giovedì 31 ottobre 2024

Draghi vs Blanchard

(...in un commento al post precedente Luciano evidenziava come il problema della maggior parte delle persone non sia non aver capito, ma non essere venute a conoscenza del Dibattito - cioè del blog che stai leggendo, caro lettore! Il mio spirito polemico e sofistico mi porterebbe a dire che, invece, il successo del Dibattito [e quindi la sua diffusione, che, per quanto scarsa, è stata sufficiente a farmi Presidente di bicamerale] sia da attribuire al fatto che la gente aveva capito, cioè che si riconosceva in quanto trovava scritto, con un atto di adesione emotivo e intuitivo. Insomma: il blog ha funzionato perché era inutile, ha funzionato con quelli cui era inutile, e quindi non tanto perché abbia aggiunto qualcosa alle loro conoscenze o al loro bagaglio culturale, quanto perché ha dato loro coscienza di non essere soli nella percezione di certi problemi, e ha dato loro una casa, che è appunto, caro lettore, il blog che stai leggendo, questa pagina, questo schermo di laptop o di smartphone [questo passa il convento!]. Però ha ragione anche Luciano: le persone che conoscono il nostro lavoro sono poche, pochissime, e per quanto questo possa apparire paradossale, sono in particolare pressoché assenti in Abruzzo! Pensate un po'! Quello che gli sprovveduti chiamano "sovranismo" è sostanzialmente nato in Abruzzo, per un decennio qualche collega - o presunto tale - particolarmente cretino è andato avanti sui social [che a voi sembrano il mondo e sono una bolla di metano ] a canzonarmi con la storiella di "Pescaracas", per anni abbiamo portato centinaia di persone fra cui un paio di scappati di casa rispondenti ai nomi di Giorgia e Matteo a Montesilvano, in tutti i media nazionali si parlava del professorino abruzzese di provincia... Quando questo lavoro ha contribuito a mutare il panorama politico italiano, per inciso mettendo una "poltrona" sotto il sedere di tante persone, non solo di chi vi scrive!, ci si sarebbe aspettati che là dove se non tutto, molto era successo, un minimo di campanilismo portasse a rivendicare il lavoro svolto, ad appropriarsene in qualche modo. O no? Invece no! I miei rappresentati per lo più non sanno un cazzo di niente di chi li rappresenta [e certo non possono affidarsi ai media locali per colmare questa lacuna, laddove vogliano], e i miei "colleghi" leghisti locali a loro volta non sanno un cazzo di niente di chi credono di essersi portati in casa [ma era qui, e costruiva senza minimamente immaginarselo un pezzo del pensiero "leghista", molto prima che loro sapessero che esisteva la Lega]! Eppure leggere il blog, o almeno sapere chi lo ha scritto, sarebbe utile: non vorrei sembrare eccessivamente enfatico, ma in certi casi letteralmente salverebbe la vita. Basterebbe sapere che queste pagine sono scritte dal Cavaliere nero, e al Cavaliere nero... Ma è inutile: non leggono - se leggessero non scriverei così, ça va sans dire - non mi seguono, né me né altri personaggi rilevanti come Claudio, sui social, non hanno idea di che ruoli io svolga a Roma, non hanno idea di quanto sia risalente e di quale sia il mio rapporto con Matteo e con gli altri leader politici in utroque, e quindi non capiscono, il che non è del tutto un male, perché mi consente di esercitare nel piccolo le virtù che spero di essere chiamato ad applicare nel grande: la pazienza, l'umiltà, spinta fino alla dissimulazione, la tenacia, l'arte di vincere una battaglia politica mandando l'avversario a schiantarsi contro le proprie contraddizioni, l'arte di vincere [eliminando i problemi] senza stravincere [umiliando chi li ha creati], e così via. Quindi, amici miei, guardate il bicchiere mezzo pieno: in un mondo a informazione completa fottere chi ti vorrebbe fottere sarebbe molto più difficile! Il messaggio, insomma, è sempre il solito: facciamoci bastare quello che sappiamo, e cerchiamo di usarlo a nostro vantaggio, se non per trarne un guadagno, almeno per limitare le perdite! E a questo proposito...)

Lo scorso otto ottobre Olivier Blanchard e Angel Ubide hanno scritto sul blog del Peterson Institute for International Economics un commento dal titolo particolarmente eloquente: Essential issues raised, but not fully answered by the Draghi report sull'ormai mitologico rapporto di Draghi. Un titolo che, se vogliamo, è un riuscito esercizio nella mia preferita fra le arti marziali: l'eufemismo estremo (not fully answered è un colpo mortale, inutile girarci intorno).

