sabato 31 maggio 2025

La Bulgaria, l'Eurostat e il grafico della vergogna (preparando Venosa)

Un rapido post "di servizio" per quelli di voi che amano i dati. Ricorderete il "grafico della vergogna", quello che presentai al #goofy4 e che ultimamente Branko Milanovic ha riproposto, in modo indipendente, su Twitter?


Un grafico piuttosto esplicito. L'ultima volta ne abbiamo parlato qui il mese scorso (e mi è venuta voglia di conoscere Milanovic). 

Mentre preparavo le slides per la Scuola di formazione politica della Basilicata, nel cui contesto interverrò a Venosa il prossimo 13 giugno (se siete nei pressi, fatemelo sapere che vi imbuco), mi sono accorto che l'Eurostat fornisce i dati della vergogna. Nel suo database troviamo cioè il Pil pro capite espresso in percentuale della media dell'Unione Europea, e questo sia in euro che a parità dei poteri d'acquisto (sempre a prezzi correnti). Per arrivarci, dovete seguire questa alberatura del database:


Naturalmente Eurostat si guarda bene dal darvi i dati antecedenti al 2000, altrimenti qualcuno potrebbe notare qualcosa. In compenso, però, fornisce il dettaglio regionale e macroregionale:


che qualche informazione interessante la fornisce (ad esempio, è interessante vedere come l'austerità abbia massacrato relativamente di più il Centro del Nord-Est, determinando un gap fra i rispettivi redditi pro capite).

E visto che in questo momento, mentre trasferisco i dati su un nuovo telefono (sul vecchio mi ci sono seduto un po' violentemente un anno fa salendo a Forca Resuni...), l'ANSA batte questa agenzia:

Bulgaria: migliaia in piazza contro l'adozione dell'euro =  AGI0321 3 EST 0 R01 /

 Bulgaria: migliaia in piazza contro l'adozione dell'euro =

 (AGI/AFP) - Sofia, 31 mag. - Migliaia di persone sono scese in

 piazza a Sofia e in oltre 100 altre citta' bulgare per

 manifestare contro l'adozione dell'euro prevista per il 1

 gennaio 2026. La manifestazione principale, organizzata dal

 partito ultranazionalista Resurrezione, terza forza politica del

 Paese, si e' svolta di fronte alla sede della Banca Nazionale

 Bulgara, con lo slogan "Manteniamo il nostro lev (la moneta

 bulgara, ndr), insistiamo sul nostro referendum", uno slogan che

 riassume l'opposizione del partito - che detiene 33 dei 240

 seggi in Parlamento - all'abbandono della moneta nazionale.

 Le proteste, che si sono svolte anche di fronte alle ambasciate

 bulgare nei Paesi dell'Unione Europea (Ue), si sono svolte senza

 incidenti.

 Gli organizzatori criticano la volonta' del governo di

 introdurre l'euro senza consultare i cittadini e considerano la

 moneta unica una minaccia alla sovranita' economica temendo un

 aumento dei prezzi.

 La Bulgaria e' il Paese piu' povero dell'Unione, con il 30%

 della popolazione a rischio di esclusione sociale.

 Anche il presidente bulgaro Rumen Radev si e' schierato a favore

 della protesta e ha chiesto che la voce del pubblico venga

 ascoltata: "perche' si troverebbe ad affrontare prezzi che lo

 Stato non puo' controllare. Solo pochi giorni fa, le autorita'

 di regolamentazione hanno gia' ammesso di non avere il personale

 o la capacita' finanziaria per un'azione su larga scala contro

 gli aumenti incontrollati dei prezzi".

 Il 9 maggio, Radev ha proposto di indire un referendum per

 decidere l'ingresso nell'eurozona. Tuttavia, il presidente del

 Parlamento si e' rifiutato di sottoporre l'iniziativa ai

 deputati, sostenendo che viola il Trattato di adesione della

 Bulgaria all'Ue, in vigore dal 2007.

 La Corte Costituzionale bulgara sta ora esaminando la

 legittimita' di questo referendum, e la sentenza e' attesa nei

 prossimi giorni.

 Il governo bulgaro prevede di ricevere la prossima settimana una

 relazione straordinaria sulla convergenza dalla Commissione

 Europea, che si augura possa dare l'approvazione definitiva

 all'adozione dell'euro. (AGI)Uba

 311532 MAG 25

 NNNN ********

così, tanto per gradire, vi fornisco Italia e Bulgaria insieme:


e, com'era facile prevedere, ci stiamo venendo rapidamente incontro (purtroppo per noi), ancor più se il calcolo viene effettuato a PPA:


dal che dovrebbe scaturire spontanea una domanda: ma quanto può far schifo il "progetto europeo" se perfino quelli che ne hanno tratto un discreto vantaggio fanno così tanta resistenza a un definitivo ingresso in esso? Capirei noi, che in tutta evidenza ci abbiamo scapitato, ma i bulgari, che al suo interno sono tanto cresciuti (coi soldi nostri) di che cosa hanno paura?

Sospetto che temano che l'entrata nell'euro interrompa la fase di catch-up, di recupero di posizioni rispetto alla media. Sarà un timore fondato, o è un'ondata di irrazionalità fomentata dai soliti populisti irresponsabili?

Per rispondere a questa domanda potremmo dare un'occhiata ai Paesi membri la cui valuta è l'euro più vicini, cioè Slovenia e Slovacchia (la Croazia è entrata da troppo poco perché sia ragionevole individuare un trend), dove le cose sono andate così:


il pallino rosso indica la data di ingresso nell'Eurozona, e subito dopo la ripresa verso la media europea si interrompe o rallenta bruscamente. Certo, essendo a ridosso della crisi qualcuno potrebbe obiettare che il deterioramento del quadro macroeconomico sia un discreto fattore confondente. Tuttavia, chi sostenesse questa tesi dovrebbe spiegarci perché attorno agli stessi anni la Bulgaria continui il suo recupero senza essere minimamente perturbata dal disastro finanziario globale! Ma non sarà che c'è qualcosa nell'Uem che impedisce di reagire correttamente a uno shock esterno? E, badate bene, questo "qualcosa" non può essere il cambio fisso, perché, come vi ho spiegato, nell'Europa a sette velocità il lev bulgaro è già agganciato all'euro!

