martedì 7 gennaio 2025

Shock di offerta e come produrli (il fallimento del green)

Sono molto contento di essere tornato qui, a passare un po’ più di tempo con voi. La cloaca nera non consente di organizzare un dibattito, elaborare un pensiero, ritrovare e referenziare nei suoi gorghi tumultuosi il materiale utile che pure vi si troverebbe, ma che viene immediatamente travolto da ondate e ondate di sterco. Gli scambi sono troppo estemporanei e rapidi, lo spazio è comunque compresso, anche dopo l’allargamento del vincolo sul numero dei caratteri (allargamento di cui non sono mai stato un granché entusiasta, come di altri allargamenti, perché trovavo interessante la dimensione epigrammatica, mentre trovo snervante "er microblogghinghe"...).

Poche settimane di lavoro qui hanno riattivato il dibattito fra di voi, consentendoci di mettere a fuoco i nostri argomenti e permettendo ai più curiosi di sottoporci tanto materiale interessante. Hanno anche messo in evidenza, queste poche settimane di lavoro, un fenomeno abbastanza peculiare e solo apparentemente paradossale. Accade infatti che, con una certa regolarità, siano proprio gli interlocutori teoricamente più favorevoli al “mercato”, al “liberismo”, a trovarsi completamente digiuni dei rudimenti di quella cosa che gli “studiati“ chiamerebbero basic economic reasoning. Non una grande scienza: semplice buon senso, quello di qualsiasi massai*. Non a caso qui coniammo la definizione di "spaghetti-liberisti": perché questi araldi del libero mercato nulla sanno né di libertà, né di mercato, e sprecare per loro una categoria tutto sommato dotata di una sua dignità intellettuale come quella di "liberismo" ci sembrava un insulto alla storia del pensiero economico, ma anche, più semplicemente, un insulto al pensiero.

Fra gli adepti di questo orientamento, che ha in Oscar Giannino il suo esponente più rappresentativo, abbiamo qui fra noi l'amico Marco, che mi dispiace di aver deluso. Fatto sta che il suo ragionamento secondo cui "una moneta è migliore di un'altra se ha i tassi più bassi" proprio non tiene! Quale che sia il mercato, il prezzo migliore è quello di equilibrio, non "il più basso". Un prezzo troppo basso infatti incentiva una domanda eccessiva da un lato, e deteriora la qualità del prodotto dall'altro (perché per soddisfare l'eccesso di domanda bisogna necessariamente abbassare gli standard di produzione: lavorare più in fretta, utilizzare materie prime meno pregiate, ecc.).

Questo vale in modo particolarmente plateale nel mercato del credito!

Dal lato della domanda, cioè di chi chiede un mutuo, tassi di interesse troppo bassi incentivano le famiglie a indebitarsi in modo eccessivo per sostenere i propri consumi ("Prendi oggi e paghi in 36 rate a partire da Natale prossimo!") e i propri investimenti immobiliari (con la creazione di bolle immobiliari cui abbiamo assistito in Spagna, ma non solo). Inoltre, tassi troppo bassi sui depositi o su altri strumenti tradizionali a basso rischio di investimento del risparmio spingono le famiglie ad assumere rischi eccessivi (perché la loro ricerca di prodotti finanziari più remunerativi li porta ad acquistare prodotti molto più rischiosi). Il pensionato di Civitavecchia è stato ucciso precisamente da questa distorsione del mercato.

Ma anche dal lato dell'offerta (cioè delle banche) un tasso troppo basso crea problemi: intanto, crea un incentivo a recuperare sui volumi quello che si perde sul margine, e quindi in definitiva a elargire credito in modo non particolarmente accurato (e deriva da qui, cioè dal tentativo di arginare questa distorsione, l'onere regolatorio che l'Unione Bancaria impone agli istituti di credito). Poi, a tendere sposta l'attività delle banche da quella di intermediazione del risparmio (raccolta di depositi, erogazione di prestiti) a quella di outlet di prodotti finanziari (rischiosi), rendendo piuttosto complicata la vita alle tante medie, piccole e microimprese per le quali il credito bancario potrebbe ancora essere una (fisiologica) fonte di finanziamento. Non c'era nulla di buono nel fatto che i tassi greci o italiani fossero uguali a quelli tedeschi, e chi non ha capito prima che questa era una gigantesca distorsione del mercato l'ha, in molti casi, dovuto capire dopo.

