lunedì 17 febbraio 2014

Zone monetarie: quello che i francesi non sanno...


(da Giuseppe Liturri ricevo e volentieri pubblico, per motivi che vi saranno chiari quando parleremo del mio intervento a Paris XIII, del quale qui vi fornisco intanto il link...).







Siamo giunti ormai al sesto anno di un, apparentemente, inarrestabile arretramento del livello di reddito e benessere del nostro Paese ed ancora non si prospettano soluzioni efficaci per invertire tale tendenza. Le conseguenze di tale situazione sono sotto gli occhi di tutti:


1)      dai livelli pre-crisi, abbiamo perso circa un quinto della nostra produzione industriale.

2)      Disoccupazione e crescenti flussi migratori dal Sud verso il Nord (Italia ed Europa), soprattutto di giovani laureati.


La misura di tale contrazione del tessuto produttivo ed imprenditoriale del Sud e dell’Italia trova un paragone soltanto con le due guerre mondiali del secolo scorso.

Tuttavia, desta ancora maggiore preoccupazione l’assenza o la relativa inefficacia delle soluzioni che, in maniera più o meno disinteressata, si continuano a proporre per uscire da questa epocale distruzione di benessere.


Tra esse, spiccano proposte tutte finalizzate a migliorare l’offerta, tramite:


-          incentivi per investimenti nella cosiddetta “tecnoscienza” (micro e nano elettronica, biotecnologie, ecc..).

-           investimenti in formazione delle risorse umane.


Purtroppo tali misure, in astratto efficaci, non risolvono affatto i nostri attuali problemi.


La prima domanda da porsi è: quanti soldi servono affinché siano efficaci e dove sono? Ne servono tanti, e non ci sono. Forse giova ricordare che dal 2016 dovremo progressivamente ridurre il debito pubblico per il famigerato “Fiscal Compact” e siamo sempre vincolati  al limite del 3% del rapporto deficit/PIL sotto la sorveglianza degli inflessibili guardiani di Bruxelles. In sostanza, non abbiamo soldi per serie politiche di investimento. Servirebbe un New Deal ma abbiamo solo pochi spiccioli da spendere qua e là.


Ma questo è il meno. Vogliamo finalmente prendere atto che in questo Paese è stata distrutta la domanda interna ed è dalla sua riattivazione che bisogna ripartire? Quale mirabolante incentivo smuoverà gli “animal spirits” dei nostri, pur preparati, ragazzi? Continuiamo a somministrare medicine sbagliate ad un moribondo.


Ma noi, al Sud, certe cose le dovremmo sapere, esse fanno parte della nostra storia. Infatti, 150 anni di storia unitaria e di “interventi straordinari” non hanno conseguito l’obiettivo di annullare il divario di potenziale produttivo Nord-Sud. Qual è stato l’insegnamento, perché non hanno funzionato allora e sono ancora più inefficaci oggi?


In 150 anni, con l’obiettivo di costruire una base industriale, il bilancio statale ha trasferito verso le regioni meridionali somme ingenti per investimenti e spesa pubblica corrente, che hanno semplicemente alimentato un flusso netto di domanda di beni e servizi a favore dei produttori del Nord, oscillante (dagli anni ’60) tra il 15 ed il 20% del PIL annuo del Mezzogiorno. Chiaro ora? Al Sud, abbiamo sempre trovato relativamente più conveniente consumare beni provenienti dal Nord rispetto a beni domestici che scontavano e scontano un consistente svantaggio di costo, accumulatosi negli anni. Qualsiasi trasferimento di risorse per investimenti si è rivelato pertanto relativamente inefficace di fronte a tali differenze strutturali di competitività. Anzi, esso ha continuato a far ulteriormente crescere il divario con l’eccellente apparato produttivo del Nord Italia, rafforzato proprio dalla domanda delle regioni del Sud. Ma il sistema è stato ed è tuttora in equilibrio proprio grazie alla funzione di ammortizzatore svolta dai trasferimenti a carico del bilancio statale. E’ la storia di qualsiasi tentativo di integrazione economica di regioni con forti squilibri strutturali (come l’unificazione di Germania Ovest ed Est).