Poveri bulgari! Per lo meno loro hanno protestato, mentre noi eravamo tanto orgoglioni di essere ammessi alla prima classe del Titanic... Ma ormai per protestare è tardi: per non ascoltare i cittadini basta argomentare che sono stati subornati dai social! Quindi che tutto vada come deve andare, e anzi che ci vada il più rapidamente possibile! Non vorrei privarmi dello spettacolo...

Il Portogallo e le materie prime

Oggi nella prima parte dell’allenamento (quest’anno vorrei andare sul Gran Sasso e ho bisogno di alleggerirmi un po’) ho ascoltato questo:


e mi piacerebbe che lo ascoltaste anche voi.

Riflessioni?

venerdì 30 maggio 2025

E allora la Spagna? (Mito e realtà del PNRR)

Ai piddini, porelli, sta crollando il mondo addosso. Un certo smarrimento, quindi, lo si comprende, con il correlato bisogno di attaccarsi, in cotanto naufragio, alla festuca di un qualsiasi argomento consolatorio per loro, cioè denigratorio per il Paese, all'insegna come sempre del #fateskifen!

Purtroppo però i fatti, che hanno la testa dura, di questi tempi prendono sonoramente a sberle i nemici del Paese.

Guardate ad esempio lo spread, che da due giorni, nonostante i lugubri vaticini di tanti uccelli del malaugurio, se ne sta quatto quatto sotto i 100 punti:

a coronamento di una traiettoria discendente iniziata da quando ci siamo liberati di LVI:


Ma guardate anche e soprattutto come si sgretolano una dopo l'altra le fole autorazziste sulla superiorità etnica degli altri popoli europei, cioè sull'inferiorità ontologica degli italiani, quella pretesa inferiorità utilizzata dal PD per dimostrare agli stessi italiani come la loro unica speranza di redenzione consistesse nel votare per i superuomini di sinistra!


C'era una volta la Germania, locomotiva d'Europa (secondo i coglioni), cui avremmo dovuto ispirarci (ibidem), e che ora, porella, arranca un po':


"Fare come la Germania" oggi significherebbe andare in recessione per due anni di fila, cumulando un -0.6% di crescita su base trimestrale nello stesso periodo in cui noi Untermenschen abbiamo portato a casa un +1.4%. Nessuno dei nostri validi avversari è abbastanza intelligente da capire (o abbastanza onesto da ammettere) che questo esito lo avevamo previsto, lo dimostra il loro ossessivo ed ecolalico refrain della "competitività". Quasi tutti però sono abbastanza furbi da intuire che la canzoncina della Germania incanta ormai solo i gonzi.

Il nuovo argomento per denigrare il Paese quindi è: "Guarda come cresce la Spagna, che ha saputo usare bene il PNRR!" Ora, su come cresca la Spagna un'idea che la siamo fatta: coi soldi dei creditori esteri, seguendo una tradizione consolidata:


"Mi scusi, Bagnai, però lei non può negare che la Spagna stia facendo meglio dell'Italia per quanto riguarda il PNRR!" (direbbe con accenti inquisitori l'operatrice radiotelevisiva di turno). No, la cosa non sta così. Non è che io non possa: semplicemente non voglio negarlo, perché è inutile che lo faccia io! Lo fanno loro:


Mentre il motivo della crescita spagnola che vi ho segnalato io (il massiccio afflusso di investimenti esteri) è comprovato dai dati (e come!), quello continuamente citato dall'average Joe piddino (la Spagna cresce perché usa bene er pereperepere!) è, ahimè, disproved dai dati. La burocrazia borbonica resta tale attraverso i secoli (astenersi neoborbonici!), e in effetti la Spagna è indietro. I dati sono (come sempre) qui, nel Cruscotto del piano di ripresa e resilienza, da cui risulta che la Spagna ha raggiunto solo il 30% dei suoi obiettivi e pietre miliari:


e quindi sta messa decisamente peggio di noi che abbiamo realizzato il 43%:


nonostante che abbia avuto una allocazione di fondi del PNRR di entità comparabile alla nostra (loro il 10,9% del Pil, noi il 9,1%). Chi sta messo peggio però è la Polonia:


un altro di quei Paesi per cui si estasia il piddino: "Sò tanto organizzati, signora mia, e nun c'è 'na carta in terra!" (coi soldi nostri, ovviamente, ma questo è un altro discorso). Risultato deludente anche perché, non essendo scemi, loro di pereperepere ne avevano preso relativamente poco: 


Appena (si fa per dire!) il 7.9% del Pil...

Qualche sera fa ero a cena con un po' di manager non banali. Questa idea che il pereperepere fosse stato indirizzato solo verso le cose che "non inkuinano" (quindi, ad esempio, che non ci fossero soldi per rifare le strade) li lasciava sconcertati. Certo, all'epoca fummo lasciati soli a denunciare questa assurdità, ma quando sei in minoranza è difficile che tu possa avere molta compagnia, e onestamente voci anche autorevoli, se intellettualmente oneste, si sarebbero condannate all'irrilevanza. L'importante è che ora abbiano capito e che sappiano che noi avevamo capito prima (e infatti veniamo ascoltati).

Due considerazioni conclusive (su cui potremo articolare, eventualmente, un paio di QED).

La prima è un educated guess: visto che i suoi ascari stanno messi peggio di noi, non so quanto la Germania insisterà nel suo atteggiamento draconiano (o, come sentii dire una volta a un operatore informativo, "dragoniano"). Considerate anche il fatto che il pereperepere andrebbe rendicontato l'anno prossimo (cioè ieri) e la Germania non sta al 97%, sta qui:


C'è quindi una probabilità assolutamente non nulla che venga proposta una extension (una proroga), e che in questo momento si stia facendo una infondata pressione psicologica (infondata perché in materia di pereperepere "er più pulito c'ha la rogna", come si dice a Roma), solo per precostituire una posizione negoziale di questo tipo: "Sì, vabbè, v'accordamo 'extenscion, ma però voi ce dovete accordà er rollover!" (ovvero: in cambio di tempi più razionali per la rendicontazione di questi lavori, si vorrà stabilire il principio che il debito non debba essere necessariamente rimborsato ma possa essere rinnovato). Ovviamente questo negoziato sarebbe nefasto per noi, significherebbe sdoganare una cosa che i tedeschi, quando non erano disperati, non volevano, cioè gli Eurobond. Tutto sta a vedere come reagiranno i tedeschi alla disperazione (normalmente non benissimo, ma pensiamo positivo).