Poi c'è anche chi non lo capirà mai, come Marco, ma noi gli vogliamo comunque bene.

Oggi però volevo parlarvi di un'altra cosa che Marco credo non capirà (il che non ci impedirà di continuare a volergli bene). Ci riflettevo oggi,


mentre scendevo verso Roma dai non abbastanza gelidi altopiani d'Abruzzo, sotto un cielo livido, frustato da una pioggerellina puntuta e gelida. Continuavo a rimuginare uno dei grafici che avevo commentato con voi:

(qui), un grafico tutto sommato sorprendente perché mostra come il pass-through fra costi internazionali dell'energia e inflazione nazionale non sia poi stato alterato in modo drammaticamente significativo dall'entrata nell'Unione economica e monetaria: negli anni '70 inflazione al 20% con un incremento dei prezzi dell'energia del 200%, negli anni '20 inflazione all'8% con un incremento dei prezzi dell'energia dell'80%...

Da questa riflessione sugli shock di offerta e su come le loro conseguenze nel tempo tutto sommato non siano cambiate, nonostante la continua e profonda evoluzione delle tecnologie e delle istituzioni, il mio pensiero andava a una considerazione svolta da Blanchard nel suo commento al rapporto Draghi.

Ve la copio qui sotto:

Nel suo compitino Draghi deve naturalmente dire che il "green" sarà (o dovrà essere) un motore di sviluppo ecc. ecc. Blanchard gli spiega asciuttamente perché non potrà esserlo. Non potrà esserlo perché la lotta al cambiamento climatico condotta all'interno del paradigma predominante (quello degli effetti climalteranti della CO2), equivale a trasformare la CO2 da prodotto di scarto (in quanto risultato della combustione) in una materia prima come il petrolio (in quanto i produttori devono acquistare il "permesso" di emetterla, o devono spendere in altro modo per non emetterla), imponendo su di essa un prezzo artificialmente alto al preciso scopo di contenerne l'utilizzo.

Ne consegue che il green è un gigantesco shock di offerta, che in quanto tale non può che avere effetti recessivi.

Insomma: il "green" è uno spostamento dall'equilibrio E all'equilibrio E' nel modello keynesiano standard:


modello che vi spiegai qui, non a caso a proposito dell'incremento delle bollette (segnalo che, come il post prevedeva, lo científico non volle restare al governo...).

Nota bene: non mi interessa, e non deve interessare neanche a voi, in questa sede, confutare o contestare il paradigma! Ci inchiniamo, ci prosterniamo, ci prostriamo ai piedi del paradigma! A me sta benissimo (no!) pensare che le cose stiano esattamente così, che ogni mio atto espiratorio comprometta gli equilibri del globo.

Va bene.

Fatto sta che, se ragioniamo così, in termini economici stiamo trasformando uno scarto in una materia prima, stiamo insomma rendendo la CO2 una cosa analoga al petrolio, e quindi il suo desiderato, auspicato incremento di prezzo di fatto equivale a uno shock petrolifero, come quelli degli anni '70.

Ne derivano alcune conseguenze piuttosto ovvie: intanto, per questi motivi il green avrà un impatto inflazionistico sulla nostra economia, impatto difficile da quantificare (perché non credo che esistano ad oggi le basi statistiche per farlo, dato che lo stesso quadro normativo è in continua evoluzione), ma che si può prevedere sarà molto protratto nel tempo. Siamo in mano, come nota Blanchard, a un elemento imprevedibile: la rapidità del progresso tecnologico. Finché questo non ci condurrà nell'Eldorado di tecnologie superiori e a buon mercato, la conseguenza dello shock di offerta autoinflitto sarà un clima economico recessivo, una perdita di potere d'acquisto delle famiglie e di competitività delle imprese, mentre il vasto resto del mondo, fottendosene del paradigma, prospererà e ci inonderà dei suoi prodotti "sporchi".

