che vale silvia, da attivista del movimento 5 stelle sto facendo il possibile per diffondere e promuovere la tematica affinché venga messa nel nsotro programma. Puoi aiutarci parlandone tu stessa ai nostri eletti o sul nostro sito, ad es. qui c'é il topic che ho aperto. Vota e partecipa! :)

      http://www.beppegrillo.it/listeciviche/forum/2012/02/undici-buoni-motivi-per-uscire-dalleuro-e-riacquisire-la-sovranita-monetaria-perduta.html

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    2. (lo spazio pubblicitario si paga)

      Elimina
    3. Approfitto dell'intervento di Mattia per fare alcune domande.

      Barnard e il Movimento5stelle, che io sappia, sembrano essere gli unici a proporre qualcosa di alternativo (con uscita dall'euro).

      Della MMT ha già scritto che secondo lei non è la soluzione.
      Di Grillo e M5S cosa ne pensa? Sono solo capaci a denunciare e a cavalcare il malcontento o hanno anche le capacità di prospettare delle soluzioni? Conosce le loro teorie economiche ed eventualmente cosa ne pensa?

      A me pare che nella politica ci sia qualcosa di "stregato", qualcosa che contamina e corrompe chiunque ci si butti dentro anche con le migliori intenzioni. Soldi, potere o entrambi. Tipo Shining (di Kubrick)...

      Sono preoccupata e vorrei fare qualcosa, ma non so cosa...

      E guardi che a preoccuparmi non è tanto la prospettiva di diventare più povera, ma il venir meno della democrazia a vantaggio di una finanza avida e disumana che venera il denaro e non tiene in alcuna considerazione le persone.

      grazie
      silvia


      x Mattia
      grazie per la segnalazione, leggerò e valuterò. Per il momento ho sentito la risposta (da te segnalata) di Shultz, meglio noto come kapò.
      Siamo talmente stupidi e/o impotenti che non hanno più nemmeno bisogno di mentire...

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  49. Caro Chicco, hai ragione, ma hai anche torto, perché quello che conta per la dinamica del rapporto debito/Pil è il tasso di interesse reale. Ne parleremo, rimani in ascolto, e comunque è un dibattito non definitivamente chiuso...

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  50. Buongiorno Prof.
    il suo blog mi ha riconciliato con gli studi di Economia fatti presso l'Università di Modena dal 1982 al 1987 impartite da Professori che Lei forse ha conosciuto direttamente o indirettamente come Paolo Bosi, Riccardo Parboni (economista prsso la Banca d'Italia, morto prematuramente nel 1988), Sebastiano Brusco ed Andrea Ginzburg: come vede un ambiente Keynesiano. Credo che allora l'Univeristà di Modena fosse il "Think tank" per quanto riguarda le questioni economiche del Partito Comunista di allora.
    Leggendo il suo blog sono rimasto basito nello scoprire come la sinistra che ho sempre votato si sia così allontanata da Keynes. Pensavo che con l'avvento alla presidenza di Obama le teorie sue e di Krugman avessero potuto avere più successo nel mondo e soprattutto qui in Europa ma purtroppo non sta andando così. Venendo all'argomento di questo suo ultimo articolo c'è una cosa che mi rende un pò perplesso: sono d'accordissimo che la svalutazione non è immorale e che i dati dimostrano semmai che sono le esportazioni a causare un aumento della produttività in Italia e non il contrario. Mi rimane un problema: i dati mostrano coerentemente come quando l'Italia ha usato la flessibilità del cambio è riuscita a far ripartire le esportazioni e quindi si presume la produttività. Mi perdoni se scrivo ingenuità o se mi sono perso un pezzo, ma questo ci riporta al problema che vogliamo confutare: come mai la Germania non ha quasi mai visto flettere l'aumento della produttività, che stiamo presupponnendo trainato dalle sue esportazioni, anche quando queste in realtà quest'ultime sarebbero dovute essere frenate dalla rivalutazione del marco (almeno in quelle due occasioni in cui l'ìhanno fatto all'interno dello SME)?
    Insomma mi immagino già il piddino che mi dice che proprio perchè la Germania non ha mai avuto bisogno di svalutare per aumentare le esportazioni, i dirigenti di sinistra come Prodi e D'Alema negli anni '90 avevano cercatro di agganciare l'Italia alla Germania per costringere il sistema industriale italiano ad aumentare la competitività e quindi le esportazioni usando i profitti per fare investimenti, smettendola di sperare nella manina del tesoro che permetteva di salvare cani e porci con la svalutazione, evitando così selezionare le imprese "virtuose" che investivano al proprio interno, da quelle che preferivano arricchire i soci od i proprietari distribuendo dividendi invece di reinvestire.
    Cosa spiega la continua capacità tedesca di aumentare le esportazioni anche quando rivalutavano? Sono sempre quei fattori di deflazione interna di cui parlava all'inizio del suo articolo? Ovvero la feroce compressione della dinamica interna dei prezzi e del costo del lavoro sono stati applicati costantemente nel periodo che Lei ha considerato?
    E' in questo quesito che si gioca la disputa coi "piddini" perchè negli anni '90 ci avevano detto che l'euro era virtuoso perchè avrebbe permesso finalmente si scaricare gli oneri per recuperare competitività sugli industriali, e non più sul lavoro dipendente che si sobbasrcava la perdita del potere d'acquisto con l'inflazione importata a seguito della svalutazione della lira.
    MI perdoni se la mia domanda non tiene conto di spiegazioni che Lei ha già fornito, ma leggo il suo blog da poco più di 10 gg. e quindi è fino ad ora una lettura parziale.
    Cordiali saluti

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    1. Un'ottima domanda. Aggiungo che bisognerebbe anche andare a vedere, per avere un quadro completo, cosa è successo agli altri paesi europei. Inoltre, bisognerebbe ricordare che non esiste solo il tasso di cambio reale bilaterale con la Germania, ma esiste il ciclo economico mondiale, che influenza le esportazioni italiane, ecc. L'atteggiamento della leadership tedesca (perfettamente lecito fuori da un'Unione Monetaria), ha però delle radici storiche profonde, che Sergio Cesaratto ha analizzato in tanti lavori. Qui ci sono dei cenni, mi faccia sapere se sono soddisfacenti. La (relativa) compressione dei salari è una strategia che va avanti da tempo.