(...apro e chiudo una parentesi per confessare a voi fratelli che senza Marco Zanni mai e poi mai sarei venuto a conoscenza di questo pezzo di bravura! Esattamente come cerco di vincere le mie battaglie sfruttando la forza dei nemici, e ci riesco, sviluppo il mio pensiero sfruttando il cervello dei miei amici, e ci riesco. Vi ho sempre confessato che l'economia in fondo a me non interessa: è perché non l'amo che l'economia mi ama e cerca di compiacermi comportandosi in modo per me prevedibile! Certo però che un economista deve almeno far finta di interessarsi all'economia, e qui arrivano in soccorso gli amici: mi riconosco il merito di aver creato le strutture di coordinamento in cui ci confrontiamo, ma quelli bravi, posso dirlo senza tema di smentita, sono loro...)

La parte più corrosiva del commento di Blanchard e Ubide coincide con quella che vi ho illustrato in una slides del #goofy13:


Loro la mettono (diplomaticamente) così:

"Let us start with a strong statement: The title of the report, The Future of European Competitiveness, is misleading. What the report is about, and indeed should be about, is productivity, not competitiveness. Productivity determines the standard of living. Competitiveness is a different issue: A country can have low productivity and still be competitive. This is what a flexible exchange rate is supposed to achieve and typically does. The European Union does not have a competitiveness problem—in fact, it runs a current account surplus. If anything, it has a potential productivity problem."

Il titolo del rapporto Draghi è fuorviante (io direi sbagliato, ma fuorviante è più cortese), perché l'UE non ha un problema di competitività, dal momento che è in surplus di partite correnti: eventualmente si può argomentare che l'UE abbia un problema di produttività. Diciamo che io l'ho detta in modo più rude, fornendo una mia personale definizione di trombone sopravvalutato ("persona che in piena crisi del modello mercantilistico ravvisa un problema di competitività in un'area che ha un surplus estero superiore a quello della Cina"), ma tant'è: il concetto è lo stesso, e fanno meglio loro a esprimerlo in modo asettico (non sia mai che qualcuno mi accusi di invidiare economisti a basso h-index!).

Il problema di produttività c'è tutto, e ve lo mostro con una delle slides che al #goofy13 non vi ho fatto vedere (il tempo era poco, l'anno prossimo mi prendo due ore):


Se facciamo 100 nel 1995 il Pil in termini reali per addetto, AMECO prevede che al 2025 negli USA sarà aumentato di quasi il 60%, nell'UE di quasi il 30% (la metà) e nell'Eurozona di quasi il 20% (un terzo). Mi sembra evidente che quello che "tira su" la produttività dell'Unione europea è la performance dei Paesi non appartenenti all'Eurozona, e ci vuole poco a verificare che in effetti è così:


Naturalmente i Paesi "non-EZ" sono un insieme molto eterogeneo, composto per lo più da Paesi che partivano da posizioni relativamente arretrate. Tuttavia, i loro risultati smaglianti in termini di crescita della produttività non sono imputabili esclusivamente al meccanismo di catch-up implicito nel modello di crescita neoclassico, che spiegammo ad esempio qui, tra l'altro perché anche la Svezia, paese storicamente "avanzato", ha fatto meglio dell'Eurozona! Ma insomma, il problema di produttività c'è e si vede. 

Può forse stupire che dopo aver affermato questo problema, Blanchard e Ubide ne neghino la rilevanza:

"In comparing the European Union to the United States, and in characterizing the diagnostic of the report, Draghi has talked about an “existential challenge” and, if nothing is done, a “slow agony.” This overstates the case."

Insomma: parlare di "lenta agonia" dell'Eurozona sarebbe un'esagerazione. Certo è che la crescita del Pil per addetto (Blanchard e Ubide usano il Pil pro capite) nell'Eurozona è stata un terzo che negli Usa. Un gran successo non è...

Perché Blanchard e Ubide devono sminuire?

Io un'idea ce l'avrei, ma prima condivido seco voi un'altra riflessione, destinata ai più anziani del blog e studiosi. Alla luce del nostro modello di crescita standard, quello di Verdoorn-Kaldor-Thirlwall, spiegato ad esempio qui, il primo e il secondo grafico di questo post non sono coerenti: ci aspetteremmo infatti che la produttività sia maggiore (minore) dove maggiore è il surplus (deficit) della bilancia dei pagamenti. L'argomento è quello di Smith: al crescere dei mercati di sbocco viene incentivata l'innovazione di processo (divisione del lavoro), quindi aumenta la produttività, che non è un dato tecnico, esogeno, ma un dato endogeno, dipendente dalla domanda. Ci si aspetta quindi che cresca di più in Paesi i cui beni sono in domanda netta, che sono cioè esportatori netti. Invece cresce di più negli Usa (importatori netti) e di meno nell'Eurozona (esportatore netto).

Perché?

La risposta è in alcune slides che vi ho mostrato al #goofy13, e il suo tenore spiega anche perché Blanchard e Ubide, dopo aver puntato il dito sul problema di produttività, preferiscono poi girarci intorno.