La seconda considerazione conclusiva si aggancia a quanto dicevano i miei amici AD. La favola del piddino è che la munifica Europa ci ha fornito i fondi per farci diventare più produttivi e quindi più competitivi. La realtà di tutti i giorni è diversa: le amministrazioni che mi chiedono aiuto sono subissate da uno tsunami di adempimenti burocratici riferiti a opere che con la produttività non c'entrano una mazza: asili nido, piste ciclabili, una spruzzata di fotovoltaico... L'idea bizzarra che costruendo un asilo nido a Roccacasteldisotto i novantenni che ivi abitano, eccitati dall'odore dell'intonaco fresco e dalla visione delle placche "Finanziato coi fondi de Leuropa", si congiungano carnalmente a qualche loro coetanea partorendo ventenni che immediatamente inizino a produrre beni per "fare Pil" contiene diversi punti che non mi convincono, ma almeno è una narrazione in cui la produttività (e non solo) si innalza! Ma le piste ciclabili (aka "mobilità sostenibile"), in nome di Dio!, mi volete dire che diavolo c'entrano le piste ciclabili con la produttività? E quindi vi preannuncio quale sarà la prossima "sorpresa" (per gli altri) e QED (per noi): il momento in cui si scoprirà che questa fraccata di soldi serviva solo a comprare la nostra sottomissione, ma ovviamente non ad aumentare la nostra produttività, per il semplice e ovvio motivo che non è molto intelligente pensare che i nostri concorrenti ci aiutino a fargli le scarpe, ci aiutino cioè a diventare concorrenti ancor più produttivi e quindi temibili! Si scoprirà così che alla fine quello che Leuropa voleva era semplicemente aumentare la quota di nostra spesa pubblica da lei intermediata a uso e consumo dei suoi fini, e che quei soldi che abbiamo usato male pagandoli molto li avremmo dovuti prendere sui mercati quando costavano poco per utilizzarli meglio. Si scoprirà cioè che qualsiasi cosa ci avessimo fatto, coi nostri soldi, tranne quelle imposte dal PNRR, avrebbe dato un contributo significativo alla nostra produttività.

Come abbiamo sempre detto.

In fiduciosa attesa di questi due QED, vi saluto e vi auguro una buona serata...


P.s.: anche il simpatico utile idiota lettone ha poco da stare allegro. Il suo Paese sta messo così:


cioè peggio del nostro. So che un piddino non ci crederebbe mai, e nemmeno voi, ma almeno voi potete verificare... perché io vi ho messo in condizioni di farlo!

giovedì 29 maggio 2025

Produttività, salario reale e investimenti

Eggnente...


Corrado Luciani ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Contributo al dibattito sulla produttività":

Personalmente l'avevo sempre visto come una carenza di investimenti, quindi logica conseguenza dell'asimmetria dei tassi di interesse reali (molti pseudo economisti tipo Boldrin non sanno o fanno finta di non sapere la distinzione tra reale e nominale) che è cominciata con lo SME e diventata cronica con l'Euro. Già ho detto che prima ancora di pensare all'uscita dall'Euro occorrono soluzioni per sanare l'asimmetria. Comunque anche il concetto del PIL può essere distorto e possiamo vedere crescita dove in sostanza non ve ne è (la ricostruzione del ponte Morandi e il risarcimento delle vittime ha contribuito a far crescere il PIL o no?).

Pubblicato da Corrado Luciani su Goofynomics il giorno 29 mag 2025, 12:02


Non c'è proprio niente da fare! Il nostro Corrado è un irriducibile discepolo di Etarcos, un piddino di stretta osservanza micugginista: ma noi gli vogliamo bene per questo, perché ci permette di entrare in quel mondo misterioso che è la testa degli individui che sanno di sapere. Dunque, secondo lui (second him, semicit.) la produttività in Italia si è arrestata per carenza di investimenti.

Bene.

So che a lui non interessa, ma magari a voi sì: e secondo i dati?

Per farvelo vedere, estendo questo grafico:


tratto da questo post (cui vi rinvio per tutti i riferimenti alle fonti, che comunque sono queste), inserendo anche l'indice degli investimenti.

Come sappiamo (vedi il post citato), i salari reali in Italia smettono di crescere all'inizio della terza globalizzazione (inizio anni '80) e la produttività alla fine del secolo, quindi la crisi dei salari non può essere legata alla stagnazione della produttività. Ma la stagnazione della produttività può essere legata a una stagnazione degli investimenti?


No, anche se "l'ha detto micuggino" (che fa rima con Giannino) o se "second me" (cit.) dipende da quello, semplicemente perché gli investimenti sono andati crescendo fino al 2007, mentre la produttività già stava calando dal 2000.

Ci siamo?

I fatti stilizzati (chi è del mestiere sa che cosa vuol dire) sono questi, e non altri. Quindi le vostre opinioni avete libertà di esprimerle, almeno qui, ma se poi vi vengono forniti dei dati suggerirei cortesemente di spiegarci perché questi ultimi non si conformano ad esse! Fermo restando che ovviamente post hoc ergo propter hoc è una fallacia logica, ante hoc ergo propter hoc è una impossibilità logica. Quindi sicuramente il nesso causale non può essere: stagnazione degli investimenti -> stagnazione della produttività -> stagnazione del salari, perché anche se c'è un modello teorico (evidentemente sbagliato) secondo cui le cose potrebbero stare così, i dati mostrano il pattern esattamente opposto: salari -> produttività -> investimenti, e anche questa successione di eventi può essere vista come catena causale secondo un altro modello teorico (che a questo punto dobbiamo considerare molto probabilmente giusto, visto che i dati ci dicono quello che ci dice lui...).

Quindi?

