Avrei molte cose da dirvi, su vari argomenti. Siamo in un momento particolarmente lurido, quello che Claudio aveva magistralmente descritto dodici anni or sono:
(purtroppo la fonte originale, cioè il suo intervento a "L'Ultima Parola", non sono in grado di fornirvela), e i cambi di paradigma (per dirla con un termine che vi diventerà familiare fra una settimana), o, se vogliamo, i voltafaccia, sono all'ordine del giorno. Potrei parlarvi del Giavazzo bifronte (e in effetti dal 25 aprile scorso ho in bozza un post così intitolato...), potrei parlarvi di come le istituzioni europee confessano senza rendersene conto il proprio fallimento, potrei parlarvi di tante cose, ma oggi questo può farlo anche un operatore informativo!
I voltafaccia del Giavazzo, dopo quello del sette settembre 2015 (chi se lo ricorda?), non credo ci stupiscano! Le ammissioni delle istituzioni europee, dopo quella di Draghi a La Hulpe, sono solo una banale rifinitura di questioni di dettaglio. Non credo valga la pena di perdere il sonno appiccicati a un PC né per descriverle né per farsele descrivere.
Vale invece certamente la pena guardare avanti, e oggi vorrei farlo nel modo che di solito è più produttivo, cioè guardando indietro. Il nuovo Piller & Gumpel (qualcuno si ricorda i vecchi?) sul panorama social è un tal Robin J. Brooks, che, se avete bisogno di tirarvi su il morale, trovate qui. Si tratta di un SDHIC (single-digit h-index colleague) con 10 documenti citati su Scopus:
Non saprei dirvi se in Italia potrebbe avere un'abilitazione da ordinario, ma è un fatto che su Twitter può dire oggi quello che Oscar Giannino diceva da noi una dozzina di anni fa. Il suo paradigma non ha risentito del voltafaccia del Giavazzo bifronte (il voltafaccia del 2015, intendo): la colpa è del debbitopubblico, ecc. Sono inciampato per caso nel tweet di un tal Daniel Kral, che invece non mi sembra uno stupido, in cui questi, forse senza saperlo, ribaltava la tesi di Brooks, secondo cui la BCE starebbe aiutando l'Italia, e l'ho commentato al volo così:
auspicando che queste menti elette, questi economisti di professione (più antica del mondo) si confrontassero e ne venissero a una su un punto non banale: la BCE fa politica (con altri mezzi) o no?
Mi sono poi messo a seguire un po' il Kral, che come l'Heimberger è uno che fornisce dati interessanti, anche se per noi non particolarmente sorprendenti, e ho trovato in particolare un'osservazione che mi sembra condivisibile e che quindi vi sottopongo:
Per un'associazione di idee non particolarmente originale, questa osservazione mi ha riportato a una mia vecchia ricerca, fatta col Prof. Manzocchi della Luiss (che all'epoca non era della Luiss ma era già professore associato), quella sui Current account reversals in developing countries, cioè sull'inversione di tendenza del saldo delle partite correnti nei paesi in via di sviluppo. Si trattava insomma di una generalizzazione del fenomeno che più o meno negli stessi anni Guillermo Calvo definiva un sudden stop (la sua definizione poi ha prevalso in letteratura). Generalizzazione perché Calvo si soffermava solo sui casi in cui in arresto improvviso (sudden stop) dei finanziamenti esteri si rifletteva in un brusco miglioramento del deficit delle partite correnti, cioè nel passaggio da un rilevante deficit estero (importazione di capitali) a un deficit estero meno rilevante (minore importazione di capitali) o addirittura a un surplus (esportazione di capitali, cioè rimborso di debiti esteri).
Questo fenomeno noi lo chiamavamo positive reversal: un cambio di segno delle partite correnti dal meno al più.
Nel nostro paper (che qui trovate in preprint) consideravamo però anche il caso opposto: quello in cui un Paese passa da una situazione di esportazione di capitali (e quindi di surplus delle partite correnti) a una situazione di importazione di capitali (cioè di deficit delle partite correnti): insomma, quello che molti anni dopo qui avremmo imparato a riconoscere come l'innesco di un ciclo di Frenkel e avremmo descritto nel Romanzo di centro e di periferia e che all'epoca chiamavamo negative reversal, cioè un cambio di segno delle partite correnti dal più al meno.
