domenica 2 marzo 2014

Il keynesianesimo per le dame (e, soprattutto, per i cicisbei) – Capitolo primo



Lunga premessa (astenersi piddini, espertoni, e “hai-visto-quant’è-interessante-questo-paper”-isti)

È giunto il momento di far intuire a Nat, ma anche a tutti i cucciolotti in preda alla famosa sindrome di Dunning-Kruger, à quoi ça rime il discorso “tecnico” che stiamo portando avanti in parallelo, soffermandoci in particolare su uno dei suoi risvolti più “filosofici” e profondi, ma anche più semplici da formalizzare. Prima, però vorrei fare una lunga premessa, per mettere un po’ di ordine nella discussione e per evidenziare il percorso passato e l’auspicabile percorso futuro di questo blog.

Do per scontato che se siete qui avete intuito la differenza fra semplice e banale, il che mi fornisce una ragionevole certezza di riuscire a interessarvi con quello che sto per dirvi. Do anche per scontata un’altra cosa: che se siete qui, non vi interessa la cronaca, semplicemente perché, avendo letto questo articolo (che numerosi epigoni oggi possono far apparire come scontato), negli ultimi tre anni avete avuto l’opportunità di apprezzare come il ragionamento estremamente rettilineo in esso svolto interpolasse con buona approssimazione tutti gli infiniti puntini della cronaca (l’esplosione di Marine Le Pen, le tensioni economiche che diventano politiche, l’aporia del più Europa confermata e riconfermata a ogni piè sospinto dall’atteggiamento tedesco, i fallimenti ripetuti dei governi che danno la risposta giusta alla domanda sbagliata, il prevalere della destra – ancorché camuffata da sinistra – a causa dell’insistere su politiche di destra, ecc.). La cronaca quindi mi aspetto che legittimamente vi interessi poco, perché per anticiparla vi è bastato leggere un articolo di economia (essendo questa il motore della Storia).

Quindi voi sapete, come io sapevo e so (e, vi assicuro, non da solo: ripeto, non fatemi migliore di quello che sono. Ah, come? Perché gli altri che sapevano non parlavano e non parlano? Be’, amici, non fate nemmeno gli altri migliori di quello che sono...).

Sì, naturalmente ogni tanto ci divertiremo con i QED, ma cosa può succedere ormai che possa sorprenderci?

“Io l’avevo detto” è, per quanto puerile, l’unico piacere di un economista, e resta inoltre, per quanto di pessimo gusto, l’unico strumento che un economista oggi abbia di affermare la propria credibilità. Sarebbe bello se “er popolo” potesse apprezzare la credibilità laddove essa si manifesta: nello stile. Questo può capitare a Nat, che ce lo ha anche detto (grazie). “Er popolo” apprezza la credibilità dove essa non si manifesta: nella mancanza di stile. Però ogni tanto bisogna anche farlo contento, “er popolo”, ma con giudizio. A luglio dello scorso anno dissi che il menù dell’anno solare successivo sarebbe stato il crollo dei paesi virtuosi. Se mi leggete da un po’ sapete che le mie frasi generalmente sono sentenze (Finlandia e Francia peraltro erano già state condannate nel libro, porelle...). Ora, andare a scrivere dieci articoli a mano a mano che Francia, Finlandia, Danimarca, Austria, Belgio, ecc. avranno i loro problemucci mi sembra non solo ingeneroso, ma, soprattutto, ininteressante.

Ottimo lavoro per i garzoni di bottega.

Io vorrei fare altro, perché da fare c’è tanto.

La prima cosa da fare, ora che la diagnosi che abbiamo divulgato in Italia è condivisa in tutto l’universo mondo, con la limitata eccezione di un areale stepposo compreso fra via di Tor Bella Monaca e via Anagnina, e ora che le conclusioni alle quali questa diagnosi inesorabilmente portava sono diventate ortodossia, è studiare come gestire la transizione.

La mia idea di cosa fare dopo l’ho già condivisa con voi nelle ultime cento pagine del libro. Non pretendo, ovviamente, che quella sia la risposta. Visto che cosa fare dopo è un dato politico, e visto che personalmente credo (o faccio finta con molta dignità di credere) nella democrazia, accetto volentieri che del dopo ci possano essere infinite visioni. Se, per il momento, ce n’è una sola, è perché quelli che fanno finta di criticare il prima, porelli, per difendere il prima (che è quanto loro interessa) non studiano il dopo (e fanno anche un certo giochetto sporco sul quale non mi dilungo, perché come finirà è scritto qui). Quindi, per ora, per quanto ne so, la risposta sul dopo contenuta nelle ultime 100 pagine del Tramonto dell’euro rimane l’unica sul mercato italiano. Ma si sa, i marziani nel mercato non ci credono, e i keynesiani credono solo nella domanda. Sarà per questo che l’unica offerta è la mia. Se mi lasciano il monopolio della verità, ovviamente lo sfrutto, ma, vi assicuro, sarò sollevatissimo quando evolveremo verso forme di mercato più concorrenziali. Insomma, sul dopo ho la coscienza a posto e quindi insisto sul fatto che la prima cosa da fare adesso è studiare il durante, per limitarne i costi, che inevitabilmente ci saranno (con buona pace dei simpaticoni che mi attribuiscono l’idea contraria per motivi scopertamente strumentali). Ci stiamo attrezzando per questo col convegno del 12 aprile.

Ma c’è da fare anche un altro lavoro, un lavoro che a tanti sembrerà inutile.

Come siamo arrivati qui?

Ci siamo arrivati per tante vie, ma sicuramente una delle chiavi di lettura più semplici ma profonde che vorrei condividere con voi me l’ha data il preside della facoltà di Rouen, parlando di una doppia tragedia: della cupidigia e dell’intelligenza.

Della tragedia della cupidigia abbiamo già parlato, ad esempio qui. È l’idea, non particolarmente originale, che ogni squilibrio finanziario storicamente è preceduto da uno squilibrio distributivo, ovvero, in altri termini, da un capitalismo che non funziona come dice di voler funzionare (va anche detto che di quello che dice potrebbe anche importarcene poco, visto che quello che conta sono i risultati...).

Anche della tragedia dell’intelligenza abbiamo già parlato, l’ultima volta qui. Diciamolo pure: la tragedia dell’intelligenza è stata il fil rouge di questo blog, quello che, attraverso la creazione della figura del piddino, inteso come l’uomo che sa di sapere, l’antisocratico par excellence, vi ha consentito, una volta approdati qui, di sentirvi qui in un’oasi felice, despicere unde queas alios passimque videre errare atque viam palantes quaerere vitae, certare ingenio, contendere nobilitate, noctes atque dies niti praestante labore ad summas emergere opes rerumque potiri, e poi fare il botto, come la ‘zdora, e ora il buon Renzi.

Quindi, se ci siamo detti tutto, che ci dobbiamo dire?

Be’ (o, per i curdi, bhè – a proposito, avete mica notato che Word mette delle strane ondine rosse sotto bhè ma non le mette sotto be’? Credo sia il caso di interrogarsi su questo interessante fenomeno...), be’, dicevo, qualcosa da dire rimane. Quelli che dicono che uscire dall’euro non basta (fondamentalmente per insinuare che io dico che basti) e che ci sarà “tanto” da fare, e che bisogna vedere come l’economia sarà gestita dopo, e via luogocomuneggiando, generalmente non capiscono, perché non ponno, cosa ci sia effettivamente da fare: c’è da riconoscere quale sia stata la più devastante vittoria della terza globalizzazione.

A me pare che questa sia stata la distruzione, tuttora in corso, della classe media come laboratorio di coscienza ed elaborazione culturale. Insomma: come hanno fatto a trasformarvi in piddini?

Dovremmo capire come ci sono riusciti, e capire come rovesciare, se possibile, questa tendenza, che ha fatto di quella che una volta era la classe rivoluzionaria par excellence (la borghesia) una specie di sottoproletariato lobotomizzato, tutto buonismo cosmopolita e distintivo, il luogo, come dice Diego Fusaro, di riproduzione culturale del capitalismo (molto ben camuffato da luogo di opposizione “estetico-sentimentale” al capitalismo, del resto). Non so nemmeno dirvi se in questa follia ci sia stato o meno del metodo, se sia stato un processo cosciente o meno. Se mi guardo indietro, vedo che il simpatico XIX secolo è stato un primo discrimine. Forse sbaglierò, sono in “espertone mode on”, va da sé, ma a me pare che lì il quadrivio sia definitivamente uscito dalla “cultura”, nella limitata accezione di “bagaglio di conoscenze e di prassi di quello che viene percepito come uomo di cultura”. Insomma, è dal secolo dell’idealismo che abbiamo ereditato la simpatica idea che l’uomo di cultura sia uno che “io pe’ lla matematica nun ce so’ portato” e che “me piace tutta ‘a musica, er gezz...” (e poi l’enumerazione si ferma lì, salvo forse includere la lirica). Ma naturalmente guai a perdersi l’ultimo romanzo dell’ultimo premio Nobel per la letteratura, soprattutto se uzbeko! Culture oblige, s’intende (nota a margine: inutile dire che la critica “estetico-sentimentale” del capitalismo, oltre che a una difesa senza sé e senza ma dell’euro, si nutre di uno sterminato disprezzo verso l’eurocentrismo... Quello culturale, va da sé, perché quello monetario invece va bene). È da quel secolo che abbiamo dimenticato Cardano e Fibonacci, e fino a lì forse potremmo anche rassegnarci, ed è anche da quel secolo che abbiamo imparato a vedere nelle “lettere” (musica inclusa) la manifestazione del “genio”, inteso come un disadattato che parla sentimentalmente alle fibre più riposte del nostro io stitico, anziché come una persona che ci fornisce una chiave di lettura della realtà (e ri-Diego santo subito quando rivendica il ruolo della filosofia come strumento di lettura del reale: ma tale è anche l’arte, e come tale non viene più percepita).

Non so, quelli che dicono “decade” invece di decennio e “domestico” invece di interno, quelli che dicono “store” invece di negozio (Fausto docet), ma anche le maestre elementari che festeggiano Halloween, come pure il casting delle ministre di Renzi, e via dicendo, mi sembrano tutti sintomi di una colossale sconfitta, di un processo di colonizzazione profondo, del tipo di quello del quale parlavamo qua (se seguite la discussione), ed è a questa colonizzazione che dovremmo opporci, semplicemente non dimenticandoci di essere noi stessi.