Quindi il 99% del dibattito sui media e l'80% del dibattito accademico sono sostanzialmente basati su un approccio teorico profondamente errato, e basterebbe una rapida occhiata (a glance) ai dati per rendersene conto.

Consolatevi: ci sono stati periodi della storia umana in cui entrambe queste percentuali erano più alte (do you remember Ptolemy?). 


(...capite perché sono un po' insofferente con i "second me"? Perché "oggi è facile documentarsi"!...)

Contributo al dibattito sulla produttività

Scusate, faccio una breve osservazione incidentale su un dibattito che si trascinerà ancora per decenni, quello sul ruolo della produttività nel declino dell'economia italiana, cui si è aggiunta in tempi recenti una particolare sfumatura, quella del ruolo della produttività nella crisi salariale.

A sentire i dilettanti, i digiuni di economia, la produttività sarebbe una virtù esogena (e quindi logicamente antecedente) rispetto alle condizioni del sistema economico: o ce l'hai o non ce l'hai, e se non ce l'hai le cose vanno male. Siamo nel regno dei value loaded terms, quelli da cui Myrdal ha cercato invano di metterci in guardia. Evidentemente, essere "produttivo" suona meglio di essere "improduttivo": da qui scaturisce un apparato valoriale implicito che pone all'origine del ragionamento il raggiungimento del Sacro Graal della produttività, a valle del quale si presume che le cose necessariamente miglioreranno.

Una bella favoletta morale.

Il problema è che in concreto le cose non stanno così: la produttività è in re ipsa una grandezza misurabile solo ex post, a conti fatti, rapportando il Pil, così come emerge dalle statistiche, all'input di lavoro (tralascio per il momento il tema della cosiddetta "produttività totale dei fattori", per il quale valgono considerazioni sostanzialmente analoghe, aggravate dall'intermediazione di un concetto economicamente e statisticamente fragile come quello di funzione di produzione). A questo punto torna utile sapere che cos'è il Pil, e l'ultima volta abbiamo provato a spiegarlo qui:

Anche qui, il problema dei value loaded terms traspare: se per misurare l'attività economica la concettualizzi dal lato della produzione (e perché non da quello della spesa? O da quello del reddito?) ti metti su una china che un poeta del Settecento avrebbe definito lubrica. Per evitare di scivolare nel gianninismo potrebbe essere utile un po' di sana, vecchia maieutica:


Perché mai si produce?

Per trarne un guadagno.

E come si trae questo guadagno?

Lo si ottiene desumendo dai ricavi i costi.

E i ricavi come si ottengono?

Vendendo i beni.

Ed è astrattamente possibile vendere i beni se nessuno li compra?

No, per Ercole, naturalmente questo non è possibile!

Ed è forse possibile comprare dei beni senza disporre di liquidità, supponendo per il momento di non essere in una economia creditizia?

No, certo: per acquistare beni devi disporre di liquidità.

Ma allora questa liquidità da dove mai dovrebbe provenire?

Naturalmente dai redditi percepiti dal compratore.

Quindi se per produrre occorre vendere, se per vendere occorre che qualcuno compri, se perché qualcuno compri occorre che quel qualcuno guadagni, possiamo dire che è il prodotto a dipendere dal salario, e non il salario dal prodotto?

Per Ercole, sì: ma questo è il contrario di quanto ci dice l'oracolo catodico!


Ecco.

Già ragionando su questo, cioè sulle semplici definizioni dei concetti, capirete da voi che fra chi parla di "produttività" si annida una lurida ciurma di ciarlatani che cerca di costruire una narrazione colpevolizzante per traslare sulle vittime la responsabilità di decisioni ben precise, sulla cui logica ci siamo lungamente esercitati.

Ma anche restando all'interno del paradigma supply-side secondo cui la produttività è un antecedente logico (anziché un conseguente statistico): se il problema fosse la scarsa produttività, il taglio degli investimenti, di preciso, che soluzione sarebbe?

Il discorso non tiene da nessuna parte. Ma chi continua a farlo continua a essere autorevole. 

Ci vuole molta pazienza.

mercoledì 28 maggio 2025

QED 112: "Because it's France!"

Vi ricordate di quando quello con la sciatica (o l'ubriachezza, a seconda delle versioni) ci venne a dire che la Francia poteva violare le regole because it's France?


Io me ne ricordo abbastanza bene: a quei tempi ero in Francia in un vano tentativo di evangelizzare quelle genti per sottrarle al destino cui le condannava la maledizione dei deficit gemelli.

Dello "sprofondo rosso" francese abbiamo parlato diverse volte. La prima affonda nella notte dei tempi (ma se leggete su un PC, il tag "Francia" nel cloud in fondo alla pagina vi guiderà), una delle ultime è qui, circa un annetto fa (è anche un utile ripasso per chi fosse nuovo di queste parti). La novità (molto relativa) è che oggi torna a parlarne la Corte dei Conti francese, dove è finito un altro dei nostri più cari amici, forse memore delle due parolette che gli dissi tempo addietro:


Insomma, Moscovici, nella sua veste di watchdog dei conti francesi, ci dice niente meno che la Francia rischia una crisi di liquidità a causa della spesa sociale fuori controllo. Il ponderoso Rapporto sulla sicurezza sociale 2025 lo trovate qui. Date le dimensioni, non so dirvi come finisca, ma considerato che comincia male:


presumo che finisca peggio. Sui costi e benefici del teloavevodettismo ci siamo intrattenuti lungamente. Terrò un profilo basso dicendo che non sono molto sorpreso. France it's France, è una verità meno tautologica di quanto possa sembrare. Ma alla fine un vincolo di bilancio c'è per tutti, e qui in Europa tutti abbiamo il peccato originale, siamo stati trasformati tutti in Paesi del terzo mondo dalla scelta scellerata di aderire all'Unione Economica e Monetaria, cioè dalla scelta di renderci (monetariamente) stranieri in patria, come ci aveva spiegato illo tempore uno non esattamente "de passaggio":


L'euro è un downgrade (un degrado) per tutti. Meglio di De Grauwe non saprei dirlo!

