Pubblicato da Marco Pezzini su Goofynomics il giorno 12 ago 2024, 19:43
Marco Pezzini ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "A mente fresca":
Scrivo qui un commento a corredo, dato che in altri post non li ho visti nemmeno inseriti.
Gentile dottor Bagnai, mi dispiace molto che siamo arrivati a questo punto. Fin dal primo post di quel lontano novembre del 2011 l'ho seguita. L'ho "divulgata" ad amici, conoscenti, mi sono abbeverato ai suoi insegnamenti con ardore scolastico più forse di alcuni suoi studenti. Quando scrisse il primo libro, e la piccola (allora) comunità di seguaci la spinse per entrare in politica ne ero felicemente entusiasta.
Così come del fatto che avesse trovato casa nel centrodestra seppur lei fosse dichiaratamente di sinistra. Merito a chi allora l'ha "scovata" e convinta ad entrare in un progetto politico che sembrava destinato a scardinare le regole di una imposizione dall'esterno - quanti post ho letto sul vincolo "maledetto"- determinata anche da un successo popolare oltre ogni rosea aspettativa.
Il fatto è, mi consenta, che nonostante lei sapesse, lei avesse capito prima di altri, meglio di altri, cosa sarebbe accaduto, nessuna e dico nessuna delle politiche possibili da mettere in campo è stata proposta.
Ricordo i bei tempi in cui scriveva che "l'euro non è più un problema , semplicemente perchè è morto" mentre invece...
Le forze in campo sono soverchianti, le dinamiche finanziarie in atto, soprattutto in queste settimane (citofonare Giappone), tali che nessun politico nostrano possa o potrà cambiare lo status quo. Nemmeno la Lega, che ha un segretario che tutto ha meno che la legittimazione popolare precedente, certamente data da scelte atte più a mantenere poltrone e situazioni, che da una visione propopolo.
Ricordo le parole del ministro delle finanze e suo compagno di partito in una conferenza stampa della fine dell'anno scorso, quando disse che "il mio problema è vendere ogni mattina i nostri titoli di stato"... bei tempi
La situazione dei conti pubblici, come detto è drammatica, il debito è a quota 2.9 trilioni di euro, il deficit al 7.4 da portare al 5.6 per fine anno. Il vostro governo sta vendendo tranche di pezzetti di "gioielleria nostrana" con procedure di urgenza tutto pur di salvare la capra. Forse i cavoli no.
E intanto, la commissione nuova di questa Europa è ancora in sella, come se niente fosse. Il sostegno che questo Paese sta dando a Paesi (che loro si andrebbero inseriti nelle liste canaglia) facendo pagare ai suoi cittadini un prezzo troppo caro sia economico che morale.
Non so se lei sia cambiato in questi anni, o meglio, non so se ancora una volta lei abbia svoltato la bandiera delle sue convinzioni, ma forse ora è il momento di dire basta.
O semplicemente dire la verità ai cittadini, a rete unificate: che la pacchia è finita, per noi. Non ci sono più forzieri nascosti a cui attingere o bauletti segreti da aprire.
Fino a quando ciò non accadrà, lei come molti altri saprà quello che succederà prima, lo saprà meglio, ma l'unica consolazione sarà e rimarrà "io lo sapevo".