Ma cosa siamo “noi stessi”, i “borghesi eurocentrici che leggono libri senza figure”, gli eredi “d'Aristotile e di Plato e di molt'altri”? Siamo spiriti critici, o almeno ci proviamo. Siamo i figli bastardi (and proud of it) di una tradizione che ha fatto dell’unire i puntini e del non specializzarsi un motore di conoscenza e di approfondimento. Questo vi è piaciuto, no, leggendo il primo articolo? Il fatto che si univano i puntini.

Non mi pare che a Ovest, né a Est (ma soprattutto a Ovest) ci sia altrettanta capacità, e soprattutto altrettanto bisogno, di farlo (un esempio qua sotto a proposito dell'UCLA).

Ora mi metto in “espertone mode off” e torno a parlarvi di quello che so, in un modo tale da farvi capire cosa c’entrino le passeggiate aleatorie, e cosa c’entri un certo modo sentimental-superficiale di discettare di scienze delle quali si ignora la rava e la fava, e di quanto l’approccio sentimental-superficiale sia nefasto, dal momento che ci nasconde, disperdendosi in infiniti dettagli pseudo-tecnici, la dimensione più profonda della sconfitta che stiamo subendo.

L’economia keynesiana e l’economia di Keynes
Qualche giorno fa, nel corso di uno dei tanti simpatici quarti d’ora del dilettante che sono il sale di Twitter, mi sono imbattuto in questo articolo, scritto da un economista il cui blog era stato incidentalmente citato nel discorso. Senza entrare (per ora) nei tecnicismi, fin dall’abstract mi ha colpito immediatamente una cosa: il fatto che l’autore rivendicasse come proprio contributo originale, e come presupposto per la sua riscoperta del vero significato di Keynes, l’idea che l’economia keynesiana “never was about sticky prices” (non ha mai insistito sul concetto di prezzi rigidi, non è mai dipesa intrinsecamente da esso).

“Fischia!”, ho subito pensato “E chi è ‘sto gegno!”. Allora sono andato a vedere, e ho scoperto che è uno molto bravo (senza ironia alcuna) che insegna alla UCLA. Ora, per insegnare alla UCLA devi avere un PhD statunitense (di norma), il che significa che molto probabilmente non ti sei laureato alla Sapienza. Ecco, il problema è proprio lì. Perché la Sapienza, quando era la Sapienza, era un ambiente così culturalmente vivo, con insegnanti così stimolanti e disponibili, che poteva capitare che perfino uno come me, al quale l’economia non interessava, e che diversificava il portafoglio dei propri interessi fra letteratura (40%), musica (40%) e gnocca (20%, ma sarebbe inutile dirlo), fosse spinto a leggersi la Teoria Generale, anche se non era in nessun programma, e perfino Leijonhufvud, anche se non era in nessunissimo programma. Alla Sapienza, insomma, l’idea che l’economia di Keynes non fosse un caso particolare dell’economia mainstream (quello nel quale i salari sono rigidi), si respirava con la polvere dei gessetti, e come questa di restava nei polmoni, quella ti si incrostava nel cervello.

Mai, venendo dalla Sapienza, avresti pensato a Keynes come a un Walras a prezzi rigidi, e mai avresti chiamato, se non per convenienza, “modello keynesiano” la sintesi neoclassica di Samuelson, Hicks, Hansen, e Modigliani (per dirne alcuni). Sempre e solo, rigorosamente, modello IS/LM.

Ora, definire chi sia stato Keynes è un compito interessante, ottimo per passare un pomeriggio in una mansarda del 10eme arrondissement, quando lo strappo al polpaccio ti sconsiglia una promenade, e questo perché è palesemente un compito impossibile, un po’ come costruire un veliero in una bottiglia tappata, per il semplice e buon motivo che nemmeno Keynes è riuscito a definirsi. Ci sono opere di Keynes il cui titolo è una domanda che l’autore rivolge a se stesso, e la cui risposta lo stesso autore non riesce a trovare se non per esclusione (esempio)! È piuttosto paradossale (sì, lo so, oggi si direbbe “è ironico”... Sarà così per le prossime decadi, la nostra lingua domestica sta cambiando, ma “ironico” in italiano si usa in un altro modo...), è piuttosto paradossale che ci siano così tante persone che sanno così bene chi sia uno che di se stesso non sapeva chi fosse! O forse no. Non è detto che un artista sappia esattamente cosa sta facendo: forse lo sanno meglio gli altri.

L’interpretazione autentica ha un senso nel diritto, ma non credo ce l’abbia in altre manifestazioni del pensiero.

Comunque, oggi capire chi è Keynes è diventato importante, perché, come dire, ognuno ha il suo Keynes, e ognuno lo denigra a propria guisa. Orientarsi, anche se, per quanto detto sopra, è impossibile, purtroppo è necessario, quindi proviamoci insieme.

I nostri amici marziani, si sa, detestano in Keynes quello che è riuscito a tenere insieme i cocci del capitalismo. Loro aspettano, fiduciosi, la palingenesi, e il fatto che ci sia uno al quale in qualsiasi momento si può ricorrere per rinviarla proprio non gli va giù. Quindi Keynes è “de destra”, e nel frattempo teniamoci l’euro che fa esplodere le contraddizioni del sistema e affratella algonchino e samoiedo. Ne abbiamo parlato.

I nostri amici meinstrim (main stream), in versione Alesina o Giannino, hanno interessi diversificati ma convergenti nel banalizzare Keynes come uno che vuole risolvere tutto con la spesa pubblica improduttiva, uno che vede solo la domanda e non l’offerta, uno che crede nell’efficacia delle politiche anticicliche, che invece creano problemi di time consistency (lunga promessa con l’attender corto), amplificano il ciclo economico, ecc. Meglio le regole fisse che le regole di feedback per gestire un sistema complesso come quello economico, tanto più che il modello keynesiano non è scientifico perché non è costruito su fondamenti assiomatico-deduttivi solidi (di questo parliamo dopo).

I nostri amici neokeynesiani, a loro volta, trovano questo pensatore che non ha scritto molte formule sia metodologicamente vetusto, sia un po’ polveroso. Insomma: ricordate le parole di Keynes che vi ho citato tante volte, quelle sul successo dell’economia neoclassica (lui la chiamava ricardiana):

“That it reached conclusions quite different from what the ordinary uninstructed person would expect, added, I suppose, to its intellectual prestige. That its teaching, translated into practice, was austere and often unpalatable, lent it virtue. That it was adapted to carry a vast and consistent logical superstructure, gave it beauty.”


La bellezza e il prestigio intellettuale, insomma, il potersi divertire con un po’ di matematica, e il potersi dire che si è “scienziati”. Ecco: questo Keynes ai keynesiani non lo offriva. E i neokeynesiani hanno rimediato, nel modo che vedremo.

Partiamo però da un principio molto keynesiano: quello di definire Keynes come lui si è definito, cioè per esclusione. Facciamo quindi l’ipotesi che Keynes non sia (fosse) un economista main stream, e del resto nemmeno un marxista, e proviamo a definire cosa siano oggi gli economisti main stream.

Il main stream (nella sua vulgata, non necessariamente nelle sue punte più avanzate) si basa fondamentalmente su tre principi.

Il primo è che il sistema dei prezzi sia un meccanismo di coordinamento efficiente delle azioni individuali. L’ipotesi sottostante è che gli individui siano interessati al proprio tornaconto e siano altrimenti scoordinati (mi riferisco ovviamente al caso “classico”, quello di mercati concorrenziali, perché altrimenti il coordinamento, soprattutto dal lato dei produttori, diventerebbe ovviamente un’opzione da considerare; esempio: comportamento collusivo tramite accordi di cartello. Sì, lo so benissimo che il mondo invece è fatto così, ma qui stiamo parlando dei principi...). Sono i prezzi, e solo loro, a realizzare il miracolo di convogliare tutti questi “atomi” economici verso la realizzazione di un bene comune, perché i prezzi convogliano tutta e sola l’informazione necessaria a prendere decisioni razionali.

Il secondo principio è l’individualismo metodologico. La chiave per interpretare i fenomeni economici, anche nella loro dimensione collettiva ed aggregata, è lo studio del comportamento individuale. In altre parole, per prevedere come si comporteranno i consumi della nazione, devi partire dallo studio del comportamento di un singolo consumatore, una specie di “italiano medio” che in economia si chiama “agente rappresentativo”. Questo modus operandi ti permette di “microfondare” (si dice così) il ragionamento macroeconomico, cioè di richiamare le dinamiche degli aggregati macroeconomici all’agire del singolo operatore, il che, si suppone, rende questo ragionamento più scientifico e anche più attendibile, in quanto rinvia a parametri “profondi” (e, per ipotesi, invarianti) dell’animo umano e delle tecniche produttive, anziché a semplici regolarità statistiche che possono essere smentite dai dati. Insomma: il fatto che in un paese in media gli individui consumino il 60% del proprio reddito non può essere utilizzato per stimare cosa succederà al consumo se aumenta il reddito, perché questa regolarità statistica potrebbe essere perturbata dalle reazioni dei consumatori alle politiche fatte per stimolare il reddito (critica di Lucas). L’unico modo sicuro per sapere cosa succede in risposta a una politica economica (di solito, nella risposta del mainstream, niente), è entrare nella testa del consumatore rappresentativo, dandone una rappresentazione assiomatica, e deducendone more geometrico le reazioni agli stimoli esterni.

Il terzo principio è che gli individui agiscono razionalmente, il che significa sostanzialmente due cose: la prima è che hanno una funzione obiettivo ben definita (una funzione di profitto, se sono imprenditori, o di utilità, se sono consumatori), cioè una legge che associa un risultato monetario (profitto) o psicologico (utilità) a ognuna delle loro infinite possibili scelte, e che conoscono questa legge (per cui sanno come massimizzarla). Il secondo è che, visto che cosa fare oggi dipende anche da cosa succederà domani, gli individui sono dotati di aspettative razionali, ovvero, formano le loro previsioni sul futuro sulla base di tre elementi:

(i) la conoscenza esatta e completa di tutte le informazioni rilevanti disponibili al momento della decisione;

(ii) la conoscenza esatta della struttura “vera” del sistema economico (che quindi si suppone data come fatto di natura, e come tale “scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola” – era pisano, ma era tanto un bravo ragazzo...);

(iii) la conoscenza esatta della distribuzione di probabilità di tutti gli elementi futuri incerti, cioè della distribuzione di probabilità di variabili aleatorie quali il prezzo del petrolio fra un mese, il tasso di interesse della Fed fra una settimana, il verificarsi del Big one in California, ecc.

