giovedì 17 aprile 2025

Come si fa a far scendere i salari?

Questa domanda me la son sentita fare alla fine dell'ultima lezione tenuta alla Scuola di Formazione Politica della Lega, ma prima ancora me la sono sentita porre dai più disparati interlocutori cui risultava difficile capire, o, nel caso fossero piddini, ammettere, che l'aggiustamento macroeconomico in una unione monetaria avviene a spese dei salari nominali.

L'obiezione cretina dell'average Joe piddino è: "Ma i salari nominali contrattuali non sono scesi! Quindi caro Bagnai stai mentendo: tutt'al più potrai dire che c'è stato un aggiustamento dei salari reali, cioè che i lavoratori non sono riusciti a recuperare tutta la perdita del potere d'acquisto dovuta all'inflazione, ma una diminuzione dei salari nominali è impossibile!"

Strano però che dai dati risulti:


come vi ho mostrato qui. Come si spiega questo apparente paradosso, cioè il fatto che i sindacati non abbiano esplicitamente negoziato degli accordi salariali al ribasso, ma i salari nominali siano ugualmente scesi? Spiegarlo in effetti non è difficile, e lo facemmo a suo tempo qui, cioè in un post di questo blog scritto nel mese evidenziato in questo grafico:


La soluzione dell'arcano è immediata: i salari si fanno scendere con la disoccupazione.

Al piddino, essere autocentrato e quanto mai privo di empatia, questo dettaglio sfugge, ma a voi non sfuggirà. Il taglio dei salari nominali ovviamente non si verifica con il datore di lavoro che entra in azienda e ti dice: "Ho una brutta notizia per te: da domani ti pago di meno!". No. Funziona in un modo diverso: il datore di lavoro entra in azienda e dice: "Ho una brutta notizia per te: da domani te ne vai!"

In pratica non fa nemmeno esattamente così, ma insomma il risultato è comunque che tu te ne vai: e quando sei in mezzo a una strada, quando non guadagni nulla, è sufficientemente ovvio che per rientrare nel mercato del lavoro accetterai anche una mansione o comunque una paga più bassa. Ripeto: non è una grande novità. Gli economisti la chiamano curva di Phillips, qui ce ne siamo occupati svariate volte, soprattutto per contestare la bislacca teoria della Giovanna d'Arco della MMT secondo cui questa relazione non sarebbe esistita (ma le sfuggiva un dettaglio).

Mi è tornata in mente questa storia (e questa domanda) in relazione a uno scambio in calce al post precedente:


Come mai in Spagna la dinamica del costo del lavoro è così sostenuta, nonostante che la disoccupazione sia così alta?

Basta prendere i dati: quelli della disoccupazione sono qui e quelli del costo del lavoro sono qui (nota bene: ho scelto dal database Eurostat le stesse definizioni di disoccupazione e costo del lavoro utilizzate dalla procedura per gli squilibri macroeconomici).

In Spagna le cose stanno così:


La relazione inversa fra variazione del salari e tasso di disoccupazione, W = f(U), è ben evidente, ma è spostata molto a destra, il che significa che occorre un tasso di disoccupazione veramente molto alto, attorno al 20%, perché i salari accennino a flettersi (cioè perché il loro tasso di variazione diventi negativo, scenda sotto l'asse delle ascisse). Ci sta quindi benissimo che con una disoccupazione al 10% il tasso di crescita del costo del lavoro (nominale) sia attorno al 12%.

Vi risparmio (e quindi, nel caso ne siate al corrente, risparmiatemi) le infinite seghe mentali econometriche su come stimare o non stimare questa relazione: la prendiamo qui come mera sintesi descrittiva di dinamiche che certo non sono né lineari né bidimensionali, ma a ogni giorno basta la sua pena, e un R quadro del 61% ci dà sufficienti garanzie del fatto che il modello, pur nella sua semplicità, qualcosa del mondo ce lo sta raccontando.

Ma da noi le cose come stanno?

Stanno così:


La nostra curva di Phillips è spostata molto più a sinistra, il che comporta che già per tassi di disoccupazione attorno al 12% si possono avere tassi di variazione del costo del lavoro nominale negativi.