Per dirla con una metafora, con gli investimenti proposti si vuole purtroppo continuare a svuotare il mare con il bicchiere, quando a pochi metri è già pronta una spiaggia ben attrezzata a costi contenuti. Non ha funzionato e non funzionerà.
 
Ma la storia dello sviluppo industriale del Sud (solo parzialmente riuscito), oltre a farci riflettere sull’inefficacia di certe misure di politica industriale, è di straordinaria attualità anche per comprendere l’attuale crisi. L’Unione Economica e Monetaria (UEM) è, con dimensioni maggiori, la stessa operazione di unificazione cominciata nel nostro Paese nel 1861. Con alcune differenze, di cui una fondamentale: non ci sono trasferimenti tra i Paesi aderenti, a carico di un bilancio comune. Infatti, la condivisione di una stessa moneta tra Nazioni caratterizzate da numerose ed ampie differenze strutturali (livelli di prezzi e loro variazioni, sistemi tributari, regole del mercato del lavoro e, allargando l’orizzonte, sistemi di istruzione, lingua) funziona bene se, e solo se, un bilancio comune provveda, con appositi trasferimenti, ad ammortizzare eccessivi squilibri tra debiti dei Paesi consumatori netti (quasi tutti i 18 Paesi dell’UEM) e crediti dei Paesi produttori netti (Germania). Se, come accade oggi, chi è creditore netto non intende “mutualizzare” alcunché (in Germania ci sarebbe una sollevazione popolare), l’unica via consentita è quella di una feroce riduzione della domanda, dei redditi e del costo del lavoro ed aumento della disoccupazione nei Paesi consumatori netti in modo da recuperare lo scarto di competitività con i Paesi produttori netti. Tutto ciò, in astratto, sarebbe anche possibile, se trascurassimo il fatto che lo scarto di competitività accumulato in 15 anni di UEM è di entità tale (tra Italia e Germania pari a circa il 30%) che il suo recupero significa distruggere definitivamente la base industriale del nostro Paese. Di fatto, in assenza di meccanismi di mutualità tipici di uno Stato unitario o federale, tutto ciò è già in atto. Ma noi, al Sud, testimoni di un’unione monetaria che, bene o male e grazie ai trasferimenti ha invece funzionato, non potevamo non sapere di questa distruzione annunciata, perché, come diceva Mark Twain, “la storia non si ripete, ma spesso fa rima”.


(...se solo Giuseppe fosse stato presente al seminario di Paris XIII! Quando, nel video, alludo alla specificità del punto di vista italiano, credo sia chiaro che non intendo pormi in un'ottica nazionalistica: volevo appunto sottolineare quanto lui dice in questo articolo, cioè mettere al servizio dell'analisi il punto di vista di chi, come dicevo chiaramente all'inizio, per motivi storici sa cos'è un'unione monetaria sbagliata, sa cosa è stato necessario fare per tenerla in vita, e quindi sa in quali condizioni può valere o meno la pena di mantenere insieme i cocci.

A suo tempo vedrete la disonestà intellettuale di Boccara nel rispondere: cavallette, inflazzzzione, nazzzzionalismo, io sono francese ma sono anche europeo, ecc. Politicume. Ah, e naturalmente "moneta comune" a iosa. Nessuno sa cosa cazzo sia - la discussione è da morir dal ridere! - ma nominarla è rassicurante: diciamo che "moneta comune" sta alla sinistra "critica" come "credibilità" sta alla destra ortodossa: le grandi parole che non dicono un cazzo, e forse è perfino meglio così, perché provare a dar loro un significato potrebbe trasformarsi un una catastrofe! E ovviamente per Boccara figlio - erano venuti in clan, c'era anche la mamma - la crisi è una crisi di offerta! E, anche qui, vedete come l'esperienza di Giuseppe ci viene in soccorso - se non bastasse il buon senso!

Queste persone sono veramente indegne, ma incontrarle mi è servito a capire la loro squallida "political economy". Insomma: ho capito perché si comportano così, perché negano l'evidenza, perché si arrampicano sugli specchi. L'ho capito benissimo, e per loro fortuna non devo giudicarli io: ci pensera la storia, ha ragione Sapir...)