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  51. Profe, io l'ho capito così: è inutile, se non dannoso, aumentare alchemicamente la produttività, con modifiche forzate e autoritarie del mercato del lavoro e contenimento dei salari, se poi non si esporta adeguatamente (e qui sta il punto: prima devono esserci le condizioni per esportare e poi si aumenta la produttività per esportare di più), perché la Germania nel mercato di Eurolandia fa la parte del leone e mette all'angolo i paesi periferici, condannati al ruolo di (suoi) importatori. Così facendo si riempiono solo i magazzini di merci invendute, che l'aumento di tassazione diretta e indiretta degli italiani, l'inflazione che erode i salari ecc., non consentono di smaltire nel mercato interno. Se poi alla situazione già grave ci aggiungiamo i differenziali di inflazione tra Nord e Sud, la politica anti-svalutazione dei nordisti, la ramanzina di frau Angela che ogni paese dell'Unione ce la deve fare da solo, il patatrac della riserva indiana è assicurato.
    O no?
    E se il modello della non-cooperazione tiene in piedi la Germania, e tiene alla canna del gas noi sudisti, che alternativa c'è? Qualcuno conclude appellandosi all'utopia
    http://www.sinistrainrete.info/europa/1961-riccardo-bellofiore-la-disintegrazione-europea-e-la-grande-recessione-20.html
    io preferisco la lotta politica (di cui una parte è la corretta informazione, come lei sa e pratica)
    roberto

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  52. Fatturato e ordinativi dell’industria

    http://www.istat.it/it/archivio/57206

    I dati ISTAT sono cupi....

    *****

    Aspettiamo Giugno, quando arriveranno le scadenze IMU rivalutate, e le famiglie avranno già pagato sei mesi di aumenti generali in un periodo dove il reddito familiare è decisamente diminuito.

    SENZA OFFESA PER I PROFESSORI CHE QUANDO INSEGNANO SONO DEI GRANDI, MA PER PRENDERE LE SOLUZIONI POLITICHE DI M.M ERA BUONO ANCHE IL GOVERNO DI CETTO LA QUALUNQUE.

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  53. Esatto! Se ti fai a occhio la media degli anni '70 e degli anni '80 vedi che c'è una bella differenza!

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  54. Gentile professore,
    se ho capito bene il suo ragionamento, lei dice che la situazione economica in Germania è migliore di quella italiana perchè le istituzioni tedesche sono state più brave nel gestire un processo intra-europeo sui rapporti di cambio che ha poi portato all'Euro. Un'area monetaria unica che comprende regioni più produttive e altre meno produttive crea squilibri favorendo le prime. A questo si aggiunge un ulteriore comportamento non cooperativo della Germania che comprimendo i salari, sfruttando la più alta produttività ed il cambio fisso ha basato la sua crescita sull export e non sulla domanda interna che nel lungo periodo avrebbe potuto favorire paesi come l'Italia e diventare la locomotiva dell'Europa.

    --se non ho capito bene si fermi qui. il mio ragionamento si basa sull'ipotesi ottimistica (presunzione) di aver capito bene---

    La sua soluzione è quindi o un cambiamento della politica salariale, industriale, commerciale della Germania in chiave cooperativa oppure un' uscita dall' Euro ed un ritorno al mercato delle valute o ad un sistema di cambio cmq più fluttuante.

    La cosa a me incomprensibile è come si possa promuovere un ragionamento di questo tipo guardando solo a dati economici aggregati e non alla storia industraile dei due paesi. Certo quello che lei racconta è verosimile ed in linea con l' evidenza empirica, ma non esclude altre spiegazioni che invece emergono più chiaramente guardando alla politica industriale dei due paesi.

    La storia industriale italiana è lastricata di occasioni mancate, di investimenti sbagliati o mancati, di mancanza cronica di investimenti in ricerca e sviluppo sia pubblici che privati. Tutte queste cose insieme hanno contribuitoa renderci un paese economicamente debole e meno produttivo di altri.

    Delle occasioni mancate si può parlare a lungo (dal primo pc dell' olivetti alla fine del polo chimico). Le spese in ricerca pubbliche sono risibili di fronte a quelle tedesche e ai suoi centri di ricerca (max planck, hans knoll institut, Fraunhofer, etc). Le spese in ricerca e sviluppo private sono bassissime. Approposito di svaluatzione come meccanismo non virutoso. Dal 1992 al 2002 la produttività italiana è migliore solo di quella slovacca. Dopo la svaluatzione, la classe dirigente privata non ha investito, ma ha consumato. Infatti in quegli anni siamo cresciuti, ma è stato il consumo della cicala in autunno.
    Siamo sicuri che la svalutazione in questo modo sia così bella?
    A questo si aggiunge un cronico ritardo delle infrastrutture in Italia. Si prenda la Sicilia. Sia per il settore turistico che per quello agroalimentare non avere un rete di trasporti su rotaia degno di questo di nome è una tragedia.
    Non parliamo della incapacità di far sistema: il brand "cote d' azur" porta più turisti al mare in francia che in tutti i migliai di km di coste italiane.
    Altri problemi storici come la mancanza di certezza nel diritto ed il ruolo della malavita organizzata peggiorano le cose.