Le auguro una buona serata e buon lavoro
Pubblicato da Marco Pezzini su Goofynomics il giorno 8 lug 2025, 18:19
Marco Pezzini ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Carità e narcisismo":
Buongiorno Professore. Parto dal suo lavoro di divulgazione, che a molti di noi ha praticamente introdotto al mondo accademico, seppur dalla porta di servizio, ha spinto ad approfondire, cercare e soprattutto di studiare. Leggo il suo blog dal terzo post pubblicato. Smettendo di parlare di me, vengo al punto: la domanda che lei ironicamente pone nel il post, pressupporrebbe a mio avviso che le sue carriere, sia quella di docente che successivamente quella di politico siano sovrapponibili. Se lo sono nella sostanza, e a volte non sembra, faccio fatica a comprendere proprio un post come questo. Tante nell'arco di questi anni sono le persone che ha mandato a spendere, che non hanno creduto, non hanno capito o peggio, voluto capire. Forse non essendo dentro il mondo universitario è un particolare che non mi "arriva", il lasciare al proprio destino lo studente recalcitrante che o non si applica o non capisce. La vita è dura come tante volte ha detto. Ma, dall'altra parte, il compito di un politico, in quanto eletto, non è quello di spiegare concretamente, con parole comprensibili al popolo, concetti o misure che per loro natura sono a volte (molto spesso) incomprensibili? Ho la certezza che il numero di preferenze personali che le sono state riconosciute alle varie tornate elettorali vengono da questo contenitore. Gente come me, che fin da subito, seppur come detto non ne avevo gli strumenti, ha compreso le capacità, l'intuizione e soprattutto la buonafede di quello che veniva detto. A questo punto, a mio parere, servirebbe fare un reset, mettere dei punti e forse crearne di nuovi. L'uscita dall'euro è ormai una battaglia persa, forse inutile? Però, sapere che sta arrivando una bufera, cercare di avvisare gli altri, poi quando arriva l'unica cosa che rimane da dire è "io ve lo avevo detto"? Il cambiamento, quello vero, ha bisogno di sostegno, sia in termini intellettuali ma più spesso di voti. Dura la legge di coloro che sanno. Diverse le battaglie di coloro che conducono le masse. E' la ragione del successo in tempi ormai lontani del grillismo. Ed il loro successo era dovuto in gran parte al successo personale del loro leader. Leader decaduto (da riascoltare nel caso, Paolo Mieli come ne parla dell'episodio del 2019 l'altra mattina a radio24 con Spethia) partito finito. Se il progetto Lega deve andare avanti, senza smembramenti o diaspore, non è il caso di ripensare a tutto il pacchetto? Se l'euro è stato il problema inziale, la gestione del covid la prova generale, quale sarà lo spettacolo che ci attende? Perchè anche se io so, avendo letto quì tutto il possibile e avendo capito quanto mi è possibile, da qualche parte dobbiamo pur andare. La mia partecipazione resta immutata, la mia volontà pure. Se ci sarà da salire sulle barricate ci sono. Altri lo faranno? Ho come la sensazione che molti sono figli della maledizione del "Sì, Ma, Però"... Con immutata stima Grazie
Pubblicato da Marco Pezzini su Goofynomics il giorno 20 lug 2025, 12:09
Marco Pezzini ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Una riflessione":
Buongiorno professore
le domande quasi retoriche che pone nel post, sinceramente a me ne suscitano altre. Che riguardano un tema da Lei trattato in uno ormai storico intervento in cui si parlava di denaro e potere. In questi giorni l'ho riascoltato con molta attenzione, e i concetti che esprime in quel convegno mi sembrano più attuali che mai. Mi riferisco al tradimento, anzi ai tradimenti, e quello che mi arriva in questi giorni è "e il tradimento attuale?" "I tradimenti attuali?"
Perché vede, gentilissimo, ne vedo parecchi in giro. E seppur che in questo luogo dedicato alla divulgazione ed alla comprensione (che non è compassione e soprattutto che la seconda non è detto che sia consecutiva alla prima) dato che Lei è uomo delle istituzioni ma più di ogni altra cosa persona che può tirare le fila, lo percepisce pure Lei?
Quando colui che guidava il governo precedente ha mentito, sapendo di mentire, ed ha reiterato anche successivamente, mi sarei aspettato alcuni sussulti, diciamo...più incisivi. E invece, niente. Come ebbi modo di scriverle, non sono addentro al mondo accademico e men che meno a quello che succede nel "palazzo o nei palazzi che contano", ma una bugia palese se detta da colui o coloro che ci guidano a me sa tanto di tradimento. E a volte l'ignavia di tacere o fare finta di niente, è peggiore dell'ignoranza. Ci sono persone che "ignorano" eppure sono dotate di un coraggio da leoni. Ha presente le citazioni che ricorda in quell'intervento? Soprattutto quelle di Hengels. Ecco, penso a quei poveri cagnolini che ubbidiscono sempre. Ma siamo sicuri che siano sempre e solo i cagnolini più in basso nella catena alimentare a dire sempre si? Le auguro delle buone camminate, e soprattutto una buona domenica. Grazie mille e...le barricate ci aspettano.