27 commenti:

  1. “Le grandi parole che non dicono un cazzo “, illuminante definizione. Non so perché, ma mi ha fatto venire in mente “le buone cose di pessimo gusto” di Gozzano. Ecco, sono i feticci crepuscolari cui disperatamente ci si attacca per dare un qualche senso ad una vita spesa dietro ad un sogno che, alla fine, si rivela una misera finzione. Ma guai a giungere al disvelamento! Non sia mai che si possa mettere in dubbio le proprie certezze da ceto medio riflessivo! E allora passi un pomeriggio a discutere con gente (parlo ovviamente di comuni mortali come me) che si rifiuta persino di provare a comprendere la semplice interpretazione letterale di un concetto. Le reazioni sono di due tipi. Il piddino: “si, quello che dici è anche vero, ma tanto la moneta è solo uno strumento, e poi ormai un c'è più nulla da fare, chi ha i quattrini comanda lui”. Il sellino: “si, abbastanza d'accordo sui problemi, ma non sui rimedi, i nazzzzionalismi..., alzare i muri..., la storia ci insegna...”, e via così. Verso una nuova avventura.

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  2. Ah! C'é un perché del loro comportamento che non sia il denaro? Sarei curioso di conoscerlo questo motivo. Che sia una volontà di distruzione senza secondi fini?

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  3. Complimenti a Giuseppe Liturri per tanta chiarezza.
    E il giusto plauso a chi la porta a conoscenza di tutti.

    Come fonte assai documentata per la questione Nord-Sud specialmente nei primi cinquant'anni dall'unità posso indicare 'Contro la "questione meridionale" ', di Capecelatro-Carlo, ed Savelli (? al momento non posso controllare).

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  4. A proposito di vuotare il mare con un bicchiere si sente anche di peggio:

    Diminuzione del terribile cuneo fiscale: mandare a casa dipendenti pubblici (l’unico modo realmente efficace di diminuire la spesa pubblica, a questo punto, se si vogliono rispettare i vincoli di bilancio) per abbassare il carico fiscale sulle imprese e sui lavoratori. La diminuzione del cuneo comporta soprattutto un trasferimento di risorse alle imprese diretto o indiretto (meno IRPEF ai lavoratori vuol dire, prima o poi, poter abbassare i redditi lordi a parità di netto in busta): non si vede per quale motivo le imprese dovrebbero investire i maggiori profitti (se sono in perdita non se ne parla) su un mercato depresso dalla diminuzione della spesa pubblica.

    Incentivi all’assunzione di giovani (quelli sopra i 40 anni possono aspettare), cogliendo l’occasione per far sparire lo Statuto dei lavoratori, e buttando soldi pubblici per assunzioni che si farebbero comunque o che si faranno di più, mandando a casa gli over 40 e anche gli altri, per rinegoziare gli stipendi diminuiti di cui al punto 1).

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  5. A quanto letto, la Bocc-ara Family, che evoca la Bocc-oni e Bocc-ia nostrani, la ritrovetemi presto in bocc-a a qualche rappresentante del prossimo governo di Big Mouth.....

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  6. Noi meridionali in particolare dovremmo sapere bene quali sono stati gli effetti negativi di una unione monetaria, ma per farlo dovremmo anche essere in grado di conoscere e di accettare veramente la storia.
    Quella di un Regno delle due Sicilie che prosperava prima della annessione al Piemonte, e che è stato tartassato e impoverito dai nuovi dominatori, è difficile da digerire anche dai meridionali stessi.
    Ma io non credo che quella unione (quella del 1860) sia poi finita bene.

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  7. La questione dei tempi ... del tramonto e della fine dell'euro:

    L'esito è ineludibile ... che la distruzione e il peggioramento di questa società (imperfetta), che la morte di esseri umani ("buoni o cattivi"), che la distruzione di ricchezza produttiva sia almeno l'occasione di un momento di analisi (grazie a goofynomics e asimmetrie).

    Vorrei dare una un piccolo contributo.

