Un ratto di cloaca ha osservato che nel grafico dei salari reali aggiornato qui:
mancherebbe l'unità di misura. Per voi che avete seguito passo passo la sua costruzione la risposta è ovvia e l'informazione è superflua, ma siccome oggi siamo tutti pervasi di spirito natalizio ripropongo il grafico in una versione a prova di ratto:
e così, posto che in questo grafico quanto interessa (o dovrebbe interessare) ai fini del dibattito politicante da cui non si riesce a distogliere alcuni di voi è la dinamica, piuttosto eloquente, abbiamo anche fatto chiarezza sulle unità di misura, a beneficio dei diversamente attrezzati (o diversamente volenterosi di apprendere).
Partendo dall'ultimo dato, che è pari a 6902,16 euro nell'estate di quest'anno (terzo trimestre 2025), questo corrisponde aritmeticamente a un reddito mensile di 2300,72 euro e annuale di 27608,60 euro prima delle imposte e ai prezzi del 2020. Vale senz'altro la pena di sviluppare con calma il tema dell'impatto della tassazione (anche per mettere a tacere le fiscal drag queen), atteso che da quel poco che vedo non so voi, ma certamente molti miei colleghi e antagonisti televisivi non ne capiscono assolutamente nulla! Tornando da casa dei miei (ora ne è rimasto uno) mi è però venuto in mente di affrontare rapidamente, prima dell'ennesimo appuntamento gastronomico, un tema su cui ci siamo esercitati spesso, quello del conflitto distributivo così come evidenziato dalla quota salari, cioè dalla percentuale di prodotto interno lordo che va al reddito da lavoro dipendente.
Lo affrontammo nel lontano 2012 rispondendo al Boldrin "de sinistra", tal Emiliano Brancaccio (meno divertente dell'equivalente di destra), che con toni matterelliani ci aveva ammonito:
Qualcuno forse ritiene che in fondo conti solo il salario reale, e che la quota salari non sia importante? Spero che nessuno si azzardi a pensarla in questi termini: la dinamica delle quote distributive è forse l’indicatore chiave del cambiamento nella struttura socio-politica di un paese.
Insomma: una roba tipo "non si invochi il salario reale per non parlare della quota salari" (eggnente, a sinistra ci hanno il monito nel sangue...).
Ora, noi facemmo notare prima prima con tono conciliante e costruttivo qui, poi con tono lievemente scanzonato e canzonatorio qui (perché alla fine uno si rompe i coglioni e decide di prenderla a ridere quando l'interlocutore è in palese malafede) che bastava un minimo di algebra per capire che parlare come noi facevamo di rapporto fra salario reale e produttività o parlare di quota salari era esattamente la stessa cosa, atteso che fra le variabili citate sussistono queste relazioni:
e non è che ci vogliano grandi competenze in economia matematica: basta un po' di economia aritmetica per capire che il mio discorso sulla dinamica di salario reale e produttività, più volte sviluppato (l'ultima qui) è equivalente a un discorso sulla dinamica della quota salari.
Sviluppiamo questo punto.
Se, come vi ho fatto vedere, il salario reale dal tempo del fasheesmo (cioè dall'ottobre del 2022) è cresciuto di circa lo 0,5% al trimestre, cioè il 2% all'anno, questo significa che è cresciuto più del prodotto interno lordo, che nello stesso periodo è cresciuto di meno dello 0,2% a trimestre, cioè dello 0,8% all'anno, e quindi che la quota salari è aumentata. Questo ci dicono in effetti i dati di AMECO, che riportano la quota salari in percentuale del prodotto interno lordo, così calcolata:
ALCD0 = [(UWCD:NWTD):(UVGD:NETD)]x100
ovvero come rapporto fra i redditi da lavoro dipendente divisi per gli occupati dipendenti e il Pil diviso per gli occupati totali. Per darvi un'idea, i dati si presentano così:
e per la parte che ci riguarda ci ritroviamo quello che era ovvio ci fosse, cioè una vivace ripresa della quota salari dal 2023 in poi. Per darvi un'idea, in Italia al tempo del fasheesmo la quota salari, cioè, nelle vibranti parole del Boldrin "de sinistra", "l'indicatore chiave del cambiamento nella struttura socio-politica del Paese", è aumentata di circa due punti:
più o meno come in Germania, più che nella media europea o dell'eurozona, e molto di più che in Francia (dove però la quota salari è superiore a quella italiana, e quindi in effetti di un aumento non ci sarebbe particolare bisogno) o in Grecia (dove invece la quota salari è inferiore a quella italiana e di un aumento probabilmente qualcuno sentirebbe il bisogno).
Torna sempre utile dare un'occhiata a come si sono andate sviluppando le cose nel tempo.