Prima di cominciare con la solfa che "n'ha detto micuggino che a Parigi guadagna n'zacco!", o "Numbeo dice che la Francia cresce più di noi", o "basta con questa Schadenfreude!", faccio solo due osservazioni. La prima è la solita: io faccio l'economista e gli economisti fanno scenari. Quando le cose tendono a mettersi come prevedevamo evidenziarlo è utile perché serve a capire se il nostro modello interpretativo funziona. La seconda è la solita (pure lei): so bene che dobbiamo volere il nostro bene e non il male altrui, ma in un sistema che è concepito come un gigantesco gioco al ribasso, una frenetica race to the bottom, le due cose, se non sono proprio parenti, si somigliano molto. Se iMercati avranno qualcun altro da importunare per noi non sarà un gran male, e infatti oggi, nel silenzio generale, lo spread se n'è stato tutto il giorno sotto 100...

Ci vuole molta pazienza...

lunedì 26 maggio 2025

Austerità e fertilità

La cloaca, infrastruttura di rete deputata al trasporto di pacchetti di materiale organico (Synchronous Transmission Relay Of Non-Zero Information), pullula di forme di vita infestanti. Ieri le abbiamo viste particolarmente infastidite da questo grafico:

per il quale si sono affrettati a trovare una serie di esilaranti confutazioni (la maggior parte delle quali derivanti dalla loro ignoranza del fatto che il contrario di "reale" in economia non è "immaginario"...), ma c'è un altro grafico che gli ha fatto molto male, questo:


che del precedente è una conseguenza. Anche qui abbiamo sentito appassionate invocazioni alla complessità del reale, dotte disquisizioni sull'analisi delle serie storiche, acute requisitorie sul cherry picking, tutte a base di "legaiolo, insegni a Pescara, non sei un economista..." ecc., pronunciate da una corte dei miracoli lombrosiana di analfabeti funzionali che ci lascia esterrefatti di fronte al miracolo della democrazia: se degli imbecilli simili votano, è un miracolo che non siamo sprofondati nel Mediterraneo (qualcuno potrebbe invece dire che siamo sprofondati perché quegli imbecilli votano, ma spero che non lo faccia perché avrei difficoltà a confutarlo).

Ora, che ci sia un problema è ovvio e se n'è accorto anche lui:


come pure è ovvio che non ci sia una sola causa. Siamo tutti consapevoli del fatto che le famiglie del 1960 non sono quelle superstiti nel 2025, che una serie di fattori sociologici fra cui l'accresciuta  (se pure sempre insufficiente) partecipazione femminile al mercato del lavoro possono aver influito sulle scelte di maternità, ecc. Immagino che ci saranno ponderosi saggi di esperti del settore che ci illuminerebbero su questo punto. Io posso solo farvi vedere i (pochi) dati che sono riuscito a reperire per chiarirvi il mio pensiero. Qui, ad esempio, vi rappresento per il periodo in cui sono disponibili il tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro (proveniente da ILOSTAT) e il tasso di fertilità (proveniente dai World Development Indicators):


Si intravedono benissimo tre periodi. Nel primo, che arriva al 1991, le due variabili si muovono per moto contrario, con una correlazione pari a -0.86. Nel secondo, che arriva fino al 2011, si muovono per moto parallelo (e quindi sì, è stato possibile partecipare al mercato del lavoro e procreare...), con una correlazione pari a 0.87. Poi, dal 2012, qualcosa cambia, e le due variabili ricominciano a muoversi per moto contrario, con una correlazione di -0.71.

Che sarà mai successo fra 2011 e 2012?

I dati del WDI arrivano fino agli anni '60 (ma non quelli sulla partecipazione al mercato del lavoro, che sono di fonte ILO), e quindi posso farvi vedere l'evoluzione nel lungo periodo del tasso di fertilità (bambini per donna) in Italia e in Europa:


Mia madre ne ha fatti tre, quindi era sopra la media per i suoi tempi, ma quello che volevo farvi notare è che tutto sommato gli andamenti sono piuttosto simili. L'Italia scende più rapidamente dell'Europa in due periodi, come si vede meglio prendendo il rapporto fra i due tassi:


Fra il 1973 e il 1986, e poi dal 2012 al 2021 (nel 2022 e 2023 c'è un rimbalzo determinato dal crollo della fertilità altrui: chissà perché, visto che la Germania è in recessione e quando si è disoccupati si ha tanto tempo libero...).

Che sarà mai successo fra 2011 e 2012?

Come al solito, i cantori della complessità del reale contraddicono se stessi incorrendo in un simpatico negazionismo selettivo. Qui nessuno nega che anche altri fattori sociologici influenzino e soprattutto abbiano influenzato il tasso di fertilità: ma bisogna essere ben imbecilli per negare che un ben preciso fattore economico lo abbia influenzato a partire dal 2012! Questo fattore (la depressione più prolungata dell'intera storia italiana):


ha delle caratteristiche di persistenza e di eccezionalità tali che possono benissimo aver determinato un cambiamento di struttura nella relazione fra ciclo economico e scelte di procreazione. Un conto è prendere certe decisioni in un'annata cattiva (come ce ne sono state tante fra A e B), un conto quando non hai un futuro davanti (come fra B e D).

Tutto qua...

Poi naturalmente usciranno dalla cloaca i ratti a ruttarci le loro banalità. Ma desidero sappiate che sulla relazione fra austerità e fertilità esiste una discreta letteratura: come al solito, qui non ci inventiamo nulla, e la nostra unica abilità, a volercene proprio riconoscere una, è quella di toccare con precisione i nervi scoperti del nemico.

domenica 25 maggio 2025

Breve ma veridica storia dei salari italiani

La storia che ci racconta il PD dopo, cioè che in Italia la crisi salariale è stata causata dal fasheesmo (inteso come Governo di destra) è in fondo quella che raccontavamo noi prima, cioè che in Italia la crisi salariale sarebbe stata causata dal fascismo, inteso come PD, cioè come comitato d'affari del grande capitale internazionale, con annesso squadrone di mazzieri "tennici". Nell'articolo "genetico" di questo blog, quello pubblicato sul manifesto ad agosto 2011, specificavo appunto che:

"Berlusconi se ne andrà: dieci anni di euro hanno creato tensioni tali per cui la macelleria sociale deve ora lavorare a pieno regime. E gli schizzi di sangue stonano meno sul grembiule rosso. Sarà ancora una volta concesso alla sinistra della Realpolitik di gestire la situazione, perché esiste un’altra illusione della politica economica, quella che rende più accettabili politiche di destra se chi le attua dice di essere di sinistra."