A cosa sono dovute queste differenze strutturali così marcate? A tanti fattori sociologici e economici, a partire, naturalmente, dalle istituzioni che regolano il mercato del lavoro. A dire il vero, gli indicatori OCSE sulla rigidità delle norme a protezione dei lavoratori sembrerebbero indicare maggiori tutele nel caso dell'Italia:

In teoria questo comporterebbe che i lavoratori italiani sarebbero in condizioni di resistere maggiormente alle pressioni al ribasso sui loro salari, e quindi che occorrerebbe un tasso di disoccupazione più elevato per farli cedere. Tuttavia, abbiamo imparato qui quanto possiamo fidarci dell'OCSE, e quindi non siamo poi così tanto stupiti che i dati indichino l'esatto contrario!

Una dotta disamina dell'effetto delle riforme "strutturali" sul mercato del lavoro spagnolo la trovate qui a cura dei nostri amici del Fmi, ma sinceramente dei casi altrui potevo occuparmene quando ero un docente universitario: ora che sono un parlamentare devo occuparmi dei casi vostri. Se qualcuno ha voglia di leggersela con l'intelligenza artificiale e di raccontarci in che modo "Carlo is correct!" si arrampica sugli specchi ben venga.

Intanto, riassumendo, mi avete chiesto un approfondimento e ve l'ho dato: non è strano che il cruscotto della MIP indichi in Spagna un tasso di disoccupazione e un tasso di crescita dei salari entrambi piuttosto elevati rispetto agli standard italiani: significa semplicemente che la curva di Phillips spagnola è più in alto di quella italiana.

Sul perché lo sia magari torniamo un'altra volta, o lo scopriremo dalla discussione che seguirà...

28 commenti:

  1. Mi verrebbe da pensare come possibile spiegazione a una maggiore presenza di lavoro nero in Spagna, ma ChatGPT (non mi banni!) mi fa sapere che in Italia siamo a livelli simili di nero, se non addirittura un po' superiori. Tuttavia dice anche che l'economia sommersa in Spagna è 17% vs Italia 10%. Potrebbe essere la maggior presenza di economia sommersa a spiegare la differenza nelle curve?

    Post Scriptum e Off Topic: "La ringrazio Dottoressa soprattutto per avermi rassicurato sul fatto che non ha costi fare questa comunicazione che ha l'evidente scopo di, diciamo, provocare un beneficio reputazionale nei riguardi di istituzioni cui va tutto il nostro rispetto e quindi altresì non avrà costo, eventualmente ci fosse un dispositivo legislativo, aggiungere altre due righe che permettano di contestualizzare le informazioni che vengono date".

    Ho goduto abbastanza. Grazie.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lei oggettivamente è stata brava, sotto diversi profili.

      Elimina
    2. Il problema è che è difficile calcolare l’economia sommersa per cui non si può, con assoluta certezza, citare questo dato per spiegare la differenza nelle curve. Ciò non significa che la tua ipotesi sia sbagliata ma che è molto difficile da dimostrare. È sempre preferibile far riferimento a indicatori facilmente misurabili mentre l’economia sommersa è un indicatore che si calcola con molta approssimazione.

      Elimina
  2. Il centro ( cioè il punto di zero-zero della "curva di Phillips che è una derivata ) segnala solo il punto di resistenza dei "redditi salariali" laddove cioè "perdere il lavoro" obbliga ad accettarne uno peggio pagato; e per me non c' è dubbio che ne l' Italia degli anni '90 questo punto fosse "più a destra" come in Spagna ancora oggi , mentre oggi in Italia sta "più a sinistra" , grazie a tanti governi "di sinistra"....che facevano "politiche di destra"
    Questo tanto per dire che un basso tasso di disoccupazione in se non è ipso facto un indice di salute del "salariato" ; si può infatti anche avere un "classico " delle società " schiavistiche ": bassi tassi di disoccupazione e bassi salari 😎

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Perché , la "variazione del salari e tasso di disoccupazione, W = f(U) " qui sopra, non esprime la funzione S'(U) cioè la derivata del Salario S con il tasso di disoccupazione qui chiamato U?
      Ma allora che altro rappresenta ? Di sicuro non S(U).

