domenica 19 gennaio 2025

Svalutazione e dazi

Al prossimo piddino che si straccerà le vesti dicendovi che "Oddio! Adesso arriva Trump, mette i dazi e siamo rovinati, l'economia rallenterà, poveri noi, che ne sarà della nostra economia, [ecc. ecc. ecc.]" suggerisco di rispondere con un asciutto: "Magari! Hai mai pensato a quale sarebbe l'alternativa?"

Poi, approfittando del suo sconcerto, spiegate non a lui, ma agli astanti, perché i dazi potrebbero essere un'alternativa preferibile. Ma prima cercate di capirlo voi! Provo a spiegarvelo...

Parto da una constatazione ovvia. Un Paese che si trova in una simile situazione di squilibrio con l'estero:


qualcosa dovrà pur fare: al limite niente, nel qual caso i mercati penseranno a correggere lo squilibrio, riallineando il valore della sua valuta!

Può essere utile ricordare come vennero corrette le due precedenti situazioni di squilibrio. Quella dei primi anni '80, causata dall'apprezzamento del dollaro a sua volta causato dall'innalzamento dei tassi di interesse Usa (Volcker shock), fu curata svalutando il dollaro, cioè facendo apprezzare lo yen (accordi del Plaza). Lo si vede bene mettendo insieme il tasso di cambio reale con il saldo delle partite correnti:


Il secondo squilibrio, quello che culmina attorno al 2006, fu corretto dalla Grande crisi finanziaria (a partire dalla crisi dei subprime nel 2007).

Ora, escludendo (nell'interesse di tutti) uno scenario globale catastrofico, ed escludendo l'applicazione di politiche di austerità da parte del Governo degli Stati Uniti, per correggere lo squilibrio dal lato delle importazioni Usa (distruggendo l'American way of life e un nostro significativo mercato di sbocco), i due elementi che possono contribuire a "chiudere" abbastanza rapidamente il gap fra importazioni ed esportazioni sono un riallineamento del cambio e l'imposizione di dazi.

Il riallineamento è chiaro come dovrebbe operare: dato che gli Usa sono in deficit e l'Eurozona in surplus, il dollaro dovrebbe cedere (simmetricamente: l'euro dovrebbe rafforzarsi). Una svalutazione del dollaro poniamo del 10% (la si potrebbe facilmente avere nell'arco di un anno, è già successo di peggio in passato) per il cittadino statunitense avrebbe effetti indiscriminati: implicherebbe che tutti i prodotti di ogni Paese che adotta l'euro (quindi anche tutti i prodotti italiani) aumenterebbero di prezzo del 10%. Diciamo che per noi non sarebbe il massimo, soprattutto considerando che non siamo i principali responsabili dello squilibrio commerciale verso gli Usa:


I dazi, che tanta preoccupazione suscitano, consentono invece un'applicazione selettiva. Volete un esempio? Eccolo qua:


Nel quadro di una delle più lunghe dispute commerciali fra Stati Uniti ed Europa, quella fra Boeing e Airbus, nel 2019 gli Stati Uniti decisero di imporre un dazio ritorsivo sui vini provenienti da Francia, Spagna, Germania e Regno Unito.

E sui nostri?

Sui nostri no (per ovvi motivi: non davamo fastidio).

Questo, ovviamente è solo un esempio, un aneddoto, il cui plurale non sarebbe "dati". Tuttavia, i dati dicono che durante la temibile epoca dei "dazzzi di Trump" (diciamo dal primo trimestre del 2017 all'ultimo del 2019, perché poi c'è stato l'Armageddon che ricorderete) le nostre esportazioni verso gli Usa sono cresciute del 22%, quelle francesi del 20%, quelle tedesche dell'11%:


 L'atteggiamento di Trump è sempre stato favorevole ad accordi bilaterali:

e continua ad esserlo. Tanto meglio. Il nostro Paese, il nostro Governo, per inciso anche il mio partito non sono posizionati male, non devono, almeno in teoria, temere mosse aggressive. Lo stesso non può dirsi di altri Paesi e di altri Governi (quelli ai quali già la prima volta non andò benissimo).

