mercoledì 8 maggio 2024

L'inverno macroeconomico in prospettiva

Domani proverò a illustrare i semplici concetti enunciati nel post precedente a un pubblico che in linea di principio dovrebbe essere interessato all'argomento, ma di cui non posso dare per scontata la benevola attenzione né la disponibilità a mettere in gioco le proprie certezze: questo.

Nel frattempo, aderendo alla linea editoriale di questo blog, e anche alla mia specifica competenza professionale, che è quella di analista delle serie storiche di lungo periodo, sono andato a ripescare i dati  allungando fino al 1980 la serie storica dei contributi sociali (e anche di tutto il resto, a dire il vero: ma il resto lo vedrà domani chi verrà, anche se suggerisco di seguire l'evento in diretta streaming, nel caso interessi, perché non so se per Palazzo Wedekind occorrano accrediti e ho la vaga idea di sì; io parlerò intorno alle 16).

Ho preso una vecchia CN (contabilità nazionale) trimestrale dell'ISTAT del quarto trimestre del 1996 (ovviamente in lire, ovviamente non più disponibile, anzi, forse mai resa disponibile sul sito, dove la versione più antica mi pare essere quella del 2011), l'ho convertita in dato annuale sommando i quattro dati trimestrali, l'ho riportata da miliardi di lire a milioni di euro dividendola per 1.93627, e il risultato è questo qui (i dati dal 1995 in poi vengono da qui, come forse non vi avevo detto):


La sostanza non cambia, né si vede perché dovrebbe cambiare.

Prima della rincorsa al ribasso dei salari, prima delle politiche che per essere beggar-thy-neighbour sono diventata beggar-thy-worker, cioè beggar-thyself, nessun evento, nemmeno quelli ricordati (o millantati) dalla stampa come catastrofici, ad esempio la mitologica crisi del 1992, avevano prodotto scostamenti al ribasso del gettito contributivo analoghi per intensità e persistenza.

E per forza!

Prima dell'ingresso nell'euro shock esterni venivano ammortizzati dal tasso di cambio e quindi non si riflettevano necessariamente e inesorabilmente sui salari (e da lì sul gettito contributivo). Il Paese strutturalmente in surplus rivalutava, come abbiamo spiegato ad esempio qui, e la convivenza, che in Europa non sarà mai piacevole, era però sostenibile. Con l'ingresso nell'eurozona, al primo shock rilevante (la crisi finanziaria globale) si è dovuto rispondere con la svalutazione interna, quella del nostro lavoro, delle nostre vite, attivando una spirale deflattiva dalla quale a malapena riusciamo a districarci ora, dodici anni dopo, e solo perché grazie al COVID le regole sono state sospese!

Questo piccolo addendum vale quindi a smentire i cretini (di cui non v'è mai difetto) che eventualmente dovessero imputare i risultati del post precedente alla particolare selezione del campione (sono partito dal 1995 semplicemente perché l'ISTAT, nel suo costante anelito di perfezione, continuamente rivede le serie e toglie quelle meno che perfette dal sito: ma per analizzare le tendenze di lungo periodo non occorre perfezione, occorre trasparenza).

D'altra parte, voi qui che cosa sia il Pil dovreste saperlo. Dovreste sapere che lo stesso numero può essere calcolato e letto lato produzione (come somma dei valori aggiunti settoriali: agricoltura, industria, ecc.), lato domanda (come somma delle spese dei vari operatori economici: consumi delle famiglie, investimenti fissi lordi delle imprese, ecc.), e lato reddito (come somma delle retribuzioni percepite dal lavoro, dal capitale-impresa, ecc.).

Ne abbiamo parlato in dettaglio nello spiegare il miracolo lettone, e molte altre volte.

Ne consegue che se il Pil misurato dal lato della domanda fa la cosa che abbiamo visto qui:


è piuttosto ovvio che farà la stessa cosa anche se lo misuriamo dal lato dei redditi (il Pil questo è: il valore della produzione non può differire né dalla spesa effettuata per acquistarla né dai redditi distribuiti a chi l'ha realizzata!). Ecco perché anche da quel lato lì (cioè nelle retribuzioni) riscontriamo la frattura su cui negli ultimi tempi ci stiamo interpellando (almeno dal 2016, in realtà).