Insomma: la fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo, ma l’agente razionale ci vede anche meglio.

In termini tecnici, le aspettative razionali sono il valore atteso (o speranza matematica) di una o più variabili di interesse (prezzi, ad esempio), condizionata a tutte le informazioni disponibili, comprese quelle sulla struttura esatta del modello.

Che vuol dire condizionata? Vuol dire: valore atteso calcolato conoscendo una serie di informazioni.

Aspettative razionali, mercati efficienti e prezzo delle attività
Detto così, sembra una cosa complicatissima, e spesso lo diventa, ma se avete fatto da bravi i compiti a casa vedrete che ci capiremo subito, con un semplice esempio.

Partiamo dai due principi: il prezzo convoglia tutte le informazioni disponibili e le aspettative sono razionali.

Cosa significa che le aspettative sono razionali? Non significa che la previsione fatta oggi del prezzo di domani necessariamente coinciderà con il prezzo di domani. Significa però che qualsiasi scostamento da questa previsione sarà imprevedibile a priori. Se io avessi oggi un elemento che mi permette di  prevedere che domani mi sbaglierò... be’, evidentemente rivedrei la mia previsione in modo da non sbagliarmi!

Quindi Pt+1 = E(Pt+1|It) + et+1 cioè: il prezzo al tempo t+1, ovvero Pt+1, è per definizione uguale alla previsione che faccio oggi, con le informazioni disponibili in t, cioè con It, più un errore et+1 totalmente imprevedibile. Attenzione, non sto dicendo una totale banalità. È ovvio che il prezzo di domani sarà sempre uguale alla previsione che ne faccio oggi (quale essa sia) più un errore. Ma se la previsione è razionale, l’errore sarà imprevedibile, esattamente come il lancio di una monetina. Esattamente come se ora lancio testa, questo non mi dice nulla sul fatto che dopo esca croce, se oggi mi sbaglio per eccesso, ciò non mi dice nulla sul fatto che domani io possa sbagliare per difetto.

(...tecnici: l'errore è un white noise, certo...)

Cominciate a vedere il nesso con questa storia?

Riflettiamo su un altro punto. Il prezzo convoglia tutte le informazioni che permettono agli agenti economici di raggiungere un equilibrio, e riflette appunto il risultato di questo equilibrio, determinato da comportamenti razionali. Ora, visto che per definizione, nel modello mainstream (un modello walrasiano con aspettative razionali) gli individui sono sempre in equilibrio e il prezzo riflette questo loro equilibrio, cosa potrà far cambiare il prezzo? Ma è semplice: il manifestarsi di un evento inatteso e totalmente imprevedibile (altrimenti, se fosse stato previsto, sarebbe già stato incorporato nel prezzo). Non so, per dire: arriva uno tsunami e ti frigge un reattore nucleare, nessuno se lo aspettava e le azioni della società esercente scendono. Altri esempi ve li potrete facilmente immaginare da voi.

Ora, se il mercato è efficiente, i prezzi sono un veicolo efficiente di comunicazione di tutte le informazioni disponibili e quindi, per definizione, il prezzo di oggi già incorpora tutte le informazioni che abbiamo (se così non fosse, lo cambieremmo). Ne consegue che la nostra migliore previsione del prezzo di domani è appunto il prezzo di oggi, cioè che E(Pt+1|It) = Pt.

Mal di testa? Dai, so che sembra assurdo, ma gli economisti ragionano così. Come ho fatto a capitarci in mezzo? Eh, è una lunga storia, ve la racconto un’altra volta. Da piccolo volevo fare il musicista...

Quindi, mettiamo insieme i pezzi.

Primo pezzo: per la definizione di razionalità, il prezzo di domani sarà uguale alla nostra previsione più un errore imprevedibile (il lancio di una monetina):

Pt+1 = E(Pt+1|It) + et+1

Secondo pezzo: per la definizione di efficienza, il prezzo di oggi incorpora già tutte le informazioni rilevanti per prevedere il prezzo di domani, tranne quelle assolutamente imprevedibili (le news):

E(Pt+1|It) = Pt

Mettendo insieme, ricaviamo che se gli agenti sono razionali, e se i mercati sono efficienti, succederà che i prezzi si muovano in questo modo:

Pt+1 = Pt + et+1

Notate bene. Questo è appunto il modello “vero” dell’evoluzione del prezzo se sono vere le ipotesi di partenza (efficienza del mercato e razionalità). Notate anche che il modello “vero”, se usato appropriatamente (cioè conoscendo la distribuzione di probabilità dell’errore, e in particolare sapendo che esso in media è nullo), ci fornisce la previsione “giusta”. Infatti:

E(Pt+1|It) = E(Pt + et+1|It) = Pt + E(et+1) = Pt

(dove nel primo passaggio ho sostituito la definizione di Pt+1, nel secondo ho sfruttato il fatto che al tempo t Pt mi è noto e quindi non devo prevederlo – calcolarne il valore atteso – e nel terzo passaggio ho sfruttato il fatto che la previsione condizionata dell’errore è uguale a quella non condizionata ed è zero – cioè il fatto che sapere che l’ultima volta è uscito “testa” non mi dice nulla sul fatto che al prossimo lancio possa uscire “croce”).

Questo modello dei prezzi è appunto una passeggiata aleatoria unidimensionale. Si passa da oggi a domani attraverso un incremento (un "passo") totalmente aleatorio, imprevedibile:


Pt+1 - Pt = et+1


Ve piace? Siete abbastanza masochisti? E questo è solo l’inizio...

Ora, srotoliamo all’indietro il grande rotolo del creato del quale Giacomo il fatalista parla al proprio padrone. Qui dovreste prendere carta e matita, perché se lo fate a mente vi viene il mal di testa, lo so. Però dai, prendetelo come un esercizio: vi tiene la mente fresca.

Applichiamo quella che chi dice “decade” chiama “recursività”, e chi dice “decennio” chiama “ricorsività” (...visto dove sta l’ondina rossa, amico? Dai, su, prova anche tu a parlare italiano: all’inizio fa un po’ male, ma poi è bellissimo...), e chiediamoci: ma se Pt+1 = Pt + et+1, allora Pt a cosa è uguale?

Be’, evidentemente il prezzo in Pt sarà uguale alla previsione che ne avevo fatto in t-1 (cioè al prezzo in t-1) più l’errore fatto in t:

Pt = Pt-1 + et

E se sostituisco questa espressione nell’espressione del prezzo in t+1? Succede questo:
Pt+1 = Pt-1 + et + et+1

Sapete i bambini quando a tre anni chiedono “Perché?”. Ecco. Ma il prezzo in t-1 a cosa sarà uguale? Ovvio:

Pt-1 = Pt-2 + et-1

E se lo sostituisco nella prezzo in t+1? Facile!

Pt+1 = Pt-2 + et-1 + et + et+1

Dai, ancora una e poi basta: e il prezzo in t-2 a cosa sarà stato uguale?

Pt-2 = Pt-3 + et-2

E quindi il prezzo in t+1? Eccolo:

Pt+1 = Pt-3 + et-2 + et-1 + et + et+1

Ci siamo? Se andiamo indietro con questo ragionamento, ci rendiamo conto che il prezzo ad oggi sarà in effetti la somma di tutti gli errori di previsione passati (“lanci della monetina”), più una condizione iniziale P. Facciamo per il momento l’ipotesi che il mercato sia iniziato cento giorni or sono, cioè che abbiamo accumulato cento errori: vedrete che il vostro prezzo ad oggi sarà una cosa del tipo:

 Pt = P + et-100 + et-99 + ... + et-1 + et
E abbiamo così ritrovato un nostro vecchio amico, la somma di 100 (o 50000) lanci di monetine.
Ci siamo? Il prezzo di un asset finanziario è la somma di tutte le news (errori imprevedibili) passate, le incorpora, non le dimentica, e queste ne determinano gli andamenti a tratti tendenziali (con rotture di tendenza, ecc.).
Sì, insomma, per metterla in termini tecnici: la teoria dei mercati efficienti dice che i prezzi dovrebbero seguire una passeggiata aleatoria.
E con questo vi ho dimostrato che una passeggiata aleatoria, in realtà, è “de destra”, perché è la traduzione in linguaggio matematico del modello che incorpora le due ipotesi cruciali del turboliberismo: l’efficienza dei mercati, e la razionalità delle aspettative.
Bene, per oggi basta così.
Poi vi dimostrerò che la passeggiata aleatoria è anche “de sinistra”, non vi preoccupate...
Epilogo
Torniamo al nostro discorso, cioè al keynesianesimo per le dame e i cicisbei, ovvero al nostro tentativo di definire Keynes per ciò che non è (aiutandovi così a districarvi nella folla dei vari Keynes à la carte proposti nel dibattito da scienziati più o meno consapevoli di cosa è successo negli ultimi 2000 anni).
Cosa abbiamo imparato su Keynes? Onestamente... non lo so!
Sì, adesso mi ci manderete, lo so, e farete bene. Ma meglio uno che vi dice “non lo so” piuttosto che uno che nel 2013 si accorge che Keynes non è tutto “prezzi rigidi e distintivo”!
Aspettate, mettiamo insieme i pezzi.
Intanto, cerchiamo di capirci su una cosa. Quando i neoclassici dicono che i mercati sono efficienti, ci stanno dicendo che essi fanno un uso efficiente dell’informazione. A Keynes invece interessava capire se i mercati fanno un uso efficiente del risparmio. Ora, il problema è proprio questo: a me pare che Keynes sostenga che fare un uso efficiente dell’informazione non significa necessariamente fare un uso efficiente del risparmio, mentre mi pare che essere mainstream significhi credere che fare un uso efficiente dell’informazione coincida necessariamente con il fare un uso efficiente del risparmio, cioè convogliarlo verso gli impieghi più produttivi (astenersi quelli che “Bagnai è l’investimento che crea il risparmio”: sì, lo so, poi però il problema è: una volta che il risparmio l’hai creato, dove lo metti? È mal posta la domanda?).
Inutile ricordarvi il fatto che la coincidenza fra uso efficiente dell'informazione e uso efficiente del risparmio è stata autorevolmente smentita. Ecco, credo di essere riuscito a darvi un'intuizione tecnicamente più profonda della famosa frase: "financial market did not perform according to the theory".
Alla razionalità degli agenti (più esattamente: di certe classi di agenti, non di tutti gli agenti, come nel modello mainstream) ci credeva anche Keynes, ve lo ricordate? Qui il riferimento è il capitolo che vi ho citato tante volte, fin dall’inizio della nostra strada insieme. Provate a rileggerlo alla luce di quello che ci siamo detti oggi. Secondo voi, per Keynes, i prezzi seguono una random walk?
Io un’idea ce l’avrei, e secondo me il punto fondamentale del suo ragionamento rimane questo:
(4) But there is one feature in particular which deserves our attention. It might have been supposed that competition between expert professionals, possessing judgment and knowledge beyond that of the average private investor, would correct the vagaries of the ignorant individual left to himself. It happens, however, that the energies and skill of the professional investor and speculator are mainly occupied otherwise. For most of these persons are, in fact, largely concerned, not with making superior long-term forecasts of the probable yield of an investment over its whole life, but with foreseeing changes in the conventional basis of valuation a short time ahead of the general public. They are concerned, not with what an investment is really worth to a man who buys it “for keeps”, but with what the market will value it at, under the influence of mass psychology, three months or a year hence. Moreover, this behaviour is not the outcome of a wrong-headed propensity. It is an inevitable result of an investment market organised along the lines described. For it is not sensible to pay 25 for an investment of which you believe the prospective yield to justify a value of 30, if you also believe that the market will value it at 20 three months hence.
(4) C’è una caratteristica che merita particolare attenzione. Si potrebbe supporre che la concorrenza fra professionisti esperti, dotati di capacità di valutazione e informazioni che vanno oltre quelle dell’investitore privato medio, possa correggere le stravaganze che l’individuo ignorante lasciato a se stesso commette. Tuttavia capita che le energie e le abilità degli investitori e speculatori professionisti siano per lo più impiegate in altro modo. Il motivo è che la maggior parte di essi, in effetti, per lo più non si preoccupa di fare previsioni migliore sul probabile rendimento di un investimento in tutta la sua vita futura, ma di prevedere variazioni nella base convenzionale di valutazione (NdT: se leggete il capitolo, vedrete che coincide abbastanza col nostro concetto di attesa razionale) lievemente prima di quanto lo faccia il resto del pubblico. Loro non si preoccupano di quanto varrà effettivamente l’investimento per chi lo fa per mantenerlo, ma quale ne sarà il valore di mercato, per effetto della psicologia di massima, a tre mesi o a un anno di distanza (NdT: oggi anche a un quarto d’ora). Per di più, questo comportamento non è il risultato di una propensione a perseverare nell’errore. È l’inevitabile risultato di un mercato organizzato secondo le linee descritte sopra (NdT: quelle che ancora reggono i moderni mercati borsistici). Perché non sarebbe sensato pagare 25 per un investimento dal quale ci si aspetta che possa rendere ricavi tali da giustificare un prezzo pari a 30, se però si crede anche che fra tre mesi il mercato lo valuterà 20.

E la mia conclusione è che: per Keynes i prezzi seguono una random walk (anche se lui non l’avrebbe mai detto così, nonostante fosse un probabilista), ma questo indica per lo più l’uso efficiente dell’informazione "sbagliata", quella di breve, e non quella di lungo termine. Il neoclassico, viceversa, questo non lo ammetterà mai, per un motivo ideologico, e anche per un motivo tecnico, cioè perché il gran rotolo del creato può essere srotolato anche in avanti, non solo indietro.
Ad esempio:
Pt+2 = Pt+1 + et+2
e quindi la nostra previsione “efficiente” due passi avanti sarà:
E(Pt+2|It) = E(Pt+1 + et+2|It) = E(Pt+1|It) + E(et+2|It) = Pt
Insomma: siccome il prezzo di dopodomani (t+2) è quello di domani (t+1) più un errore imprevedibile, e la previsione migliore del prezzo di domani è quello di oggi, non c'è differenza fra l'aspettativa a breve e quella a lungo termine. Se parti dall’ipotesi che “sai” (un’ipotesi un po’ piddina, n’est-ce pas?), anche quando non lo sai, sallo! L’aspettativa a lungo termine coincide con quella a breve (come si potrebbe anche far vedere ragionando su altri modelli di asset pricing).
Una cosa molto panglossiana e molto utile per stupire mamme, fidanzate e dottorande. Dopo ci sarebbe da ragionare su tante cose, ma ora veramente basta. Ho pietà non di voi, ma di me...

(...e questo è solo l’inizio...)

64 commenti:

  1. Per Correttore di bozzi: a quanto posso ricordare, Keynes non era proprio frequentista... Ma potrei sbagliarmi.

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    1. Mi permetto di segnalare il blog di Lars P. Syll : su incertezza, caso, probabilità (e su questo Keynes qualcosina aveva da dire), macroeconomia main stream, microfondamenti (o presunti tali e che se presi seriamente non sarebbero poi così fondanti... ), efficienza dei mercati e aspettative razionali c'è di che divertirsi (si fa per dire)...
      Che poi ogni tanto si alzi uno che scopre che Keynes non è quello dei prezzi rigidi oltre a non essere decisamente frequentista e neanche bayesiano fa abbastanza sorridere.Anche perchè altrimenti avrebbe già detto tutto il buon vecchio Wicksell, che oltre ad averci la moneta endogena che fa tanto "de sinistra" mentre quella fava di Keynes si ostina a mantenerla esogena nella sua teoria generale, ha delle simpatiche spirali deflazionistiche causate dalle banche brutte e cattive , che con prezzi e salari non perfettamente flessibili si trasformerebbero in disoccupazione crescente...Per cui Keynes cosa avrebbe aggiunto di nuovo? Niente risponderebbe un piddino con PhD anglo-americano, che la Teoria Generale se l'è fatta raccontare
      Pensare che basterebbe leggersi il manuale di macroeconomia di Ackley (grazie per la segnalazione)...

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    2. Per me l'Ackley rimane un gran libro. Voglio vederlo un manuale di oggi che ti parli di Wicksell! Bravo.

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    3. Certamente no, Alberto.

      Sempre a beneficio di noi beati, per orientarsi meglio, specifichiamo che è fra gli autori che dà una interpretazione logica della probabilità. Questo mi ricorda che, prima o poi, mi piacerebbe leggere (e magari anche capire) il suo A Treatise on Probability oltre a Data Analysis: A Bayesian Tutorial (ne ho letto dei brani tratti dall'introduzione, citati in un messaggio su un forum, e mi aveva favorevolmente colpito). Insomma qualcuno mi dovrà pure riconciliare con questa roba! O farei meglio a chiedere i danni alla sQuola?

      Avrei una domanda, anzi forse più di una, sui quei microfondati del mainstream, ma soprassiedo finché non riesco a formularla con un minimo di coerenza.

      P.S.: fra i tanti che hanno banalizzato Keynes non poteva mancare il nostro orecchino con l'economista intorno preferito, "Attenti alle trappole del gigione Keynes".

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    4. Direi che per Keynes calzi a pennello la definizione di probabilità Bayesiana. La probabilità esprime il grado di verosimiglianza che un individuo attribuisce a un determinato accadimento date le informazioni in suo possesso. In questa concezione la probabilità è per definizione SOGGETTIVA, e varia pertanto da individuo a individuo.
      Il rifiuto dell'interpretazione frequentista mi sembra quindi perfettamente appropriato (anche intuitivamente) alla visione che Keynes ha dell'economia che ha una delle sue forze nell'essere intuitiva.
      I libberisti mainstream invece per la loro durezza di capoccia non potranno che essere frequentisti.

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  2. Francamente tutte queste formule (spiegate benissimo, tra l'altro) per dire che il prezzo di oggi incorpora tutte le previsioni da qui a N anni? proprio perchè il valore atteso dell'errore è zero quindi non polarizza le aspettative in nessuna direzione. Ogni giorno è un nuovo istante iniziale.
    E' come dire "vivi alla giornata che domani non lo sai", secondo questi fautori dell'efficienza. C'è qualche postulato un po' forzato.
    Se così fosse non esisterebbe l'analisi chartista in borsa, o sbaglio?

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    1. Certo. Bisogna anche vedere (e questo non lo so) quanto ti consenta effettivamente di guadagnare, l'analisi chartista. Pernso che lo permetta, altrimenti non ci investirebbero. Quello che so è che comunque già con correlazioni "lunghe", ad esempio (cioè andando indietro di parecchie decine di giorni) su certi mercati si riescono a captare segnali che possono essere usati per prendere decisioni. Quindi, già questo dice che nel modello qualcosa non torna, o, se vuoi, che il mercato non è così efficiente.

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    2. P.s.: questa era la cosa più inutile alla quale ci servivano le passeggiate aleatorie, sia ben chiaro!

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    3. BED
      da "le mie prime convizioni" Keynes:
      "...I soggetti appropriati per un intensa conteplazione o comunione erano una persona amata, la bellezza e la verità, mentre il fine supremo della vita era da ricercarsi nell' amore, nella creazione e fruizione dell' esperienza estetica, e nella ricerca della conoscenza. Dei tre l' amore era di gran lunga la più importante..."

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    4. L'analisi tecnica grafica è molto empirica. Quindi si basa sulla statistica frequentista.
      In effetti, tutti coloro che ne rivelano i segreti subito aggiungono che il dato segnale porta guadagno il 70 o 80% delle volte.

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    5. Infatti, non dicono mai però chepuoi guadagnare anche il 99% delle volte, ma se l'unica volta che perdi, è quel famoso giorno dell'87 in cui la borsa di New York perse il 22% finirai a vendere immaginette della madonna alla metropolitana.

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  3. E da qui si capisce benissimo anche la famosa asserzione " nel lungo periodo saremo tutti morti".