Mi sembra quindi ovvio che fra un aggiustamento di mercato che comporterebbe una indiscriminata perdita di competitività per tutti i nostri prodotti (perché tanto per cambiare il valore della nostra moneta risulterebbe artificialmente gonfiato in conseguenza delle politiche della Germania) e interventi mirati dell'amministrazione Usa per ridurre gli squilibri bilaterali più fastidiosi e artificiali (determinati dal fatto che la Germania continua a godere di un cambio per lei eccessivamente favorevole) non c'è dubbio su quale sarebbe la soluzione preferibile per noi.

Vedo più difficile che l'amministrazione Trump ci lasci proseguire sulla strada della svalutazione competitiva dell'euretto, che vi ho documentato qui, e alla quale del resto già nel primo mandato Trump aveva in qualche modo messo un freno.

E la morale della favola è che, salvo prova del contrario che saremo lieti di valutare insieme, sia per il passato che per il futuro, vale per i dazi quello che vale per tante altre cose: se gli operatori informativi ce ne parlano tanto è perché, alla fine, non sono poi così rilevanti per noi.


(...il che non esclude, ovviamente, che non siano un bello e meritato stress test per il progetto leuropeo: ma questo ci preoccupa?...)

11 commenti:

  1. Buonasera,

    a proposito del deficit statunitense, mi chiedevo: non è condizione normale (o forse addirittura necessaria?) per la potenza dominante essere in deficit con l'estero? In altri termini, se il resto del mondo ha bisogno di una quantità crescente di dollari come valuta di riserva, questo non implica che gli USA dovranno necessariamente essere in deficit col resto del mondo? Una specie di paese esportatore, che però esporta dollari al posto del petrolio, o come diceva Friedman: "scambiamo con l'estero pezzi di carta in cambio di beni".

    (Da Google-nomista :-) leggo che questa cosa si chiama "Dilemma di Triffin").

    Quindi chiedo: riusciranno gli USA, anche coi dazi, ad azzerare il deficit se non in maniera solo temporanea (come accadde 40 anni fa)? E se anche riuscissero, questo non determinerebbe nel lungo termine una necessaria sostituzione del dollaro come valuta di riserva? In altre parole, voler essere il Paese egemone con la valuta di riserva, e contemporaneamente non essere in deficit, non è come volere la botte piena e la moglie ubriaca? E facendo infine un paragone con la Cina, non è esattamente il fatto che la Cina voglia mantenere un surplus (come la Germania...) a impedire che il Renminbi possa affiancare o sostituire il dollaro?

    Grazie per le sue riflessioni.

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    1. Ho verificato e in effetti sei con noi da due o tre anni, quindi va bene così. Cominciamo da qui?

      https://goofynomics.blogspot.com/2012/09/liquidita-o-compensazione-quale-bretton.html

      In generale, se cercate una cosa su Google conviene cercarla anche qui. Basta scrivere, ad esempio:

      Triffin site:goofynomics.blogspot.com

      nella stringa di ricerca Google per trovare quello che i frequentatori del blog hanno detto su un certo argomento (ad es.: su Triffin).

      Questo se si vuole aggiungere: ma, come dice Claudio, è utile anche ripetere.

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  2. Post Scriptum: mi rendo conto che il mio commento è forse più orientato al lungo termine e quindi possibilmente un po' fuori tema con questo post che si riferisce, se vogliamo, al "qui e ora", cioè ai dazi da qui ai prossimi anni.

