Questo è l'indice della produzione industriale (settore manifatturiero) in Germania, Francia e Italia da quando esiste sul sito Eurostat (gennaio 1991) e fino a quando esiste (dicembre 2023, siamo indietro di un anno...):
Molti di voi hanno già gli strumenti per leggere le vicissitudini di questa variabile, chi è incuriosito da queste dinamiche chieda e gli sarà dato.
Questo invece è lo stesso indice da quando la Germania ha raggiunto il suo massimo (novembre 2017) in qua:
(n.b.: in entrambi i casi ho fatto pari a 100 il primo mese rappresentato. Ovviamente la soluzione più raffinata è fare pari a 100 la media dell'anno di riferimento, ma non cambierebbe assolutamente il profilo della serie, dato che si tratterebbe sempre di dividerla per una costante).
A dicembre del 2023 la Germania aveva perso il 14.7% rispetto al novembre 2017, la Francia il 3.6%, l'Italia il 3.9%.
Il manifatturiero è importante, ma non è tutta l'economia. In un'economia avanzata conta per una roba che va da circa un quinto a circa un decimo del valore aggiunto:
(è la parte arancione della barra), una quota che sta diminuendo un po' dappertutto, ma in Germania, ovviamente, di più: -3.3 punti, contro -0.9 in Francia e -1.0 in Italia. Ci stiamo deindustrializzando un po' tutti, ma è anche il riflesso del fatto che stiamo evolvendo verso un'economia di servizi, e comunque la Germania si sta deindustrializzando più di noi.
Dato che la produzione industriale non è tutto il Pil, ma una cosa che va, come dicevo, da un quinto a un decimo del Pil (a spanne), ci può stare che questo cresca mentre quella cala: basta che aumentino i servizi (l'agricoltura nemmeno si vede, come avrete notato, il che non vuol dire che non debba essere praticata e tutelata...). Se osserviamo il Pil trimestrale dall'ultimo trimestre del 2017, quello in cui la manifattura tedesca ha iniziato a derapare, vediamo infatti una cosa così:
E la domanda che ci si dovrebbe porre è: ma invece di stracciarsi le vesti sui dazi di Trump, le prefiche del PD se la pongono una domanda su quanto ci sia costata la stasi economica (autoinflitta) del nostro principale partner commerciale?
Mi piacerebbe cominciare ad articolare una risposta, ma nel viaggio fra Roma e Milano ho rilasciato un'intervista a La Verità, e fra un po' sarò a Cologno Monzese da Del Debbio (prima volta che lo incontro!), e mentre vado in studio ho un'intervista in diretta con Radio Libertà (sono tutti segni del mio declino intellettuale e politico, come la doppia intervista di ieri su Stampa a Tempo), quindi ora vi lascio e proseguiamo domani...
A quanto pare, nei media mainstream qualche spiraglio di luce ancora residua...
RispondiEliminaPetite et dabitur vobis.
EliminaEgregio Onorevole,
RispondiEliminatrovo i temi del post di sicuro interesse ed attualità.
In merito alla deindustrializzazione delle economie, segnalo il grafico al seguente link:
https://ourworldindata.org/grapher/gdp-vs-manufacturing-gdp
Vi è una certa correlazione tra reddito pro-capite e quota dell'industria nel PIL. In particolare, si può osservare una relazione parabolica con concavità verso il basso. Esiste perciò un massimo per valori intermedi del reddito pro-capite.
Per quanto riguarda il peso della manifattura nel PIL, non mi soffermerei a valutare il solo valore aggiunto. Credo che sarebbe necessario prendere in considerazione anche le tabelle input-output pubblicate dall'Istat:
https://www.istat.it/tavole-di-dati/il-sistema-di-tavole-input-output-anni-2015-2020/
Un saluto,
Fabio
È così evidente il suo declino intellettuale e politico che ormai il mainstream preferisce Pietro Cimaglia.
RispondiEliminaSorpassato dai tempi, mi ritirerò in campagna come Cincinnato.
EliminaSinceramente pensavo che la produzione industriale, soprattutto in Italia e Germania, avesse un peso ed un impatto maggiore sul PIL.
RispondiEliminaVedi che è sempre utile mostrare i dati?
EliminaDomanda forse ingenua: se siamo giunti a "terziarizzare" in modo così spinto l'economia, però, occorreva che qualcun'altro producesse i beni e ce li vendesse o basta davvero un quinto di manifatturiero a tenere su tutto il resto dei servizi?
RispondiEliminaIn questo periodo mi sto leggendo Bullshit Jobs di Graeber, che aggiunge qualcosina in più. Diciamo che con la globalizzazione si voleva spingere i paesi ricchi a un terziario avanzato e i paesi poveri a produrre quello di cui avevamo bisogno.
EliminaPoi si scopre che il terziario può essere per il 50% lavori inutili (tipo "barracaselle"), un po' come in Unione Sovietica l'ideologia prevedeva la piena occupazione.