    Le asimmetrie sono presenti anche in piccolissimi stati ... a termine il risultato è il medesimo anche se con "intensità" diversa. E le periodiche crisi del sistema servono ai più forti (nella lotta tra classi e dentro la classe dei capitalisti) per concentrare potere, capitali e mercati.

    Vi parlerò della Svizzera, mio paese di origine, che vide e vede ancora oggi un processo di concentrazione asimmetrico tra regioni meno competitive (come i cantoni francofoni di cultura "savoyarde" molto simile a quella piemontese ed il cantone Ticino valle di cultura lombarda) e le regioni della pianura di cultura germanica (Cantoni di Basilea e di Zurigo).

    Queste ultime hanno progressivamente in 7 secoli di capitalismo (la Svizzera inizio la sua nascita progressivamente nel periodo dei Comuni nel 1291 "agglomerandosi") spostato il baricentro economico, "approfittando" anche delle profonde crisi come la penultima del 29.

    La mia famiglia ne è una testimonianza concreta, essa nacque formalmente nel 1498 entrando nel "parlamento" (Bourgeoisie) del borgo di Péry (periferia di Bienne "capitale" dell'orologeria - Cantone Berna) ove erano rappresentati i contadini possidenti, gli artigiani ed il commercianti del borgo) ... e divenne una famiglia proletaria a seguito della crisi del 29 e della seconda guerra mondiale, dopo la "liquidazione" della Bourgeoisie di Péry , dei suoi possedimenti e dei suoi doveri nei confronti della società.

    La proletarizzazione dei piccoli "borghesi" (contadini possidenti, artigiani, piccoli industriali e commercianti) come la contrazione dei "diritti" e dei redditi dei proletari (come di parte dell'apparato statale assunto genericamente come parassitario) è uno degli scopi strategici dell'imposizione di un'unico mercato e di una moneta unica. La crisi del sistema viene sfruttata come momento di accelerazione di questo obiettivo.

    Nel nostro caso storico, l'euro verrà abbandonato in Italia quando le "elite" avranno ottenuto le loro famose "riforme" a danno di cui sopra e valuteranno che lo strumento euro sta determinando troppi danni ai loro specifici interessi.

    Un'uscita immediata, nell'interesse comune, non può avvenire.

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    1. "A l liceo lo chiamavano il Bomba, perché le sparava grosse."

      Se il "Bomba" ci regalerà (nell'ordine): patrimoniale, "riforma" mercato del lavoro, tributaria e giustizia civile più privatizzazioni residuali capiremo che il momento di cui lei parla è vicino... e anche meglio i perché ed i percome di questa fulgida ascesa...

      Ove il "nom de plume" lo dovesse rivelare quale novello Bava-Beccaris, anche se solo a livello figurato... avremo certo ulteriori problemi.

      La risposta storica di questo disgraziato paese, in tal caso però, è nota.

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  8. Prof,

    questo e' quanto "pare" che Napolitano stia "imponendo a renzi.

    renzi certe cose non le puo' toccare:

    http://www.ilgiornale.it/news/interni/pizzino-napolitano-tre-ministri-li-nomino-io-993043.html

    Questa volta però il Quirinale non si accontenta di valutare caso per caso. Vuole un pacchetto di ministeri. Non ministeri qualsiasi, ma quelli pesanti, quelli che contano, quelli che hanno le chiavi del destino di un Paese. Eccoli. Giustizia, Esteri e soprattutto Economia.

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    1. E' interessante che nel "pacchetto" NON ci siano gli Interni.
      Secondo voi significa che non c'è da temere nulla da parte degli italiani, o magari che l'ordine pubblico è GIA' stato privatizzato? Oppure che altro?

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  9. Coloro che dicono che per uscire dalla crisi bisogna puntare sulla tecnologia, mi lasciano allibito.

    Trascurano completamente la componente TEMPO. Questo anche per tecnologo non è un peccato veniale. Non puoi reagire lentamente a fenomeni che si verificano rapidamente.
    In ambito tecnico si chiama retroazione ed esistono dei legami ben precisi tra la velocità con cui un fenomeno evolve e quella con la quale la retroazione deve agire. Se è troppo lenta il fenomeno diventa incontrollabile. E in questo caso stiamo parlando del nostro immiserimento....