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  3. Interessante e pieno di spunti ma non sono sicuro che per gli Stati Uniti sia disponibile la leva della svalutazione del dollaro (dato che come sa perfettamente sono il collettore del risparmio del resto del mondo).
    Anzi, probabilmente nel loro caso la situazione é ancora più complessa: avendo un eccesso di capitale rispetto alle esigenze di investimento é probabilmente invertito il rapporto di causalità tra disavanzo corrente e “avanzo” del conto finanziario della bdp: sarebbe il surplus sul conto finanziario (che é indebitamento però) a causare il disavanzo del conto corrente (ossia l’opposto di quello che accadde nelle altre economie).
    Ad ogni modo sarei piuttosto prudente circa la loro effettiva capacità di riequilibrare la bilancia commerciale (al di là del dibattito economico sull’efficacia dei dazi piuttosto che sulla questione che ponevo prima e che in realtà evidenziava anche Carli a suo tempo) per ragioni prettamente politiche: l’amministrazione Trump ha si promesso più dazi (e meno inflazione e già questo é contraddittorio, almeno in parte) ma ha anche (e soprattutto) promesso un poderoso taglio fiscale (e anche un probabile aumento della spesa)…..ho come il sospetto che questo effetto di espansione dei consumi finisca con il mangiarsi l’effetto protezionistico sul saldo con l’estero (ma vedremo).
    Rimanendo sul punto politico concordo perfettamente: sfruttare l’affinità politica (nonché le relazioni personali) potrebbe essere un ottimo modo per ritagliarsi una condizione privilegiata nella nuova “guerra commerciale” (legittima per le ragioni che conosciamo: la colpa é della Germania).
    Invece, volendo anche azzardare, se l’Italia volesse capitalizzare al massimo questo stato di cose ne’ approfitterebbe per far rivalutare nominalmente l’ex area del marco (come favore agli Stati Uniti e a noi stessi direi…).
    Venendo invece a cose ben più probabili invece, mi preoccupa particolarmente la vera conseguenza non adeguatamente analizzata (dai giornali, che strano…) della guerra commerciale americana: ossia i dazi alla Cina (ben più certi e soprattutto consistenti di quelli rivolti al resto d’europa e dell’america). In questo senso,volendo ipotizzare, sarebbe lecito pensare che i cinesi reagirebbero attraverso una svalutazione dello yuan (oltre alle triangolazioni); se ciò fosse vero immagino che eviterebbero di irritare ulteriormente gli americani usando il dollaro per la svalutazione e piuttosto scaricherebbero l’onere dell’intervento monetario sulle altre divise, euro in primis (un po’ come il 2014).
    Se questa ipotesi fosse vera anche solo in parte il vero costo dello scontro commerciale tra le due sponde del Pacifico verrebbe scaricato sulla zona euro (in tal caso un motivo in più per abbandonare il vaso di coccio, indifeso e preso di mira da americani e cinesi).

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    1. Aridanga!

      Posto che io non posso che essere fiero di avere dei lettori più evoluti del lettore medio di Repubblica, e anche ammettendo (con tutta una serie di precauzioni) che il compito del blog sia l’eterna ripetizione dell’uguale, mi preme tuttavia sottolineare che molte cose che sono nel dibattito ci sono perché ce le abbiamo messi noi. Il quadro analitico nel quale si situa il commento di Giacomo, come quello di Murmur, è sostanzialmente quello del mio articolo del 2009 su China Economic Review, e sull’attualità del dilemma di Triffin ci siamo lungamente intrattenuti, contro l’opinione di chi lo ritiene oggi irrilevante, argomentando che il problema sarebbe stato determinato solo dall’aggancio con l’oro.