Basic economic reasoning.

Quanto occorrerà ancora per capire che questo progetto politico danneggia la nostra libertà (come oggi gli ha rinfacciato perfino Pan di Zucchero!) perché distorcendo le più elementari regole economiche provoca inevitabilmente un malcontento che può essere gestito solo in chiave repressiva?

Le due cose vanno insieme: distorsione del mercato e censura del pensiero sono due forme di coartazione della libertà e sono l'una la causa dell'altra, in una spirale al ribasso di cui non si vede la fine, nonostante le evoluzioni che segnalavamo nel post precedente.

Ci vorrà molta pazienza e molta attenzione...

29 commenti:

  1. “ Sono molto contento di essere tornato qui, a passare un po’ più di tempo con voi”.
    E noi siamo molto contenti di questa scelta. E quando dico Noi intendo sia quelli che qui commentano che, soprattutto, quelli come me che non essendo qui dall’inizio, stanno in silenzio, studiano e imparano…anche se sono bloccati sulla cloaca nera.
    Ora posso leggere l’articolo

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  2. Blanchard però scrive della CO2 (o Co2, il dicobalto come scrivono taluni piddini) o qualunque altro gas serra. Insomma, che si prenda questo o quello non ha importanza quanti e quali danni ha sulla salute, basta che gli si dia un prezzo per dare un senso alla guerra senza quartiere al cambiamento climatico, laScienza si adeguerà a reti unificate così come gli operatori informativi si prodigheranno di farcelo sapere.
    Questo spiega anche con quale superficialità non hanno compreso in quale vicolo cieco si sono voluti infilare.

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    1. Una delle conseguenze della vittoria di Trump, cioè del fatto che votare serve, è che ora la diffusione non sarà più a reti unificate. Perfino pan di zucchero ha dovuto cambiare business model, anche se questo non gli è stato possibile in Europa, il che si rifletterà in modo deleterio sull’immagine dell’Unione Europea, adeguandola a quella che sappiamo esserne la sostanza: quella di un regime totalitario. Ora sarà impossibile nascondere che è così.

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  3. [quote]Quanto occorrerà ancora per capire che questo progetto politico danneggia la nostra libertà (come oggi gli ha rinfacciato perfino Pan di Zucchero!) perché distorcendo le più elementari regole economiche provoca inevitabilmente un malcontento che può essere gestito solo in chiave repressiva?[/quote]

    Penso che quello sia l'obiettivo. E penso che quello sia l'obiettivo anche delle sanzioni alla Russia.

    (A proposito, sarebbe interessante un'analisi dell'economia russa, che secondo i sinistrati, grazie alle sanzioni, sarebbe al collasso.)

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    1. Sull’economia russa, consiglio sempre di seguire Jacques Sapir. Io non riesco a star dietro a tutto, ma magari più avanti diamo un’occhiata.

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  4. Le rinnovabili, se riusciranno a superare i problemi che ne limitano lo sviluppo tecnologico, servono a sostituire risorse fossili in via di esaurimento. Quello che gli "abbondantisti", di cui fanno parte tutti gli economisti, non comprendono, è che il redde rationem è più vicino di quanto si pensi. Allora sì che ci sarà un colossale "shock di offerta.

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    1. Wow! Quindi mi stai dicendo che il petrolio non è finito nel 1921? Perché la prima previsione era questa e la trovi anche su Wokepedia:

      https://en.m.wikipedia.org/wiki/Predicting_the_timing_of_peak_oil

      Come esempio di incapacità di basic economic reasoning e di strategia di comunicazione inefficace non c’è male!

