La traduzione letterale di political economy è economia politica, ma questa traduzione è fuorviante. La traduzione in inglese di economia politica infatti è economics, mentre economic policy è la politica economica, quella che insegno io. E la political economy? Nell'ambito delle scienze economiche (la cui tassonomia è consultabile qui) si intende per political economy quella disciplina a cavallo fra economia politica e scienze politiche volta allo studio delle interazioni reciproche tra processi economici e istituzioni politiche, cioè ad analizzare come la politica influenzi gli esiti economici e come, a sua volta, le dinamiche economiche plasmino le istituzioni politiche. La differenza principale fra la political economy e l'economia politica (cioè l'economics) è proprio questa: in economia politica le istituzioni politiche vengono considerate esogene, sono un dato, e la loro struttura (se le si vuole far entrare in gioco) è sostanzialmente assimilata a quella di un qualsiasi altro agente economico ottimizzante; nella political economy le istituzioni politiche sono endogene, e l'oggetto dell'indagine consiste spesso nell'analizzare come e perché esse mutano adattandosi alle evoluzioni del contesto economico.
In questa assemblea in cui i giovani della Lega si interrogano sul loro radioso futuro credo sia utile innanzitutto riflettere sul percorso che la Lega Salvini Premier ha fatto fin qui.
Noi non siamo progressisti: essere progressisti, come ci ha insegnato Michéa, significa sostanzialmente negare il passato in nome del "mai più", consegnandosi alla cecità e quindi all'eterno ritorno proprio di quelle sciagure che si è cercato di rimuovere psicanaliticamente dalla coscienza collettiva (affidandone una memoria stilizzata ad alcune liturgiche e vuote celebrazioni identitarie del "mai più"). Questo è il principale limite antropologico del progressismo, e da questo limite noi vogliamo distanziarci. Per capire quali siano i valori del nostro partito, per valutare se realmente ci identifichiamo con essi e vogliamo propugnarli, per riflettere su quali messaggi hanno portato e potrebbero portare consenso, al di là delle banalità sull'elettorato "fluido" dispensate dai media, che cercano di offuscare e di distogliere l'attenzione da quello che gli elettori graniticamente desiderano, dobbiamo quindi in primo luogo conoscere e interpretare la storia del nostro movimento. La political economy ci aiuta a calare questa analisi in un contesto macroeconomico globale in rapido mutamento, essendo (spero) ovvio che, pur nel persistere di una base valoriale che per sua natura, per essere tale, deve essere stabile nel tempo, altro è essere all'opposizione durante una crisi e altro è essere al governo durante una ripresa. Posto che il porto cui si desidera giungere resta il medesimo, altro è avere il vento in poppa a altro averlo in prua.
In questa ottica, è del tutto evidente che non possiamo riflettere sulla storia della LSP, come su quella di qualsiasi altro partito o istituzione politica italiana, prescindendo dal fatto stilizzato macroeconomico più rilevante dell'ultimo mezzo secolo (ma in realtà dell'intera storia unitaria), cioè questo:
che abbiamo ampiamente descritto in tante altre occasioni, ma sul quale bisogna sempre tornare, semplicemente perché la scarsa qualità dei ceti intellettuali italiani impedisce a questo fatto di diventare, come dovrebbe, l'elemento centrale del dibattito pubblico nel nostro Paese.
Ci siamo ampiamente diffusi in altra sede sulle cause di questo disastro, rinvenendo in particolare le cause prossime nel taglio degli investimenti pubblici con oltre un decennio di investimenti pubblici netti in territorio negativo:
(e qui in Abruzzo sappiamo meglio che in tante altre Regioni che cosa abbia significato questa distruzione di infrastrutture pubbliche). Sappiamo che le cause remote derivano dalla necessità di comprimere i salari reali, ma su questo tornerò dopo.
Oggi vorrei soffermarmi su alcune conseguenze di questo fatto macroeconomico.
