giovedì 28 novembre 2024

Unicredit

 …ma con tutte le rogne che ho, pure questa!?

Io (sconsolatamente) boh…

E voi che invece sapete sempre tutto, come la vedete?

sabato 23 novembre 2024

La kuestione salariale

Questa osservazione del Comico (l'infiltrato del complesso ecologista-industriale cinese: qui nun se famo mancà ggnente...):


Il Comico ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Un giorno ci pagheranno le pensioni...":

Cito solo un paio di articoli (se mi spiegate come mettere i link metto anche quelli). putroppo il tempo a mia disposizione è limitato: mi piacerebbe andare sui vari siti (OCSE, ISTAT, EUROSTAT) e fare un fact checking ancora più puntuale, ma al momento bastano questi due estratti per dire quello che voglio dire:

Salari reali, nel 2024 l’Italia è (ancora) il Paese con il maggior calo: -6,9% rispetto al pre-pandemia. di Diana Cavalcoli (Corriere.it, luglio 2024)

Nel primo trimestre del 2024, i salari reali erano ancora inferiori del 6,9% rispetto a prima della pandemia. «L’inflazione è stata a livelli record nell’Ocse e i salari in tutti i Paesi ci hanno messo del tempo a reagire - ha spiegato Andea Garnero, economista dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico-. In Italia non solo la reazione è partita in ritardo, ma è anche decisamente lenta. Si è creata una perdita di potere d’acquisto che richiederà tempo per essere colmata».

"Secondo il rapporto dell’Ocse la crescita dei salari reali dovrebbe rimanere contenuta nei prossimi due anni in Italia. Si prevede che i salari nominali (retribuzione per dipendente) in Italia aumenteranno del 2,7% nel 2024 e del 2,5% nel 2025. Sebbene questi aumenti siano «significativamente inferiori a quelli della maggior parte degli altri Paesi Ocse», consentiranno comunque un recupero di parte del potere d’acquisto perduto, dato che l’inflazione è prevista all’1,1% nel 2024 e al 2% nel 2024." di Giorgio Pogliotti, sole24ore, 27/07/2024

"A settembre, dopo tre mesi di crescita, l’occupazione è risultata in diminuzione (0,3%, pari a -63mila unità)" (...) "Il livello di occupazione (calcolato sulla base dei dati mensili provvisori) è comunque in aumento nel terzo trimestre (+0,4% rispetto al secondo, una crescita di 84mila occupati); a questo andamento si associa una diminuzione delle persone in cerca di lavoro (-8,5%, pari a -147mila unità) e un aumento degli inattivi (+1,1%, pari a +138mila unità). "

fonte: Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027 (C. 2112-bis) Audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica Prof. Francesco Maria Chelli

Dunque: sarà che i salari non sono fermi al palo, ma siamo ancora sotto ai livelli pre-covid. Stiamo sbandierando come successo il processo di adeguamento dei salari all'inflazione, che peraltro è arrivato in ritardo.

Chiudo:

Che l'immigrazione sia un fenomeno che va gestito, in quanto porta con sè delle conseguenze problematiche, non ci sono dubbi. Non è di destra nè di sinistra. E' solo ragionevole. Questo vuol dire che vada favorito? assolutamente no.

Rimane quanto detto prima: questo governo sta ulteriormente criminalizzando l'immigrazione, gettando i presupposti per lo sfruttamento dei migranti e la riduzione dei diritti dei lavoratori (tant'è che, come se servisse un'ulteriore prova, chi protesta e sciopera viene dileggiato). E, mentre tutti parlano di una nave che naviga verso l'Albania, distratti, nessuno si accorge del fatto che le retribuzioni reali sono ancora ai livelli pre-covid.

ripeto l'appello all'onesta intellettuale

Pubblicato da Il Comico su Goofynomics il giorno 22 nov 2024, 13:12


che, conformemente al nostro scrupolo filologico, vi restituisco nella sua disgrafia (va pure detto che l'interfaccia di questo blog non è molto agevole da usare...), e che non ho tempo di analizzare in dettaglio (non oggi, ovviamente: ma ci torneremo), mi ha messo voglia di riprendere un vecchissimo post, quello sulla svalutazione competitiva dei salari tedeschi. Perché se le cose stanno come ha detto LVI a La Hulpe:

(e come diceva Luciano Barca alla direzione del PCI, peraltro), allora bisogna ammettere che i tedeschi sono stati veramente furbi. Come vi ho spiegato più e più volte, nel blog e nei libri, la strategia di  recupero della competitività basata compressione dei salari considerata sic et simpliciter non è necessariamente destinata al successo. Mi spiego: supponiamo che in un ipotetico mondo "di prima" la Germania riuscisse a contenere il costo del lavoro offrendo prodotti di prezzo relativamente accessibile se confrontato alla qualità dei prodotti stessi. Questo avrebbe ovviamente spinto su le esportazioni tedesche. Nel mondo "di prima", però, la domanda di beni tedeschi (cioè le esportazioni tedesche) era essenzialmente in primo luogo domanda di valuta tedesca, e causava quindi un apprezzamento del cambio. Come vi ho spiegato, non era l'Italia a svalutare: era la Germania a rivalutare e i dati lo mostrano con chiarezza:

Affinché il suo particolare modello di relazioni industriali potesse conferirle un vantaggio definitivo, la Germania aveva quindi bisogno di bloccare questo meccanismo compensativo. Picchiare uno più piccolo di te è relativamente facile, ma nel caso in cui tu sia tedesco, per rendere questo esercizio più divertente devi anche legargli le mani dietro la schiena...

La successione temporale è stata perfetta, così azzeccata da portarmi a escludere, dopo anni di esperienza in politica attiva, che dietro ci sia stato un qualche pensiero strategico: prima si sono legate le mani dietro la schiena agli altri Paesi fissando il loro cambio in modo irrevocabile, e poi si è praticata una pesantissima svalutazione competitiva interna (taglio dei salari reali) guadagnando un vantaggio che solo una cosa poteva a questo punto compensare: il fallimento dei concorrenti. In effetti, un taglio dei salari del 6% in un Paese in cui non si sta malissimo è più sostenibile che in un Paese relativamente arretrato. Quindi la cosa va così: prima tu, relativamente ricco, tagli i salari; poi gli altri non ti possono seguire (a pena di rivolte di piazza) e quindi cominciano a comprare i tuoi beni; per farlo si indebitano (con te); alla prima crisi finanziaria tu vuoi i soldi indietro e li mandi per stracci; a questo punto, e solo a questo punto, ti rendi conto che non hai più a chi vendere i tuoi beni; aggredisci il mercato anglosassone; vieni respinto con perdite; crolli e ti tiri dietro tutti gli altri.

Non è meraviglioso?

Comunque: come ricorderete, dodici anni fa c'era qualche imbecille che negava il dato statistico del taglio dei salari in Germania, nonostante di esso avesse menato vanto niente meno che un importante consulente della Merkel, Roland Berger, elogiando la crescita dei salari "inferiore a quella della produttività" (altra cosa cui nessuno credeva e che vi ho poi documentato qui) e la creazione di un segmento del mercato del lavoro a bassi salari (i famigerati minijob). Feci quindi i calcoli in questo post:


e oggi ho passato il pomeriggio a rifarli per vedere se quella fisiologica riscrittura della storia che chiamiamo armonizzazione o adeguamento delle basi dati avesse in qualche modo alterato la situazione. Sono quindi andato a riprendere le stesse fonti sui database dell'OCSE e del Fmi (i dettagli sulle variabili sono nel post del 2012 e ho ripetuto i calcoli non solo per la Germania, ma anche per gli altri tre grandi Stati membri dell'Eurozona. Vi risparmio quindi la tabella (che non entrerebbe nella pagina: ma se lo desiderate cerco di metterla su Telegram o in altro luogo raggiungibile) e vi faccio vedere i risultati grafici. Ovviamente questo lavoro non è un mero Amarcord, ma è prodromico a entrare nel merito di quanto ci dice (de relato) l'amico Comico.