Mi limito a una slide, quella centrale nel ragionamento:


Il modello di Thirlwall in linea di principio è sempre valido: la crescita delle esportazioni (nette) in linea di principio causa una crescita della produttività. Il problema dell'Eurozona però è che la crescita delle esportazioni nette è a sua volta stata provocata con misure che deprimono la produttività: la svalutazione interna, cioè la deflazione salariale. Certo, abbattere i salari fa aumentare le esportazioni perché abbatte il costo dei prodotti nazionali. Tuttavia, la compressione dei salari esercita un effetto avverso sulla produttività che compensa, riducendolo o addirittura azzerandolo, l'effetto propizio via aumento delle esportazioni. Altro sarebbe se la crescita delle esportazioni fosse assicurata via svalutazione esterna, cioè affidando il cambio di una ipotetica valuta nazionale alle forze di mercato.

Questo spiega, fra l'altro, il differenziale di produttività fra Paesi dell'Eurozona (necessità di tagliare i salari, produttività più bassa) e Paesi UE extra-Eurozona (possibilità di manovrare la valuta nazionale, produttività più alta).

Ma naturalmente questo banale fatto stilizzato a Blanchard e Uribe non fa comodo vederlo, quindi non lo vedono, sciorinando invece tutto il pattume supply-side che a Montesilvano ci fu propinato in occasione del #goofy8:

(Tir di faldoni, tabaccaie scalabili, amo perso er treno de 'a rivoluzzzione diggitale, ecc.).

Va bene così: il vero problema non fa comodo evidenziarlo nemmeno a noi. Nel momento in cui Germania e Francia si schiantano contro la propria arroganza, nel momento in cui le agenzie sono costrette se non ad alzarci il rating almeno a rivedere al rialzo l'outlook, inutile far casino per portare l'attenzione sulla "contraddizione principale". Quella è, e resta, l'euro, ma visto che ora sta lavorando per noi, ragazzi: lasciamola lavorare! Ora sono gli altri a dover tagliare i propri salari, e quindi la propria produttività. Il problema è loro: si prendano loro il costo politico di accennare la soluzione!


(...ci eravamo detti a settembre che la Francia poteva solo scegliere come, non se, far crescere il rapporto debito pubblico/Pil: aumentando la spesa sociale, o praticando politiche di austerità. Ha fatto la sua scelta: sarà austerità! Non possiamo che congratularci con Barnier: l'esperienza italiana dimostra che questo è il modo più rapido per far crescere il rapporto debito/Pil, e quindi presto non saremo più soli in testa alla classifica. Non è Schadenfreude! Semplicemente, ormai sapete che l'UE, come Goofynomics, è fatta di figli e di figliastri: quando i problemi li hanno solo i figliastri, va tutto bene, ma quando toccano i figli bisogna intervenire, e in questo caso è veramente difficile immaginare un intervento selettivo che aiuti solo i figli, trascurando i figliastri...)

(...ah, naturalmente non vi ho spiegato perché, invece, la produttività cresce negli Usa, che sono importatore netto. In realtà al #goofy13 l'ho detto: qualcuno se lo ricorda?...)

40 commenti:

  1. “Il problema è loro: si prendano loro il costo politico di accennare la soluzione!”.
    Non conosciamo i tempi ma è sempre stato spiegato che “... l’incidente prima o poi ci sarà…” (cit. Bagnai).
    Popcorn per tutti.
    P.s.: segnalo un piccolo refuso “l'Eurozona (cresce) di quasi il 30% (un terzo)”.

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    1. Grazie, corretto. In trent’anni il prodotto per addetto nell’Eurozona è cresciuto del 20%, che è un terzo del 60% di crescita registrato negli Usa. Non credo di dover aggiungere altro, o forse sì: magari costruire un grafico di come andava prima del 1995…

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    2. Sarebbe interessante, sebbene temporalmente ridotto e quindi non so quanto significativo, vedere l'andamento dal 1987 al 1992 (Sme, banda larga e stretta di oscillazione cambio).

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    3. La risposta è dentro di te… ma facciamo anche questo zoom! Ora però sto incidendo…

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    4. Dentro di me...e fa male. 😬
      Buona musica. 😊

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    5. Dentro di me...e fa male. 😬
      Buona musica. 😊

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  2. Egregio Onorevole,
    sono ovviamente d'accordo con quanto da lei sostenuto in merito all'effetto della svalutazione salariale sulla produttività.

    Vorrei, però, porre l'attenzione su un altro punto.
    Il monte ore lavorate o il totale degli addetti si dovrebbe riferire, a mio avviso, al totale delle risorse e degli impieghi, non al PIL.

    E' noto che:
    Risorse = Produzione totale + Importazioni
    Impieghi = Consumi intermedi + Consumi finali nazionali + Investimenti + Esportazioni

    Risulta:
    Produzione totale = Consumi intermedi + PIL
    I consumi intermedi ed il PIL si dividono quasi equamente il valore della Produzione totale.

    Il costante incremento dell'apertura dell'economia italiana, ma anche europea, a differenza di quella USA, fa si che il monte ore lavorate venga dedicato solo in parte al PIL, con una quota in decrescita continua. Ne risulta, quindi, una produttività del lavoro ridotta.

    Lei cosa ne pensa in merito?