    Inoltre lo sviluppo tecnologico richiede non solo denaro ma anche un contesto prospero. Nella prosperità vengono fuori idee, soluzioni, la fantasia viene stimolata e la società cresce. Nella miseria le intelligenze sono grandemente sottoutilizzate perchè l'urgenza principale è arrivare a fine giornata e il contesto generale è di depressione, tristezza, sfiancamento, aspettative negative.

    Tutto questo dagli eurofili viene trascurato. Meno male parlando in giro mi rendo conto che sono sempre di meno.

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    1. Sono appena rientrato da un forum internazionale di informatica/telecomunicazioni. Gli unici giovani erano asiatici, quasi tutti cinesi. Gli occidentali tutti 50/60enni, tutti di grandi aziende che da decenni non assumono piu'. Non insegniamo nulla, non riceviamo nessuno stimolo dalla forza dei giovani, le scuole tecnologiche locali avvizziscono senza speranza di ripresa, occorrono appunto decenni di continuita' per creare quell'humus dove si creano/sviluppano/realizzano le idee migliori. Oltre al danno, la beffa e' che gli asiatici, in molti rami, non sono ancora al nostro livello tecnologico, ma non sembra riusciremo ad amministrare questo gap.

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    2. Chiedo asilo (da fisico) a questo angolino di commenti dove vedo con piacere un ragionare "ingegneristico".
      Appartengo esattamente al segmento antropologico occidentale citato da @a perfect world, sia per anagrafe che per profilo professionale "vissuto".
      Qui, piuttosto che cercare le "luci in fondo al tunnel" (con la ben nota ambiguità che siano treni o tir che ci spianano definitivamente), bisogna costruire l'"aurora lungo tutta la linea dell'orizzonte", essendo consapevoli che malgrado il Tramonto, il crepuscolo degli dei non è scontato (lo so, Prof., la battuta è pessima...): le oche zoppe possono durare a lungo, e ci si assuefà, in qualche modo...

      Più seriamente, ciò che intendo dire è che il fattore tempo (come ben detto da @Tommaso) sarà quello che farà la differenza:
      - sia per la rifondazione della Pubblica Istruzione e della formazione aziendale (vediamo chi diventa ministro e quanti soldi ci mettono davvero le aziende dell'epoca renziana);
      - sia per l'intervento immediato: è più facile rimuovere un EMBOLO MALEFICO e lasciare che il corpo si riprenda, o lasciare un malato intubato a lungo, con rischio comunque di collasso da un momento all'altro?

      Burlando e la Serracchiani, governatori regionali, alla direzione del PD del 13/2 scorso, sono stati gli unici a sembrare preoccupati dell'efficacia temporale del (futuro) programma di governo, laddove la maggioranza degli interventi degli altri piddini si limitava a enfatizzare le riforme istituzionali e le prospettive "ideali" del partito nel quadriennio 2014-2018.

      C'è da sperare che, se il Fiorentino ha imparato l'American Way, si indirizzi su un sano stile di pragmatismo ingegneristico, in cui il fattore tempo, razionalmente gestito, fa la differenza fra la promessa insulsa di un politico dilettante e il piano di lavoro di uno statista per il suo Paese.
      (Ci 'o so: pretendo troppo, ma ho anch'io un "fogno", e il mio delta-t, statistiche alla mano, s'assottiglia...).

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  10. Quant'è brutto stare al sud, stare dalla parte dei colpevoli, pigri fannulloni e causa del dissesto finanziario mondiale, per chi stava al nord fino a 10 anni fa

    ps. è online il video della conferenza parigi xiii?

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  11. C'è una cosa che non mi è chiara. Nel 1861 il pil procapite del Sud era addirittura superiore a quello del Nord ( v. http://www.paolomalanima.it/default_file/Articles/Daniele_%20Malanima.pdf ). Quindi cosa è succeso?

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    1. Anche in Irlanda e Spagna prima della crisi il pil procapite era addirittura superiore (o nella peggiore delle ipotesi uguale) a quello dei paesi di molti paesi del Nord. Il sud Italia, durante la prima metà dell'ottocento, cominciò ad importare capitali soprattutto dall'Inghilterra e dalla Francia. Fu quando la classe dirigente di allora cominciò a capire il giochetto del debito e a rimediare che arrivò Garibaldi! Il nord era economicamente meno ricco, ma era anche meno indebitato.

