L'articolo sulla disoccupazione corretta in Italia, scritto per il Fatto Quotidiano su sollecitazione di Marco Palombi a seguito di questo post, ha avuto molto successo: lo ha rituittato Susanna Camusso
(dove ho sbagliato?), ne ha parlato il sacro blog (ibidem), e mi ha perfino telefonato un corrispondente estero di testata seria per chiedermi dove avessi preso i dati.
La discussione svolta nei post successivi (qui e qui) ha chiarito che il grafico dal quale eravamo partiti, pubblicato dal Financial Times, come minimo aveva una didascalia sbagliata. La somma di forze di lavoro e lavoratori scoraggiati infatti non credo si chiami "working age population". Oddio, in un mondo in cui io mi chiamo Vittorio può succedere di tutto: ma dato che il problema di cui ci occupiamo qui è un problema serio, mi sembra giusto affrontarlo con serietà (ovvero, in modo non giornalistico). Procedo quindi a fornirvi nuovamente i link alle fonti originali dei dati, nonché il foglio dove ho replicato i calcoli tenendo conto delle giuste osservazioni di Andrea e di Giuseppe.
Allora: per replicare il grafico ci occorre:
1) la tabella con la popolazione attiva e i disoccupati [lfsa_pganws];
2) la tabella con la popolazione inattiva, classificata secondo la disponibilità a lavorare (ricordate? Gli "scoraggiati" sono inattivi che però desidererebbero lavorare) [lfsa_igaww];
3) la tabella con il numero di lavoratori part-time [lfsa_epgaed];
4) la tabella con la percentuale di lavoratori part-time che desidererebbero lavorare full-time (perché solo questi sono tecnicamente "sottoccupati") [lfsa_eppgai].
Dopo di che, si tratta di mettere i dati in fila. Io ho lo ho fatto così. Sotto a tutto trovate la mia stima dell'U6 per i paesi europei. Vedendo com'è fatta potrete individuare eventuali problemi.
Va premesso, naturalmente, che Stati Uniti e Unione Europea non applicano definizioni perfettamente sovrapponibili, e quindi questo indicatore non è perfettamente assimilabile all'U6 statunitense. Tuttavia questo dibattito sulle definizioni, che suppongo appassioni moltissimo gli statistici, potrebbe appassionare un economista se stessimo parlando di distinguere fra un tasso al 4.5% e uno al 5%. Siccome, però, purtroppo, siamo pressoché ovunque in doppia cifra, quand'anche queste stime fossero sbagliate di tre punti, significherebbe che in Italia invece del 33% avremmo il 36% o il 30%. Io la differenza non la vedo: la differenza, nella vita di tutti i giorni, la vedremo se e quando torneremo a singola cifra. Questo per dire che il rigore metodologico è sacro (e altrimenti non vi metterei in condizione di replicare e quindi criticare i miei calcoli), ma è sacro anche l'art. 1 della Costituzione, per il quale è stato versato più sangue.
Va anche sottolineato che la percentuale di disoccupati sulla forza lavoro potenziale (data dalla somma di forze di lavoro e scoraggiati) non è il tasso di disoccupazione. Ancora non sono riuscito a capire come abbia fatto il FT a costruire un grafico in cui questa percentuale sembra coincidere con il tasso di disoccupazione ufficiale (che al denominatore non ha gli scoraggiati). Ma vale l'osservazione di cui sopra: rigore è quando arbitro fischia, e rigore metodologico non è quando popolo ha fame.
Questo per chiarire quanto fatto finora.
Per portare avanti il discorso, vi favorisco una analisi preliminare di alcune vostre ipotesi circa il vero dato anomalo dei grafici visti finora: la percentuale del tutto fuori scala di scoraggiati in Italia. Sì, è vero, in Italia succedono cose scoraggianti (ne abbiamo parlato finora!), ma l'anomalia statistica è troppo rilevante, come vi ho fatto notare, e sarebbe utile poterla spiegare in qualche modo. Purtroppo nessuna delle spiegazioni che avete proposto (siamo troppo ricchi - e quindi possiamo permetterci di non cercare lavoro, c'è molto sommerso - e quindi lavoriamo ma non figuriamo nelle statistiche) quadra coi dati, almeno a una prima, sommaria analisi.