Cominciamo allora dalla triste storia dei salari alamanni (e non solo) dodici anni dopo. La vedete qui:


Allora: per l'Italia Excel ha scelto il grigio, perché la situazione era abbastanza grigia, in effetti, caratterizzata da quell'elettrosalariogramma piatto di cui abbiamo parlato più volte (ieri sera anche in TV). Ma il motore del casino in cui ci stiamo dibattendo è, tanto per cambiare, la Germania (in arancione). Si vede molto bene come dal 2003 al 2008 il salario medio annuo in termini reali (cioè espresso in termini di effettivo potere d'acquisto) cala dell'8,8%. All'arrivo della crisi, per compensare, Spagna prima, e Italia poi, devono giocare il gioco descritto da LVI, tirando giù i salari reali rispettivamente del 9,9% e 6,7%. Altro modo di rianimare la domanda estera non c'era se non distruggere quella interna amputando i salari.

L'operazione è riuscita, il chirurgo è morto.

Vi faccio rapidamente vedere gli stessi dati espressi come indice, in modo che ne sia chiara la dinamica, astraendo dalla scala del fenomeno (che è ovviamente diversa nei vari Paesi, perché gli stipendi tedeschi non erano e non sono quelli spagnoli, per dire):


La storia è la stessa, ma si apprezzano meglio alcuni dettagli (ad esempio, il fatto che Zapatero sia stato un bancarottiere - o uno stolto - di ragguardevoli dimensioni: non a caso era l'idolo della nostra sinistra coccodè).

Per venire incontro al Comico (è un caro ragazzo) dobbiamo però passare dal dato annuale a quello trimestrale, visto che quello viene commentato nelle fonti che il nostro amico ci cita. Ma prima di farlo vorrei che fosse ben chiaro un punto: in una unione monetaria il saggio di crescita dei salari non lo detta la produttività (cha cha cha), ma la crescita dei salari del Paese più forte: se lui taglia, gli altri devono tagliare, prima o dopo una crisi di debito estero (di solito dopo). Quindi, volendosela prendere con una donna il cui nome inizia per "M", forse Merkel è una candidato più idonea di Meloni (cui qui abbiamo voluto bene da tempi non sospetti).

Chiaro?

Sicuri?

E allora vediamo i dati trimestrali:


che poi ci raccontano la stessa storia, "spalmata" sui trimestri. Attenzione però: una differenza c'è. Qui l'indice dei prezzi al consumo non viene dal Fmi, ma dall'Eurostat (è l'HIPC, l'indice armonizzato dei prezzi al consumo). Le altre variabili (compensation of employees e total employees) sono sempre di fonte OCSE, anche se, a dire il vero, non ho visto se siano congruenti col dato annuale (cioè se, nel caso del flusso di salari, la somma dei dati trimestrali restituisca il dato annuale: ma a occhio direi di sì e sarebbe più un problema loro che mio, atteso che se due basi dati diversa dicono la stessa cosa - e la dicono - il mio ragionamento esce rafforzato).

E fino a qui ci siamo: possiamo anche mostrare gli stessi dati in forma di indice:


operazione utile perché ci permette di capire chi è che sta veramente male male male...

(...un aiutino per i diversamente perspicaci:


Ora lo vedete? Perché era una roba che andava avanti dal 2017, e i più attenti sanno bene perché...)

Ma sento che il Comico freme e urge: lui vive nel futuro, nel mondo delle girandole cinesi, e l'infastidisce questo ozioso risalire alle cause. Veniamo quindi alla sua preoccupazione, che lo deve veramente destabilizzare psicologicamente, se lo porta ad accusarmi di "propaganda governativa" e "disonestà intellettuale". Poverino: soccorriamolo nella sua angoscia.

Allora, intanto il dato OCSE citato dall'operatrice informativa ("Salari reali, nel 2024 l'Italia è ancora il Paese con il maggior calo"), viene dall'OECD Employment Outlook 2024, di cui vi raccomando soprattutto il sottotitolo, e specificamente da pagina 31, dove trovate questo bel grafico:


dal quale, in effetti, si constata che, paragonando l'ultimo dato disponibile all'ultimo dato del 2019, l'Italia è messa maluccio. Coi dati dei nostri grafici, in effetti, a primavera 2024 la Francia è il 3% sotto all'autunno 2019, la Germania il 2,7%, l'Italia il 4,2%. Non è il -6,9% di cui parla questa pubblicazione, ma è comunque un risultato deludente. La differenza fra le nostra ricostruzione e quella fornita dall'Employment Outlook potrebbe dipendere da vari fattori relativi a definizione e misurazione delle variabili, su cui non mi soffermo, perché sono senz'altro meno determinanti del dato macroscopico, che credo vediate da voi e che comunque vi evidenzio:


Beh, sì, noi ora siamo (di poco) sotto Francia e Germania, ma il problema è che laggiù ci ha tirato LVI, the best one. Il fondo lo abbiamo toccato nell'autunno del 2022, quando ce lo siamo scrollato di dosso, e da allora abbiamo ricominciato a crescere, tornando verso Francia e Germania.

D'altra parte, come volete che uno che vi ha detto in faccia che lo scopo del gioco è tagliare i salari potesse giocare un gioco diverso?

Il mio educated guess è che a questo Governo (se proprio vogliamo parlare di politica) questo gioco piaccia meno che a LVI. E quindi chi fa propaganda? Chi ci dice che dall'autunno 2022 alla primavera 2024 i salari reali italiani hanno ripreso il 4,2% (quelli tedeschi hanno perso lo 0,8%), o chi non ci dice che dall'inverno del 2021 all'autunno del 2022 avevano perso l'8,3% (in Germania il 4,6%)?

(...ma perché, perché, perché?...)

(...devo scappare, i refusi li lascio a voi...)

venerdì 22 novembre 2024

Ancora sulla sanità (pe' malati c'è la china...)

Dunque: cominciamo dai dati, che stanno al PD come l'aglio sta ai vampiri (ricordo sempre che invece Aristotele sta ai piddini come un crocefisso ai vampiri). Li trovate qui. Chiarisco subito che sto utilizzando, in questo post (o parte di post, dipende da quante rotture di scatole soggiungeranno) il database COFOG (Classification Of the Functions Of Government) dell'Eurostat perché mi interessa fare qualche confronto internazionale. Il semicolto piddino è per sua intima indole "indernescional", rappresentando la malattia senile di quel cosmopolitismo borghese che, come è noto agli intellettuali di sinistra, si è storicamente posto in contraddizione con l'internazionalismo proletario (esempio pratico: l'internazionalismo proletario è sempre stato contro l'importazione di manodopera o di crumiri a basso costo, il cosmopolitismo borghese è sempre stato animato da un afflato filantropico rousseauiano di accoglionanza verso il "bon sauvage"...). Facciamogli quindi vedere qualche confronto internazionale. Ovviamente la necessità di armonizzare i dati determina una non adeguata tempestività delle informazioni, quindi quello che guadagniamo in appeal "indernescional" lo perdiamo in aderenza all'attualità: COFOG a oggi si ferma al 2022, cioè a quello fatto da LVI, il migliore (the best one). A questo rimedieremo coi dati del ministero, che sono parzialmente diversi (quindi non confrontabili internazionalmente) ma più tempestivi (con le previsioni della legge di bilancio arrivano al 2025). Non so se questo update riesco a darvelo oggi, ma ci provo.

Qui avete il confronto fra i livello assoluti della spesa nominale:


Il dato che emerge è la divergenza fra Italia e Germania (la Francia mantiene la barra) nel periodo successivo alla crisi dei subprime. La spiegazione non è difficile: da noi arrivarono le politiche di austerità, da loro un aiuto insperato e di cui non avevano necessità: le politiche di quantitative easing (acquisto di titoli pubblici) da parte della Bce seguivano la cosiddetta capital key, erano cioè proporzionali alle dimensioni dei Paesi, non dei rispettivi problemi, e quindi la Germania poteva finanziare la spesa pubblica a tassi sostanzialmente negativi mentre noi passavamo il calvario che ricorderete.

Questo "fatto stilizzato" è utile tenerlo presente, in particolare per ricordare chi ha tagliato cosa, ma è chiaro che il confronto fra valori assoluti della spesa lascia il tempo che trova, dato che si riferisce a Paesi di dimensioni molto diverse.

Può essere interessante però mettere in evidenza la dinamica dei volumi di spesa, ponendo il 1995 uguale a 100:


Ovviamente questo, che è un indice, va letto come un indice, nel senso che ci informa sulla dinamica del fenomeno. Dal 1995 alla crisi dei subprime in Italia la spesa è cresciuta più che nella media dell'Eurozona, in qualche modo, nonostante gli sforzi per entrare nella moneta unica. Il divario si stava colmando. Poi tutto si è fermato (sindacati e medici muti).

