domenica 27 aprile 2025

Produzione di squilibri a mezzo di squilibri

Parafraso il titolo di un libro che mi venne imposto dal docente di storia delle dottrine economiche quando ero iscritto a filosofia. Potete immaginare quanto riuscissi a capire di un testo così tecnico, ma all’epoca funzionava così, non si era ancora affermata l’ideologia del facilismo, con le sue carte patinate e i suoi box riassuntivi dai colori tenui: i docenti universitari buttavano tutti in piscina e poi si interessavano a quelli che sapevano nuotare. Suona un po’ darwinista, e forse lo è (mi perdonerà Enzo che ho rivisto con piacere ieri sera), ma il fatto è che nella sua apparente scorrettezza quel sistema funzionava.

Oggi però non voglio parlarvi della conversione dei valori in prezzi (quindi non voglio neanche spiegare che cosa sia a chi ha la fortuna di non saperlo), ma di una conversione molto più semplice: quella degli euro in dollari, ponendo qui a voi in modo più articolato e disteso, una domanda che ieri ho posto a un amico in una conversazione privata, e poi, in serata, a una platea ristretta di studenti in un seminario altresì privato, dove ci siamo molto divertiti (nel senso eletto ed etimologico del termine):



La domanda parte dalle osservazioni di Paolo Torp al post su Unione Europea e squilibri globali, e in particolare dalla sua constatazione di quanto lucida fosse la visione che Geithner aveva del tema degli squilibri globali. Come penso di avervi ricordato più volte, e senza nulla togliere alla capacità analitica e alla chiarezza di esposizione di Geithner (o dei suoi stagisti), in tanta consapevolezza non v’era nulla di miracoloso. I global macroeconomic imbalances erano un tema di ricerca assestato e consolidato da anni negli Stati Uniti, arrivato poi qui con il consueto ritardo di fase della nostra produzione accademica, tant’è che due anni prima anch’io mi ci ero buttato per scrivere un lavoro sul ruolo svolto dalla Cina nella loro formazione.

Ora, nel post in questione ironizzavo sul fatto che all’epoca Geithner diceva al G20 quello che oggi Draghi balbetta in audizione.

A parte il ritardo di Draghi, in fondo non è così strano che eventually (che non significa "eventualmente", ma "alla fine", nonostante quello che pensano i colleghi che chiamano il pi greco “Pai” come le patatine e i decenni “decadi”) i due si ritrovino su una diagnosi condivisa. Diagnosi che poi è quella della migliore economia ortodossa ed eterodossa da sempre, e, con maggiore consapevolezza, in particolare dai tempi degli accordi di Bretton Woods, dove, come sapete, il contrasto fra le posizioni americana e inglese verteva essenzialmente su come strutturare il sistema monetario internazionale perché arginasse l’emersione di squilibri globali, ovvero sul tema, oggi di particolare attualità grazie alle posizioni espresse dagli esperti di Trump, della condivisione dei costi di quella struttura cruciale per lo sviluppo economico che è l'architettura finanziaria internazionale (ne parlammo occupandoci di Keynes, Draghi, Gollum e i tassi negativi).

Questa unità di visione attraverso il tempo è tanto meno strana in quanto Geithner e Draghi sono cuccioli più o meno riusciti della stessa nidiata globalista. Eventualmente (nel senso di eventualmente!) può apparire strano che posizioni simili siano espresse dal segretario al Tesoro di Obama e dagli esperti di Trump! Che cosa potrà mai avere in comune il presidente statunitense che Berlusconi definiva “abbronzato“, fulgida icona della globalizzazione, con l’attuale presidente statunitense? La risposta superficiale credo sia “niente!". Penso che ci possano anche essere risposte meno superficiali e più articolate (che però nessuno mi sta dando), ma intanto andiamo avanti con la domanda che ieri ho posto due volte: se per gli Stati Uniti, indipendentemente dall’orientamento politico di chi li conduce, gli squilibri globali sono un problema, è mai possibile che non si siano posti e non si stiano ponendo il tema del ruolo dell’euro?

Mi spiego.

Anche gli squilibri globali sono, a modo loro, un “bene” (cioè un male, un’esternalità negativa), e vale quindi per loro quello che vale per gli altri beni. Esattamente come una Volkswagen, così anche uno squilibrio globale, per poterlo esportare, devi prima produrlo. La fabbrica delle Volkswagen (o almeno la sua principale sede legale) è a Wolfsburg, quella degli squilibri è a Francoforte: è la BCE. Come vi ho documentato nel post sugli squilibri globali, un paio di giorni fa, e nei post cui esso rinvia, la “materia prima“ del colossale squilibrio commerciale esportato dall’eurozona a partire dagli anni '10 è costituita dai tanti squilibri regionali fra Germania e paesi appartenenti al mercato unico. Questi squilibri regionali, costruitisi grazie all’euro, si sono poi riversati sui mercati globali a causa dell'austerità, che aveva prosciugato la capacità del mercato unico di assorbirli. Il punto è che se in primis questi squilibri non ci fossero stati, nessuna austerità avrebbe potuto contribuire a esportarli! Ai neofiti e ai passanti ricordo in sintesi che l'euro ha permesso alla Germania di vendere le proprie auto (e le proprie lavatrici, e i propri sommergibili...) all'Europa periferica a un prezzo relativamente contenuto perché non influenzato dal marco forte, e ai paesi periferici di indebitarsi a tassi molto convenienti per comprare le auto tedesche perché distorti al ribasso dalla "credibilità" dell'Unione economica e monetaria: gli squilibri nascono così, per una duplice inibizione del meccanismo di formazione di un prezzo di equilibrio in due mercati importanti, quello valutario (che avrebbe naturalmente condotto a un cambio tedesco più alto) e quello finanziario (che avrebbe naturalmente condotto a tassi di interessi greci, portoghesi, spagnoli ecc. più alti). Può sembrare strano ai profani che quello che è stato descritto come un bene assoluto (i bassi tassi di interesse) si riveli un male (un incentivo all'indebitamento), ma per i professionisti due principi dovrebbero essere assodati: che non ci sono pasti gratis e che non esistono distorsioni benefiche del mercato...

Ora, qui bisogna rovesciare una frase a me tanto cara di Keynes ne “Le conseguenze economiche di Mr. Churchill”: “chi vuole il fine vuole anche i mezzi per realizzarlo!”. Dobbiamo cioè chiederci se, perché e fino a quando gli Stati Uniti potrebbero volere il mezzo (cioè l’euro) visto il fine che realizza (cioè gli squilibri globali), fine al quale loro si sono sempre detti contrari in un’ottica assolutamente trasversale dal punto di vista degli orientamenti politici.

Ecco: mentre nella conversazione privata con uno di voi sono riuscito ad andare al punto in modo abbastanza rapido, ho seri dubbi che intervenendo al seminario io sia riuscito a farmi capire.  Come vi dicevo in un commento al post precedente, il costo di una accresciuta consapevolezza rischia di essere l'autoreferenzialità. Un costo che forse paghiamo anche qui: per farmi capire da chi è appena arrivato sono costretto a citare altri post di questo blog, il che, mi rendo conto, trasmette un senso di autoreferenzialità (ma ogni post in realtà cita letteratura e dati "esterni"), anche se è semplicemente un modo per tenere insieme il filo del discorso.

Faccio un esempio delle mie difficoltà nel dibattito di ieri sera, partendo da un argomento che ho sentito formulare, quello secondo cui “dobbiamo stare con Trump perché scardina il sistema”, cioè, in sintesi, “il nemico del mio nemico è necessariamente un mio amico”. Ora, non è che io non lo condivida, questo approccio, come sapete! Per me che sono entrato in politica con un unico obiettivo, quello di espellere gli occupanti abusivi del concetto di “sinistra”, qualsiasi cosa li faccia impazzire è naturalmente benvenuta! Tuttavia, mi fa un po’ sorridere che le persone che ragionano così siano le stesse che poi con fare pensoso e riflessivo affermano un’altra banalità, cioè che “di tattica si muore”. Il dibattito fra tattica e strategia ha una lunghissima dignità anche nelle scienze economiche e si riconduce al dibattito se il lungo periodo possa essere o meno considerato come la somma di tanti brevi periodi. Non è di questo che voglio parlare, dovrei studiare molto per aiutarmi e aiutarvi a capire questo dibattito, peraltro irrisolto, ma voglio solo stabilire il punto che “il nemico del mio nemico è mio amico” è un ragionamento intrinsecamente tattico: mi suggerisce come posso fare un danno al mio avversario, ma non mi definisce l’obiettivo che voglio raggiungere, sia esso la vetta del Monte Porrara o una più equa distribuzione del reddito.

Il dibattito di ieri sera era anche arricchito, e in qualche modo confuso, dall’apporto di diversi geopolitici, categoria che qui abbiamo trattato un po’ come gli ingegneri, liquidandoli affettuosamente e forse un po’ affrettatamente, e di cui mi piace evidenziare un paradosso: a quel che capisco, secondo loro la geografia dominerebbe in quanto determina l’accesso a risorse strategiche per lo sviluppo economico, ma l’economia sarebbe però una categoria trascurabile. Insomma: la geografia ci interessa perché determina l’economia che però non ci interessa. Sul primo pezzo della proposizione non posso che essere d’accordo, da persona che con la geografia lotta ogni settimana sulle creste delle montagne, e che quindi è in grado di capire perché Passo Lanciano o Forca di Penne si chiamino così - anche se oggi pochi li percorrerebbero per raggiungere le rispettive località eponime (sì, perché ci sarebbe anche quell’altro dettaglio: sulla geografia regna la geologia, ma il percorso che porta dai lenti movimenti delle placche tettoniche all’estrema volatilità del tasso di cambio è un pochino troppo lungo e oggi ce lo risparmiamo)! Sul secondo ho qualche dubbio. In effetti, quello che attribuisce a un particolare elemento della tavola periodica lo status di risorsa è la sua capacità di soddisfare bisogni che in alcuni casi sono determinati dalla biologia, ma in molti altri dall'economia. Pensate alle famose terre rare (che rare non sono): quello che le ha fatte diventare così cruciali è stata la risposta statunitense al surplus della Germania, il Dieselgate con il conseguente reindirizzamento dell'automotive tedesco verso il green (e connessa sceneggiata gretina). Come la definiremmo questa dinamica se non economica? E quindi viene prima l'uovo geografico o la gallina economica?

È un po’ come l’altro paradosso, quello secondo cui la volontà di potenza della politica è indirizzata a espandere la propria sfera di influenza economica, ma l’economia non conta perché c’è il primato della politica! Fatto sta che senza sghei non si armano eserciti, e il primato della politica va così a farsi benedire di fronte al primato della contabilità (che ha a più che vedere con l'economia che con la politica).