      La storia del Green altro non è che un corollario del teorema di Bagnai, quello che afferma che tutto quanto ci è stato detto che accadrebbe uscendo dall’euro accadrà dentro l’euro (e infatti sta accadendo). Il corollario è semplice: tutto quello che ci hanno detto che accadrà quando il petrolio terminerà, sta accadendo in abbondanza di petrolio. Come ho più volte detto, ma mi fa molto piacere ripeterlo qui, l’idea che i giacimenti di petrolio siano come il cassone dell’acqua del condominio, tale per cui arrivato in fondo improvvisamente non ce n’è più, è, come dire, lievemente imprecisa dal punto di vista geologico. Anche escludendo le teorie abiotiche e restando nel paradigma della risorsa limitata, in tuttissima evidenza lo shock causato dalla progressivo esaurimento delle risorse fossili sarebbe molto meno impattante di quello che abbiamo causato decretando arbitrariamente la fine del loro utilizzo: gli incrementi di prezzo sarebbero più graduali, e guiderebbero una transizione più graduale e tecnologicamente neutrale verso le nuove energie, che non hanno solo problemi di sviluppo tecnologico, ma anche di disponibilità di materie prime, e di distruzione dell’ambiente connessa alla necessità di accaparrarsele, per non parlare poi dei problemi geopolitici che il passaggio dall’una all’altra classe di materie prime genera. Sono veramente stupito che si ragioni in termini così semplicistici nel 2025. Però, se è così, meglio saperlo!

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    2. Il petrolio convenzionale ha "piccato" da tempo, come si vede nel grafico contenuto in questo mio post https://www.facebook.com/share/p/15c4W8Quyd/
      La domanda mondiale è oggi garantita da tight oil e shale gas americani, risorse effimere e di breve durata.
      Purtroppo le rinnovabili sono ancora molto lontane da poter sostituire integralmente i consumi di energia primaria da fossile, che rappresentano più dell'80% della domanda globale. In particolare pare insormontabile la questione degli accumuli stagionali. Abbiamo già visto in passato come i prezzi energetici siano sensibili alle strozzature dell'offerta

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    3. Grazie per il contributo, molto interessante come sempre quando ci sono grafici e dati da analizzare. Il tema è di estremo interesse e quindi credo sia importante provare a trovare dei punti di incontro.

      1) Come tutte le teorie millenariste o a comunicazione millenarista la teoria della peak oil, per quanto plausibile, ha screditato se stessa lanciando allarmi che si sono rivelati infondati. Possiamo convenire su questo punto? Possiamo dirci che c’è stata una comunicazione eccessivamente allarmistica? Possiamo porci delle domande sulle ragioni che hanno spinto ad una simile comunicazione eccessivamente allarmistica? Credo che questo interesserebbe di più i sostenitori della teoria che i suoi detrattori, che possono tranquillamente riposare su quanto i sostenitori della teoria fanno per sembrare poco credibili. Posto anche che il picco sia stato raggiunto, lo stesso fatto che la maggior parte delle persone non se ne è accorta fa capire che un problema c’è, e dal punto di vista comunicativo non so quanto il dire “ Questa è la volta buona!” sia una strategia efficace. Mi pare di ricordare che a Renzi portò una certa sfiga.

      2) curiosità secondaria, ma forse non tanto: un giorno parleremo del ciclo del metano su Titano, giusto per capire come può essere arrivata da quelle parti una roba che, a quanto capisco, deriva dalle fermentazione delle alghe. Ma questo mi interessa giusto.

