domenica 22 dicembre 2024

Politicizzazione (s.f.)

Volevo condividere qui una riflessione che ho svolto molto succintamente, e forse imperfettamente, su uno di quei media locali che, come ci siamo spesso detti (sulla base di una esperienza ormai pluriennale), svettano come giganti nel panorama piuttosto degradato del nostro sistema informativo:

Mi riferisco in particolare a questo passaggio, che "sbobino" per la vostra convenienza:

"La politicizzazione della magistratura è un dato di fatto, che l'ordinamento prevede. L'organo di autogoverno della magistratura è composto anche di membri di nomina politica [i dieci membri laici, NdCN], è diviso in correnti politiche, e questo è un fatto di per sé sano, non malsano. Sarebbe un problema però se le opinioni politiche si nascondessero dietro dei fatti. Nel caso della sentenza di Palermo questo è scongiurato perché è stato affermato che 'il fatto non sussiste'...".

Vorrei chiarire meglio che cosa intendo, partendo dal solito principio che ognuno ha diritto alle proprie opinioni e nessuno ha diritto ai propri fatti (quindi, ad esempio, l'opinione che Salvini sia un puzzone non può diventare, e non è diventata, il fatto che abbia sequestrato delle persone, perché questo fatto non sussiste).

Intanto, è chiaro che negazionare la politicizzazione della magistratura, come fanno certi esponenti di sinistra, non ha alcun senso in re ipsa. Intanto, come chiarivo nell'intervista sopra riportata, l'articolo 104 della Costituzione definisce percorsi esplicitamente politici per la nomina di componenti del suo organo di autogoverno (incluso un importante membro di diritto, il Presidente della Repubblica, che è anche lui eletto dal Parlamento in seduta comune). Ricordo a me stesso che un'elezione non è una sorta di Pentecoste laica in cui i parlamentari si raccolgono, attendendo che cali su di loro la fiammella del "voto secondo coscienza". Un'elezione è il punto di arrivo e di suggello di un negoziato politico, condotto per trovare un compromesso e un equilibrio fra esigenze politiche, equilibrio che spesso si raggiunge trovando compensazioni in altri "tavoli".

Va anche considerato che se le elezioni dei membri laici sono in mano ai partiti stricto sensu, come sapete benissimo le elezioni dei togati sono in mano alle "correnti", che sono, di fatto, il riflesso nella comunità dei magistrati di quello che i partiti sono nella società: strutture organizzate per affermare e difendere una linea di indirizzo politico. In trasmissione da Pancani ho fatto un noto esempio, quello del Congresso di Magistratura Democratica nel 2019, intitolato: "Il giudice nell'Europa dei populismi". Il collega Bonelli, la cui ignoranza è assolutamente scusabile (ignorantia legis non excusat, ma qui si parla dell'ignoranza di un fatto storico, e quindi la scusiamo), evidentemente non sapeva che quella che lui considerava una semplice vignetta satirica era la locandina di quel convegno, ancora rinvenibile nel sito dell'associazione:


Ora: che i magistrati, essendo persone colte, siano anche persone spiritose, lo trovo più rassicurante che preoccupante! Vauro può piacere o non piacere, ma è senz'altro un vignettista efficace (sarà per questo che qualche volta ci infastidisce, ma dobbiamo ammettere che anche quella è efficacia: strano come una vignetta efficace vista da sinistra sembri fastidiosa vista da destra)!

Ma il problema di questo convegno non è la locandina e se essa sia o meno spiritosa (non lo è: è semplicemente apologetica), cosa su cui lui si è incaponito nel corso della trasmissione:

(dal minuto 10 in poi).

No, il problema di quel congresso, volendo vederci un problema, è nel suo assunto programmatico secondo cui "nell'età dei populismi il giudice è chiamato a un lavoro difficile, in bilico tra governo della realtà e ideali di giustizia" (ve l'ho evidenziato in giallo anche nello screenshot, perché so che sembra abbastanza incredibile). Ora, a meno di non voler far rientrare queste parole nella categoria cara a Flaiano delle grandi frasi che non significano niente (non sono sicuro che lui dicesse così, ma il senso era questo), e volendole prendere invece nel loro senso letterale, queste parole letteralmente dicono che secondo MD, nel 2019, il giudice poteva anche parzialmente derogare agli ideali di giustizia per assumere il difficile compito di governare la realtà nell'età dei populismi. Nel concetto di "essere in bilico" è implicito il significato di equilibrio instabile fra due elementi inconciliabili (cioè del cadere da una parte o dall'altra), e qui mi pare che si suggerisca in modo non troppo velato che alla fine sbilanciarsi dalla parte del governo della realtà sia considerato un caso ammissibile. Peraltro, il diritto, la legge, non sono la giustizia: e il giudice in teoria è soggetto solo alla legge, non a (quello che lui legittimamente ritiene sia) la giustizia. Sono due cose diverse.

Aggiungo un'altra sottolineatura precisazionista: perché questo "sporco lavoro che qualcuno deve pur fare" (il governo della realtà) MD sente il bisogno di farlo "nell'età dei populismi"? Perché, ad esempio, non nell'età dei liberismi, quella in cui si crea tanta povertà e ingiustizia sociale che da una parte capisco possa interessare poco l'unico ceto realmente protetto dall'aumento del costo della vita, ma che dall'altra costituisce l'antecedente logico dei populismi che tanto preoccupano certi magistrati?

Cioè: ti preoccupano "i populismi" e vuoi reprimerli, ma non ti preoccupi quando l'austerità fa aumentare significativamente il numero delle persone a rischio di povertà ed esclusione sociale:


portando in terreno negativi gli investimenti pubblici al netto degli ammortamenti (cioè riducendo lo stock di capitale pubblico):


(lo vedete il "tempo in cui si chiudevano gli ospedali" senza che qualcuno avvertisse l'esigenza di governare la realtà?), creando i presupposti del fenomeno che tanto ti spaura?