Non voglio però commettere l’errore dal quale vi metto sempre in guardia, quello per cui se sei un martello ogni problema ti sembra un chiodo. Non mi viene in mente nessun modo consentito dalla legge per vincere una partita a scacchi con un martello (mentre quello non consentito dalla legge è ovvio: suonarlo in fronte all’avversario, che poi è quanto regolarmente avviene sullo scacchiere internazionale)! Non voglio quindi sminuire assolutamente il ruolo di altri approcci analitici, considerando che le categorie economiche in 15 anni di riflessione non mi hanno consentito di trovare una risposta a questa semplice ma fondamentale domanda: che cosa vogliono fare gli Stati Uniti dell’euro (e quindi dell’Europa)? È chiaro che a questa domanda non si può trovare risposta nell’ambito della mera ottimizzazione, soprattutto perché la funzione obiettivo ci è ignota, e il contesto è di informazione estremamente asimmetrica. Cercherò di promuovere un dibattito su questo tema coinvolgendo più competenze, ma intanto “mi verrebbe da” (cit.) dirvi in che cosa penso che la dimensione economica possa aiutarci, e per farlo vi ricorderò alcuni "fatti stilizzati" economici che secondo me dovrebbero essere integrati (e non so se lo siano) nel ragionamento "geopolitico" per dargli una piena rotondità. Perché sì, va bene la KernEuropa, vanno bene le "grandi potenze talassocratiche", va bene tutto, ma poi la sera, o almeno a mezzogiorno, qualcosa in tavola ci deve essere, e la categoria rilevante in questo caso è indubbiamente quella di distribuzione del reddito...

Parto da una delle cose in qualche modo “dissonanti“ con le categorie della mia professione che ho sentito ieri: l'idea che la globalizzazione sarebbe stata provocata dal crollo del muro di Berlino, e sarebbe il tentativo di dare una risposta al mutamento degli assetti geopolitici determinato da questo crollo. Ora, gli economisti sono abbastanza d’accordo sul fatto che la terza ondata di globalizzazione sia in realtà iniziata quasi un decennio prima, cioè all’inizio, non alla fine, degli anni ‘80, e si sia manifestata in termini istituzionali sotto forma di una liberalizzazione progressivamente indiscriminata dei movimenti di capitale (le "riforme strutturali", come oggi si direbbe, all'epoca furono quelle). La liberalizzazione era lo strumento che serviva al capitale per sconfiggere definitivamente il lavoro mettendo in concorrenza il penultimo con l’ultimo proletariato (fuori di metafora, portando i capitali a costruire fabbriche dove il lavoro costava di meno). Volendola buttare in politica, questo significa che la tromba della globalizzazione ha squillato non quando il blocco occidentale ha sconfitto i comunisti a casa loro, ma quando il capitale ha sconfitto il lavoro in casa propria. Volendola dire in un altro modo, in questa lettura la terza globalizzazione comincia quando il capitale ha vinto la lotta di classe, non è la battaglia che ha consentito al capitale di vincerla (ricordo agli interessati anche il post in cui abbiamo affrontato specificamente il tema delle caratteristiche strutturali di questa globalizzazione).

Ora, un geopolitico secondo me è assente giustificatissimo dai presupposti di questa interpretazione della realtà. Gli mancano almeno due elementi che noi invece qui possediamo. Il primo è la constatazione di un fatto: la crescita dei salari reali da noi termina alla fine degli anni ‘70 (quando i salari si fermano e la produttività prosegue per un po’ il suo cammino); il secondo è la nozione di che cosa sia la “repressione finanziaria” e di cosa comporti la sua affermazione o il suo smantellamento. Il primo fenomeno ve l’ho messo in evidenza fin dall’inizio e l’ultima volta nel post sull’Italietta della liretta, sul secondo ci siamo soffermati più volte, a partire dal post su produttività, salari, crisi, logaritmi, marxiani, onestà, che è comunque un post fondante di questo blog e che vi consiglio di rileggere anche per capire che il fenomeno dell’arresto dei salari reali non è circoscritto al nostro paese:


ma è un fatto stilizzato, anzi: il fatto stilizzato più significativo per caratterizzare le dinamiche del blocco occidentale, un fatto che non può essere eluso da spiegazioni che ambiscano a fornire basi solide a ragionamenti predittivi.

Mi viene qui in mente un altro paradosso: in tutte le conversazioni “geopolitiche” prima o poi salta fuori il concetto, assolutamente dignitoso e condivisibile, secondo cui l’ordine mondiale proposto, esposto, imposto, dalle cosiddette democrazie liberali non sia assolutamente l’unico modello di democrazia. Il paradosso consiste nel fatto che quelli che affermano questa indiscutibile verità nella stragrande maggioranza dei casi mettono in disparte, o proprio non considerano, il fatto che anche all'interno del perimetro delle democrazie liberali esistono diversi possibili atteggiamenti verso l’egemonia del mercato. Anche qui: non vorrei che l’essere un "martello" docente di politica economica mi facesse vedere ogni problema come il "chiodo" del rapporto fra Stato e mercato. Tuttavia, non porre al centro questo tema quando si ragiona dei rapporti politici in uno Stato o fra gli Stati mi sembra un errore. Ve la dico in un altro modo: magari nell’affermare che un altro mondo è possibile si dovrebbe partire dal chiedersi se un’altra Banca centrale sia possibile, il che presuppone la conoscenza del percorso storico che ha portato a questa indipendenza, e la capacità di trarre un bilancio sull'esperienza dell'indipendenza…

Ora, torno al punto cui volevo condurvi: la lettura secondo cui la terza globalizzazione inizia alla fine degli anni  ‘80 può naturalmente convivere con la datazione che del fenomeno danno economisti, se si aggiunge un passaggio, ipotizzando che l’Unione Sovietica fosse già tecnicamente morta all’inizio degli anni ‘80. In questo caso, però, il crollo del muro da elemento "fondativo" della terza globalizzazione andrebbe letto come evento di enorme portata simbolica (quella è innegabile), ma che i capitalismi occidentali non hanno avuto bisogno di aspettare per regolare i conti con i loro proletariati, o almeno per porre le basi istituzionali che consentissero loro di regolare questi conti in modo più spiccio (l’indipendenza della Banca centrale si afferma infatti all’inizio degli anni ‘80). Tuttavia, e qui vado al punto, per capire se sulla relazione con Trump si debba costruire una tattica o si possa articolare una strategia, cioè, in altri termini, per capire se Trump sta veramente scardinando l’ordine mondiale instauratosi alla fine degli anni ‘70 con la sconfitta del lavoro, cioè della classe media, e la vittoria del capitale, cioè del capitalismo dei fondi, credo sia fondamentale avere un’idea condivisa e argomentata di quando è iniziato questo ordine mondiale e in che modo. In altre parole, ho qualche difficoltà con chi mi dice che la terza globalizzazione è finita grazie a Trump, o comunque che Trump vuole porre fine ai suoi giorni (per quanto io possa trovare auspicabile questa prospettiva), ma non mi fornisce una datazione del suo inizio collimante con l’evidenza che vi ho mostrato, cioè con i principali fatti stilizzati riferiti alla distribuzione del reddito nel "primo" mondo!

L’argomento che pure ieri ho sentito, cioè che Trump vorrebbe scardinare tutto in quanto ha preso sul personale il fatto che gli abbiano sparato addosso, non mi sembra molto convincente, non ne fa di per sé “uno di noi”. Questo non tanto perché a quasi nessuno di noi (spero) qualcuno ha sparato addosso, quanto perché, come ampiamente dibattuto al tempo dei "punturini" parlando di quanto la storia insegna, la minaccia esistenziale diretta è comunque un fondamento molto labile per la costruzione di una solidarietà di classe. Sparare addosso a un miliardario non ne fa necessariamente un paladino della classe media, indipendentemente dal fatto che il colpo vada a segno o meno...

Insomma, non sono riuscito a capire bene, ma è un limite mio, in base a quale ragionamento datino ad oggi la fine della globalizzazione quelli che ne datano l’inizio dalla caduta del muro (e che quindi non riescono a spiegarci come mai la quota salari nei paesi occidentali sia scesa in picchiata dieci anni prima che il "comunismo" venisse sconfitto). Quello che so, però, e che qui credo sappiamo tutti, è che il dato veramente segnaletico non è tanto quello su cui, tanto per cambiare, i media vogliono che voi concentriate la vostra attenzione (“dazi sì, dazi no”), quanto il tema più complessivo del rapporto di questa amministrazione con le istituzioni della globalizzazione, e in particolare con l’indipendenza della Banca centrale.

Quella è la battaglia da seguire.

Qui abbiamo ampiamente discusso sul ruolo che l'indipendenza della Banca centrale gioca nell'orientare la distribuzione del reddito a vantaggio della rendita finanziaria (ad esempio, alle pagg. 267 e seguenti de Il tramonto dell'euro). Basti pensare che da noi l’indipendenza ha condotto alla lunga stagione degli avanzi primari, che sono stati altrettanti trasferimenti di risorse dei contribuenti ai percettori degli interessi sul debito (categorie che in alcuni casi possono coincidere, ma che proprio nel meraviglioso mondo dell'indipendenza si sono progressivamente disaccoppiate). Oggi il fronte di questa eterna lotta è destinato a scaldarsi ancora di più, per il semplice motivo che sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea gli orientamenti politici necessariamente conducono a tensioni inflazionistiche: non credo di dovervi spiegare nulla circa le tensioni inflazionistiche intrinseche nella strategia Green in cui l’Europa ha cercato salvezza e che rilutta ancora ad abbandonare in modo chiaro e definitivamente segnaletico, e penso di non dovervi spiegare che voler rimpatriare le fabbriche negli Stati Uniti, in cui il tasso di disoccupazione è vicino ai minimi:


significa accettare il rischio che ci siano tensioni inflattive, per l'operare della curva di Phillips, di cui parlammo spiegando lo scopo inconfessato della riforma del mercato del lavoro, e su cui siamo tornati recentemente per spiegare come si fa a far scendere i salari.

La domanda quindi diventa: questa promozione, consapevole o meno che sia, di un ambiente di crescita (nel caso degli Stati Uniti) o decrescita (nel caso dell'Unione Europea) moderatamente inflazionistica verso quale scenario ci porta? Per usare le categorie di Reinhart e Sbrancia, stiamo aprendo a una "liquidazione del debito pubblico" (e non solo pubblico), realizzata tramite la promozione di una crescita moderatamente inflazionistica e della regolamentazione dei mercati dei capitali, cioè della "repressione finanziaria", con il conseguente abbandono del dogma dell'indipendenza della banca centrale e la riappropriazione dello strumento monetario da parte dei governi, o ci trincereremo dietro il dogma dell'indipendenza (per quanto la sua applicazione non abbia praticamente mantenuto alcuna delle tante promesse fatte), innalzando i tassi di interesse e conducendo il sistema economico a un progressivo soffocamento (cioè giapponesizzandoci, per usare l'espressione di Krugman che vi ho ricordato parlando dei negazionisti del declino)?

La battaglia è questa, come ben sapete: nei miei testi e in questo blog il tema dell'indipendenza della Banca centrale (ma più in generale dell'esistenza di istituzioni indipendenti dall'espressione della sovranità popolare) e la sua declinazione locale, cioè il divorzio fra Tesoro e Banca d'Italia, è sempre stato centrale, perché indissolubilmente legato a una domanda che non è parente così distante di quella da cui siamo partiti: chi deve decidere sulla distribuzione del reddito? Questa decisione è tecnica o politica? Spetta a burocrati non eletti e privi di responsabilità politica o a rappresentanti dei cittadini, soggetti alla volontà popolare attraverso il processo elettorale (cioè quella cosa da cui Monti voleva proteggere le decisioni importanti, che per lui andavano appunto riposte "al riparo dal processo elettorale")?

Non sono mai riuscito a capire (per mia superficialità, s'intende) quanto i geopolitici "mettano a tema" (come credo direbbero) questa domanda, che però è la domanda fondativa del vivere comune. Fatto salvo Robinson Crusoe, che non aveva motivi di porsela (e che non a caso è diventato paradigma economico del modello neoclassico - quello che nel becero e disinformato dibattito nostrano viene chiamato "neoliberista"...), chiunque non se la ponga non è un cittadino particolarmente consapevole né uno studioso particolarmente illuminante dei processi sociali.