Una ha a che fare con un problema cui ha accennato un relatore che mi ha preceduto: la crisi demografica. I dati sono piuttosto espliciti su questo punto:
L'austerità coincide con una flessione dei nati vivi che prima erano su un trend leggermente crescente. Dietro questi numeri c'è l'impossibilità di formare una famiglia in un contesto di carriere lavorative precarizzate in nome della flessibilità (al ribasso) dei salari.
Poi ci sono le conseguenze politiche, ed è soprattutto su di esse che vorrei soffermarmi con voi. Ve le riassumo in tre punti, uno rosso, uno verde, e uno blu:
Vediamo a che cosa corrispondono.
Il punto rosso individua il 2011:
cioè l'anno in cui, dopo aver denunciato il 22 agosto sulle colonne del manifesto il fatto che le asimmetrie dell'Eurozona ci avrebbero impedito di risalire la china e avrebbero portato all'avvento di un Governo tecnico che avrebbe fatto macelleria sociale spingendo a destra l'elettorato ("perché le politiche di destra, nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra"), il 16 novembre aprivo il mio blog per spiegare i motivi per cui i salvataggi di Monti non ci avrebbero salvato. Fu una chiamata cui, contro ogni mia aspettativa, risposero in decine di migliaia: attorno al blog si costituì quel consenso e quella community di cui in altre sedi abbiamo raccontato la storia, che ancora oggi porta a Montesilvano una volta l'anno centinaia di persone, e che diventò un fatto politico importante, forse il più importante di quel periodo. Il libro scritto per riassumere il primo anno di blog, Il tramonto dell'euro, vendette 25.000 copie contro il suo editore e contro tutto il complesso mediatico-giudiziario, che all'epoca era evidentemente più furbo di come si è poi dimostrato con Vannacci, scegliendo nel mio caso la strada dell'indifferenza e in quello di Roberto la strada della pubblicità negativa (più efficace della positiva).
Ma i social non erano abbastanza presidiati, e il messaggio si diffuse con rapidità.
E qui si arriva al punto verde:
Il 23 novembre 2013 Matteo Salvini mi invitò con Borghi e Rinaldi al "No euro day" presso l'Hotel dei Cavalieri di Milano. Prendo questa foto come simbolica di un punto di svolta, di cui io all'epoca non mi rendevo conto, ma alcuni dei presenti sì. Quello che poi sarebbe stato il mio capogruppo in Senato, Massimiliano Romeo, otto anni dopo mi disse: "Erano anni che non vedevamo così tanta gente in una stanza [NdCN: per me abituato ai goofy era un po' meno di business as usual...], capimmo che c'era qualcosa di grande che dovevamo intercettare!"
Che cosa era successo? Che ci faceva un intellettuale di sinistra che scriveva per il manifesto e sbilanciamoci a un raduno di leghisti (variamente dipinti dai media di regime come xenofobi, omofobi, razzisti, ecc.)?
Erano successe diverse cose.
La prima, che all'epoca ignorai (perché non seguivo la politica, ritenendo che il ceto politico italiano non avesse e non volesse avere gli strumenti per interpretare e evitare il disastro cui eravamo avviati) era che a novembre 2011 la Lega (che guardavo con la sufficienza con cui i progressisti guardano chi la pensa un modo diverso da loro) era stata l'unico partito a opporsi al Governo Monti, in nome di un ideale di democrazia l'aveva portata a rifiutare il golpe bianco previsto da me ad agosto e realizzato da Monti a dicembre. Ci ricorda quel momento il senatore Garavaglia in una ricostruzione storica che merita sempre di essere riascoltata:
Questa decisione coraggiosa aveva consegnato la Lega a una lunga traversata nel deserto, condita di scandali giudiziari più o meno fondati (ormai abbiamo tristemente appreso come funziona...), che l'aveva condotta al 4,08% delle politiche del 2013, la metà circa dell'8,3% delle precedenti politiche del 2008 (tutte cose che all'epoca ignoravo, non interessandomi di vita parlamentare, ma che sono facilmente riscontrabili).
La seconda, che nella primavera del 2013 Lorenzo Fontana, allora capodelegazione della Lega Nord al Parlamento Europeo nel gruppo EFD di cui era capogruppo Nigel Farage, aveva prestato al suo collega Matteo Salvini una copia del Tramonto dell'euro.