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  4. La prima differenza che mi viene in mente tra passeggiata aleatoria e mercato è che, mentre possiamo anche accettare che la probabilità di salita è uguale a quella di discesa, cioè 0.5, il salto non è sempre di un passo. In qualche maniera la "news" ha un contenuto di informazione che, se fortemente inatteso, crea una frattura pesantissima nel prezzo all'istante successivo. Non vedo, nel modello fin qui esposto, come il peso sul prezzo possa dipendere dalla variabile "I" di informazione. E' un aspetto che mi sembra trascurato nei postulati di base.
    Provo a fare una analogia: nella teoria della informazione, Shannon spiegava che una informazione è tanto più tale quanto meno è prevedibile. La prevedibilità ha associata una probabilità. Banalizzando, l'informazione è inversamente proporzionale alla probabilità dell'evento. Più l'evento è improbabile, maggiore è il contenuto informativo.
    Se non è possibile, nel modello di mercato efficiente, dare nemmeno un peso alla informazione, è un modello che non mi sembra molto utile per un investitore.

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    1. C'è da sottolineare un aspetto importante della teoria dell'informazione di Shannon: è una teoria matematica della comunicazione. Non si preoccupa del significato o dell'importanza dell'informazione trasmessa.

      È nata per studiare (e possibilmente risolvere) i problemi di trasmissione d'informazione su un canale non ideale, cioè disturbato da "rumore".

      In questo contesto ciò che è maggiormente predicibile è più facile da ricostruire in caso di distorsione o perdita di parte del messaggio, ovvero il segnale trasmesso contiene al suo interno un certo grado di ridondanza. Di converso un segnale generato da un processo del tutto casuale e tramesso tal quale è impossibile da ricostruire in caso di distorsione o perdita di una parte del segnale.

      Tornando ai "segnali" del mercato: se sono davvero generati da un processo del tutto casuale -quindi del tutto non predicibile- dovrebbero essere incomprimibili, non contenere alcuna ridondanza, cioè dovrebbero avere un'alta complessità di Kolmogorov (ovvero di Solomonoff/Kolmogorov/Chaitin). Questo non fornisce immediatamente un metodo operativo per fare delle previsioni, ma può aiutarci a rispondere alla domanda "ha senso fare delle previsioni sull'andamento del mercato?" Ha un senso se i segnali sono comprimibili, non lo ha se non lo sono (o non lo sono a sufficienza - cioè non ci sono molte sequenze di eventi che si ripetono, modulo un qualche significato di "ripetersi").

      Per un esempio di metodo operativo, che quindi sembra dare una risposta affemativa al quesito, vi rimando al lavoro di Hochreiter e Schmidhuber con le reti neurali per la previsione del mercato azionario.

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    2. Attenzione, lo dico qui poi lo ridico coram populo. Problemino: io vi ho parlato di indipendenza stocastica fra "lanci" (disturbi aleatori) successivi, ma in effetti quello che è richiesto nella maggior parte dei casi è la semplice non correlazione. Questo significa che si presume che ci possano essere metodi non lineari (diversi dalla correlazione e dalla regressione lineare) per estrarre informazione dagli "step" successivi della passeggiata.

      Non so se è chiaro, poi lo chiariamo, è una cosa in effetti molto semplice ma se si vuole parlare di economia sul serio bisogna passare anche da lì, proprio perché, come voi dite, in economia l'informazione è tutto (altrimenti la mano invisibile come funziona?), e l'estrazione del segnale dal rumore è la chiave di volta di molti problemi.

      Sintesi: un rumore bianco può anche essere prevedibile.

      Linguaggio sciamanico, chi ha capito ha capito, chi non ha capito è uguale.

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    3. Temo di aver usato un linguaggio improprio, ma con quel "processo completamente casuale" intendevo appellarmi a un concetto di randomness che implica totale assenza di uno schema sottostante e quindi impredicibilità (e impossibilità di comprimere) per l'intera successione.

      Mi pare di capire che ci stai dicendo che la passeggiata aleatoria di cui stai trattando non ha di queste implicazioni.

      Nel cercare una definizione chiara di randomness sono approdato a Chance versus Randomness ove si nota:

      «So we see authors moving smoothly between calling something ‘chancy’ and calling it ‘random’, as in this example from a popular textbook on evolution (which also throws in the notion of unpredictability for good measure)»

      Sto fresco! Forse è meglio se mi ritiro in buon ordine...

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  5. Io che vado nella filiale della Cassa di Risparmio di Firenze, mi siedo di fronte all'impiegata che "cura" i miei interessi, scelgo dei certificati a un anno consigliatimi caldamente dall'impiegata, che mi vuole far togliere il poco danaro da un fondo che va bene, anche se oppongo una certa resistenza e investo solo una cifra più piccola, con il risultato che perdo meno danaro perché fortunatamente ho lasciato di più nel fondo che continua ad andate bene, ecco insomma questo individuo che sono io, che tolgo un po' di euro da un qualcosa che va bene, ma che è un prodotto "vecchio", ecco insomma io sono un agente razionale del mercato?

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  6. Detto da debita distanza per evitare la reazione del maestro: sono felice di aver assistito in questi giorni al concepimento del SECONDO libro di Alberto Bagnai!

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  7. io ho capito che tra macroecomomia interpretata alla "classica" e macroeconomia interpretata per quello che è qualcosa non torna con la prima.
    mi vengono in mente alcune cose:
    1) tutti gli imprenditori adorerebbero pagare zero i propri dipendenti.
    DOMANDA: ma chi comprerebbe poi i beni prodotti?
    sembra sciocca come evidenza ma rimane il fatto che tutti gli operatori (per dire, poi sappiamo che non è vero ma generalizzando sì) razionalmente avrebbero vantaggio in questa situazione morirebbero!

    2) il sistema bancario con istituti "universali" ha lo stesso inghippo..
    tu investi speculando pensando di guadagnarci il 10% mentre prestando soldi ad imprenditori pensi di guadagnarci il 5%.
    cosa fai razionalmente?
    un piddinus ti direbbe che per il bene della società devi prestare per investimenti produttivi (sì, ma allora separa le funzioni in modo che i risparmi dei poveri cristiani vadano a finire in investimenti produttivi) e allora le banche seguono il loro consiglio.
    Nel breve periodo faranno bassi profitti e vengono divorate visto le quotazioni inferiori.
    Morale: è naturale speculare in un sistema che pensa a fagocitare!
    quindi razionalmente il sistema di porta a morire (e sì, la razionalità)

    3) un altro esempio è quello mostrato dal prof con i commons (i pascoli) e rimando la lettura del libro

    ...

    e ce ne sarebbero di esempi da fare.
    ma il punto è che nella matematica fatta di equazioni differenziali e 4 sistemucci cadono nel banale perché.. perché non spiegano la complessità del sistema e di come effettivamente funziona!


    PS: ma tanto alla fine lo sanno che la curva di Phillips esiste e che la verticalità nel lungo periodo in realtà è un'orizzontalità..

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  8. Commento a "premessa"
    «Forse una certa parte di umanità è destinata a un infantilismo perpetuo e levarle la speranza sarebbe crudele: cadrebbe nella disperazione se non sentisse lo sfruttatore che le batte sulla spalla e la esorta a sperare.
    Oggigiorno poi non ci vuole nemmeno una speranza dettagliata, non ha bisogno di una pittura precisa del paese di cuccagna, e nemmeno esige apocalissi anabattiste: basta un sussurro, un fischio, uno schiocco come quello che si fa alle galline. Come filastrocche farfugliate dagli ubriachi rincasando alla mezzanotte: “il progresso, la scienza, l’umanità, l’evoluzione, il Punto Omega” eccetera sono più efficaci d’ogni sensata riflessione» Elemire Zolla, Gli arcani del potere, 2009

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  9. Commento fuori argomento

    Mi scuso, ma vorrei segnalare questo documento da Wikileaks sull'Ucraina risalente al febbraio 2010.

    http://www.cablegatesearch.net/cable.php?id=10KYIV278&q=elections

    Mi sono domandato in questi giorni perchè avessimo "attaccato" la Russia.

    In questo documento vi è la lista della spesa che ben conosciamo (punti 8 e 9) con tagli alle pensioni, tagli allo stato sociale, privatizzazioni, aumenti di tasse e accise e la lamentela da parte di un economista (?) Pynzenyk (allora ministro delle Finanze) sul primo ministro Yuliya Tymoshenko troppo populista per accettare di imporre le "riforme" al suo popolo e quindi da rimuovere. Tra i possibili sostituti era nominato Yatsenyuk (che oggi ha preso il posto di Yanukovych).

    L'associazione Tymoshenko-Berlusconi (ma anche Letta) viene spontanea.

    La mia impressione è che per qualcosa che non afferro (grano, carbone, centrali nucleari, gasdotti, ... ) questi aspiranti stregoni non abbiano esitato ad attaccare frontalmente gli interessi della Russia senza alcuna considerazione per la storia, per gli equilibri geopolitici e per le forze in campo.

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    1. Guarda una carta geografica, e valuta da dove la Russia potrebbe accedere ai mari "meridionali" (cioè alle rotte storiche del commercio internazionale).

      Mettici pure che, come storicamente provato da innumerevoli lanci di monetine, il comportamento degli Stati Uniti è sempre quello di un elefante in una cristalleria (perchè in politica estera sono comunque repubblicani) e per di più sono convinti che non ci possa essere nessuna possibilità di un fronte comune antiamericano tra russi e cinesi.

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    2. Non necessariamente OT, anzi suggerisce un utile addendum per le anime belle: alcuni “agenti razionali” preferiscono limitare i rischi legati a et+1 così, a soli 200 metri, mentre altri “agenti”, in possesso di queste informazioni al tempo t, sembrano non essere mossi da comportamenti “razionali”…. c’è chi può lanciare solo monete (o monetine) e chi invece…

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    3. ho letto i documenti. Mi ha colpito molto l'elenco delle 'riforme' propugnate dal FMI e mi domando, e domando al prof.: ma che istituzione è il FMI? quali sono i reali fini del FMI?

