giovedì 24 ottobre 2024

Distribuzione del reddito e teorema di Eulero

Perdonatemi, una rapida integrazione "tennica" che potrebbe esservi utile per apprezzare alcune sfumature del dibattito odierno e senz'altro vi aiuterà con le mie slide di domenica.

Ci è capitato spesso di parlare del modello neoclassico di crescita, basato sulla funzione neoclassica di produzione. Nella sua versione standard, questa funzione esibisce rendimenti di scala costanti. Significa che, come vi ho spiegato parlando di Crescita neoclassica for dummies, gli incrementi di output sono proporzionali a quelli degli input. Immaginando che il livello di produzione Y dipenda dalla quantità di capitale K e da quella di lavoro L, cioè che sia:

Y = f(K, L)

avremo che se moltiplichiamo per un certo numero t gli input, risulta moltiplicato per t anche l'output:

f(tK, tL) = tY

e quindi, ad esempio, ponendo t = 2, se raddoppiamo gli input raddoppia l'output:

f(2K, 2L) = 2Y

(e questo ve lo dissi a suo tempo e quelli bravi se lo ricordano).

Le funzioni di questo tipo sono dette dai matematici "omogenee di primo grado" e vale per loro il teorema di Eulero, secondo cui il valore di Y è dato dalla somma dei valori degli argomenti ognuno moltiplicato per la rispettiva derivata:

E qui vi ho perso quasi tutti per strada, ma va bene così, proseguo imperterrito sulla strada della veritah (che è la nuova onestah), e chi mi ama mi segua!

Che vuol dire questa formula arcana?

Intanto, per i più curiosi, vi rinvio alla sua dimostrazione nel caso generale.

E questa è matematica.

L'economia, e la distribuzione del reddito, entrano nel ragionamento quando ci si ricordi che, come spiegammo a suo tempo a Lampredotto, che impazza nuovamente sui social col suo delirante proposito di abbandonare la nave che galleggia per quella che affonda, nel modello di equilibrio concorrenziale i fattori di produzione vengono remunerati alla rispettiva produttività marginale. La tabella era questa:


e lo spiegone era nel post sul BDSM (cara, non è come pensi tu!).

Da quanto ci siamo detti fin qui (e nei post linkati) conseguono due proprietà del modello neoclassico standard:

  1. in equilibrio, il lavoro verrà remunerato al valore della propria produttività marginale;
  2. in equilibrio, tutto il prodotto verrà distribuito.

La seconda cosa deriva dal fatto che, appunto, la somma dei prodotti delle quantità di fattori impiegate, moltiplicate per la rispettive remunerazioni, coincide, guarda un po', col totale della produzione. Quindi in equilibrio tutta la produzione viene distribuita, e ognuno riceve in proporzione a quanto ha contribuito alla produzione.

C'è un altro pezzettino di tecnica che potrebbe essere utile a qualcuno. In funzioni di questo tipo, la produttività marginale è proporzionale alla produttività media. Se considerate ad esempio la più usata delle funzioni di produzione, la Cobb-Douglas:

potrete verificare facilmente che la produttività marginale del lavoro (la derivata di Y rispetto a L) è data da:

(i passaggi sono su Wikimmmm, che ovviamente li fa per il capitale - è un chiaro messaggio politico - ma se siete sopravvissuti fin qui li sapete fare anche per il lavoro).

Che cosa significa questa bella storia (su cui ci saremmo potuti dilungare, ad esempio sviluppando direttamente qui tutti i passaggi, per i quali invece vi rinvio alle fonti citate)?

Significa che in teoria dovremmo aspettarci che i salari reali evolvano in modo proporzionale alla produttività media del lavoro (average labour productivity, APL). Se questo non succede, i casi sono due:

  1. o la funzione di produzione non ha rendimenti costanti (ad esempio perché li ha crescenti, cioè perché all'aumentare degli input le economie di scala fanno aumentare in modo più che proporzionale l'output);
  2. o il mondo non funziona come nel modello neoclassico (ad esempio perché invece di essere remunerati in base alla loro produttività marginale i fattori di produzione vengono remunerati in base ai rapporti di forza sociali).

Voi direte: sì, tutto bello, tutto forse comprensibile, con difficoltà, ma che c'entra con le cose di cui si parla tanto oggi?

C'entra (o, come dicono quelli che scrivono "non c'è la faccio", centra) moltissimo! Non avete mai sentito dire che la crisi salariale è legata alla crisi della produttività, che il problema di stagnazione dei salari è un problema di stagnazione della produttività?

Bene!

Chi vi dice questo vi sta dicendo che il mondo è neoclassico, che ogni fattore di produzione (incluso tu che stai leggendo) viene remunerato in base alla propria produttività marginale, e quindi che se la remunerazione dei fattori non aumenta ciò dipende dal fatto che la loro produttività non è aumentata (cioè che tu, caro lettore, hai fatto schifo e hai avuto quello che ti meritavi, cioè poco).

Ma se invece osservassimo che mentre la produttività del lavoro è aumentata, la remunerazione del lavoro (salari reali) invece no, che cosa dovremmo concludere?

La conclusione non è difficile, ma la trarremo insieme domenica...

