L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
Precipito nel vuoto assoluto. Non tocco la roccia: qui è tutto strapiombante.
Davanti a me scorre velocissima la parete poc’anzi salita. Sento ancora quell’odore del calcare in frantumi, un odore acre che mi darà in seguito sempre fastidio. Da allora lo assocerò sempre al sangue e alla morte.
Immediatamente, mentre precipito ancora, mi rendo conto che è finita.
Se non succede qualcosa, subito, adesso, è finita.
Intanto, mentre cado, avviene una cosa che ancora oggi mi lascia allibito, un fatto molto semplice e agghiacciante al tempo stesso: "esco" dal mio corpo.
Qualcosa, l’anima o qualcos’altro che la sostituisce, insomma "io", il vero "io", esce dal mio corpo.
Divento improvvisamente uno spettatore, interessato, ma comunque spettatore. E penso. Velocemente, molto velocemente.
In quelle poche frazioni di secondo, vedo, come in un film, la mia (ancora) breve vita scorrermi davanti rapidamente, eppure nei minimi dettagli.
Gli attimi del volo, nel volo, si dilatano, diventano ore, mesi, anni. Una vita.
La mia mente, ora lucidissima, viaggia ad una velocità impensabile, una dimensione diversa con altri ritmi, con altri tempi.
E’ netta la sensazione di essere fuori dal mio corpo: lo guardo che cade, abbandonato al suo destino di morte, un insignificante insieme di carne ed ossa.
Lo vedo distintamente che scende a tutta velocità come qualcosa di vecchio, una sorta di rottame. Lo guardo, va giù sempre più giù. Ma "io" non provo paura. Sono sereno, solo dispiaciuto. Ricordo quegli strani pensieri soprattutto uno: non mi piaceva l’idea di concludere, così, a vent’anni, la mia vita, di abbandonare, di non essere più presente. Ma non ero sconvolto o spaventato. Provavo una sensazione di tranquillità. Stava accadendo qualcosa che non temevo perché "io" non c’ero, non c'ero più.
Avvertivo, però, che quella era la morte, che con tutta probabilità stavo morendo e che, se non succedeva qualcosa SUBITO, sarei morto davvero.
Eppure avevo un’idea della morte che coincideva con il dolore, la tragedia e il terrore, ma mi sbagliavo. Forse lo è per chi guarda, per chi ci vuole bene, per chi è ancora vivo, forse lo sono i momenti precedenti.
Ma soprattutto, non pensavo alla morte. Era qualcosa che non mi riguardava.
Era un problema di altri, non mio. Ora invece, la cosa mi riguardava.
E maledettamente! Fino al collo…
Improvviso il colpo! Secco, pulito.
Uno strattone violento che mi fa spremere dall’imbracatura, come un limone.
E’ come un violento schiaffone che mi sveglia, che mi riporta nella dimensione reale. E solo adesso, lentamente...e con prudenza rientro nel mio corpo.
Ed è subito un altro mondo, più lento, più farraginoso, più doloroso, più "vecchio".
(…si può uscire in tanti modi e da tante cose. Questa è un’uscita particolarmente impegnativa, e se ne volete conoscere il protagonista - io ve lo consiglierei! - potrete raggiungerci qui:
Non c'è nulla da fare: pe' malati c'è la china, per gli euroni non c'è medicina!
Ma benedetti figliuoli! L'ha detto Draghi che " We pursued a deliberate strategy of trying to lower wage costs relative to each other – and combined this together with a procyclical fiscal policy - the net effect was only to weaken our own domestic demand and undermine our social model"! (qui) Insomma: ci ha spiegato che l'Unione Europea, come unico strumento di reazione al calo della domanda internazionale, ha adottato il taglio della domanda interna. Come può essergli venuta un'idea così bislacca? Saranno mica matti!?
Ma no!
Si tratta di una semplice e diretta conseguenza dell'adozione di un regime di cambio fisso: quando uno shock esterno colpisce (quando cala la domanda internazionale dei tuoi beni), se sei legato a un Paese forte e quindi meno colpito dallo shock, non potendo far flettere il cambio (che non flette perché è tenuto su dal Paese forte) devi far flettere i salari, cioè, in definitiva, il Pil, visto che:
secondo l'infografica veramente ottima di Borsa Italiana.
E quindi?
E quindi, come mi sforzo di ripetere inascoltato, se quando arriva una recessione internazionale la nostra reazione è quella di togliere soldi dalle tasche dei clienti del mercato (interno) unico, la conseguenza sarà che proprio in recessione l'importanza del mercato unico scemerà.
E siccome il pensiero critico non è pensiero magico, come il pensiero di quelli che "l'euro è come la Roma, non si discute: si ama!" (tipo Marattin), ovviamente i dati si conformano ad esso:
Quale che sia la fonte utilizzata (le Directions Of Trade Statistics, DOTS, o l'Eurostat), che cosa vediamo in occasione della sberla del 2008? Che il contributo del mercato interno alle nostre esportazioni, cioè la quota di esportazioni avviate verso l'UE, si contrae in fase di recessione. Vediamo cioè che quando c'è meno domanda mondiale dei nostri prodotti, in proporzione c'è ancora meno domanda europea: la spiegazione è l'austerità (procyclical fiscal policies), cioè la moneta unica.
Che ne dite, vi sembra che questi dati siano coerenti col mio ragionamento, o con i ragli di quelli che "ci vuole più Leuropa?"
Non so, fate voi...
Comunque, qui si riesce a fare un ragionamento fact based e data driven. Per gli sciamani ci sono i parterre televisivi. Chi ha dati da portare è sempre bene accetto, chi ha cazzate lievi imprecisioni da dire un po' meno, ma siccome non siamo dem(enti), qui anche questi ultimi, i lievemente imprecisi, hanno un minimo costituzionale di libertà di espressione.
Alla prossima!
(...Eurostat non fornisce dati prima del 2008, mentre DOTS non fornisce l'aggregato EU27, per cui me lo sono costruito al volo prendendo i 12 stati più rilevanti - escluso il Regno Unito, per non truccare le carte - il che spiega lo scarto fra la serie Eurostat e la DOTS, che è più "bassa" perché, appunto, considera solo 12 e non 27 Stati membri. La dinamica però è esattamente la stessa, quindi il punto l'abbiamo portato a casa. Resta la domanda inevasa: a che ci serve un mercato unico se a causa della moneta unica dobbiamo gestirlo così, cioè impoverirlo quando più ci servirebbe che fosse ricco? Non lo so, chiedetelo al signor Do Something...)
Pretenziosi e tronfi coglioni senza arte e con troppa parte, visibilmente smarriti, parlano di "riavviare il motore della crescita europea", sostengono che "la Germania deve ridiventare il motore della crescita europea", e via delirando.
Ma quale motore?
Ma li avete mai visti i dati?
Nei 29 anni dal 1996 al 2024 la Germania è cresciuta più dell'Unione Europea solo in nove anni, quasi tutti concentrati attorno alla crisi del 2010, in cui la Germania parassitariamente profittò delle misure intraprese per sostenere gli Stati in crisi (ricordate ad esempio i tassi negativi sul suo debito, che veniva massicciamente acquistato dalla Bce?), di cui peraltro aveva compresso il potenziale imponendo loro l'austerità. In condizioni normali la Germania ha sempre arrancato dietro la media europea: li vedete i dati? Siamo d'accordo che per argomentare che un Paese "tira" gli altri bisogna che questo Paese cresca più degli altri? Qui è evidente che la Germania in condizioni normali è trainata, non traina. Un Paese incapace di crescere senza truccare le carte, senza una qualche forma di dumping (energetico, valutario, salariale), come fa a essere un modello o un fattore di sviluppo?