L'accampamento d'inverno
L’officier aux grosses moustaches, nommé Zdrginsky, leur en fit un récit emphatique. À l’entendre, la digue de Saltanovka ne rappelait rien moins que le défilé des Thermopyles, et la conduite du général Raïevsky, s’avançant avec ses deux fils sur la digue, sous un feu terrible, pour commander l’attaque, était comparable à celle des héros de l’antiquité. Rostow l’écouta sans lui prêter grande attention ; il fumait sa pipe, faisait des contorsions chaque fois que l’eau lui glissait le long de la nuque, et regardait Iline du coin de l’œil ; entre lui et cet officier de seize ans, il y avait aujourd’hui les mêmes rapports que ceux qui avaient existé sept ans auparavant entre lui et Denissow. Iline avait pour Rostow une adoration toute féminine : c’était son Dieu et son modèle ! Zdrginsky ne parvint pas à communiquer son enthousiasme à Nicolas, qui garda un morne silence, et l’on pouvait deviner à l’expression de son visage que ce récit lui était souverainement désagréable. Ne savait-il pas, par sa propre expérience, après Austerlitz et la guerre de 1807, qu’on mentait toujours en citant des faits militaires, et que lui-même mentait aussi en racontant ses prouesses ? Ne savait-il pas également qu’à la guerre rien ne se passe comme on se le figure, et comme on le raconte après coup ? Le récit ne lui plaisait donc en aucune façon, le narrateur encore moins ; car en parlant il avait la fâcheuse habitude de se pencher sur la figure de son voisin, jusqu’à la toucher presque de ses lèvres, et d’occuper en outre beaucoup trop de place dans l’étroite hutte ! « D’abord, se disait Rostow, les yeux fixés sur lui, la confusion et la presse devaient être telles sur cette digue, que si vraiment Raïevsky s’y est élancé avec ses deux fils, il n’a pu produire d’effet que sur les dix ou douze hommes tout au plus qui le serraient de près… Quant aux autres, ils n’auront certainement pas remarqué avec qui il était, et s’ils s’en sont aperçus, ils s’en seront d’autant moins émus, qu’ils avaient dans ce moment à songer à leur propre peau, et que, par suite, le sacrifice de sa tendresse paternelle leur importait fort peu… et d’ailleurs, le sort de la patrie ne dépendait pas de cette digue… ! La prendre ou la laisser à l’ennemi revenait au même, et, quoi qu’en puisse dire Zdrginsky, ce n’étaient pas les Thermopyles ! Pourquoi alors ce sacrifice ? Pourquoi mettre en avant ses propres enfants ? Je n’aurais certainement pas exposé ainsi Pétia, ni même Iline, qui est un étranger pour moi, mais un brave garçon… J’aurais au contraire tâché de les placer loin du danger. » Il se garda bien cependant de faire part à ses deux camarades de ses réflexions : l’expérience lui avait appris que c’était inutile, car, comme toute cette histoire devait contribuer à glorifier nos armées, il fallait feindre d’y ajouter une foi entière, et c’est ce qu’il fit sans hésiter.
Meno Europa!
Due giorni fa ero ad Alghero, nella sede provvisoria del consiglio comunale:
per parlare di un tema a me caro:
in compagnia di un ospite del #goofy8, Omar Chessa, e di una sessantina di persone che avevano avuto la bontà di interessarsi di quanto avevamo da dir loro.
Nella cortese introduzione gli organizzatori avevano evidenziato come il messaggio che questo blog da sempre porta avanti fosse stato all'inizio un messaggio minoritario ed eterodosso. Ho allora esordito dicendo che il mio messaggio in effetti non era minoritario, ma solitario (perché non è che avessi molti compagni di strada, almeno per i primi due anni, fino all'arrivo di Claudio), e non era eterodosso, ma eversivo (perché da un lato era fondato sul pensiero economico più ortodosso, come sapete, e dall'altro, però, contestava in radice il fondamento delle istituzioni in cui siamo immersi). Nel ringraziare l'associazione "Identità e costituzione" mettevo in evidenza la relazione cogente fra questi due termini: non può esserci una Costituzione, una Grundnorm, senza che ci sia un popolo, cioè un'identità (collettiva) che decida di darsi una legge fondamentale, e in fondo il vulnus fondamentale dell'Unione Europea come progetto politico era ed è tutto qui: l'assenza di un demos (e quindi di un logos) europeo che preclude in re ipsa la possibilità di una democrazia europea, che non si sa in nome di chi e con la lingua di chi dovrebbe essere agita. Questo, dicevo, chiuderebbe il discorso, eppure continuiamo a sentirci dire che l'Unione Europea è un modello, e lo è in particolare l'assetto statuale e amministrativo cui asintoticamente (o forse onanisticamente) tende, vale a dire i SUE (Stati Uniti d'Europa), anche se chi ci parla di "modello europeo", come del resto