Può però essere più utile una normalizzazione, e ve ne propongo due, cominciando dalla più ovvia, quella rispetto al Pil (che è fornita direttamente da COFOG):


Naturalmente i dati sono sempre quelli e quindi raccontano, in un modo o nell'altro, la stessa storia, con ulteriori sfumature che vanno sottolineate. Intanto, la percentuale di spesa sanitaria pubblica rispetto al Pil è andata aumentando un po' ovunque, come risultato, immagino, dell'invecchiamento della popolazione e del progresso tecnologico, che ci ha fornito strumenti diagnostici più efficaci ma anche più costosi. Poi, è evidente che l'Italia nel 1995 partiva molto svantaggiata in termini comparativi, ma la dinamica sostenuta della sua spesa le consentiva di recuperare posizioni, superando nel 2005 il dato tedesco e tenendosi incollata fino al 2012 alla media dell'Eurozona. Dopo, com'è ovvio per voi, la situazione si deteriora rapidamente, con un'inversione di tendenza verso la fine, dovuta al COVID, e una brusca discesa (dovuta a un'espansione del Pil nominale più vigorosa che in altri Paesi). Anche qui, quando e chi ha causato il problema mi pare sia evidente.

Vi propongo anche un'altra normalizzazione, che non so perché non viene mai discussa in pubblico: quella rispetto al numero di abitanti. Perché in effetti non è il Pil ad ammalarsi, come dice l'amico Quirino Biscaro: sono le persone, quindi magari è utile vedere quanti soldi mette lo Stato a testa, no? Lo vedete qui:


Nota bene: COFOG questa statistica non la fornisce, quindi i dati sulla popolazione li ho presi dal World Economic Outlook del Fmi. Che cosa vediamo in questo grafico? Che, come prima, a metà degli anni '90 l'Italia partiva svantaggiata in termini di spesa nominale pro-capite (indicatore che comunque va anch'esso preso con le pinze, visto che i prezzi in Italia, Francia e Germania non sono gli stessi: ma dati a parità internazionale di potere d'acquisto non ne abbiamo). Dopo di che, in virtù della dinamica che vi ho evidenziato, l'Italia recupera e si allinea alla Germania, il Paradiso terrestre dei piddini (e in effetti, se non suonasse come una deportazione - che è contraria ai miei principi etici - li manderei tutti a stare lì...). Dopo di che arriva la crisi subprime ecc.

A scanso di equivoci come quelli sollevati dal comico "Il Comico", mi sembra sufficientemente ovvio che in tutta questa roba il Governo Meloni non c'entra né sotto il profilo ideologico (adesso sono un parlamentare di maggioranza, ma che il PD stesse macellando il Paese era fattuale e lo avevo preannunciato quando ero un intellettuale di estrema sinistra) né sotto il profilo cronologico (il Governo Meloni arriva alla fine del 2022, cioè in corrispondenza dell'ultimo dato rappresentato in questo grafico). Questi grafici quindi descrivono la situazione prima dell'arrivo dell'attuale Governo: una situazione molto eloquente e che dovrebbe indurre alla prudenza, se non al silenzio, chi si accorge solo oggi, per motivi evidentemente tattici, che nella sanità qualcosa non torna. Cosa non torni e da quando (e quindi per responsabilità di chi) è sufficientemente ovvio dalla lettura dei grafici.

Per vedere invece come stanno andando le cose ora, dobbiamo rinunciare ai confronti internazionali e tornare sui dati italiani, approfondendo l'analisi già svolta qui.

Ma questo lo facciamo in un'altra occasione: per oggi abbiamo abbastanza materia!


(...ho scritto di corsa e senza occhiali: se ci sono refusi, mettete nei commenti e poi li tolgo. Rileggere fa bene all'ortografia ma fa male alla salute, e devo mediare fra queste due esigenze...)

giovedì 21 novembre 2024

Un giorno ci pagheranno le pensioni...

...ma intanto frenano produttività e salari, anche perché si prestano a eludere le norme a difesa dei diritti dei lavoratori, se pure, facendosi carico dei lavori più rischiosi, riducono l'incidentalità dei residenti (ma  purtroppo non la propria).

Ah, non succede solo da noi?

Strano!

Ma non fatevi sentire: una volta dirlo sarebbe stato di sinistra:


Oggi è da fascisti, e credo che a voi dispiacerebbe passare per brutte persone, no? Che cosa volete che sia rinunciare a un po' di diritti, a un po' di salario, e a un po' di sicurezza, per difendere il supremo valore del bon ton?

Fate i bravi e ci vediamo domani in TV.

(...3, 2, 1: "hai fatto cherry pickiiiiiing!11!!!"...)

mercoledì 20 novembre 2024

Gli accopp(i)amenti giudiziosi: tragicommedia in due atti

Gli operatori informativi


Gli operatori sanitari




 (...scioperi dei medici nel 2012 ne ricordate? Io no. Questo che cosa significa? Non saprei dirvelo. Certo, se le professioni giornalistica e medica - e anche un'altra che non cito per carità di patria - si sono screditate, la colpa non pare essere tutta del destino cinico e baro: ci hanno messo del loro, e pesantemente! La faziosità nel sostenere chi avrebbe distrutto il Paese semplicemente perché si pensava che potesse sbarazzarli di un avversario politico ha avuto conseguenze per tutti. Anche i giornalisti, anche i medici hanno segato il ramo su cui erano seduti. Ora nessuno gli crede più, ma si può sempre aggiungere al discredito il ridicolo: basta mettere i dati in prospettiva, e la riflessione sorge spontanea: o stavano troppo bene prima, talché, quando la spesa sanitaria si è arrestata per un decennio, in fondo questa purga non li ha troppo debilitati, o vedono il mondo al contrario, talché ora che la spesa ha ricominciato a crescere, a loro sembra che stia calando. Altre spiegazioni non so darmele. Che peccato quando istituzioni in cui vorremmo avere fiducia, o peggio ancora in cui siamo costretti ad avere fiducia per mancanza di alternative, si fanno strumentalizzare da una parte politica! Poi ci si lamenta della perdita di fiducia e di rispetto dei cittadini! Ma considerando come i giudici di sinistra trattano gli imputati di destra, perché un paziente di destra dovrebbe fidarsi di un medico di sinistra, soprattutto se un giornale di sinistra invece lo esorta a fidarsi - e a quel punto fuggire a gambe levate diventa l'unica strategia razionale! La faziosità cattiva e sciocca del PD ha lacerato il tessuto sociale e istituzionale del Paese in un modo difficilmente ricomponibile e le querimonie postume dei medici PD-diretti sui tagli alla sanità sono solo la punta di un iceberg che in realtà è uno Scheissberg...)

(...la fonte dei dati sulla spesa sanitaria è riportata qui, quella dei dati sul Pil è riportata qui...)


lunedì 18 novembre 2024

Grazie!

Grazie a quelli che si sono impegnati, ma soprattutto grazie a quelli che continueranno a farlo. Oggi il PUDE fa il suo goal della bandiera, e va bene così. Noi continuiamo per realizzare il programma che vi avevo descritto qui, senza dimenticare chi è il nostro avversario, né chi è il nostro nemico (chi ci propone avversari fittizi).

domenica 17 novembre 2024

Simmetrie

In un post precedente ho insistito con un minimo sindacale di veemenza sul fatto che la politica, fra l’altro, è responsabilità.

Fedele al mio principio di avere una parola buona per tutti, vorrei rapidamente evidenziarvi una conseguenza di questa affermazione. I nostri amici dei partituncoli e gli altri utili idioti dell’antipolitica concepiscono la relazione fra eletto ed elettore in modo antisimmetrico. Abbiamo appreso dallo zio dell’Uomo ragno che da un grande potere derivano grandi responsabilità. In effetti, da ogni potere, da ogni scelta, derivano delle responsabilità. Non è “colpevolizzare“ l’elettore ricordare che la scelta di esercitare o non esercitare il proprio potere di indirizzo votando comporta delle responsabilità. Certo, è chiaro che se una forza politica raccoglie un consenso circoscritto questo deriva dal fatto che la sua proposta non ha saputo convincere gli elettori o perché palesemente irrealistica o perché smentita, in sostanza o in apparenza, dalla condotta degli eletti. Va benissimo così e nel riconoscere che il popolo è sovrano non ci si può che sottomettere al verdetto delle urne. Tuttavia, il rapporto che c’è fra persone come me e Claudio, da un lato, e voi dall’altro, il modo in cui è nato e si è sviluppato in particolare in questo blog, mi legittima nel farvi notare una cosa: che quello che un politico può fare dipende dal consenso che la forza che ha deciso di coinvolgerlo raccoglie, e che quindi la valutazione sulla coerenza e sull’efficacia dell’azione politica dei singoli non può che essere effettuata condizionatamente al supporto che essi hanno avuto dal popolo sovrano. Questo supporto non può essere misurato dall’importanza che ogni singolo elettore legittimamente dà a se stesso, legittimamente ritenendosi dalla parte del giusto, e legittimamente ponendosi al centro del mondo. Insomma il discorso: “perché non hai fatto le cose che io ti avevo mandato a fare e che io ritengo giuste perché io so la verità!?” non funziona tantissimo. Ci vogliono parecchi “io“ perché in democrazia le cose funzionino, mi sembra sufficientemente ovvio.