Ovviamente qualcosa si è inceppato molto male durante il percorso.
Trovo la definizione di "powerpoint-ificio" usata dalla bolla estremamente calzante per i "Bullshit Jobs".
Elimina***basta davvero un quinto di manifatturiero a tenere su tutto il resto dei servizi?***
EliminaMa certo, non sai che per far crescere il PIL basta scavare buche ( e poi ricoprirle) , movimentare capitali in borsa, mettere i vecchi a morire nelle RSA e stare in lunga file ai semafori coi motori accesi ?😀
Io però sono un passatista rimasto ai miei vecchi atlanti economici in cui la potenza di uno stato ( o il Recovery and Resilience come dicono oggi ) si misurava in BENI prodotti: tot acciaio , tot energia, tot automobili, tot grano , mais ect ect.. e continuo a temere il peggio ( specie se ci mandano in guerra come pare vogliono LORO 😡).
Beh ma la tesi di Graeber è che i bullshit jobs nelle varie epoche sono sempre esistiti, basti pensare all'epoca vittoriana (citandolo direttamente) quando una famiglia si dimostrava veramente ricca se aveva valletti che li precedevano per aprire le porte d'ingresso o precedevano la carrozza per trovare eventuali buche.
EliminaQuello che invece è piuttosto nuovo è l'ampiezza del fenomeno, che ha raggiunto proporzioni mai viste.
Però l'incoerenza del sistema è che chi crede ne iMercati™ non può credere ai BS jobs, non può essere infatti coerente con il mito dell'efficienza che un'azienda abbia assunto personale che non produce nulla (poi le definizioni variano).
Anche qui si adatterebbe abbastanza bene il meme con Bruno Ganz che dice "quando arriverà la mano invisibile del mercato andrà tutto a posto" - "capo, la mano invisibile le si è infilata in saccoccia"(cit.).
Buonasera, 2 considerazioni a margine:
RispondiElimina1) in merito a questo famigerato -7,1% italiano su base annuale, l’altro giorno a l’aria che tira (precisazione vitale: non guardo quel programma, ho visto su YouTube la sua ospitata da parenzo, ritengo obbligatorio precisarlo. O mandatorio, come direbbero gli spettatori di quella emittente) hanno fatto vedere la scomposizione di quel dato e si vedeva che l’automotive rappresenta un -23% circa se ricordo bene. Essendo l’automotive probabilmente il settore industriale più importante che abbiamo, posso dedurre , pur senza avere a disposizione i dati, che senza quel calo la produzione industriale sarebbe stata in aumento. Quindi a qualunque piddino che butta sul tavolo la produzione industriale come prova inconfutabile dei danni di questo governo, oltre a mandargli il link di questo articolo basta dirgli 2 parole: Green deal. Oppure sfidarlo a trovare mezzo provvedimento del governo a sfavore dell’automotive
2) in merito all’incidenza della produzione industriale sul totale del valore aggiunto, credo che ci sia comunque un indotto che incide sul resto del valore aggiunto. Ad esempio sempre per quanto riguarda l’automotive , se calano le produzioni , caleranno anche le assicurazioni, che rientrano tra i servizi. Corretto?
È da qualche tempo che sul tema della produzione industriale e della crescita economica mi faccio alcune domande guardando alcuni dati tipo quelli che ci ha qui mostrato.
RispondiEliminaCome ha giustamente ricordato, nelle economie avanzate odierne la quota del settore industriale/manifatturiero è nei casi limiti intorno al 20% e mi riferisco a economie come la Germania, il Giappone e anche l'Italia ma ci sono economie avanzate come USA, UK e Francia dove addirittura la quota è ancora più bassa, sul 10% se non meno.
Però mi chiedevo se nonostante questa fotografia, che sembrerebbe delineare un legame tra produzione industriale e crescita economica non particolarmente forte e anzi sempre più debole, non vi siano in realtà comunque delle economie avanzate, e qui mi riferisco a quelle del primo gruppo ovviamente, che rimangono fortemente ancorate alla propria industria per accrescere il proprio PIL. Il caso della Germania è emblematico, un Paese che negli ultimi 20 anni è cresciuto a ritmi piuttosto sostenuti solamente in periodi in cui la produzione industriale ha avuto periodi di forte espansione: una prima fase tra il 2005 e il 2008 (post riforme Hartz) e una seconda fase tra 2016 e 2017. Noi purtroppo rappresentiamo una conferma all'incontrario: siamo un Paese in cui, dopo che la produzione industriale ha raggiunto il suo massimo nei primi anni 2000, la crescita è diventata stagnante.
Al contrario, una economia come quella statunitense, che ha oggi un indice della produzione industriale di fatto non oltre i livelli toccati pre crisi del 2008, in questi anni è comunque cresciuta molto. Per la Francia vale un discorso simile.