A questa domanda è legata la domanda da cui siamo partiti: che cosa vogliono fare gli Stati Uniti dell'Europa? Immagino che i geopolitici (o i politologi, o gli ingegneri, o gli editorialisti dei grandi giornali in caduta libera) abbiano lettura diverse e tutte interessanti del significato del Trattato di Maastricht, ma dal punto di vista tecnico è piuttosto evidente che "la ciccia" è nell'articolo 104, quello che ha istituzionalizzato e formalizzato il "divorzio", cioè l'indipendenza della Banca centrale dal potere esecutivo. Quanto reggerebbe l'Occidente (immaginando che esso si componga di America settentrionale ed Europa) nel caso in cui gli Stati Uniti rinunciassero all'indipendenza della Banca centrale, per assicurare un regime di crescita moderatamente inflazionistica, e l'Europa reprimesse la propria crescita sotto la sferza di alti tassi di interesse? La repressione della crescita significa, come sapete, repressione delle importazioni, quindi promozione di surplus di bilancia dei pagamenti, quindi, ancora una volta, per finire da dove abbiamo cominciato, produzione di squilibri (commerciali) a mezzi di squilibri (istituzionali).

La posta in gioco è questa. Trump ha bisogno di una Banca centrale accomodante per realizzare il suo progetto di reindustrializzazione degli Stati Uniti, i cui sistemi d'arma, mi dicono gli esperti, dipendono ormai in modo preoccupante dalle tecnologie cinesi. Se il rimpatrio delle catene del valore strategiche, con le conseguenti tensioni inflazionistiche, venisse stroncato da politiche di alti tassi di interesse, l'intento strategico sarebbe frustrato. Lo sarebbe però anche se qui da noi si continuasse a esportare squilibri, magari sotto forma di carri armati VW!

Ecco: io alla domanda che da anni mi pongo (e che ieri ho posto due volte con scarso successo) ancora non so rispondere, ma qualcosa mi dice che vivrò abbastanza da vedere quale sarà la risposta della Storia. Come vedete, i temi posti tredici anni fa nel Tramonto dell'euro e più in generale nel corso della nostra lunga conversazione mantengono la loro centralità anche oggi che la crisi non si presenta sotto le categorie dell'economico (non è fallita nessuna grande banca, non si parla di spread, ecc.) ma del politico (la richiesta esplicita di Trump all'Unione Europea di scegliere in quale campo stare). Almeno in questo senso il tanto lavoro fatto e il tanto tempo passato insieme non sono stati inutili.

Buona domenica!

96 commenti:

  1. Egregio Onorevole,
    aggiungerò, credo, alcune considerazioni, provando a dare una risposta alla domanda centrale del post.

    Vedo un certo parallelismo tra un modello USA centrico, con l'EA (ma non solo) come satellite, ed un modello Germania centrico, con l'Est Europa come satellite.
    Sia gli USA, che la Germania, hanno bisogno di importare beni a basso costo, pagando come prezzo la delocalizzazione della produzione.

    Di seguito l'indice della produzione manifatturiera USA:
    https://fred.stlouisfed.org/series/IPMANSICS
    Qui il deflatore delle importazione di beni negli USA:
    https://fred.stlouisfed.org/series/A255RD3Q086SBEA

    Dai grafici si può vedere come la produzione manifatturiera USA sia ferma al '2000 e che il deflatore delle importazioni è "abbastanza" piatto da decenni. Merito sicuramente anche della Cina, non solo dell'EA.

    La possibilità per USA e Germania di delocalizzare la produzione industriale è servita ad entrambi per mantenere basso il costo del lavoro a casa propria. E questo ha inciso ed inciderà sulla distribuzione della ricchezza.

    In merito alla questione monetaria, ovvero alla forza relativa di Euro e Dollaro, riporto il seguente estratto:
    "The ultimate determinants of the continued use of the dollar as an international currency are the economic policies and conditions in the United States. As Lawrence Summers noted when he was Deputy Secretary of the U.S. Treasury, “Ultimately, the dollar’s relative standing in the international financial system will always depend more on developments here than on events elsewhere” (Summers, 1997). In the absence of an economic crisis in the United States, the dollar is not likely to lose its standing as the most popular international currency."

    Volendo pervenire a delle conclusioni, credo che:
    1) Gli USA sono interessati ad un modello economico che vede l'EA come loro satellite. Per questo, essi faranno di tutto per allontanare l'EA dalla Cina, ovvero allontanare la Cina dall'Europa.
    2) Gli USA sono consapevoli che un modello USA centrico deve tollerare degli squilibri.
    3) Il limite a questi squilibri è legato alla capacità di crescita dell'economia USA nel medio periodo ed al primato del Dollaro.
    4) Un parziale reshoring USA sarà sicuramente inflattivo, sia per i dazi imposti alle importazioni, sia per il maggior costo del lavoro interno.

    Un saluto,
    Fabio

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  2. La fine del terrorismo di sinistra nei principali paesi occidentali industrializzati, da datare grossomodo intorno l'inizio degli anni ottanta può aver avuto un ruolo nella terza globalizzazione?
    Lungi da me una qualunque apologia di violenza politica. Osservavo solamente che il fenomeno è stato comune a quasi tutti i paesi industrializzati, Stati Uniti compresi (vedi Weather Underground).

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    1. Prof, con tutto il rispetto, lei non può fingere di essere l'ingenuo che non è. Ha troppi strumenti per esserlo. La storiella delle BR "che vogliono abbattere il sistema capitalista" è ridicola.
      La versione che penso si avvicini maggiormente alla realtà, e al buonsenso, è quella secondo la quale, in un mondo in cui si cercava progressivamente di ampliare il gap tra la classe media e "l'elite", visto che la classe media stava alzando troppo la testa grazie proprio alla repressione finanziaria - come lei ha giustamente osservato - i movimenti extraparlamentari, quando non proprio terroristici, sono stati usati ampiamente per scardinare la struttura sociale ed economica, un po' in tutto il mondo. Le BR "sincere" sono finite con Curcio e Mara Cagol, mentre quelle "manovrate" sono iniziate con Moretti e probabilmente mai finite, perchè questa strategia la si continua ad usare anche oggi, e venne sperimentata probabilmente per la prima volta a Portella nel '47.
      Allo stesso modo io sono pienamente convinto che la crisi petrolifera del '73 sia stata manovrata, per non dire orchestrata ad arte, al fine di chiudere la pagina del mondo "keynesiano", ed aprire quella del mondo "neoliberista" (mi perdoni la brutale semplificazione), potendo così ululare sull'inefficienza del settore pubblico e i "pericoli" dell'inflazione e della sua "iniquità".
      Per quanto attiene al fatto che la classe dirigente USA sia consapevole in tutti i suoi orientamenti politici dell'esistenza degli squilibri, ciò che fa la differenza è la risposta a questa situazione. Se la risposta è: manteniamo la leadership mondiale con la moneta di riferimento globale, non c'è altra strada alla guerra globale e al globalismo stesso.
      Ma siccome qualcuno ha forse capito che la guerra senza fine non è sostenibile e forse gli USA non possono nemmeno più vincerla, e che desertificare la manifattura dipendendo dalla Cina per le proprie armi non è una grande idea, non c'è alternativa alla demolizione del dollaro come moneta di riferimento mondiale, e cercare di tornare, realisticamente o meno, ad una situazione che forse ricorda quella di inizio Novecento, con gli USA non ancora così protagonisti su scala globale.
      Concludendo: se l'amministrazione USA ha un minimo di coerenza e di consapevolezza della situazione, non credo che non possa avere come obiettivo quello di eliminare l'Euro, che però è obiettivo che non si può, per evidenti ragioni, perseguire per via "tattica", ma necessariamente per via "strategica", cioè sul medio periodo.
      Terrei anche a ricordare la tendenza tutta statunitense a perdere il controllo dei propri mostri: a partire dai vari fantocci politici piazzati al potere in giro per il mondo, ma soprattutto alle strutture politiche da loro sponsorizzate per non dire create, come il percorso di "unità" europeo.

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    2. Su youtube si trova una intervista a Curcio, Moretti e Balzerani del marzo 1988 da parte di un vero giornalista: Ennio Remondino. Gli intervistati tengono ancora una bella lingua lunga, come chi sa di avere ancora crediti da riscuotere in giro. L'anno prima le BR avevano freddato il generale Giorgieri, a loro dire perché, come direttore generale del ministero della difesa, aveva aderito agli acquisti militari per il progetto delle guerre stellari di Regan, dicerie giravano, invece, che si fosse opposto all'acquisto di aerei Lockheed che come ingegnere meccanico giudicava inadeguati. Dietrologie? Forse. Per Tarantelli, invece, dissero che era: "uno dei più autorevoli esponenti tecnico–politici al servizio del grande capitale, che “lavorano” al tentativo di far fronte alla crisi economica della borghesia" distintosi per il taglio dei punti di contingenza e la diversificazione salariale agganciata alla produttività. Siccome potevano allora a maggior ragione prendersela con Guido Carli, sempre dicerie che girarono, dicevano, invece, che aveva contribuito alle normative sulle evasioni fiscali e relativi accertamenti. Anche qui saranno state dietrologie, va però tenuto in conto che nel 1985 a nessuno più interessava dei "compagni che sbagliano", e invece quella lingua lunga dei brigatisti nel 1988 resta da spiegare.
      Comunque, l'intera storia delle Brigate Rosse ha troppi lati oscuri per derubricarla a vicenda di semplici invasati comunisti.

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    3. Scusate, non so se ve ne rendete conto, ma state tutti venendo dove volevo portarvi: legare l'affermarsi del mito dell'indipendenza della Banca centrale (perché la globalizzazione questo è, il resto è folklore, come avrete capito o capirete leggendo Reinhart e Sbrancia) alla "sconfitta" dei "comunisti" è una puttanata in sé e per sé. Tutto il resto lasciamolo agli storici della politica.

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    4. Si però, mai che qualcuno di questi "invasati" ci avesse spiegato da dove si erano immaginati il loro "nemico" ( il famoso SIM che OGGI c' è ma ALLORA no ) e come in tutto questo c' entrasse "liquidare " Moro ( e un paio di presidenti della confindustria tedesca.. )

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    5. L'idea è abbozzata in alcuni commenti ma vorrei esprimerla io: il Comunismo è morto negli anni '70, ci sono solo voluti vent'anni per seppellirlo.
      Mi spiego: fino agli anni '70 la possibilità che un Paese europeo (gli unici che conta[va]no) passasse al Patto di Varsavia per vie politiche (PCI) o militari (Sem' dney do reki Reyn) era del tutto credibile, per cui far incazzare i salariati era una pessima idea. Come disse uno studente comunista, attuale assessore del PD in un comune sotto i 15.000 ab., "Con una crisi del ggenere [2015] la Ggrecia sabbbe finida [negli anni '70] sodddo il Padddo di Varsavia".
      Negli anni '70 invece risultà abbastanza chiaro a tutti che il rischio dei Sovietici a San Pietro (o Tiergarten) era finito perché, al massimo, ci saremmo trovati un'Italia comunista ma sotto l'ombrello atomico della NATO.
      Per questo, forse, si può capire perché i geopolitici se la tirino così tanto: in fondo hanno abbastanza chiaro che il "compromesso keynesiano" si basava comunque su un keynisismo bellico.