La terza, che a luglio 2013 Matteo aveva chiamato Claudio Borghi per farsi spiegare cosa fosse "questa storia dell'euro" (ricordo la telefonata entusiastica che poi mi fece Claudio: in effetti il punto di svolta fu quello lì, ed è raccontato a pag. 31 di Vent'anni di sovranismo).
Con intuito e, aggiungo, aderenza ai messaggi storici del movimento (lo chiarirò meglio più avanti), Salvini aveva capito che c'era una battaglia che più di altre valeva la pena di combattere, e lo espresse in occasione del No euro day con la delicatezza che gli è propria e che ce lo fa apprezzare (e naturalmente lo fa detestare ai nostri nemici):
La battaglia per l'indipendenza (sottinteso: della Padania, perché quello era allora il brand del partito), era certo più identitaria, ma era destinata a restare vuota se si fossero dimenticate le parole di Bossi:
a me all'epoca del tutto ignote. Uno Stato centrale sottoposto a un'autorità sovranazionale che per sua intrinseca natura non poteva essere politica non avrebbe avuto alcun potere da devolvere alle autonomie locali né alcuna risorsa da affidare loro, in un contesto in cui la "finanziaria" (oggi "legge di bilancio") sarebbe diventata (come è diventata) "un semplice fax inviato da Bruxelles" e in cui la perdita della sovranità monetaria avrebbe scaricato sulla pressione fiscale le necessità finanziarie degli Stati e delle Regioni. La contraddizione principale, per dirla come Mao, o, se vogliamo, il principale pericolo per le tasche della ipotetica constituency leghista (la partita Iva, il sciur Brambilla con la fabbrichètta...) non era quella fra Milano e Roma, ma quella fra Roma e Bruxelles, come poi avrei cercato di spiegare - scoprendo involontariamente l'acqua calda - in Milano ladrona, Berlino non perdona! Salvini quindi stava semplicemente tornando alle origini, era più bossiano del "leghista Nord mediano", anche se non vi so dire quanto ne fosse all'epoca consapevole, ma questo conta il giusto.
Quello che conta è quanto successe dopo:
Il 15 dicembre 2013 Matteo diventava segretario della Lega Nord, il 16 dicembre andava a Porta a Porta:
esibendo coram populo una copia del libro che secondo lui esponeva i problemi reali del Paese (Il tramonto dell'euro), come avrebbe poi fatto in altre situazioni, con grande intelligenza tattica (perché di fatto mi mise sopra il cappello leghista, impedendomi di portare avanti il mio discorso in modo trasversale, anche se, per dirla tutta, i tentativi fatti a sinistra si erano risolti in nulla, dato che la sinistra era popolata di zeri - con la minuscola!).
Iniziava così un lungo percorso che attraverso il 6,15% alle Europee del 2014, dove scoprimmo di non essere mijoni (perché non riuscimmo ad eleggere Claudio, che se fosse andato a Bruxelles ci avrebbe dato tante soddisfazioni!), ci ha portato all'8,97% delle ultime europee, con le vicissitudini che sapete, ma soprattutto nel 2022 ha consegnato l'Italia a una stabile maggioranza di centrodestra:
(e siamo così arrivati al punto blu).
Ora, qual è la prima riflessione da fare su questo percorso, di cui alcuni snodi probabilmente vi erano ignoti perché non seguite il mio blog o perché non erano mai stati dichiarati in pubblico, e del quale sarebbe interessante sapere quale fosse la vostra percezione prima di questo riassunto?
La prima riflessione è che, in termini di political economy, questi risultati sono assolutamente scontati, questo percorso era prevedibile, e infatti lo avevo previsto, pur non essendo un gran politologo, quando il 22 agosto del 2011 avevo chiarito che "le politiche di destra [cioè l'austerità], nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra".
Le elezioni del settembre 2022 sono quindi state un gigantesco QED (quod erat demonstrandum).