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    2. Non sono del tutto convinto che il Nord fosse meno indebitato. Hai una qualche fonte? Aveva fatto molte guerre, che normalmente costano.

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    3. Da qui non sembrerebbe: "In the Kingdom of the Two Sicilies, the expected spending was higher that the real one; no succession duty, joint-venture and loan bank duties were paid; the national debt was low, as well as the land tax" Fonte Reale Casa di Borbone

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    4. Scusatemi, ma gli "Stati Sardi" sotto indicati immagino siano il Regno di Sardegna, ossia il Regno Sabaudo (cough cough).
      Vorrei aggiungere che Garibaldi, la "maffia" e compagni razziarono fin da subito le casse del Regno delle Due Sicilie, come noto storicamente.

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    5. Il Nord era in realtá moooolto piú indebitato soprattuto con inglesi e francesi, che quasi imposero ai Savoia la conquista/annessione del Sud in maniera da, oltre che neutralizzare un pericoloso concorrente per il dominio commerciale nel Mediterraneo ed in Oriente. E come oggi anche allora furono mandati emissari decenni prima a preparare il terreno con luogocomunismi e amenitá varie. Speriamo di non ritrovare, in futuro, nelle piazze d´Italia statue di Monti, Letta, Andreatta o Ciampi come invece accadde per Garibaldi o Cavour(e tanti altri macellai senza scrupoli). Ma anche allora quasi un´intera classe politica si prostró ai colonizzatori ed ai loro mandanti, traendone grossi profitti ovviamente(sulla pelle di milioni di persone).
      Consiglio di leggere N. Zitara "L´Invenzione del Mezzogiorno - Una storia finanziaria" Ed. Jaca Book.

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    6. Quindi avevamo prima dell'unità d'Italia un nord molto indebitato e un regno delle due sicilie che scoppiava di salute, dopo l'unità si ebbe invece un crollo della produzione industriale e agricola del sud a causa della concorrenza dei prodotti del nord, una gestione delle finanze pubbliche che invece di promuovere investimenti imponeva pesanti tributi, poi la svendita del ricco patrimonio demaniale che fece la fortuna di pochi a danno dello stato, tutto ciò mi ricorda qualcosa...

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    7. "che quasi imposero ai Savoia la conquista/annessione del Sud in maniera da"... pagare i creditori facendo razzie.

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    8. Qui al confronto la pillola rossa di Matrix era un'aspirina.

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  12. Vero (2 guerre indipendenza). Il debito 1861 evidenziato da Bastogi era: Stati sardi: 1292 milioni Lombardia: 152 milioni Parma: 12 milioni Modena: 18 milioni Romagna: 19 milioni Marche: 5 milioni Umbria: 7 milioni Toscana: 139 milioni Napoli: 522 milioni
    Sicilia: 209 milioni
    cfr http://it.wikipedia.org/wiki/Gran_Libro_del_Debito_pubblico
    Cfr,http://www.dt.tesoro.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/debito_pubblico/presentazioni_studi_relazioni/20_12_1999_Relazione-del-Direttore-G.pdf

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  13. Caro Professore,

    sono innanzitutto felice di averla conosciuta di persona, in quel di Villetaneuse. Se ci fosse stato più tempo avrei voluto parlarle dell'area valutaria italiana, provo allora a commentare questo post, sperando di non scrivere scemenze o di non volare troppo con la ragione né con la fantasia.

    Pur essendo convinto della priorità assoluta dell’uscita dall'euro, non riesco a capire come, soprattutto perché commosso dall'afflato morale che guida il suo titanico sforzo, si possa pensare di restare poi nella Lira. Da torinese cresciuto a contatto con certa retorica un po’ leghista e un po' paternalista, dopo aver letto queste pagine per ormai due anni abbondanti, mi sento francamente in colpa. La consapevolezza di essere nato in una terra ricca anche dello sfruttamento di un Sud-Italia poi disprezzato e trattato con accondiscendenza o tutt’al più un po’ di pietà è per me un pensiero profondamente doloroso; e non credo sia un sentimento equiparabile al generale senso di colpa terzomondista...