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  3. ho sempre visto l'euro come un prodotto finanziario a basso rischio, bilanciato o a leva in funzione della stabilità/solidità del dollaro; ovvero, come ricordato sopra, lo strumento del sistema monetario internazionale che, dopo Bretton Woods, "arginasse l’emersione di squilibri globali." Quanto a Trump, la sua idea è che l'america sia diventata grande non con la finanza speculativa ma con la produzione e gli investimenti, e su quel terreno vuole battere la cina; chi ci sta è il benvenuto, tutto il resto è una perdita di tempo (e denaro). I francesi e gli inglesi invece, vogliono fare quello che sanno fare meglio e cioè rubare e campare di rendita sulle spalle degli altri. Mia opinione

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    1. la mia idea è che l'euro sia stato "progettato" per evitare svalutazioni competitive delle valute forti europee (e di riflesso anche asiatiche) che aumentassero ad libitum il deficit americano e la necessità conseguente di acquistare grossi quantitativi in dollari (o asset scambiati in dollari), da parte delle banche centrali. Ricordo un articolo di Roubini ad inizio secolo sul pericolo di un crollo sistemico dell'economia mondiale dovuto a questi squilibri macroeconomici. L'euro ha limitato questa deriva causata dalla globalizzazione, che andava avanti dal 1971 di Nixon, ma Trump pensa che non sia stato uno strumento efficace o, forse, non più efficiente

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    2. Ingegnere caro, questo lo hai "pensato con la tua testa"? Complimenti! Spero tu non ti occupi della A25 perché sai che ho il progetto di vivere fino a 107 anni. Perdonami (giusto per dirne una): ma perché mai quello di impedire alle valute forti di svalutarsi avrebbe dovuto essere un obiettivo, atteso che le valute forti sono forti appunto perché si rivalutano?

      Quello che molti volenterosi non capiscono è che il problema non è andare "cerripiccheggiando" in giro (mi leggo un po' di Roubini, un po' di Furbini e so l'economia). Il problema è avere le base, non dell'economia, ma della logica (perché le basi della logica sono quelle dell'economia).

      Tutto quello che hai capito di un discorso impostato quattordici anni fa, ma da inizio 2023 particolarmente insistente sul fatto che l'euro ha AMPLIFICATO gli squilibri ed è stato costruito (a livello giuridico e finanziario) per amplificarli è che l'euro avrebbe LIMITATO questa deriva perché forse te l'ha detto tucuggino Nouriel o perché lo hai pensato con la tua testa?

      Sbattila un po' contro i dati, la tua testa, e poi veniamo a portarti la borsa del ghiaccio!

      Aggiungo (in stile Ciaone): haha

      (rigorosamente senza punteggiatura).

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    3. il problema nacque alla fine degli anni 80 dal combinato disposto dell'ottimismo liberistico reaganiano, dall'apprezzamento continuo del dollaro valuta di riserva e dall'aggressività delle economie europee e giapponesi; quanto l'euro sia stato studiato a tavolino non posso dirlo ma che sia servito al dollaro come valuta "bilanciata" sia in relazione al suo valore reale sia al tasso di cambio, mi sembra evidente. ps ho progettato un paio di ponti in Abruzzo e diverse strade provinciali, fossi in te prenderei il brevetto per ultraleggeri :)

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  4. "non esistono distorsioni benefiche del mercato"; penso di aver capito quel che vuoi dire, ma chiedo: lo Stato che copre la differenza per erogare un servizio che il mercato non erogherebbe a quel prezzo, distorce o corregge? E sono due cose diverse (distorcere e correggere), o è la stessa, sebbene guardata con occhi differenti?
    Sull'identità/alterità tra distorcere e correggere si giochi la tenuta del modello giuridico "mercatista" di Maastricht.
    Per altro, rispetto alla mia obiezione, ci sarebbe da contro-obiettare che il sistema degli scambi internazionali è "privo di Stato", e quindi il tema si pone in termini molto diversi.

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    1. Questo è un caso di situazione dialettica abbastanza frequente, ma evidentemente non codificabile e non contestualizzabile ogni volta. Quando dico "sfruttare la forza dell'avversario" vedo generalmente annuire, ma penso che, esclusi i presenti, sia uno dei tanti casi in cui non convince quello che dico, ma come lo dico (da cui la mia decisione di pensionarmi da attore - se qualcun altro mi scrive i testi).

      Premessa: io insegno politica economica. Devo spiegare che cosa significa? Non che sono più attrezzato di te o di altri a addentrarmi in materia economica, ma che ho un lavoro perché i mercati falliscono e io ne sono consapevole.

      Altra premessa: l'avversario è convinto invece che il mercato risolva tutto.

      Sfruttare la forza dell'avversario (da quattordici anni a questa parte): dire: "Te piace er mercato Robbertì? E allora perché non ti piacciono i prezzi di equilibrio?"

      A questo non possono rispondere (anche se lo fanno).

      Non mi riferisco a mercati "stateless", perché quello creditizio ad esempio non lo è (ed è stato distorto). Dopo di che, per me ci sono servizi che dovrebbero essere erogati dallo Stato, ma qui si entra in un discorso diverso (e che invece gli avversari potrebbero efficacemente contestare).

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  5. Ovviamente io non so cosa vuole veramente Trump ne come si porrà nei confronti dell'euro. Dato che non credo prenda le decisioni da solo propongo di vedere a che scuola di pensiero appartengono i suoi più stretti collaboratori. Spero che tra loro non ci sia Musk, le cui sparate economiche su X meritano un grandissimo giamaica 🇯🇲

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    1. Per vedere a che scuola di pensiero appartengono i suoi collaboratori basta come sempre cliccare sui cazzo di link!

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    2. Proverò a vedere chi sono questi signori e l'autore del paper.
      https://www.hudsonbaycapital.com/our_research

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  6. La reindustrializzazione degli Stati Uniti sarà un processo che avrà bisogno di tempo. Ho la sensazione
    che il mondo finanziario non permetterà che ciò avvenga.

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    1. Sicuramente c'è una grossa tensione dialettica fra due modelli di capitalismo, uno dei quali è molto coeso e ben attrezzato a difendere la propria supremazia!

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    2. P.s.: ho seri dubbi anch'io sulla remissività e pazienza del mondo finanziario. Non sarà cosa semplice e non è detto che riesca. D'altra parte, l'Oriente è a Occidente dell'Occidente. Se siamo passati dall'impero romano a quello americano, potremmo anche passare da quello americano a quello manciuriano! Diciamo che è sempre questione di tempo.

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    3. Chissà se la nostra generazione nata negli anni '60 avrà tempo sufficiente per vivere questo cambiamento

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    4. Beh, Heather Parisi s'è trasferita a Hong Kong già da 15 anni, appena dopo il molto brutto segno delle rondini nere che, senza la minima intenzione simbolica, si erano fermate sul singhiozzo del mercato finanziario americano. Ora, la ragazza è sempre stata molto intelligente, ma vogliamo credere che sia un'aquila, come Lenin definì la Luxemburg? Lo skyline, lo si chiamava così anche nei paesi d'origine, era già bello che disegnato a Hong Kong quando persino la ballerina se ne accorse, e disegnato allo stesso modo che nella città che non dormiva mai, e non per caso.
      Può bastare questo accenno per fare un poco di luce sul conflitto americano tra il potere finanziario che ha già da tempo mangiato la foglia, e il potere politico-strategico che non ha nessun modo di delocalizzarsi? Così ecco che, magari, si rispolvera pure Adam Smith, il quale chiedeva di essere più umani coi lavoratori, scolarizzandoli un minimo perché se no in guerra avrebbero reso peggio che i somari. Anzi, in guerra a difendere interessi altrui manco ci sarebbero andati volentieri.

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    5. L'assoluta centralità del dollaro è fondamentale per il mondo finanziario, ma impossibile da mantenere se si vuole reindustrializzare gli Stati Uniti.

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    6. Sì, va bene, ma scusatemi tanto: chi sarebbe il contendente? Tredici anni fa vi ho detto che non poteva essere l'euro, e ho avuto ragione (la storia ve l'ho raccontata recentemente qui). Oggi vi dico che non può essere il renminbi e ne parleremo fra dodici anni. Male che vada, pareggiamo (e ci giochiamo lo spareggio sul dollaro australiano).

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    7. Il contendente non può essere nessuna moneta nazionale...credo. L'euro in questo senso può essere vista come moneta nazionale, che se usata diffusamente per gli scambi internazionali causerebbe squilibri sopra squilibri. Penso che ogni Nazione debba vendere le proprie merci con la propria moneta e che ci debba essere una moneta internazionale di compensazione, ovviamente FIAT, con la quale si possa disincentivare gli atteggiamenti mercantilistici e invece mitigare gli effetti potenzialente devastanti dell'eventuale eccessivo indebitamento di chi importa troppo.

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  7. Avete tirato dentro Rizzo? Magari facessero un esame di coscienza e capissero che uniti si vince... potevate invitare anche Borghi ehhh un tempo si diceva B&B ma ha già le sue soddisfazioni con il suo libro... Parlando di economia si può dire che il piedino o eurista considera come il migliore dei mondi possibili quello attuale, ma così facendo si preclude tutte le altre possibilità... Ovvero il resto del mondo... Cioè forse 30 anni fa si poteva pensare che con l€ saremmo stati imbattibili, poi vai a Dubai, Mosca ecc e ti accorgi che il mondo va avanti anche senza regole green e scva.. Ecco ai piddini servirebbe vincere la paura e pensare a n modelli più che direi "moriremo tutti" senza €

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    1. Vedo che qui nessuno vuole vivere 100 anni (agli eventuali interessati posso fornire una ricetta attendibile), ma comunque ovviamente Claudio era stato invitato, ma ha saggiamente preferito pontificare, cosa che avrei fatto anch’io se non fosse che l’amico che in qualche modo co-organizzava, Dimitri Coin che vedete nella prima foto, è una persona di squisita gentilezza cui mai avrei voluto dare buca, motivo per cui ieri ho rinunciato ad arrivare in vetta e a metà salita me ne sono sceso verso Roma.

      La formula B&B viene usata dalle merde per screditarci, il mio motto è Nec pluribus impar… non so se posso esserti utile in altro modo, fammi sapere!

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    2. A 100 anni con i conciliaboli segreti ovviamente uno non ci arriva, una certa curiosità quelle foto la suscitano... Nelle menti dei più ci si chiede chissà quali discorsi segreti siano stati fatti, quali accordi oscuri siglato, quali nuove teorie uscite dalla fucina esclusiva, ma se ha pubblicato le foto si puo intuire la natura distesa dell incontro..
      Non so comunque come faccia ad avere quei ritmi, nel caso fosse interessato le do vari rimedi naturali usati anche nello sport e forse come il Vannacci ben sa a livello di forza armata in ambiti elitari

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    3. Mi fa molto sorridere quando i miei colleghi di vertice pensano che io possa essere geloso se Matteo dice una cosa a loro invece che a me, perché io la ricetta per arrivare a 100 anni la so. Nessun discorso segreto, un seminario di formazione organizzato a porte chiuse da un'associazione, come ne fa a/simmetrie, come ne fa qualsiasi think tank.