Il fatto che oggi in Italia dei magistrati di sinistra apparentemente considerino "much social injustice and apparent cruelty as an inevitable incident in the scheme of progress" istintivamente porta a collocarli nel blocco sociale che sosteneva il paradigma economico che Keynes chiama "ricardiano" e loro chiamerebbero "neoliberista", nel quale probabilmente abitano, ma "a loro insaputa", per citare un altro esponente politico (di centrodestra, però...), cioè quello dei rentiers.

Quindi: la politicizzazione c'è, è indiscutibile, negarla sarebbe futile, ma... esattamente come vi ho chiarito che le certezze non vanno valorizzate negativamente quando si parla di ricerca, così vorrei esortarvi a non scagliarvi in modo acritico contro la "politicizzazione", che in determinate circostanze e con determinati accorgimenti mantiene un suo valore positivo (altrimenti dovremmo pensare che la Costituzione è stata scritta male, e qui non credo che nessuno lo pensi: riscritta male sì, scritta male no).

Immagino le reazioni: "Ma come!? Il giudice non deve essere imparziale, e quindi privo di giudizi di valore? Non deve attenersi esclusivamente ai fatti, in modo asettico, direi quasi scientifico?" [CSI docet, NdCN]

Ecco, torna in campo la nostra amica scienza... ed è proprio da uno scienziato che vorrei ripartire, da Gunnar Myrdal, premio Nobel per l'economia nel 1974 insieme a Friedrich von Hayek (ma per motivi ben distanti, tant'è che Myrdal propose di abolire il premio quando seppe che lo prendeva anche von Hayek...). L'opera di Myrdal era citata nel testo di politica economica di Federico Caffè, che ne ricordava il contributo dato all'analisi del ruolo dei giudizi di valore nelle scienze sociali. Il punto che solleva Myrdal è molto semplice: le scienze che si occupano della società, di come organizza il lavoro, di come distribuisce la ricchezza, e quindi in particolare l'economia, che è una scienza sociale, non possono prescindere da giudizi di valore, da una valutazione preliminare di cosa sia "meglio" per una società, di cosa sia, per capirci, il fantomatico "bene comune" (quello di cui blaterano i dilettanti dell'economia e della politica - e dell'economia politica e della politica economica). E siccome non possono farne a meno, sarebbe erroneo che avessero la pretesa di farlo: i giudizi di valore non vanno rimossi freudianamente, ma vanno esplicitati, affinché chi si accosta a una ricerca sia in grado di tenerne conto. 

Vedo (ma forse lo vedo solo io) un filo rosso che lega la pretesa di neutralità ideologica della "vera" scienza (di cui l'assenza di giudizi di valore nelle scienze sociali è una declinazione), alla pretesa di imparzialità del giudice, come, del resto, alla pretesa di obiettività del giornalista che "separa i fatti dalle opinioni": è il filo rosso dell'ingenuità.

Per sostanziare questi argomenti, sono andato a riprendere il testo di Myrdal, ma non avendo sotto mano la mia edizione italiana (nella Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi: forse lo vedete alle mie spalle quando parlo ai telegiornali), mi sono trovato un pdf online, e rileggendolo a distanza di forse trent'anni c'è una cosa che mi ha colpito moltissimo:


Come esempio di termine value-loaded, cioè che porta con se un giudizio di valore (positivo), Myrdal sceglie proprio "integrazione economica", cioè, nel nostro contesto: "più Europa"!

Per capire che cosa si intende con termini value-loaded o con giudizi di valore: siccome la disintegrazione è un processo violento e doloroso, ovviamente l'integrazione è, a contrario, una bella cosa a prescindere, mi seguite? Ecco in che modo i giudizi di valore si insinuano nel ragionamento scientifico (e non solo nelle scienze sociali). Tuttavia Myrdal evidenzia che il fatto che un termine, anche se usato in un'indagine scientifica, abbia una implicita connotazione valoriale, non è di per sé un motivo per rifiutarlo. Aggiunge Myrdal che è stato un errore il tentativo fatto per oltre un secolo di rendere "oggettivi" i principali concetti dandone una definizione "puramente scientifica" ipoteticamente non associabile a valutazioni politiche. Questo esercizio di purificazione si è risolto nell'invenzione di sinonimi dall'aspetto più innocente: un tentativo che era destinato all'insuccesso. I giudizi di valore infatti avevano una loro logica e una loro funzione, e quindi hanno perforato anche la corazza delle definizioni "puramente scientifiche".


In effetti, "una scienza sociale disinteressata non è mai esistita e non può esistere per motivi logici". Le società umane possono essere studiate solo dal punto di vista degli ideali umani, sono questi a provocare il nostro interesse per lo studio, a indirizzarlo, e a rendere significative le nostre conclusioni. Quindi i concetti stessi, le categorie, delle scienze sociali, non possono essere definiti se non in termini di valutazioni politiche, ed è per garantire il rigore scientifico del ragionamento che queste valutazioni dovrebbero essere esplicitate. 

Questo è il punto: non è un buono scienziato sociale chi nasconde i propri pregiudizi politici magari dietro la cortina fumogena di qualche formula matematica, ma chi li dichiara e li pone esplicitamente a base del discorso.


Naturalmente i giudizi di valore su cui una ricerca si fonda devono essere rilevanti e significativi per la società in cui viviamo. Tuttavia, non è così immediato orientare la propria ricerca su "quello che gli uomini effettivamente desiderano", per il semplice fatto che "gli uomini" (non nel senso di risorse, nel senso di individui) hanno informazioni molto incomplete. Una premessa di valore rilevante dovrebbe essere corretta nel senso di interpretare che cosa le persone desidererebbero se la loro conoscenza del mondo fosse più completa, ma non c'è metodo econometrico che consenta di fare questo esercizio prescindendo dalle valutazioni individuali delle persone. E quindi, ad esempio, nessuna discussione sull'opportunità di una maggiore integrazione economica internazionale ("più Europa!") è sensata, se prescinde da un insieme di valutazioni politiche che devono essere rese esplicite. Se si attribuisce un significato al termine "integrazione" senza esplicitare alcuna premessa di valore, restano le premesse implicite, che corrispondono alle preferenze politiche dell'autore, o a quelle del suo contesto nazionale. Ma, conclude Myrdal, dato che queste premesse restano nascoste, non solo lo studio è pretenzioso (perché cerca di affermarsi come neutrale e oggettivo), ma effettivamente fraudolento, anche laddove la frode sia inconsapevole.

