Le previsioni sulla crescita nel 2026 sono già state discusse da chi mi ha preceduto: mi limiterò a un breve riassunto, e mi soffermerò poi su tre punti che dopo diciassette anni di stagnazione economica dovremmo ormai poter considerare acquisiti, e sulle cui implicazioni credo sia utile confrontarsi.
Tutte le previsioni emesse dalle principali organizzazioni sovranazionali alla fine del 2025 hanno rivisto al ribasso le previsioni di crescita del nostro Paese per il 2026 emesse nel 2024:
con l'unica eccezione del Fmi, che fra autunno 2024 e autunno 2025 le ha invece riviste al rialzo. La media delle previsioni di crescita per il 2026 era all'1,1% nell'autunno del 2024 ed è scesa a 0,7% in questo autunno, comunque in crescita rispetto al risultato di quest'anno che è atteso attorno allo 0,5%, e resta tale anche dopo la rettifica al ribasso con cui l'OCSE ha allineato le sue previsioni alla crescita "acquisita" calcolata dall'ISTAT:
Siamo (e restiamo) purtroppo ancora sui decimali.
Vorrei partire da una prima riflessione, motivata da un recente comunicato dell'OCSE:
in cui si afferma che nel prossimo anno il nostro Paese farà meno deficit e più debito del previsto. Questa evenienza, qualora si materializzasse, sarebbe perfettamente in linea con quello che oggi sappiamo delle politiche cosiddette di "consolidamento fiscale" (ma visto che qui siamo fra esperti, possiamo risparmiarci gli eufemismi congegnati per impressionare il pubblico generalista, e chiamare queste politiche col loro nome: tagli). Il fatto che i tagli provochino più spesso il dissesto che il risanamento del bilancio pubblico è ormai acquisito: è dall'aprile del 2023 che il Fmi ha pubblicato i risultati di uno studio empirico e teorico che mette questo dato nero su bianco:
Nel grafico di sinistra si vede l'impatto sul debito pubblico di uno "shock da consolidamento", e questo impatto è positivo (le barre sono per lo più sopra lo zero, con l'eccezione di quelle riferite ai Paesi in via di sviluppo nei primi due anni dallo shock). La didascalia lo dice chiaramente: in media, i tagli non fanno diminuire il rapporto debito pubblico/Pil. In effetti, lo fanno aumentare, con un effetto statisticamente significativo al 90% di probabilità dal terzo anno in poi.
Questo risultato non ha nulla di misterioso. La nuvola di formule nel pannello di destra lo spiega chiaramente, e mi sono permesso di evidenziare il punto chiave: se il rapporto debito/Pil è una frazione impropria, come accade sempre più spesso nelle economie avanzate, i tagli hanno effetti perversi sul rapporto debito/Pil, facendolo crescere. Pensate alla frazione 3/2. Se sottraete uno al numeratore e al denominatore ottenete 2/1, che è maggiore di 3/2, nonostante che per ottenerlo abbiate sottratto qualcosa, invece di aggiungerlo! Ovviamente questo esempio presuppone un moltiplicatore fiscale pari esattamente a uno, ma la logica dell'esempio è chiara e non originale. Mi ero permesso, con un divertissement a fini divulgativi, di anticiparla di un po' più di un decennio nel mio blog:
Ora, questo è un punto di grande attualità e di grande polemica nel dibattito attuale, non solo perché le opposizioni, come è naturale che sia, chiedono al Governo di fare di più per la crescita (nonostante che siamo reduci da un decennio e passa di stagnazione in cui la loro performance non è stata stellare...), ma anche perché le stesse organizzazioni sovranazionali che sono consapevoli del fatto che i tagli, compromettendo la crescita, possono portarci al dissesto, ci chiedono però di farli, non consentendoci di venire incontro ai desideri delle opposizioni! Una situazione piuttosto ingarbugliata, nella quale finora il Governo è però riuscito a tenere una rotta compatibile con quanto ci dice la migliore macroeconomia. Lo si vede in questo grafico che confronta due stime della media di deficit e debito sul triennio 2023-2025: quella fatta dal Fmi nell'aprile del 2023 (cioè la prima elaborata dopo l'avvento del Governo Meloni) e l'ultima, quella fatta nell'ottobre 2025:
Nel 2023 il Fmi prevedeva, o prefigurava, per l'Italia un rientro piuttosto rapido dal deficit, che ci avrebbe portato nel triennio a valori attorno al 3%. In realtà nel 2025 constatiamo che il rientro dal deficit è stato più lento, perché il Governo ha opportunamente approfittato della sospensione delle regole di bilancio, disposta fino al 31/12/2023, per spingere il più possibile sulla crescita. Di conseguenza, mentre nel 2023 il Fmi prevedeva un debito che nella media del triennio superava il 139% del Pil, nel 2025 vediamo che il debito si è attestato un po' sotto il 136%. Naturalmente non è un dato rassicurante, ma è un dato che mostra come questo Governo non abbia commesso l'errore del Governo Monti, quello di anticipare oltremisura il rientro verso l'equilibrio di bilancio, come richiesto all'epoca dalla lettera di Draghi-Trichet dell'agosto 2011. I risultati di quella infausta manovra, denominata "Salva Italia", sono retrospettivamente ben visibili:
e credo che possiamo essere tutti grati a questo Governo di aver tratto insegnamenti da questa non distante e non fausta esperienza storica.