      3) un’altra, più importante e significativa, contraddizione di un certo ambientalismo, consiste nel fatto che ci si ponga il problema del picco del petrolio, ma non ci si ponga quello del picco delle altre materie prime. La narrazione, che non ti sto imputando, del mondo rinnovabile come un mondo di gratuità, dove sarà tutto sole e vento, e vivremo in una eterna bonanza, è una narrazione truffaldina, siamo d’accordo? La lasciamo ai vari Bonelli e compagnia cantante, giusto? Di tutte le narrazioni ireniche In circolazione, tipo Leuropa che dà Lapace, quella del green che dà l’energia gratis mi sembra la più pericolosa, anche in termini di contraccolpi presso l’opinione pubblica. Mi ricordo un Ugo Bardi accorato per la violenza fatta alle viscere della terra, estraendone il rame. Ha cambiato idea?

      4) non è vero che l’economia ortodossa non si sia occupata del tema delle risorse esauribili. Proprio perché il petrolio doveva finire nel 1921 (🤭), nel 1931 venne scritto questo: https://www.jstor.org/stable/1822328. Lo si può contestare, ma c’è, e viene ancora oggi insegnato nei corsi di dottorato.

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    4. La teoria del picco petrolifero è stata in parte "screditata" dal meccanismo in fondo irrazionale che si potrebbe definire esopicamente "al lupo! al lupo". La "scoperta" di tight oil e shale gas americani ha dato un 'illusione di fallacia che però contrasta con il meccanismo di veloce esaurimento di tale risorsa aggiuntiva, come si vede in quest'altro grafico allegato a un mio post https://www.facebook.com/share/p/15K5BgGk1H/
      Intendiamoci, la produzione di energia elettrica continuerà ancora per un po' con gas naturale e carbone, la Cina usa quest'ultimo al 60% di energia primaria, ma il settore dei trasporti andrà in crisi prima. A mio modesto parere la questione dell'auto elettrica va interpretata anche come consapevolezza dei produttori di questa situazione energetica.

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    5. L'abiogenesi del petrolio è molto più affascinante del petrolio che picca.
      Comunque il grafichino bidimensionale dell'estrazione non dice nulla, se non lo si confronta con parametri economici. Se il Kuwait sta sopra un oceano di petrolio ma ne estrae meno "perché la Panda inquina", il grafico dell'estrazione mostrerà un "picco".
      Facciamo seppuku perché abbiamo capito male un grafico? Eh, suvvia.

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    6. @Terenzio

      Rimangono inevasi almeno due punti:

      1) come la mettiamo con le materie prime?

      2) come gestiamo l'intermittenza delle rinnovabili?

      Sono due dettagli, non perdiamoci troppo tempo! ;)

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    7. @Andreas

      Sì, in effetti questa storia dell’esogenità dell’offerta è piuttosto “neoclassica” (aka “neolibberista bbrutto”). Intravedo cortocircuiti.

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    8. Mi pare di aver già risposto alle due domande, se le ho capite bene. Come ho scritto, l'intermittenza, soprattutto quella stagionale è il vero limite delle rinnovabili. Le soluzioni per l'accumulo sono ancora lontane dalla industrializzazione e non completamente risolutive. Occorrerebbe una pianificazione nazionale associata a finanziamenti. Qualcuno come Aspoitalia ci ha provato https://aspoitalia.wordpress.com/2023/04/11/scrutando-il-futuro-un-sistema-energetico-italiano-basato-sulle-fonti-rinnovabili/?fbclid=IwY2xjawHrY9JleHRuA2FlbQIxMQABHW3I7DSAnZ8Ugi1UePb22IsC0VcBaZ9_2uW8dorYcjo3kHmfEr6bOZi5Kw_aem_-WowGhoJOQ1IZwPgKikgbw
      ma l'impegno sul piano economico, logistico, tecnologico e industriale è da fare tremare i polsi.
      Sul punto di Andreas faccio notare che la domanda energetica globale è sempre in crescita, seguendo il modello esponenziale della crescita economica illimitata

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    9. Carissimo, abbiamo qui tre o quattro (mila) amici che potranno farsi loro un’idea su quali domande sono evase e quali no. A me pare che si stia girando intorno al problema della disponibilità di materie prime. Inoltre, sono contento che tu riconosca che l’intermittenza delle materie prime è un problema. E quindi? Come la gestiamo? Con il nucleare o con il fossile? O ci sono altre possibilità? Perché sottostante a questo approccio c’è un orientamento ideologico che qui abbiamo sempre criticato, quello della decrescita: una gigantesca foglia di fico tesa a nobilitare le politiche di deflazione salariale che l’unione monetaria rendeva necessarie. Vogliamo andare a parare lì? Perché ragionare a tecnologie future anziché a tecnologie presenti non mi sembra molto costruttivo.