Come vedremo, le cose sono andate esattamente così. Va da sé che non tanto i colpevoli, quanto le vittime di questo sviluppo storico così banale, così prevedibile, non ammetteranno mai di essere stati traditi e mazziati da quell'asinistra cui avevano affidato la rappresentanza dei loro interessi. Appunto in questo risiede l'illusione della politica economica che descrivevo quattordici anni or sono, prima che la vedessimo così apertamente all'opera: alla sinistra tutto è concesso non solo e non tanto perché nel corso dei decenni ha saputo egemonizzare stampa e magistratura (questo è un altro discorso, fondato e forse più rilevante, che però ci porterebbe su un altro livello di analisi), quanto perché si dà per scontato che la sinistra i lavoratori li difenda (?), e che quindi anche quando somministra una medicina amara lo faccia per il bene del paziente. Il paziente, a sua volta, per mantenere un minimo di considerazione di sé, per mantenere coeso e coalescente il proprio io o il proprio ego, tutto può fare tranne che ammettere di essere stato platealmente preso in giro, e quindi a tutto darà la colpa (a abberluscone, a #acoruzzzzzione, a #erdebbitopubblico, ecc.) tranne che a se stesso per il fatto di aver votato chi ha voluto, e gestito con spregiudicatezza, un sistema economico in cui l'aggiustamento degli squilibri esterni (il reperimento di valuta pregiata con cui rimborsare i creditori esteri) può avvenire solo in un modo: abbattendo i salari per promuovere le esportazioni (e quindi accumulare valuta pregiata con cui rimborsare i creditori esteri).

La vera sostituzione etnica è infatti la svalutazione interna, il cui esito (non necessariamente intenzionale né consapevole) è sostituire la platea di consumatori residenti con una platea di consumatori non residenti, i cui consumi sono quindi, per definizione, esportazioni, e in quanto tali provocano un surplus negli scambi con l'estero. Il produttore residente può rinunciare a conferire potere d'acquisto al lavoratore residente, e quindi può pagarlo di meno, solo perché e in quanto che così facendo può sostituirlo con un consumatore estero. Naturalmente, finché dura. Il consumatore residente ha un difetto: se non lo paghi abbastanza, non può consumare abbastanza. Da qui in giù mi capiterà di parlare di "potere d'acquisto delle retribuzioni", ma sarebbe finalmente ora di fare chiarezza e chiamarlo "potere di fatturazione delle imprese", perché quello è. Il consumatore non residente ha un difetto: risiede in altri Paesi, soggetti all'insicurezza dei rispettivi cicli politici. Ribadisco: chi esporta beni importa problemi, i problemi dei Paesi che acquistano i beni esportati. Nota bene: lo dico da prima che il conflitto ucraino (o meglio, il suo acutizzarsi) rendesse il concetto sufficientemente chiaro a chi voglia capirlo.

Questo, naturalmente, non significa "autarchia unica via"! Ci mancherebbe altro! Significa solo che articolare un progetto di crescita sull'eccesso strutturale di esportazioni significa articolarlo sulla sopraffazione e la creazione di squilibri. Non è una buona base su cui costruire, e tutto il dibattito sui dazi andrebbe letto in questa ottica.

Tuttavia, qui ci occupiamo di un unico aspetto di questo vasto quadro: la dinamica della variabile che sostiene il peso dell'aggiustamento: i salari reali.

In questo post faccio un'operazione molto semplice: ripercorro con voi la storia del salari reali italiani, datando i principali fatti politici intercorsi dal 1999 a oggi (diciamo, dalla tredicesima legislatura ad oggi), in modo da attestare quando è successo cosa e possibilmente perché. Ovviamente per fare questo partirò da una succinta illustrazione delle fonti, e altrettanto ovviamente terrò da parte per il momento i vari fattori "confondenti" emersi nel dibattito avuto sotto ai post precedenti (potremo tornarci con calma), come il ruolo della fiscalità (nelle sue varie forme: il fiscal drag, il calcolo del reddito netto delle famiglie, ecc.).

Nel dibattito pubblico si parla di salari, abbiamo iniziato il blog parlando di salari, poi se volete parliamo di altro, ma intanto concludiamo questo discorso, anche per tacitare la pletora di imbecilli negazionisti che su Twitter continuano a voltare le spalle ai dati.

Una verifica delle fonti

Nei post precedenti abbiamo utilizzato come base dati l'Eurostat, perché facilita i confronti internazionali. Abbiamo però anche visto che la qualità dei dati non è sempre eccellente, che spesso non ne è chiaro il trattamento (grezzi? Destagionalizzati?), e soprattutto consideriamo che la polemica italiana si concentra sui dati Istat, per cui è meglio riferirsi a questi ultimi per evitare di essere accusati di "svicolare" utilizzando dati meno consueti al grande pubblico. Ho quindi rifatto rapidamente tutti i calcoli utilizzando il conto economico delle risorse e degli impieghi trimestrale (per estrarre le retribuzioni lorde e i deflatori dei consumi) e i dati sull'occupazione di contabilità nazionale per estrarre i lavoratori dipendenti:

L'impianto dei calcoli è questo:


(potete verificare e replicare scaricando i dati da qui) e il risultato è questo:

Storia dei salari

Per darvi un'idea, il momento in cui ho detto che il PD avrebbe tagliato i salari è evidenziato qui:


(terzo trimestre 2011) e sì, per evitare una lagna ricorrente vi dico che so benissimo che sotto Berlusconi già stavano calando (era anche scoppiata la crisi finanziaria globale, peraltro). Oscillazioni simili però, come quella dal picco precedente fino al puntino rosso, c'erano già state nella storia precedente, ad esempio fra 2002 e 2003. Un tuffo come quello causato da Monti subito a destra del puntino rosso, però, non si era mai visto (e in seguito si sarebbe visto solo fra 2021 e 2022 a causa di un imprevisto e del tutto eccezionale picco dell'inflazione).