(...riprendo e approfondisco, anche per pensare ad altro, il filo di un discorso che avevamo lasciato qui...)
Il PISL del titolo è uno dei tanti mitologemi del nostro più insidioso nemico: iComunicatori! Si tratta, come ricorderete, del Piccolo Imprenditore Spaventato Lombardo.
Spaventato da chi?
Ma da Borghi, ça va sans dire, dal perfido Borghi che fa crescere lo spread, s'intende! Fuor di metafora, l'imprenditore di cui favoleggiano iComunicatori è quello che vedrebbe nell'integrazione monetaria l'opportunità di accedere con minore difficoltà alle catene del valore tedesche, con beneficio della propria azienda (mi riferisco alla Germania per l'ovvio motivo che è la prima economia manifatturiera europea: va da sé che lo stesso argomento potrebbe applicarsi all'Estonia, ma capite bene che la rilevanza non sarebbe la medesima...).
L'argomento sarebbe quindi che noi siamo ormai terzisti della Germania, non abbiamo più le nostre "fabbriche prodotto" (come si direbbe in ambito bancario), cioè, per confinarci all'ambito automobilistico, la Fiat e via discorrendo, che ormai producono altrove (ma il ragionamento si applicherebbe ad altri prodotti e altri marchi), però siamo forti nell'indotto, perché i prodotti di chi ancora riesce a farne (la Germania) necessitano dei pezzi che solo noi sappiamo fare, un po' come questo prodotto tedesco:
necessitava di questi semilavorati italiani (rectius, veneziani, perché non è la stessa cosa, ma di questo parliamo un'altra volta):
motivo per cui sarebbe indispensabile che prodotti e semilavorati venissero entrambi quotati in euro, un po' come è auspicabile che la chiave di violino indichi sempre il sol, anche quando il concerto è per clavicembali.
Naturalmente, se così fosse, all'entrata in vigore dell'euro dovremmo riscontrare nei dati quello che il mito ci tramanda, cioè un incremento dei flussi commerciali fra Lombardia e Germania (un incremento dell'interscambio misurato come somma di importazioni ed esportazioni ed espresso in rapporto al Pil, analogo insomma al concetto di openness che si usa in economia internazionale - qui una definizione e alcune critiche di questo concetto), ma nulla di tutto questo si emerge dai dati, come abbiamo visto qui:
Grandi balzi in avanti (cioè verso l'alto) fra il periodo antecedente (1991-98) e quello susseguente (1999-2023) all'adozione dell'euro non ce ne sono, e del resto sarebbe strano il contrario. Cerchiamo di capirci: se il motore dell'integrazione commerciale fra Lombardia e Germania fosse principalmente o esclusivamente l'integrazione nelle catene del valore tedesche, perché mai dovremmo aspettarci che l'ingresso in un sistema monetario che rende meno convenienti perché quotati in valuta forte i semilavorati italiani dovrebbe far aumentare i volumi di questo fruttuoso interscambio? I tedeschi sono "programmaticamente profondi", come diceva Savinio per non dargli direttamente degli stupidi, ma non lo sono fino al punto di acquistare di più una cosa che costa di più, visto che hanno potuto constatare come sia più facile vendere una cosa quando costa di meno! Prova ne sia il fatto che fra il 1992 (anno della drammatica svalutazione della liretta) e il 1995 (anno della rivalutazione) l'interscambio aumenta! L'argomento, se mai, andrebbe rovesciato: si potrebbe con maggiore plausibilità argomentare che proprio perché il motore dell'interscambio commerciale della Lombardia è la sua integrazione nelle catene del valore tedesche, l'ingresso nell'euro non l'ha aiutata, visto che ha reso più cari i suoi prodotti per gli acquirenti tedeschi! Questo ragionamento è coerente coi dati osservati e lascia aperto solo un gigantesco punto di domanda: ma allora il PISL, di preciso, chi è?
Lasciamo un momento nell'ombra questo mitologema e approfondiamo l'analisi estendendola ad altre Regioni. Lo spirito della nostra ricerca è sempre il medesimo: l'ingresso nell'euro determina un aumento dell'integrazione commerciale? Favorisce le nostre esportazioni nette o le deprime? Ci manda in surplus o in deficit con i nostri principali partner commerciali? Rende le nostre Regioni più "aperte" (in un contesto europeo) o più chiuse?
Prendiamo il Veneto, altra regione a potente vocazione manifatturiera. Il grafico dell'apertura verso la Germania è questo:
e più o meno ci racconta le stesse storie di quello della Lombardia: l'interscambio con la Germania conta fra il 10% e il 12% del Pil regionale (oggettivamente, tanta roba!) e non si vedono drastici cambiamenti - se non forse in peggio - dall'entrata nell'euro. Ma qui potrebbe arrivare il piddino col ditino puntato a dire: "Eh, no! Qui si vede chiaramente un trend positivo dal 2013 in poi! Se non l'euro, almeno l'austerità quindi ha fatto bene al Veneto, ne ha aumentato l'interscambio...".
Un attimo: forse conviene, come abbiamo fatto per la Lombardia, guardare i flussi netti e lordi. Le esportazioni nette eccole qui:
e quello che è successo è abbastanza chiaro: l'ingresso nella moneta unica ha depresso la bilancia dei pagamenti del Veneto, con l'aggravante che, a differenza della Lombardia, il Veneto partiva da una posizione di surplus! Per facilitarvi il confronto vi metto insieme i saldi commerciali delle due Regioni:
così vedete bene analogie e differenze. Fra le analogie c'è la derapata dall'ingresso nell'euro e la "ripresa" nella stagione dell'austerità. Fra le differenze c'è che la Lombardia è sempre in deficit, riduce il suo deficit già dalla crisi dei subprime, e a differenza del Veneto, che tiene botta, lo vede peggiorare nel periodo 2020-2023.
Quindi possiamo immaginare che andamento abbiano i flussi lordi del Veneto! Questo:
Il balzo verso l'alto delle esportazioni nette fra 2011 e 2012 è un tuffo verso il basso delle importazioni, dovuto alla recessione, e l'aumento dell'interscambio dal 2013 al 2019 è principalmente dovuto a un aumento delle importazioni dovuto alla valutona fortona (l'euro), che ovviamente si traduce in una diminuzione delle esportazioni nette. Solo dal 2020 la situazione cambia, con un aumento sia dell'export che dell'import, ma siamo sufficientemente distanti dal 1999 per poter dire che in questo fenomeno non vediamo gli effetti benefici della moneta unica!
Sarà forse per questo che quando ci spostiamo in Veneto incontriamo tanti PISV spaventati non da Borghi, ma dall'euro, e che in Veneto abbiamo un seguito più agguerrito e tenace che in tante altre Regioni italiane? Forse. Certo, molto c'entra anche l'anelito all'indipendenza che caratterizza quel popolo. Ma mi piace pensare che i fondamentali macroeconomici non siano solo un tema accademico...
E se ci spostassimo in una regione totalmente diversa? Esisterà il PISC (Piccolo Imprenditore Spaventato Campano)? Che effetti avrà avuto l'euro sull'economia della sua Regione?