facevamo noi nel sottotitolo dell'evento, ben si guarda dal dirci chi lo stia seguendo. Non gli Stati del Centro America, che darebbero vita al cacofonico (ma involontariamente espressivo) SUCA (Stati Uniti del Centro America), ma nemmeno quelli dell'America Latina, o dell'Estremo Oriente, o dell'Oceania. Pressoché ovunque nel mondo gli Stati si accordano per convivere in termini pacifici, possibilmente sfruttando in modo intelligente i rispettivi vantaggi comparati, e lo fanno nelle forme che la teoria dell'integrazione economica ci insegna: zone di scambio preferenziale, zone di libero scambio, unioni doganali, mercati unici, unioni economiche, unioni monetarie, unioni economiche e monetarie. Messi insieme, di questi esperimenti più o meno riusciti in giro per il mondo ce ne sono svariate decine, ma già quando si arriva ai mercati unici, che sono zone di libero scambio assistite dalla libera circolazione dei fattori di produzione (capitale e lavoro), gli esempi significativi scendono a due (Unione Europea e Mercosur), di unioni economiche e monetarie di un qualche rilievo ne conosciamo una sola, ma soprattutto nessuno di questi esperimenti di integrazione ha mai pensato che fosse cosa utile e giusta dotarsi di una caricatura di parlamento e di governo nazionali: al massimo, hanno istituito un organismo arbitrale di composizione delle controversie commerciali!
Quindi il modello non è tale, perché nessuno lo segue, e nessuno lo segue perché è un fallimento politico, ed è un fallimento politico perché è un fallimento logico, una interminabile sequenza di aporie e paradossi.
L'idea che "grande è bello" veniva sostenuta, intorno agli anni '10 di questo secolo, con l'argomento che "oggi c'è la Cina!". Era la teoria del pennello grande, che esposi per la prima volta qui:
le cui fallacie sono fin troppo evidenti. Del resto, siccome il legno storto non si raddrizza, non è paradossale che una Unione che doveva nascere per combattere la Cina oggi vaneggi di allearsi con la Cina per combattere gli Stati Uniti! Di male in peggio, ma questo non sorprende, perché la logica antagonistica insita nel progetto europeo è distante anni luce dal ragionamento economico sulle dimensioni ottimali di uno Stato. Quest'ultimo ragionamento, come abbiamo ricordato più volte, era stato impostato da Alesina in termini di scelta fra capacità decisionale e capacità di ammortizzare gli shock esterni: un grande conglomerato di Stati perde in capacità decisionale (oggi lo ammette perfino Cottarelli, quando confessa che l'UE non è un negoziatore efficace perché deve difendere gli interessi di Stati troppo disparati), ma acquista in capacità di ammortizzazione delle recessioni mondiali, perché in teoria può contare su un ampio mercato interno.
E qui sta il primo paradosso: andando con l'unione monetaria verso "più Europa" abbiamo distrutto il mercato interno, perché abbiamo costretto un insieme di Stati precedentemente abbastanza floridi a privarsi del meccanismo di aggiustamento dato dal tasso di cambio, scaricando sui salari il peso dell'aggiustamento alle recessioni mondiali. Abbiamo cioè costretto questi Stati ad abbattere i salari per mantenere convenienti le proprie merci in caso di recessione mondiale, in modo tale che quando il resto del mondo si trovava senza soldi per comprare i nostri beni, noi toglievamo soldi dalle tasche dei nostri cittadini per inseguire i mercati del resto del mondo offrendo beni a buon mercato! Non era a questo che doveva servire l'Unione economica, ma non poteva che funzionare così una volta trasformata in Unione monetaria.
L'altro paradosso evidente è che l'Unione europea, che tanto esalta e glorifica l'economia di mercato fin dai primi articoli dei suoi Trattati costitutivi, con altrettanta involontaria incisività confessa di non essere altro che un colossale esperimento (non riuscito) di manipolazione del mercato. L'europeista mediano (a pelo lungo o corto) a un certo punto del suo discorso vi dirà che "grazie all'UE abbiamo potuto godere di tassi di interessi bassi come quelli tedeschi...", senza rendersi conto del fatto che non c'è alcun particolare motivo per cui in Germania e in Italia, a fronte di economie sufficientemente distinte, il denaro debba avere lo stesso costo, e che per l'Italia (ma in generale per i Paesi della periferia) avere un costo del denaro troppo basso è anche (e soprattutto) una iattura, perché incita al sovraindebitamento. Un prezzo deve tendere al suo valore di equilibrio: se lo si forza verso il basso, consegue errata allocazione e spreco di risorse. L'eccesso di debito privato nei Paesi del Sud è frutto appunto di questa gigantesca distorsione del mercato.