Ora, tutte le volte in cui si fa notare che anche chi vota ha una responsabilità, parte la solfa del: “colpevolizzi l’elettore!”.

No, non è così.

Semplicemente, non lo deresponsabilizzo, cioè, se vogliamo, lo adultizzo. Perché quello che succede in democrazia non è responsabilità solo degli eletti: è, per definizione, responsabilità anche degli elettori, e questo dobbiamo dircelo e ricordarcelo, se vogliamo che il patto che qui abbiamo stretto resista all’usura del tempo.

Io non so se seguite, ad esempio, il lavoro che Claudio sta facendo con altri in Europa, raccogliendo il prezioso testimone di Marco Zanni, che è l’uomo senza il quale, posso confermarvelo per tabulas e lo farò quando sarà il momento, nulla di ciò cui assistiamo a livello europeo in questi giorni sarebbe stato possibile. Certe volte penso con amarezza a quanto sia ingiusto che chi tanto ha lottato per costruire, come Marco, chi tanto ha seminato, non possa avere la soddisfazione di raccogliere, e questo perché? Per tanti motivi, uno dei quali, spiace dirlo, ed è antipoliticamente scorretto dirlo, è che ci sono ancora tanti coglioni in giro che si fanno spiegare il mondo dai giornali, da giornali che visibilmente non sono nostri amici, non sono amici di chi li legge, non sono informati, non si pongono lo scopo di informare, non sono competenti, non sanno di che cosa parlano. Perché noi, per spiegarvi come e perché stavano andando le cose, e quello che stavamo cercando di fare per farle andare nel verso giusto, abbiamo dispiegato quotidianamente tempo ed energie, come nessun altro vostro rappresentante ha mai fatto. Nell’esporci a questo dibattito ci siamo presi le nostre palate di guano, e avremmo anche potuto non farlo, soprattutto se le nostre persone fossero state coerenti con la narrazione che veniva utilizzata per attaccarci dalle tante amanti tradite, quella dell’antipolitica anni ‘10 (“sono tutti uguali!” E dove sarebbero gli altri che passano ore sui social a spiegare la situazione? “Fanno opposizione per finta ma sono tutti parte dello stesso complotto!” Un complotto ordito con così tanta perizia che, al mero fine di dissimulare la propria esistenza, ha scelto di affidare come bersaglio al sistema di media solo due o tre persone: Salvini, Borghi, Bagnai… E potrei continuare.).

Il momento che stiamo vivendo è realmente storico e non lo è per caso: lo è perché lo abbiamo costruito in lunghi anni di lavoro. Chi è qui da un po’ credo che abbia non solo gli strumenti, ma anche, cosa più importante, la volontà di rendersene conto. Sostenere il fronte dei patrioti (lo scrivo con la minuscola per conservare a questo termine la sua accezione più vera e più profonda, senza nulla togliere alla sua accezione più recente e politica) in un momento come questo è determinante, e lo è nel grande, come nel piccolo, come nel piccolissimo. Ogni elezione conta, ogni occasione di esprimere il proprio dissenso e di rafforzare chi vi ha aiutato a maturare la coscienza della sua fondatezza, di chi vi ha dato argomenti, fatti, statistiche, per comprendere che il sistema che vi veniva proposto come unica alternativa era, ed è, un sistema intrinsecamente fragile, va colta.

Fermo restando che il mondo andrà nella direzione in cui deve andare, e che qui abbiamo indicato tanto tempo addietro, abbreviare il nostro travaglio sta a noi, e quello che succederà domani non sarà solo responsabilità di chi vi scrive, o dei suoi colleghi, ma sarà anche responsabilità di chi avrà voluto, o non voluto, cogliere questa occasione per motivi più o meno fondati.

Noi siamo responsabili rispetto a voi, ma anche voi siete responsabili rispetto a noi.

Questo, i piddini, lo sanno.

Quando lo imparerete sarà sempre troppo tardi.



venerdì 15 novembre 2024

Ulteriore addendum al dizionario

 (…aggiungo estemporaneamente al volo…)

Invece di dire: “Non ce ne frega un cazzo!”, dite “Terremo in debita considerazione questa sua esigenza!”

(…un giorno pubblicheremo tutto il dizionario…)

giovedì 14 novembre 2024

Quando un uomo con la piccozza incontra un uomo col dubbio...

...sapete come va a finire:


Ora, nel noto film di Sergio Leone alla fine la cosa prende una piega diversa, come ricorderete.

Viceversa, a me capita sempre che sia l'uomo col dubbio (io) a stendere l'uomo con la piccozza, o con la siringa, o con consimile simbolo-feticcio della nostra amica Lascienza (quella di cui parlammo qui).

Potrebbe trattarsi di una banale coincidenza. Io ritengo invece che sia una questione di metodo. Permettetemi di rinfrescarvi la memoria.

Cominciò qui quello che fa rima con Orione:

Poverino, nessuno gli contestava, né gli contesta, nel suo ruolo di simpatico bounty killer (è delegato alla character assassination da una delle tante testate sconfitte dalla storia, onestamente non ricordo nemmeno quale), la facoltà costituzionalmente garantita (da noi, non da loro) di esprimere le sue opinioni!

Però, sempre per restare nella grande filmografia:

"ogni uomo dovrebbe conoscere i propri limiti", o almeno i propri avversari (le due cose non necessariamente coincidono ma entrambe possono salvarti se non la vita almeno la faccia).

Certo, se accecato dalla livorosa presunzione della tua superiorità morale sul "senatore della Lega" ti avventuri in un terreno che è impervio e ostile anche per molti ricercatori, quello dell'epistemologia, affermando che "la scienza è certezza" (Heisenberg scanzete, Kolmogorov nun ce penzà popo, Kuhn vatte a nasconne...), senza sapere che di fronte hai uno che per lavoro fa il ricercatore, che nella vita usa gli strumenti della statistica matematica, che ha subito decine e inflitto centinaia di referaggi su riviste di un certo prestigio, ma soprattutto che ha una forte personalità e mediamente le azzecca, la figura di merda te la sei andata a cercare. Si capisce poi che per lenire lo smacco tu ogni tanto ti esibisca in pezzi di colore il cui climax è sempre quella storia che io sarei un mediocre clavicembalista! Ricordo che i coglioni secondo cui io ero un mediocre economista, oltre a non averne azzeccata una, e a dover dire cinque o dieci anni dopo quello che io dicevo cinque o dieci anni prima, non sono comunque riusciti, con la loro simpatica mafietta, a impedirmi di avere un'idoneità da ordinario: il prossimo disco non credo che lo avrà (ci abbiamo investito poco tempo), ma quando quello dopo prenderà il suo diapason d'oro sarà mia cura recapitarlo all'uomo che fa rima con recensione, per avere, appunto, il suo giudizio informato...

Intanto AstraZeneca ha fatto dei morti accertati, salvo mio errore (ma saranno i giornal-

oni a smentirmi, eventualmente), e quindi io, se fossi nei panni in cui per fortuna non sono, mi vergognerei molto. Un simile endorsement ad Astrazeneca il giorno prima che venisse ritirato dal mercato: roba che in confronto Paperoga sembra James Bond!

Ma non voglio infierire...

Ieri ci siamo trovati da capo a dodici!

Arriva coso, come se chiama, lo scienziato a basso h-index, perché il mio è questo:


e il suo è questo:


(e lui in teoria dovrebbe fare solo quello, mentre io, come dire, ho anche qualche altro hobby, e non mi riferisco alle incisioni su organi storici), e in diretta dalla caverna di Platone (che fa rima anche lui, del resto) notifica a me, che garbatamente esortavo alla prudenza e al dubbio, che sul clima "la comunità scientifica si è espressa già!"