Se ragioniamo in termini di interscambio, il grafico è qui:
Ho mantenuto la scala verticale: si vede così molto bene che naturalmente la Campania è molto meno integrata con la Germania delle Regioni del Nord, ma il pattern è lo stesso: con l'ingresso nella moneta unica e fino a tutta la crisi l'interscambio tende piuttosto a deprimersi. I flussi lordi sono questi:
e anche qui la storia è più o meno la stessa, se pure su una scala ridotta rispetto ai flussi delle Regioni del Nord.
Chiudo con una Regione a me e a voi cara:
Il piccolo Abruzzo è molto più integrato nell'economia tedesca della grande Campania (sembrerà strano a chi se lo immagina come una Regione di orsi e arrosticini, ma come credo di avervi spiegato a suo tempo c'è molto di più). Fatte salva questa differenza di scala, il pattern dell'interscambio complessivo è tutto sommato analogo a quello delle altre Regioni italiane: dall'ingresso nell'euro diminuisce e dall'adozione dell'austerità aumenta leggermente. Quindi anche in Abruzzo, come in Lombardia, Veneto, Campania, l'aumento dell'interscambio è associato a un peggioramento del saldo commerciale perché è dovuto a un incremento delle importazioni lorde?
Il saldo commerciale (aka esportazioni nette) è questo:
e quindi no, le cose non stanno così, perché in Abruzzo le esportazioni nette verso la Germania aumentano in modo relativamente costante. I flussi lordi sono qui:
e si vede bene come per tutto il periodo le esportazioni abruzzesi verso la Germania siano superiori alle, e crescano più rapidamente delle, importazioni abruzzesi dalla Germania.
Insomma, #ilmiocollegioèdifferente, nel senso che se ci atteniamo a questi dati aggregati pare che siamo più o meno gli unici che possono sopportare euro e Germania!
Ovviamente questi grafici pongono più domande di quante risposte offrano, e altrettanto ovviamente bisognerà entrare in ulteriore dettaglio per capire se la classe imprenditoriale tutta sia realmente attaccata all'UE come pretendono i suoi rappresentanti (quelli del prosecco tiepido) e credono i miei colleghi (quelli che preferiscono il lompo alla porchetta), e eventualmente quanto lo sia per freddo calcolo economico (come dovrebbe essere in un mondo normale) o perché imbesuita dalla propaganda finanziata dall'UE, come appare più probabile. Il dettaglio settoriale, ad esempio, potrebbe esserci di aiuto nel distinguere vinti e vincitori:
e quindi ci torneremo sopra.
Certo è che il dato "mesoeconomico" non ci lascia vedere molti più vantaggi dall'ingresso nella moneta unica di quanti ce ne lasciava vedere il dato macroeconomico (cioè, in sintesi, zero). Bisognerà che ora che si può nuovamente parlare si torni a parlare anche di questo...
(...sì, avete anche capito uno dei motivi per cui cinesi e tedeschi si stanno simpatici: hanno una cosa in comune...)
Mario Occhiuto è vicepresidente della commissione enti gestori. È anche tante altre cose, come ognuno di noi, ma io in quella veste l’ho conosciuto e apprezzato, avendone già sentito parlare bene prima da amici comuni. Collega preparato, garbato, presente. Questo però c’entra poco. La tragedia che lo ha colpito lascerebbe sgomenti a chiunque capitasse, perché è impossibile non vivere come una profonda insanabile ingiustizia, come un fatto contrario all’ordine naturale delle cose, che un figlio muoia prima di un genitore. Eppure accade. Non è detto che l’innaturale sia impossibile, come del resto non è detto che il possibile sia naturale. Forse avrei dovuto fare una nota stampa, ma ho preferito condividere qui con voi, perché questa cosa non riesco a togliermela dalla mente, e non mi andava di farla entrare nel circo degli operatori informativi. Mi sarebbe sembrato di degradarla, che è poi lo stesso motivo per il quale non sto cercando ulteriori notizie. È già sufficientemente doloroso e assurdo sapere che è accaduto. Sapere perché, se c’è un perché, nulla toglierebbe né al dolore né all’assurdità.
In questi minuti registro nel blog un picco di traffico anomalo:
L’ultimo post non sta poi attirando così tanto traffico: è solo una glossa su un tema relativamente laterale. Guardando le statistiche dei contatti per minuto vedo questo:
I contatti riguardano per lo più vecchi post, non dei più letti. O qualche sito molto frequentato li ha messi in evidenza in qualche modo, oppure… oppure non ho idea! È successa una cosa simile nello scorso mese di agosto, con un picco di 50.000 visualizzazioni al giorno. Non sono riuscito a spiegarmi il perché! Il massimo mensile di visualizzazioni l’abbiamo avuto a luglio 2015 (non è difficile capire perché…), con 808.772 visualizzazioni, pari a 26.089 al giorno. In questo periodo siamo attorno alle 10.000 visualizzazioni quotidiane, in crescita, ma… qualcosa non mi torna!
Voi che sapete tutto, che idea vi siete fatti?
Addendum delle 5:09
Il fenomeno continua e la situazione ora è questa:
Il dato positivo è che rivedo post che mi dimenticavo di aver scritto, e molti sono divertenti! Mah… anzi: mha!
consapevole che per lei il tempo è una risorsa molto scarsa, commento comunque questo vecchio post perché ritengo che troverà il contenuto meritevole di quei 5 minuti necessari alla lettura.
L'antefatto è che nel 2017 Hossenfelder su Nature criticò le capacità di auto-correggersi della comunità scientifica, con un focus in particolare sulla fisica fondamentale, quella oggetto degli esperimenti dei grandi (e costosi) acceleratori.
In risposta, un collega le mandò la seguente email. Un letterale "tengo famiglia" in cui credo riconoscerà alcune delle disfunzionali dinamiche accademiche contro cui lei stesso si è più volte espresso.
Materiale da archiviare, nel caso le capitasse di incontrare nuovamente i ricercatori del Gran Sasso!
L'email:
"Actually, I would like to ask you next time think not only about short-term personal benefits but about the community in general. You understand what consequences your publication might bring for our community? What are all these Beyond Standard Model-builders with
exaggerated self-opinion going to do afterwards? What about experimentalists who survive hiding inside big multi-TeV collaborations? Can you offer them all any decent employment
alternatives? Some of them have families & young children, some of them are already too old to get employment elsewhere, for some of them academia is the only way to get US visa ...
If you like, yes, what we created is a bubble, but it helps thousands of those guys and their families not to die from hunger. We all do the same stuff, and have some trade secrets. For example, I am one of the authors of the so-called [……] model, pretty useless stuff, old refurbished [….] with a couple of new blows and whistles, but if people buy this [….] crap and it helps them to get grants, who cares? For people who pay us, all we do is just noise.
They have zero idea that elementary particles exist; they pay us from public funds (not from their own) and basically pay for “something cool”, some new crazy hype, which they need either to include into their science spending reports or (in case of universities) to attract students.
Your paper made a lot of noise, and most likely will affect redistribution of High Energy Physics funds towards other areas, but I doubt that you will be able to suggest and implement any organizational changes. Also, any changes of “quality criteria” which would demonstrate uselessness of somebody’s work will have zero chance of approval. […]
I understand that all what I wrote above might sound a bit harsh (sorry for this), but this is how our society is built; and this is not only a problem in the High Energy Physics community but also exists in all other areas. My heart is bleeding when I regularly see bright and intelligent persons with independent ways of thinking leaving academia or getting kicked out, whereas obedient idiots remain, but there is nothing we can do those who get kicked out usually find better opportunities outside of academia; those who remain in academia accept the rules and enjoy the comfort of academic life. Of course, sometimes there are exceptions like string theorists Smolin and Woit, but I doubt you would like to share their destiny."