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    4. Il fatto che ci siano "seminari" politici "riservati" è l' ABC della politica e l' argomento cruciale qui poteva anche richiederlo. Ma la nota "piccante" è che Lei ce lo ha voluto far sapere laddove poteva trattare l' argomento senza farci sapere con chi l' avesse discusso.😎

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    5. Davvero non capisco gli adulatori di Kojak. Ne avesse mai fatta una giusta santa miseria!
      Dall'Europa,passando per l'euro,all'immigrazione:
      Il suo appoggio alle inchieste di Patronaggio,una cosa a di poco scandalosa!
      Ed anche sulle politiche sanitarie vuoto assoluto.
      Il fatto che poi dopo si raddrizzi non fa di me un suo adulatore.
      A questo punto qualcuno potrà tirare fuori il sempre più stantio motto "restiamo uniti", il che avrebbe senso (non per me!) solo nel caso il personaggio in questione controllasse una quantità di voti elettoralmente spendibili,il 4-5% insomma,cosa che palesemente non ha e non avrà mai credo.
      Meglio di voi le bimbe di Conte per capirci!

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    6. Sono riunioni carbonare 😂

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    7. Si ogni tanto sono ironico e non mi prenda troppo sul serio... Comunque per il progetto che ha di scrivere un manuale di economia sarebbe proprio bello rispondere alla "domanda su che manuale hai studiato?" "Sul Bagnai"...
      Oppure ragazzi dovete acquistare il Bagnai...

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    8. Alberto il tuo giudizio stavolta è enormemente delicato rispetto a ciò che ho visto direttamente. E non aggiungo altro che non è il caso.

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  8. Non è un tema direttamente economico, ma, estendendo alla geopolitica, sto seguendo quel che accade nel Regno Unito (in cui si vota settimana prossima e il governo Starmer di recente ha davvero fatto cose da far accaponare la pelle ....) e ho come l'impressione che la via che alcuni vorrebbero seguire per prolungare lo status quo non sia economica ma sociale, ossia emanando provvedimenti che provocano a tal livello il ceto medio autoctono da far scoppiare una rivolta violenta contro i migranti, per poter con comodo reprimere il tutto e andare avanti bellamente con le loro ricette economiche, ammantandosi di morale pelosa perché colpirebbero "i perfidi sovranisti rivoltosi rassisti e fassisti" (ovviamente in tutta europa, perché i cattivi sovranisti sono contagiosi). In francia la condanna della Le Pen alla pena accessoria dell'ineleggibilità va nello stesso senso. In America stavano sulla stessa strada, ma la vittoria di Trump ha rallentato il tutto.

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    1. "la strategia della tensione" è un classico modo per crescere di potere spaventando la plebe; crea un "lupo" e le "pecore" invocheranno un "pastore".

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    2. In verità credo che in UK potrebbero volere qualcosa di più, ossia proprio scatenare rivolte sociali su base etnica per poi adottare forme legali di apartheid contro gli autoctoni. Cioé, il governo laburista di Starmer non mira tanto a "fidelizzare" gli autoctoni usando la paura delle rivolte (ossia la strategia delle tensione), ma punta proprio a rendere gli autoctoni irrilvanti per puntare ad acquisire il consenso politico della nuova popolazione importata (largamente islamica, quanto meno nel Regno Unito). Per questo nel Regno Unito, in vista di queste prossime elezioni, si fa molto rumore attorno alle teorie del "great replacement".

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  9. Mi ero ripromesso di rileggere “Il tramonto dell’euro” (sfruttando le festività pasquali ed i successivi ponti festivi) in quanto ho avuto la sensazione che le tematiche affrontate stessero tornando in auge, non solo a livello economico ma soprattutto politico. Finito di leggere poco fa (in anticipo sulla tabella di marcia) e mi ritrovo questo post sul blog che esprime, direi, esattamente le motivazioni che mi hanno spronato alla rilettura (consentendomi di riunire con maggiore consapevolezza tutti i puntini)! Rileggendo, si percepisce che è stato scritto da un Bagnai accademico e non ancora “politico” (ammetto che sono ora meno convinto della bontà di fare una ristampa). Sono invece super favorevole all’idea di realizzare un libro di economia politica/politica economica scritto da un accademico che ora ha anche l'esperienza del politico. Sarebbe un bel regalo nonché evoluzione “istituzionale” de “L’Italia può farcela”.

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    1. Sono anch'io molto perplesso sull'idea di ristampare "Il tramonto dell'euro", non perché non avrebbe successo, ma perché per fare un'operazione intellettualmente onesta come minimo bisognerebbe prendere ogni grafico e ogni tabella e aggiornarli, e ci sarebbe anche da contestualizzare parecchi brani, semplicemente per trasfonderci l'esperienza fatta in otto anni di politica. Non so se il gioco possa valere la candela.

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    2. Assolutamente ristampa!!! La mia copia l'ho prestata anni fa ad un amico che non me la vuole rendere...anche perché non mi ricordo quale amico era e non voglio fare una brutta figura a chiederla all'amico sbagliato. In ogni caso quel libro non credo che andrebbe corretto di una virgola, è una pietra miliare nella comprensione delle problematiche di macroeconomia per lettori profani come me. Era ed è ancora perfetto per il periodo in cui fu scritto e così secondo me dovrebbe rimanere a testimonianza delle follie a cui ci costringono quelli che illegittimamente hanno governato le nostre vite in certi momenti della storia.

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    3. Tanto varrebbe impiegare quel tempo ed intelletto nella stesura di una nuova opera in cui emerga non solo il Prof. ma anche l’onorevole e Pesidente Bagnai (certo, questo è il commento di un felice possessore del sacro testo).

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  10. Già nel 1816 Thomas Jefferson si esprimeva con "And I sincerely believe with you, that banking establishments are more dangerous than standing armies". Nella cultura politica statunitense il concetto sembra essere chiaramente presente.

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  11. Nel pdf si raccomanda la gradualita'... a trump la cosa dev'essere sfuggita di mano oppure sfuggita del tutto (possibile che neanche lui legga le fonti?)

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  12. Mi sovviene un parallelo poco elegante ma tutto sommato penso ci possa stare. Il blocco della flessibilità sui cambi e lo scaricamento sui tassi di nteresse sui debiti pubblici e gli stipendi nazionali, la conseguente generazione di squilibri globali, sono come quando ci convincono a prendere la tachipirina per abbassare la febbre, poi alla fine si rischia la morte per polmonite!!!

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  13. Ma il fatto che i salari reali rallentino molto prima del 1980, rispetto alla produttività (si vede forse meglio nella versione logaritmica del grafico nel post originale) è qualcosa di significativo?

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    1. È stato già spiegato dall'autore del blog.
      Significa che il capitale stava già vincendo contro i salariati ben un decennio prima del crollo del muro di Berlino!

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    2. Appunto. Caro AC, significa che il capitale ha ampliato la quota di profitto e il lavoro ha ridotto la quota di salario. Secondo te è rilevante?

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    3. Mi sa che per essere sintetico non mi sono spiegato. Forse fraintendo il post ma mi pare che il messaggio principale sia che l'indipendenza della banca centrale sia il problema centrale, forse uno degli obiettivi strategici principali che ci si deve porre. Divorzio tesoro/BC: inizio anni '80. Crollo blocco sovietico: fine anni '80. Su questo non mi sembra ci piova e non ho nulla da aggiungere.

      Quello che volevo far notare è che le due curve (salari reali contro produttività) iniziano a divergere molto prima, spannometricamente dagli anni '60 (magari è una mia malattia professionale ma lo vedo più chiaramente nella versione logaritmica, come dicevo). Se c'è una discontinuità ad inizio anni '80, il rallentamento della crescita dei salari reali sembra essere iniziata parecchio prima.

      Magari vedo nel grafico qualcosa che non c'è (nel senso che non ha valore per affidabilità dei dati o chissà cos'altro di cui non ho idea). A costo di suonare polemico, però, mi chiedevo se questa divergenza tra le due serie, che nasce prima del 1980 (quindi prima del 1988) fosse significativa. Significativa nel senso "statistico" (è qualcosa che sta solo nei miei occhi o anche nei dati?) ma significativa anche in senso politico. Che sia significativa per il nostro portafoglio mi pare chiaro. Può suonare come una critica o perfino una polemica contro la tesi del post, sull'importanza del divorzio tesoro/BC. Potrebbe esserlo, ma onestamente non ne ho idea e sto solo cercando di capire.

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    4. Effettivamente le due curve iniziano a divergere negli anni ‘60, ma fino alla fine degli anni ‘70 la curva dei salari continua a crescere seppure meno di quella della produttività (che peraltro si impenna quasi asintotica). Quindi credo che non ci sia nulla che non torni. La Storia si muove attimo per attimo, tempo per tempo, senza salti, e per quanto mi riguarda i ‘60 sono l’inizio della fine, anzi il ‘68 la fine del mondo. Eppure nei lustri successivi il Kapitale sembrava ancora soccombente nei confronti del Lavoro, si pensi alla legge 300/1970, invece a parer mio aveva già perso. O se vuoi stava già perdendo da diversi anni.

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    5. Giusto per chiudere, mi sembra che il post del 28 aprile (e diretta) chiarifichi qualsiasi risvolto interessante potesse avere la mia domanda (e forse il commento di Paolo Giusti più in alto mi dà anche una risposta più diretta, in qualche misura almeno).

      @aquilano non sono molto convinto che la storia (o la natura, se è per quello), non faccia salti, ma lasciamo perdere questo argomento.

      Resto invece tendenzialmente convinto che il grafico del post non sia il mezzo migliore per trasmettere la centralità del problema banca centrale (facile che in realtà non fosse quello il suo scopo, a dire il vero), anche se può essere un'occasione per confermare che nemmeno una banca centrale non indipendente ci riporterà all'età dell'oro (e quello lo sapevo perfino io!). In ogni caso, mi sembra che alla luce delle nuove spiegazioni tutto questo sia in larga misura irrilevante, quindi ringrazio e saluto.

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    6. Scusate, eh! Ma vi rendete conto sì o no che state utilizzando un grafico riferito agli Stati Uniti per commentare un fatto accaduto in Italia? E i dati italiani li avete visti o no? Abbiamo capito che AC è un ingegnere e che è qui da poco e in questo non c’è nulla di male. Dopodiché, qui siamo oltre l’analfabetismo funzionale. Cazzo: io l’ho scritto perché mettevo quel grafico! Per far capire che la stasi dei salari reali era un fenomeno globale che si affermava all’inizio degli anni ‘80.

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    7. Questo fatto non è smentito dal grafico, dove si vede, appunto, che i salari reali si fermano negli anni 80 anche negli Stati Uniti. Il fatto che rallentino un po’ prima nulla cambia al fatto che si fermino lì. Questo puntacazzismo da ingegneri su logaritmo sì, logaritmo no, probabilmente senza neanche sapere che cos’è un logaritmo, sinceramente non ci porta da nessuna parte. I fatti stilizzati sono molto chiari. Chi vuole li legge, chi non vuole li ignora. C’è una letteratura sterminata, tutta citata nei link cui vi rinvio, che è sufficientemente concorde nel datare il fenomeno. Se avete tempo da perdere, invece di fare obiezioni pseudointelligenti su un grafico, approfittatene per leggere un paio di paper. Poi, se anche così non è chiaro che alzare i tassi di interesse è una cosa che fa comodo a chi percepisce gli interessi, e che se si separa chi percepisce gli interessi da chi percepisce i salari il gioco diventa a somma negativa per chi percepisce i salari, allora mi dedico ad altro.