Per non parlare, poi, del costo della valuta! Oggi ci sentiamo dire che l'euro forte danneggia le imprese. Dovremmo quindi concludere che la lira "debole" le avvantaggiava! Ma allora perché i porci negazionisti hanno sempre contraddetto questa evidente simmetria, arzigogolando che le "svalutazioni competitive" della liretta danneggiavano il Paese? A parte che, come vi ho dimostrato per tabulas, la maggiore stabilità dell'euro rispetto alla lira è una fake news, il punto è che non era la "liretta" a svalutare, ma il marco a rivalutare, e per vederlo basta considerare che tutte le valute mondiali, non solo la lira, cedevano rispetto al marco.
Da questi (e altri) fallimenti logici conseguono fallimenti politici, che spesso vengono concettualizzati in termini di "distanza". Si dice che l'UE non può amministrare efficacemente perché è lontana dai cittadini. Giusto (forse), ma bisogna naturalmente riflettere sul perché le cose siano andate in questa direzione: ci sono andate perché, come tanta letteratura qui compulsata da oltre un decennio ci ha illustrato fin dagli anni '90, l'invenzione di un livello politico sovranazionale era strettamente funzionale allo scarico dei responsabilità da parte delle classi politiche nazionali verso "santuari" tecnocratici "al riparo dal processo elettorale" (sottinteso: nazionale). Il problema non è tanto quello della "distanza", che oggi sarebbe anche sormontabile, ma quello della voluta mancanza di accountability (problema insormontabile perché per molti in realtà è una soluzione: basta guardare la von der Leyen ancora in sella dopo il fallimento catastrofico del green deal)!
Gli argomenti economici ormai sono ampiamente fatti propri dalla controparte: il più fiero nemico dell'austerità oggi è Draghi! Per questo la frontiera del dibattito si è spostata sul tema della responsabilità politica e della supremazia dell'ordinamento comunitario su quelli nazionali. Ma di questo era più competente l'altro relatore cui passavo la parola.
La relazione di Chessa è stata molto interessante, sono seguite delle domande, e al termine, quando ci si avviava a concludere, ho ripreso la parola per dire: "Scusate, ma qui nessuno ha fatto, almeno a me che ora sono formalmente un nemico, la domanda che mi sarei aspettato di sentirmi porre: va bene, abbiamo capito che questa cosa non funziona e forse lo avremmo o lo avevamo capito anche da soli, ma tu che sei un politico vuoi dirci come se ne esce? Insomma, mi aspettavo che dalla spiegazione del "perché" meno Europa, emergesse una curiosità sul "come" meno Europa!". E mi sono messo a spiegarlo.
Ma in quel momento ha cominciato a piovere, e siccome il pubblico non la pensava come quel giocatore di rugby secondo cui "la pelle è impermeabile" abbiamo dovuto sospendere i lavori...
Guerra e pace
Qualche giorno fa è venuto a trovarmi Nello Preterossi per motivi consentiti dalla legge, e al termine, per descrivergli il mio stato d'animo, gli ho citato il passo di Guerra e pace che riporto qua sopra, ma non sono sicuro che Nello lo abbia correttamente situato, né sono sicuro di averglielo correttamente indicato io: l'opera è troppo complessa, e il tempo a disposizione poco. Ma poco importa: qui qualcuno di voi potrà capirmi, e potrà capire perché i commenti in sequenza di Marco mi rinviano allo stato d'animo dell'ussaro di Pavlograd che è in me - perché c'è anche lui, e ogni tanto, raramente, si fa vedere.