Ora, io mi rendo conto che il New York Times come testata giornalistica non può competere in influenza e autorevolezza con ReStart, e mi rendo conto che Gavin Schmidt:


o Zeke Hausfather:


non possono paragonarsi per competenza e produzione scientifica, come tutti vedono, al nostro showman preferito (per gli ignari: un indice di Hirsch pari a n indica che l'autore in questione ha almeno n pubblicazioni scientifiche citate almeno n volte in altre pubblicazioni scientifiche: quindi, se hai un'unica pubblicazione citata da 20.000 colleghi il tuo h-index è uno, ecc.).

L'uomo della caverna (di Roncone), del resto, su una cosa aveva assolutamente ragione: sul clima la scienza si è espressa!

Lo ha fatto per dirci che, in fondo, di quanto sta succedendo, non ci sta capendo un cazzo:


(perdonatemi se, nella mia umanistica ansia di intercettare l'attenzione operosa del mio interlocutore, mi sono situato per un attimo su un registro linguistico verosimilmente accessibile agli epistemologi all'amatriciana, alla variopinta cour des miracles di quelli che nel XXI secolo ancora si pascono di certezze, evidentemente ignari dei danni che questo atteggiamento ha causato nel XX secolo, e in tutti quelli precedenti, da che storia umana riporti...).

Apro e chiudo una parentesi per ricordarvi che è esattamente quello che un altro scienziato è venuto a dirci in Commissione COVID: che all'inizio non ci avevano capito molto (verità comprensibile), aggiungendo che per questo avevano lasciato libertà di scelta ai medici (menzogna assoluta):

(...apro e chiudo un’altra parentesi: mi scuso ma con quattro Commissioni non sempre riesco a essere presente...)

Ma questo è uno scienziato:


(vi spiegherò un giorno i limiti del confronto fra indicatori bibliometrici in settori scientifico-disciplinari diversi).

Sugli altri, invece, che cosa volete che vi dica?

Non volete studiare?

E va bene, è faticoso: se non lo so io!

Volete esprimervi su argomenti di cui non sapete un decimo di un centesimo della metà di un cazzo?

Transeat! Purtroppo da quando "sono in politica" capita anche a me di doverlo fare: vi esprimo la mia massima e più sincera solidarietà, segnalando che a quel punto diventa una questione di eleganza e di rispetto per l'interlocutore.

Ma una cosa, però, vi esorto a considerarla: non è colpa vostra, e non è merito mio, ma normalmente quello che dico si verifica. Per cui, se mi sentite pronunciare la parola "dubbio", nel vostro interesse un dubbio fatevelo venire.

Così non solo resteremo amici (io non ho nessuna animosità verso di voi, uno di voi due ce l'ha verso di me, ma gliene sono grato perché nell'attesa di rimpinguare il mio portafoglio rallegra le mie giornate!), non solo, dicevo, resteremo amici, ma soprattutto non farete figuracce!

Chi ve lo fa fare di schiantarvi contro uno che parla solo se sa quello che dice?

Poi, per carità, tutti i gusti son gusti (come disse quello che...).


lunedì 11 novembre 2024

Il più lurido dei pronomi

E di nuovo si lasciava prendere da un'idea, e levò la voce, rabbiosamente: "Ah! il mondo delle idee! che bel mondo!... ah! l'io, io, tra i mandorli in fiore... poi tra le pere, e le Battistine, e il Giuseppe!... l'io, l'io!... Il più lurido di tutti i pronomi!..."


Tante volte, nel corso di questa nostra lunga avventura, mi è capitato di citarvi queste parole del Gaddus nella Cognizione del dolore (la prima forse qui). Anche da ultimo, un paio d'anni fa, mi sono intrattenuto con voi sui danni di una particolare forma di narcisismo:


e il presupposto del narcisismo è appunto l'io, il più lurido di tutti i pronomi.

Tuttavia, when the facts change, I change my mind, e dopo questo tweet:


non me ne voglia il capitano in congedo, ho rivisto la mia personale classifica: in questo tornante storico, il più lurido dei pronomi non è l'io, ma il noi, per il duplice uso infame e lurido che se ne fa.

C'è il "noi" spersonalizzante, quello in cui i perdenti cercano di diluire la responsabilità delle loro scelte criminali o semplicemente errate, e su questo ci siamo intrattenuti nel post precedente.

Ma c'è anche un "noi" opportunista, quello con cui chi, per narcisismo, non ha mangiato il cucchiaino di merda quotidiano, vuole appropriarsi dei risultati di chi invece si è sottoposto a questa ingrata pratica.

A entrambe le categorie do una triste notizia: circondato dall'affetto dei suoi cari, dopo una lunga carriera al servizio della disinformazione, la prima persona plurale ci ha lasciato.

Noi è morto.

Non c'è nessun noi.

Non c'è mai stato.

Non ci sarà mai.

C'è un io.

Può darsi che ce ne sia più di uno, ma io uno ne conosco. Quello che da una dozzina d'anni qui parla di "fondo salvastati" (qualche volta con esiti paradossali...). E non lo fa perché sia particolarmente bravo, ma per un altro motivo, che dovreste conoscere, visto che io ve ne ho parlato tante volte, e cioè perché:

c'è una lei.

Lidia Undiemi, che in un video che non riesco a trovare, dopo che i fascisti lo hanno tirato giù da YouTube, aveva descritto il problema e che, allarmata, non aveva sentito il bisogno di telefonare a "noi", che forse non è morto perché non era mai nato, ma a io (cioè a me), perché io, cioè Goofynomics, esisteva, ed era la trincea in cui chi voleva resistere sapeva di potersi asserragliare. Del resto, alle vedove inconsolabili del noi ricordo anche che non c'è un noi:

c'è un lui.

Claudio Borghi, che dodici anni fa, dopo che un video altrettanto efficace e coinvolgente lo aveva portato all'attenzione di molti di noi, scrisse non a "noi", ma a io (cioè a me) e lo fece con quello spirito che ancora oggi tutti possiamo apprezzare, uno spirito di coinvolgimento, di abolizione di qualsiasi narcisismo in vista del perseguimento di un obiettivo comune, avendo in mente solo una cosa: l'efficacia dello sforzo intrapreso. E infatti mi scriveva per dirmi che aveva provato a darmi diritto di tribuna, quel diritto di tribuna che naturalmente gli operatori informativi non mi diedero, ma che poi mi presi.

Io.

(...lo stesso Claudio che poco fa mi ha scritto per ricordarmi il consueto emendamento sulle multe ai vaccinati: e sì, lo avevo depositato... ma, ve lo confesso: solo perché me lo aveva già ricordato lui!...)

Quindi, se posso sintetizzare: "noi" un cazzo!

La responsabilità politica è come quella penale: è individuale.

E non nascondiamoci dietro "beh, ma noi volevamo dire che il Paese è andato...".

Il Paese non esiste. Il Paese è dilaniato da una guerra civile che si chiama euro, come abbiamo spiegato più e più volte (e anche qui: non perché siamo fregni noi - cioè io - ma perché abbiamo - cioè ho - letto Keynes), e la parte del Paese che sta faticosamente conquistandosi il sopravvento non l'ha fatto per le virtù di un astratto "noi", ma per il mazzo che ci siamo fatti io, lei, lui, e pochi altri, principalmente avvalendoci di questa infrastruttura.

E tanto per essere chiarissimi: se Matteo Salvini non fosse stato la persona acuta e lungimirante che è (e me ne catafotto di quello che gli operatori informativi vi hanno indotto a pensare di lui), io (non "noi": io!), che me lo meritavo per essermi fatto il culo per dodici anni, sacrificando ogne cosa diletta più caramente, mai e poi mai avrei avuto la meritatissima soddisfazione di schiacciare il tasto rosso sul muso del MES dopo questa dichiarazione di voto:


Matteo Salvini, cioè lui, non "noi".

Perché c'è anche questo strano paradosso, che non so se avete notato: gli adepti (da oggi i vedovi) del "noi" sono anche, spesso e volentieri, i più refrattari e insofferenti alla disciplina di partito.

Tanto, alla fine, se va bene siamo stati "noi", e se va male è perché "la Lega (in subordine: Bagnai) ha tradito!"

Eh, amici cari, sarebbe bello (cioè turpe, infame, inverecondo) se funzionasse così.

Ma non funziona così: fidatevi!