Il video completo:
Pubblicato da Murmur su Goofynomics il giorno 16 feb 2025, 18:38
Diciamo che senza essersi letti il post cui si riferisce questo commento (cioè senza aver ascoltato il video dell'intervento, che forse dovrei "sbobinare") il contenuto di questa lettera si apprezza di meno, e forse scandalizza di più. In realtà la Sabine, che mi avevate segnalato, la prende un po' troppo sul personale: è sempre stato così, e nonostante tutto ciò, ovvero nonostante la scienza, l'umanità ha progredito... Non odiate gliScienziati: sono dei poveri cristi che tengono famiglia! Se deponessero l'arroganza nessuno li pagherebbe, il loro personaggio deve obbedire a certe regole. Non sto poi a ripetervi che queste dinamiche si applicano in modo identico al mondo dell'economia. Possiamo sostituire i LHC con i DSGE (per dirne una) e alla fine il discorso sarebbe pressoché perfettamente replicabile! Ma, ripeto, ciononostante la conoscenza avanza, e la cosa su cui secondo me dovremmo concentrare l'attenzione non è tanto l'esistenza e il costo di questo autoreferenziale clero di tromboni della "matrix", quanto i meccanismi attraverso cui lavorando alla matrix questi esseri intrinsecamente, disperatamente, irrevocabilmente ottusi aprono la strada al glitch, al clinamen, all'anomalia creativa e creatrice.
Comunque, dal mondo della scienza oggi viene anche una buona notizia, questa:
Sembra una probabilità piccola, ma non lo è. Siamo però su dimensioni molto inferiori a quelle di Chicxulub, quindi non possiamo contare su questo aiutino astronomico per liberarci dai draghi come la Terra si liberò dai dinosauri. Sarà un bel regalo per il mio settantesimo compleanno: avremo visto anche questo...
(...consiglio pratico: se vedete un forte bagliore in cielo, non avvicinatevi mai alle finestre, ma anzi allontanatevene il più possibile. Se ignorate i motivi di questo consiglio disinteressato, potrete apprenderli qui. Occhio perché quello del 2032 sarà dalle tre alle nove volte più grosso..)
(…nota bene: a tirarmi in ballo è il 🧻, l’esponente credo - e spero - che si guardasse bene dal farlo! Non si applica quindi in questo caso un detto popolare caro alla mia compianta suocera: “Persona trista, nominata e vista!” Nel merito, va apprezzata la singolare freschezza con cui l’esponente accetta la “strutturale contrazione della domanda interna” come fosse un dato di natura, anziché un man-made disaster, come oggi riconosce perfino il Migliore, quello che loro ci hanno imposto, con la lungimiranza con cui ci imposero Monti che questo disastro perpetrò; pregevole anche la naïveté con cui individua nei dazi l’unico rischio posto da uno sbilanciamento della crescita sulla domanda estera. Eppure, esempi di quante altre cose possono andare storte non mancano! Non c’è che dire: la tenuta del Paese ha del miracoloso…)
(...chiedo scusa, sono in ritardo nelle risposte ai vostri commenti ai post precedenti, ma ieri è stata giornata intensa. Vorrei però mettere qui un altro paio di grafici che potrebbero interessarvi, prima di completare l'analisi di quelli del post precedente...)
La banca dati Coeweb (che suppongo stia per "COmmercio Estero") dell'ISTAT ci consente di analizzare l'interscambio delle regioni italiane col resto del mondo, entrando nel dettaglio dei singoli Paesi partner. Mi sono preso il gusto, facendomi aiutare da un ex studente e attuale consulente, di riprendere i dati che vi avevo mostrato a un goofy nello spiegarvi la fenomenologia di quello che avevamo chiamato il PISL (Piccolo Imprenditore Spaventato Lombardo), cioè di quel personaggio mitologico, come è mitologica la sciura Maria che non capisce quando le dici le cose come stanno. Il PISL, in particolare, è il titolare di PMI che sarebbe spaventato (con la S di Draghi) dal buon Borghi quando questi criticando l'unione monetaria fa crescere lo spread.
Nella narrazione interna, il PISL sarebbe politicamente un moderato (ma, non si sa perché, voterebbe per noi! Ricordo che un minimo di incoerenza logica aggiunge spesso alla narrazione quel che di "pensiero magico" che la rende più avvincente, se pure, in astratto, meno credibile), e inoltre sarebbe contrario all'ipotesi che il Paese si emancipi. Anzi! Il PISL sarebbe attaccatissimo all'euro, che gli avrebbe garantito una maggiore integrazione nelle catene del valore della locomotiva d'Europa (cit.), cioè della Ger-magna, in base al principio, apparentemente fondato, che "noi possiamo cooperare coi tedeschi perché riusciamo a tenere il passo con la loro economia e non buttiamo cartacce in terra, e i terroni si fottano!"
Questa è la mitologia, ovviamente.
Di imprenditori in Lombardia ne ho incontrati e ne conosco molti, ma nessuno ritiene che il progetto europeo arrechi particolari vantaggi. Il mercato di questi imprenditori è il mondo, dal Vietnam al Cile (prendo due esempi a caso di gente che ho conosciuto), in piena compatibilità con le parole di un economista vero (Alesina) che vi citavo due post addietro:
dell'UE tendenzialmente farebbero a meno perché li ha sommersi di burocrazia inutile e dell'euro non hanno una buona opinione, nel senso che non ritengono che abbia arrecato loro particolari vantaggi.
Ma questi imprenditori qui, quelli che conosciamo, che abbiamo toccato con mano, con cui parliamo (noi), sono dei facinorosi ideologizzati, il cui successo economico è dovuto a una immeritata fortuna, dicono insomma certe cose perché sono dei decerebrati hooligan di Bagnai&Borghi, o sono delle persone razionali, che hanno contezza dei fatti e delle cose?
Per dirimere questa questione vorrei mostrarvi i dati sull'interscambio fra Lombardia e Germania nel periodo in cui Coeweb ce li rende disponibili, cioè dal 1991 al 2023. Il dato aggregato, cioè le esportazioni nette della Lombardia verso il resto del mondo (comprese le altre regioni italiane), ve lo avevo fatto vedere nel post su Milano ladrona, Berlino non perdona!:
e a quel post vi rinvio per il commento, che comunque è semplice: le esportazioni nette aggregate (Lombardia vs resto del mondo) erano in crescita fino all'entrata nell'euro, poi erano andate calando (ovviamente all'epoca avevo solo i dati fino al 2010).
Vediamo lo stesso dato (esportazioni nette) riferito ai flussi fra la Lombardia e la sola Germania:
La prima cosa che notiamo è che per il periodo in cui sono disponibili i dati evidenziano un deficit strutturale della Lombardia verso la Germania: sono i lombardi a comprare tedesco più di quanto sia la Germania a comprare lombardo. Diciamo che anche se la Germania si muovesse velocemente (crescesse) non sarebbe una locomotiva: è locomotiva chi compra i tuoi beni, non chi ti vende i suoi...
Anche qui notiamo uno sprofondamento del deficit verso la fine degli anni '90, e anche qui notiamo una inversione di tendenza verso l'inizio degli anni '10 (nel grafico aggregato è meno percepibile). Quindi dal 2010 in poi i problemi di competitività si sono risolti grazie alle #riformestrutturali e al #tagliodeldebitopubblico per cui ora #andràtuttobene? Lo si può accertare, basta spacchettare il dato: se le esportazioni nette sono aumentate perché sono aumentate le esportazioni lorde, allora siamo diventati più competitivi e i tedeschi comprano più lombardo. Ma se le esportazioni nette sono aumentate perché sono diminuite le importazioni lorde, allora siamo diventati più poveri e compriamo meno tedesco.