    Io sono d' accordo nel non avere un approccio solo supply oriented. Sono anche d' accordo sul fatto che le scelte della Germania (per lo meno negli ultimi anni non sono state cooperative). Ma la prima causa dei problemi italiani forse deve essere cercata e risolta qui.

    Diciamo che non si tratta di essere tafazziani o meno.
    Ma prima di criticare l' atteggiamento non cooperativo della germania, dovremmo criticare il nostro atteggiamento non cooperativo inter-nos.

    cari saluti
    Marco Guerzoni

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  55. Molto interessante. Lo leggerò con calma.
    Vorrei ricordare una polemica d'antan sulla produttività.
    Non ricordo chi fosse l'autore di quella serie, ma sul finire degli anni '70 vi fu una serie di articoli di fondo sul Corriere della Sera in cui si sosteneva che gli operai italiani erano meno efficienti dei loro omologhi tedeschi.
    E per dimostrarlo, l'articolista di allora riportava un dato che avrebbe tagliato la testa al toro: un operai dell'Alfa Romeo produceva 7 vetture in un anno; uno della Bmw ne produceva 12.
    Questo per ricordare che da sempre la stampa italiana è a un livello infimo non da oggi ma da sempre...

    Armando

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    Risposte
    1. Probabilmente gli articoli sono poi cessati perché a partire dagli anni '80 la Fiat ha investito pesantemente sull'automazione (e ha licenziato migliaia di operai) per aumentare la produttività.

      Oggi quelle considerazioni non si fanno neppure più, o almeno io non le ho lette, e a mio parere è un passo indietro.

      Comunque, anche rispetto a quello che ha scritto Guerzoni più sopra, bisogna a mio parere considerare il fatto che la produttività media del lavoro italiana dipende anche ad esempio (cito un reportage che mi ha colpito) dall'operaio della AMA che a Roma sta ore inattivo su di un furgone fermo in mezzo alla strada aspettando che la vecchietta gli porti un sacchetto di umido...

      Se si considera il solo settore manifatturiero, ad esempio guardando questo grafico che ho tratto dalla FED di St.Louis, si vede come il discorso cambi notevolmente (la produttività italiana nel settore manifatturiero è aumentata più di quella tedesca):

      http://dl.dropbox.com/u/29460853/Output_per_Employed_person_in_manufacturing_Italy_vs_Germany_Index1970.png

      Il punto importante mi sembra quindi quello di chiarire, come fa il professore nostro ospite, se l'euro contribuisca (insieme alle tante tare del nostro paese) a vanificare tutti gli sforzi delle imprese italiane.

      Cordiali saluti.
      Giorgio

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  56. prima del 2000 le wolkswagen costavano più delle fiat ora hanno lo stesso prezzo-
    è questo che è successo?

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    Risposte
    1. Ah! Ma allora le cose stanno così! Perché vede, io sconto un forte isolamento culturale, quindi non so nulla di auto né di calcio. Questa cosa me l'aveva detta uno, ma io non ci avevo creduto perché era un collega. Se me la dice lei invece ci credo. E allora mi chiedo perché nel dibattito col piddino l'obiezione è sempre: "la Germania non ci fa concorrenza sui prezzi perché in Germania i prezzi sono più alti".

      Ma se le cose invece stanno così, allora bisogna capire perché: più produttività e/o meno salario...

      Elimina
    2. perchè come nel calcio il barca è uno squadrone perchè ha posseso palla ,non perchè corrono e hanno messi etc.)

      per cui basta avere possesso palla ed è fatta

      ps metafora calcistica approsimativa

      Elimina
  57. Caro professore,

    non so se lei ha a che fare con gli studi di settore... anche l'Agenzia delle Entrate pensa che la produttività sia endogena cioè (se non ho capito male) che gli investimenti siano generati dalla domanda: se investi è perché hai reddito, se investi ma non dichiari reddito è perché sei un evasore...

    Così un amico nel 2009 ha investito migliaia di euro in attrezzatura proprio quando la domanda è crollata per la crisi (ricorrendo al debito ovviamente, o meglio al risparmio della famiglia) e la sua dichiarazione di quell'anno è risultata incongrua e incoerente.

    Oggi però, sebbene la crisi continui, proprio grazie a quegli investimenti, cioè alla maggiore produttività del suo lavoro, ovvero alla possibilità di offrire prezzi più bassi e un prodotto migliore rispetto ai suoi concorrenti, è oberato di lavoro.

    E tutti gli amici che sono nello stesso settore si chiedono come mai lui lavori e loro no...

    Cordiali saluti.
    Giorgio

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  58. Salve, due semplici domande.
    1: la "precarizzazione" dei lavoratori in Italia non ha diminuito i salari in questi anni?
    2: mv=pq la considera un equazione "corretta"?

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    1. I salari reali nell'aggregato in Italia sono rimasti costanti, il che non è un bel risultato, mentre in Germania sono diminuiti, e in entrambi i casi evidentemente la precarizzazione potrebbe aver giocato un ruolo.

      mv=pq non è un'equazione ma un'identità. Il problema è tutto lì. Se si gioca con le identità come fossero equazioni si può anche dimostrare che per risolvere il problema della crescita economica basta aumentare la velocità di circolazione della moneta. Io credo di aver capito la domanda e perché me l'ha fatta. Ora mi interessa sapere se trova soddisfacente la risposta.