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    8. Pace. Non sono un ingegnere e ho già ammesso la stupidità della mia domanda sopra, alla luce soprattutto di quello che ha detto (o di quello che ho capito) il 28 aprile. Evidentemente gli occhiali che vengono dalla mia personale esperienza non sono quelli giusti. Chiedo scusa per il tempo perso, conterò fino a 1000 invece che solo fino a 100 la prossima volta che mi viene in mente di scrivere.

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    9. Per me puoi anche contare fino a 10. Basta che parliamo delle stesse cose. Passare da un regime di repressione finanziaria a un regime di liberalizzazione indiscriminata dei movimenti di capitale non è come accendere la luce in soggiorno. Non c’è un interruttore. Se si decide di farlo in forma esplicita e democratica è un processo che prende tempo. Per questo noi in Italia abbiamo deciso di farlo in forma non esplicita e non democratica, per stessa ammissione del protagonista di questa vicenda, ma ciò nonostante non è stato come accendere la luce in salotto: anche da noi il processo è restato relativamente graduale, ad esempio, perché la gestione del conto corrente di tesoreria Per un po’ ha fornito un minimo di elasticità. La differenza però si è vista, l’ha vista l’autore di questa riforma, mai passata dal parlamento, l’hanno vista le vittime di questa riforma non passata dal parlamento.

      Detto fra noi, mi aspettavo un altro tipo di domande più o meno trollesche, Quelle appartenenti al ceppo: “ma allora l’euro non c’entra!”.

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    10. [devo rispondere molto rapidamente quindi potrei scrivere strafalcioni]

      Mi faccia girare la cosa perché mi pare di non riuscire a farmi capire (non che sia una novità). Io mi fido profondamente di lei, e di quello che dice, per il semplice fatto che leggo da molto e ho visto realizzarsi sistematicamente più o meno tutto quello che ha detto (purtroppo, aggiungerei). Il mio commento non era un tentativo di suonare intelligente o di insinuare irrilevanti risposte alternative (può credermi o no, è uguale). Semplicemente, guardare serie temporali è stato una delle cose che ho fatto in un'altra vita, e quello che vedevo nel grafico strideva in qualche misura con quello che avevo capito. L'ulterirore elaborazione che ha dato in seguito mi ha mostrato con evidenza che stavo guardando con gli occhi sbagliati, non il grafico, ma la questione nel suo complesso (peraltro, mi era chiaro che la serie si riferiva agli USA ma parlavamo di Italia, ma pensavo che si potesse almeno in qualche misura trarre delle conclusioni analoghe). Se c'è una cosa che odio è perdere e far perdere tempo, per questo mi secca aver deviato il discorso su qualcosa di irrilevante, quindi confermo la conta fino a 1000.

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  14. *** che cosa vogliono fare gli Stati Uniti dell’euro (e quindi dell’Europa)***
    "Chi ha voluto il mezzo ( l' €uro) voleva di sicuro anche il fine ( l' €uropa)", o no ?
    Ora tutto ci dice che siano stati "gli USA", ma datosi che la cosa sembra non gli abbia fatto bene, io propenderei che siano stati gli U$A😎
    Il che , in base al famoso "articolo quinto" , risolverebbe anche la questione del "primato della politica"; "primato " che "prima" pare ci fosse, ma di sicuro è andato perduto da quando la creazione della "moneta" è stata "privatizzata" .
    Che cosa faranno allora gli USA di questa €uropa? E' possibile tutto,ma ( come ci insegna la GerMagna ) " esternalizzare la malattia non cura" e di sicuro gli USA non risolveranno nulla se non risolvono prima il "conflitto di interessi" tra S e $ .

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    1. Appena sopra mi permettevo di ventilare l'ipotesi che proprio questo conflitto fosse intrinsecamente irrisolubile e già rideterminato. Finanza e industria sono un conflitto strutturale, ma lo sono anche col commercio: è un triello.
      D'altro canto, la geopolitica non può essere maltrattata più di un certo segno, altrimenti Leuropa continuerebbe ad avere tutte le sue colonie del nordafrica ad esempio, ma anche del centro e del sud; che poi mica le teneva solo a spremerle come s'usò dire nel dopoguerra; le colonie venivano, come dire: colonizzate, con non trascurabili vantaggi anche per gli indigeni; dopo non è certo andata particolarmente bene per loro. E il sud America, sarebbe poi così sfortunato sol perché si parla spagnolo o portoghese?
      Comunque, mi permetto di rilevare anche che sembra che ultimamente questo blog voglia estendersi a ricoprire l'assenza di orizonte48, che appunto di diritto e geopolitica s'occupava, e non senza profitto. Ora, quindi, il punto è: si torna ai blog, alle piazze virtuali? Si ritiene che queste siano fonte di elevazione per pochi ma buoni, oppure è più meglio, o meglissimo, battibeccare con 4 frasi in croce su altre piattaforme?

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    2. Dal mio punto di vista, che è quello meno di nulla intervenendo in questo blog di cui si è detto che non esiste, dunque sono un nulla al quadrato, si dice anche leone da tastiera e a volte pure troll quando si eccede, ebbene sono più che contentissimoissimo, ovviamente, che qui si torni alla vivacità dei primi tempi, perché, come già detto qualche post fa, ho avuto la netta impressione che la strada sia ancora lunghissima, non scontata, e persino la comprensione delle cose più semplici subisca un affievolimento nel tempo, perché chi non è del mestiere tende a non fissare concetti che in altri restano costanti. Un tempo il popolino discuteva nelle sedi di partito, al comitato di quartiere, o anche in parrocchia; tutto questo non c'è più, e neanche il tempo eventualmente per frequentarli, né facebook, mi pare, può servire per evolvere pensieri, ma non lo frequento e posso sbagliare. Su facebook non posso emettere giudizi di sorta, non so a che serve, se serve, insomma non so nulla, mi pare richiedere interventi troppo stringati per evolvere riflessioni, magari serve per presentare conclusioni, ma che parlo a fare: non lo frequento e ho solo un'impressione generica. Nulla ho da lamentarmi, invece, di questo blog, solo mi sento orfano del blog di Barra Caracciolo, ecco tutto. E disperatamente cerco in giro qualsiasi suo intervento, dovunque lo faccia, sempre per quel fatto che, per chi non è del mestiere, i pensieri si dileguano, ovvero, diciamolo diversamente: siccome la realtà è mutevole, fatti nuovi si accavallano, si fa fatica a riinquadrla nella cornice di una riflessione unitaria.

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  15. Mi perdoni prof. ma non sono riuscito a fare a meno di chiedere a Chatgpt: "che cosa vogliono fare gli Stati Uniti dell’Europa?" 😅

    La risposta però mi sembra interessante:

    Ti propongo una possibile risposta, che si tiene dentro la logica del pezzo che mi hai postato:

    Gli Stati Uniti vogliono che l'Europa rimanga un "vassallo stabile", cioè:

    Debole come potenza economica autonoma, per non competere direttamente con l'industria americana rilanciata da un ciclo inflazionistico e protezionista;

    Forte abbastanza militarmente (e cooptata politicamente) da sostenere lo sforzo di contenimento contro la Cina e, secondariamente, contro la Russia;

    Vincolata ai dogmi della globalizzazione neoliberale (indipendenza della banca centrale, avanzi primari, tassi alti), in modo da non poter sfuggire troppo dall'orbita atlantica.

    Se, come il pezzo sottolinea, gli Stati Uniti decidessero di rinunciare all’indipendenza monetaria per favorire un ciclo di "crescita moderatamente inflattiva" (la famosa "repressione finanziaria" per ripulire i debiti e rilanciare la manifattura), allora:

    Avrebbero interesse a che l'Europa NON facesse lo stesso.

    Se l'Europa rimanesse "incastrata" in una politica monetaria restrittiva (tassi alti, crescita bassa), diverrebbe di fatto un mercato di sbocco passivo per le merci americane, senza diventare un concorrente industriale.

    In altre parole:
    Gli USA vogliono un'Europa stagnante e dipendente, che spenda in armi americane, che sostenga la Nato senza troppe velleità autonomiste (tipo difesa europea comune), e che non si trasformi in un polo geopolitico alternativo.

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    1. Ecco, questo coacervo di luoghi comuni è esattamente quello che non credo succederà, perché è la sintesi di quello che credono tutti. Peraltro, se l'Europa stagnasse non potrebbe essere un mercato di sbocco perché non avrebbe soldi per acquistare i beni Usa. Te lo ha detto ChatGPT?

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  16. Buongiorno. Conoscere ed interpretare la strategia del contesto ( strategie politiche degli altri paesi) dovrebbe essere fondamentale per riuscire a dar forma ad un percorso "nostro" ( della nostra nazione). Aver riguadagnato posizioni di credibilità pur mantenendo un basso profilo mi sembra un'ottima cosa. Ora però sarebbe necessario muoversi dalle intenzioni alle azioni. Sul grande sistema ho fiducia che voi sappiate bene il da farsi e lo statie perseguendo, pur con alti e bassi, e forse non sempre comprensibile ed esternabile. Manca, e ne vivo di questa consapevolezza con un conflitto quotidiano, l'operatività dei singoli ( certo, sto facendo una grossolana approssimazione). Non si vive di sole powerpoint ( o bullshit jobs) qui nella moderna gotham city i negozi mediamente rivendono prodotti cinesi, i mercati rionali sono perlopiù in mano a stranieri nordafricani e sinti, le consegne sono il comparto dei sudamericani. Insomma il lavoro fisico è tutto appaltato ad altri, come una volta i banchi della verdura erano affidati agli immigrati del meridione. Mio suocero immigrato dalla puglia ha lavorato orgogliosamente una vita in Mivar e - ne parlavamo con i parenti nelle feste- andando in pensione a 60 anni! Giuste o sbagliate le cose avvenivano, si viveva e si procedeva. Ora mi sembra tutto molto teorico . Quale messaggio serve per ridare il senso dell'essere operosi oggi? È un problema di salari? Di prospettiva? Di accettazione del rischio? L'eccesso di pianificazione ci rende troppo dipendenti dal possibile risultato e può quindi spegnere le intenzioni prematuramente?

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    1. Ma questo blog lo leggete? Certo che è un problema di salari, e lo ha confermato con quattordici anni di ritardo perfino Draghi. D'altra parte, se nel 2018 er bobolo ha votato in massa per i gatekeeper io che ci posso fare? Quello era un momento rivoluzionario (sprecato). Ora ci tocca avere un po' di pazienza.

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  17. Premesso che l'estrema sintesi comporta necessariamente l'estrema semplificazione, correggetemi se sbaglio a porre questa domanda: perché proprio ora (e per ora intendo almeno dal 2016, primo mandato Trump perché la sua impostazione non è sostanzialmente cambiata) è arrivato il momento del redde rationem "globale"? Quello che più mi colpisce del progetto MAGA è il GA (Great Again) perché se voglio "di nuovo" rendere "grande" il mio paese significa che implicitamente affermo che oggi non lo è più. Ma se gli USA sono universalmente riconosciuti come potenza egemone, se sono la prima potenza militare e atomica del pianeta, se hanno migliaia di basi militari sparse in giro per il globo, se la loro valuta è indispensabile per le transazioni economiche planetarie e per molto altro ancora, perché mai dovrebbe aver perso la sua "grandezza"? Forse perché sono tutte caratteristiche che mal si conciliano in un mutato scenario geopolitico (azz ... ho scritto "geopolitico" spero mi perdonerete) che corre spedito verso la multipolarità? A me sembra infatti che Trump (non solo lui personalmente ovviamente, ma il mondo produttivo che rappresenta) si stia arroccando (l'interesse per Canada, Messico, Panama, Groenlandia e finanche il simbolico "Golfo d'America" ) e fortificando (reshoring molto "spinto") per attrezzare il paese nel nuovo contesto internazionale superando la posizione "egemonica" e consolidando invece la nuova realtà di (primario, of course) attore "polarizzante" in un contesto multipolare.
    Infine credo che in questo scenario ci sarà spazio anche per i "poletti" oltre che per i "poloni".
    E che sia quindi molto lungimirante la filosofia che sta dietro al progetto "Piano Mattei" del nostro governo.
    In buona sostanza ... MIGA!