      Elimina
    2. No, non lo è. La derivata descrive la pendenza di una curva (in uno spazio bidimensionale). Qua stiamo “solo” osservando la variazione dei salari nominali rispetto al tasso di disoccupazione. Non abbiamo una funzione che lega salari nominali e tasso di disoccupazione da cui poter calcolare la derivata e quindi descriverne l’andamento su un grafico (u, f’(u)). Sulle ordinate hai deltaW/W, non dW/du in funzione di u.

      Elimina
  3. Da somaro qual sono faccio di testa mia, non chiedo a nessuna AI e mi chiedo mess(t)amente se non c'entri di nuovo il piu grande successo di colui che avrebbe abbandonato la politica dopo aver perso il suo Referendum: l'art. 18.

    RispondiElimina
  4. Da lavoratore turnista oramai trentennale per una grande azienda aggiungo anche che al Piddino in realtà sfugge che, pur se la voce stipendio rimane invariata o formalmente cresce ad ogni rinnovo di contratto di pochi euro, diminuiscono (e di molto, piu della voce stipendio) tutte le voci accessorie che compongono la busta paga: eventuali gratifiche aziendali, scatti biennali aboliti, ore serali non piu considerate notturne o disagiate , festivi lavorati pagati meno rispetto anni fa. Alla fin della fiera io che lavoro ininterrottamente da 30 anni ho subito una diminuzione netta in busta paga di circa 200 euro mensili in questo tempo pur con una voce "stipendio" aumentata dello stesso valore

    RispondiElimina
  5. Ma quel valore che misura le retribuzioni lorde procapite che, nel grafico parte da 4500 e arriva a 7500 esattamente cosa misura? Come retribuzione mensile è troppo alta ed è troppo bassa per essere annuale. Credo che mi sfugga qualcosa di molto importante. Chiedo scusa se la domanda è stupida.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi rispondo da solo: sono i dati trimestrali. Richiedo scusa.

      Elimina
  6. non so, si dovrebbero studiare meglio il fenomeno degli stagionali, soprattutto quelli ricorsivi, nei due paesi, in rapporto al numero di occupati e alla busta paga; in linea generale mi sembra che la stagionalità sia più lunga in spagna con una remunerazione più alta di quella degli italiani e una periodicità più marcata (vengono richiamati sempre gli stessi), però da qui a muovere la curva di Phillips ce ne passa. Sempre che gli stagionali siano considerati (o no) come occupati in egual modo nei due paesi

    RispondiElimina
  7. La partita del centristi in italia si gioca qui. (come i Marattin-Boldrin-Forchielli-Calenda): anche con l'euro i salari si possono sbloccare-aumentare... basta innovare... mah.

    RispondiElimina
  8. Ho chiesto a Ciap Gipiti di fare un deep search. Mi ha dato questo output (sintetizzato - sempre da Ciap - su mia richiesta):

    1. Slack e Partecipazione al Lavoro:
    In Italia, la bassa partecipazione al lavoro, soprattutto di donne e anziani, nasconde una parte rilevante di slack, rendendo meno sensibile l’inflazione alla disoccupazione. In Spagna, la partecipazione è più alta e il calo della disoccupazione si traduce più direttamente in pressioni salariali, rendendo la curva di Phillips più inclinata.

    2. Cicli Occupazionali:
    Il mercato del lavoro spagnolo è molto volatile per l’alta presenza di contratti temporanei, con disoccupazione che cala rapidamente nei periodi di ripresa, generando tensioni inflazionistiche. In Italia, l’aggiustamento è più lento e le forti disparità regionali attenuano la pressione complessiva sul mercato del lavoro, appiattendo la curva.

    3. Meccanismi di Determinazione dei Salari:
    La Spagna ha aumentato significativamente il salario minimo e prevede frequenti adeguamenti salariali legati all’inflazione, favorendo la trasmissione tra occupazione e prezzi. In Italia, l’assenza di un salario minimo legale e la prudenza nei rinnovi contrattuali frenano i salari, rendendo la curva di Phillips più piatta.