      D’altra parte, se concludo dicendo che questa materia non è poi così interessante è perché lo penso, e lo scopo limitato di questo intervento è quello di fornire strumenti dialettici a chi ancora spara sulla Croce Rossa piddina. La domanda sostanziale andrebbe ovviamente posta a un altro livello, ovvero perché non si convochi quella nuova Bretton Woods di cui tanto si sente sproloquiare a intervalli di tempo ricorrenti. La risposta è al tempo stesso semplice e complessa. Tenendoci la parte semplice, dobbiamo constatare che chi detiene il potere di emissione del principale strumento di liquidità mondiale difficilmente vuole cederlo o condividerlo. D’altra parte, se gli Stati Uniti fossero veramente così gelosi (intendo così esclusivamente gelosi) del ruolo del dollaro come riserva internazionale di valore, mi sembra chiaro che ne avrebbero evitato la weaponization durante l’ultima crisi con la Russia, per i motivi che mi pareva di aver accennato nel post su leuretto, cioè perché gli investitori dei paesi emergenti potrebbero non guardare con favore una valuta che li espone al sequestro delle loro attività. A sostegno della parte originale del tuo commento, possiamo notare come questo gesto aggressivo sia in realtà tornato a danno dell’euro, dato che fra l’originale e la copia chi deve scegliere preferisce l’originale. Se posso, esprimerei comunque un certo scetticismo circa l’ipotesi di una “valuta dei BRICS” di cui regolarmente si parla. Qui in Europa dovremmo essere abbastanza immunizzati scemenze simili, visto che quotidianamente constatiamo la difficoltà di gestire una valuta unica fra paesi che sono tutto sommato più omogenei di quanto non lo siano fra loro i BRICS. Dove sarebbe la sede della BCB (BRICS Central Bank)? D’altra parte, sarà che essendo in questo business da una ventina d’anni certe storie mi appaiono usurate, ma al fatto che il renminbi possa soppiantare il dollaro credo quanto al fatto che “domani” la Cina crollerà. Questa roba qui mi sembra un’applicazione della terza legge di Bagnai. Sul messaggio complessivo, ovviamente concordo: siamo di fronte a uno scenario di indebolimento del progetto europeo, ma più per demerito intrinseco che per aggressione esterna. Sicuramente gli Stati Uniti non possono continuare ad accettare la protratta svalutazione competitiva dell’euro. Altrettanto sicuramente credo sia difficile nel panorama attuale, immaginare una rivalutazione degli altri paesi (quindi dell’euro) di proporzioni simili a quella applicata al Giappone a metà anni 80, semplicemente perché sarebbe troppo destabilizzante. È in questa ricerca di un difficile equilibrio che si situerà il ricorso allo strumento dei dazi, rispetto ai quali questo post voleva semplicemente evidenziare il dato non particolarmente stupefacente che sono uno strumento selettivo.

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  4. Perfetto. I dazi sono modulabili per valore, per prodotto e per paese, mentre il cambio colpisce orizzontalmente, ad alzo zero. Potendo scegliere tra i due...
    Il libro di Robert Lighthizer "No trade is free: Changing Course, Taking on China, and Helping America's Workers" spiega molto bene come Trump intende usare i dazi. Lighthizer è l'ispiratore delle politiche sui dazi di Trump, anche se come segretario al commercio è stato scelto Howard Lutnick (uno cui l'attentato alle Twin Towers ha portato via due terzi dei dipendenti e un fratello). Lo scopo dei dazi è quello di arrivare a degli accordi per limitare gli squilibri. Se non si arriva ad un accordo, i dazi equilibrano. Trump non sarà un fine dicitore della politica, ma certo è un pragmatico. Se ne è accorto anche il Sole24ore di oggi 19 gennaio in un timido commento di Fabrizio Onida. Secondo il commento, i dazi alla Cina possono portare Pechino a sostenere (finalmente) la domanda interna, oggi debole proprio perché la Cina privilegia la ricerca di surplus con l'estero. Si porrebbe così un po' di rimedio ad uno squilibrio macroeconomico evidente. Inoltre, si potrebbe verificare (e si sta già verificando) una robusta ripresa degli IDE, per investire in paesi non soggetti a dazi. Il che sarebbe un bel rimescolamento di carte nella globalizzazione.
    A me sembra che nella diffusione del terrore sui dazi vi sia proprio il timore che la globalizzazione che ha avvantaggiato qualcuno stia finendo. Chi alimenta il vento della disperazione è chi teme di perdere posizioni: è sempre la solita storia.
    Chi ha cavalcato la globalizzazione sinora è la Germania, che ha applicato dei dazi virtuali alle importazioni. Correggimi se sbaglio, ma salari depressi significano bassi consumi e basse importazioni. Se aggiungiamo gli investimenti zero, ne risulta che la Germania ha tenuto compresso il proprio mercato interno, impedendo alla concorrenza estera di penetrarvi, ottenendo lo stesso risultato dei dazi.
    Quindi insomma, chi piange è chi ha più da perdere.

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    1. Porello Onida! Arriva ora col ribilanciamento del modello cinese sulla domanda interna! Se ne parla da 20 anni, e non è accaduto, esattamente come non è accaduto il riequilibrio del modello tedesco sulla domanda interna. I motivi nel caso della Cina sono evidenti: come puoi pensare che un paese che stai trasformando sempre più (via transizione energetica) nella fabbrica del mondo possa poi campare sulla domanda di un pezzo di mondo (cioè sulla propria domanda)?