    Grazie,
    Fabio

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    1. Penso che in contabilità nazionale le “risorse” (parola avariata dalla sinistra) sono date da Pil (cioè produzione finale) più importazioni, e… posso dimostrarlo! Ovviamente anche tu puoi dimostrare il contrario. 😉

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    2. Si, è vero, non compaiono i consumi intermedi.
      Ma sul fatto che le ore lavorate si debbano imputare alle risorse (o agli impieghi), piuttosto che al PIL, cosa ne pensa?
      È lì che vorrei arrivare.
      Grazie!

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    3. Che negli impieghi ci sono le importazioni (che sono ore lavorate altrove) e che la produttività ci interessa in relazione alla produzione finale, al prezzo che va sul cartellino (se aumenta la produttività ottieni una svalutazione reale, in teoria, cioè il prezzo diminuisce - o la quota dei profitti aumenta…).

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    4. Sulla prima parte sono d'accordo con lei solo in parte.
      Se consideriamo che l'industria italiana è per lo più trasformatrice, vuol dire che noi importiamo materia prima ed esportiamo prodotti finti (macchinari, arredamento, ecc.). Nel processo di trasformazione sicuramente c'è del lavoro, che dovrebbe essere conteggiato.
      Tuttavia, la cosa non cambierebbe sostanzialmente il risultato del calcolo (diciamo al più un incremento della produttività del 10% dal '95 al 2023).

      Sull'ultima parte, mi permetto di aggiungere qualcosa.
      Lei in pratica fa riferimento al fatto che la Produttività è anche data dal rapporto tra il Salario unitario nominale ed il Costo unitario del lavoro: p = w / ULC.
      Molti pensano che tenere fermi i salari w, porterebbe ad una riduzione di ULC e quindi ad un aumento della produttività p.
      Ciò sarebbe possibile in un regime fiscale espansivo e volto all'incentivazione degli investimenti. In tal caso, ULC subirebbe una riduzione, anche a causa della maggiore produttività dei processi (supply-side).
      Il problema sorge quanto ti ritrovi nell'Euro (impossibilità a svalutare la moneta e quindi obbligo a svalutare i salari) con in più l'austerità (riduzione investimenti pubblici e quindi privati).
      In questo caso, si entra in una trappola, in cui i salari, il reddito e la produttività non crescono (vedi Italia). Se provi ad alzare i salari perdi competitività, se non lo fai non incrementi la produttività. Direi che emerge un dilemma. La flessibilità sul cambio e sul bilancio permettono di risolvere il dilemma.

      Un saluto,
      Fabio

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    5. Fabio caro e stimato, tu puoi anche non essere totalmente d’accordo con me, ma… il problema non sono io (che comunque, nel mio programmatico rifiuto del consenso, accoglierei questo evento in un azimut molto ristretto dello sterminato orizzonte ecc.)! Il problema è la contabilità nazionale, e se vuoi metterti contro di lei temo di avere una brutta notizia per te: hai già perso! Di Kuznets ce n’è stato solo uno, il Nobel l’ha già preso, sctaaapposct!

      Sul discorso dei rapporti, invece, basta farlo al contrario ed è esattamente il discorso che mi accingevo a fare…

      Ma fammi prima incidere la prima fantasia di Frescobaldi (poi la strada sarà in discesa).

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  3. Buongiorno Onorevole, ciò che scrive nella prima parte del post rispecchia la mia esperienza. Quante volte mi è capitato di ascoltare o leggere suoi colleghi leghisti ed incazzarmi per la pochezza delle risposte e pensare:"caspita hanno una risorsa così importante come il blog , ma non leggono!"
    Ci viene concesso così poco spazio che bisogna essere più incisivi nel fare passare alcuni messaggi. Un esempio? Il discorso di LVI a la Hulpe...
    Cercavo Lei e il blog nel posto sbagliato, la televisione, ma non la lasciavano parlare e quello che affermava era interessante per me. Una breve ricerca e ho trovato la mia casa, Lei e poi l'Onorevole Borghi. Grazie.

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  4. Mi viene da pensare questo: allo stesso simmetrico modo in cui l’EZ è in surplus ma tende a non rivalutare agendo al ribasso sulla leva salariale (il cui costo sulla produttività può arrivare ad essere maggiore rispetto al beneficio da domanda netta), gli USA, in deficit, tendono a non svalutare agendo al rialzo sulla leva salariale, cosa che più che compensa, in termini di produttività, l’effetto negativo da importazioni nette.
    È corretto? Oppure al goofy hai accennato a qualcos’altro che mi è sfuggito?

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    1. C’è anche un discorso di sostituzione della domanda autonoma estera (export) con domanda autonoma interna (spesa pubblica). Del resto l’austerità serve a comprimere i salari, no? Questo lo sapreste argomentare?