Per aiutarvi nella lettura politica, di cui voi tanti siete vaghi, ho costruito questo specchietto cronologico:


(spero di non aver sbagliato le date), dove l'inizio di ogni Governo viene associato ovviamente al trimestre in cui il relativo primo ministro prestò giuramento al Quirinale. Nella seconda colonna vedete quindi il livello a cui si trovava il salario medio trimestrale (ai prezzi del 2020) quando i vari Governi hanno iniziato la loro avventura, mentre nella quarta colonna la variazione totale del salario medio trimestrale fra il primo e l'ultimo trimestre del rispettivo Governo, e nella quinta la variazione media (calcolata linearizzando, cioè dividendo la variazione complessiva per il numero di trimestri in cui il Governo è stato in carica). Quest'ultima operazione è indispensabile perché siccome Governi diversi hanno avuto diversa durata, una variazione complessiva anche importante può essere stata irrilevante in termini medi perché spalmata su diversi anni, così come può succedere il contrario.

Se ordiniamo i Governi secondo quest'ultimo criterio (la variazione media del salario reale trimestrale) otteniamo questa classifica:


da cui si riscontra facilmente che i due Governi che dentro l'euro sono riusciti a far crescere più rapidamente i salari sono il Meloni I e il Berlusconi III. Il governo Prodi I ha fatto bene, ma l'euro era di là da venire. I due killer invece sono stati, di gran lunga, Monti e LVI (Draghi), anche se va detto, a discolpa di quest'ultimo, che non era facile gestire una sorpresa inflazionistica come quella occorsa durante il suo mandato (ma era relativamente facile prevederla, come sapete).

Conclusioni

Non ve la faccio tanto lunga: la spiegazione che diedi ad agosto 2011, secondo cui si sarebbe dovuto ricorrere al PD per comprimere ulteriormente i salari, risulta completamente validata dai dati. La spiegazione del PD secondo cui la crisi salariale andrebbe attribuita al Governo di centrodestra è frontalmente smentita dai dati. Quando si spiega che nessuno può rimediare in un batter d'occhio a undici anni di politiche di deliberata compressione salariale (chieste da Draghi e attuate dal PD) la lagnetta è sempre la solita: "Ma ormai siete al Governo da tre anni, dovete fare qualcosa, la colpa non può essere sempre di quelli che c'erano prima!"

Il governo Meloni ha fatto qualcosa: ha realizzato l'incremento medio trimestrale del salario reale più alto di quelli registrati dal 1996 in qua. Non è abbastanza, naturalmente: performances come quelle dei governi Draghi e Monti sono difficili da compensare in un attimo. Ma la direzione è intrapresa, e, come ci dicevamo in una discussione precedente, lo stato deliquescente delle economie nemiche ci aiuta a mantenerla (giocherellare con lo spread gli farebbe esplodere il Paese sotto al sedere, quindi ora ci pensano due volte).

Va tutto bene?

No, naturalmente, né mi interessa dimostrarvelo in alcun modo. Vi ho solo fornito dei dati riproducibili, e vi posso anche dire un piccolo segreto: non andrà mai tutto bene! Le querimonie del PD in ogni parterre televisivo, da Porta a Porta a Rete 8, secondo cui "siete inzenzibbili, laggente stanno male e voi nun fate ggnente!" hanno rotto i coglioni perché sono pura demagogia! Che la gente stia male lo sappiamo meglio noi di loro, perché noi frequentiamo i nostri elettori (e questo blog ne è una dimostrazione), ma è altrettanto indubbio che dal 2022 in poi ogni giorno la gente sta meglio, e se contrastare la sorpresa inflazionistica era una priorità, il PD poteva metterci i soldi che desiderava finché era al governo con "the best one" (Draghi). Ora è un po' tardi per dire agli altri che cosa va fatto, e soprattutto per dirlo a uno che come me gli aveva detto prima perché quello che da utili idioti del capitale volevano fare sarebbe stato meglio non farlo.

Era chiaro ex ante (a me), spero sia limpido ex post (per qualcuno in più).

Buona domenica!

sabato 24 maggio 2025

Come si calcolano iSalari™️ (parte terza: l'input di lavoro)

 (...nella prima parte di questo ciclo vi ho spiegato come recuperare il valore del monte salari complessivo, nella seconda vi ho spiegato come esprimerlo in termini di potere d'acquisto, cioè in termini reali, evidenziando alcuni problemi nel calcolo dei deflatori da parte di Eurostat, oggi parleremo di come commisurare il valore dei salari erogati alla quantità di lavoro prestata, e quindi come ottenere una misura dei salari - reali o nominali - pro capite, o come ottenere una misura del costo del lavoro per ora lavorata. Resterò nella misura del possibile all'interno del database Eurostat in modo che sia più facile gestire la gnagna del "in Germania i salari sono più alti" o "m'ha detto micuggino che in Francia laggente stanno meglio". In teoria Eurostat dovrebbe produrre dati confrontabili fra Paesi membri dell'Unione Europea, quindi una volta imparati i calcoli per l'Italia dovreste essere in grado di replicarli a piacere per qualsiasi altro Stato membro. In pratica, nella puntata precedente abbiamo visto che ogni tanto i dati presentano anomalie inesplicabili, ma insomma, se si ripresenteranno le gestiremo e non dipendono da me. Cominciamo...)

Il monte salari lo abbiamo, sia in termini nominali che reali:


In quanto segue farò riferimento al deflatore dei consumi, ponendomi quindi in un'ottica "potere d'acquisto del lavoratore" (il deflatore del Pil lo si usa invece quando ci si pone in un'ottica "costo del lavoro per l'imprenditore": gli inglesi in questo caso parlano di product wage).

Ora procuriamoci i dati sugli occupati, intesi come lavoratori dipendenti (quelli che percepiscono appunto un salario). La localizzazione nel data tree dell'Eurostat è abbastanza intuitiva (come funzioni il data tree l'ho spiegato nella prima puntata):


Il problema qui è che i dati trimestrali iniziano solo dal 2009!