    4. Fattori Inflazionistici Interni vs. Esterni:
    L’inflazione spagnola è guidata da fattori interni come turismo, servizi e aumenti dei margini, rendendola più sensibile alla domanda e alla disoccupazione. In Italia, l’inflazione è stata in gran parte importata (energia, colli di bottiglia) e meno legata alla dinamica occupazionale interna, appiattendo la curva.

    Aveva anche addotto l'icommers ma ho lasciato perdere per amor di concretezza. Ho lasciato 3 anche se mi sembra un po' sospetto.





    RispondiElimina
  9. Il fatto che la curva di Phillips in Spagna sia più a destra potrebbe essere stato uno degli effetti collaterali dell'aver dovuto utilizzare la leva dell'occupazione (e a cascata del salario) anziché quella del tasso di cambio per aggiustare gli squilibri interni nel contesto di una unione monetaria? Se non ricordo male, dovrebbe esistere una teoria economica in questo senso che si fonda sul concetto di isteresi (che credo sia un termine preso a prestito dalla fisica) e secondo la quale quando in un Paese il tasso di disoccupazione rimane per lungo tempo su livelli "alti" ecco che a quel punto anche quello che viene considerato il tasso di disoccupazione "naturale" finisce per assestarsi su un livello permanentemente più alto di prima, quando la disoccupazione era più bassa, e quindi successive diminuzioni del tasso di disoccupazione incidono sul tasso di crescita dei salari e dell'inflazione, sebbene la disoccupazione possa rimanere elevata in termini assoluti.
    Mi rendo conto che questa ipotesi si collega a concetti quali il PIL potenziale, l'output gap e il tasso di disoccupazione naturale (quello che viene anche chiamato NAWRU o NAIRU) che sono stati spesso dibattuti (anche riguardo le regole fiscali dell'eurozona, che li hanno fatti propri) e sulla cui fondatezza si è spesso discusso, però l'idea che un mercato del lavoro fortemente scosso da politiche di svalutazione interna (in Spagna il tasso di disoccupazione è stato per 10 anni circa sopra il 15%, con un massimo intorno al 25% e lunghe fasi intorno al 20%) possa aver anche cambiato le aspettative e le pretese di datori di lavoro e lavoratori sul mercato del lavoro potrebbe non essere così campata per aria.

    RispondiElimina
  10. Grazie per questo approfondimento su curva di Phillips Italia/Spagna.

    RispondiElimina
  11. C'è da dire che i salari sono scesi di molto quando esisteva il bellissimo sistema dei voucher, stage, tirocinio ecc. Se non erro di renziana memoria... Comunque era 2016 pregiallo verde... Con 700€ prendevano giovani e gli dicevano, ti formiamo!, salvo poi sottopagare per mesi... Altra cosa gli stipendi dei contratti nazionali sono stati effettivamente fermi.. se non per 20/30€ lordi per anni... Non si può dire che "sono cresciuti" tecnicamente si... Ma in pratica che sono 30 lordi??? Sono cresciuti per fortuna post COVID e con inflazione/guerra, ma negli anni passati sono stati per un decennio a 1400/1500 (di media)... Altra cosa se si vuole aumentare i salari appunto nel taglio tasse non si può avere come obiettivo 30€ euro lordi... È vero che i lavoratori sono tanti... Ma ricordo che è anche vero che con la storia degli 800 miliardi chi ci crede più??? Almeno se si ha la memoria che arrivi fino alla prossima legge di bilancio haha aggiungo che se si vuole aumentare salari c'è anche contratto metalmeccanici fermo da giugno 2024, e un tavolo al ministero sarebbe opportuno dato che le parti hanno fatto un po' il libro dei sogni...

    RispondiElimina
  12. «La soluzione dell'arcano è immediata: i salari si fanno scendere con la disoccupazione.»

    o con il suo spettro, parafrasando Marx:

    «Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro della disoccupazione o, a capitalista piacendo, quello della crisi.»

    Detto altrimenti, è il livello di precarietà del lavoro che spinge i salari verso il basso, non necessariamente la consapevolezza di quanti disoccupati vi siano nel proprio settore d'impiego.


    Se riesce a far partecipare Sergio Bologna al prossimo goofy, questo è un tema d'approfondimento al quale sarei interessato.