Il nostro articolo aveva quindi un ambito più ampio, il che fu probabilmente una delle cause del suo successo relativamente scarso (75 citazioni su Google Scholar e 11 su Scopus, dove il mio paper più citato è questo, con 37 citazioni: ma ne parleremo un altro giorno). In effetti, noi ci soffermavamo anche su una cosa che forse si preferiva non investigare, ovvero in che modo i Paesi in via di sviluppo si mettono su un percorso che poi li condurrà a una crisi finanziaria.
Tornando ad oggi, nel frattempo i bravi economisti nell'ordine ci hanno spiegato due cose:
1) che i Paesi che si indebitano in una valuta che non controllano sono de facto Paesi in via di sviluppo (questo ce lo ha spiegato De Grauwe qui):
2) che la crisi europea non è stata una crisi di sostenibilità del debito pubblico ma di sostenibilità del debito estero, cioè un sudden stop (e questo ce lo ha spiegato il Giavazzo bifronte nel suo primo spettacolare voltafaccia qui):Quindi, se i Paesi europei erano strutturalmente affini a quelli in via di sviluppo (De Grauwe dixit), e se la loro crisi era una crisi da sudden stop (Giavazzo dixit), la mia ricerca (con Manzocchi) sui sudden stop nei Paesi in via di sviluppo si applicava perfettamente al caso nostro!
Due osservazioni:
1) gli operatori informativi, porelli, non possono saperlo, perché non sono del mestiere, anche quando sono bravi, ma non è certo in questo fine settimana che il Giavazzo bifronte ha ammesso che alla fine il debito pubblico non c'entra un gran che con le nostre crisi e quindi (implicitamente) se ne potrebbe anche fare un po' di più! Si può tranquillamente risalire al 2015 per una simile ammissione, come vi ho documentato.
2) io in realtà me ne ero accorto molto prima del 2015: sul fatto che questa fosse una crisi da debito estero e non da debito pubblico ci aprii questo blog il 16 novembre del 2011, cosa che vi ho ripetuto usque ad nauseam, ma, cosa che forse sapete di meno, ci ero anche intervenuto su un blog ben più paludato, quello dei Bocconi boys, parlando, il 26 luglio di quello stesso anno difficile, de Lo spettro del 1992.
Il mio punto era molto simile a quello che il buon Kral ci ripropone tredici anni dopo: quello che preoccupava era l'indebitamento estero, soprattutto per la parte dovuta ai crescenti pagamenti di interessi sul debito estero! Kral in realtà si sofferma sui pagamenti di interessi sul debito pubblico (vabbè, anche lui, poverino, come Brooks, vive nel paradigma precedente al voltafaccia del Giavazzo), ma il punto è che, indipendentemente da chi lo detenga, il problema del debito è pagarci gli interessi, è il suo "servizio", che ovviamente dipende dalla sua entità ma non solo. Dipende, ad esempio, anche dal peccato originale, cioè dal fatto che tu debba o meno procurarti all'estero la valuta per pagarci sopra gli interessi, cioè, in sintesi, dal fatto che tu sia o meno un Paese del terzo mondo, o un Paese dell'Unione Europea (che finanziariamente sono la stessa cosa).
Perché mai mi interessavo a questa astrusa variabile? Perché dodici anni prima, nel nostro articolo del 1999 (coevo der Palla), le stime che avevamo fatto portavano a questi risultati:
Ve li commento in breve, come all'epoca non avrei saputo fare, perché questi fenomeni erano per me un oggetto astratto e distante di studio, non un elemento presente e concreto nel quotidiano. La tabella forse conviene leggerla da destra a sinistra, cioè dai fattori che determinano un peggioramento dei conti correnti (colonna 2) a quello che succede quando si è costretti a farli migliorare (colonna 1).