Per sintetizzare quanto detto fin qui: una buona scienza sociale deve essere politicizzata, perché solo questo le conferisce la necessaria trasparenza, consentendo di verificare il rigore logico degli argomenti usati. Del resto, è questo, non la matematizzazione, ad affratellare le scienze sociali alle cosiddette scienze "naturali" o "dure": il fatto che si configurino come scontro politico fra paradigmi, fra concetti value-loaded, cioè il fatto che siano, entrambe le categorie di scienza, umane (eh, sì, devo darvi una brutta notizia: non esiste la scienza disumana, come non esiste la società incivile...).

Per esemplificare, e rifacendoci alla nostra esperienza di crescita in questo blog: è stata una chiara indicazione delle premesse di valore ad aiutarci a distinguere il pensiero sciamanico del "ci vuole più qualcosa (Europa, dosi, ecc.)" da un corretto ragionamento scientifico, è stata la corretta individuazione ed esplicitazione degli interessi di classe sottostanti, ad esempio, a farci capire perché per ridurre il rapporto debito/Pil sono state fatte politiche che secondo i manuali di economia lo fanno aumentare e che conseguentemente lo hanno fatto aumentare, e così via. Insomma: senza premesse di valore è pretenzioso pensare di poter unire i puntini.

Bene.

Ma con Palermo questo che c'entra?

Un po' forse c'entra. 

Sì, sono d'accordo: la moglie di Cesare ecc., la forma è sostanza ecc. Quindi l'apparenza dell'imparzialità, della de-politicizzazione, andrebbe forse mantenuta, e quando non si desideri farlo e si scenda in piazza forse è meglio trarne le conseguenze.

Ma si può anche ragionare in modo diverso. Partiamo dal presupposto che anche i magistrati non possano prescindere, nella loro attività, che è un'attività di ricerca, da giudizi di valore (mi sembra un dato fattuale: basta leggersi gli atti dei loro convegni)! E allora sarebbe ingenuo tentare di imporre loro un atteggiamento "puramente giurisdizionale", come sarebbe ingenuo nelle scienze sociali tentare di imporre un lessico e un'agenda "puramente scientifica".

Quello però che si può fare è garantire equilibrio fra i vari concorrenti nel mercato della politica: non può esserci una concorrenza sana se alcuni partecipanti possono privare gli altri della libertà, ma il reciproco non è consentito. E quindi, le cose stanno così: o si consente ai vostri rappresentanti di inquisire i magistrati (ma sinceramente, con tutto il lavoro che abbiamo da fare, e non avendo una preparazione professionale specifica, ne farei anche a meno), o si ritorna alla Costituzione del 1948, e al suo articolo 68, che assicurava l'immunità ai rappresentanti del popolo sovrano.

Il problema, insomma, non è la politicizzazione! Sarebbe molto peggio l'ipocrisia o la dissimulazione! Il problema è lo squilibrio (non la mancanza di separazione: la mancanza di equilibrio) fra i poteri.

La soluzione a questo problema è piuttosto ovvia, e i Costituenti, che ci avevano pensato, l'avevano anche introdotta in Costituzione: l'articolo 68 nella sua versione originale.

Non è l'unica soluzione, va da sé! Se ne possono immaginare tante altre: ad esempio, riformare l'art. 104 introducendo un criterio di sorteggio per il CSM, o prevedendo un CSM di soli laici o comunque con una maggioranza (o una più forte rappresentanza) di laici, o adottare un modello ibrido come quello francese in cui il procuratore mantiene un rapporto forte con l'esecutivo, o quello che volete (qui gli esperti siete voi, non crediate che me ne sia dimenticato, e certo non io).

Certo è che qualcosa andrà fatto, e probabilmente il miglior modus operandi, per chi, come noi, ha ampiamente studiato i danni fatti dall'antipolitica, è tentare di risalirne la china: finanziamento pubblico ai partiti e immunità parlamentare. Non sarà un compito facile, ma è un compito che voi dovreste ritenere necessario se non altro per esercitare quel diritto il cui esercizio è più dolce e liberatorio e tanto vi molce il cuore da mane a sera nella cloaca nera (rima intenzionale): il diritto al mugugno! Perché, questo possiamo dircelo, lamentarsi di una classe politica cui sono stati tolti strumenti fondamentali per strutturare un ceto politico e per sottrarsi a condizionamenti impropri non è un esercizio particolarmente onesto intellettualmente. Qui credo siano pochi quelli che si sono lasciati convincere che vincendo la sua lotta contro la politica il popolo si sarebbe liberato! Ma altrove sono ancora egemoni, e questo richiede un dispiego di mezzi e di impegno che nelle condizioni attuali è impossibile.

Non ci vuole più Europa: ci vuole più politica.

E chi è qui da un po' sa quanto, e perché, questi due termini, presi nella loro accezione corrente, siano così radicalmente antitetici...

35 commenti:

  1. Imprescindibile il ripristino dell'immunità parlamentare e, se possibile, bisognerebbe prevedere qualche tutela anche per gli amministratori locali (Toti docet).