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  5. "... un grafico tutto sommato sorprendente perché mostra come il pass-through fra costi internazionali dell'energia e inflazione nazionale non sia poi stato alterato in modo drammaticamente significativo dall'entrata nell'Unione economica e monetaria: negli anni '70 inflazione al 20% con un incremento dei prezzi dell'energia del 200%, negli anni '20 inflazione all'8% con un incremento dei prezzi dell'energia dell'80%..."

    Domanda: sarebbe sorprendente anche se il rapporto tra PIL reale e energia consumata fosse rimasto abbastanza costante (se, quindi, l'innovazione tecnologica non avesse diminuito di molto l'energia necessaria a produrre un certo valore di beni)? Perché, da quello che ho trovato (con tutti i dubbi dovuti alla mia incompetenza e a una ricerca troppo veloce), sembrerebbe che non sia variato moltissimo. In quel caso, l'aumento del prezzo dell'energia non dovrebbe causare un aumento dell'inflazione abbastanza simile? Dove sbaglio?

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    1. All’inizio della pandemia chiesi a qualche “esperto” se esistessero serie storiche di dati sull’intensità energetica della produzione, ma nessuno fu in grado di rispondermi. La mia preoccupazione era esattamente questa: se le produzione fosse diventata meno “energy intensive”, lo shock da offerta che all’epoca vedevamo solo qui avrebbe avuto minori conseguenze sull’inflazione. Tu i dati dove li hai trovati?

      Comunque, questo è uno dei due “macroaspetti” della questione. L’altro è la “qualità” delle istituzioni, cioè la Banca centrale indipendente. E anche in questo caso si vede che non moltissimo è cambiato. Leggendo “Sorvegliata speciale” ho trovato un interessante resoconto dell’appoggio di Berlinguer alle politiche di austerità, derivante (indirettamente) da un impulso estero, e motivato da considerazioni strategiche non banali. Le sue condizioni non erano molto diverse dalle nostre oggi, con una differenza: lì i muri stavano per cadere (anche se nel 1976 nessuno se lo immaginava), mentre ora tutti si immaginano che si stiano rialzando (anche se forse non succederà). Una differenza probabilmente inesistente, quindi…