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    2. Se ho ben capito la tua puntualizzazione e la tua domanda, riguardo all’EZ, con “agendo al ribasso sulla leva salariale” sottintendevo “tramite austerità”, e riguardo agli USA, con “agendo al rialzo sulla leva salariale” sottintendevo “tramite politiche di bilancio espansive”.
      Sulla stessa linea di ragionamento e in altri termini, così come negli USA il deficit viene mantenuto dal sostenimento della domanda interna tramite spesa pubblica (per coerenza, eccessiva, giusto?), in EZ il surplus viene mantenuto dalla flessione della domanda interna tramite austerità.

      Ipotizzando che il ragionamento sia corretto, vado avanti con due domande, sicuramente banali e che trattano argomenti qui sicuramente già trattati e quindi da me già incontrati ma, per mancanza di dedizione, scordati, quindi mi scuso anticipatamente.

      1) Gli USA come fanno a tenere a bada l’inflazione?

      Mi viene da pensare che l’aumento eccessivo di inflazione derivante dagli stimoli eccessivi – tramite spesa pubblica – della domanda interna (aumento eccessivo rispetto a quello che si verificherebbe in una situazione di “X–M=0” che implicherebbe una spesa pubblica “ridimensionata”) sia mitizzato dal minor aumento dell’inflazione derivante dal deficit di domanda estera (anche in questo caso, minor aumento rispetto a quello che si verificherebbe in una situazione di “X–M=0”).

      2) Essendo EZ e USA rispettivamente in surplus e in deficit, quali forze impediscono all’Euro di rivalutarsi e al Dollaro di svalutarsi? Forse c’entrano le politiche delle rispettive banche centrali (in questo caso sarebbe opportuno parlare di riserve in valuta estera?)? Le dinamiche commerciali col resto del mondo?

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    3. "Gli USA come fanno a tenere a bada l’inflazione?"

      Forse perché insieme alle "merci" ne "importano" anche gli "utili" ?
      Altrimenti come si spiega il "non sense" tedesco di fare gigantesche "esportazioni" senza che il "sistema " tedesco ne tragga "profitto" ?

      Comunque ora questo " carry trade " è saltato datosi che i capitali tedeschi così "esportati" in USA in vario modo ( mutui subprime acquisto della Monsanto ect ) non bastano più e dovranno essere "esportate" direttamente le "fabbriche".

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    4. Cerco di rispondere alle due domande di Marco Morandi.

      1) Gli USA storicamente hanno avuto un'inflazione maggiore della EA.
      L'effetto della bilancia commerciale sull'inflazione è legato al fatto che gli USA potrebbero importare più beni a basso costo (in % al PIL), rispetto all'EA.

      2) Non conta solo il tasso di cambio nominale, determinato dalle scelte di FED e BCE. Conta il tasso di cambio reale, che tiene conto della dinamica relativa dei prezzi. L'EA, in tal senso, ha agito calmierando i prezzi, mediante la svalutazione salariale.
      In realtà le banche centrali hanno anche e soprattutto il mandato di mantenere stabile e limitata l'inflazione, avendo quindi un effetto diretto sul tasso di cambio reale. Mentre la BCE, di impostazione tedesca, ha assunto un atteggiamento rigido nei confronti dell'inflazione, negli USA il duplice mandato obbliga la FED a considerare anche la piena occupazione.

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    5. Per quanto riguarda la domanda #2: credo che una forza di mercato importante sia la domanda di asset denominati in dollari da parte dei risparmiatori del resto del mondo. Se tale domanda è forte, il valore del dollaro si mantiene alto. E sembra che il mondo sia affamato di asset denominati in dollari: U.S. Department of the Treasury: report on foreign portfolio holdings of U.S. securities at end June 2023. Parliamo di un totale di 26 mila miliardi di dollari. Interessante guardare nella lista di Paesi chi ha investito, e quanto.

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    6. Raffaele, guarderei anche il bicchiere mezzo vuoto: la domanda di dollari non dipende solo dai risparmiatori ma dai debitori in dollari. Il "mondo" è indebitato come non mai e la maggior parte di questi debiti sono USD. Per ripagare i dollari che devi restituire li devi comprare!

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    7. Certo, anche il fatto che molti Paesi del mondo scelgano di indebitarsi in dollari americani piuttosto che in una propria valuta nazionale o in altra valuta crea domanda per asset denominati in dollari al fine di ripagare il debito. Nessuna obiezione su questo.

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    8. C’è da capire chi sarebbe disposto a prestare a certi Paesi una diversa valuta, magari quella nazionale, soggetta al rischio di svalutazione. Suggerisco di consultare la letteratura sul peccato originale. Non è solo un fatto di “volersi” indebitare in dollari. È soprattutto un “non potersi” indebitare in altro.

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  5. A conferma della prima parte del post, piazzo qui un aneddoto su un mio politico locale. X:" Ah, conosci Bagnai? Sai, lui per noi è un punto di riferimento". Io:" beh, per me lo è senza dubbio dato che frequento da qualche anno il Goofy ...". X:" Il cosa?!". Io:😐

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  6. Come facevi giustamente notare al #goofy13 (e da svariati anni in precedenza :-) ) anche gli investimenti incidono sulla produttività, così sono andato a vedermi un po' di dati aggiornati (dati Worldbank, Gross fixed capital formation % GDP): https://ibb.co/j8fM6t4 . Si vede bene il crollo degli investimenti in Italia e la staticità della Germania. Ma il confronto diventa impari se si considera anche la Cina: https://ibb.co/2gzp4z6. Più che "Oggi c'è la Ciiiiinahhh!" dovrebbero dire "Oggi non c'è l'Unioneeeeehhhh monetariaahh". E del resto, non ci può essere, per sua essenza.

