Forse lo avrete capito: da sempre mi affascina la spudorata presunzione dell’uomo contemporaneo di essere superiore cognitivamente, moralmente, ontologicamente, a chi lo ha preceduto. So di essere in buona compagnia in questo mio sentimento: in compagnia, per esempio di Giacomo Leopardi, ma anche di autori meno noti (o suppostamente noti) al grande pubblico, come Michéa. La mia (non ardisco dire: la nostra) maledizione è quella di ritenere che l’essere umano debba concentrarsi più sul metodo che sul merito. Il merito, l’oggetto del ragionamento, è alla portata di qualsiasi bestia. Non c’è animale che non sappia distinguere fra ciò che è commestibile e ciò che non lo è. Questo è il merito delle questioni. L’intelligenza comincia dove finisce il merito e comincia il metodo. Devo allora confessarvi una mia profonda inquietudine. È dal momento in cui, nella stanza dell’allora presidente Marattin, un collega di sinistra alla mia affermazione: “io vorrei meno tasse!“, rispose: “e io voglio meno CO2!“, che ho capito che qualcosa non stava andando per il verso giusto, e che le cose, che fino allora non erano andate proprio bene, anzi, erano andate decisamente male, erano destinate ad andare peggio. Detta stretta, in sintesi, perché domattina dovrò parlare di dazi in non so più quante trasmissioni fra radiofoniche e televisive, vi dico che quando cerco di pormi nell’ottica in cui si porrà un uomo del XXV secolo, e guardo retrospettivamente ai nostri tempi confusi e martoriati, ho la netta sensazione che i nostri posteri ci guarderanno come noi oggi guardiamo Jonathan Corwin o Samuel Sewall. So che dovrete “googlarli”, e non vi metto neanche il link (tanto i link non li seguite) ma vi rassicuro: forse fino a stasera avrei dovuto googlarli anch’io, e certamente nel XXV secolo i nostri posteri dovranno googlare Greta Thunberg. Di tanta irrazionalità, di tanta ferocia, in sintesi, di tanto Male, la storia non lascerà traccia. Sì, mi sto dicendo che nel merito non so chi abbia ragione: può darsi che se sulla Maiella la neve è un evento eccezionale questo dipenda dall’odiata molecola, ma d’altra parte chi è in grado di garantirmi che le convulsioni della povera Abigail Williams non dipendessero dagli incantesimi dell’odiosa Sarah Good? Il problema è il metodo, e il metodo, a ben vedere, è oggi lo stesso di cinque secoli fa, e sarà inesorabilmente lo stesso fra cinque secoli, perché dieci secoli non sono abbastanza per cambiare l’uomo (e quindi non lo sono neanche cinque, che è la metà di dieci). Come ho cercato di spiegarvi a Venezia (chi lo desidera può trovarsi il video) la scienza non si nutre di dubbio, ma di certezze. Fatto sta che i detentori pro tempore delle certezze tendono a rivelarsi nemici dell’umanità. Non c’è alcuna catastrofe, non c’è alcuna efferatezza, che possa essere da monito per chi fissa imperturbato il sole dell’avvenire, per chi non si distoglie dalla rettilinea traiettoria del progresso. La vita è fatta di cicli: quello del carbonio, quello dell’azoto, quello di Krebs… La morte è rettilinea, è l’estremo (destro) di un segmento sull’asse dei tempi, e mortifero è chi ragiona in termini rettilinei, chi non ha il coraggio di volgersi indietro, chi distoglie lo sguardo dall’orrore nell’illusione che tanto basti per non essere chiamato a ripeterlo.
Se queste parole arriveranno al XXV secolo, qualcuno saprà che qualcun altro si era posto il problema, esattamente come oggi noi sappiamo che Samuel Sewall se l’era a posto. Sappiamo anche, però, che questo non era servito a nulla, e quindi scusatemi se vi ho disturbato
Buonanotte!
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