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  59. Egregio prof,
    la situazione attuale che stiamo vivendo mi sembra che più di "deflazione imposta" si tratti di "stagflazione indotta", dove le cure del caso non sono quelle che il buon senso imporrebbe (taglio della tassazione anzichè aumento inverosimile della stessa).
    un saluto, Roberto N.

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  60. Professore grazie per la esaustiva risposta della prima domanda.
    Riguardo alla seconda, ( chiedo venia se ho scritto equazione) anche in quel caso trovo soddisfacente la risposta ma la mia domanda era se lei ritenesse comunque corretta quell'identità indipendentemente dal fatto che per risolvere i problemi economici si possa semplicemente giocare con gli elementi di questa identità.
    Ovviamente il problema e più complesso.
    Inoltre non penso che lei abbia capito perchè le ho fatto questa domanda perchè l'ho fatta più per studi miei di trading (si pure io sto cercando di imparare o meglio di capire l'arte dei "cattivi" ) e volevo sapere cosa ne pensa riguardo il punto di partenze di molti miei "studi" ( ovviamente è una parola grossissima , sono un semplice studente di economia) .
    Posso sapere quale credeva che fosse il motivo per il quale ho fatto questa domanda?
    Chiedo venia (x2) se non mi sono firmato ma sono "gabs"
    lo studente che le aveva chiesto qualche consiglio sulla tesi e le aveva anche chiesto cosa mi consiglierebbe per continuare i miei studi dato che sono laureando triennale economia e devo scegliere un università ( quest ultima domanda senza risposta ma è comprensibile dato la molte di domande che le fanno sul blog il tempo disponibile per lei).
    Cordialmente e con stima.
    Gabs

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  61. LA PRODUTTIVITA' E' LA SOMMA TRA LA PRODUZIONE E LA RICHIESTA DI CIO' CHE VIENE MESSO SUL MERCATO,E' INUTILE PRODURRE SE LA DOMANDA NON E' ALMENO SUPERIORE A CIO' CHE VIENE PRODOTTO,SE SI PRODUC E DI PIU' AUMENTANO I COSTI E L'INFLAZIONE

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    1. Ma... e la legge della domanda e dell'offerta che fine ha fatto?

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  62. caro Professore,
    i dati economici, cmq messi, palrano di risultati. In nessun modo oggettivo ci parlano di qualche strategia sleale mesa in atto dalla Germania. A questo proposito vorrei suggerirle l' articolo su imille di Simone Vannuccini, Phd. student in economia in Germania e autorevole firma dei Giovani Federalisti Europei. Insomma è uno che se ne intende più di noi sull' argomento.
    http://www.imille.org/2012/03/la-germania-il-futuro-delleuropa/
    Spero che sia una piacevole lettura.
    Marco Guerzoni

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    1. Caro Guerzoni, che qualcuno se ne intenda più di lei non mi stupisce. Non so chi sia questo giovane collega né cosa siano i Giovani Federalisti Europei. Lei non vuole o non può capire quello che le dicono Krugman e Stieglitz? Rimane un problema suo. Io ho cercato di spiegarglielo e ho prodotto dati e analisi. Probabilmente lei non ha gli strumenti culturali per assimilarli, e ha anche dei fortissimi anticorpi ideologici. O magari io non sono un buon insegnante. Sicuramente lo pensano tutti quelli che vengono bocciati. Ma va bene così.

      Giusto avere convinzioni! Ma non parli di dati: parli delle sue opinioni, che io rispetto, ma non dica a me come si fa il mio lavoro e chi lo fa bene, altrimenti potrei essere tentato di ricambiare. E se vuole sapere qualcosa sulla slealtà legga qui.

      Autorevole firma... con zero pubblicazioni EconLit e zero pubblicazioni IDEAS! Suvvia! Certo, mica un gigione come Krugman... Ecco: andiamo avanti così: lei continui a considerare "autorevoli", al di là di qualsiasi dato oggettivo, di qualsiasi evidenza bibliometrica, quelli che alimentano i suoi pregiudizi. Ci si rannicchi dentro ai suoi pregiudizi, si faccia proteggere da loro, stia al calduccio. Perché lei, ne sono sicuro, se fa questo discorso un "ubi consistam" ce l'ha, non credo sia un cassaintegrato e non glielo auguro. Io, in più, non lo auguro nemmeno ai cassaintegrati. Forse la differenza fra noi è questa.

      Sa, in fondo la storia italiana è quello che è, e tutto sommato non è male che ogni tanto qualcuno ci ricordi perché è stata quello che è stata.

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  63. Caro Professore,
    mi stupisce il tono della sua risposta.

    prova di ideologia la offre chi giudica uno studente di dottorato (ma qualsiasi altra persona!)quale l'autore di quell'articolo dal numero di pubblicazioni. Ma ha letto l' articolo?

    Se guardassi solo al numero di pubblicazioni, invece di seguire con interesse il suo Blog, leggerei Alesina&Barro, il cui paper sulla optimal currency area dice che l' area euro è più integrata di molte altre e che, seguendo gli indici bibliometrici da lei suggeriti, su scholar ha 391 citazioni.

    Non conoscere il movimento federalista europeo, considerato che lei pontifica sull' euro, di nuovo non le fa onore.

    Se lei riduce HartzIV ed il complesso dibattito di agenda2010 a "mancette" o parte di una strategia sleale, è lei ancora a non farci una bella figura. E questo indipendentemente dal giudizio che si può dare su Schroeder.