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  2. Qui ci sono due problemi e uno è qui ben evidenziato: i magistrati possono "indagare"l' operato del singolo "politico" e il "viceversa" no, e la soluzione abbastanza ovvia sarebbe tornare alla "vecchia" costituzione in cui i magistrati possono "indagare" un politico per atti " non politici" e solo con l' approvazione del parlamento.
    Il che se ben guardiamo non è proprio un "viceversa" perché resta il secondo problema insito nella "vecchia" costituzione. Infatti se l' operato del politico risponde al popolo , che non rieleggendolo lo " consegna" alla magistratura o comunque anche se rieletto lo consegna alla " benevolenza" del parlamento l' operato di un magistrato continuerà a rispondere solo alla "benevolenza" della sua " categoria professionale".
    Perché , a ben ricordare , anche con la "vecchia" costituzione "la magistratura" processava "la politica" , seppur non con sfrontata facilità di adesso.
    Perciò anche tornando alla "vecchia" costituzione non si risolverebbe completamente il problema , soprattutto se ( caso puramente ipotetico 😎 ) la magistratura per " pregressi accidenti" e "opportuni" meccanismi di selezione interni alla "categoria" fosse esclusivamente espressione di un particolare PARTITO o (peggio ancora) di una particolare " parte del paese".
    E questo problema si risolve solo ponendo l' operato del singolo magistrato INQUIRENTE ad un giudizio "pubblico" esattamente come allo stesso è sottoposto "il politico".

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    1. Anche questo è un modo per risolvere il problema, certo! Negli Stati Uniti i "prosecutors" vengono eletti, come probabilmente ognuno di noi ha intravisto in qualche film o telefilm:

      https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/un-connubio-inconciliabile-legittimazione-democratica-e-imparzialita-dei-giudici-e-dei-i-prosecutors-i-negli-stati-uniti

      Stiamo parlando però di un sistema veramente molto distante dal nostro. Una qualche forma di indirizzo politico all'attività dei procuratori è invece presente negli ordinamenti dei Paesi che ci vengono spesso proposti a modello (Francia, Germania...), trascurando però sempre questi dettagli di struttura...

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    2. Mi permetto di evidenziare come il senso profondo della "politicizzazione democratica" della Magistratura risiedesse per i Costituenti nell'evitare, attraverso il controllo politico, quanto avvenuto durante l'instaurazione del regime fascista con la "fascistizzazione" delle toghe.

      Oltre a questo, v'è un aspetto sostanziale che la storiografia non evidenzia mai: fino al 1992 casualmente la Magistratura è sempre stata "gestita" dalla partitocrazia, evitando scossoni decisivi all'ordinamento primorepubblicano.

      Si pensi al famoso "porto delle nebbie" del tribunale di Roma, a come lo scandalo dei petroli, dei fondi neri IRI, della stessa P2 furono gestiti in maniera tale da evitare sommovimenti profondi dello statu quo.

      Era giusto, era sbagliato? Fatto sta che la maggioranza del popolo italiano votava per quei partiti, che si comportavano in un modo che nessun organo elettorale sanzionava come "immorale".

      Per cui per quasi mezzo secolo in Italia la Magistratura è stata perfettamente "organica" al regime dei partiti. Dopodiché s'è scelta una via diversa, che per forza di cose tende alla subordinazione della Politica ad altri poteri (chissà perché non s'è mai indagato sul ginepraio delle privatizzazioni...).

      Per questo tutti i paesi europei hanno forme più o meno ampie di controllo dell'operato giudiziario da parte del Ministero competente. Da noi la Costituzione sostanziale della partitocrazia, fino a che ha potuto, ha tenuto: apres-quoi, le deluge...

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  3. Molto molto interessante. Riesce sempre a trovare il modo di mettere in moto il nostro cervello, e non è poco oggi come oggi.
    Trovo molto interessante questo post perché lo squilibrio dei poteri è ormai sotto gli occhi di chi segue la politica con una certa profondità.
    Ora, lei propone due soluzioni che possono tentare di riequilibrare, così come ce ne possono essere altre, come per esempio il cosiddetto premierato o lo spoil system, giusto per citarne due. Ma questo innesca un'altra riflessione: la possibilità di attuare certe soluzioni.

    Ce ne sono stati tanti di periodi storici in cui gli squilibri di poteri erano anche più marcati di oggi, ma al netto del fatto che non è così facile tracciarne i processi sociali, politici e filosofici che li hanno causati nel corso della storia, ho l'intuizione che nascondere questi squilibri, oggi, paradossalmente, sia molto più facile del passato, anche e soprattutto perché c'è un quarto potere che lavora incessantemente e capillarmente per mantenerli e accentuarli: il potere dei mezzi d'informazione.

    Non siamo certamente in una società orwelliana, per carità, ma ci stiamo avvicinando pericolosamente a qualcosa che a grandi linee le assomiglia.
    Quindi quello che mi chiedo è: c'è davvero una strategia possibile per riequilibrare tutto? E soprattutto una strategia che non preveda eventi sociali traumatici?

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    1. Ecco: ti ringrazio perché hai evidenziato un "non detto" del mio post. Non l'ho menzionato esplicitamente per non mettere troppa carne al fuoco, ma il vero problema che abbiamo con alcuni esponenti dell'ordine giudiziario è il loro rapporto estremamente sinergico con il mondo dei media, che consente loro di comminare pene molto afflittive dal punto di vista sociale e professionale prima ancora che si arrivi non dico al processo, ma all'inizio (nemmeno al compimento) dell'indagine. Questo fenomeno non ho idea di come potrebbe essere arginato senza incidere da un lato sul diritto di cronaca o dall'altro sulla necessaria riservatezza e autonomia con cui l'attività investigativa va condotta. In effetti, di come questa attività sia organizzata non ne ho alcuna idea, e l'idea di licenziare tutti quelli che lavorano in una procura in cui ci sono spifferi (partendo da capo giù fino al garzone del bar), oltre a non rispettare un ovvio criterio di proporzionalità, probabilmente creerebbe più problemi di quanti ne risolve, perché anche della magistratura abbiamo una percezione asimmetrica: ne percepiamo l'esistenza quando ci tocca direttamente o, come nel caso di Matteo, ideologicamente, ma ogni giorno la magistratura svolge un lavoro insostituibile e prezioso. Certo, l'attuale sistema dei media è e resta, per l'assenza di pluralismo e il soft power che esercita, un potente nemico delle democrazie rappresentative. Ma questo oggi non posso più dirlo e quindi non lo dico.