Qui vedete la correlazione della percentuale di scoraggiati con alcune variabili:
fra cui l'incidenza dell'economia sommersa (stimata da Schneider, massimo esperto mondiale, noto ai miei lettori; è la variabile SOMMERSO), la percentuale di disoccupati (calcolata nel foglio Excel), il rapporto fra ricchezza totale e ricchezza immobiliare delle famiglie sul loro reddito disponibile (che trovate qui). La percentuale di scoraggiati è correlata debolissimamente con tutte queste variabili.
Ovviamente si dovrebbe fare un'analisi più approfondita: per esempio, invece di considerare (come qui) una sezione di 11 paesi osservati in un singolo anno, si potrebbe analizzare un panel (11 paesi osservati per n anni), si potrebbero inserire altre variabili, ecc.
Ma la spiegazione "stiamo troppo bene, siamo troppo ricchi, siamo troppo disonesti..." e via dicendo non funziona benissimo: quando una cosa nei dati c'è si vede, e l'econometria serve soprattutto quando non c'è: fidatevi di una che ne ha fatta tanta, e pirreviùd tantissima...
L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
Interessante il focus della Camusso; magari potrebbe fare qualche passetto avanti e dedicarsi a studiare Bagnai per le cause e non solo per gli effetti.
RispondiEliminaChe il problema della disoccupazione reale esista e non possa essere più nascosto, lo scrive anche il giornale piddino per eccellenza, che cita dati bce che danno la disoccupazione italiana al 25%. L'articolo del 13 maggio 2017 è a questo link http://www.repubblica.it/economia/rubriche/eurobarometro/2017/05/13/news/mario_draghi_disoccupazione-165320272/
RispondiEliminaintegrato da un secondo articolo dell'8 luglio 2017 dove viene citato uno studio della fondazione di Vittorio che attesta il tasso di disoccupazione al 24% circa, articolo reperibile a questo link http://www.repubblica.it/economia/2017/07/08/news/lavoro_studio_vittorio_potenziali-170276374/
E' spaventosa la progressione '99 - '16 pari a + 53,87% (da 21,55 a 33,16) una vera ecatombe. Ovviamente la peggiore nel gruppo esposto a parte la Grecia con + 90%, ma anche la Danimarca ha un + 43,57%, ma la Svezia ha circa lo 0% di aumento, cosa solo apparentemente strana, basta guardare il cambio corona svedese/euro (max/min 45,42%) e corona danese/euro (min/max 0,65%).
RispondiEliminaMa la Danimarca ha legato il cambio con l' euro al +/- 2,25%.
Bisogna però notare che la Danimarca ha sottoscritto gli accordi europei di cambio dell'eurozona (AEC II), vincolando in questo modo il proprio tasso di cambio a quello dell'euro a 7,46038 corone con un margine di variazione del ±2,25%.
A proposito, chi è di Roma, si faccia una passeggiata al centro storico, zona Fontanella Borghese, San Silvestro, Piazza di Spagna e vie connesse, negozi chiusi e outlet precari che danno sempre di più l' idea della crisi; ve lo dico da osservatore attento che da anni osserva la situazione. E' solo la punta dell' iceberg!
Professore, osservando la realtà in cui vivo vorrei proporre due possibili spiegazioni:
RispondiEliminaLa prima è che una donna come mia madre che compie lavoro domestico viene considerata come "scoraggiata", o comunque disoccupata. Tuttavia dai conti della famiglia è lei la chiave della prosperità. Questa incomprensione può essere dovuta a una differenza culturale profonda fra l'Italia e paesi più convintamente "liberistizzati", che si vede nei dati dell'occupazione femminile (oltre 10 punti sotto la media europea: siamo penultimi).