    Guardi, io sto cercando di capire cosa succede per farmi un' opinione. le ho detto che non ero completamente convinto dalla sua interpretazione dei dati. lei mi ha detto che sono io a non capire.
    Ho suggerito che c'è del vero nella tesi che la svalutazione, pur efficace nel breve, può distogliere l' attenzione dai reali problemi italiani (carenza di politica industriale, di infrastrutture, educazione, tragedy of commons). E che forse additare la Germania come la causa del mancato coordinamento europeo distoglie dalla tragedia del mancato coordinamento tra cittadini italiani. per questo sarei ideologizzato, bene. Pare lo dicessero anche a Vattimo.

    Vabè, non sono gradito, tolgo il disturbo. Mi limiterò a leggerla.
    cordiali saluti
    Marco GUerzoni

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    1. Caro Guerzoni,

      nel mio blog, come capita nei blog, uso spesso un linguaggio sbrigativo ("mancette" ecc.). Ciò posto, è assolutamente lecito giudicare una persona da quanto scrive e da cosa scrive. Se non fosse così, allora l'intero esercizio di valutazione della ricerca condotto attualmente dall'ANVUR sarebbe liquidabile come ideologia. Non lo considero tale, anche se so che in ambito economico ne usciranno meglio di me autori per i quali la crisi... non c'è mai stata! Ma un criterio è meglio di nessun criterio.

      Se una persona non ha mai passato il vaglio di un comitato di rivista scientifica in economia, lo posso considerare potenzialmente autorevole, non autorevole. Se diversi premi Nobel mi dicono che la strategia mercantilista tedesca è insostenibile, devo fare i conti con questa realtà. Se vuole leggere Alesina e Barro si accomodi, sa quello che perde e quello che trova.

      Se lei se la prende col mio tono, la esorto a considerare il suo: lei è solo l'ultimo di una serie di persone che sulla base dell'ottimo pretesto di "volersi fare un'opinione" viene qui a dirmi che non so fare il mio lavoro, in particolare in termini empirici. Chi ha detto cosa a Vattimo non mi interessa. A me interessa quello che ha detto lei a me. Da quello che ha detto, e da come lo ha detto, mi pare di intuire che lei non vuole farsi un'opinione. Lei ha un'opinione, che crede sia sua... ma non lo è. Ripeto: se la tenga. E si rassegni al fatto che l'economia la fanno gli economisti, coi dati. Di economisti e di dati ce ne sono, come lei sa bene, di vario tipo: si scelga quelli che le piacciono di più.

      Io non posso piacere a tutti, e d'altra parte non posso farmi necessariamente piacere una persona che, molto civilmente e sottilmente, mi accusa di cattiva fede, allegando l'autorità di un giovane collega al quale auguro una futura brillante carriera (in qualsiasi campo egli lavori).

      Dopo di che rimango aperto a discutere di cosa non va in Italia con persone che non vengono a farmi la lezioncina su cosa dicono o non dicono i dati. Anche perché, le faccio notare, nell'articolo autorevole di dato non ce n'è nemmeno uno! Anzi: uno sì: la firma. Ma quella sui miei database non l'ho trovata. Sono sfortunato.

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    2. Cari,

      mi permetto di commentare perchè sono stato chiamato in causa nel dibattito.

      Condivido la preoccupazione del Prof. Bagnai rispetto alla necessità di dare il giusto peso alle determinanti sistemiche e macroeconomiche delle performance dei Paesi, e mi pare azzeccato anche il test della Granger-causality sulle serie storiche della produttività e quelle delle exp tedesche ed italiane. Proprio perchè mi interessa il quadro generale, il mio articolo su iMille era un pezzo di natura squisitamente politica, e per questo non corredato da dati.

      Le categorie e gli strumenti come la Thirlwall law e i modelli balance-of-payment constrained o la Kaldor-Verdoorn law conducono a risultati assolutamente condivisibili, che a mio avviso permettono di sostenere anche una tesi differente rispetto a quella qui proposta. Le esportazioni vengono prima della produttività, la chiave è la domanda, d'accordo. Ma la decisione di svalutare, presa storicamente in momenti di difficoltà politica (interna o internazionale), ha reso appetibili nel mondo le merci italiane, garantendo l'aumento del volume delle vendite e, forse grazie proprio ai rendimenti crescenti, il successivo aumento della produttività. Questa realtà che emerge dai dati non ci dice niente sull'interpretazione che se ne può fare, per esempio quella in cui l'Italia ha utilizzato la svalutazione competitiva come policy "tattica", piuttosto che dedicarsi ad opzioni più "strategiche".

      Con Kaldor, poi, si può spiegare anche la peculiarità tedesca: oltre alla Kaldor-Verdoorn law, esiste sempre e comunque il ruolo del progresso tecnico che - a differenza dei modelli neoclassici prima e della new growth theory dopo - agisce via funzione di investimento, la c.d. technical progress function. L'investimento in vintages di capitale, il ruolo dell'innovazione intesa non come mantra ma come outcome di successo delle attività di R&D ben calibrate, hanno garantito la crescita della produttività tedesca. Certo, la Germania oggi è anche il primo esportatore del mondo, perchè la causazione cumulativa ed i circoli virtuosi si aiutano l'un con l'altro, di sicuro anche grazie alle istituzioni e al capitale umano.

      Dunque, serie storiche simili (almeno fino a metà anni novanta) possono emergere da dinamiche di fondo completamente differenti; questo i dati non lo spiegano, mentre un'analisi più approfondita sull'evoluzione industriale nei due paesi può fornire qualche spunto aggiuntivo, come suggeriva Marco Guerzoni.