Il grafico è qui, e non credo sia difficile da leggere:
Fra 2007 e 2010 le importazioni crollano, mentre le esportazioni restano ferme. Il miglioramento del saldo è quindi dovuto alla recessione prima e all'austerità poi, cioè al nostro impoverimento, più che ad altro. La Lombardia, regione che amo, ha condiviso lo stesso amaro destino del Paese: non ci sono molti più Übermenschen da quelle parti di quanti Untermsnchen ci siano altrove, con tutto che una serie di fattori culturali e antropologici differenze le creano, anche molto rilevanti sotto il profilo di un ordinato andamento dell'economia, spesso a evidente svantaggio del Sud. Tutti possiamo migliorare e qualcuno ha più margine di altri. Questo è un fatto che non voglio negare e su cui aspetto le vostre osservazioni.
Quello che invece voglio negare, perché lo negano i dati, è che l'integrazione monetaria abbia determinato una maggiore integrazione commerciali, un maggiore interscambio, inteso come somma dei flussi di esportazioni e importazioni. Quello che è successo è qui:
Direi che, se mai, dopo la gestione della crisi a botte di austerità l'interscambio fra Lombardia e Germania si è strutturalmente ridotto, passando da circa il 12% a circa il 10%. Ovvio risultato di quel prosciugamento del mercato interno a botte di svalutazioni interne competitive (i tedeschi che si tagliano i salari per vendere ai francesi che si tagliano i salari per vendere agli italiani che si tagliano i salari per vendere ai tedeschi) di cui ormai parla perfino un Draghi qualsiasi: sono finiti i tempi eroici in cui certe cose ve le dicevo solo io!E quindi?
E quindi bisogna fare un discorso di verità.
Non ha molto senso dirci che una cosa che ci ha danneggiato collettivamente come nazione ci ha avvantaggiato singolarmente come regioni del Nord (magari sfasciando solo quelle del Sud), e questo non per un senso di solidarietà nazionale che potrebbe anche essere infondato e che comunque non è necessario provare, ma semplicemente perché non è così nei dati. Poi, per carità, ognuno ha le sue esperienze individuali. Immagino che in certe Confqualcosa di provincia dove si sorseggia prosecco tiepido sgranocchiando lompo rancido su pane da toast rinsecchito ci sia una discreta percentuale di imbesuiti schiavi della narrazione giornalistica, vittime incolpevoli e inconsapevoli della mattanza, tutti Europa e distintivo, e ci sarà magari anche qualcuno che del grande progetto europeo parla bene perché a lui è andata bene (magari è un importatore di qualcosa che serve anche a un popolo impoverito, nel qual caso la monetona fortona lo aiuta)!
Ma il mio punto qui, come in altri contesti, è e resta il solito: se non riconosciamo di avere un problema, difficilmente potremo attrezzarci per gestirlo.
Tutto qua.
(...ah, a scanso di equivoci, e sempre in tema di discorsi di verità: quando parla Borghi non fa crescere lo spread, altrimenti sarebbe ricco come un nababbo! Lo spread l'ha fatto crescere artificialmente Mariou smettendo di acquistare titoli italiani per metterci in difficoltà, ma finora, in questa guerra di logoramento, il più logoro è lui, e noi tiriamo dritto...)
(...farò una proposta di legge per dichiarare lo spumante tiepido reato universale, ma è un capitolo che apriremo più avanti, quando cominceremo a intravedere all'orizzonte qualcosa a cui brindare...)
Questo è l'indice della produzione industriale (settore manifatturiero) in Germania, Francia e Italia da quando esiste sul sito Eurostat (gennaio 1991) e fino a quando esiste (dicembre 2023, siamo indietro di un anno...):
Molti di voi hanno già gli strumenti per leggere le vicissitudini di questa variabile, chi è incuriosito da queste dinamiche chieda e gli sarà dato.
Questo invece è lo stesso indice da quando la Germania ha raggiunto il suo massimo (novembre 2017) in qua:
(n.b.: in entrambi i casi ho fatto pari a 100 il primo mese rappresentato. Ovviamente la soluzione più raffinata è fare pari a 100 la media dell'anno di riferimento, ma non cambierebbe assolutamente il profilo della serie, dato che si tratterebbe sempre di dividerla per una costante).
A dicembre del 2023 la Germania aveva perso il 14.7% rispetto al novembre 2017, la Francia il 3.6%, l'Italia il 3.9%.
Il manifatturiero è importante, ma non è tutta l'economia. In un'economia avanzata conta per una roba che va da circa un quinto a circa un decimo del valore aggiunto:
(è la parte arancione della barra), una quota che sta diminuendo un po' dappertutto, ma in Germania, ovviamente, di più: -3.3 punti, contro -0.9 in Francia e -1.0 in Italia. Ci stiamo deindustrializzando un po' tutti, ma è anche il riflesso del fatto che stiamo evolvendo verso un'economia di servizi, e comunque la Germania si sta deindustrializzando più di noi.
Dato che la produzione industriale non è tutto il Pil, ma una cosa che va, come dicevo, da un quinto a un decimo del Pil (a spanne), ci può stare che questo cresca mentre quella cala: basta che aumentino i servizi (l'agricoltura nemmeno si vede, come avrete notato, il che non vuol dire che non debba essere praticata e tutelata...). Se osserviamo il Pil trimestrale dall'ultimo trimestre del 2017, quello in cui la manifattura tedesca ha iniziato a derapare, vediamo infatti una cosa così:
E la domanda che ci si dovrebbe porre è: ma invece di stracciarsi le vesti sui dazi di Trump, le prefiche del PD se la pongono una domanda su quanto ci sia costata la stasi economica (autoinflitta) del nostro principale partner commerciale?
Mi piacerebbe cominciare ad articolare una risposta, ma nel viaggio fra Roma e Milano ho rilasciato un'intervista a La Verità, e fra un po' sarò a Cologno Monzese da Del Debbio (prima volta che lo incontro!), e mentre vado in studio ho un'intervista in diretta con Radio Libertà (sono tutti segni del mio declino intellettuale e politico, come la doppia intervista di ieri su Stampa a Tempo), quindi ora vi lascio e proseguiamo domani...
Attenzione: c’è una probabilità bassa ma non nulla che torni nel dibattito cialtrone una cosa che avevamo portato qui tanti anni fa. In ossequio al brocardo nihil est in intellectu quod prius non fuerit in Goofynomics permettetemi di segnalarvi questo vecchio post del 2012, che scrissi a Rouen nella mia mansardina di visiteur. Vi riferivo del lavoro di Bruno Frey su un diverso modello di integrazione internazionale, quello delle giurisdizioni funzionali sovrapposte competitive (GFSC). In sintesi, l’argomento di Frey era molto semplice e condivisibile: invece di proporre un modello totalitario di integrazione, dove chiunque entri, indipendentemente dal proprio punto di partenza, sia obbligato a conformarsi ad una serie ampia e crescente standard in tutti i campi dello scibile umano, il cosiddetto acquis communautaire, sarebbe più saggio immaginare che paesi diversi potessero cooperare sulla base della stratificazione di diversi trattati in diversi ambiti funzionali, cui potessero decidere se aderire o meno sulla base delle loro convenienze.