Ve lo dico io.

(...con immutata stima...)

domenica 10 novembre 2024

D'Antoni, Del Rio, Draghi: la politica e l'etica della responsabilità

(...ieri, dopo aver assistito al conferimento del Premio Sulmona, preceduto dal siparietto televisivo che forse avrete intravistosono scappato come un gran cafone, senza nemmeno salutare la collega che mi aveva cortesemente invitato e cui poi mi prosternerò, perché avevo un gran bisogno d'aria e di solitudine. Mi son fermato a mangiare cazzarielli e fagioli al "Quarto del Pozzo" - conservo una preferenza per la versione di "Per i vicoli" a Barrea, ma è oggettivamente un'ardua contesa - poi ho proseguito per località protetta, dove, deposti i miei panni reali e curiali, cravatta trumpiana inclusa, e indossando una veste non cotidiana, e non piena di fango e di loto, o almeno non ancora, ma tecnica, me ne sono uscito verso i Selvoni. "Ma dove vai? Fra un po' è buio, il sentiero passa per il bosco...", diceva l'amico. D'altra parte, Selvoni qualcosa vorrà ben dire. Ma io sapevo che non sarei andato da solo, perché a Minco d'Adamo avrei trovato Rex. Da solo, all'imbrunire, ci sarei andato comunque poco volentieri, e non tanto per paura di perdermi, quanto per paura di essere trovato. Il direttore del Parco mi aveva spiegato che da quelle parti abita qualcuno che meno di me desidera essere seccato da importune presenze, e più a ragione di me ritiene di essere al vertice della catena alimentare. E non parlo del lupo, che, come vi ho fatto vedere in un post precedente, è uno di noi. Non parlo nemmeno della lince, di cui il dottor Nino, gestore di un'importante infrastruttura sociale - il bar del paese - mi aveva detto che era uscita dal bosco pochi giorni prima per mangiarsi un cane. La lince, e il gatto selvatico, chissà quante decine di volte mi avranno visto! Queste creature del buon Dio hanno però bene appreso un'arte utile, quella di non segnalare la propria presenza. Così, io non le ho mai viste. Si diceva però che fosse stato visto un orsacchiotto, e questo poteva effettivamente cambiare il quadro della situazione. Certo, per evitare problemi basta esercitare un'arte altrettanto utile: quella di segnalare la propria presenza! Alla fine, anche per l'orso sei più una rottura di coglioni che una fonte di proteine, quindi basta evitare di sorprenderlo. In alternativa, andare con un cane qualche garanzia la offre: finché lui è tranquillo, puoi stare tranquillo anche tu, ma se si innervosisce, o cerca la tua protezione, allora è meglio retrocedere con eleganza: anche se tu non hai visto nulla, qualcuno sta sicuramente guardandoti. Io però di aria avevo bisogno, e quindi mi sono mosso. In effetti, appena superato l'ultimo casolare, ho trovato il compare del sindaco che rientrava da una passeggiata e mi son fatto "prestare" Rex, che sembrava - bontà sua - molto, molto contento di vedermi, e subito si disponeva a farmi strada:


e lui correva, e io l'inseguivo, fermandomi solo per scattare qualche foto:


ma il fascino di quell'atmosfera non si può trasmettere, o almeno io non ci riesco. Così, alla fine, ci siamo inselvati verso i Selvoni, e siccome era buio, e io non mi raccapezzavo più, ho deciso di tornare indietro, e Rex disciplinatamente ha rinunciato al suo bagno nel Parello - che tra l'altro, per quanto sia pressoché asciutto, non sarebbe stato immediatamente agevole da guadare di notte. Il buio, la nebbia, la solitudine... A un certo punto, tornati sulla carrareccia, mi accorgo che Rex è scomparso. Non mi preoccupo molto: la strada la sa, ha almeno un senso in più per ritrovarla - l'olfatto - ma insomma non vederlo mi dispiaceva. Comunque procedo, fermandomi ogni tanto per chiamarlo - niente! - e stringendo un po' il passo perché non mi cogliesse il buio - naturalmente, da professionista, avevo con me due fonti di luce indipendenti e le pile di scorta: ma meglio tenerle per la volta successiva! Quando arrivo all'ultimo casale, che sulla strada del ritorno, per motivi non incomprensibili ai lettori di questo blog, stranamente era il primo, sulle scale di casa trovo Rex che mi aspettava tutto fiero di mostrarmi che lui sapeva la scorciatoia!


Non che ne dubitassi... Questa mattina, invece, nella Pontida d'Abruzzo si svolgeva una giornata FAI. Una sessantina di persone sparse per l'area faunistica e in processione verso il Monte Secine, con una non profonda consapevolezza del fatto che le montagne di solito sono in salita - che poi, vista dall'alto, sembrerà una discesa. Io, per non sbagliare, ho fatto il giro largo, trovando subito compagnia:


La linea Gustav era immersa nella bruma:


io sentivo il vocio dei turisti, verso il monte Basilio, verso la Polledrara, e intanto pensavo...)



Il discorso di questo blog è sempre stato un discorso intrinsecamente politico, non fosse altro che perché si rivolgeva alla polis. Nel corso di questi anni ho cercato di chiarire a me stesso, e di condividere con voi, quali siano gli aspetti di un discorso che voglia essere politico. Perché ci sia politica deve esserci una alternativa (perché se non c'è alternativa non c'è politica), deve esserci una corretta attribuzione di responsabilità (presupposto irrinunciabile perché il discorso politico porti, laddove necessario, a un'alternanza nell'esercizio del potere), e devono esserci obiettivi almeno astrattamente configurabili come intellettualmente onesti, come non intrinsecamente contraddittori (in assenza dei quali la democrazia sarebbe puro dadaismo).

Per partire dalla fine, il "bene comune", proprio lui, quello che per gli sciocchi è l'alfa e l'omega della prassi politica, non rientra in quest'ultima categoria, quella degli obiettivi intellettualmente onesti. Il concetto di "comune" non è così autoevidente come sembra ai cretini. Lo sa bene chi ha studiato politica economica (scontrandosi con il paradosso di Condorcet, con il teorema di Arrow, e via discorrendo). In effetti, una volta abbandonata una prospettiva utilitaristica ingenua, ci si rende immediatamente conto del fatto che quello che è bene per uno potrebbe essere male per un altro, e che quindi nella stragrande maggioranza dei casi le persone in realtà non vogliono il bene, vogliono semplicemente di più. In altre parole, i benecomunisti, quelli che blaterano di politica come conseguimento del bene comune, hanno in mente una e una sola cosa: il perseguimento del meglio individuale.

Non è una grande scoperta e non è su questo che voglio soffermarmi oggi, ma prima di passare oltre vorrei chiudere il punto trasponendo questo dato psicologico nel dato politico, anche per trasmettere la concretezza di certe affermazioni, che prima facie possono sembrare arbitrarie, apodittiche, astratte ed assiomatiche (potete aggiungere altri aggettivi, non necessariamente con la "a" di "anfame").

La prima considerazione è che anche se i parlamenti nascono per votare le leggi di bilancio (chi ha letto tutto Stendhal sa bene quante volte lui torni su questo punto: a quell'epoca le riforme erano quella roba lì, votare la legge di bilancio...) in realtà le leggi di bilancio non spostano un voto! Sarà forse perché non scaldano i cuori dell'elettorato, il motivo non so dirvelo, ma certo è che per cercare di renderle interessanti l’opposizione particolarmente mentecatta di cui beneficiamo in questo scorcio storico è costretta a mentire sui dati. Altro non le resta per sommuovere i suoi elettori incitandoli alla rivolta contro le misure che lei stessa ha propugnato, una fra tutte l’abolizione dell’articolo 18! E se si deve giungere a tanta bassezza per rendere interessante un tema, si vede che quel tema così interessante non è...

Passando dal grande al piccolo, ieri sera uno dei sindaci con i quali ho maggiore consuetudine mi confessava a cena, con un certo stupore, di aver riscontrato come gli elettori che nel corso dei suoi plurimi mandati gli erano stati più fedeli erano quelli per i quali non era riuscito a fare niente, mentre, in modo apparentemente paradossale, quelli per i quali era riuscito a fare qualcosa, in alcuni casi anche spingendosi al limite del tecnicamente fattibile, erano esattamente gli stessi che poi gli avevano voltato le spalle. Non mi è stato difficile spiegargli il perché: “Caro amico, tu hai fatto il loro bene, ma loro volevano il loro meglio, e quindi a buon bisogno ti hanno dato in tasca! Fine delle trasmissioni.”