Ma come possiamo vivere allora? Semplice: una donna che fa lavoro domestico permette al nucleo familiare di sopravvivere anche con un solo reddito, tagliando i costi della famiglia. Come in un'azienda la prosperità non dipende solo dal fatturato ma anche - forse soprattutto - dal controllo dei costi, una donna che fa lavoro domestico può rendere vivibile una situazione che altrimenti non lo sarebbe.
Si può obiettare che il costo della vita appare lo stesso: ma bisogna vedere come sono pesati i panieri usati dall'Istat; dal poco che so non possono riflettere le differenze di spesa fra una famiglia come la mia (dove acquisti oculati permettono di vivere - e con lo stesso tenore di vita - acquistando magari le stesse cose o quasi ma in momenti favorevoli) e una famiglia con due redditi dove non c'è un "ufficio acquisti" e le spese si fanno alla carlona.
Un test di correlazione fra i dati sull'occupazione femminile e quelli della disoccupazione da Lei calcolata può provare o smentire questa ipotesi.
La seconda ipotesi, che può essere complementare, riguarda i giovani che studiano e bamboccioneggiano - o studiano e lavorano in aziende artigianali o agricole in nero-nerissimo. Qui il focus sarebbe sulla peculiarità del nostro sistema universitario, che al contrario di quasi tutti quelli europei rende conveniente restare registrati anche se fuori corso. Ma non voglio mettere troppa carne al fuoco.
Spero di non aver detto castronerie.
Indiscutibilmente mi fido di lei. Non mi avventuro in nessun suggerimento scientifico non avendone la competenza. Mi permetto però ricordare come la politica, nella persona del ministro Poletti, consigliasse ai giovani validi metodi per trovare lavoro.
RispondiEliminahttp://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/27/poletti-lultima-ai-giovani-per-trovare-lavoro-e-meglio-giocare-a-calcetto-che-mandare-cv/3480582/
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RispondiEliminaDal mio punto di vista, sono un ingegnere e quindi ragiono sui numeri e non sulle impressioni, l'articolo non ha sufficienti basi scientifiche, perchè fa riferimento a "scoraggiati" per una percentuale del 12-13%,i sottoccupati (gente scontenta che vorrebbe lavorare a tempo pieno?, mah) all'8% e i disoccupati classici (chiamiamoli da oggi in poi ottimisti sul futuro) al 10% o meno. Intanto sulla base di cosa e di quale analisi sono calcolati gli appartenenti alle prime due fasce? Su base statistica, di un questionario, o cos'altro? Tale indagine è stata condotta in modo corretto e omogeneo in tutta Europa? Le domande di tipo personale hanno una vera validità scientifica? Ad esempio chiedere ad un milanese se i servizi vanno bene, sapendo che sono tra i migliori d'Italia, produrrà una risposta al massimo sufficiente, chiedere lo stesso ad abitanti di una città del sud rischia di avere una risposta più alta in termini di voti di valutazione, per l'approccio stesso diverso nelle diverse aree. Quindi una tabella per me non dice nulla se non vedo l'algoritmo che ha prodotto i grafici. La situazione in Italia è molto variegata, ma occorre smetterla di lamentarsi sempre, anche se molti ne hanno diritto, e contribuire a migliorare la situazione. Come al solito tutti evidenziano i problemi, ma quando poi si tratta di mettere in pratica strategie per migliorare la situazione tutti scompaiono. Una sfida a chi ha scritto l'articolo: si proponga come amministratore di un'azienda in crisi, a rischio di chiusura e con un grande debito verso le banche, i fornitori e lo stato, e vediamo cosa adotta per salvarla ed aumentare in 2-3 anni del 30% gli impiegati, e del 50% il loro stipendio. Michele
RispondiEliminaDai, dicci che stai scherzando! Ma veramente non hai capito che sono definizioni fornite dall'Eurostat? Ci sono i link! Non so che ingengngngniere tu sia, ma non mi sembri un esperto di informatica. Forse i tuoi disegni li fai ancora con l'inchiostro di china...
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