L’argomento secondo cui una pluralità di trattati sarebbe più difficile da gestire di un singolo trattato è piuttosto sciocchino, atteso che, ad esempio, all’interno dello stesso trattato ci si trova a gestire una miriade di fattispecie diverse (e non vi parlo delle complessità negoziali e burocratiche causate dall’approccio totalizzante, quello volto a costruire un superstato). Basterà l’esempio dell’euro: quelli che ogni tanto parlano di euro a due velocità ignorano che nell’Unione Europea le velocità sono attualmente molte di più: ci sono gli Stati membri la cui valuta è l’euro, ne è rimasto uno che aveva adottato una clausola di opt-out (la Danimarca), ci sono quelli che hanno mantenuto una valuta nazionale con cambio flessibile, ci sono quelli che hanno mantenuto una valuta nazionale con aggancio all’euro, e, immediatamente fuori zona, ci sono (o c’erano) anche stati che avevano adottato l’euro non essendo nell’Unione Europea. Quindi in questo, come in altri ambiti (vogliamo parlare di Schengen?), le GFSC sono già al norma, in ossequio al noto principio: fata volentes ducunt nolentes trahunt.
Ieri è arrivato coso, come se chiama?, L’amico “Carlo is correct”:
(notate la risposta da manuale di Luigi), a proporci qualcosa di sostanzialmente simile: le “coalizioni dei volenterosi” (“carnefici di Hitler” speriamo che non fosse sottinteso).
Al netto del commendevole (ma decisamente eccessivo) ottimismo di circostanza sui risultati conseguiti dall’Unione Europea, che lo spingono a proporre di considerare quest'ultima come "nocciolo duro" delle giurisdizioni funzionali in concorrenza, la storia non è, o almeno non mi sembra, sensibilmente diversa da quella che raccontava Frey (confesso che non ho avuto tempo per approfondire, chiudere il disco è prioritario).
Nel proporre una onorevole via di uscita a quelli terrorizzati dal bilateralismo, Blanchard, senza volerlo, espone con involontaria lucidità i due principali limiti dell'approccio multilaterale europeo: la mancanza di flessibilità, che era centrale anche nel ragionamento di Bruno Frey, e, udite udite!, il fatto che se anche tutto funzionasse alla perfezione, l'Unione Europea non avrebbe comunque le dimensioni per competere coi colossi americano e cinese!
Lo dice proprio:
Lasciamo stare che questa sfumatura si basa sull'idea semplicetta e stupidella che la competizione internazionale sia una sorta di tiro alla fune, per cui vince chi ha più massa. Sappiamo bene che autori altrettanto prestigiosi, fra cui Alesina, non la pensavano così:
Il fatto che l'idea del competere sulle dimensioni (cioè l'idea che le uniche economie siano le economie di scala) sia stupida, non rende meno dirompente il fatto che Blanchard ne sconfessi la praticabilità per l'Unione Europea. Blanchard infatti ci sta dicendo che tutti i sacrifici cui ci stiamo (o meglio: ci stanno) sottoponendo, quand'anche accettassimo ulteriore austerità, ulteriore commissariamento (debito comune), ulteriore eversione dei nostri ordinamenti democratici (voto a maggioranza nelle sedi europee) e arrivassimo all'Eden dello Statone Europeone, non servirebbero a nulla perché saremmo comunque di dimensioni troppo piccole!
Vedete quant'è paradossale la situazione di chi pensa in modo sbagliato? I ragionamenti sbagliati sono sempre self-defeating! Se argomenti che un certo percorso va intrapreso senza se e senza ma perché solo le dimensioni contano, all'arrivo ti accorgerai di averlo piccolo (lo Statone, ovviamente)!
Va da sé che non avevamo bisogno di Blanchard per capire che le dimensione europee sono comunque inferiori a quelle dei due altri poli dell'economia mondiale. Lo volete il disegnino? Eccolo qua:
Bisognerebbe mettere insieme le prime tre banche europee, BNP Paribas, Crédit Agricole e Santander (un matrimonio non agevole, come immaginate) per avere qualcosa di comparabile alla prima banca cinese. Ci siamo?
Ma non avevamo neanche bisogno di Blanchard per immaginare una possibile soluzione, cioè la cooperazione con paesi extra-UE nei campi in cui la massa critica potrebbe oggettivamente essere importante. Ma scusate, la Germania che cosa aveva fatto, stringendo una pace separata con la Russia in nome del gas a buon mercato!? Se non quello che Blanchard suggerisce, una cosa molto simile, e senza chiedere consigli a Blanchard ma seguendo semplicemente il proprio interesse ed il buon senso (di breve periodo).
Quindi, in qualche modo, il modello proposto da Frey e ripreso da Blanchard (rigorosamente senza citare i precedenti, perché quelli bravi non ne hanno bisogno), è già nelle cose. Il multilateralismo totalitario dell'acquis communautaire volto alla costruzione di un gigante che sarebbe comunque un nano è in fondo un colossale esercizio di ipocrisia, perché nella sua attuazione pratica ci si è sempre regolati sui rapporti di forza per costruire qualcosa di molto più simile al modello delle GFSC, qualcosa che potremmo definire polilateralismo.
Attenzione!
L'ammissione devastante di Blanchard (l'Unione Europea non sarebbe comunque grande abbastanza!) non serve ad avviare una discussione serena su quali siano gli effettivi motori della competitività e della produttività di un Paese o di una regione (hint: non le dimensioni!). Serve solo a far girare nei tubi la merda del voto a maggioranza, cioè la fine della democrazia rappresentativa a beneficio di interessi economici chiaramente individuabili, come capirete leggendo il suo articolo. Vedrete quindi che di polilateralismo si parlerà (magari dandogli un altro nome). Il potere di agenda setting di questi ruffiani è notevole: questa roba ci verrà riproposta, anche perché, oggettivamente, se non si riattacca alla canna del gas russo la Germania non dico sia finita, ma resta in grossa difficoltà (da qui il bisogno di un quadro concettuale di riferimento "alto" in cui collocare questa aspirazione tattica).
Io che ne penso?
Io ne penso quello che ne pensavo tredici anni fa: la proposta di Frey ha un senso, se però la si prende sul serio. Invece di mantenere uno scombiccherato sistema di GFSC de facto, bisognerebbe ragionare serenamente su come attuare un sistema di GFSC de jure, rimettendo in discussione, e regolando con appositi trattati, tutte le aree di cooperazione funzionale fra Paesi europei e viciniori, a partire da quella monetaria, per arrivare a quella energetica, ecc.
Lo si farà?
Certo che no!
Le alate parole di Blanchard, ripeto, nell'immediato servono solo ad addolcire la pillola del voto a maggioranza, dimostrandone (?) la necessità (e in quella direzione va anche il Migliore).
Ci riusciranno?
Su questo ho dei dubbi. Mi ricordo bene quando altri misero nei tubi la merda della regola della spesa, che poi girò per anni fino ad essere approvata lo scorso anno. Un anno dopo la sua entrata in vigore, chi la propugnò ora la contesta (vedi il post precedente). La strada sbagliata non porta mai nel posto giusto, o, se ci porta, difficilmente chi la percorre riesce ad arrivarci. L'eversione delle nostre democrazie non è la strada giusta. Non c'è arzigogolo di pensionati d'oro che possa convincerci del contrario.
Ma intanto prendiamoci il lato positivo di certi conati dialettici: Blanchard ha confessato che, anche per i fessacchiotti secondo cui grande è bello, l'UE non sarà mai abbastanza grande. Resta così, per loro, una domanda: e quindi?