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    1. Credo ci sia nel vero nella teoria dell'arrocco, dato che in fin dei conti è stato il globalismo spinto ha reso la Cina una potenza equivalente (grazie all'insaziabile fame di soldi dello stesso sistema finanziario USA). Dunque Trumpo potrebbe voler cogliere due piccioni con una fava: consolidare l'economia americana con un consistente rientro di manifattura e fare anche un favore all'elettorato degli "esclusi" dai beneifici della globalizzazione (che è poi quello che l'ha votato).

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  18. Chiedo venia: vedo molti spunti interessanti ma sono inchiodato a una discussione generale di cui poi vi parlerò. Per le repliche aspettatemi questa sera...

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  19. Anche a me dà fastidio che le banche centrali siano indipendenti. Mi chiedo che senso abbia votare se poi una banca centrale può, arbitrariamente, influenzare l’economia in contrasto con la volontà del governo, democraticamente eletto.Oppure, almeno, se proprio vogliono essere indipendenti, che si assumano la responsabilità quando sbagliano! Invece, a sentire la bce, è sempre colpa degli Stati e mai sua. Bello così: agisci senza dar conto a nessuno e non ti assumi neanche una responsabilità! Vorrei anche io fare il banchiere centrale, a queste condizioni…Poi c’è da considerare che le bance centrali influenzano anche i mercati e quindi possono addossare la colpa delle tensioni sui mercati al paese oggetto di queste tensioni, omettendo che loro hanno una grande influenza sui mercati medesimi. È un giochetto tipicamente europeo: quello di dare la colpa agli Stati nazionali anche quando le istituzioni europee sbagliano, sfruttando la labirintica struttura delle istituzioni stesse( che rende facile questo scaricare la colpa)

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    1. Non parlerei di “fastidio“. Il problema è che questo sistema non funziona, non è riuscito a gestire il sistema economico in modo significativamente migliore di quanto lo avessero fatto le politiche discrezionali praticate negli anni 50, 60,70. Ne abbiamo ereditato solo un enorme accumulo di debito pubblico, come spiego nel post successivo. Poi, certo, il fatto che ci siano persone che decidono senza avere alcun tipo di responsabilità patrimoniale, politica, penale, per quello che fanno e per i disastri che combinano può indignare. Ma vale per questi tecnici che sono dei politici il discorso che spesso sento fare per i politici che erano dei politici: Una volta era tutto un Magna Magna, ma almeno magnavamo anche noi. Modo brutale per dire che se una politica ottiene risultati significativi si può anche passare sopra a certi dettagli, ma se fallisce clamorosamente è ovviamente un po’ più difficile farlo.

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  20. Gli USA vivono tante contraddizioni dovute al momento di "fatica imperiale". La contraddizione dovuta dal ruolo del dollaro come valuta di riserva e il loro desiderio di sistemare in parte i conti con l'estero (vedi dibattito Vance vs Powell) e la contraddizione dovuta a come gestire i vassalli. La prima è più interna mentre la seconda è più esterna e quindi, apparentemente, di più facile soluzione. Sappiamo che Obama per quanto riguarda la Grecia temeva che lo sganciamento da EMU comportasse anche il rischio di uno sganciamento NATO. Mi rifiuto di credere che anche questa amministrazione abbia gli stessi timori infondati, soprattutto in questo momento. Mi viene anche impossibile pensare che si siano dimenticati di quando quasi 3 decenni fa scrivevano questo https://macromarketmusings.blogspot.com/2015/07/who-predicted-eurozone-crisis.html di cui alcune testimonianze abbiamo visto anche in questo blog. Per carità, in questo spazio di libertà, si è sempre sottolineato come gli economisti USA fossero stati bravi nella diagnosi ma non nella cura (BCE come la FED) e di come si sia avanti rispetto al resto del mondo nell'analisi ma mi viene impossibile pensare che gli americani non sappiano che se la Germania si sgancia il problema è risolto, mantenendo mercato unico (raccordo ideologico con USA) e NATO (raccordo strategico militare). C'è anche un altro discorso da fare: nell'incontro Meloni-Trump, ad una domanda sulla coalizione degli idioti da mandare in Ucraina, quest'ultimo disse che la decisione sulla partecipazione spetta unicamente all'Italia, fatto che mi colpì (siamo abituati male). Se tanto mi da tanto anche la partecipazione ad EMU spetta unicamente all'Italia e agli altri stati membri (magari con una spruzzatina di soft power) ma sembra veramente difficile aspettarsi imposizioni nette dagli USA anche perché secondo me neppure loro vorrebbero restare con il cerino in mano ed imbarcarsi eventuali costi politici del crollo di 'sta monnezza. Poi sono pragmatici, cosa gliene frega a loro se un dollaro più forte manda a ramengo i paesi del Sud, che ci pensino loro a risolverla una volta con l'acqua alla gola. Si torna sempre al "intanto arrangiamoci da noi e poi vediamo i presunti amici cosa fanno".

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    1. Abbiamo commentato più volte l'articolo di Jonung e Drea. Non sarei così sicuro che la consapevolezza accademica coincida con quella politica o la indirizzi.

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  21. Mi sovviene una considerazione: se i presupposti delle politiche pro-capitale contro lavoro hanno iniziato a materializzarsi prima della caduta del muro (ma ovviamente solo dopo il Nixon shock) sotto forma di "libertà per il sistema bancario (ma senza influenza dei governi) di creare moneta e regolare il tasso di sconto" e "libertà di circolazione dei capitali", non è che con le CDBC, emesse a ledger unificato dalle banche centrali, stan cercando di fare la stessa cosa, aggiungendoci il non trascurabile dettaglio, a favore del capitale ovviamente, della possibilità per chi emette la moneta di decidere in tempo reale la sua spendibilità effettiva? Il passo ulteriore sarebbe rendere conveniente per i cittadini la convertibilità dei risparmi/salari in CDBC e a quel punto, se in tanti passeranno al nuovo sistema, il controllo sull'economia da parte del settore bancario si estenderebbe alla domanda e sarebbe dunque totale. Se già oggi il sistema bancario si prende la libertà di fare debanking di gente scomoda o di impedire certe transazioni con le scuse più varie, figuriamoci cosa potrebbero fare con una valuta di cui possono controllare in tempo reale le regole di spendibilità. In pratica, se davvero si volesse passare alla CBDC, il minimo sindacale sarebbe che almeno le regole di spendibilità delle valute restino appannaggio esclusivo della politica senza che ci metta il becco una banca centrale "indipendente". Il che però richiede, per evitare facili elusioni, che anche tutta l'infrastruttura tecnologica che "programma" le CBDC (ossia il software che scrive in ogni unità di valuta digitale le regole della sua spendibilità e quello che verifica queste regole in sede di utilizzo e scambio della moneta) sia a sua volta strettamente controllato da enti pubbici del tutto estranei al sistema bancario e non certo dalle stesse banche centrali "indipendenti". Forse è complottismo, ma ho la sensazione che su questo versante potremmo avere delle sorprese (non piacevoli) in futuro.

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  22. Ho una domanda che nasce dall'ascolto della diretta di oggi, quindi sempre legata a questo post, e forse stupida (mi perdonerai): se l'amministrazione Trump dovesse effettivamente intaccare il dogma dell'indipendenza della FED (anche solo sostituendo Powell con un soggetto dalla diversa impostazione ideologica) e costringesse, quindi, la BCE ad adeguarsi, cosa accadrebbe in €Z dal punto di vista politico? Ad oggi la baracca si basa su questo assunto per giustificare qualsiasi decisione di politica monetaria. Se è vero che hanno sempre comandato i rapporti di forza, è anche vero che hanno potuto farlo proprio in virtù di una presunta indipendenza. Verrebbe a mancare un fondamento ideologico che esporrebbe definitivamente la mancanza di un soggetto politico coeso (cioè uno Stato) alla base del progetto, quindi... Non so, non riesco a immaginarmi una situazione del genere. Forse non cambierebbe nulla, forse Madame farebbe semplicemente l'interesse di casa sua in maniera ancora più esplicitamente... ma poi? #vienegiùtutto in modo disordinato? Negli USA il problema non si pone, un soggetto politico unitario esiste. Nel nostro caso ho timore finirebbe nella più classica delle maniere e che non servirebbe comunque ad evitare l'esito che sappiamo.

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    1. Si vede che ho scritto sotto il sole, col cellulare... 🤦‍♀️

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    2. Siamo così sicuri che l'euro effettivamente esista ancora?

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  23. Se proprio devo rubare una definizione ai geopolitici, scelgo quella di talassocrazia. La globalizzazione è l'egemonia di una singola potenza navale, capace di tenere aperte le rotte commerciali marittime perché ciò crea effettivamente un singolo mercato. È stato vero per i Romani col Mediterraneo, per l'impero britannico nel XIX secolo e per gli USA nel XX secolo.

    Per me la soluzione dell'arcana questione "quando inizia e quando finisce la globalizzazione" è da ricercarsi nella capacità di esercitare fattivamente un predominio sul commercio marittimo e dunque creare un "mercato unico" globale. L'avvicinamento strategico della Cina agli USA negli anni '70 ed il declino effettivo delle capacità militari "convenzionali" sovietiche sono stati il vero punto di svolta.

    La fine della globalizzazione avverrà se e quando la Cina si prenderà Taiwan e/o gli USA si mostreranno incapaci di tenere aperti canali marittimi strategici quali ad esempio il Mar Rosso/Suez (vedi problema Houthi e Yemen).

    Cosa farsene dell'Europa e dell'euro? Questione complicatissima. Non riesco a indovinare le intenzioni americane a riguardo. Da un lato le istituzioni europee sono un modo efficace per tenere coesi i vassalli europei. Dall'altro lato gli USA sono molto più attenti al rapporto costi/benefici in questa fase. Suppongo che gli USA non abbiano alcun interesse a distruggere attivamente l'eurozona ma, a differenza del passato, oggi non sono disposti a spendersi politicamente e finanziariamente per tenerla in vita a tutti i costi casomai dovesse andare in crisi.

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  24. E' sempre facile criticare chi amministra, soprattutto se non lo si e' mai fatto. Ma per puro esercizio cerco di mettermi nei panni di Powell considerando i due mandati che ha la FED. Massima occupazione possibile, mi sembra ci stia riuscendo. Controllo dell' inflazione ( stabilita' dei prezzi ), anche ( considerando pero' che all' ultima fiammata inflazionistica si e' preso un "po' in ritardo" ). Quindi perche', oggi, rischiare abbassando i tassi. Il problema non e' il dollaro ( se ho capito bene ) ma il renmimbi e l' euro. Quindi la soluzione, a mio avviso, non e' ( o non dovrebbe essere ) intervenire sul dollaro. Ma magari dare un secondo mandato anche alla BCE ( quello sulla massima occupazione nell' eurozona ) cosi' anche a Francoforte capirebbero ( forse ) cosa significa lavorare "in punta di fioretto" ( o, se si vuole, con la classica coperta corta ). E non fare quello che si crede con la moneta e poi scaricare sui governi la patata bollente dell' occupazione. Ad es : cosa avrebbe fatto la BCE se avesse avuto la responsabilita' della massima occupazione quando in Italia Monti, via' austerita', fece impennare la disoccupazione oltre il 10% ?