Non che non sapessimo quale ne fosse la causa: l'avevamo individuata già nel 2011. Ma certo ora avere la confessione dei carnefici aiuta, o almeno dovrebbe aiutare.

Vi saprò dire domani.

6 commenti:

  1. Nel grafico 📊 è rimasto al 2022 . 2023,2024 ? Immagino male se non li ha inseriti 😅

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  2. Intanto sul corriere si accorgono che i salari reali sono più bassi che nel 1990 https://www.corriere.it/economia/lavoro/24_maggio_09/in-italia-si-guadagna-meno-che-nel-1990-e-l-unico-paese-ue-dove-i-salari-reali-sono-scesi-il-grafico-741356f1-2bd7-46de-b0af-1717f28c6xlk_amp.shtml e chiedono a quello della "crisi estensiva ma benigna" di spiegare i motivi, che "ovviamente" sono i seguenti:
    Il nanismo delle nostre imprese

    Spiega Tommaso Monacelli, ordinario di Macroeconomia all’università Bocconi di Milano, che «i bassi salari sono la spia di un malessere profondo dell’economia. Che derivano da una crescita anemica della produttività totale dei fattori. I salari fermi sono, a mio avviso, la più grande ferita nel modello di specializzazione produttiva dell’Italia, basata sulle piccole e medie imprese. Con un impatto inevitabile anche sulla demografia. Con una forza lavoro anziana e poco istruita, per una scarsa percentuale di lavoratori con istruzione avanzata, ne risente anche la produttività. A ciò si aggiunga un mercato dei capitali poco dinamico e la ridotta dimensione delle imprese anche per sfuggire ai radar del fisco, generalmente poco aperte per questo all’innovazione tecnologica e dunque al valore aggiunto che ciò genera sulla produttività, retaggio anche di un capitalismo familiare affetto dal dogma del controllo».

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  3. Buongiorno Prof.!

    Grazie per questi post centrati sulla questione previdenziale!

    Fra le tante illogicità piddine c’è una contraddizione macroscopica che, da anni, arricchisce il discorso di molti espertoni, facendomi davvero imbestialire. Gli stessi che esprimono grande preoccupazione per l’inverno demografico (con il corollario della necessità di aumentare il numero di immigrati che ci pagheranno le pensioni) a giorni alterni denunciano quanto il nostro mercato del lavoro sia arretrato e destinato ad enormi sconquassi, perché con lo sviluppo di informatica e robot moltissime persone andranno incontro a disoccupazione. La base di questa seconda profezia è la constatazione che ciò che un tempo faceva l’uomo lo faranno sempre di più le macchine, a partire da molti lavori manuali, per arrivare, con il passare del tempo e i progressi tecnologici, anche a molti lavori concettuali (ora ci dicono che con l’AI non serviranno neppure più i medici). Ora anche prendendo per buone queste premesse non si possono non notare delle enormi contraddizioni. Ma se davvero serviranno sempre meno persone per produrre lo stesso numero di beni e servizi perché diamine sarebbe un problema l’inverno demografico? Se ogni lavoratore fosse pagato in base alla sua produttività (che con l’ausilio delle macchine aumenterebbe in maniera spropositata) non potrebbero pochi lavoratori pagare il sostentamento di molti pensionati?

    Come in molte altre tematiche riemerge il vero motivo per cui non possiedo più la televisione e non leggo i giornali, ma continuo a tornare qui sul blog: il bisogno di ascoltare un discorso coerente.

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    1. Sì, questo è uno dei temi centrali (mi scuso per il ritardo nello sbloccare il commento). In effetti, ogni ragionamento su "le macchine che ci ruberanno il lavoro" mette su una china scivolosa chi lo intraprende, come pure le riflessioni dilettantistiche sulla produttività che ci sentiamo ammannire da economisti "single digit" (zero tituli) ogni due per tre...

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  4. OT: per piacere si potrebbe mettere il calendario degli appuntamenti anche su Telegram? Da quando il prode Musk ha comprato twitter e ha chiuso le visualizzazioni ai non iscritti non si può più leggerli lì.
    Grazie.

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