Una seconda riflessione riguarda la natura dell'instabilità finanziaria. Sappiamo ormai da dieci anni che la crisi cosiddetta "dei debiti sovrani" in realtà non era una crisi di finanza pubblica, ma di finanza privata, derivante dalle forti esposizioni debitorie degli Stati periferici dell'Unione verso le banche dei Paesi appartenenti al nucleo finanziario dell'Unione (Francia e Germania). Dal 2015 questa è la visione comunemente accettata anche dagli economisti ortodossi:
e il suo supporto era comunque ben visibile nei dati già dal 2011:
quando mi ero permesso di evidenziare nel mio blog un interessante fatto stilizzato: i Paesi che per primi si erano trovati in situazione di sofferenza avevano avuto nel decennio precedente debito pubblico in calo, o non in crescita (come la Grecia), ma tutti (inclusa l'Italia) avevano avuto un incremento sostanziale del debito estero, che, per inciso, non poteva che essere privato (visto che quello pubblico era diminuito). La vera minaccia per la stabilità finanziaria viene quindi dalle esposizioni debitorie private, come del resto appare evidente sulla base di una banale riflessione: negli ultimi vent'anni ha fatto default solo un Governo dell'Eurozona, quello greco, mentre sono fallite, andando incontro a risoluzione o simili procedure, circa una ventina di banche di un certo rilievo, oltre a svariate banche minori (come le quattro cosiddette "popolari" qui in Italia).
Viene allora utile esaminare quale sia la situazione delle esposizioni finanziarie private, almeno a grandi linee, e in questo ci aiuta il rapporto OCSE sul debito globale:
Mettendo insieme gli emittenti pubblici e privati, lo scorso anno sono stati emessi 25 trilioni di dollari di obbligazioni (il triplo che nel 2007), il che ha portato l'ammontare di debito in circolazione a oltre 100 trilioni di dollari (il Pil mondiale, per memoria, sempre nel 2024 era di 111,3 trilioni, quindi lo stock di titoli di debito privati e pubblici a livello globale è pari al 90% del Pil), e infine circa il 40% dei titoli privati e pubblici (quindi 40.000 miliardi di dollari, circa 17 volte il Pil italiano) dovrà essere rimborsato entro il 2027. Una sfida per le finanza pubbliche, ma soprattutto per quelle private, perché:
è sempre l'OCSE a dirci che mentre dopo la crisi del 2008 l'indebitamento privato ha subito una forte espansione, altrettanto non può dirsi degli investimenti produttivi privati, che sono rimasti al disotto del loro trend di sviluppo storico. I debiti sono stati contratti quindi non per "creare" valore, ma per "distribuirlo" agli azionisti, sotto forma di guadagni in conto capitale derivanti da operazioni straordinarie, di acquisto di azioni proprie, ecc. Questo mette in dubbio la capacità del sistema privato nel suo complesso di ripagare i debiti che ha contratto, e ci lascia con le stesse considerazioni che si sarebbero potute fare nel 2010: la vera minaccia alla stabilità finanziaria resta la qualità del debito privato, più che la quantità di quello pubblico.