La cosa interessante è che quella che ancora otto anni fa era una riflessione isolata, che sviluppammo nel blog commentando i risultati delle elezioni politiche tedesche:
per far notare che il risultato di AfD non indicava un ritorno del nazismo, come paventavano ironicamente alcuni film "de sinistra" dell'epoca, ma esprimeva il semplice, limpido e prevedibile dato che di fronte a un'aggressione anche economica l'elettore si rivolge ai partiti di destra per soddisfare il proprio bisogno di sicurezza anche economica (noi lo avevamo appreso al convegno di Montesilvano), ecco, questa che in fondo era ed è una banalità, nel frattempo è diventata scienza, o, se volete, Lascienza, in purezza. Quelli bravi ci hanno messo un po', ma nel 2023, figuratevi voi, hanno organizzato un convegno niente meno che in Commissione Europea per discutere i costi politici dell'austerità:
e qui verrebbe da dire, parafrasando il claim del mio blog: strano come un costo visto da sinistra somigli a un'opportunità vista da destra! Perché nonostante gli sforzi profusi per spiegarci che l'austerità porta gli elettori a radicalizzarsi votando per posizioni estreme (?), lasciando sottintendere che essa alimenterebbe opposti estremismi:
la verità, come ci chiariscono i dati forniti dai piddinissimi autori del sito Authoritarian populism index, è che la stagione dell'integrazione monetaria e quindi dell'austerità ha recato consenso ai partiti di destra:
sgretolando il consenso per la sinistra a partire dall'inizio degli anni '80 per motivi che spero di aver chiarito e che possiamo riassumere così: è stata la sinistra a fare propria l'agenda cosmopolita della globalizzazione, con tutte le amenità e le disumanità arcobaleno che essa porta con sé, ed è quindi a destra che si sono rivolti i cittadini violentati nella loro più intima essenza dai sinistri sponsor di un progetto, quello globalista, che li ha messi in diretta concorrenza con una massa di poveracci in via di sviluppo, compromettendone il tenore di vita e degradandone l'antropologia.
Tutto molto ovvio, direi, come pure è ovvio che oltre all'impoverimento diretto, quello che suscita una reazione verso destra è l'impoverimento indiretto causato dai tagli allo stato sociale, come oggi scoprono brillanti ricercatori:
dando origine a una letteratura così fiorente che siamo ormai arrivati alle metanalisi:
cioè a studi che anziché studiare il fenomeno, studiano gli studi che studiano il fenomeno, per estrarne i messaggi principali (evitando così al ricercatore desideroso di raccapezzarsi la pena infinita di leggere le decine di articoli "copia e incolla" che normalmente caratterizzano la produzione scientifica nei campi di ricerca in rapida espansione).
In quest'ultimo abstract c'è una cosa che mi ha colpito perché mi ha rinviato a un ricordo molto nitido (uno dei pochi) di quel periodo turbolento. Nel giugno 2014 ero a Francavilla al mare con mia figlia, fra una sessione di esami e l'altra, piuttosto stanco dopo un anno impegnativo. Il tempo non era un gran che. Mi chiama Salvini per chiedermi di venire su a Milano per partecipare a una riunione strategica post-europee. Io all'epoca non avevo alcun ruolo politico, né volevo averne, non ero della Lega, ero di sinistra, ma tornai a Roma, presi il treno e andai. Notate bene: Matteo si affidava a un potenziale "nemico" per chiedere idee e valutazioni. Una cosa simile a sinistra ovviamente non esisterebbe
MAI.
(ed è questo che li rende così autoreferenziali e scollati dalla realtà). La riunione era ovviamente riservata, quindi non vi dico di che cosa si parlò (e peraltro quello che dissi io probabilmente non impressionò più di tanto i presenti perché mi lasciarono poi stare per un paio d'anni!), ma ricordo nitidamente che un sondaggista attribuiva i voti che la Lega aveva preso per due terzi al tema della sicurezza (in senso proprio) e per un terzo al neuro. Appresi quindi allora che non eravamo mijoni (cosa che sui social qualcuno non imparerà mai). Va anche detto che dal 4% al 17% ci corrono tredici punti e essere un terzo di tredici, cioè una cosa intorno al 4%, qualche soddisfazione la dà. Ma questo è un altro discorso.