Lo stato d'animo infastidito, disincantato, ma (seppure di malanimo) per quieto vivere accondiscendente, con cui il veterano Rostov ascolta il resoconto artefatto e ontologicamente mendace dei fatti d'arme di Saltanovka è sempre più il mio, lo provo ogni volta che mi affaccio alla cloaca, e tanto mi infastidiscono le narrazioni, quanto, come il conte Rostov, sono infastidito da certi narratori, non solo quelli che ignari di anatomia ti parlano nel naso, ma più in generale quelli che animano, per ottime ragioni, un epos che però non ha ragione di essere, non rende il senso di quali siano e dove siano le difficoltà da superare (e quindi i progressi fatti), e costringe perciò a quello che ad altri sembra un slittamento, un regresso, mentre magari non lo è, come Claudio eroicamente cerca di spiegarvi... Ma l'experience m'a appris que ce serait inutile, e quindi taccio. I sette anni che mi separano dal mio ingresso in Parlamento, del resto, sono i sette anni che separano la carica degli ussari di Pavlograd a Schöngraben, nel novembre 1805, quella di cui parlammo qui, da quella a Ostrovna, nel luglio 1812, il giorno dopo aver passato la serata a far baldoria con gli amici, dopo l'inizio di serata un po' infelice che ho riportato qua sopra.
Sette anni che separano due domande ugualmente lancinanti, urgenti, ma profondamente diverse, la cui drammatica opposizione dà conto di quanto possa maturare in sette anni un essere umano, e di quanto forse avremmo potuto, o dovuto, maturare noi (e forse lo abbiamo anche fatto). Il Nicola Rostov di Schöngraben si chiede: perché vogliono uccidermi? Quello di Ostrovna si chiede: perché voglio ucciderlo? In mezzo c'è la maturazione tecnica, quella che permette di non cadere da cavallo durante una carica, ma c'è anche una maturazione morale, forse favorita o accelerata dal fastidio arrecato da tante narrazioni stereotipate e convenzionali di fenomeni complessi, difficilmente riducibili a formule semplici e di immediata applicazione.
Marco Pezzini era entusiasta a Schöngraben: finalmente vedeva "i nostri" attaccare l'avversario, varcare con slancio generoso il tremendo limite dell'ignoto e del terrore. Quella carica, quello slancio, si è interrotto nel 2019, e i motivi li ho spiegati per filo e per segno qui: non c'entrano niente le poltrone o le situazioni (quali?), non è venuto meno alcuna spinta "propopolo" (parola il cui unico merito è stato quello di avermi facilitato la ricerca del commento). Semplicemente, si è sacrificato un obiettivo tattico a un obiettivo strategico: affossare la riforma del MES, e la stessa cosa è poi accaduta nel 2021, quando l'obiettivo strategico era: evitare che si spaccasse il partito. Gli obiettivi strategici sono stati entrambi conseguiti, almeno finora, ed è un vero peccato, ma non un fatto imprevisto, che per conseguirli si siano dovuti lasciare tanti caduti sul campo. Chissà, fra questi caduti magari al prossimo giro ci sarò anch'io: continuerò a ritenere hegelianamente che la scelta fatta sia stata razionale. Mi sembra un po' ingiusto accusare di inconsistenza un leader che ha guidato il suo partito verso due obiettivi così difficili in periodo così turbolenti, e comunque non vedo molta razionalità nelle accuse che Marco muove al governo: quella di svendere le partecipate (è possibile dettagliare, per cortesia?), quella di piegarsi alla logica dei mercati.
Certo: un ministro del Tesoro ha il dovere di gestire il debito pubblico, che significa anche renderlo appetibile agli investitori. Non solo quelli esteri, peraltro. Il debito collocato all'estero era il 32% del totale nel 2019, è stato il 31% nel 2024 (dati qui), non si vede questa svendita e questa penetrazione. Si vede invece che Giancarlo fino a oggi è riuscito a risolvere, nonostante il conseguimento di alcuni obiettivi strategici come il no alla riforma del MES, un grosso problema di credibilità del Paese, il cui debito ora è relativamente meno oneroso. Dobbiamo preoccuparci perché le agenzie di rating, che sono il nemico, ci fanno i complimenti? Ma amici cari: qui continuiamo a dire che sarebbe migliore un mondo in cui le scelte dei governi non venissero rimesse al giudizio dei mercati (considerando che questi regolarmente si schiantano per i motivi illustrati dettagliatamente qui, e per questo motivo non danno prova di una saggezza particolarmente superiore)! Resta un piccolo dettaglio: se il mondo funziona in questo modo, non tenerne conto è qualcosa di peggio che cadere da cavallo a Schöngraben: è semplicemente girare il proprio cavallo e caricare contromano il proprio schieramento! Che cosa può andare storto? Ora i mercati non ci rompono più i coglioni. Dobbiamo considerarlo un tradimento o una sconfitta? Secondo me no, perché questa non è una guerra lampo (nessuna guerra lo è): è una guerra di logoramento (tutte le guerre lo sono), e la stagione dello spread ci ha logorato abbastanza, facendoci perdere tanto tempo che si sarebbe potuto dedicare a scopi strategicamente più validi, come la costruzione di una classe dirigente, cui abbiamo cominciato a dedicarci con metodo solo dal 2021 (sotto le bombe dei grandi media anglosassòni e i trabocchetti degli operatori informativi nostrani sinceramente non era proprio facilissimo organizzarsi).