Concludo su una terza e ultima riflessione. Le politiche di taglio della spesa hanno impattato anche sulla demografia: questo ormai è evidente e contiene una lezione utile su cosa fare per invertire la tendenza:
La crisi demografica ha ormai portato a un'inversione strutturale della piramide, oggetto di studio e di attenzione per molti e in particolare per me nel mio ruolo di Presidente della Commissione di Controllo Enti Gestori. Il problema è tutt'altro che nuovo. Il tasso di fertilità in Italia è stato in caduta libera dal 1966 al 1995, senza che questo destasse una attenzione comparabile a quella che oggi finalmente il fenomeno merita, poi si è lievemente ripreso (lo si vede nel grafico) e ora sta nuovamente precipitando.
Due osservazioni.
La prima è che se dagli anni '90 fino a pochi anni o mesi or sono di demografia si è parlato troppo poco credo sia anche perché attorno alla riforma Dini del 1995 è stata creata una narrazione volontariamente o involontariamente fuorviante: quella secondo cui col metodo di calcolo contributivo ogni lavoratore si sarebbe finanziato da sé la propria pensione accumulando un tesoretto di contributi versati di cui beneficiare in vecchiaia. Le cose non stanno proprio così, perché un conto è il metodo di calcolo della prestazione, un ben altro conto il sistema di finanziamento della prestazione. Quest'ultimo è e rimane a ripartizione, per tutti gli enti di primo pilastro, il che significa, in buona sostanza, che i contributi di ogni lavoratore vanno a pagare le pensioni dei pensionati attuali, non di quelli futuri (incluso il lavoratore che versa i contributi). Il passaggio al metodo di calcolo contributivo, in altre parole, non ha significato, e non è logicamente connesso in alcun modo, al passaggio a un sistema di finanziamento a capitalizzazione, dove ogni lavoratore ha il proprio "zainetto" o "tesoretto" di contributi investiti da qualche parte, e a fine corsa può decidere se riscuoterli come rendita o come capitale! D'altra parte, lo stesso contributo versato dal lavoratore o va a finanziare, per ripartizione, le pensioni dei pensionati attuali (nel qual caso non può entrare nello "zainetto a capitalizzazione" di chi versa), o viene accumulato nello "zainetto" o "tesoretto" contributivo di chi lo versa, nel qual caso fin dal 1995 i pensionati dell'epoca si sarebbero viste decurtate le pensioni e si sarebbero recati, muniti di forconi, a Palazzo Chigi. Il fatto che questo non sia successo è la migliore dimostrazione del fatto che il sistema è rimasto a ripartizione.
Ne consegue che la demografia continua a essere dannatamente importante anche in un metodo di calcolo integralmente contributivo (e, aggiungo io, lo sarebbe comunque, anche se il sistema di finanziamento fosse a capitalizzazione, perché per ottenere rendimenti sotto forma di interessi e dividendi occorre che qualcuno crei valore, e il valore non può essere né trasferito né creato da lavoratori che non ci sono).
La narrazione del "mi pago la mia pensione coi miei contributi" (affine a "io c'ho il diesel" del noto comico teatino Maccio Capatonda) temo abbia avuto come infausto effetto collaterale quello di distrarci dal fatto che dal 1976 il tasso di fecondità totale (fertility rate) delle donne italiane è sotto il valore di rimpiazzo di 2,1:
Il sistema contributivo, in definitiva, serviva solo ad arginare questa situazione abbassando il tasso di sostituzione, cioè il rapporto fra la prestazione pensionistica e l'ultima retribuzione percepita. Serviva, insomma, a tagliare le pensioni, come si evince del resto dalle preoccupazioni espresse dallo stesso Dini, che nella relazione introduttiva alla sua riforma si premurava di definire come "socialmente irrinunciabile" un tasso di sostituzione del 61,4% (sappiamo che invece in particolare nel primo pilastro privatizzato i tassi di sostituzione sono in alcuni casi inferiori, e da qui deriva il forte impegno a promuovere forme di previdenza complementare).