Benedetti figliuoli! Qui non si riesce più a respirare! Me ne tornavo tutto tranquillo dall’incontro con la community abruzzese (incontro molto piacevole, da replicare spesso: Massimo ha proposto una cadenza bimestrale…) e mi trovo sul groppone due interviste (una con La Stampa e l’altra con Il Tempo) ma soprattutto un altro gigantesco QED (ormai si susseguono a cadenza quasi oraria)!
Vi ricordate di quando vi ho spiegato che una persona normale non avrebbe dovuto preoccuparsi dei dazi di Trump?
Questo terrore potevamo tranquillamente lasciarlo ai piddini, perché le alternative ai dazi come strumento di riequilibrio di uno squilibrio commerciale erano molto più devastanti. I dazi sono selettivi, mentre la svalutazione del cambio, o la svalutazione interna (agli Stati Uniti) no, e avrebbero effetti ben peggiori, nel senso di quantitativamente e qualitativamente più rilevanti, su di noi. Ve lo scrissi qui meno di un mese fa.
Oggi qualcuno ha rilanciato questo, che in realtà è di due giorni fa (ma io avevo le audizioni della mia commissione e me l’ero perso):
L’ottimo Liturri ci regala questo ritaglio del tanto pregiato quanto scontato articolo (non mi riferisco ai disperati tentativi del Financial Times di acquisire abbonati concedendogli sconti generosi, quanto alla sua connaturata incapacità di dire qualcosa che possa stupire un lettore di Goofynomics):
Stranamente, pare che i dazi, cioè (come dicono gli imbecilli che parlano di deportazioni) le tariffe (acqua luce gas?), saranno applicate in modo selettivo, paese per paese. Chi non avesse ancora capito perché può rivolgersi alla nostra economista di riferimento, la dottoressa Grazia Arcazzo, che è comunque doveroso seguire: in questo periodo di trionfo dell’ovvio, chi meglio di una ovvinionista può aiutarci a non perdere la bussola?
Claudio, che ha una capacità di lavoro superiore alla mia, e quindi non si era perso questo passaggio, già ieri giubilava:
Io, per dirla tutta, e non per fare pregiudizialmente il bastian contrario, non sono così sicuro che questa mossa di Trump sia così risolutiva, ma certamente, se non la fine, è almeno l’inizio della fine del progetto assurdo nel quale ci troviamo invischiati.
In un mondo razionale la fine si avrebbe in effetti nel caso opposto, cioè se gli stessi dazi venissero applicati indiscriminatamente a tutti gli Stati membri, indipendentemente dalla loro posizione commerciale nei riguardi degli Stati Uniti. In altri termini, se tutti venissero puniti per colpa dell’arroganza tedesca che ha portato la Germania a ingaggiare una svalutazione competitiva nei riguardi degli USA, allora qualcuno potrebbe chiedersi quali siano i benefici di restare legati da un progetto politico a un paese che ha queste ricorrenti pulsioni suicide, e potrebbe decidere di sciogliersi da quello che Bertinotti avrebbe definito “un abbraccio mortale” (almeno nell’imitazione che mi faceva Corrado Guzzanti). Viceversa, se il colpevole, com’è astrattamente giusto, verrà colpito più di chi non c’entra nulla, e quindi se i dazi verranno applicati principalmente alla Germania, che è il paese con il maggior surplus, potrebbe succedere una cosa diversa: che i Paesi meno arroganti non percepiscano subito il rischio di restare legati alla Germania, mentre quest’ultima, in piena consonanza con il suo stato di animale ferito, potrebbe avere reazioni inconsulte.
Tuttavia, questo ragionamento, seppure sostenuto da alcuni precedenti storici, è forse eccessivamente razionale. La politica è fatta anche di simboli, e il fatto che si decida di trattare in modo bilaterale con i Paesi membri di un progetto politico che ritiene di essere la più avanzata e performante realizzazione del multilateralismo, oppure, se volete, a livello più tecnico, il fatto che si decida di smantellare quella che nasce come una unione doganale definendo dazi diversificati per ognuno dei suoi membri, ha una carica simbolica fortissima.
Godiamoci quindi questo momento, con le sue ambiguità, e consapevoli del rischio che potrebbe essere fugace. Sento già i piddini far festa per il risultato delle elezioni di midterm (le elezioni che gli imbecilli che parlano di deportazioni e tariffe chiamano elezioni “di medio termine”, anziché di metà mandato)! Questo rischio però secondo me è basso. Esattamente come gli imbecilli che si sono stracciati le vesti per settimane ululando sui disastri che il nuovo codice della strada avrebbe prodotto hanno in realtà contribuito al suo successo, perché il loro terrorismo ha indotto tutti a una prudenza che la semplice lettura della norma non sarebbe riuscita a suggerire, la feccia prezzolata globalista che ci ha tritato le gonadi per anni con le magnifiche sorti e progressive di un mondo costruito esclusivamente per mettere i nostri lavoratori in concorrenza col lavoro a basso costo dei paesi emergenti si è spinta talmente in là che il popolo la ha in odio, non la sopporta, la schifa, la rifugge, sarebbe disposto anche a farsi del male pur di farle del male, ed è quindi tanto più disposto a farsi del bene, riappropriandosi del proprio destino, ovviamente sempre per farle del male, per liberarsi di lei. Se anche gli Stati Uniti fra due anni fossero meno di destra, il mondo sta andando a destra. La nostra personale Guerra dei trent’anni è lungi dall’essere terminata, ma l’impero è decisamente in affanno.
E siccome la cosa non mi toglie il sonno, ma anzi me lo restituisce, restituendomi anche un sorriso, con un sorriso vi auguro la buona notte! Ci sarà ancora molto da fare, ma sarà meno faticoso se, come oggi sembra, riusciremo a vedere la direzione nella quale ci stiamo muovendo e gli obiettivi che intendiamo conseguire.
(…questa la scattai il giorno in cui scrissi questo post, che resta uno di quelli cui più sono affezionato, nel luogo in cui scattai la foto riportata nel post, il luogo dove l’uomo a cavallo riposa. Per qualche motivo, pensavo che fosse un utile promemoria, ma non avrei mai sospettato che potesse essere così tanto utile. Non costringetemi a chiudere i commenti…)
(...venerdì pomeriggio al sesto piano di San Macuto c'è il deserto. Che meraviglia! Un caffettino al bar - la signora aveva appena pulito la macchina, ma mi ha odiato poco - ed eccoci qui per tornare a una delle consuetudini caratterizzanti di questo blog, il QED, il "quod erat demonstrandum", cioè un post scritto per far notare che una cosa di cui avevamo affermato l'inevitabilità si è finalmente palesata! Non sarà elegante, ma è scientifico: bisognerà pure testare le proprie ipotesi, no? Ultimamente avevamo intermesso questa pratica, ma solo perché la gragnuola di QED era così vivace da impedirci di star dietro a tutti. Bisognerà però che almeno i più importanti continuiamo a verbalizzarli, e quello di oggi è importante, oh, se lo è!...)
Al minuto 13:30: "Per noi era assolutamente chiaro già un anno e mezzo fa che Francia e Germania erano in grosse difficoltà. Questo che cosa determina dal punto di vista delle regole? Determina una cosa molto semplice: che a violarle o a chiederne un allentamento saranno come sempre Francia e Germania. Saranno loro a crearci spazio fiscale." (musica in sottofondo).