Dice: "avreste dovuto pensarci prima!"
Ah, beh, certo! E allora anche tu, che dopo dici che ci si doveva pensare prima, avresti dovuto essere con noi. E perché non c'eri? Perché non eri a Schöngraben? Perché volerci essere, amico caro, presuppone un certo grado di incoscienza che se pure può essere condizione sufficiente per un fallimento, è altrettanto condizione necessaria per un tentativo. Tu, Marco, non eri lì perché già sette anni fa eri troppo saggio...
Così saggio che ti esorterei a non decretare la fine di una battaglia che non hai combattuto, quella per liberare il Paese dall'euro. Il fatto che questa battaglia non sia sulle prime pagine dei giornali non significa che il problema non esista più: significa solo che abbiamo imparato a lasciare che siano gli altri a logorarsi. Un euro che funziona come la lira, svalutandosi al punto di far imbelvire gli Stati Uniti, per noi va anche bene, in un certo senso. Quando i giornali oggi titolano che la moneta forte ci fa male, dopo aver titolato che la moneta forte ci avrebbe protetto, può non esserti evidente, ma abbiamo vinto noi, abbiamo minato un'altra casamatta della narrazione. Sì, è ovvio: a beneficio del tuo morale tu vorresti il gesto eclatante, la certificazione narcisistica del fatto che non hai votato per dei traditori, che ha sostenuto delle persone giuste, delle persone "propopolo", come dici tu. Sei dispostissimo ad accettare la morte dei tuoi campioni, pur di rimettere all'ordalia, e non alla strategia, la soluzione del problema! Questo significa veramente vivere orazianamente, all'insegna del carpe diem! Se mi fossi dato fuoco in Piazza di Montecitorio gridando "euro merda!" chi avrebbe schiacciato il pulsante rosso sul grugno del MES? Se Claudio si fosse fatto esplodere a Palazzo Madama al grido di "lira o morte!" chi avrebbe cucito i fili di un discorso che mi annoia profondamente, quello sull'OMS, convincendo i Fratelli (coltelli) a schiantare gli emendamenti al Trattato pandemico? E questi sono solo due esempi, i più simbolici e quindi, forse, i meno sostanziali, di battaglie combattute e vinte. E perché dovremmo alzare bandiera bianca ora che abbiamo imparato come si combatte, ora che siamo sul campo di Ostrovna, non su quello di Schöngraben?
La verità da dire ai cittadini non è che "la pacchia è finita", come dici tu, come un Monti qualsiasi, non è che "non ci sono forzieri cui attingere" (?). La verità da dire ai cittadini è che ogni giorno si sta facendo un passo avanti. Meno OMS è meno Europa, perché l'Europa, catturata dalle lobby farmaceutiche, voleva più OMS. Meno MES è meno Europa, perché l'Europa, subalterna alle grandi centrali finanziarie, voleva più MES (per farci saltare in aria immediatamente, dichiarando insostenibile il nostro debito: e invece abbiamo outlook positivo).
Non lo vedi?
Mi dispiace.
La mia vita negli ultimi quindici anni è consistita nel parlare a persone che non mi capivano, o mi capivano troppo tardi, e anche nei tuoi tre messaggi, in fondo, un progresso (lento) si vede.
Qui non c'è nessuna bandiera da innalzare se non il tricolore italiano. Il bianco è solo un pezzo della storia: ci sono anche il rosso, e il verde.
Tutto qua...
(...come vedete, in ossequio al principio nil inultum remanebit tutti i vostri commenti avranno risposta. Sono in coda, ora non potete cancellarli...)
(...ai refusi pensateci voi, ora ho da fare...)