Tuttavia, e questo è il punto che voglio evidenziare, quando la piramide demografica è completamente rovesciata, la prospettiva di restituire sostenibilità al sistema pensionistico con tagli delle prestazioni potrebbe rilevarsi illusoria, così come quando il rapporto debito/Pil diventa una frazione impropria è illusorio pensare di ridurlo con tagli alla spesa pubblica. Il motivo è molto semplice: quando la piramide demografica si rovescia, per definizione l'incidenza dei redditi dei pensionati sul totale della domanda aggregata aumenta, e quindi un taglio delle pensioni comporta in re ipsa uno shock negativo su quella domanda interna su cui, secondo le più recenti analisi del Presidente Draghi, sarebbe invece opportuno incentrare, alimentandola, un modello di sviluppo equilibrato. Del resto, se le pensioni scendono al di sotto di un livello "socialmente sostenibile", la differenza si scarica comunque sul bilancio pubblico sotto forma di prestazioni assistenziali. Bisogna quindi riflettere serenamente sul fatto che quando una situazione si è spinta troppo oltre, nonostante che da un lato ciò aumenti l'urgenza di porvi mano, dall'altra può darsi che quella che in tempi ordinari sembrerebbe la soluzione più intuitiva (i tagli) si riveli alla prova dei fatti la meno opportuna. Anche in questo occorrerà esercitare la massima prudenza, e il Governo in carica possiamo dire che finora ha dato prova di averne.
(... questo discorso l'ho fatto in due occasioni, qui e qui, di fronte a platee tanto qualificate quanto ortodosse: asset manager di grandi fondi internazionali, presidenti di casse previdenziali e fondi pensione, e così via. Inutile dire che anche solo tre anni fa una slide come quella sui reali effetti del Governo Monti sarebbe stata accolta da un sordo brusio di riprovazione. Mi ha stupito però vederla accolta da un sollevato mormorio di consenso, che poi più di uno mi ha espresso anche di persona. Questo cambiamento nella communis opinio della gente che conta a cosa è dovuto? A due cose che in linea di principio non vi piacciono - almeno, questo traspare dalla cloaca social: alla nostra persistenza al potere, e al posizionamento del Governo. Non credo dipenda invece dal fatto che finalmente viene ora compreso quello che era tanto semplice, e sarebbe stato tanto opportuno, comprendere ex ante! Su questo, illusioni non me ne faccio: del resto, le stesse organizzazioni sovranazionali che esortano il Governo a fare di più per la crescita poi gli chiedono tagli, e in questa schizofrenia muoversi con accortezza diventa veramente complesso. Registro però il fatto che si comincia a poter dire la verità, anche appoggiandosi ai lavori di chi di questa verità è stato nemico: il Fmi, Uva, ecc. Quello che vi ho sempre detto: sfruttare la forza dell'avversario! Ora bisogna insistere, bisogna che il senso comune diventi quello espresso dalla genuina teoria macroeconomica, anziché dalle squinternate teorie degli sciamani che finora hanno avuto tirannico ed esclusivo diritto di tribuna. Per questo, come vedete, continuo ad accettare inviti in giro per il Paese. Ora è il momento di far riflettere sulle nostre ragioni, visto che per imporle possiamo contare non solo sulla nostra forza, ma, appunto, anche su quella dell'avversario. Questo, e un Signor Presidente della Repubblica non organico al PD, potranno fare molto quando il progetto andrà in decomposizione, come mi pare stia già largamente andando, ed esattamente per i motivi che avevamo prefigurato. Ma di questo parleremo in un altro post...)
(...vabbè, io vado a cucinare: per uno strano allineamento degli astri, più difficile da ottenere dell'avere i partiti euroscettici al 30% nei principali Paesi dell'UE, questa sera siamo tutti a casa...)
La "presa di coscienza " delle cotante "platee tanto qualificate quanto ortodosse ", più che dal suo egregio e meritevole lavoro deriva dal "rumore della cascata" che ora sta diventando così tanto forte da inquietare anche i suddetti "pesci grossi"
RispondiEliminaÈ quello che ho scritto. Quando mi romperò i coglioni di chi sa (o crede di saper) commentare ma non sa leggere tu sarai il primo ad avere le mie affettuose attenzioni! 😍
Eliminahahahaha quei momenti in cui avevo il bisogno di una risata che mi sollevasse per un momento dai pensieri soprattutto mi ha fatto tanto tanto bene al cuore 😂💙
EliminaIo provengo dalla cloaca, sono arrivato qui nel 2022; persistenza e posizionamento mi stanno piacendo moltissimo, grazie!
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