      In tutto ciò non capisco la critica alla moneta unica: l'effetto disciplinante non è un male, se permette di rimettere in riga chi agiva sui macroprezzi per tirare il fiato, invece di investire per sviluppare le proprie dynamic capabilities per far fronte ad una trasformazione globale inedita. Semmai, il problema è quello politico che sostenevo nell'articolo: più che cercare i requisita dell'OCA a destra o a manca, creiamo quella Fiscal Union che garantisca a livello continentale le risorse finanziarie affinchè si possa investire anche nei Paesi più in difficoltà.

      Il processo di integrazione europeo, ed in particolare il progetto della moneta unica, può avere svariati padri e molteplici motivi, ma di sicuro non era un piano voluto per il controllo dei prezzi, mi pare riduttivo; piuttosto era il tentativo di alcune personalità lungimiranti di creare quello squilibrio che avrebbe condotto ad una riforma istituzionale di natura democratica e federale dell'assetto di potere europeo. Non metto in dubbio che sia stato il tipico caso del "carro davanti ai buoi", ma qui si tratta di ridurre le sovranità nazionali, e da Machiavelli in poi sappiamo che non è una sfida facile...

      Infine, ci tenevo a ribadire come la mia posizione nell'articolo sia stata espressa in quanto responsabile di un movimento politico, e non come un accademico ancora in formazione.

      Chiudo inviandovi i miei più cordiali saluti; è singolare che mi sia iscritto all'RSS di questo blog tre giorni fa!

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    3. Caro Vannuccini,

      ti ho ripescato dallo spam dove eri stato messo da Google, che è incredibilmente keynesiano... o forse se la prende con chi scrive troppo.

      Io trasecolo quando vedo una persona che vuole intraprendere una carriera politica dire in modo piano come tu fai che l'euro è stato di fatto messo in opera con le motivazioni che il mio amico Aristide mi spiegò a suo tempo: costringere i cittadini europei a fare la scelta "giusta" loro malgrado. Continua a gelarmisi il sangue nelle vene a fronte di tanto paternalismo e, perdonami, direi anche di tanta ingenuità. A parte il fatto che vorrei capire quale concezione della democrazia credi di dimostrare dicendoci così, apertamente, che secondo te un politico lungimirante deve mettere il carro davanti ai buoi (e quindi far sopportare ai suoi elettori dei costi dei quali non gli ha parlato) per ridurre le sovranità nazionali (bell'obiettivo, indubbiamente)! Ma il vero problema che non ti poni è quello di dirci rispetto a quale metrica questa scelta autoritaria e paternalistica sarebbe stata "giusta". Direi quindi ingenuità doppia: da un lato nel confessare, e dall'altro nel portare avanti un ragionamento quanto meno approssimativo. Ovviamente sono per il dialogo e sarebbero bene accolte precisazioni. Io spero sempre di sbagliarmi. Non capita spesso, purtroppo.

      Certo che il problema non era il controllo dei prezzi! Il problema era la conquista delle economie periferiche da parte della Germania, e la compressione della quota distributiva dei lavoratori dipendenti. E non lo era certo dall'euro: lo era dalla fine degli anni '70, con i noti strumenti e per i noti motivi.

      Ora, intanto dovresti dirci (e forse prima dirti) molto onestamente se questo tipo di sistema, volto a ottenere la deflazione salariale, e a far sì che essa sia l'unico strumento di aggiustamento in caso di crisi, sia auspicabile. Se la risposta è sì, diciamo che hai sbagliato blog: capita! Se la risposta è no, vorrei proprio capire come metti insieme i cocci del tuo pensiero.

      Sì, lo so, con "più Europa"! Perdonami, questa è mera retorica. Come ho argomentato nell'articolo che cito sopra (e i fatti successivi hanno solo confermato le mie anticipazioni), più Europa non significa niente. Quello che occorrerebbe per la sostenibilità della moneta unica sarebbe "integrazione fiscale", capisci, o "coordinamento fiscale", ma non questa "convergenza" o "unione" fiscale che non significano nulla. Integrazione fiscale significa trasferimenti automatici dalle aree in espansione a quelle in recessione, come negli Usa. Solo che in Europa significherebbe avere il partito nazista al 40% in Germania dopo un anno: perché ai tedeschi è stato spiegato (anche da te, forse) che la crisi è colpa nostra e che loro non hanno tratto alcun beneficio dall'Europa. Ed è quindi giusto, nella loro ottica, che essi non adottino comportamenti non cooperativi. Per questo stesso motivo non stanno adottando politiche fiscali coordinate (e quindi, ora, espansive) con quelle degli altri paesi dell'area, lasciando che questi sopportino l'intero costo dell'aggiustamento al di là di qualsiasi logica economica (ma con una ben evidente logica predatoria).

      Sei una persona civile e sportiva. Vorrei proprio che tu non fossi in buona fede, così potrei proseguire la lista dei complimenti. Ma se credi a quello che dici... come dire... purtroppo... la lista deve finire qui e forse la risposta è quella che dai: sei pur sempre il responsabile di un movimento politico. Ti faccio tanti auguri per le tue ambizioni. Ma cosa studi? (così, anche per sapere se sono stato chiaro...).

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    4. Ringrazio il prof. Bagnai e il sig. Vannucchini per i due ultimi post in particolare. Contenuto di alta scuola, seppur in modo diverso.