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  7. E chi se lo sarebbe mai aspettato! Per giustificare la crisi tedesca il mainstream e' arrivato ad incolpare di assenteismo il germanico popolo. Infatti il Corrierone, e chi senno', afferma che sfruttando una legge dell' era covid i nostri si danno malati al telefono senza obbligo di visita medica ( perche' prima che tettteschi sono uomini e l' occasione sappiamo a cosa porta ). Il fatto e' che tale incremento di assenteismo avrebbe portato ad un calo del PIL di 0,8 punti ( si, zerovirgolaotto ) che, considerando l' economia teutonica la terza economia mondiale, se non erro, corrisponde a circa 36 mijiardi ( importo superiore ad una nostra manovra di bilancio ). Da capire se l' autore intenda che le persone malate non producono o non consumano ( difficile assaporare una fiorentina sorseggiando una bottiglia di Brunello se fingi di essere a letto col termometro in bocca ). Ma credo il giornalista non si sia posto tale dilemma. Immagino quindi sia urgente l' approvazione di una legge che abolisca la malattia tout court ( o approvi una cura che la debelli...). A quando il robot consumatore? Perche' finora i robot esistono lato produzione, ma se non li mettono anche lato consumo non ci si puo' piu' neanche ammalare! Niente di nuovo per chi e' nel Dibattito, ma fa sempre piacere leggere certe chicche. Link : https://www.corriere.it/economia/lavoro/24_novembre_01/i-tedeschi-sono-diventati-fannulloni-cosi-la-crescita-delle-ore-di-malattia-dei-lavoratori-incide-sul-pil-bb756537-5709-4c70-ab19-45edce828xlk.shtml

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    1. Avevo intravisto questa chicca nei miasmi della cloaca grazie a Sergio, credo (sapete che non mi cibo di pattume informativo), ma apprezzate la forza dell’avversario! Pur di divertire l’attenzione dall’origine del problema (a voi ben nota) loro sono capaci di denegare così, de bbotto, senza fare un plissé, anche i loro miti fondanti, come la venerazione per la razza ariana produttiva e incorrotta (quando qui sappiamo bene e abbiamo discusso tante volte il fatto che anche il popolo tedesco è mediamente cialtrone e corrotto come tutti i popoli dell’universo mondo - cioè poco ma non per niente!). La loro forza è questa! Capite perché mi esasperano i “puri e duri” che ci siamo trovati a bordo? Dobbiamo avere anche noi la forza di adattare il messaggio alle circostanze. L’esempio più ovvio discende da questo post. Noi sappiamo benissimo che il problema è l’euro e perché il problema è l’euro. Ma che senso avrebbe farne ora un vessillo, se non quello di mettere in difficoltà il Paese in un momento in cui questo problema colpisce più altri che noi? E invece i puri e duri (de coccia), come er sor Perepé, vengono a spiegarci cose…

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    2. Egregio Onorevole,
      Concordo pienamente con la sua impostazione tattica.

      Ora come ora, i riflettori sono puntati su Germania e Francia. La prima per la stagnazione economica, la seconda per i deficit gemelli. Entrambe hanno, inoltre, una governance alquanto precaria, a differenza della nostra.
      Sta a noi non dare loro alcun pretesto per riportare l'attenzione sull'Italia. Questo significa impostare una politica di bilancio equilibrata (che non vuol dire in equilibrio) e mantenere una comunicazione istituzionale rassicurante.
      In pratica, li dovremo accompagnare sul sentiero verso l'uscita dall'euro, senza offrire loro alcuna scappatoia.

      Un saluto,
      Fabio

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    3. Ribadisco a beneficio dei vari epigoni decerebrati strombazzanti che questa è sempre stata la mia ipotesi di base, a partire da quando, la prima volta che mi trovai in uno studio televisivo, dissi a un conduttore che si credeva intelligente che sarebbe stato l’euro a uscire da noi.

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  8. Da quello che è emerso a Montesilvano riguardo alle élite tedesche ci sarebbe il rischio che mentre si vanno a schiantare, pur di limitare i danni, si inventano qualcosa per usarci come airbag (e qui sta, forse, il vantaggio di avere certe persone in maggioranza).

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    1. Sinceramente a Montesilvano è emerso che tutta questa capacità strategica in Europa non c’è.

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  9. «qualcuno se lo ricorda?»

    Spero di sì (e mi auguro che i tag per il link siano corretti):

    [url=https://www.youtube.com/watch?v=blPYQB7KTF8&t=3768s]"L'Unione può farcela?" (Alberto Bagnai) 1:02:48[/url]

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  10. Buongiorno a tutti.
    Volevo segnalare il mancato funzionamento di due link attivi: contabilità nazionale e peccato originale .