Ora: se è ovvio ex post per quelli bravi ed ex ante per noi che l'austerità fa perdere consenso, perché mai la sinistra l'ha implementata? (che non significa "incrementata", come credono tutti i coatti, ma realizzata, cioè, in coattese, "messa a terra"). Come forse ricorderete (ma perché mai un giovane della Lega dovrebbe seguire i parlamentari della Lega?) questa domanda l'ho posta al Migliore:
ovviamente senza averne risposta, e questa domanda credo che dovreste provare a porvela anche voi, perché la risposta non è scontata e serve a delineare il nostro spazio di manovra! Se chiudere gli ospedali fa incazzare la gente, perché il PD ha chiuso gli ospedali? Voleva suicidarsi? E noi con gli ospedali che cosa dobbiamo fare? Aprirli o chiuderli?
Chiara la rilevanza della domanda?
Bene.
La risposta che normalmente si dà è che queste politiche impopolari erano però necessarie per risanare il Paese. Peccato che i dati raccontino che esattamente queste stesse politiche il Paese lo hanno rovinato:
portando a meno crescita, più disoccupazione, più povertà e soprattutto più debito pubblico e sei downgrade! Il Governo attuale, per inciso, sta andando in tutti questi ambiti nella direzione opposta. Tuttavia, se chiedete all'average Joe piddino che cosa ha fatto Monti, lui vi dirà che ha salvato il Paese mettendo sotto controllo il debito pubblico, anche se i dati (che lui non conosce perché non ha fatto una scuola di formazione politica né ha mai letto questo blog) dicono questo:E allora? Dobbiamo pensare che sia stata solo follia?
No, le cose non stanno così. Monti ha portato a termine la sua missione, che era quella di risanare il debito che realmente preoccupava i mercati, e quindi non quello pubblico, fatto per finanziare infrastrutture, ma quello privato, spesso destinato a impieghi meno produttivi e contratto, appunto, coi "mercati", cioè con le banche e i fondi esteri. Quello che secondo me dovrebbe dare una marcia in più al militante della Lega dovrebbe essere appunto la sua capacità di leggere la dinamica economica alla luce di una percezione non distorta di quale sia il vero problema, la vera fonte di instabilità finanziaria, e quindi la vera motivazione delle politiche di austerità:
Noi qui lo abbiamo detto fin dall'inizio, osservando, con molta semplicità, che i Paesi che erano andati in difficoltà nel 2010-2011 avevano debito pubblico in diminuzione o in ridotto aumento (con l'eccezione del Portogallo), ma avevano tutti uno stock di debito estero in aumento. Il problema era il debito estero, e l'austerità, cioè i tagli di reddito, non serviva a contenere il debito pubblico riducendo la spesa pubblica, ma a contenere le importazioni (distruggendo potere d'acquisto) al fine di riportare in surplus la bilancia dei pagamenti con l'estero e di ripagare quindi il debito estero.
Il meccanismo all'opera cioè era questo:
e il motivo per cui fra il deficit e il surplus ci deve essere necessariamente un abbattimento dei salari è, come credo sappiate, che in una unione monetaria non esiste più un tasso di cambio che possa muoversi per aggiustare i saldi esteri senza macelleria sociale nel Paese debitore. Vista in quest'ottica, l'esperienza Monti è stata un successo:
La deflazione salariale relativa all'altra grande potenza manifatturiera europea (la spezzata arancione che scende) ha risanato la posizione finanziaria netta sull'estero, che da debitoria è tornata creditoria, ed è oggi a un massimo storico.
Questo spiega perché il PD ha dovuto intraprendere politiche che hanno minato il suo consenso. Sostanzialmente perché queste politiche andavano a beneficio del blocco sociale di riferimento delle élite del PD, cioè della grande finanza internazionale, che quindi ha dato e continua a dare copertura politica o di altra natura agli artefici di questo rude ma efficace aggiustamento macroeconomico: cattedre prestigiose, cicli di conferenze profumatamente remunerati, consulenze milionarie, posti di spicco nelle istituzioni nazionali o sovranazionali (o estere), ecc.