      Il prof...sa già perché lo ringrazio. Invece lei, sig. Vannucchini, merita una spiegazione in più. Vede, il suo post e il suo articolo, palesemente parti di una mente acuta, consapevole e formata in modo superiore al mio, mi dicono con una trasparenza encomiabile solo una cosa: ovvero che questo sistema euro é stato pianificato e deciso da persone con finalità che con la democrazia e l'interesse dei popoli non sono neppure lontane parenti. Finalità che vengono ora difese a spada tratta anche quando mostrano chiaramente il peggio di sé (o almeno l'inizio del peggio). Forse da buon politico lei dovrebbe scendere tra la gente e ripetere pari pari questo discorso, magari davanti ad una folla di freschi disoccupati o di freschi esodati, quei pomposi parassiti che fino a ieri speravano nel diabolico e inefficiente welfare italiano di cui ama parlare il suo amico Draghi.

      E siccome siamo tra galantuomini, e lei é pure un mio collega politico, seppur di schieramento avverso, le annuncio sin d'ora che non avrò pace finché gente come lei non conti in italia e europa più di quanto io valuti la sua onestà intellettuale. Cioé ZERO.

      Saluti.

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  64. salve professore, potrebbe gentilmente dirmi dove ha ricavato i dati?? volevo provare a ricostruire il grafico...grazie!!

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    1. Domanda un po' strana, perché di grafico ce n'è più di uno, e la fonte è citata nel post. Non sono dati così esoterici. Li ha chiunque. Qual è il problema? Studente?

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  65. Bello questo sito e interessanti gli argomenti trattati in modo non banale (come invece accade su molti altri siti). Io non riuscirò a fare interventi così belli come quelli di altri però devo dire, da NON studioso di economia, che le definizioni di produttività proposte non mi servono per capire granché. Possono andar bene per i modelli economici ma la realtà la capisco meglio se ragiono in modo non quantitativo. Per esempio il CLUP che dipende dai redditi da lavoro non mi convince. Vorrebbe dire che produrre lo stesso bene con le stesse ore di lavoro mi da valori diversi se quel bene viene prodotto da un operaio cinese o italiano (perché vengono pagati in modo diverso)! Preferisco pensare ad un concetto non quantificabile di produttività che però mi fa capire meglio la realtà. Per me la produttività è il rapporto tra l'utilità prodotta (e non il valore monetario dei beni o servizi prodotti) e il lavoro speso (e non il reddito da lavoro). In questo modo posso spiegarmi perché negli ultimi decenni aumenta la produttività come intesa dagli economisti ma non migliora il livello di benessere. Insomma terrei sempre conto che l'economia inventa dei modelli per descrivere la realtà ma prima bisogna capirla questa realtà.

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    1. Sai, purtroppo succede che quelli che non vogliono ragionare sui numeri sono anche quelli che poi si fanno rifilare l'euro. E se lo facessero rifilare solo a se stessi non sarebbe un gran male. Il problema è che ci va di mezzo tutta la nazione. Quindi tu la realtà capiscila come vuoi, ma da Galileo in poi noi italiani sappiamo che il libro del cosmo è scritto in caratteri matematici. Pensa un po' la produttività! Però va bene così, se a te piace vederti così...

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  66. salve professore, io (purtroppo) sono un ingegnere, e condivido con questa insopportabile categoria il bisogno irrefrenabile di confrontarsi con i numeri. Insomma per farla breve, cercando i dati sulle esportazioni in era Monti, ossia nell'ultimo anno, sono andato a guardare nella banca dati I.Stat.
    Bene, mettendo su di un grafico i valori del saldo commerciale italiano (partner europa), risulta che a partire da luglio 2010 il saldo inizia a crescere, diventa positivo a fine 2011 (proprio al culmine della crisi italiana!) e continua a crescere fino a giugno 2012 (ultimo valore, di circa 1 miliardo di euro).
    Ma se questi dati sono veri, non contraddicono il ragionamento secondo cui siamo in crisi proprio a causa del deficit commerciale? Cosa che mi sfugge?
    Provo ad inserire un link al grafico, anche se non sono certo che funzioni...
    https://dl.dropbox.com/u/54867287/Saldocomm.jpg

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  67. a volte gli ingegneri si perdono nei numeri....
    poco fa ho postato un commento, prima di aver guardato "tutti" i numeri. la prego di cestinarlo.
    riguardando i numeri, ho scoperto che la Germania ha un volune delle esportazioni di 1000 (miliardi di euro) contro i 32 dell'Italia.
    Se l'Italia ha un surplus di 1, la Germania ha un surplus di 158.
    Semplicemente non confrontabili!!!

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  68. Visto che è il mio primo commento sul blog, devo innanzitutto ringraziare il professore per il lavoro che sta facendo, che mi è stato quanto mai utile.
    Ma veniamo al sodo, cioè al motivo che mi ha spinto a commentare dopo tanti mesi di lettura anonima: ieri mi è capitato di leggere un articolo pubblicato su Panorama (http://economia.panorama.it/La-crisi-cosi-nessuno-ce-la-fa), nel quale si analizzavano le ragioni per le quali le aziende italiane, a differenza di quelle dei nostri vicini, sono improduttive (solita lista: costi elevati dell'energia elettrica, oneri burocratici asfissianti, fisco che scoraggia gli investimenti ecc...).
    Quello che però mi ha lasciato perplesso dell'articolo è stata una serie di dati relativi ad altri paesi dell'eurozona, in particolare riguardo la Spagna. Secondo l'autore, infatti, nel periodo 2007-2011, la produttività spagnola sarebbe aumentata del 7,8%, accompagnata da un calo del costo del lavoro per unità di prodotto, e da un miglioramento del saldo della bilancia commerciale del 5,9% sul PIL.
    A dire il vero, secondo il giornalista, l'Italia sarebbe l'unica pecora nera, concludendo in questo modo l'articolo: "nel quinquennio della crisi tutte le grandi economie europee hanno comunque aumentato la produttività. Tantissimo la Polonia e la Spagna, pochissimo la Germania, che forse ha badato più a salvare posti di lavoro che ad aumentare la competitività. L’Italia, però, è l’unica fra le grandi economie in cui la produttività diminuisce, sia pure di poco (-0,4 per cento). La crisi, dunque, sta provocando importanti riaggiustamenti fra le maggiori economie europee, ma l’Italia non sembra parteciparvi granché".
    Solita disinformazione, o sono io a perdermi qualche passaggio?