    Sono rimasto profondamente colpito dai numerosi post in cui si rendeva evidente il tratto non solo economico di questa battaglia e non riesco a formulare un principio morale per cui sarebbe legittimo liberarsi dal giogo di questa orribile ipocrisia imperialista solo per poter tornare ad esercitare la nostra, di padani, influenza mortifera, neanche se profumata con un po' di carota pelosa. Ma in tal caso, per quanto non voglia cadere nella fallacia del bianco-o-nero, dove dovrebbe arrestarsi questa lotta per l’autonomia? Lei difende accoratamente, e a mio avviso giustamente, la funzione protettiva dello Stato Nazione, ma esso a sua volta, come la storia dell’Unità d’Italia racconta fin troppo bene, ha vissuto – e vive! - di un sordo ed orribile sfruttamento del simile sul simile, del fratello sul fratello.

    Ancora a Villetaneuse lei ricordava che un droghiere greco difficilmente può trarre giovamento dalla libertà di movimento perché in Finlandia non avrebbe poi reali possibilità di lavoro, per problemi innanzitutto linguistici, ma a me vien da dire che immaginare un mondo in cui al greco o al calabrese si venda come grande conquista quella di potersene andare a 2000 km di distanza dalla sua terra per lavorare è una mostruosità che pone il limite linguistico come ultimo dei problemi. Se poi mi si spiega che ci vendono come conquista ciò che in realtà nasconde, poggia su ed anzi perpetua almeno alcune delle cause che avevano in prima istanza generato o incancrenito la condizione di scarsità di lavoro in tale o talaltra zona, beh, la rabbia si fa difficile a contenere!

    Con l’arroganza del filosofo quale sono per professione (desiderata), leggendo quanto veniva prodotto in quel luogo dello spirito che è goofy, ho creduto e ancora credo che l’economia stia ripercorrendo la strada che in filosofia ha portato prima alla cosiddetta svolta linguistica e che poi ha condotto le conseguenti “filosofie della differenza” ad arenarsi nelle secche del post-moderno (che costituisce, si badi, un problema accantonato ma nient’affatto risolto). Tra queste secche, gli scogli più accoglienti sono forse i cultural-studies, una teoria esposta al rischio dell’idiografia radicale e alla lunga anche dell’idiozia.

    Se la moneta, come mi par di capire, ha da fare con la sovranità e quindi in ultima istanza con l’autonomia, come tracciarne i limiti? Le aree valutarie dovrebbero corrispondere ad aree culturali? Dovrebbero rispondere ad istanze di conservazione: fin dove è civile, evoluto, decente, prevedere - politicamente - che il fattore lavoro possa essere indotto a spostarsi, al di là dei liberi desideri di ciascuno? Il tutto tenendo in conto, se non erro, che dall’altro lato della barricata, così lontani che ci diamo reciprocamente le spalle, stanno i libertarians

    Spero sia possibile tenere in freddo questo dilemma e, prima di dissolverla, salvare la Patria.

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  14. il prof. Savona ha studiato le condizioni di cambio ai tempi dell'Unità e secondo lui il cambio doveva essere 4a1 e invece fu fatto 1a1.. stesso identico discorso della riunificazione tedesca

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  15. Francesco Saverio Nitti:

    « Ciò che è certo è che il Regno di Napoli era nel 1857 non solo il più reputato d’Italia per la sua solidità finanziaria – e ne fan prova i corsi della rendita – ma anche quello che, fra i maggiori Stati, si trovava in migliori condizioni. Scarso il debito, le imposte non gravose e bene ammortizzate, semplicità grande in tutti i servizi fiscali e della tesoreria dello Stato. Era proprio il contrario del Regno di Sardegna, ove le imposte avevano raggiunto limiti elevatissimi, dove il regime fiscale rappresentava una serie di sovrapposizioni continue fatte senza criterio; con un debito pubblico enorme, su cui pendeva lo spettro del fallimento. »

    A me la seconda descrizione ricorda qualcosa....

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