9 commenti:

  1. Ho sempre interpretato la regola per cui il salario coincide col valore della produttività marginale nel senso che la produttività andrà ad aggiustarsi in funzione del salario, almeno quando è il mercato a stabilirne il livello. Se l’imprenditore investe e la produttività marginale aumenta, ma il salario è deciso dal mercato e rimane costante, l’imprenditore aumenterà il numero di occupati ottenendo da ogni nuovo assunto una produttività marginale decrescente, fino a quando quest’ultima tornerà a coincidere col salario. Ovviamente all’aumento della domanda di lavoro prima o poi fa seguito un aumento del prezzo del lavoro, ma ciò avviene solo in un secondo momento. Se le cose stanno così, l’attuale incremento degli occupati potrebbe dipendere da un miglioramento della produttività e magari, più avanti, assisteremo ad una crescita dei salari. È un ragionamento che può funzionare?
    Un saluto.
    P.Giusta

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    1. La spiegazione del perché la remunerazione dei fattori debba tendere alla rispettiva produttività marginale è nel post dedicato a Lampredotto. Il mercato "decide" il salario sulla base appunto della produttività, separare i due momenti nel modello standard è un po' difficile, ma forse sono io che non capisco.

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  2. Questo post mi ha riportato indietro di vent'anni: lezioni i teoria della crescita, il modello di Solow-Swan... Domenica si torna in aula! :)

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  3. Ricordo quando anni fa (ero ancora un liberista alla Giannino) lessi il libro di macroeconomia di Mankiw e incontrai la famosa formula, comprensiva delle derivazioni quassù riportate. Per me fu un'illuminazione: "Ma certo! Il lavoro DEVE essere remunerato secondo la sua produttività marginale!". Era tutto lineare, risolto. Il conflitto sulla distribuzione del reddito scompariva.

    Però negli anni, riflettendoci su, qualcosa non mi tornava: come mai ad esempio il lavoratore in outsourcing nel paese emergente prende un quinto dello stipendio dello stesso lavoratore europeo (che poi resta senza lavoro)? I due non dovrebbero avere più o meno la stessa produttività?

    E così ho cominciato a farmi delle domande...

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    1. Poi durante i capannelli mi dirai che risposte ti sei dato, così magari correggo le slides.

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  4. Completamente d'accordo, però secondo me bisogna aggiungere il contesto economico in cui noi adesso siamo :
    Se le aziende operano in settori poco produttivi per definizione, quindi in settori dove c'è scarsa innovazione (es manifatturiera classica, turismo etc..), allora quei salari rimarranno sempre fermi e anzi si abbassano perchè in quei settori poco produttivi, nel mondo hai tanti competitor e quindi l'unica cosa che puoi fare è competere riducendo il salario.
    Al contrario in settori più produttivi (e quindi innovativi) vedremo sei salari in crescita perchè appunto si producono beni o servizi che tutti vogliono, quindi li vedi a un prezzo superiore e paghi salari più alti.
    In sintesi d'accordo con il ragionamento ma bisogna anche cercare di portare le aziende ad innovare ed a crescere cosi da incrementare i salari.

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  5. Mi viene in mente il tipo che ti dice: non ti fidare di certe persone, gli dai una mano e si prendono il braccio...

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  6. Ironia (sopravvenuta) della toponomastica: a Milano in Piazza Sraffa c’è la Bocconi.

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  7. Egregio Onorevole,
    colgo l'occasione per un ripasso sulle forme differenziali.

    Data la funzione Y = f(L , K) si ha sempre che:
    dY = (∂Y / ∂L) • dL + (∂Y / ∂K) • dK

    Dividendo ambo i membri per Y si ottiene:
    (dY / Y) = (∂Y / ∂L) • (L / Y) • (dL / L) + (∂Y / ∂K) • (K / Y) • (dK / K)

    Definendo Gx = dx / x la crescita della variabile x si ha:
    GY = (∂Y / ∂L) / (Y / L) • GL + (∂Y / ∂K) / (Y / K) • GK

    La crescita dell'output Y è quindi proporzionale alle crescite dei fattori produttivi L e K. Le costanti di proporzionalità sono:
    - (∂Y / ∂L) / (Y / L) = MPL / APL
    - (∂Y / ∂K) / (Y / K) = MPK / APK
    ovvero, per ciascun fattore, la "costante" è data dal rapporto tra la produttività marginale e la produttività media del fattore stesso.
    GY = (MPL / APL) • GL + (MPK / APK) • GK

    Si ha anche che Y = W + Π = w • L + Π, cioè l'output è pari alla somma di salari e profitti. La crescita GY è quindi data da:
    GY = (w / APL) • GL + (w / APL) • (Gw - GΠ) + GΠ

    Dalle due espressioni trovate per GY risulta:
    w = MPL
    Gw = GΠ • (1 - APL / MPL) + GK • (MPK / APK) • (APL / MPL)

    La crescita del salario unitario Gw è positiva se:
    GΠ / GK < (MPK / APK) / (1 - MPL / APL)
    Ciò impone un limite superiore alla crescita dei profitti, rispetto a quella del capitale. Considerando la Cobb-Douglas, risulta:
    GΠ / GK < α / (1 - β) ovvero GΠ / GK < 1 a rendimenti di scala costanti.

    Un saluto,
    Fabio

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