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  11. Ma al netto dell'euro, se il tabaccaio (o la piccola impresa generica) fosse un po' più grande, un po' più digitalizzata e con un po' meno burocrazia (e maggiore certezza del diritto), non sarebbe meglio?

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    1. Caro Marco, apprezzo i tuoi commenti perché ci ritrovo tutta la freschezza e l’entusiasmo di chi proprio non vuole arrendersi all’evidenza! Ma che domanda è? È una domanda che pretende di avere in sé la risposta, ma non sempre il collegamento è così ovvio. Certo che meno burocrazia e più giustizia aiuterebbero (come pure aiuterebbe sconfiggere la fame nel mondo, per dire…). Fino a qui ci siamo. Ma mi stai dicendo che secondo te il fornaio sotto casa tua dovrebbe diventare una multinazionale? Chi ve l’ha messa in testa questa cosa delle dimensioni? Le vostre donne, credo, perché nei libri di economia non c’è: esistono naturalmente economie di scala ma sono circoscritte e da valutare caso per caso. E quest’altra storia della digitalizzazione che “rende produttivi” da dove salta fuori? C’è uno studio? Se c’è leggiamolo insieme. Certo che la digitalizzazione aumenta la produttività in alcuni settori! Ti sto rispondendo da uno smartphone dal quale sto altresì seguendo gli sviluppi (non tutti fausti) della legge di bilancio, per dire. Ma chi vi ha messo in testa che le PMI non siano digitalizzate (a sufficienza)? Ci sono studi? Riscontri? Tu entri mai in un’azienda? Che cosa produce l’ultima azienda in cui sei entrato?

      Qui stiamo parlando di una cosa che ha un’impatto molto più esteso e generalizzato, cioè del fatto che se non ti pagano il giusto lavori malvolentieri (per dirne una) e che viviamo in in sistema in cui pagare il giusto porta al fallimento. Non so, forse non sono chiaro, ma il grafico dovrebbe esserlo…

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  12. Piuttosto mi verrebbe di chiederlo a te quand’è l’ultima volta che sei entrato in un’azienda, visto che hai fatto il professore e il politico.
    Se volessimo fare un discorso generale, il modello vincente di azienda negli ultimi vent’anni almeno è stata la “big tech”. Gli stipendi degli ingegneri informatici sono tra i più alti e lo stipendio tende a crescere con la dimensione dell’azienda.
    Poi ci sono anche questioni di teoria economia a supporto della questione dimensione. Si parte dalla constatazione banale che le economie di scala permettono di ridurre i costi medi perché i costi fissi di diluiscono su più unità di prodotto. Le imprese più grandi dispongono di maggiori risorse finanziarie, che consentono investimenti significativi in tecnologie avanzate, innovazione e capitale umano, tutti elementi che aumentano la produttività. Le grandi imprese possono permettersi una gestione manageriale più specializzata. Le imprese più grandi hanno un accesso migliore a mercati globali, sia lato finanziamento che lato vendita. Non dimentichiamoci che le aziende esportatrici sono per la maggior parte non piccole. Poi c’è la ricerca e sviluppo, che si fa nelle grandi aziende. Le imprese di dimensioni maggiori sono più propense ad adottare tecnologie avanzate, data la loro maggiore capacità di ammortizzare i costi iniziali. Ciò favorisce l’efficienza produttiva e il vantaggio competitivo. Le grandi imprese attraggono lavoratori più qualificati, offrendo salari più alti. Poi c’è la questione di posizione dominante all’interno delle catene di fornitura on distributori e clienti.
    Empiriche la correlazione dimensione-produttività è riportata in moltissimi studi e solo chi non vuole vedere quei dati non li ha visti.
    Dato che c’è sia la teoria a supporto che parecchia evidenza empirica, io mi sento di affermare che la dimensione è generalmente uno dei fattori che meglio spiegano la varianza di produttività tra aziende.
    Poi oh, magari anche l'euro è una causa della pessima situazione italiana, però che sia l'unica lo escluderei.

    PS: gli stipendi da analista a Wall street o da sviluppatore software a Zurigo non sono malaccio e non mi sembra che stiano fallendo tutti da quelle parti.

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    1. Senti, io mi sarei anche rotto i coglioni di rispondere a nullità supponenti. Intanto tu non hai risposto alla mia domanda, e io rispondo alla tua: le ultime due aziende che ho visitato sono la Toro di Salle e Fausto Zazzara di Tocco da Casauria, il 28 ottobre scorso. Poi ho avuto da fare qui con la legge di bilancio. A te se ti vedono alle porte di un’azienda difficilmente ti faranno entrare, ma se ti interessasse visitarne una, per capire quanto sono gigantesche le banalità che i tuoi riferimenti ideologici spacciano sul tessuto imprenditoriale italiano, potrei portarti con me.