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  10. "Allorchè Zarathustra ebbe raggiunto il trentesimo
    anno, abbandonò il paese nativo ed il nativo lago e andò
    sulle montagne. Ivi godè del suo spirito e della sua soli
    tudine e non se ne stancò per dieci anni. Ma alla fine il
    suo cuore si cangiò – e un mattino, levatosi con l'aurora
    si mise di fronte al sole e gli disse:
    O grande astro! Che sarebbe della tua beatitudine,
    se tu non avessi coloro ai quali risplendi?
    Da dieci anni vieni quassù nella mia caverna; ti sare
    sti tediato della tua luce e di questo cammino, se non
    fosse per me, per l'aquila mia e pel mio serpente.
    Ma noi ti attendevamo ogni mattina, prendevamo
    il tuo superfluo, benedicendoti in cambio.
    Guarda, mi è venuta in disgusto la mia sapienza;
    come l'ape che ha raccolto troppo miele, ho bisogno di
    mani che si tendano a me.
    Vorrei donare e distribuire fin che i savi tra gli uomi
    ni fossero ridivenuti lieti della loro follia e i poveri della
    loro ricchezza.
    Perciò debbo discendere nel profondo: come tu fai la
    sera quando scompari dietro il mare e dispensi la luce
    tua anche al mondo degli inferi, tu astro fulgentissimo!
    Al pari di te, io debbo tramontare, come dicono gli
    uomini, tra i quali voglio discendere.
    Benedicimi dunque, occhio tranquillo, che puoi con
    templare senza invidia anche una felicità troppo grande!
    Benedici il calice che sta per traboccare, affinchè l'acqua
    ne esca dorata e porti da per tutto il riflesso della tua
    gioia! Vedi! Questo calice vuol essere vuotato un'altra volta
    e Zarathustra vuol ridivenire uomo. Così cominciò la discesa di Zarathustra."

    Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche.

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  11. Una domanda mi turbina in testa da 30 anni: davvero i neoclassici credono ai loro modelli?

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    1. Secondo me qualcuno si, ci crede veramente.

      Sono loro gli agenti irrazionali...... Per questo poi le loro previsioni sono sistematicamente sbalgliate.

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  12. Del resto non tutti i serpenti, per il solo fatto di essere serpenti, sono velenosi. Ci sono anche quelli NON velenosi. Il crotalo e' velenoso, lo sappiamo benissimo; quando uno lo pesta anche, inietta anche un po' più di veleno, del resto se l'e' andata a cercare, come già abbondantemente chiarito.
    Il problema dei serpenti NON velenosi e' credersi velenosi: lo scoprono quando e' troppo tardi... mordono e aspettano 5-10 minuti e non succede niente, ma niente niente a parte due buchini.
    PS. Quanto al "Beh", credo sia analogo a questo

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  13. Dai Albé dicci la verità, prima di scrivere questo post hai telefonato a Krugman e vi siete messi d'accordo :)
    UNO
    DUE
    Comunque non mi sarei mai aspettato che il lancio di una monetina mi sarebbe tornato tanto utile!

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  14. Esortazioni e QED, parafrasi di un titolo sempre attuale.

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  15. ma i mercati a quale teoria si rifanno?? neoclassica o keynesiana??

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  16. Scusi se vado un po' fuori tema (ma non troppo).
    L'altro giorno ho letto sulla Stampa un articolo che parlava di superbatteri resistenti agli antibiotici. Le cause starebbero nel loro abuso e cattivo uso, ma anche nel fatto che la ricerca in questo settore è drasticamente calata, in pratica è quasi nulla.
    Non è questo il luogo (e non sono in grado) di esaminare la notizia dal punto di vista medico, ma vorrei considerare l'aspetto economico. Leggendo, infatti, mi domandavo perché le case farmaceutiche non investono dal momento che non si tratta di malattie rare, ma di farmaci che a tutte le persone capita di prendere più volte nella vita, quindi il consumo e il conseguente guadagno sarebbero assicurati.

    Nel finale la risposta: a loro rendono di più i malati cronici, zero ricerca e consumo obbligatorio e costante (e, aggiungo io, a loro conviene anche investire su medici che prescrivono farmaci inutili a persone che non ne hanno bisogno. E qui si potrebbe aprire il capitolo della sanità privata che per egoismo e interessi individuali funziona peggio di quella pubblica, ma non voglio dilungarmi e ne avevamo già parlato).

    E allora mi è venuto in mente Adam Smith secondo il quale l’agire umano è mosso da impulsi di natura egoistica e da interessi individuali, ma tale competizione dovrebbe portare a un incremento del benessere collettivo.
    Be', mi pare che questo sia uno dei tanti esempi che dimostrano che la “mano invisibile“ non funziona e il bene collettivo e la razionalità non possono essere la somma dell'irrazionalità, dell'egoismo, degli interessi e dell'avidità individuali.

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  17. Prof, ho l'impressione di avere capito abbastanza, ma non capisco tanto la frase che dà inizio al penultimo paragrafo. Inizia con "siccome", ma poi non trovo la conclusione: c'è una e o un punto in più? Ma in soldoni alla fine il succo è che una previsione a lungo termine è di fatto impossibile perché non fanno altro che accumularsi errori imprevedibili e quindi si ragiona comunque sempre sul breve?

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    1. C'è un punto in più, che ho tolto. La conclusione di Keynes è che è razionale concentrarsi sul breve se sei uno speculatore, e che la presenza di pochi speculatori basta a imprimere al mercato un carattere, appunto, speculativo, cioè concentrato sull'attenzione al breve periodo.

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  18. Non lo so! No, nun te ce mando. Col tempo ho capito che i consigli negativi, non fare questo, sono molto più utili di quelli positivi, fai questo.
    Il motivo penso sia questo: se ti dico fai questo e tu lo fai, potresti morire. Io avrò un'informazione e tu sei morto! Fate a Rivoluzzzione che questi sono gli ultimi rantoli del capita
    Le aspettative razionali si basano sul gonzo che ha fiducia nell' espertone, l'economia neoclassica è un trattato di magia? Ma i maghi sono molto spesso dei prestigiatori e non trasformano il piombo in oro ma i tuoi risparmi nelle loro fortune. Una volta creato il risparmio che me ne faccio? Rinuncia alle aspettative razionali.

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  19. ecco perchè fissare il cambio! Per rendere prevedibile il prezzo al tempo t+1 occorre rendere l'errore aleatorio il più piccolo possibile, consentendo così di avvicinarsi alla condizione in cui P al tempo t+1 sia il più vicino possibile, idealmente pari, al prezzo al tempo P: questo significa avere inflazione nulla.

    Ma abbiamo visto che la fissità del cambio porta alla drastica riduzione della libertà di azione di un governo, di conseguenza per avere inflazione nulla occorre mettersi al riparo dal processo democratico. Ma chi ha bisogno di mettersi al riparo dal processo democratico? Colui che teme l'inflazione, cioè un creditore, e per di più un creditore che sia sufficientemente potente da imporre le proprie decisioni agli altri.

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  20. [...]La cronaca quindi mi aspetto che legittimamente vi interessi poco, perché per anticiparla vi è bastato leggere un articolo di economia (essendo questa il motore della Storia).[...]

    Le hanno mai detto che lei è un ateo materialista?

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  21. C'è una cosa che non mi è chiara (probabilmente mi sono un po' perso nella complessità, per me, della trattazione): si può evincere, dunque, che Keynes implicasse l'ipotesi di passeggiata aleatoria o no?

    Perché mi pare di capire (con la massima umiltà, è probabile che mi sbagli) che nel XII cap. Keynes dica che il prezzo dei valori mobiliari (almeno nel breve) è influenzato da una previsione comportamentale effettuata dagli speculatori su cosa faranno gli altri operatori.

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    1. Mettiamola così: il modello di comportamento che Keynes descrive è compatibile con andamenti tipo "random walk". Lui dice:

      "In practice we have tacitly agreed, as a rule, to fall back on what is, in truth, a convention. The essence of this convention — though it does not, of course, work out quite so simply — lies in assuming that the existing state of affairs will continue indefinitely, except in so far as we have specific reasons to expect a change. This does not mean that we really believe that the existing state of affairs will continue indefinitely. We know from extensive experience that this is most unlikely. The actual results of an investment over a long term of years very seldom agree with the initial expectation."

      Aggiunge anche:

      "Nor can we rationalise our behaviour by arguing that to a man in a state of ignorance errors in either direction are equally probable, so that there remains a mean actuarial expectation based on equi-probabilities. For it can easily be shown that the assumption of arithmetically equal probabilities based on a state of ignorance leads to absurdities. We are assuming, in effect, that the existing market valuation, however arrived at, is uniquely correct in relation to our existing knowledge of the facts which will influence the yield of the investment, and that it will only change in proportion to changes in this knowledge."

      Insomma: si fa riferimento al fatto che la valutazione di mercato è un'attesa "razionale", che incorpora tutte le informazioni disponibili, e si specifica che essa può cambiare solo se intervengono "news".

      Nota che Keynes enfatizza il ruolo dell'informazione, e quindi rifiuta una modellizzazione basata sull'ipotesi (che ho assunto per semplicità) di errori "equiprobabili", cioè, se vuoi, di scelte fatte a casaccio, lanciando una monetina. Quello che mi pare Keynes dica è che soggettivamente non sappiamo come il mondo cambierà, ma sappiamo mediamente come regolarci se cambia.

      Dal punto di vista matematico, questo porta effettivamente a comportamenti del tipo di quelli osservati nei prezzi delle attività e descrivibili come processi di tipo random walk. Ci sono però almeno un paio di altre osservazioni da fare. La prima è che non credo Keynes potesse usare questa concettualizzazione perché non so quanto fosse già stata formalizzata in statistica, almeno nei termini nei quali la usiamo in finanza.

      La seconda riguarda la distinzione fra breve e lungo termine, che Keynes pone così:

      "For if there exist organised investment markets and if we can rely on the maintenance of the convention, an investor can legitimately encourage himself with the idea that the only risk he runs is that of a genuine change in the news over the near future, as to the likelihood of which he can attempt to form his own judgment, and which is unlikely to be very large. For, assuming that the convention holds good, it is only these changes which can affect the value of his investment, and he need not lose his sleep merely because he has not any notion what his investment will be worth ten years hence. Thus investment becomes reasonably “safe” for the individual investor over short periods, and hence over a succession of short periods however many, if he can fairly rely on there being no breakdown in the convention and on his therefore having an opportunity to revise his judgment and change his investment, before there has been time for much to happen. Investments which are “fixed” for the community are thus made “liquid” for the individual."