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  4. Sembra chiaro (ma non a grillini e piddini) che l'intervento 'anticasta' sull'art. 68 abbia contribuito a delegittimare il Parlamento, nel momento in cui colpisce anche, se non soprattutto, la funzione di rappresentanza dei parlamentari nei confronti dei cittadini. Il punto però è che l'ideologizzazione di una parte della magistratura produce danni anche sui singoli cittadini, specie in tempi di repressione dell'odio in rete e delle fake news, che tradotto vuol dire: colpire le opinioni sgradite. Magari i giudici di Palermo sono anch'essi di sinistra, ma loro hanno applicato i parametri del codice penale e hanno stabilito che i comportamenti del ministro Salvini non avevano nulla a che fare con la fattispecie del sequestro di persona. Ed è quello che dovrebbero fare sempre i magistrati: giudicare i fatti secondo le norme del codice, e tenere fuori dal ragionamento le loro (legittime) opinioni politiche. Non è impossibile, moltissimi magistrati lo fanno ogni giorno, ma purtroppo i pochi che invece fanno del loro mestiere un uso dichiaratamente politico mettono a rischio la libertà non solo dei politici a loro sgraditi ma anche quella dei cittadini, che non possono disporre di alcuno scudo protettivo. Non credo che le norme sull'elezione del CSM configurino in quanto tali una legittimazione dell'attività politica di singoli magistrati o di loro correnti, e in tal senso le iniziative di propaganda ideologica di Magistratura Democratica (che fa dichiaratamente da braccio giudiziario del PD) si collocano a mio avviso al di fuori del contesto costituzionale. Quando un magistrato sfila in piazza in una manifestazione di partito come ha fatto la Apostolico (che si è di recente dimessa e che vedremo probabilmente in Parlamento con la sinistra) a mio parere sta violando i principi deontologici della sua professione, perchè se fai quel mestiere non puoi ostentare le tue posizioni ideologiche, salvo minare alla base la fiducia del cittadino nella tua imparzialità (per lo meno, di quella 'percepita').
    Quindi d'accordo sulla reintroduzione della immunità, ma il problema
    dei magistrati 'militanti' non sarà risolto solo con questa misura.

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    1. Asp...

      Dunque: non credo che le dinamiche correntizie, con la connessa propaganda (di cui gli esponenti di ogni singola corrente hanno bisogno per rafforzare la propria corrente a discapito delle altre), esondino di per sé dall'alveo della Costituzione. Il giudice deve essere "terzo e imparziale" perché così stabilisce la Costituzione (art. 111, comma 2), la legge ordinaria (DDL 109/2006), la soft law (Codice etico dell'ANM). Questo non significa che non debba avere idee, anche se ovviamente scendere in piazza per manifestarle dovrebbe poi esortarlo a valutare "con il massimo rigore la ricorrenza di situazioni di possibile astensione per gravi ragioni di opportunità" (così dice il Codice etico), come la Apostolico non ha fatto, forse perché, come tu dici, ha scelto di cambiare carriera aderendo alla sinistra che ha dimenticato i penultimi. Diciamo che un giudice che si espone in una certa direzione, se poi non si astiene qualora sia opportuno danneggia tutta l'istituzione cui appartiene.

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  5. Tema analogo per i giornalisti o per miliardari filantropi.
    Non si può pensare che un giornalista sia neutro e super partes (magari perchè di sinistra). Egli/ella/esso/essa avrà un proprio orientamento politico, dei propri valori che faranno da base ideologica per l'interpretazione dei fatti. Basta ammetterlo e non vergognarsi.

    Così i miliardari: a me Musk preoccupa, ma almeno ci mette la faccia ed esprime le sue idee da una posizione politica precisa. Non finanzia associazioni con nomi accattivanti che finanziano altre associazioni con nomi accattivanti per nascondere esplicitamente la vocazione politica delle proprie iniziative.

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    1. Quello dei miliardari filantropi è un tema veramente inquietante! Qualcuno di voi ha un'idea di quanto costi al giorno tenere una nave come la Open Arms in pattugliamento nel Mediterraneo? Io sinceramente no, non so né quante persone di equipaggio minimo deve avere, né quanto carburante consumi, ecc. Ma ad istinto mi riesce difficile credere che dietro ci sia solo filantropia.

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  6. Ricordo a me stesso (non certo ai lettori di questo spazio) che quando si parla di immunità parlamentare, questa riguarda gli atti posti in opera dal parlamentare in forza del suo incarico di rappresentante dei cittadini che li lo hanno posto, per cui per fare degli esempi, in tale ambito si collocherebbe la vicenda Salvini/OpenArms ma parimenti in tale ambito NON si collocherebbe la vicenda profumino/Fassino poichè la stessa esorbita dal ruolo rivestendo una caratura di natura e di responsabilità personali che nulla hanno a che fare con il mandato di rappresentanza. Dico questa ovvietà perchè a volte mi sembra che a qualcuno sopraggiungano pulsioni omnicomprensive ed anche per strappare un sorriso al nostro.

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  7. Leggendo Myrdal ho subito pensato alle riflessioni di Sraffa sulla nascita, morte e rinascita delle teorie economiche. Queste nascono come risposta alla risoluzione di problemi pratici e servono a giustificare le scelte adottate (e.g. la teoria del valore per quanto astratta è legata alla teoria della distribuzione, oggetto di battaglie politiche). Scriveva Sraffa: "[...] economic theories, whether ancient or modern, do not arise out of the simple intellectual curiosity of finding out the reasons for what is observed to happen in the factory or in the market place. They arise out of practical problems which present themselves to the community and which must be solved. There are opposite interests which support either one solution or the other and they find theoretical, that is universal, arguments in order to prove that the solution they advocate is conformable to natural laws, or to the public interest, or to the interest of the ruling class or to whatever is the ideology which at the particular moment is dominating."
    (Non ci stupiamo quindi se Myrdal propose Sraffa come vincitore della medaglia Söderström nel 1961...).