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    1. Che nostalgia! Erano tanti anni che non sentivo più parlare di #BCEsimileallaFED! La mia intuizione che stia partendo un nuovo ciclo è confermata alla grande!

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    2. Non lo so se la BCE debba essere simile alla FED, perche' non so argomentare se la FED sia un buon modello oppure no. Probabilmente come tutte le cose ha dei pro e dei contro. Credo l' idillio possa essere il legare la BCE politicamente al Tesoro UE ( forse l' Ecofin ? ), ma siccome credo, perche' cio' avvenga, ci vorra' molto tempo passato tranquillamente, o poco tempo passato traumaticamente, un passo in avanti potrebbe essere quello di caricare la BCE del mandato sulla piena occupazione, come la FED. Poi, come sempre, sappiamo che se le nostre nonne avessero avuto le ruote...

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    3. Ah, ma allora ci vuole più Europa! Guarda, non so come dirtelo, ma non so attraverso quale percorso sei capitato proprio nel posto sbagliato. Qui sostenere delle tesi simili ti fa passare per un babbeo. Il perché lo ho argomentato in due best seller e 15 anni di post, quindi scusami se lascio ad altri il compito di spiegartelo. Se invece vuoi sembrare un profondo pensatore esponendo tesi simili, hai una scelta amplissima: tutti gli altri media (social o meno). Qui no! Devo comunque darti una menzione di onore alla surrealtà: se il primo che sento dire che la BCE dovrebbe sostenere un tesoro europeo (che non esiste perché non può esistere). Complimenti! Il Foglio andrebbe a nozze con un editoriale simile!

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    4. Uno dei temi del post e' la possibile evoluzione della BCE e ho proposto uno scenario, ed immaginare non significa auspicare. Se volessi piu' europa voterei centro sinistra e non, da sempre, centro destra. Capisco che il sarcasmo sulla parola idillio non e' passato. E' sicuro che nei commenti, a volte, non parta prevenuto, vittima di un riflesso pavloviano ( no ironia ) ?

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  25. Buona sera Bagnai, una questio...
    Oggi ha parlato degli Usa... Se non erro ha affermato che la disoccupazione è al 4%... Posso intuire che il suo interrogativo sia: come è possibile portare tutta la produzione estera in patria con una disoccupazione così bassa?
    Esistono studi su ciò? Teoricamente allora anche in Italia dovremmo comunque dipendere dalla Cina o Bangladesh per i nostri consumi totali, cioè è impossibile rendere molto minori le nostre importazioni dalla Cina poiché non avremmo la forza lavoro per compensare internamente? O si? E come si faceva negli anni 70 ad esempio senza tutti questi produttori esteri? Dovremmo cambiare il modello consumistico Amazon style?
    Grazie

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  26. Mi permetto di sottolineare l'importanza storica di Chimerica ( Niall Fegruson: https://en.wikipedia.org/wiki/Chimerica ).

    Fu la vittoria congiunta del capitale americano e di quello cinese sulle proprie classi subordinate. La leadership cinese afferma di averlo fatto per perseguire il "sogno del grande ringiovanimento della nazione cinese" (Xi Jinping pensiero, ora costituzionalizzato in Cina: https://it.wikipedia.org/wiki/Sogno_cinese). I buonissimi e responsabilissimi americani lo hanno ovviamente fatto per esportare democrazia (qui un video di Bill : https://www.youtube.com/watch?v=HupI1TKN-aM ) .

    Nelle fronde dell' albero piantato da Henry, tra due agende imperiali, sbocciò il fiore maleodorante del grande arbitraggio sul costo del lavoro e sull'ambiente. Partirono in quarta la grande esportazione di risparmio cinese verso la macchina di consumo americana, la repressione salariale sia in USA (con la disoccupazione) che in Cina (con lo schiavismo industriale), la grande integrazione in un unico modello economico e sociale basato sulla frammentazione reale e sulla integrazione finanziaria. SSS (Stupid Surplus States) che finanziano e forniscono il SDS (Smart Deficit State) rendendo la sua valuta irrinunciabile e quindi strumento di dominio globale.

    Se quel modello va in crisi perché il SDS si sente irritato dai SSS, e forse anche perché SSS cinese - a differenza del suo cugino teutonico - si è stufato della prima "S", allora abbiamo un GREAT problema. Uscire dall'impasse evitando una crisi finanziaria e/o militare ingestibile potrebbe implicare l'esigenza di monetizzare a go-go negli USA, inflazione o non inflazione.

    L'attacco mediatico di Trump alla indipendenzaaaaah della FED (qui: https://www.youtube.com/watch?v=pOxtASoqmq8 ) è la vera notizia dell'anno (per ora).


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    1. Sì, questo discorso torna, non c'è dubbio. Diciamo che questo fattore, e quello che articolo nel post successivo, spiegano che qualcosa nella nostra governance dovrà cambiare: non possiamo più permetterci il giochino delle Banche centrali che sgambettano il Tesoro per difendere la rendita. La supremazia militare si gioca sulla produzione di portaerei (con tecnologia propria), non di yacht.

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    2. Chi intermedia le enormi masse finanziarie mobili connaturate al “modello SSS-SDS” vuole restare ricco. Quindi è logico che tuteli banche centrali le quali assicurano rendimenti finanziari reali positivi. Si può vedere come un rabbocco finanziario dello sfruttamento reale. O anche come un meccanismo atto ad assicurare la “sostenibile” crescita di un debito nel quale viene investito il plusvalore estratto dalle masse subordinate per poi canalizzarlo nei consumi del SDS.
      Una dinamica complessa atta a generare enormi sovra profitti, all’interno della quale diventa difficile distinguere le cause dagli effetti. Il che se vogliamo “spiega” L’ossessione del moderno capitale per la destrutturazione woke dei rapporti sociali: Non solo rende più facile lo sfruttamento dei deboli togliendo tutele e presidi; ma anche rende più facile far accettare una narrativa globale basata sui pregi della fluidità e delle “ambivalenze” in senso ampio.

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  27. A proposito di "dove vanno gli U$A" ci potrebbe spiegare questo ?
    https://www.bea.gov/data/intl-trade-investment/international-investment-position
    E soprattutto la sua incredibile recente dinamica ?

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    1. Ma scusa, caro il mio passante, che cosa c'è di incredibile nel fatto che un Paese che ha un deficit con l'estero abbia un debito estero?

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    2. " L' incredibile " sta nella "dinamica" .
      Come si fa a incrementare il NIIP di ben 10000 miliardi in un solo anno con "solo" 1200MLD di deficit commerciale ?

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  28. Bboni, carma! Siete troppi! Perché non vi distraete andando a leggere il post successivo, così io intanto mi leggo quello che avete scritto qui?

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    1. Perche' son tre volte che leggo il post, mi vengono in mente sempre nuovi spunti e reminiscenze di miei vecchi pensieri, tasselli che ogni volta riesco a esprimere meglio. Poi passero' al successivo. Sono anni che leggendo questo blog prendono il posto giusto particolari che notavo, non accettando l'ordine che altri mi davano e che mai tornava. Qui torna tutto e, volendo, suonano complementari anche le parole dei geopolitici, non tutti sia chiaro.

      A uso dei geopolitici talassocratici, se non sbaglio Trump ha dichiarato di voler costruire ancor piu' navi e fatto accordi con cantieri, purtroppo, francesi.

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  29. Che Trump non sia "uno di noi" è molto chiaro, come è chiaro che una alleanza tattica con lui in questo momento ci sia utile. Detto questo, uno scenario da prendere in considerazione è quello in cui Trump potrebbe barattare l'indipendenza della FED con la fine dell'euro, in modo da rimettere in riga la Germania e doversi occupare "solo" della Cina. Ovviamente quello che ho prospetto è uno scenario alternativo e di compromesso e forse poco probabile.

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    1. Non posso che ripetere che questo per me è un grande mistero. Da una parte mi sembra che Charlie Brown o altri affermino che per resistere alla Cina gli Stati Uniti hanno bisogno di una Europa non completamente disintegrata. Dall’altra, mi ricordo che Giandomenico Majone mi spiegava che per gli americani l’Europa sostanzialmente già non esiste, dal che suppongo si dovesse dedurre Che per loro l’euro sono fatti nostri, e se ci causano problemi la cosa non li scalda più di tanto.

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    2. Molto difficile capire quindi cosa pensare.

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  30. Ripensando a cosa avrebbero in comune Obama e Trump...la FED come intralcio e non come volano di sviluppo economico!

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  31. Se posso ho un dubbio, ma se la Bce aumentasse i tassi almeno inizialmente l' euro si rafforzerebbe e quindi farebbe diminuire anche le esportazioni verso gli Usa quindi il problema rimarrebbe a casa nostra anche se poi successivamente con la probabile recessione la Bce dovrà prima o poi effettuare una politica monetaria espansiva (anche se nel suo mandato c'è solo il controllo dell'inflazione) che potrebbe portare a una debolezza dell'euro e quindi un aumento delle esportazioni ma anche una aumento della domanda e quindi delle importazioni se l'economia si riprendesse. In conclusione, ma non so se sbaglio, se la Fed fosse meno indipendente come vuole Trump forse l' Ue con le sue attuali regole (assurde) non comporterà grandi squilibri commerciali agli Usa. Cosa ne pensa o sto dicendo cavolate? Grazie

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  32. Ho studiato economia (Borghi é stato mio professore alla Cattolica - ho preso 29 per un errore stupido) ma non sono un economista. Sin dai tempi dell’università mi colpiva questo “curioso” vizio della Storia di ripetersi in modo sinistramente meccanico nel connubio crisi economica-guerra. Crisi economica - rivoluzione francese, grande depressione - prima guerra mondiale, 1929- seconda guerra mondiale, e chissà quante prima. Era il 2008e pensavo “speriamo bene…” ed eccoci qui, sempre a sperare.
    Provo a dare una chiave di lettura “parallela”: e se la strategia USA fosse più “semplicemente” militare? Guerre in Afghanistan e Iraq vanno malino, in Siria male, in Ucraina peggio. Forse che lo zio, in fin dei conti, voglia solo riportare in patria le catene di produzioni militari, dopo le scoppole prese? Gli americani non sono filosofi (si sono fermati a Hume e a loro va bene così). La loro priorità è militare, che in fondo pensino: “il modello precedente mi sta indebolendo, devo cambiare (o aggiustare) l’approccio per poter tornare ad essere forte”
    Che ne pensa?

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    1. Ma sì, certo che gli Stati Uniti vogliono rimpatriare le catene di produzione militari, mica possono andare avanti con navi in cui ci sono dei pezzi cinesi! A parte che mi sembra di averlo anche detto, se ne è parlato nel seminario, ma soprattutto non capisco in che cosa quello che dico contraddice questa Impostazione e questa esigenza. Tra l’altro, e qui si potrebbe ragionare se questa sia economia o geopolitica, è chiaro che chi ragiona in termini puramente economicisti su questa volontà di Trump di rimpatriare le catene del valore commette un errore. Trump è disposto anche a pagare dei costi, possiamo supporre, Per un obiettivo come quello di riprendere il controllo della tecnologia militare.

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