    RispondiElimina
  13. Ho pensato a chi dice che i dipendenti pubblici non sono di fatto licenziabili, dunque il meccanismo dell'abbassamento generalizzato dei salari in quel caso sarebbe inceppato. So che molti non amano la categoria e forse è vero, ma come nota pratica si può ricordare che in Italia, già nella manovra finanziaria del 1994 il governo Ciampi congelò gli effetti dei nuovi contratti per il pubblico impiego, rimandandoli all’anno successivo, con un risparmio di circa 5.000 miliardi di lire dell'epoca. Poi ci fu la vicenda della sospensione della procedura di rinnovo dei contratti collettivi per il pubblico impiego, avviata nel 2010 (governo Berlusconi) e reiterata dai successivi governi Monti e Letta, poi dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 178/2015. La stessa sentenza impedì il recupero delle somme pregresse non riconoscendo alla stessa effetti retroattivi, cosa che consentì al governo Renzi in carica di risparmiare 35 miliardi di euro. A tanto ammontò, grosso modo, il taglio dei salari inflitto ai dipendenti dello Stato nei sei anni di sospensione, in pratica. Il rinnovo dei contratti riprese durante il governo Renzi con l’accordo del 30 novembre 2016 per il triennio 2016-2018, che concesse sì una una-tantum per il pregresso, ma molto lontana dalla cifra sottratta.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il meccanismo è lo stesso, solo che opera in modo un pochino più lento. Il blocco del turnover è di fatto un licenziamento massivo, e quando poi ci si rende conto di essere andati oltre e si cerca di reintegrare i ranghi si offrono delle retribuzioni che non attirano nessuno, per cui i “capaci e meritevoli” se ne vanno verso il Mercato e lo Stato resta indifeso.

      Elimina
    2. «i “capaci e meritevoli” se ne vanno verso il Mercato e lo Stato resta indifeso»
      Questo in teoria, visto che l'alternativa è il mercato del lavoro, ossia il precariato e mi pare - se non erro - che sulla misallocation dei fattori produttivi (i.e. dei lavoratori) sia già stato discusso qui ed altrove. Il che coinvolge sia gli statali (od ex-statali) a dover competere in un mercato del lavoro precarizzato. Insomma: la strategia del padronato è sempre la medesima: contrapporre i lavoratori, almeno questa è stata la mia incidentale esperienza lavorativa da P.I., che ovviamente può considerarsi opinabile, ma tale è stata. Sul fatto che lo Stato sia da considerarsi indifeso o partecipe di tale precarizzazione, preferisco non pronunziarmi, avendo più volte dovuto confrontarmi, per farmi rinnovare il contratto annuale - quando andava bene - con i responsabili acquisti di qualche società non statale ed avendone saggiato la filosofia più attenta al MOL (i.e. a ridurre drasticamente il costo del lavoro) che alla produttività. Detto per inciso: io provengo da famiglia che mi ha inculcato l'etica del lavoro, disgraziatamente ho appreso che esiste anche un'etica dello sfruttamento.

      Elimina
    3. Capisco questo punto di vista e non pretendo che si capisca il mio. Perché mai uno dovrebbe fare l’AD o il dirigente di un’azienda pubblica, o il capo dipartimento di un ministero, quando per posizioni che richiedono competenze e responsabilità analoghe o inferiori il privato paga dieci volte tanto? Vedrai che quando andrà a esaurimento la generazione che ha avuto un minimo di educazione civica i risultari ti sarà improvvisamente più chiaro che cosa intendo dire.

      Elimina
    4. «Vedrai che quando andrà a esaurimento la generazione che ha avuto un minimo di educazione civica i risultari ti sarà improvvisamente più chiaro che cosa intendo dire.»


      Lo spero, ma sa, inizio ad avere un'età in cui non si sa se si vedrà l'alba del domani. Poi, magari, campo sino a 120 anni, il che porrebbe un altro problema: sarò in grado di comprendere ancora qualcosa o mi ritroverò affetto da Alzheimer?