Nella fase di peggioramento del saldo estero, ovviamente aumenta il debito estero (il coefficiente del debito estero è quindi negativo a -0.11 e significativo),
(...la faccio stretta per i non statistici: per capire se il coefficiente è statisticamente significativo bisogna guardare il numero fra parentesi tonde riportato sotto di esso: è un test di significatività statistica noto come t di Student e a spanne se è maggiore di due il coefficiente è statisticamente rilevante...)
peggiora il deficit pubblico (il coefficiente del deficit pubblico è positivo, cioè i due deficit si muovono insieme, ed è pari a 0.56, il che significa che ogni punto di peggioramento del deficit pubblico porta a un peggioramento di 0.56 punti del deficit delle partite correnti), ma naturalmente si cresce molto, e quindi il tasso di crescita dell'economia ha un coefficiente molto significativo e negativo, pari a -0.54, a significare che ogni punto di crescita in più fa diminuire il saldo estero di 0.54 punti percentuali di Pil.
Nella fase di miglioramento, cioè di sudden stop, descritta nella colonna 1, le cose cambiano abbastanza. Il deficit estero resta associato a quello pubblico, nel senso che una stretta di un punto del deficit pubblico (un suo "miglioramento") determina un miglioramento di 0.44 punti del deficit estero, ma il debito estero perde di significatività (e quindi il sudden stop non è necessariamente associato a un suo abbattimento, almeno non in rapporto al Pil, il che si può anche capire perché la stretta fiscale fa diminuire anche il denominatore, cioè il Pil), e il tasso di crescita dell'economia perde qualsiasi rilevanza: spingere in recessione l'economia non sembra essere di grande aiuto, ma noi lo abbiamo comunque fatto, "pe nun fasse mancà ggnente", come dicono a Roma...
Va bene, ora devo dormire: la giornata è stata lunga e nevosa: ne parliamo domani, e magari andiamo un po' a fondo agli argomenti di Kral: come erano messe la Grecia nel 2010 e l'Italia nel 2011? E com'è messa oggi la Francia? Penso anch'io che per certi versi sia messa meglio degli altri due Paesi citati, ma eventualmente perché (e quindi per quanto manterrà questo vantaggio), e quali variabili occorre monitorare?
Ecco, questo mi sembra un esercizio più utile della Schadenfreude, o del rimarcare che un certo ingegnere, per sopravvivere a se stesso, è costretto a dire nel 2024 quello che noi dicevamo nel 2011.
Parce sepultis.
(...e a questo proposito devo anche una risposta al dottor Cartabellotta, ma preferisco prepararmi meglio il discorso di Venezia: gli risponderò dal treno...)
Non ho capito, forse perchè distrattio dalle notizie geopolitiche, quali sarabbero le novità?
RispondiEliminaHo cercato la parola “novità” nel post e non l’ho trovata. Questo commento sgrammaticato e polemico quindi mi sembra un po’ fuori argomento. I motivi per i quali questo commento non è pertinentesono almeno due: intanto in questo post si spiega che quella che i giornali presentano come una novità (i voltafaccia di Giavazzi) è storia vecchia di almeno nove anni. Qui le non novità sono due: i farisei del politicamente corretto appoggiano la propria credibilità non sulla coerenza del proprio pensiero con i principi della propria disciplina ma sul sostegno che ricevono da interessi economici costituiti, e quindi possono permettersi di cambiare idea in scioltezza; inoltre, i giornalisti non sanno molto spesso di che cosa parlano, o hanno una memoria corta, o hanno una memoria selettiva. Quindi non c’è nessuna novità. Ma quello che vanifica l’unica cosa chiara del tuo commento, cioè l’intento polemico, è il fatto che qui, con grande scrupolo, ho sempre tenuto a precisare che si stava facendo quella che Kuhn chiama “scienza normale“: la denuncia dell’insostenibilità dell’euro, insomma, tutto era tranne che una novità o una scoperta. Era roba scritta nei manuali di macro. Non ho mai aspirato al ruolo di portatore di novità dirompenti. Chi vuole stupirsi con novità va sui giornali dove gli presentano come novità cose successe anni o decenni prima, o, in alternativa, cose sempre successe. Se posso permettermi un suggerimento, torna a leggere Repubblica.
EliminaQuindi "l'occhialaio di livorno" (cit.) e "letterato" (in BdI ) che tutto fece per "esternizzare" "l' italico debbbito" può essere finalmente consegnato alla SStoria come "stupido" ( o "traditore"? ) o ce lo dobbiamo ancora venerare ( verbo derivato da "venerabile" ) come "padre della patria " ?