      Interessante, no?

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  22. mi permetto di porre alcune questioni:

    se il prezzo al tempo t è pari a:

    Pt = P + et-100 + et-99 + ... + et-1 + et

    in pratica abbiamo che il prezzo, al crescere di t, è sostanzialmente imprevedibile, perché somma di eventualità non previste, più una condizione iniziale che, a mio avviso, ha scarsa importanza, in quanto al crescere di t ci si allontana sempre più da questo valore.

    Poi però lei dice giustamente, subito sotto, che "siccome il prezzo di dopodomani (t+2) è quello di domani (t+1) più un errore imprevedibile, la previsione migliore del prezzo di domani è quello di oggi". Allora ripetendo questo ragionamento a ritroso, pare che la previsione migliore in assoluto sia proprio la condizione iniziale P. Che però, secondo quanto ho scritto io, è inutile, perché tutti gli eventi non previsti che si sono susseguiti ne hanno poi invalidato il valore. Come se ne esce?

    In pratica, se ogni previsione ulteriore t+1 aggiunge errore, e il meglio che ho è il punto di partenza, che fa schifo proprio perché è il punto di partenza, ne deduco che non posso prevedere un bel niente..

    Si vabbè, ne approfitto perché a distanza posso scrivere la qualunque senza timore :P


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    1. In tutto questo discorso teorico manca, mi sembra, un elemento pratico. QUANDO fai la previsione di COSA. Questo fa la differenza.

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    2. Fa TUTTA la differenza. Sui mercati in particolar modo...il timing e TUTTO.

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    3. Beh, siccome tutti i vari valori e hanno valore medio = 0 (per definizione di aleatorietà), se dopo 1000 anni il valore P(1000) è diverso da P, significa che gli incrementi in effetti non erano aleatori, cioè con media 0. Quindi il modello non funziona (= pippa mentale. Questo si spiega con il modesto 20% di tempo dedicato alle donne dalla genia degli economisti...........).

      Almeno credo

      Stefano P

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  23. (Forse ha smarrito il mio commenti. Così glielo ripropongo. Mi interessa seriamente una sua opinione.)

    Se proprio dovessi farne una sintesi, io vedo la popolazione divisa in due gruppi: da una parte quelli che vorrebbero uscire dall’euro e dall’altra quelli che dell’area euro ne vorrebbero uno Stato Unito d’Europa. Mi chiedevo se non ci fosse una “terza via”, anche se momentanea, da percorrere?

    1. Uscire dall’euro per sfruttare la leva sui cambi equivale a svalutare i salari e aumentare la competitività, ma equivale anche a un effetto spiazzamento che si traduce in inflazione e, di conseguenza, a una tassazione proporzionale.

    2. Realizzare gli SUE significa sostanzialmente trasferire risorse dai Paesi in surplus ai Paesi in deficit: l’equivalente di oggi in Italia a livelli regionali/provinciali/comunali; significa anche redistribuzione e implica una tassazione progressiva.

    Ecco, le dico subito che io sarei a favore della seconda ipotesi, perché considero (forse erroneamente) la tassazione progressiva quella di efficienza economica che massimizza il benessere sociale. Sappiamo benissimo entrambi che “i forti” non ne sono entusiasti e che la formazione della SUE allo stato attuale rimane un miraggio.

    A questo punto, però, mi sono interrogato sulla possibilità di ulteriori manovre che vadano nel senso della progressione e dell’equilibrio economico in un’ottica legata all’euro. In altre parole, mi chiedo se esistono altre vie oltre all’austerity e la permanenza nell’area euro?

    Sfogliando un po’ di manuali di economia mi sono accorto di un passaggio interessante: equilibrio tra imposte dirette e indirette in regime di cambi fissi per il riordino del saldo con l’estero. Perché, se il nostro problema è quello di organizzarci secondo il punto 2 e aumentare la competitività secondo il punto 1, l’impostazione di poc’anzi mi era sembrata adeguata.

    In sostanza, la domanda è la seguente:
    come vede lei la permanenza nell’area euro, sfruttando la leva sull’equilibrio tra imposizione fiscale diretta e indiretta in un’ottica di tassazione progressiva di efficienza economica in un regime di cambi fissi come terza opzione, per completezza d’informazione, da sottoporre in esame al vaglio democratico?

    Saluti.

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  24. Generalmente dalle mie conoscenze di analisi tecnica o chartistica
    più una configurazione grafica è conosciuta meno funziona.

    Mi rifaccio ai miei studi con il più famoso trader italiano Giuseppe Migliorino,
    questo SCONSIGLIA di operare nel breve periodo,
    visto che nel breve i mercati sono facilmente manipolabili.
    Nel lungo nessuno ha abbastanza denari per poterlo dirigere a piacimento

    Ciò non toglie che l'inefficienza del mercato porti a bolle speculative derivanti dalla somma delle speranze singole su un evento,
    che porta le persone a credere in un infinito rialzo o ribasso.

    Ma tutto ciò lascia un segno sui grafici e confrontando il vero Fair Value degli indici o delle singole azioni sottoposte a bolla un esperto se ne accorge in tempo
    (chi non ha mai pensato che gli aumenti degli immobili erano irrazionali)

    Poi scatta il ragionamento;
    "questa volta è diverso",
    "non capiterà proprio a me di rimanerci in mezzo"
    "tutti guadagnano,e io chii sono il più coglione".
    Insomma di razionale vedo proprio poco
    anche se le varie bolle o i movimenti di denaro lasciano il segno a chi sappia approfittarne.

    (io non ci riesco.
    non ho abbastanza capitale e forza di volontà
    da sopportare di vedermi girare contro una previsione nel breve periodo
    anche se sò che nel lungo sono nel giusto)

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    1. Carlo, conosco bene il Miglio, come analisi fondamentale nulla da eccepire... per il resto stendo un velo... di canapa.

      MxV=PxQ... sai cosa intendo se si parla di inflaZZZione (non vado oltre altrimenti rischio il bannamento dar cav. black)!

      Comunque per il trading a breve J. Ross è insuperabile, sopratutto nello spreadtrading. Come cassettista Buffett assolutamente!

      ...non so se mi ho capito!

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  25. I post tecnici mi piacciono e sto abbastanza al passo (o almeno cosi' mi piace pensare). Pero' certo che ci stai facendo un culo a capanna, mind my French...
    E comunque grazie!

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  26. http://www.ilgiornale.it/news/interni/amato-racconta-grande-schifezza-ecco-abbiamo-distrutto-998158.html

    I traditori hanno a volte rimorsi di coscienza?

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    1. Però non è che per fustigare Amato è tollerabile sucarsi dai no-euro di destra la tesi che comunque la crisi è stata causata dall'alto debito pubblico e quindi bisogna fare le riforme strutturali.

      Questi che non vogliono l'euro ma vogliono le mitologiche riforme strutturali che ci chiede l'Europa (e pure Friedman, in quanto voce di poteri forti) sono i piddini di destra, l'immagine speculare dei piddini di sinistra che vogliono l'euro ma non vogliono l'austerità.

      Francamente tutte le razze di piddini hanno rotto abbondantemente i coglioni. Prima smettiamo di dare credito a questa gente e meglio è.

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  27. E sul gran rotolo del creato il fratello minore di Jean – Jacques il fatalista – trova da dire alla donna caduta a terra e con le gonne in aria: “Consolatevi, brava donna, non è colpa vostra, e neppure del signor dottore, né mia, né del mio padrone: era scritto lassù che oggi, su questa strada, a quest’ora, il signor dottore sarebbe stato un chiacchierone, il mio padrone ed io saremmo stati due zotici, e voi sareste rimasta contusa alla testa e vi si sarebbe visto il culo...”
    Dunque poi, leggendo bene dal quel gran rotolo pare che sempre solo di cose accidentali si parli, anche se non tutte così interessanti come le monete che saltano, seppure non per questo spiacevoli. Certo a saperlo prima …. ci si piazza in attesa. Ma il punto è: come fa l'inaspettato ad essere eterno? E se uno il rotolone non lo vede a portata, cosa deve fare per ripulirsi del passato e ingraziarsi il futuro?
    Hai voglia a dire che l'aspettativa razionale finisce in un operatore lineare. Ammesso pure che lo sia, come assumono questi fini matematici, ma pure essi barano se possono, il poverino con gli eventi stocastici gioca fuori casa. A proposito, non sta bene che tutti ci becchiamo i nostri meritati insulti dal cavajere nero, e i matematici che si piccano di trovare quasi certamente delle quasi soluzioni nei quasi spazi a n dimensioni, e io mi stavo aspettando anche di variabili complesse, e ora minacciano anche di generalizzare tutto per spazi quasi coomologici, invece sono riveriti con rispetto. Il declino della borghesia passa soprattutto per l'inarrivabile e ineffabile competenza, come fa Boldrin con Keynes senza che sia dato modo al popolo di controllare il latinorum.

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  28. keynes ha scritto anche un trattato sulla probabilità, costa un occhio della testa ed è fuori catalogo :(
    Poi mentre smanetti scopri che c'è stato un italiano che sulla probabilità ha scritto cose pregevoli, Bruno De Finetti, è fuori catalogo anche lui...

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    1. Treatise on probability è scaricabile gratuitamente per intero, in pdf o ebook (in inglese, non in italiano).

      Basta googlare il titolo

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  29. solo un appunto; lei cita Fusaro dicendo che giustamente rivendica il ruolo della filosofia, verissimo però in "Minima mercatalia" lo stesso, oserei dire, dileggia le scienze empiriche, e ciò mi ha molto indispettito. Mi è sembrato che rivendicando il primato della filosofia sulla scienza si ponesse in modo diverso ma assimilabile all'intellettualismo che tanti danni ha procurato, come Lei intelligentemente fa notare.

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  30. Bellissimo post, per me (che sono ignorante in economia) molto, molto istruttivo.

    Aggiungo però un commento sulla conclusioni in cui parli del random walk. Il random walk è un modello frattale, quindi non c'è differenza fra l'aspettativa a breve e quella a lungo termine per definizione non essendoci nel modello alcun ingrediente che differenzi il breve ed il lungo periodo.