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    1. Questa subalternità della scienza alla "dominant social force behind the authority" era ben chiara anche a Keynes, nel noto passo (e anche lui conosceva bene Sraffa). Quello che mi stupisce quando affronto con voi questo tipo di argomenti è la paurosa regressione culturale dell'occidente, in particolare dei suoi "progressisti". "Vota il PD, vota la scienza!" è una cosa dalla quale un partito di sinistra, una volta, sarebbe stato distrutto, da cui non si sarebbe ripreso. Ma evidentemente non ci sono più gli elettori di una volta...

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  8. Caro Professore, grazie per l'intervento, come sempre stimolante.
    Il tema della pretesa avalutatività della scienza è affascinante e ha una sua storia.
    Fu Max Weber nel 1919 a scrivere per primo Wissenschaft als Beruf (riportando una relazione tenuta nel 1917), “La scienza come professione”. In quel testo in modo sintetico ed elegante il sociologo tedesco cercò di spiegare le ragioni per le quali le scienze "dovrebbero" attenersi al rigore della neutralità. Invero, quella dimostrazione non riuscì. Se non altro perché appunto tutto il lavoro costituiva esso stesso una grande giudizio di valore, condensabile nei termini: la scienza non "deve" occuparsi di valori. Dove quel “non deve” è appunto la spia linguistica del discorso valoriale sotto altre spoglie.

    Ma lo stesso Weber, pur geniale per molti versi, è colpevole fino ad un certo punto, riecheggiando tesi ben più antiche (ma non meno opinabili) kantiane di scienza e soprattutto di ragione more geometrico demonstrata.
    Il tema è epistemologico, il problema è che l’epistemologia contemporanea è poco attrezzata per coglierlo, perché anch’essa molto attratta dalle tesi di oggettività e neutralità neokantiane.
    Insomma, occorrerebbe (giudizio di valore) rileggere il Teeteto platonico, per riapprezzare il nesso inscindibile tra sfera del valore (etica/politica) e sfera della conoscenza.

    Un saluto cordiale e auguri di Santo Natale.

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    1. ...che è in trilogia col Sofista e col Politico (un motivo ci sarà). Sì, affacciandomi da un'oblò su lavori più recenti ho visto parlare di neokantiani. Ora, uno dei vantaggi della maturità è quello di afferrare finalmente quanto concrete siano le cose che nell'adolescenza e giovinezza sembrano astratte. Alla fine, qui siamo in un gigantesco paradosso di Epimenide. Scrollarsi di dosso il "sollen" non è per niente facile, indossarlo non è per niente comodo.

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    2. I conti con la scienza Kantiana (e i suoi seguaci) secondo me li ha regolati a suo tempo molto bene Husserl, nel suo Die Krisis der Europäischen Wissenschaften und Die Transzendentale Phänomenologie: Eine Einleitung in die Phänomenologiesche Philosophie. Io l'ho letto in Italiano, pubblicato dal saggiatore

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    3. Le argomentazioni del Teeteto ben si prestano ad essere usate per una critica del concetto di teorema giudiziario.

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  9. Materia edilizia; ho un caso da sottoporre; nei Comuni sotto i 5.000 abitanti è ammesso per legge (l’art. 53, comma 23, L. 388/2000) derogare alla norma che impone il dirigente per gli uffici degli enti locali, attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo(Giunta Comunale) la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale.
    Questa deroga è ammessa con i seguenti presupposti:
    - popolazione inferiore a 5.000 abitanti;
    - non aver affidato le relative funzioni al segretario comunale in base all'art. 97, c.4, lett. d), del D.Lgs. n. 267/2000;
    - poter conseguire risparmi di spesa;
    lascio immaginare come vengano "analizzate e controllate" le pratiche edilizie da questi amministratori locali che esercitano la funzione in assenza di un dirigente competente nella materia edilizia. C'è chi guarda con stupore estremo quanto viene permesso in questi Comuni: lo spettacolo illumina molto bene la relatività del concetto "bene comune".

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    1. Non lo sapevo! Nel mio collegio sarebbero 90 comuni su 104, diciamo un po' meno del 90%, e a livello nazionale sono circa il 70%. Diciamo: quasi tutti, salvo gli ecomostri tipo Roma... Grazie per la segnalazione, la verificherò.

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  10. Onorevole, come ho scritto sinteticamente su X, questo post insieme al suo intervento al festival della scienza dell'associazione Contiamoci mette in evidenza dei principi essenziali per il pensiero critico, un vero e proprio antidoto contro lo scientismo e l'antipolitica. Io sono uno scolarizzato del XX secolo e non so quindi se in precedenza questi principi fossero insegnati nelle scuole. Posso solo al contrario rendermi conto di quanto la loro mancanza sia nociva. Come lei già saprà, i testi scolastici (sopratutto di storia) odierni sono intrisi di paradigma ricardiano e i poveri studenti totalmente digiuni delle basi di macroeconomia vengono formati, in un'età in cui difficilmente possano aver già sviluppato la curiosità intellettuale per voler approfondire, alle VERITA' del pensiero unico. Propongo alcuni esempi:
    1) se quando studio la Destra e la Sinistra storica Quintino Sella consegue il pareggio di bilancio, non potrò che gioirne interiormente non sapendo assolutamente niente di cosa sia il debito pubblico (anche perchè dubito che i professori lo spieghino).
    2) se tutti leggono che fu "l'inflazione di Weimar" a portare al potere Hitler, preferirò sicuramente l'UE che ci difende dall'inflazione (ultimamente mica tanto) al vecchio governo nazionale che con le sue politiche causava l'inflazione a 100 cifre.
    3) Se da nessuna parte c'e' scritto che Keynes per fermare la crisi del 29' per prima cosa "staccò" il dollaro dall'oro, accetterò acriticamente il cambio fisso dell'euro. Tra l'altro devo ammettere che imparai questo fatto storico da un suo post, perchè di questo non ce n'era traccia nemmeno nel manuale di storia contemporanea dell'università.
    4) Stendo un velo pietoso sulle cause e conseguenze del divorzio banca d'Italia dal Tesoro.