E per gli elettori?
Per gli elettori, ovviamente, nozze gay coi fichi secchi. Finché si accontenteranno, pensando che l'alternativa sia il fasheesmo, avremo di fronte uno zoccolo di nostalgici che garantiranno al PD la doppia cifra (che tutte le sue articolazioni europee hanno perso, peraltro).
Questi però sono sostanzialmente fatti loro. Noi dobbiamo invece capire chi siamo e che cosa vogliamo, perché è solo uscendo dalla retorica della militanza che potremo entrare nella realtà della militanza.
Cos'è la retorica della militanza? Ve lo dico: ne ho i coglioni pieni di sentirmi ripetere l'epos convenzionale di quando venti o trent'anni fa Tizio o Caio andavano nelle nebbie della Padania o di altri circondari ad attaccare i manifesti con la colla. Questa cosa della colla ha sinceramente rotto i coglioni, anche se, per motivi per me incomprensibili, ogni volta che sul territorio si cerca di ragionare sui valori della Lega inevitabilmente si finisce a parlare di colla!
Ma la colla non è un valore della Lega!
Ne volete una prova?
Eccola:
Questo signore dallo sguardo profondo è tutto intento a spalmare colla, ma milita per il partito sorosiano e globalista per eccellenza! Ne volete un'altra prova? Questa:
Anche questa gentil donzella spalma colla, ma appartiene al partito del reddito di divananza, a quella che nel 2016 avevo previsto sarebbe diventata la stampella del PD (e nessuno mi credeva)!
Siete ancora convinti che i valori della Lega siano la colla?
Tutti attaccano manifesti, anche noi, naturalmente, ma forse, oltre a creare un racconto epico su chi i manifesti li attacca, bisognerebbe dire qualche parola su chi i manifesti li scrive: il successo del partito è dovuto a entrambi, ma la mia sensazione è che in questa epoca che vuole vedersi come "post-ideologica" l'importanza di quello che prima si pensa, poi si dice, poi si scrive, e poi si attacca al muro passi un po' in secondo piano, magari rispetto alle metriche social, o a una strana rivendicazione di anzianità. Perché mai dovrei considerare più militante uno che trent'anni fa attaccava manifesti del FUAN rispetto a uno che oggi legge e capisce Vent'anni di sovranismo?
E allora forse dovremmo, abbandonando per un attimo la retorica un po' autoreferenziale della militanza a base di colla, cercare una base valoriale e identitaria, da condividere, da mettere in discussione, da elaborare, nelle parole degli ideologi del partito, di quelli che gli hanno dato una fisionomia e lo hanno ingaggiato in battaglie condivise da un ampio elettorato. Un buon punto di partenza, ad esempio, è questo:
dove se non c'è tutto, sicuramente c'è molto. Militanza è ideologia, è capacità di leggere la realtà alla luce di un sistema di valori che consente di dedurre per ogni singolo problema che ci si trovi ad affrontare quale sia l'angolo di attacco da preferire, la decisione da prendere, la comunicazione da adottare, e di proiettare all'esterno, verso gli avversari ma soprattutto verso gli indecisi, un'immagine coerente, non schizofrenica.
Ad esempio, un pezzo di questa ideologia (il rifiuto del globalismo) si traduce nel noto aforisma:
UE = PD = cose che non si nominano a tavola
che ho formulato appunto parlando di ideologia a Beinasco:
Ecco: un militante questo non dovrebbe dimenticarlo mai, e dovrebbe sempre ricordarsi di declinare questo principio in ogni singola articolazione della sua vita personale, politica, amministrativa. Ad esempio, io sostengo che avremo fatto una vera rivoluzione culturale quando i nostri amministratori, i SOM che operano nelle varie amministrazioni, invece di dire "abbiamo preso i fondi europei" diranno "ci siamo ripresi i soldi delle vostre tasse", perché questa è la realtà e questo è quello che dice non Bagnai, ma la Corte dei Conti:
e questa verità andrebbe ricordata sempre, per ricordare sempre a noi stessi e a chi ci ascolta quali sono i danni del centralismo e dell'aver compresso i processi politici nazionali e locali, quelli vicini ai cittadini, a favore di processi distanti e condizionati dalle grandi lobby.