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    2. La ricerca incompetente e veloce di cui dicevo è nata dalla prima domanda che mi sono fatto: come varia nel tempo la quantità di energia necessaria a produrre il valore totale dei beni scambiati in un paese (del quale mi interessa osservare l'inflazione e come questa eventualmente dipenda dal costo dell'energia) ?
      La prima difficoltà che ho incontrato cercando articoli scientifici è stata che tutti erano interessati soprattutto alla relazione di causalità tra consumo di energia e GDP, con risultati i più vari possibili e contrastanti tra studi e paesi: qui il consumo energetico causa il GDP, lì il contrario, altrove causalità non se ne osserva. Il mio problema è che, non avendo accesso accademico agli articoli completi, avevo difficoltà a trovare i dati grezzi, sul tempo, delle due variabili.
      Poi, ho trovato diversi grafici (per paesi diversi, per il mondo...) nei quali si approssimava GDP vs energy con una retta, con risultati variabili ma, tutto sommato, a occhio non così fuori luogo. In diversi casi veniva citata la Banca Mondiale come origine dei dati, o altre istituzioni internazionali. Ne posto alcuni di esempio: 1, 2, 3, 4 ... ce ne sono molti, ma come dicevo, ricerca veloce e non molto ragionata, solo per farmi un'idea. Quindi, forse, una relazione abbastanza stabile tra le due quantità poteva esserci. Però avevo bisogno di altro: della dipendenza temporale e dell'applicazione al paese specifico.
      Sulla dipendenza temporale ho trovato altro, ad esempio,
      questo... sempre piuttosto incoraggiante rispetto all'ipotesi. Ma, per farla breve, dopo vari altri grafici, alla fine ne ho trovato anche uno relativo proprio all'Italia che aggiungeva la serie storica (dal 1965 al 2017) al fit lineare GDP vs energy: qui.
      Ora, mettendo le mani avanti per l'ennesima volta (perché non è la mia materia, non ho controllato a fondo le fonti, potrei aver fatto errori marchiani non avendoci ragionato abbastanza), mi sembra che, tutto sommato, un certo livello di indipendenza dal tempo e da altre condizioni dell'energia necessaria per produrre un valore totale di beni e servizi in un paese non sia una conclusione così peregrina, soprattutto testandola con un paio di misure a campione su un arco di tempo specifico come si faceva nel post. A quel punto ho domandato qui, magari stavo facendo un ragionamento errato e non valeva la pena perderci altro tempo.
      Se però è effettivamente "fissa" la quantità di energia necessaria per produrre PIL, allora i mutati assetti politici e finanziari entrerebbero nel risultato inflattivo dell'aumento dei costi energetici solo tramite i loro effetti sul valore della moneta, giusto?
      Cioè, due componenti:
      1. ribaltamento del fabbisogno energetico sul PIL e quindi sui prezzi;
      2. effetti politici/finanziari sulla moneta d'acquisto.
      Il secondo effetto, però, non mi aspetto di vederlo molto marcato sulla crescita percentuale dell'inflazione... o ho detto un'altra stupidaggine?
      Per fare le cose fatte bene bisognerebbe cercare i dati storici completi GDP e energia su fonti affidabili e rifare tutto...

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    3. ***l'intermittenza, soprattutto quella stagionale è il vero limite delle rinnovabili***
      Ma quale "limite" caro terenzio! "per l' estate" basterebbe coprire la valle padana di pannelli solari ( ad esempio coprendo di silicio tutti i tetti) ed utilizzare l' energia diurna in eccesso per pompare l' acqua in centinaia e centinaia di bacini artificiali alpini per poi estrarne l' energia idroelettrica per la notte ( e le giornate di pioggia)-
      "Per l' inverno" (quando purtroppo c è anche tanta nebbia) invece si potrebbe far arrivare l' energia solare raccolta con enormi distese di pannelli nel sahara attraverso enormi elettrodotti .
      Non c' è limite alla fantasia( specie quando nessuno fa uno straccio di conti)

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    4. L'intensità energetica del PIL è in calo in tutti i paesi avanzati, per via della progressiva de-industrializzazione e dell'aumento del PIL derivante dai servizi, che ovviamente necessitano di meno energia. Qui c'è un piccolo thread sul tema:
      https://x.com/durezzadelviver/status/1696587458828218631.

      Dati aggiornati si possono trovare qui, espressi in kg di olio equivalente per dollaro di PIL reale: https://yearbook.enerdata.net/total-energy/world-energy-intensity-gdp-data.html .
      Si tratta del totale del consumo energetico dei paesi, non solo di energia elettrica, ovviamente.
      C'è anche la misura dell'intensità carbonica nella produzione di energia elettrica paese per paese, qui: https://ourworldindata.org/grapher/carbon-intensity-electricity?tab=chart , che però, appunto, esclude l'attività industriale e i consumi delle famiglie (trasporti compresi).
      Poi c'è la misura dell'intensità carbonica del PIL, che indica quante emissioni sono state necessarie per un dollaro di PIL: https://ourworldindata.org/grapher/co2-intensity?tab=chart&time=1995..latest&country=USA~CHN~ITA~FRA~DEU.
      Sull'impatto inflattivo del green rispondo sotto.