    Ho fatto questo elenco non per vantare una presunta conoscienza della storia contemporanea ma per evidenziare che in un periodo storico in cui i mezzi di comunicazione e l'editoria sono saldamente in mano ai nostri avversari, mentre siamo al governo dovremmo cercare di portare le nostre battaglie con più decisione anche sul fronte istruzione.

    P.S.
    So che lei non ha bisogno di suggerimenti e sicuramente con Elisabetta Frezza e il partito avete probabilmente già iniziato a combattere. Sono infinitamente riconoscente a lei a al Sen. Borghi per tutto quello che fate e avete fatto. Vivendo all'estero, mi sento molto fortunato di avere rappresentanti come voi che mi hanno guarito dall'antipolitica (anch'io credevo nel governo dei filosofi) e fatto amare la democrazia. Da scolarizzato nel XX secolo mi scuso per un eventuale uso improprio dell'italiano.

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    1. Ma sei scolarizzato nel XX o nel XXI secolo? Comunque, quello dell’editoria scolastica è un problema che abbiamo più volte riscontrato, non solo per la distorsione ideologica del messaggio, ma anche per un certo carattere parassitario del business. Vorrei però fare qualche breve considerazione. Il manuale è di per sé la forma in cui il paradigma si presenta: non deve quindi stupirci troppo che i manuali siano strumenti orientati, perché in qualche modo questa è la loro funzione. D’altra parte, il progresso tecnologico pone sfide molto più insidiose al pluralismo. Se già il libro si presenta come fonte autorevole e in qualche modo oggettiva, pensa alle mille forme attraverso cui la digitalizzazione dell’insegnamento può farsi veicolo di messaggi ideologici e può anche, cosa ancora più grave, tracciarne il diverso recepimento da parte di diversi individui. A me sembra tuttavia che il pericolo maggiore non sia tanto il libro e il suo principio di autorità, ma sia la classe docente e la sua subalternità culturale rispetto a messaggi dai quali è oggettivamente difficile difendersi. Non riesco quindi a fargliene una colpa, anche se, guardando al mio interno, non riesco a capire in modo sufficientemente netto se quello che mi ha permesso di unire i puntini è stata la mia educazione tecnico-economica o la mia educazione classica e artistica. Probabilmente una combinazione delle due in cui la seconda credo abbia avuto un peso maggiore, perché alla fine per capire che qualcosa non va bisogna partire necessariamente dalla carità, dall’attenzione agli altri, e quella non te la dà l’educazione tecnica.

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  11. Il problema, a mio avviso, non è la politicizzazione dei magistrati, bensì il fatto che il potere che è oggettivamente dotato degli strumenti più potenti per influire sulla vita dei cittadini (e sulla politica) non è soggetto a controlli esterni sul suo operato, dunque avrà sempre una forte tendenza ... ad autoassolversi. Una forma di controllo politico sulle nomine dei giudici di alto livello e soprattutto dei procuratori (come avviene negli USA) riduce questo rischio, ma implica quello degli eccessi, del tipo che certi procuratori distrettuali negli USA dichiarano apertamente di non voler perseguire certi reati, commessi da certe categorie di cittadini, per ragioni politiche. La separazione tra accusa dalla funzione giudicante, in compenso, mi pare assolutamente coerente con il fatto che il nostro ordinamento applica il processo penale come processo accusatorio, dunque in cui l'accusa è una parte (sebbene con più penetranti poteri di indagine). Una volta fatto quello, peraltro, si aprirebbe anche la possibilità di declinare in modo diverso la possibilità e le modalità con cui la politica entra e/o vigila su ciascuna della due funzioni. Non credo però che sia sufficiente una semplice separazione delle carriere, ma che occorra una separazione delle funzioni (con diverse prerogative che corrispondono a diverse regole di autogoverno e di rapporti con la politica), riflessa nella costituzione. Ad esempio si potrebbe riconsiderare il tema della discrezionalità dell'azione penale, dunque ammettendo margini di "politica giudiziaria", ma a fronte di una responsabilità politica di chi quelle scelte compie. Ora il PM può nascondersi dietro l'obbligatorietà dell'azione penale di fronte alla notiza di reato per iniziare le indiagini, ma poi ha di fatto il potere di decidere se (e soprattutto con quali elementi) chiedere l'archiviazione o il rinvio a giudizio. Il che rende di fatto discrezionale quel che non dovrebbe esserlo.

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    1. Sì, credo anch’io che questo sia il problema principale: quello di una obbligatorietà che per forza di cose si trasforma in arbitrarietà. Il potere impliciti di indirizzo politici deriva da quest’ultima.

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  12. nel 1993 (31 anni fa) al referendum, promosso da Mariotto Segni, sul finanziamento pubblico ai partiti votai NO. Credo che fossimo meno del 10% dei votanti ad esprimersi così. Lode ad Alberto Bagnai che ci spiega che quella minoranza era lungimirante e aveva colto nel NO la coerenza con la Costituzione, ma ancora più lode per come ce lo spiega oggi, sottolineando la fraudolenza (ad ogni cosa il suo nome) di una pretesa di oggettività in scelte che vanno esplicitate invece come scelte politiche. Quello che sosteneva Myrdal l'ho letto, mutatis mutandis, nel libro di Clara Mattei "The capital order" (nella versione italiana "Operazione austerità"), dove si spiega come nei primi anni '20 gli economisti che "inventarono" l'economia pura, cioè quella "oggettiva", basata su leggi di natura, spianarono la strada al fascismo, anche quella forma di neo-fascismo, che non sono cerimonie nostalgiche di Predappio, ma le politiche di austerità "espansiva" degli ultimi 20-30 anni. Tout se tient: vincolo esterno, governi tecnici, fede nel Lascienza, Leuropa, decisioni al riparo del processo elettorale, controllo delle fake news, ecc....... naturalmente per il nostro "bene"