Ai fini politici e giornalistici può essere abbastanza, ma a me interesserebbe avere una serie più lunga.

Cercando nell'albero trovo gli "historical data":


Li estraggo e li confronto con i più recenti:


La dinamica delle serie è molto simile, ma la serie più recente degli occupati (quella in grigio) è inferiore in media dell'1.5% alla serie degli occupati dai 15 ai 64 e dell'1% a quella degli occupati dai 20 ai 64 anni fornite dagli historical data.

In questi casi ci sono due modi di procedere: o ci si rivolge alla fonte nazionale, sperando che riporti serie omogenee su un campione sufficiente, o si ricostruisce all'indietro (si "retropola") la serie più recente utilizzando i tassi di crescita di quella più remota, purché questi tassi siano sufficientemente simili nel periodo in cui sono entrambi reperibili.

La correlazione fra i tassi di variazione della serie recente e  di quella "storica" 20-64 nel periodo in cui sono entrambe disponibili (2009-Q2:2020-Q4) è altissima, pari al 96%, quindi per il momento scelgo la seconda strada e estendo all'indietro la serie "grigia" coi tassi della serie "arancione". Il risultato è questo:

e per il momento ce lo facciamo andare bene: la serie "grigia" sarà la nostra misura degli occupati (poi volendo rifaremo il tutto su fonti nazionali).

Per ottenere il salario (reale o nominale) pro capite dobbiamo dividere il monte salari per gli occupati, ricordando però che il primo è espresso in milioni e il secondo in migliaia. La formula giusta quindi è: UW = W/(N/1000), cioè il salario medio unitario (unit wage) è pari al monte salari in milioni diviso per gli occupati in migliaia divisi per mille (per riportarli a milioni), e il risultato è questo:


in euro per persona per trimestre. Non commento il dato, quello lo facciamo in separata sede, intanto suggerisco a chi ha voglia di rifarsi i conti, così se ho sbagliato mi correggerà.

Le ore lavorate invece non sono riportate fra gli indicatori di contabilità nazionale. Per reperirle nel database faccio la cosa più semplice: chiedo!


Scrivendo "hours worked" nella casella di ricerca in alto a destra compaiono una serie di possibilità: articoli, voci di glossario, basi dati. La base dati più pertinente mi sembra quella evidenziata. Cliccandoci sopra vengo portato qui:


e per capire in che modo questa informazione viene gerarchizzata dal database posso cliccare su "Show in data tree", che mi fornisce questo risultato:


Per qualche motivo, l'informazione che mi serviva sono riuscito a trovarle nel Conti economici regionali (che a loro volta sono una miniera di altre informazioni). Ovviamente come "regione" scelgo l'Italia, come campione tutti gli anni disponibili, come settore l'intera economia, ed ecco fatto! C'è solo un problema, questo:


L'Eurostata recepisce i dati con un certo ritardo (con la scusa di armonizzarli, suppongo), e quindi per ottenere una serie che arrivi almeno fino al 2024 mi tocca ancora una volta integrarla con l'Istat. Poco male, almeno vi faccio vedere come funziona (visto che questa sera funziona). Istat ha adottato un'interfaccia "simil-OCSE" (era tale anche prima, solo che... nel frattempo l'OCSE l'ha cambiata e l'ISTAT si è adeguata). L'indirizzo è cambiato ed è questo: https://esploradati.istat.it/databrowser/#/it, e in apertura si presenta così:


"Bella la boiserie, bello il lavoro...", ma i dati dove stanno? Cliccando su "Dati" si arriva qui:


dove la fascia evidenziata riporta i temi principali, e spostandosi su ognuno di essi sotto appaiono i vari database. Anche qui tiro dritto e invece di avventurarmi in ricerche gerarchiche uso il motore di ricerca interno:


che mi porta immediatamente a quello che mi serviva:


Devo solo selezionare "Ore lavorate" nella linguetta evidenziata e eccoci qua:


Per motivi affascinanti e misteriosi le due serie coincidono solo a partire dal 2021 (hint: nel database Eurostat la b accanto al valore del 2021 indica che in quella data si è verificato un break nella serie, cioè una modifica del metodo di calcolo. Ovviamente per quanto paghiamo i simpatici eurostatistici ci aspetteremmo che fossero così cortesi da omogeneizzare i dati non solo sincronicamente ma anche diacronicamente, ricostruendo le serie in modo da fornire con criteri omogenei spazialmente e temporalmente. Ma capiamo che è chiedere troppo e ci accontentiamo per il momento di constatare che i dati dell'Istat sono una prosecuzione attendibile di quelli dell'Eurostat:

(in realtà situazioni di questo genere possono essere gestite in un modo più accurato, ma di questo parliamo in un eventuale approfondimento, se richiesto).

Tuttavia, qui il problema è un altro: su Eurostat abbiamo trovato dati annuali (e parziali), ma a noi servono trimestrali. Istat li fornisce (basta cercare nei conti economici trimestrali), e possiamo utilizzarli per calcolare il salario medio per ora lavorata:


Il risultato è questo, e anche qui non commentiamo, riportiamo semplicemente, invitando chi lo desideri a rifarsi i conti. Chiaramente, se i profili delle due coppie di serie, che hanno gli stessi numeratori (il monte salari in termini nominali e reali), sono diversi, questo indica che il denominatore ha un profilo diverso, cioè che la dinamica degli occupati e delle ore lavorate ha avuto dei "disaccoppiamenti", come oggi si usa dire.

Possiamo vederlo riportando i due denominatori nello stesso grafico, dopo averli espressi come indici a base 2015:


Le ore lavorate hanno più varianza degli occupati (e se ne possono intuire i motivi), e dopo la crisi il numero di ore lavorate è aumentato più rapidamente rispetto a quello degli occupati (e anche questo è intuitivo, ma ne parleremo).

Bene: abbiamo molti dati da commentare, ma soprattutto ora sapete dove trovarli, così non dovrete "credere" a nulla. Il piddino "crede" nelle statistiche. Il normodotato le consulta. La differenza è tutta lì, e non è piccola come sembra...

Buona notte!

(...devo dormire perché domani mi aspettano ore di automobile: lascio i refusi alle vostre amorevoli cure...)

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