RispondiEliminaLa ringrazio per l’osservazione che mi consente di ribadire il solito concetto: della buona fede di Prodi o di Ciampi non me ne frega nulla, e non dovrebbe fregare nulla a nessuno, per i motivi più volte ribaditi. A me non interessa se chi mi danneggia è stupido o malvagio, soprattutto in contesti in cui è un po’ complesso fargli causa per danni. A me interessa capire se mi stanno danneggiando e neutralizzare chi lo sta facendo, o almeno compensare in qualche modo il danno che mi viene fatto. Per il resto, è perfettamente possibile che persona laureata in materia diversa dall’economia possa non avere intuito tutta la portata di alcuni sviluppi istituzionali. Ma, torno a dire, a me questo non interessa.
EliminaPer rispondere all'ultima domanda del suo post "quali variabili occorre monitorare?", se dopo questi anni ho appreso qualcosa, immagino si starà parlando del saldo redditi della bilancia dei pagamenti, che misura i flussi di redditi netti da o verso l'estero, e in particolare la parte relativa ai redditi da capitale, che misura il servizio del debito estero netto. Nel frattempo aspetto volentieri il suo prossimo post sulla situazione debitoria della Francia.
RispondiEliminaIn effetti il punto è questo e bisogna con un po’ di pazienza entrare nella composizione delle voci attive e passive e quindi le loro possibili rendimenti.
EliminaAttendo volentieri, anche perché purtroppo questa tendenza a occuparsi solo di debito pubblico temo pervada anche le Università di Economia, o perlomeno quella che ho frequentato io, visto che nonostante un corso di Macroeconomia, uno di Politica Economica, un altro di Crisi Finanziarie e un altro ancora di Economia Monetaria e Finanziaria il tema della bilancia dei pagamenti, dei suoi saldi e relativa interpretazione e del suo rapporto con il concetto di debito estero mi sembra davvero molto trascurato (sarebbe proprio il caso di dire, citando un vecchio post del blog, "La bilancia dei pagamenti, questa sconosciuta").
EliminaTutto quello che ho appreso a riguardo (o che spero di aver appreso) viene fondamentalmente dai vari post che ha scritto a riguardo, oltre che da "Il tramonto dell'euro".
Dobbiamo restare aperti al dubbio (ma io tanti dubbi non ne avrei) che i tuoi insegnanti frequentino molto di più certe articolesse intellettualmente povere, piuttosto che la letteratura scientifica o i manuali di riferimento internazionali. Vero è che sui manuali non c’è molto, ma nei paper qualcosa si trova, e già basterebbe che i tuoi professori avessero letto quelli citati in questo post perché gli si aprisse un mondo che in tutta evidenza ignorano, dato che il loro stipendio non dipende dal conoscerlo.
EliminaEgregio Onorevole,
RispondiEliminaprima di rispondere alla sua domanda, le segnalo (anche se probabilmente lo conosce già) il seguente post di Daniel Gros:
https://cepr.org/voxeu/columns/external-versus-domestic-debt-euro-crisis
Oltre all'evidenza della relazione empirica tra spreads e partite correnti, reputo interessanti anche i ragionamenti che portano a concludere come sia più "importante" il debito estero rispetto a quello pubblico.
Venendo alla sua domanda, per rispondere farò riferimento al seguente articolo:
https://www.elibrary.imf.org/downloadpdf/journals/001/2021/020/001.2021.issue-020-en.pdf
Gli autori distinguono tra "external crisis" e "suddend stop".
Volendo considerare la prima, nella quale rientra anche il caso greco, si avrebbe (dall'articolo):
1) Sharp increase in foreign currency denominated external debt liabilities, (which in part reflects valuation effects from currency depreciation, and lower real GDP growth in the years preceding the crisis).
2) Foreign currency external debt assets also rise, reflecting a combination of private capital flight and valuation effects, while foreign exchange reserves decline sharply just ahead of the crisis.
3) The decline in foreign official reserves precedes the crisis but continues in its aftermath.
Un saluto,
Fabio