giovedì 25 dicembre 2025

La quota salari al tempo del fascismo

Un ratto di cloaca ha osservato che nel grafico dei salari reali aggiornato qui:


mancherebbe l'unità di misura. Per voi che avete seguito passo passo la sua costruzione la risposta è ovvia e l'informazione è superflua, ma siccome oggi siamo tutti pervasi di spirito natalizio ripropongo il grafico in una versione a prova di ratto:


e così, posto che in questo grafico quanto interessa (o dovrebbe interessare) ai fini del dibattito politicante da cui non si riesce a distogliere alcuni di voi è la dinamica, piuttosto eloquente, abbiamo anche fatto chiarezza sulle unità di misura, a beneficio dei diversamente attrezzati (o diversamente volenterosi di apprendere).

Partendo dall'ultimo dato, che è pari a 6902,16 euro nell'estate di quest'anno (terzo trimestre 2025), questo corrisponde aritmeticamente a un reddito mensile di 2300,72 euro e annuale di 27608,60 euro prima delle imposte e ai prezzi del 2020. Vale senz'altro la pena di sviluppare con calma il tema dell'impatto della tassazione (anche per mettere a tacere le fiscal drag queen), atteso che da quel poco che vedo non so voi, ma certamente molti miei colleghi e antagonisti televisivi non ne capiscono assolutamente nulla! Tornando da casa dei miei (ora ne è rimasto uno) mi è però venuto in mente di affrontare rapidamente, prima dell'ennesimo appuntamento gastronomico, un tema su cui ci siamo esercitati spesso, quello del conflitto distributivo così come evidenziato dalla quota salari, cioè dalla percentuale di prodotto interno lordo che va al reddito da lavoro dipendente.

Lo affrontammo nel lontano 2012 rispondendo al Boldrin "de sinistra", tal Emiliano Brancaccio (meno divertente dell'equivalente di destra), che con toni matterelliani ci aveva ammonito:

Qualcuno forse ritiene che in fondo conti solo il salario reale, e che la quota salari non sia importante? Spero che nessuno si azzardi a pensarla in questi termini: la dinamica delle quote distributive è forse l’indicatore chiave del cambiamento nella struttura socio-politica di un paese.

Insomma: una roba tipo "non si invochi il salario reale per non parlare della quota salari" (eggnente, a sinistra ci hanno il monito nel sangue...).

Ora, noi facemmo notare prima prima con tono conciliante e costruttivo qui, poi con tono lievemente scanzonato e canzonatorio qui (perché alla fine uno si rompe i coglioni e decide di prenderla a ridere quando l'interlocutore è in palese malafede) che bastava un minimo di algebra per capire che parlare come noi facevamo di rapporto fra salario reale e produttività o parlare di quota salari era esattamente la stessa cosa, atteso che fra le variabili citate sussistono queste relazioni:


e non è che ci vogliano grandi competenze in economia matematica: basta un po' di economia aritmetica per capire che il mio discorso sulla dinamica di salario reale e produttività, più volte sviluppato (l'ultima qui) è equivalente a un discorso sulla dinamica della quota salari.

Sviluppiamo questo punto.

Se, come vi ho fatto vedere, il salario reale dal tempo del fasheesmo (cioè dall'ottobre del 2022) è cresciuto di circa lo 0,5% al trimestre, cioè il 2% all'anno, questo significa che è cresciuto più del prodotto interno lordo, che nello stesso periodo è cresciuto di meno dello 0,2% a trimestre, cioè dello 0,8% all'anno, e quindi che la quota salari è aumentata. Questo ci dicono in effetti i dati di AMECO, che riportano la quota salari in percentuale del prodotto interno lordo, così calcolata:

ALCD0 = [(UWCD:NWTD):(UVGD:NETD)]x100

ovvero come rapporto fra i redditi da lavoro dipendente divisi per gli occupati dipendenti e il Pil diviso per gli occupati totali. Per darvi un'idea, i dati si presentano così:


e per la parte che ci riguarda ci ritroviamo quello che era ovvio ci fosse, cioè una vivace ripresa della quota salari dal 2023 in poi. Per darvi un'idea, in Italia al tempo del fasheesmo la quota salari, cioè, nelle vibranti parole del Boldrin "de sinistra", "l'indicatore chiave del cambiamento nella struttura socio-politica del Paese", è aumentata di circa due punti:

più o meno come in Germania, più che nella media europea o dell'eurozona, e molto di più che in Francia (dove però la quota salari è superiore a quella italiana, e quindi in effetti di un aumento non ci sarebbe particolare bisogno) o in Grecia (dove invece la quota salari è inferiore a quella italiana e di un aumento probabilmente qualcuno sentirebbe il bisogno).

Torna sempre utile dare un'occhiata a come si sono andate sviluppando le cose nel tempo.

Dal 2011 al 2017, nel meraviglioso periodo dei governi tecno-piddini, mentre noi subivamo dai colleghi della sinistra "de sinistra" lezioncine sull'importanza della quota salari, questa slittava inesorabilmente verso il basso, perdendo complessivamente 1,3 punti percentuali. Insomma: ha fatto più il fasheesmo per i lavoratori in tre anni che il "comunismo" in sette (soprattutto perché l'ha fatto nella direzione giusta), il che spiega perché alle intemerate di Landini venite presi da accessi di ilarità. Va anche detto che dopo la macelleria sociale portata avanti da quelli là, a fare meglio ci voleva poco. D'altra parte, questo possiamo permetterci di dirlo noi qui, perché lo avevamo detto ex ante e perché capiamo quanto diciamo. Ai vili traditori dei lavoratori non credo convenga dire: "Beh, che ci vuole a recuperare due punti di quota salari dopo il massacro che abbiamo perpetrato!", anche se, detto fra noi, il quoziente intellettivo di chi ancora gli dà ascolto è tale per cui verosimilmente una simile ammissione di colpevolezza non avrebbe un enorme costo elettorale!

Più in generale, il grafico sull'andamento della quota salari conferma una cosa che qui ho cercato di spiegarvi tante volte: l'austerità, prima di essere uno strumento di taglio, è uno strumento di redistribuzione del reddito (l'esempio della Grecia e dell'Italia è eloquente). Vale poi un'altra con cui dovremo convivere a lungo: sta andando meglio, ma certo non va bene.

Possiamo anche allargare lo zoom (anche se per la Germania i dati sono presenti solo dal 1991, cioè da due anni dopo l'unificazione):

giusto per constatare (a proposito di fascismo, quello vero...) che quanto in Grecia hanno fatto i colonnelli a partire dal 1967, qui da noi l'ha fatto l'integrazione monetaria, con la connessa necessità di "trying to lower wage costs relative to each other", a partire dallo SME nel 1979. C'è voluto un po' di più, ma i numeri sono quelli.

Scusate, non volevo guastarvi le feste, e infatti smetto subito. Ci sono tante altre cose che andrebbero dette, ma avremo tanto tempo per dircele...

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