Il tema su cui volevo esercitarmi oggi con voi però era un altro, era quello della responsabilità, della corretta attribuzione della responsabilità, che in parte è correlato al tema dell’alternativa. Si è responsabili delle scelte: se non c’è alternativa non c’è scelta, se non c’è scelta non c’è responsabilità. Ora, il fatto è che noi sappiamo che un’alternativa c’è sempre, e che chi ha voluto affermare il mantra che non ci fosse alternativa lo ha fatto per il preciso motivo che voleva che non ci fosse politica o, più esattamente che non ci fosse la politica degli altri, ma solo la propria.

Quello che è successo nell’eurozona negli ultimi anni a noi è sufficientemente chiaro: ne è prova il fatto che lo avevamo descritto prima, e non per nostre particolari virtù, ma perché è materia da manuale universitario. L’adozione della moneta unica, scaricando sui salari, cioè sui lavoratori, il costo dell'aggiustamento macroeconomico a crisi internazionali, avrebbe da un lato comportato il ricorso a politiche di austerità (perché nessuno si fa tagliare lo stipendio a meno che non sia ridotto in disoccupazione), e dall’altro, naturalmente, suscitando un tanto diffuso quanto giustificato malcontento, avrebbe spinto verso una risposta autoritaria, che si sarebbe affermata in modo subdolo, come affermazione di buoni e condivisibili sentimenti, la cui ostentazione altro scopo non aveva se non quello di demonizzare il dissenso, onde rendere digeribile alle anime belle la sua repressione più vile e fascista.

Queste scelte sono state fatte da persone più o meno consapevoli di essere rotelle di un ingranaggio, ma mi preme sottolineare una volta di più che la loro consapevolezza soggettiva non ci interessa, non è un tema politico. Quante volte all’inizio di questo nostro lungo percorso vi ho detto che la buona o cattiva fede di Prodi, cioè il fatto che lui capisse o meno che facendoci entrare nell’euro ci condannava alla povertà, non era poi così importante? Se una persona mi danneggia, a me non interessa che sia in buona o in cattiva fede. Se in una strada poco illuminata un passante, vedendomi giungere, si spaventa ed estrae un’arma perché "in buona fede" pensa che io voglio aggredirlo, il mio ultimo problema è aprire un processo alle mie o alle sue intenzioni. L'urgenza è scappare, o neutralizzarlo, non aprire un dibattito! Ma questo non lo capite, e quindi se fossi coerente con me stesso, e con la mia prima legge della termodidattica (ci sono cose che se potessero essere capite non dovrebbero essere spiegate) dovrei smettere di spiegarvelo: tutto il dibattito sul COVID dimostra che continuate ad impantanare temi politici nella categoria della soggettività, andando drammaticamente fuoristrada, o per meglio dire girando in tondo. Al netto però del fatto che non ci interessa la consapevolezza individuale di essere stati parte di un disegno complessivo il cui esito inevitabile era quella crisi di produttività cui ora assistiamo, resta il fatto che certe singole scelte sono state prese da singole persone che non possono oggi non ammettere di averle prese, o di non averle contestate. Il punto non è la consapevolezza. Il punto è la scelta. Una cosa o è stata fatta, o non è stata fatta, e se è stata fatta qualcuno l'ha fatta (non si è fatta da sola). Di questo qualcuno le intenzioni non ci interessano. Il nome sì (l'indirizzo no).

Il web, come dico sempre, adattando un detto romanesco, nasconde ma non ruba. Siamo riusciti perfino a ritrovare l’articolo del 2011 in cui spiegavo quanto sta accadendo oggi, cioè il fatto che la Germania rovina precipitosamente dopo aver segato il ramo su cui era seduta (ovvero la domanda interna del mercato unico), quindi nulla va perso! In un contesto simile, fa un po’ sorridere il ricorso da parte di tanti a narrazioni impersonali dell’accaduto, che dal punto di vista sintattico si traducono nell’uso di forme riflessive ("si chiudevano gli ospedali") o di plurali spersonalizzanti, nel loro astratto rinvio a una responsabilità collettiva, cioè a nessuna responsabilità ("abbiamo, ci siamo", ecc.). Questo rinvio intrinsecamente disonesto a un "noi" che non può esistere in un Paese dove chi oggi incita alla rivolta sociale ieri ha dichiarato una guerra di sterminio ai lavoratori, promuovendo attivamente politiche di austerità, suscita qualche riflessione. Vorrei svolgerle con voi percorrendo tre esempi, sine ira et studio, riferiti a tre persone molto diverse, una delle quali è certamente sottovalutata, un’altra delle quali è palesemente sopravvalutata, e una terza su cui non so esprimermi, perché non la conosco abbastanza.

Vado in ordine alfabetico e comincio dalla persona a mio avviso sottovalutata, perché è un ottimo economista e soprattutto perché intellettualmente onesto, o almeno così lo abbiamo conosciuto e così ci piace ricordarlo. Aggiungo che è anche un amico, e che auspico che le parole che dirò non sollevino alcuna polemica, perché non mi interessa polemizzare: mi interessa solo mettere in evidenza come, purtroppo, sia difficile per chiunque, anche per i migliori, percorrere nel modo giusto la strada sbagliata. Chi di voi si affaccia, sia pure sempre più sparsamente come faccio io, all’orlo della cloaca nera (che, ricordiamolo, non è gestita da uno di noi), avrà notato che una affermazione di Massimo D'Antoni articolata su un plurale deresponsabilizzante (ci siamo) ha suscitato un moto di comprensibile fastidio in tante persone:


Lo spunto di questa affermazione era un dibattito sulle sorti di tal Raimo (chi?), un tale che conosco solo per la sua insolenza. La mia personale posizione su questo tema, se interessa, oscilla fra due opposte determinazioni: da un lato mi sembra sempre tatticamente errato creare martiri con un materiale scadente. Dall’altro, però, siccome siamo in una guerra civile strisciante, una guerra civile che io non volevo, che io non ho dichiarato, dalla quale mi sono limitato a mettere in guardia i miei concittadini (a partire da voi), una guerra civile che tuttora combattiamo da posizioni di inferiorità, pur essendo maggioranza politica nel Paese, se un intellettuale (?) di sinistra cade vittima di quella psicopolizia che con tanta alacrità, con tanta lucida determinazione, se non lui, senz'altro la sua parte ha promosso, no es que me gusta, pero siento un fresco.

E così abbiamo risolto, e possiamo archiviare, il problema di Raimo (chi?).

(...per inciso: "chi?" è ovviamente l'acronimo di "ma dove cazzo erano questi eroi di cartapesta quando i loro partiti di riferimento massacravano i lavoratori col jobs act ecc."...)

Conservo un caro ricordo di un docente di un qualche diritto alla facoltà di economia di Pescara, quando ancora c’erano le facoltà, che in un dibattito relativamente appassionato sul tema della “Carta dei servizi“ dell'ateneo testualmente affermò: “La carta dei servizi per me è quella che si dovrebbe trovare al bagno“. La proliferazione di strumenti di soft law variamente etichettati come codici etici, come carte di questo o di quello, il diffondersi di queste capziose e infide codificazioni del bon-ton, non è una cosa che tutti abbiamo voluto: è una cosa che una specifica parte politica ha preteso, con il preciso scopo di irreggimentare prima, e di soffocare poi, il dibattito che gli esiti inevitabili di un conflitto di classe giocato in modo particolarmente sporco non poteva che determinare.

E non basta dire: “Io non lo volevo, io mi sono opposto, io non ero d’accordo". Intanto, questo blog ha avuto successo perché non c’è nemmeno un segno di interpunzione che io vi abbia consegnato senza citarvi le sue fonti e motivarne la necessità. Quindi, chi ha parlato, se ha parlato, dovrebbe provarlo. In secondo luogo, purtroppo, una opposizione deamicisiana, fatta in nome dei buoni sentimenti, alla dittatura dei buoni sentimenti, non è poi così convincente. Il minimo sindacale che ci si aspetta da una persona di sinistra è che evidenzi le precise dinamiche di classe che a suo tempo spinsero, e tuttora spingono, il comitato d’affari della borghesia internazionale, cioè il PD, a praticare estesamente politiche di repressione del dissenso. A me fa tanto piacere sapere che qualcuno non era d’accordo, e sono anche disposto a credergli sulla parola, perché voglio conservare buoni rapporti. Il fatto però è che quello che rende poco convincenti certe affermazioni è l’evidente mancanza di una comprensione profonda dei meccanismi che ci hanno spinto fin qui, o quantomeno la mancanza di una loro esplicita spiegazione. Andrebbe sempre ricordato che la risposta repressiva in termini di libertà di espressione è la diretta conseguenza di una risposta repressiva in termini di dinamica salariale. Se non lo si fa, il problema non è che "Bagnai gode solo a metà" .Bagnai è tribunale solo di se stesso, superiorem non recognoscens, ma non pretende giurisdizione sugli altri.