      Elimina
  14. Grazie intanto Professore per l'approfondimento di grande interesse.
    Sulle cause di questa divergenza tra Spagna e Italia le prime riflessioni che mi vengono in mente sono legate agli ammortizzatori sociali ed eventuali redditi di cittadinanza / inclusione oltre che ad un maggior tasso di lavoro nero. Avrebbe senso (ma onestamente non so se sia realmente così) che, un Paese in cui pur in presenza di alta disoccupazione i "salariati" mantengono un certo livello di potere negoziale, che questi percepiscano un reddito pur non figurando tra gli occupati. Quindi o economia sommersa/ lavoro nero o sussidi generosi o entrambi. Però sono supposizioni, perché sono difficilmente confrontabili i due sistemi legislativi con riferimento al tema ammortizzatori sociali (parlo per me ovviamente).
    Dalle conoscenze dirette che ho (amici / conoscenti), però, non mi risulta che in Spagna sia più difficile licenziare che in Italia, anzi. Le botte che ci ha dato il decennio piddino austero, le han prese pure loro; si aggiunga che il forte peso del turismo e dei servizi non li aiuta su questo. Non voglio dire inesattezze ma penso che abbiano un qualcosa di simile al Job Act, della serie ti licenzio con indennizzo commisurato agli anni di lavoro.
    Infine mi chiedo: ma siamo sicuri che sia un bene ? Intendo una curva di Philips spostata a "destra". Concettualmente in un mondo in cui ha vinto il capitale e per di più in un sistema di cambi fissi, questo comporta che devi lasciare sul campo più morti per raggiungere l'obiettivo che comunque dovrà essere raggiunto.
    Ad ogni modo trovo surreale (ma solo sulla carta, in realtà è solo l'ennesima conferma) che la sinistra italiana abbia preso a modello il sistema economico di un paese pieno di disoccupati. Come dice Lei Professore, ormai sono un legno storto e la loro dimensione dialettica è l'autogol e sono sempre in contraddizione logica.

    RispondiElimina
  15. Egregio Onorevole,

    riporto nel seguito alcuni dati WB per cercare di inquadrare le differenze tra Italia e Spagna.

    Tasso di disoccupazione:
    https://data.worldbank.org/indicator/SL.UEM.TOTL.NE.ZS?locations=ES-IT
    La Spagna ha un più alto tasso di disoccupazione rispetto all'Italia.

    Tasso di partecipazione al lavoro:
    https://data.worldbank.org/indicator/SL.TLF.CACT.NE.ZS?locations=ES-IT
    Il tasso di partecipazione al lavoro della Spagna è più alto dell'8% rispetto all'Italia. Significa che, a parità di popolazione in età lavorativa, gli spagnoli lavorano o cercano lavoro più degli italiani.

    Tasso di occupazione:
    https://data.worldbank.org/indicator/SL.EMP.TOTL.SP.NE.ZS?locations=ES-IT
    Il tasso di occupazione della Spagna è più alto del 5% rispetto all'Italia. Significa che, in proporzione alla popolazione, lavorano più persone.

    Rapporto tra popolazione in età non lavorativa e popolazione totale:
    https://data.worldbank.org/indicator/SP.POP.DPND?locations=ES-IT
    La Spagna ha un rapporto più basso del 6% rispetto all'Italia. Ciò significa che vi sono più persone in età lavorativa, rispetto alla popolazione totale.

    In sintesi, in Spagna il tasso di occupazione è più alto che in Italia e ciò è dovuto agli effetti demografici, ovvero alla percentuale di popolazione in età lavorativa, che è maggiore. Il fatto che il tasso di disoccupazione sia superiore all'Italia è legato al fatto che più persone cercano effettivamente lavoro e ciò lo si evince dal tasso di partecipazione al lavoro, che è maggiore.