Dal 2011 al 2017, nel meraviglioso periodo dei governi tecno-piddini, mentre noi subivamo dai colleghi della sinistra "de sinistra" lezioncine sull'importanza della quota salari, questa slittava inesorabilmente verso il basso, perdendo complessivamente 1,3 punti percentuali. Insomma: ha fatto più il fasheesmo per i lavoratori in tre anni che il "comunismo" in sette (soprattutto perché l'ha fatto nella direzione giusta), il che spiega perché alle intemerate di Landini venite presi da accessi di ilarità. Va anche detto che dopo la macelleria sociale portata avanti da quelli là, a fare meglio ci voleva poco. D'altra parte, questo possiamo permetterci di dirlo noi qui, perché lo avevamo detto ex ante e perché capiamo quanto diciamo. Ai vili traditori dei lavoratori non credo convenga dire: "Beh, che ci vuole a recuperare due punti di quota salari dopo il massacro che abbiamo perpetrato!", anche se, detto fra noi, il quoziente intellettivo di chi ancora gli dà ascolto è tale per cui verosimilmente una simile ammissione di colpevolezza non avrebbe un enorme costo elettorale!
Più in generale, il grafico sull'andamento della quota salari conferma una cosa che qui ho cercato di spiegarvi tante volte: l'austerità, prima di essere uno strumento di taglio, è uno strumento di redistribuzione del reddito (l'esempio della Grecia e dell'Italia è eloquente). Vale poi un'altra con cui dovremo convivere a lungo: sta andando meglio, ma certo non va bene.
Possiamo anche allargare lo zoom (anche se per la Germania i dati sono presenti solo dal 1991, cioè da due anni dopo l'unificazione):
giusto per constatare (a proposito di fascismo, quello vero...) che quanto in Grecia hanno fatto i colonnelli a partire dal 1967, qui da noi l'ha fatto l'integrazione monetaria, con la connessa necessità di "trying to lower wage costs relative to each other", a partire dallo SME nel 1979. C'è voluto un po' di più, ma i numeri sono quelli.Scusate, non volevo guastarvi le feste, e infatti smetto subito. Ci sono tante altre cose che andrebbero dette, ma avremo tanto tempo per dircele...
Ovviamente intendevi
RispondiEliminaNo, parlavo proprio di fiscal drag queen: la nostra è Corrado.
Eliminahttps://youtu.be/q7EiBTbMIm0?si=HFOyiPEweUvBwMMb
RispondiEliminaCosì è più semplice: se serve dare la colpa a qualcuno, lui si è già offerto volontario 🤣🤣🤣🤣🤣
A social media manager stanno meglio dell’UE:
Eliminahttps://x.com/europarl_en/status/2003405219808612844?s=46&t=MM7E5FgeIhdcxtuaxmxOOA
Interessante la Grecia a inizio anni 60...
RispondiEliminaMa che davero?
Come era giustificato un salario così alto?
Seconda cosa...
Bhe le vacanze in Grecia non sono diventate più care, siamo noi diventati più poveri haha
Aridateme i comunisti! Ai bei tempi nessuno avrebbe fatto un commento simile. A Ciaò, t’ho messo pure la formula! Quelli non sono i salari! È la quota dei salari sul Pil, e quello greco in termini pro capite era inferiore al nostro già all’epoca! Pressoché ovunque in Europa il lavoro dipendente si prendeva oltre il 60% del valore creato nell’anno. Sarà perché Valletta guadagnava 12 volte lo stipendio di un operaio e Marchionne 437 volte? Ma questa storia non dipende dal fasheesmo. Perfino l’amico intelligente ti dirà che è iniziata negli anni ‘80, e anche se non glielo chiederai ti dirà abbastanza fedelmente perché.
EliminaPerò la tua domanda mi ha messo una curiosità addosso. Ora mi appresto all’ultima magnata, poi in serata la soddisfo. Qualcuno immagina quale potrebbe essere?
EliminaOnorevole ti ringrazio per la tua nomina a fiscal drag queen. Tornando però al punto mi verrebbe da esaltare anche il periodo 2021, se non fosse che prima c'era stato un tracollo per le chiusure Covid. Mi verrebbe quindi di esaltare il periodo Meloni, se non fosse che prima c'era stato un tracollo dei salari per l'impennata inflazionistica del 2022 e quindi inevitabile anche per un Governo di Destra avere quantomeno un recupero parziale di quello che si era perso. Poi, a proposito di fiscal drag farei anche notare che i redditi più bassi e in particolare quelli da pensione sono stati effettivamente penalizzati, perché non coinvolti nella riforma fiscale. Sarà per questo che aumentano le file alla Caritas e enti simili per avere un pasto gratis o anche quella disinformazione comunista? Lungi da me esaltare i periodi montiani ma certo dire che per dire che la Meloni abbia aiutato i più deboli occorre un cherry picking così colossale che anche un miope come me non può far meno di notarlo su quei grafici che hai postato.
RispondiEliminaCosì mi piaci: giù la maschera e via i guantoni! 😉 Più tardi entro nel merito, intanto auguri! Abbiamo bisogno di interlocutori furbi, ci aiutano ad affilare i nostri argomenti.
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