Solo una cosa: quale che sia il racconto che vi verrà fatto, sappiate che alla riunione di dicembre 2023 in cui decidemmo di mandare a stendere il MES ci era assolutamente chiaro che dei due no che erano sul tavolo (no al MES, no alle regole) quello da dire era il no al MES, perché interessava solo noi, e quindi se noi non l'avessimo detto non l'avrebbe detto nessun altro, mentre il no alle regole lo avrebbero detto gli altri, perché interessava più a loro che a noi.
Guarda caso, sta andando proprio così.
Questo si chiama pensiero strategico, e comunque tu la pensi, caro lettore, dovresti essere rassicurato dal fatto di sapere che in Italia c'è ancora qualcuno che ne è capace.
E ora divertiamoci: ce n'est qu'un début.
(...e ora faccio la spesa e torno a casa: ho un disco da montare, e spero che vi piacerà...)
Scusate, due parole di verità su un termine che probabilmente sentirete citare nei prossimi giorni in sede di discussione delle proposte di "pace fiscale": il "magazzino", oggetto dei sogni bagnati degli ortotteri.
Che cos'è il "magazzino"?
Si indica con questo termine l'ammontare dei crediti che l'erario vanta verso i contribuenti, più specificamente di quelli iscritti a ruolo, cioè delle cartelle esattoriali emesse. L'idea semplicistica è più o meno questa: i bottegai (il barista che non fa lo scontrino, Idraulik che non fa la fattura, ecc.) sottraggono all'erario mille miliardi (rectius: mille mijardi, perché la pronuncia elettiva delle cazzate lievi imprecisioni resta per me il romanesco), quindi basterebbe andare a casa dei bottegai a prenderli e come per magia abbatteremmo il debito pubblico di oltre un terzo!
Basta poco, che cce vò?
La realtà, non ne sarete stupiti, è un pochino più nuancée. Vi fornisco qualche dato per orientarvi. I dati che userò non sono recentissimi (quelli recenti li ha il viceministro Leo, più tardi glieli chiedo) ma la situazione è caratterizzata da una certa inerzialità, quindi il quadro che vi fornirò può essere considerato veritiero. Li ho tratti da questa audizione del Direttore dell'Agenzia in Commissione Finanze, svoltasi nel luglio del 2023.
La sintesi all'epoca era questa:
I miliardi complessivi erano 1153, il fenomeno riguardava 22,8 milioni di contribuenti (persone fisiche e aziende). Poco fa l'ottimo Gusmeroli mi ha citato questa fonte:
da cui si desume che negli ultimi due anni siamo passati da 1153 a 1275 (un incremento di 122 miliardi, di cui 68 nel 2024), con un tasso di crescita di poco superiore al 5% l'anno.
Nell'attesa di avere il dettaglio 2024, vi faccio vedere il dettaglio 2022, così vi fate un'idea.
E qui già cominciate a capire che la favoletta dei "mille mijardi" non corrisponde esattamente alla realtà. Al netto dei soggetti falliti, dei soggetti deceduti, dei nullatenenti (anagrafe tributaria negativa) e dei contribuenti già soggetti ad azione cautelare o esecutiva (pignoramenti, ecc.), il magazzino residuo netto si riduce a 114 miliardi, di cui circa 79 di crediti verso l'erario, 24 di crediti verso gli enti previdenziali, e il resto di crediti verso altri enti (enti locali, consorzi di bonifica, ecc.).
Sempre tantissima roba, siamo d'accordo, ma dovremmo poi ragionare sul perché continuiamo a raccontarci che possiamo riscuotere somme che all'atto pratico si sono dimostrate inesigibili...
Un altro spaccato interessante riguarda quando sono sorti questi crediti:
Il 29% dei crediti è sorto nel decennio 2000-2010: diciamo, per avere un ordine di grandezza, che in quel decennio ogni anni ha contribuito al 3% dell'attuale magazzino (ragionamento grossolano, lo ammetto in partenza). Il 59% dei crediti è sorto nel decennio successivo, quello dell'austerità: diciamo che in quel decennio ogni anno ha contribuito al 6% dell'attuale magazzino, cioè a circa il doppio di quanto era accaduto prima. I benefici dell'austerità sono evidenti. Nel biennio 2021-2022 ogni anno ha contribuito a circa il 6% del magazzino (e qui si vedono pandemia, guerra, ecc.).
La tabella che mi affascina di più, però, è questa:
Il 47,6% dei contribuenti inseguiti dall'Agenzia (che fa bene ad inseguirli, sia chiaro!) hanno debiti fino a 1000 euro, cioè relativamente irrisori, che corrispondono allo 0,9% del totale del carico residuo (cioè del "magazzino"). Di converso, il 69,0% del carico residuo, cioè oltre due terzi del magazzino, è in capo ad un 1,3% di grandi debitori, circa 296000 contribuenti che hanno debiti superiori al mezzo milione di euro.
Questi dati in linea di principio suggerirebbero che c'è un problema di grandi "evasori" (metto le virgolette perché l'esistenza di una cartella non presuppone che ci sia stata la volontà di evadere, ma solo l'impossibilità di pagare) da cui non si riesce a riscuotere, perché nel frattempo occorre gestire amministrativamente il restante 98,7% di piccoli e medi debitori. Va però capito che queste tabelle andrebbero lette in modo organico, cioè incrociate fra loro, e questo grado di dettaglio io non ce l'ho e quindi non posso darvelo. Ad esempio: se i soggetti deceduti o falliti si concentrassero tutti, per qualche cinico scherzo del destino, in quell'1,3% di grandi "evasori", è chiaro che i 796 miliardi circa da loro dovuti ce li saremmo fumati tutti. Di converso, partendo invece dalla Tabella 3, non è chiaro quanto dei 114,18 miliardi potenzialmente esigibili siano costituiti da crediti minimi, medi, o massimi. Non mi ricordo se questi dati ci siano mai stati forniti, me ne accerterò.
Infine, un minimo di dettaglio sui precedenti tentativi di "pace fiscale":
(sotto i governi Renzi, Gentiloni e Conte I). Io in particolare gestii in Commissione Finanze del Senato il DL 119/2018 (con l'ottimo Massimo Bitonci), quello cui, come vedete, aderirono un milione e 450.000 contribuenti, cui si poteva aderire entro il 30 aprile 2019 e da cui ci si aspettava di riscuotere 26,3 miliardi (che sarebbero stati circa un quarto dei crediti effettivamente esigibili) secondo questo meccanismo:
due maxirate iniziali pari al 10% del dovuto, e il resto in sedici rate tutte uguali a partire dal 28 febbraio 2020. Giusto per farvi capire che molti contribuenti sono entrati nel lockdown che ha azzerato i loro fatturati dopo essere stati adeguatamente munti della loro liquidità (poi ci saranno stati i furbi, eccetera: anche su questo sarebbe utile avere un maggiore dettaglio). Se si tiene conto di questo dato, e del fatto che la pandemia ha determinato una complicatissima vicenda di sospensioni della riscossione, riammissione in termini di alcuni soggetti decaduti, ecc., il fatto che a fine 2022 questo provvedimento fra riscosso e quota abbonabile (sanzioni e interessi) abbia ridotto il magazzino effettivamente esigibile di 10 miliardi (meno della metà del totale previsto) non può essere considerato un pessimo risultato. Diciamo che la ter non è andata peggio delle due edizioni precedenti, pur essendo entrata a regime nel periodo più disastroso della storia italiana, in particolare per le partite IVA.
Tanto vi dovevo.
Molti di voi queste cose le avranno sapute, altri no, saperle è utile.
Dichiaro aperta la discussione generale (e ci vediamo dopo a L'Aria che tira...).