      In realtà, la posta in gioco è esattamente quella che dici tu: un ripensamento della globalizzazione. Alla Cina fa ovviamente gioco tenerci per il collo, e quindi al suo ruolo di egemonia dal lato dell’offerta non vedo come potrebbe rinunciare. Non credo quindi che la Cina sia disposta a ripensare un modello che noi abbiamo concepito e realizzato e dal quale lei si è trovata a ricevere un beneficio esorbitante. D’altra parte, gli Stati Uniti non sono animati solo dal movente di mantenere la propria supremazia finanziaria, movente sottolineato da alcuni commenti precedenti, ma ora devono anche seriamente porsi il problema della propria classe media e di come su essa impatti la deindustrializzazione. Qui gli incentivi a un ripensamento sono maggiori.

      Per il resto, tecnicamente le cose stanno esattamente come dici tu: la svalutazione interna, praticata ampiamente e in anticipo dalla Germania, equivale a forzare una rivalutazione del tasso di cambio reale altrui. Lo stesso obiettivo si può ottenere imponendo un dazio sui prodotti altrui. Fa sorridere amaramente che chi ha condannato paesi un tempo prosperi alle logiche della svalutazione interna si preoccupi oggi per l’impoverimento che i dazi da parte degli Stati Uniti potrebbero causare. È un dibattito abbastanza surreale, che esiste solo per difendere degli interessi costituiti, come tu sottolinei, e solo perché l’analfabetismo economico è particolarmente diffuso.

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  5. tutto chiaro, mi chiedo in che modo impatterà la politica di mercatizzazione delle criptovalute nella guerra valutaria e commerciale che il duo Trump/Musk sembrano intenzionati ad intraprendere; d'altra parte i dazi, cosa buona e giusta, favoriscono però anche i mercati extra cinesi (UE in primis) e il dollaro non si può svalutare molto sul mercato dei cambi per ovvi motivi di solidità geopolitica. In tutto questo bailamme la UE, perseguendo politiche implosive, è la vittima sacrificale di una resa dei conti decisa evidentemente altrove, a cui non sa, o non vuole, dare risposta. ps ma Giorgetti non lo vede il disegno macro? Forse è il momento di fare la voce grossa a Bruxelles

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    1. A parte quello che hanno detto anche altri: da che cosa si capisce che Giorgetti non veda il disegno macro? Se me lo dici, quando lo incontro glielo dico.

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  6. Sempre a proposito di queste schermaglie commerciali, qual è il ruolo del gas?
    Leggevo questa mattina un articolo sul FT (https://www.ft.com/content/e33d9eec-b34c-4afc-8948-dda91ccbb70d) che evidenziava come Trump starebbe ponendo all'UE l'alternativa tra maggiori dazi o comprare più gas statunitense. Immagino che una mossa del genere danneggerebbe soprattutto l'industria tedesca (che però forse il colpo più grosso lo ha già preso dal 2022 con l'escalation della guerra in Ucraina e i successivi sviluppi con Nord Stream), ma nemmeno per noi sarebbe una gran mossa penso visto che rimaniamo nonostante tutto la seconda manifattura d'Europa.
    Tra l'altro un interessante grafico presente nell'articolo mostra che, nonostante la crescita nelle importazioni di gas russo da parte dell'UE negli ultimi anni (nel 2024 si è toccato un massimo), i principali paesi importatori sono Spagna, Francia, Olanda e Belgio (Italia e Germania non ci sono quindi): ora, non ho ben chiaro sinceramente se i Paesi importatori sono anche poi quelli che utilizzano effettivamente il gas importato o se almeno una parte viene trasferita verso altri Paesi UE, però se così non fosse vorrei capire come mai ci sono Paesi UE che importano molto più gas russo (che dovrebbe essere a più buon mercato rispetto a quello proveniente da altri Paesi) rispetto ad altri e se questo ci danneggia come Paese anche in termini di competitività rispetto a Paesi quali Francia e Spagna.
    Magari ne ha già parlato e/o scritto di questo tema, nel caso mi scusi se la costringo a ripetersi :)

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