domenica 20 ottobre 2024

Sul metodo (preparando il #goofy13)

Qualche volta si va per esclusione.

Direi anzi che molto spesso si va per esclusione, soprattutto invecchiando, e questo verosimilmente deriva dall'azione combinata di due forze eterne e incontrovertibili: da un lato, con l'età il mondo circostante ti appare in preda a un degrado progressivo e inarrestabile; dall'altro, sempre l'età ti suggerisce che trovare una soluzione è sempre meglio che non trovare nessuna soluzione, e l'esperienza ti sconsiglia fortemente di lasciarla trovare a qualcun altro (soprattutto se sei in politica).

Sul degrado del mondo circostante qualche dubbio ce l'ho: può darsi che quello che osserviamo noi anziani sia solo un riflesso del nostro degrado, o semplicemente della nostra riottosità ad adattarci a metriche più consone allo Zeitgeist. Può darsi. Possiamo documentare che da un po' meno di tre millenni chi viene prima si lamenta di chi è venuto dopo: se quello che la letteratura ci trasmette fosse minimamente fondato su dati oggettivi, probabilmente oggi abiterei la Grotta del Cavallone, invece di un attico ai Parioli. Di contro, però, l'economista qualche riscontro oggettivo ce l'ha (il reddito pro capite, per dirne uno), e quindi può (se vuole) articolare un discorso meno impressionistico sulle (pretese) magnifiche sorti e progressive da un lato, e sulla  (supposta) inarrestabile decadenza morale dei giovani dall'altro.

Sul fatto che trovare una soluzione sia meglio che lasciarla trovare a un altro non mi dilungo: mi appello alla prima legge della termodidattica (ci sono cose che se potessero essere capite non andrebbero spiegate), e percepito o reale che sia il degrado, soprattutto quando devi scegliere persone, ma anche strategie di comunicazione, ma anche un piatto al ristorante, quello della riduzione del danno, del male minore, della scelta per esclusione resta il criterio principe in un'età in cui hai rinunciato a illuderti che il mondo possa mai non dico piegarsi al tuo anelito di perfezione, ma anche semplicemente comprenderne l'essenza e le ragioni.

E così, dovendo scegliere se buttare dalla torre Sergio Cesaratto, con il suo sconsolato, un po' sprezzante e molto condivisibile "chi voleva capire ha capito, a chi non vuole capire è difficile imporgli le cose più di tanto", emesso dieci anni fa:


o Claudio Borghi, che continua a dire che c'è un gap generazionale da riempire, e quindi dobbiamo ricominciare a spiegare tutto da capo, il procedimento per esclusione mi ha convinto a buttare di sotto Sergio (Claudio mi serve di più, oggettivamente), nonostante la pensi in fondo come Sergio (cioè pensi che chi non ha capito nel 2024 è ancora più coglione e inutile di chi non aveva capito nel 2014, il che frustrerebbe in nuce l'ottimismo della volontà del sornione Borghi), e per il prossimo #goofy13 sto preparando una relazione che riprende il discorso da capo, ragionando su grafici come questo:


(tratto da qui). Dodici (o tredici, o quattordici) anni dopo queste serie si sono allungate di altrettanti anni e il loro tracciato ha sicuramente qualcosa da insegnare a chi era qui dodici (o tredici, o quattrodici) anni fa e pensava o pensa di aver capito tutto. Ma questi grafici, il tanto lavoro fatto, hanno implicazioni immediate, anche prendendoli così come sono, sic et simpliciter, per chi arriva qui oggi, o magari è qui da pochi mesi o pochi anni.

Un esempio banale: ci dicono che l'Italia ha un problema di salari perché ha un problema di produttività. Ma noi sappiamo che non è vero, perché da dodici anni (tanti quanti ne ha questo grafico) abbiamo visto che il problema dei salari in Italia preesiste al problema di produttività. Ricorderete la stucchevole polemica con "er Melanzana" sull'opportunità di articolare o meno il dibattito in termini di quota salari: l'amico aveva qualche problema con la definizione delle variabili, non capiva, in tutta evidenza, che la quota salari altro non è che il rapporto fra le due variabili rappresentate nel grafico:



(lo spiegammo poi qui), e quindi il nostro approccio, che era più analitico (perché presentava le due variabili separatamente anziché il loro rapporto), era anche, ovviamente, più informativo.

E quale informazioni traiamo da questo grafico: ma semplicemente che, come vi ho detto sopra, è un po' sconclusionato attribuire a una cosa che è venuta dopo (la flessione della produttività) una cosa che è arrivata prima (la stagnazione dei salari). Capisco l'evitare il post hoc propter hoc, ma anche propalare un ante hoc propter hoc non mi sembra molto più rigoroso in termini scientifici! E infatti la scienza su queste e altre dinamiche ci dice cose diverse da quelle che gli economisti "de sinistra" e "de destra", nella loro pervicace volontà di girare intorno al problema, continuano a raccontarci: dal tir di faldoni del buon Zingy, alla piccola impresa familistica e amorale tanto vituperata anche a sinistra!

Ma, appunto, di questo parleremo esattamente fra una settimana, e quindi ora mi rimetto a slidificare (se siete a Genova però ci vediamo alle 18 alla Caravella - e dove se no?).

2 commenti:

  1. Egregio Onorevole,
    si tratta sicuramente di un tema fondamentale per la comprensione della dinamica macroeconomica italiana.

    Mi permetto, anche se non serve, di suggerire una linea di analisi basata sulla seguente decomposizione dei salari reali:
    w = (q * y) / e
    Cioè il salario medio reale per addetto è dato da:
    1) quota salari (q = W/Y)
    2) PIL reale pro-capite (y = Y/p*P)
    3) tasso di occupazione (e = N/P)
    La prima è calata di 10 punti % dal 1980 al 2000, per poi stabilizzarsi.
    Il secondo è più o meno fisso dal 2000.
    Il terzo ha avuto delle oscillazioni, con due punti di minimo locale, nel '95 e nel 2014.
    La dinamica dei salari reali (o meglio della loro crescita), è quindi data dalla sovrapposizione degli effetti delle 3 variabili citate prima.
    Si ha pertanto che, a scaturire il tutto, agli inizi degli anni '80, è stata la riduzione della quota salari.
    A partire dal 2000, invece, ci hanno pensato l'Euro e le regole imposte dalla UE.
    Per la produttività del lavoro, bisogna ricordare la legge di Kaldor-Verdoorn, che lega quest'ultima al crescita del PIL reale (aggiungo io pro-capite).

    Un saluto,
    Fabio

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    1. Caro Fabio,

      questo commento è molto dotto, ma mi sembra che voglia stabilire dei nessi causali partendo da identità contabili sovvertendo, fra l'altro, l'ordine in cui le variabili vengono combinate per definire i fenomeni. Definire il salario reale partendo dalla quota salari è un po' come definire l'indice dei prezzi partendo dal salario reale, no? Certe volte facendola semplice si fa prima.

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