    Un saluto,
    Fabio

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Fabio, sono dati interessanti però a mio avviso c'entrano poco con il motivo del post ossia sul perchè sale il costo del lavoro in presenza di alta disoccupazione.
      In realtà, a mio modesto parere, il fatto che in Spagna ci sia un tasso di partecipazione più alto aumenta anche in valore assoluto il numero di persone che cerca e dunque offre il proprio lavoro. Se stiamo, dunque, al normale funzionamento di domanda ed offerta questo dovrebbe agevolare e non ostacolare il Capitale a trovare lavoro a buon mercato.
      In sostanza ci stiamo dicendo che il rapporto è alto (tasso di disoccupazione), pur in presenza di un denominatore più "alto"; questo implica che il numeratore è notevole e dunque dovrebbe favorire l'abbassamento dei salari non un aumento del costo del lavoro che si riscontra nei numeri. Penso, dunque, che il motivo di questa anomalia sia legato più alle caratteristiche della curva di Phillips esposte dal Professore.
      Un caro saluto,
      Giuseppe

      Elimina
    2. L'OECD, anno 2024, dà per la Spagna un tasso di occupazione (età 15-64) del 3.6% maggiore che per l'Italia. La differenza è dovuta quasi completamente al maggior tasso di occupazione femminile in Spagna:

      https://www.oecd.org/en/data/indicators/employment-rate.html?oecdcontrol-40985420ae-var3=2024&oecdcontrol-ba93bb3166-var1=ITA%7CESP

      Elimina
    3. Ciao Beppe88, cercherò nel seguito di dare delle spiegazioni alla domanda del post, che è anche la tua.

      Per prima cosa, segnalo che si dovrebbero confrontare le relazioni tra tasso di disoccupazione e crescita dei salari orari nominali di Italia e Spagna.
      Infatti, la curva di Phillips originale prevede il tasso di disoccupazione nelle ascisse e la crescita annuale del salario orario nominale nelle ordinate.

      Così non è nel post perché, per la creazione dei grafici, si è preso l'ULC (costo unitario del lavoro), ovvero il rapporto tra i salari orari nominali e la produttività reale oraria.
      Per conferma, questo è il link al metadato Eurostat:
      https://ec.europa.eu/eurostat/cache/metadata/en/tipslm10_esms.htm

      Andrebbero, invece, presi i seguenti dati (dal 2009 al 2024):
      https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/nama_10_lp_ulc__custom_16324616/default/table?lang=en

      Ricalcolando la crescita annuale dei salari nominali, a partire dal ULC e dalla produttività reale oraria, si ottengono risultati un poco diversi rispetto a quelli del post.
      Le due curve di Phillips hanno pendenza quasi identica: -0.3688 per l'Italia e -0.3771 per la Spagna.
      Resta sempre vero che la retta della Spagna è spostata a destra rispetto a quella dell'Italia.
      La retta interpolante, infatti, incrocia l'asse delle x per una tasso di disoccupazione del 13.5% per l'Italia e del 24% per la Spagna.

      Questa differenza di circa 10 punti % è perfettamente spiegabile coi dati sul tasso di partecipazione al lavoro (lf):
      https://data.worldbank.org/indicator/SL.TLF.CACT.NE.ZS?locations=ES-IT
      e sul tasso di occupazione (e):
      https://data.worldbank.org/indicator/SL.EMP.TOTL.SP.NE.ZS?locations=ES-IT

      Si ha, infatti, che il tasso di disoccupazione (u) è dato da:
      u = 1 - e/lf
      La differenza media del tasso di partecipazione al lavoro (lf) di Spagna e Italia, tra il 2009 ed il 2024, è di circa 10 punti %. Mentre la differenza media del tasso di occupazione (e) di Spagna e Italia, tra il 2009 ed il 2024, è di circa 2 punti %.

      Detto altrimenti, nel calcolo della forza lavoro, gli spagnoli dichiarano più degli italiani di cercare lavoro, incrementando il numero dei disoccupati (vedasi https://www.bls.gov/cps/definitions.htm).

      Buona Pasqua!

      Elimina
  16. Non c'è Phillips senza Laffer .
    Ho chiesto a grock ma pure lui non ne sa nulla :
    https://x.com/i/grok/share/Aho59IwE3lkD5j8fWEbpGoQx0
    Visto dal basso: per tirare avanti la carretta non guardo solo al costo lavoro ma se quel lavoro mi rende di più delle tasse che mi fa pagare .
    Il che introduce il concetto di "tecnologie" applicate alla produzione e la possibilità di applicarle nel contesto normativo .

    RispondiElimina

Tutti i commenti sono soggetti a moderazione.