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  7. Evidenzio un punto che forse non ho sottolineato abbastanza nel post: allo stato, non credo che abbiamo basi statistiche per valutare l’impatto inflazionistico del green. In altre parole, se dovessi costruire un grafico come quello riportato in questo post per associare all’inflazione il costo dell’energia non saprei come fare, perché il costo della CO2 è a tutti gli effetti una componente di costo dell’energia, ma quanto incida sul totale non è ovvio.

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    1. Questo significa che ci avviamo verso un’era di scenari economici particolarmente incerti, e di un’incertezza radicale e irriducibile. Qui finora abbiamo potuto azzeccare alcune tendenze perché non avevamo motivi ideologici per non azzeccarle, ma da ora in avanti anche lo spazio di chi vuole essere intellettualmente, onesto si restringe. Ovviamente questo riguarda solo l’Unione Europea, perché ricordo che il problema non è l’emergenza ambientale, ma il peculiare modo di gestirla che è stato adottato da noi, a partire dall’emission trading system e da lì in giù per la china dell’autodistruzione.

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    2. infatti il green sembra il pretesto per ridurre drasticamente la produzione industriale e l'economia reale, di stampo keynesiano, in favore di un'economia socialista (di una società nuova, fortemente assistenzialista), dove la domanda è sostituita dal fabbisogno (indotto). Ricordo che la co2 è presente in grandi quantità nelle profondità oceaniche e nei ghiacci antartici e viene emessa in milioni di ton/anno dai vulcani e dalla combustione magmatica, è una componente imprescindibile del ciclo aria/acqua. La china dell'autodistruzione porterà ad una cessione di sovranità e ad una società di stampo neofeudale, ma prima i nuovi padroni dovranno acquisire con la forza il monopolio delle materie prime

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  8. SRAS in questo contesto: Short Run Artificial Supply

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  9. Come sempre, quando si parla di green non posso non commentare.
    Spoiler: condivido quanto detto nel post e aggiungo un paio di considerazioni.

    Il primo, sul progresso tecnologico: perlomeno lato batterie, sembrerebbe che i prezzi siano ulteriormente in discesa: qui ma anche qui. Avevo letto un articolo che parlava esplicitamente di batterie utility scale, anzichè di quelle per veicoli elettrici, ma non lo trovo.
    Riflessione: le batterie sono funzionali alla transizione energetica, ma da sole non servono a niente (non producono energia, anche se alcuni dicono letteralmente questo - i ciarlatani sono ovunque, anche nelle aziende energetiche). Saranno scese di prezzo per una riduzione di domanda? Per il progresso tecnologico o per maggiori efficienze del sistema produttivo? Non ne ho idea: fortunatamente non è più il mio lavoro, quindi non vi so dire. Però, come dato di fatto, un progresso tecnologico c'è e questo, di per sè, potrebbe facilitare la transizione.

    Secondo aspetto: dal primo giorno di triennale ho sempre interpretato la CO2 come una esternalità del processo produttivo. Ritrovarmela come materia prima è un pò spiazzante e forse un pò fuorviante. Vogliamo forse dire che Tesla, producendo certificati verdi (che poi rivende) è un produttore di materia prima? Ci può stare come chiave di lettura, beninteso, ma per me rimane un pò spiazzante. Però, se fosse cosi, allora, qualsiasi meccanismo per correggere le esternalità negative, le trasforma automaticamente in materia prima.. roba da mangiarsi le mani!

    Sarebbe interessante per me, esplodere quest'ultimo concetto: i meccanismi per la correzione delle esternalità, dal momento che richiedono a qualcuno di pagare qualcosa che prima era gratis, automaticamente portano inflazione.

    Tornando all'attualità: anche se sarebbe bello uscirne, al momento nell'UE ci siamo. E le sue stupide regole sul debito sono attive: siamo sicuri che un pò di inflazione ci faccia così schifo?

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