Questo è solo un esempio, se ne potrebbero fare altri, ma devo concludere.
La political economy più dotta e recente ci dice quello che sapevamo da noi, cioè che la gente ci ha votato perché ci opponessimo ai Governi tecnici a al PD. Qualora questo non fosse stato sufficientemente chiaro, l'esperienza del Governo Draghi, un male necessario, ha fornito ampia controprova, determinando un crollo verticale di consenso.
Ne derivano diverse conseguenze e considerazioni che vi affido per una riflessione e come stimolo per ulteriori incontri. Intanto, è assolutamente evidente che quando un partito offre un messaggio rivoluzionario, di cambiamento, il suo consenso cresce proporzionalmente al disagio della popolazione. Quando poi va al Governo, mi sembra piuttosto chiaro che non è facendo star male la popolazione che aumenterà il proprio consenso! D'altra parte, chiedo: secondo voi ora avere lo spread a 500 farebbe stare meglio o peggio i cittadini italiani?
Potrei chiederlo in un altro modo: secondo voi chi ha vilmente assassinato il Paese nel 2012 e fino al 2018, quanto ha a cuore la prosperità dei suoi abitanti? Zero! Quindi le richieste dell'opposizione a "fare di più" in un sistema da loro voluto dove chi fa di più viene punito dai mercati hanno un evidente scopo tattico: quello di mettere questo Governo in difficoltà non con i propri elettori (perché difficoltà simili non si intravedono all'orizzonte, per i motivi che ci siamo detti), ma con i mercati! Non vedrebbero l'ora di far fare a Meloni la fine che fecero fare a Berlusconi, ma trascurano il fatto che noi, non essendo progressisti, la storia la osserviamo e ne traiamo lezioni.
Naturalmente il crinale sul quale ci si deve muovere è stretto e richiede accortezze di comunicazione: la prima cosa da fare, perciò, è studiare per smontare da subito e in ogni sede le tante bufale che vengono messe in giro (a partire dall'aumento di un euro delle pensioni o dell'insufficienza della spesa sanitaria, per dire). Per chi non se ne fosse accorto, i partiti sono stati demonizzati e definanziati, quindi dimenticatevi di poter fare un'operazione simile frequentando la sezione per leggere il giornale del partito! Questa roba non esiste più. Ma la Lega, a differenza di altri partiti, ha due parlamentari che più degli altri ogni giorno si confrontano sui social (mondo da cui provengono) per diffondere i messaggi giusti e confutare quelli sbagliati. Quindi, se è vero che vi piace la politica, se è vero che volete militare nella Lega, se vi interessa impegnarvi nel dibattito, seguite Borghi e Bagnai per altri trucchetti!
(...ho dovuto fare questo discorso a una velocità spropositata e a una platea che avrebbe avuto bisogno di molti più passaggi, quelli che qui ho inserito come collegamenti ipertestuali. Se non siamo mijoni un motivo c'è, e il motivo principale è che certi argomenti che a voi sembrano semplici - anche se poi non li sapete gestire! - tanto semplici non sono... A me poi sembra che ormai si sia persa la nozione di quale sia lo scopo del gioco, che le passioni siano altrove. Questo è uno degli ultimi luoghi dove la passione politica si manifesta e si esercita, ma pur essendo il luogo di uno che ora fa l'uomo di partito, non è mai stato né mai sarà un luogo di partito: è un luogo aperto, cui accede chi desidera - e ogni tanto si vede! La strada per ricostruire una dignità alla passione civile in questo Paese è ancora molto lunga, e se mai arriveremo in fondo ricordiamoci di chi è stato il vero nemico della democrazia...)
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