    Una nota storica: Il random walk è stato sviluppato in quel ramo di conoscenze note come "meccanica statistica fuori dall'equilibrio". Tale scienza studia la fisica delle perturbazioni attorno all'equilibrio dei sistemi e, in qualche caso, i sistemi in cui non c'è un'equilibrio.
    Il random walk, che è il più semplice di una classe di modelli non interagenti chiamati "voli di Levy", puo` essere un modello molto utile. Utile per esempio per lo studio della diffusione delle particelle, del calore o per la modellizzazione dei materiali, dell'ecologia, del moto dei batteri e dello sviluppo delle piante.

    Avrei una domanda da farti: le politiche economiche vengono redatte sulla base della simulazione dei modelli economici matematici? Se non vengono redatte in tale modo quale sarebbe il mezzo attraverso alla quale una politica economica viene giudicata migliore di un'altra?

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    1. Mandelbrot stesso, l'"inventore" dei frattali, si è occupato a lungo dei mercati finanziari e non, e sosteneva appunto che l'andamento dei prezzi è meglio descritto da una geometria frattale.

      Per chi fosse interessato ci sono (almeno) due suoi libri dedicati all'argomento: "The (Mis)behavior of Markets", più divulgativo, e "Fractals and Scaling in Finance" che è una raccolta dei suoi "paper" sul tema.

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  31. Ah ah, fantastico!

    le passeggiate aleatorie sono "de destra" ma ci dimostrerà che sono anche "de sinistra". Sicuramente al PCUS ne facevano effettivamente non poche.

    Sarà per questo che tante famiglie "mammasantitssima" "pluridecorate" dal mainstream "de sinistra": Da quella Reichlin a quella Mieli a quella Napolitano (solo per citare le prime tre che mi vengono in mente), sono passate nel corso del tempo (e delle generazioni) da Marx a Hayek (qualcununo partendo da Benito)??

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  32. La premessa è esemplare.
    Il problema è indubbiamente la « distruzione, tuttora in corso, della classe media come laboratorio di coscienza ed elaborazione culturale».
    Aggiungerei - ma d'altra parte è già stato detto - che distruggere il potere di comprensione della classe media, alla lunga, è autodistruttivo per le stesse élite.
    Il fallimento dell'euro è soprattutto il fallimento delle classi dirigenti nel saper progettare e gestire un modello di società certamente orientato al loro vantaggio, ma per lo meno in minimo equilibrio. E se non ce l'hanno fatta, allora ciò dimostra che nemmeno le élite padroneggiano più, se non in modo sporadico, gli strumenti di comprensione della realtà.
    D'altra parte non ci si può aspettare niente di diverso, nel momento in cui si procede alla negazione sistematica del sapere umanistico - che ovviamente non riguarda discettare su quanto scriva bene Hosseini, ma è prima di tutto un sapere in cui "l'uomo è misura" - senza preoccuparsi di sostituirlo con qualcosa di gestibile.
    Il che ci porta al problema primario: qual'è oggi il modello culturale di riferimento della nostra società? Quali sono i valori, i riferimenti che deve avere l'uomo del III millennio per interpretare il mondo in cui vive e svolgere in esso un ruolo critico e attivo?
    Rispondere a questa domanda è indispensabile; come risulta evidente a chi opera in contesti tipicamente adibiti alla formazione e alla trasmissione della cultura.
    I problemi della scuola sono evidentemente problemi culturali, e dipendono dalla rinuncia dello Stato a porsi un compito ideale (e forse anche "idealistico" - se Fusaro è d'accordo...): ossia, immaginare un certo tipo di struttura sociale.
    Della scuola gentiliana si può dire quello che si vuole: e certamente è vero che ha condotto a una progressiva svalutazione delle arti del quadrivio (non si capisce perché ancora oggi un liceale debba conoscere i sonetti del Foscolo, ma possa ignorare impunemente le sinfonie di Beethoven - per non parlare della matematica...).
    Però, se non altro, Gentile aveva una visione della società: la classe dirigente si educava alla storia, alla filosofia e alla letteratura, i funzionari si educavano al sapere tecnico, e la forza lavoro – se andava bene – a leggere, scrivere e far di conto. In un certo senso era una società divisa in classi; ma quantomeno queste classi avevano una collocazione non priva di senso rispetto alle esigenze dello sviluppo industriale e dello Stato fascista.
    Anche prima di Gentile porsi obiettivi quali, ad esempio, l'alfabetizzazione dell'Italia rurale comportava senza dubbio avere preliminarmente una visione della società e della storia (e quindi – per inciso – sulla base di questa visione ritagliare un ruolo attivo allo Stato).
    E' chiaro che oggi non c'è niente di tutto questo: non si sa a cosa serva lo Stato, la scuola, la politica, il giornalismo e forse persino non si sa a cosa serva la scienza.
    Manca evidentemente un modello culturale di riferimento per dare un senso a tutte queste cose.
    L'augurio è che il prossimo fallimento dell'euro e il traumatico disfacimento del pensiero unico, risvegli la coscienza della classe media e inviti al ripensamento del “non-modello” culturale in cui viviamo.
    Personalmente sono d'accordo con l'idea che la tradizione umanistica della nostra scuola e della nostra università possa e debba essere recuperata. Anzi, sono convinto che se ben interpretato, questo modello possa superare la scissione gentiliana tra lettere e matematica (v. ad esempio questo) e che possa rivelarsi più che adeguato alle esigenze del futuro.

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  33. Wow, una serie di post che dire tosti è poco per un "beato" come me che è affascinato dalla matematica in maniera direttamente proporzionale alla propria ignoranza!
    Visto che tanto so di essere un "beato" e con l'incoscienza dei folli mi permetto delle considerazioni politico-economiche (daje a ride...):
    Se è vero che i mercati si comportano con andamenti che riproducono un random walk e se è vero, come ha spiegato qualcuno, che gli scostamenti dallo "0" (che io intendo come il prezzo corretto del bene sul mercato) sono più profondi, man mano che la "passeggiata" si allunga e che i ritorni all'equilibrio sono sempre più radi, allora l'unico modo per impedire i disastri che sono naturalmente provocati dal mercato lasciato libero di "passeggiare" è limitare, tramite interventi regolatori, la banda di oscillazione di P, ponendo degli "stop loss" e stop gain". In altre parole un mercato che funziona è un mercato che non permette, né grandi perdite, né grandi guadagni. Oltretutto se ho ben capito, ciò provocherebbe un ritorno più frequente alla condizione "0" dove la "passeggiata" finisce e ricomincia un nuovo ciclo.
    Oltretutto quando il mercato si discosta molto dal valore normale, sia in più che in meno, si creano aspettative che il fenomeno continui (sarebbe il discorso della razionalità di puntare sull'ultimo evento accaduto, che mi pare essere stato dimostrato il comportamento più corretto) che alimentano le famose "bolle speculative".
    Quindi non solo non esistono aspettative razionali che equilibrano il mercato, ma la statistica ci dice proprio che è necessario che vi sia un intervento esterno, perché il sistema tende naturalmente al forte disequilibrio.
    Lo so, avrei dovuto dar retta a Wittgenstein: "su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere"...

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  34. Questo é il mio post preferito in assoluto (beh, magari poteva essere uno di quelli scritti in francese.... non saprei). Di solito detesto cominciare una frase con "il problema é", ma mi sembra il caso di dire che il problema, effettivamente, é il rifiuto della razionalità. Essere moderni significa sottomettersi anima e cuore a una ideologia (il che ci riporta indietrissimo storicamente... ma qui vedo già i miei amici alzare gli occhi al cielo)

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  35. mmm, altra segnalazione: sembra sia uscito, sempre dalla BoE, un'ulteriore 'perla informativa', stile 'perché non hai mai frequentato la Sapienza di Roma?' (preso da articolo del guardian qui) ... DAR!

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  36. "Primo pezzo: per la definizione di razionalità, il prezzo di domani sarà uguale alla nostra previsione più un errore imprevedibile (il lancio di una monetina)."

    "Secondo pezzo: per la definizione di efficienza, il prezzo di oggi incorpora già tutte le informazioni rilevanti per prevedere il prezzo di domani, tranne quelle assolutamente imprevedibili (le news)."

    "Mettendo insieme, ricaviamo che se gli agenti sono razionali, e se i mercati sono efficienti, succederà che i prezzi si muovano in questo modo."

    "Notate bene. Questo è appunto il modello “vero” dell’evoluzione del prezzo se sono vere le ipotesi di partenza (efficienza del mercato e razionalità)."

    Sembra invece che da tempo, almeno il mercato dei titoli sia ampiamente manipolato (rigged, come dicono gli anglosassoni), per mezzo principalmente della pratica dello HFT e dei cartelli bancari, altro che passeggiata aleatoria!

    Gli attuali prezzi (quotazioni di borsa), anche per effetto del massiccio QE della FED, appaiono non portare portano piu' nessuna informazione (se non quella che una enorme bolla sta per scoppiare), in quanto tutte le maggiori societa' quotate vedono 'inspiegabilmente' salire la loro capitalizzazione di borsa a fronte di EPS calanti e patrimoni a volte inesistenti.

    Comunque GRAZIE di questo distillato di conoscenza e per ringraziare ho subito votato anch'io.

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  37. OT - Dopo la recente creazione dell'anti-IMF da parte dei BRICS si apprende che l'India ha sferrato un vero colpo basso al WTO (il che fa pensare che i BRICS stiano coordinando le loro politiche estere, oltre che economiche, nel senso che non penso sia casuale che mentre gli USA sanzionano la Russia l'India siluri il WTO).

    http://www.zerohedge.com/news/2014-08-01/india-slams-us-global-hegemony-scuttling-global-trade-deal-puts-future-wto-doubt

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  38. Qualche lustro fa ho sentito una banca, citata in causa da un suo cliente, al quale era stata venduta un' obbligazione Argentina senza che gli fossero fornite l'offering circular e le informazioni atte a valutare la rischiosità del titolo, giustificarsi facendo ricorso all'EMH. Infatti, sosteneva la parte convenuta, "prices fully reflect all available information" e quindi -essendo la teoria avvalorata (?) - perché doveva fornire informazioni ridondanti e superflue riguardanti la rischiosità specifica di un titolo, visto che quelle stesse informazioni erano deducibili da un numero chiamato prezzo?
    Detto per inciso: personalmente all'EMH preferisco Benjamin Graham.

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