      Dopo di che, fammi una cortesia: chiedi agli “analisti di Wall Street” chi gli cuoce quella merda che loro chiamano pane? Perché il mondo che hanno in mente gli spaghetti-liberisti drindriniani, tutto innovescion e distintivo, dove si “fa Pil” solo sul segmento “ad alto valore aggiunto”, e quindi il caffè lo bevi da Starbucks, ecc., è come Venezia: è bello ma non ci vivrei, o forse è come il Molise: non esiste.

      E infatti tu blateri a vanvera di economia ma vigliacca se citi un paper o un’azienda!

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    2. Questa nullità supponente, che ti ricorda che ti paga lo stipendio, lavora spesso in processi di fusione e acquisizione e quindi, oltre all’azienda dove lavora, la fanno entrare anche in altre aziende, solitamente per parlare con l’amministratore delegato o altri dirigenti apicali.
      Detto ciò, trovo estremamente ideologico il voler negare che tecnologia e dimensione aziendale siano dei fattori di crescita della produttività. Per quanto riguarda la dimensione, nel settore manifatturiero la relazione positiva dimensione-produttività e quindi anche con lo stipendio, è un dato acquisito dalla ricerca empirica, quindi nel caso tocca a te dimostrare che non è più così. Buona fortuna.
      Per il settore dei servizi la questione cambia, e il premio della dimensione sembra essere più incerto e meno forte rispetto all’industria. In ogni caso nei dati OECD si vede che a livello aggregato la relazione continua a tenere abbastanza, ed affermare che la produttività cresce con la dimensione rimane più vero che falso, specialmente in Italia.
      Su innovazione e classe dimensionale di trovano dei dati ISTAT qui e qui. Qui invece un paper (questa entità mistica) con studi sulla relazione innovazione, dimensione impresa e altri fattori.
      Le aziende esportatrici tendono ad essere le più grandi, e qua basta andare al database OECD e sfrucugliare un attimo.
      Le aziende tendono ad essere più produttive e pagare di più al crescere della dimensione. E lo spaghetti liberismo e preferenza per lavori iper-skillati nel segmento ad alto valore aggiunto c‘entra ben poco, visto che la relazione vale soprattutto per il settore della manifattura. Poi se non vogliamo che tutti gli ingegneri informatici che abbiamo vadano a lavorare fuori dall’Italia magari un pensierino su come far crescere anche i loro stipendi lo farei.
      Ovviamente la condizione di ridotta dimensione aziendale italiana non è frutto del caso, ma del disegno del sistema fiscale e legale. Qui un paper che tratta il tema ma ce ne sono diversi a tal riguardo.
      Poi sulla relazione tecnologia-produttività non mi ci metto neanche perché non penso che si debba dimostrare che il progresso tecnologico induca aumenti di produttività. Se si vuole affermare il contrario anche qua buona fortuna.
      Potrei finire raccontando di come a Tenaris utilizzino il machine learning per ridurre i costi di produzione, e di come questi sistemi, grazie alla scalabilità permessa dal digitale, una volta messi a punto vengano applicati in tutti gli stabilimenti che hanno in giro per il mondo, ottenere giganteschi ritorni sull’investimento in R&S. Magari questa storia la teniamo per un’altra volta.
      PS: non so se i tuoi figli sono laureati o meno, ma immagino di sì. Il mondo tutto innovescion e distintivo farebbe maggiormente i loro interessi rispetto alla stagnazione basata sulla bottega familiare che hai in mente. Io sinceramente non me la immagino l’economia italiana trainata dai panettieri, ma piuttosto dall’industria e dai servizi avanzati, però magari mi sbaglio. Sugli altri deliri del pane a Wall Street non so cosa dire, ma immagino ci siano dei paper interessanti a tal riguardo.

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    3. Gentile utente, la ringrazio per il contributo costruttivo. Quindi lei mi dta dicendo che il flattening della produttività europea e italiana all’inizio del secolo è dovuto al fatto che tutte le imprese europee si sono ristrette (la domestica ha sbagliato il programma della lavatrice…) e che il panettiere all’angolo dovrebbe diventate una big tech. Non condivido la sua visione del mondo (ai senzienti: ricordatemi di aggiungerlo al dizionario). Lei sta dicendo che esistono solo le economie di scala, perché vive in una industry che campa di “multipli”, ed è giusto che sia così. Io dico che esistono anche le economie di scala e che un minimo di biodiversità imprenditoriale è un fattore di resilienza. Lei non ha (perché non ce l’ha, né lei né quelli che lei prende per economisti e sono solo dei matematici falliti) un modello per spiegare la catastrofe della produttività europea, io ce l’ho. A lei interessa avere ragione. A me interessa avere torto. Ma ho ragione, quindi si regoli oculatamente nel suo lavoro. Mi stia bene e mi saluti quel covo di ideologi esentasse che va sotto il nome di OECD (uno dei tanti pezzi di quella governance sovranazionale che andrebbe smantellata in nome della civiltà e dell’uso efficiente del denaro pubblico).

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