Da cosa dipendono queste differenze? ci sono alcuni Paesi avanzati che meglio di altri sono riusciti a "distaccarsi" dall'industria? oppure semplicemente Paesi come USA e Francia son cresciuti anche senza industria perché hanno sostenuto di più la propria domanda interna, specialmente post crisi del 2008, e quest'ultima, consistendo in consumi, tende magari a manifestarsi di più in una crescita del valore aggiunto legato ai servizi che non in una crescita della produzione industriale?
Grazie.
Il tasso di crescita di una economia dipende da vari fattori, sia lato domanda che lato offerta. Come tu ben noti, una evoluzione dei livelli salariali più bassa in uno Sato rispetto a quanto avviene negli altri Paesi, soprattutto in quelli con i quali è in essere un significativo interscambio commerciale, aumenta la competitività di merci e servizi esportabili e quaindi favorisce la produzione interna e produce, con il tempo, crescita grazie al surplus della bilancia commerciale.
EliminaE' quanto ha fatto la Germania con le riforme Hartz ed anche l'Italia dalla riforma della scala mobile anni '90 e via via a tutte le riforme che hanno flessibilizzato fino agli estremi livelli attuali il mercato del lavoro.
Occorre però entrare dei dettagli della "crescita trainata dalle esportazioni": cosa è che si esporta di più? Beni o Servizi? la risposta è banale: oltre il 65-70% dell'export a livello mondale è fatto da beni, cioè materie prime e prodotti manufatti (intermedi e finali).
Quindi, una economia nella quale il "peso" della manifattura è rilevante (like Germania, ma anche Italia), avrà più possibilità di base per scegliere la via della crescita guidata dall'export.
Francia ed USA hanno, oramai da svariati decenni, un peso della manifattura decisamente più contenuto ed hanno quindi minori chances di utilizzare questa via per crescere.
I Mercati però, alla lunga, riequlibrano le situazioni! Un Paese con un forte surplus di Partite Correnti (PC) vedrà la sua valuta molto domandata e quindi questa si riapprezzerà rispetto alle altre valute degli Stati con Deficit di PC. Ciò comporterà un aumento dei prezzi in valuta locale degli importatori e quindi farà calare la domanda: il mercato, lasciato libero di agire, avrè fatto il suo lavoro.
Questa è la teoria, ma nei fatti le cose vanno in maniera decisamente diversa. In primis perché non esiste la concorrenza perfetta, ma ci sono le politiche commerciali ed industriali che agiscono sui prezzi relativi e li rendono più bassi o più alti (Vedi caso dei Dazi di Trump). In secondo luogo perché anche la politica monetaria può condizionare l'andamento dei cambi: si veda il caso della Svizzera che nonostante un enorme surplus di PC mantiene il cambio fortemente sottovalutato grazie agli acquisti continui di strumenti finanziari denominati USD ed Euro effettuati dalla sua Banca Centrale. Così facendo contrasta l'apprezzamento della propria valuta.
Per gli USA il caso è differente. Essendo il USD la valuta di scambio mondiale ed anche un bel bene rifugio nei momenti di crisi, i Flussi degli Investimenti Finanziari tengono alto il cambio anche se il deficit delle PC Usa è stratosferico.
Ovviamente, dove non esiste un mercato delle valute, ma si ha una sola vlauta, il Mercato non riequilibria: è il caso dell'Area Euro.
Quindi, la Germania usufruisce del privilegio di essere parte una area valutaria che, nel complesso, non ha un forte surplus di PC (mentre Lei si!) e quindi è, tutto sommato una valuta non eccessivamente cara (ma lo sarebbe se ci fosse il Marco e non l'Euro). Mentre la Francia si triva in siruazione diametralmente opposta.
Questi squilibri si aggravano ogni anno e prima o poi verrà il momento di crisi....
il dato dell'incidenza della produzione industriale vuole (banalmente, lo so) dire che a scala globale c'è stata una naturale ridistribuzione del monte complessivo di domanda di prodotti a favore delle economie a più basso costo di manodopera; d'altra parte la globalizzazione richiede, per la propria sopravvivenza, questa forma di drenaggio produttivo dai paesi avanzati a quelli più a buon mercato. La questione è piuttosto un'altra: l'Italia dei servizi e del commercio di prossimità sarà pronta, o in grado, di approfittare della Trump economy, che persegue il ritorno alla produzione e alla sana competizione industriale? Ieri sul blog si è parlato di dimensioni..sono d'accordo con Bagnai che le dimensioni non contano, anzi a volte sono un problema, però il gap eteroindotto sembra ormai ingestibile senza un piano Mattei (quello originale)
RispondiEliminaIn una delle sue ultime apparizioni televisive (io non ricordo quale ma forse lei si) l'operatore/operatrice informativo/a di turno le commentava il "fatto" che la produzione industriale italiana era tornata ai livelli Covid. Cosa che, ovviamente, non risulta dai dati mostrati in questo post. Vorrei chiederle (sempre che non abbia compreso male) con che dati i migliori amici dell'uomo che crede d'informarsi hanno confezionato la "notizia", secondo lei?
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