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  69. Gentile professore,
    intanto grazie per questo approfondito e paziente articolo.

    E grazie per avermi fatto accorgere delle fesserie sull'effetto positivo della perdita di competitività che vorrebbero propinarci gli euridi (dopo aver letto il suo post, ho trovato un articolo della BCE che teorizzava, appunto, proprie le tesi criminali che Lei giustamente sbeffeggia).

    La sua interessante teoria sul legame tra produttività e valore della moneta (mi perdoni se non uso i termini esatti, sono ignorante in materia, ed anche in altre materie) mi pare trovi una conferma, anche per la Cina, in un lavoro che ho trovato cercando grafici sulla produttività cinese, qua:

    http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1043951X10000465

    Anche se nel caso della Cina mi pare che il legame sia evidente nei primi anni, per poi diluirsi (la produttività continua a crescere, il renminbi no; almeno così mi pare osservando i grafici).

    Trovo bellissima la sua metafora sul barista, con cui mi ha fatto capire che il motore della crescita imprenditoriale risiede nella fiducia della crescita dei ricavi (ed anche nella crescita stessa dei ricavi, che ci consente di migliorare la nostra struttura), più che nella crescita della mera produzione (e spero di aver compreso quanto vuole dire).

    Ma cosa possiamo fare se il bar accanto, che fa un caffé lievemente peggiore del nostro, comincia a venderlo ad un terzo di quanto facciamo noi, sfruttando il fatto che paga il banconista un decimo di quanto facciamo noi?

    Come ci salviamo dal calo delle vendite?

    Insomma: dove dovrò mandare mio figlio a studiare (se mai riuscirò a pagargli gli studi, e sennò si arrangia da solo)?

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    1. Caro signor nessuno, in che cosa il suo grafico fornisce una rappresentazione della realtà diversa da quella che fornisco qui o altrove nel mio blog? Vede, io ne ho piene le tasche di dilettanti. Lei, se vuole venire da un economista che pubblica nel Cambridge Journal of Economics come deve lavorare, deve essere meno supponente, e deve lasciar perdere un giornalucolo che dice due anni dopo le cose che io ho detto due anni prima.

      Ora legga tre volte, poi legga fra le righe, e poi se vuole le rispondo anche nella sua lingua.

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    2. Allora mi spieghi come il suo apparato teorico possa spiegare la stagnazione della produttività nei servizi, settore isolato dal commercio estero (almeno lo era fino ad oggi) e che conta per il 75% del PIL.

      Davvero non lo si capisce dal testo, che parla solo di esportazioni, quindi di manufatturiero.

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    3. Oh, questa è una domanda intelligente perché costruttiva (anche se l'osservazione che lei mi fa si applica pari pari al grafico dei dilettanti che lei citava). I dati che analizzo sono riferiti al valore aggiunto per occupato e quindi considerano la produttività totale, non quella del manifatturiero. Gli esempi, lei ha ragione, trattano essenzialmente del manifatturiero, per il semplice motivo che l'attività del manifatturiero risulta generalmente più comprensibile ai "laici". L'idea che i servizi siano un settore completamente protetto dalla domanda estera ha qualcosa di vero, ma sappiamo anche che il commercio di servizi sta aumentando quantitativamente (grazie al mercato unico). Il punto però è un altro. Il manifatturiero rimane comunque il motore dell'economia, sia a livello di innovazione di prodotto e di processo, sia come elemento attorno al quale ruota un indotto considerevole.

      L'impresa che effettua le pulizie nella fabbrica X della bassa Lombarda non è in concorrenza con un'impresa di pulizie sassone, siamo d'accordo. Rimane il fatto che se la fabbrica X chiude perché schiacciata da un cambio sopravvalutato, la domanda di servizi di pulizia (e di trasporto, e finanziari, e...) ovviamente cala. Quindi il cambio non è irrilevante nemmeno per imprese che operano nel mercato interno relativamente protette dalla concorrenza estera.

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    4. Per inciso (solo per non farle perdere troppo tempo): questo post è diventato un articolo per l'International Review of Applied Economics, dove uscirà a novembre.

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    5. che è una rivista di categoria "C", con impact factor bassissimo. Abbassi la cresta per favore.

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    6. Senti, testicolino, lo stesso modello, applicato ad altre colonie, quelle francesi d'Africa, è stato pubblicato dal Cambridge Journal of Economics. Quindi sulla tenuta del quadro analitico credo che non possiamo avere dubbi. Adesso, capisco che tu ti consideri un miserabile e schifoso verme e pertanto hai paura a dire come ti chiami. Ti assicuro che io non condivido il giudizio che tu dai su di te. Il mio giudizio è diverso: magari peggiore, magari migliore. La discussione però finisce qui, caro il mio dilettante, perché se non ti nomini e non sai di cosa parli sei evidentemente un troll. Vigliacco, logicamente scoordinato e fastidiosamente petulante come tutti i troll. Ribadisco: la tua seconda osservazione si applica anche al grafico dei dilettanti che ci hai proposto. Ergo, sei qui per rompere i coglioni e non per fare un discorso costruttivo. Vado a pescare. Vieni?

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