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    1. Ma tu guarda! Era un po’ che non sentivo parlare della Mattei. L’ultima volta ve la avevo citata qui:

      https://goofynomics.blogspot.com/2018/06/i-nemici-del-paese.html

      e ho visto che nel frattempo il suo progetto di ricerca si è sviluppato e le ha dato anche delle meritate soddisfazioni:

      https://www.claramattei.com/

      Diciamo che è riuscita nell’operazione, di per sé meritoria, di arrivare da dove eravamo partiti, cioè dalla constatazione che quelli che parlano stracciandosi le vesti di crisi salariale e di fascismo nei fatti sono la crisi salariale e sono il fascismo. Naturalmente affermazioni così forti, non possono essere confortate dalla pura intuizione. Ci sono isomorfismi che devono essere dimostrati con una ricerca storica approfondita, i cui risultati non sono sorprendenti per noi, e probabilmente non sono neanche completamente intelligibili a quelli cui si rivolgono, altrimenti vedremo in piazza falò di tessere del PD, spettacolo che sappiamo bene essere oltre l’orizzonte degli eventi. Mi colpì molto, nel leggere uno dei working papers che sono alla base dei suoi ultimi saggi, che a quanto vedo sono stati accolti molto bene, apprendere che il termine austerità era stato coniato sotto il fascismo. Il fetore di fascismo che promanava dal paternalismo di Aristide, il docente progressista di cui vi parlavo nel mio articolo del 2011 sul manifesto, non era quindi una mia sensazione idiosincratica! Era qualcosa di strutturalmente connesso a un progetto, quello della moneta unica, di cui è necessariamente parte integrante la compressione dei salari. Oggi queste cose le dice sempre meno fra le righe, anche chi 13 anni fa era venuto a imporci simili politiche, forse dimentico o semplicemente ignaro di chi per primo le aveva proposte, come noi oggi abbiamo dimenticato chi per primo propose in Italia il taglio del cuneo fiscale. A proposito: sapete chi fu?

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    2. Post scriptum: io invece non mi ricordo né se né come votai a quel referendum, ma se dovessi scommettere un euro, penso di aver votato in modo grillino.

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  13. Domanda sincera: posto che anche Craxi aveva l'immunità (e fu pure confermata), perché crede che l'immunità (magari estesa anche agli AALL, come il caso Toti già citato ricorda) sia sufficiente?

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    1. Non credo che sia sufficiente, ma credo che sia necessaria.

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  14. Ho letto oggi che tutta la giunta ANM (e il presidente) non si ricandiderà. Vediamo. Si muovono molte cose.

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  15. Ragionando sul Suo articolo mi era sorta solo una piccola riflessione: la "buona amministrazione" è il biglietto da visita di ogni "classe politica" ed è anche la dimensione che meglio illumina i fini del suo agire.

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  16. “Non è un buono scienziato sociale chi nasconde i propri pregiudizi politici, ma chi li dichiara e li pone esplicitamente a base del discorso”.
    Propongo un emendamento: si sostituiscano le parole “scienziato sociale” con la parola “insegnante”. La proposizione funziona lo stesso? Certo che sì! E allora, come mai ci sentiamo ripetere sempre che “a scuola non si fa politica”?
    A scuola è giusto non fare propaganda elettorale (ci mancherebbe!), ma politica è impossibile non farla. Si può forse spiegare Leopardi o la Seconda guerra mondiale senza fare politica? E se si vuole essere onesti e rigorosi, se si vuole istruire ed educare (sì, alle superiori dobbiamo anche educare, e spesso sono proprio le famiglie a implorarci di farlo), allora dire come la si pensa non solamente è lecito, ma diventa obbligatorio.
    Se riducessimo la cultura a un insieme di nozioni da quiz - dunque a qualcosa di totalmente inoffensivo poiché morto, inerte, irrelato da noi -, forse potremmo anche evitarlo. Ma a cosa servirebbe? In che modo avremmo sviluppato, tramite Dante o le Crociate, lo spirito critico dei discenti?
    In una scuola davvero democratica è impensabile non fare politica, perché il confronto continuo fra linee di indirizzo diverse è l’argine migliore contro il pericolo dell’indottrinamento, di ogni matrice e colore. In una scuola democratica al centro del processo di apprendimento vi è l’alunno, non i dati della disciplina. La didattica per competenze dovrebbe servire a questo: meno nozionismo (che non significa essere autorizzati a non ricordare l’anno della Rivoluzione francese), più cultura. Tradurre dal latino è una competenza, ma anche riuscire a pensare criticamente è una competenza, così complessa e pressoché impossibile da insegnare che, per arrivarci, ci servono Aristotele, Darwin, Pitagora, Tasso, la Guerra dei cent’anni, la barbabietola da zucchero, etc…
    Ma se le competenze diventano quelle europee, propedeutiche (solo o principalmente) all’inserimento dello studente nel mondo del lavoro, allora al centro di tutto non c’è più la persona, ma il mercato (una certa idea di mercato), la sua economia (quella “altamente competitiva”) e le sue esigenze. Il che non significa che non debbano esistere le scuole tecniche o professionali (cioè il mondo in cui lavoro, e sono felice di farlo), al contrario: significa che anche un apprendimento un po’ meno teorico e più pratico deve avere come scopo primario la crescita di un cittadino, non di un elemento funzionale alle logiche del mercato di cui sopra (dunque flessibile, resiliente, competitivo e via altre scempiaggini).
    Qualche decennio fa, quando io non ero nato e il conflitto sociale era ancora un terreno agibile, si faceva politica (dunque, come diremmo oggi in didattichese, si sviluppavano competenze di cittadinanza attiva) anche nei luoghi di lavoro, oggi invece in tanti ci chiedono una scuola che - spacciandosi per qualcosa di ideologicamente neutro (toh, come i governi tecnici!) - prepari al mondo del lavoro senza porsi altre distrazioni (dimenticandosi che σχολή, in greco, significa “tempo libero”). Vi siete accorti anche voi, come dice una bella canzone di qualche anno fa, che siamo tutti più soli?
    La scuola che rischia di indottrinare, alla fine, è la scuola che tecnicizza. Della politica, anche in questo caso, non c’è da aver paura.

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    1. Grazie per queste considerazioni! Le condivido totalmente. Il sistema che ci opprime si nutre di ipocrisia, perché la sincerità gli risulta tossica.

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