E anche qui, una parola di chiarezza vorrei dirla: quando evidenzio di aver detto molto per tempo certe cose (il famoso "teloavevodettismo"), credetemi, non lo faccio per esercizio di narcisismo, ma per esercizio di umiltà. Il tema non è che io sono stato fregno a vedere certe cose prima degli altri, ma è l'esatto opposto! Se uno passabilmente distratto, ingenuo, e disinteressato dalle dinamiche politiche, se perfino uno come me riusciva a vedere certe cose, allora è pressoché certo che molti altri le vedessero (e questo torna a conferma dell'inutilità di un dibattito sulla buona o cattiva fede). Il problema è che senza una chiara definizione delle dinamiche oggettive sottostanti non si può avanzare in una comprensione diffusa e condivisa dei fenomeni. Non basta dire "come ci siamo ridotti, signora mia!" La mancanza di questa comprensione diffusa e condivisa ovviamente non aiuta aiuta a risolvere i problemi.

Sul “si chiudevano gli ospedali“ di Delrio:


(che, per inciso, e quello di cui non so dirvi se sia sopra o sottovalutato), tanti si sono lungamente esilarati ed esercitati. Non mi sembra il caso di continuare a sparare sulle ambulanze, ma una sottolineatura voglio farla. Ma voi, al tempo in cui gli ospedali si chiudevano (da soli), vi ricordate di aver mai sentito in televisione una comunicazione così emotional, come quella che oggi ci viene propinata perché al Governo ci siamo noi, colpevoli di aver portato il rapporto spesa sanitaria/Pil dal 6,2% al quale voleva portarlo Draghi al 6,4% del Pil? Dov'era, dov'erano questi fini dicitori tutti zeppola e papere, questi attor giovini prestanti e prostituenti, e soprattutto questi autori televisivi tutti pervasi e perfusi di passione civile, quando, per dirne una, il punto nascita di Castel di Sangro veniva chiuso? Ecco, all’epoca mi ricordo che solo uno, a modo suo, stigmatizzò quella infausta decisione. Ed era un safe bet, un rigore a porta vuota, come direbbero gli Untermenschen della metafora calcistica, tant'è che seguì il QED, perché non poteva non succedere quello che poi successe:


nella totale apatia, atarassia, abulia, degli attor giovini e dei loro sagaci autori.

Allora, rovesciamo la prospettiva: il problema non è che quello lì, quello che aveva capito prima che cosa sarebbe successo dopo, era fregno (sì, lo è, lo conosco bene, ma non parliamone ora): il problema è che quelli che si svegliano ora sono feccia, e non per un problema di tempo, di calendario, ma per un problema di motivazione, perché è grottesca e ignobile la motivazione per cui solo ora, dopo aver accettato dalla loro parte politica misure che altro non saprei definire se non fasciste, si svegliano proprio quando si sta cercando di rimediare, in un contesto difficile che, peraltro è il contesto europeo che loro hanno voluto, che loro hanno creato, che loro hanno venerato, ai disastri cui furono del tutto indifferenti mentre venivano perpetrati.

Questo io non glielo perdono, ma naturalmente non vi precludo la possibilità di perdonarglielo, se ritenete di volerlo fare.

E arriviamo al sopravvalutato, ma prima consentitemi un paio di aneddoti.

Un bel giorno di qualche anno fa mi stavo recando per un qualche motivo agli uffici del gruppo Lega in Senato. Nell’androne del palazzo Beni Spagnoli incontro un notissimo manager italiano, di cui ovviamente non faccio il nome (tutti ne avrete immaginato uno: ecco, dimenticatelo: era di più!), e animato da quella cortesia che costituisce il mio primo moto spontaneo, nel senso che la applico a meno che non abbia motivi precisi per non applicarla, mi metto a sua disposizione dicendo: “Lei sta certamente andando dal segretario: se permette la accompagno”, tagliando così anche corto alle varie formalità di ingresso (il documento, il mica documento, il badge e via dicendo). Faccio strada verso gli ascensori, chiamo quello giusto (perché uno dei due non arrivava al piano di Matteo), e nel frattempo mi presento: “Buongiorno, sono Alberto Bagnai, responsabile economia della Lega". La figura eminente a sua volta accenna una presentazione, e io, in segno di deferenza, forse appena screziata da un soupçon di una non malevola ironia, immediatamente mi affretto a dire: “Dottore, lei non ha assolutamente bisogno di presentazioni". E fino a qui tutto bene: la cosa sorprendente (per me) arrivò dopo. Abbozzato un sorriso misuratamente compiaciuto, l’eminenza immediatamente riprese con una domanda: “Lei è quello che ha studiato alla Sapienza?" E io: “Sì, perché me lo chiede?" E lui: “Perché quando vado a trovare il presidente Draghi, lui mi ricorda ogni tanto che Matteo Salvini ha due consiglieri economici. Lui non è d’accordo con nessuno dei due, ma di uno dice che almeno ha studiato in una buona università, quella in cui ha studiato anche lui.” Ora, voi capite la mia sorpresa nel constatare che due persone di tale valore (e non mi riferisco solo a quello aziendale e politico, ma anche banalmente a quello finanziario), consentissero alla mia umile persona di oltrepassare il circolo così  prezioso ed esclusivo della loro appercezione. O io ero più importante di quanto ritenessi di essere, o loro lo erano di meno (ma questo non potevo certo crederlo)! Di aneddoto ne avrei anche un altro, quello di quando andando a trovare un altro personaggio ugualmente eminente, se pure per diversi motivi, questi mi disse: "Lo sai? È venuto a chiedermi se io potessi fare qualcosa per farti stare zitto." Mi dissi che evidentemente il problema non è solo quello che si dice ma soprattutto come lo si dice, e che chi non si presta a essere derubricato a personaggio di un’avanguardia folcloristica naturalmente dà più fastidio di chi invece è suscettibile di essere sminuito con attacchi ad personam, perché non è in grado di sostanziare con una base scientifica solida quanto sostiene.

Fine degli aneddoti.

Il discorso di La Hulpe, che grazie a L'anticonformista troviamo qui, è stato un chiaro passo falso, tant'è che ci si è affrettati a rimuoverne in fretta e furia le tracce: nothing to hear here! Non mi pare però che ci siamo interrogati approfonditamente sul perché questo passo falso sia stato commesso. Ammettere che la costruzione europea si fonda sulla deflazione salariale, cioè ammettere quello che è scritto nei buoni manuali compilati da quelli che furono suoi compagni di studi, e miei maestri, in quella buona università, è stato evidentemente un gigantesco errore da parte del sopravvalutato. Ma perché lo ha compiuto? L’idea che mi sono fatto è che si sia fatto buggerare dal narcisismo. Come stiano effettivamente le cose, quali siano le dinamiche che il ragionamento scientifico riconosce come operanti, in fondo, una persona che aspira al ruolo di economista non può non riconoscerlo. E così, capita che si dicano verità, anche scomode, per il semplice piacere, o per la controproducente vanagloria, di far sapere che le si conosce. E in effetti, devo dirvi che la parte più dolorosa dell’esercizio della vita politica pratica è questo esercizio di self restraint che ti induce a non esprimerti quando tatticamente è inopportuno farlo, abdicando alla vanità di far sapere che tu sai. A questa vanità l'amico sopravvalutato non ha voluto rinunciare, ma nell'enunciare la verità (nell'euro non ci può essere difesa dei salari) l’amico ha cercato di mitigarla. E quindi il discorso è tutto un "abbiamo", "ci siamo", e via discorrendo:

Ma non funziona così!

Chi ha messo in campo le politiche di deflazione salariale competitiva?

Chi le ha esplicitamente teorizzate e imposte con i consueti strumenti di soft law (la famosa lettera della BCE)?

Non si tratta certo di un’entità impersonale e astratta! È la stessa persona che ingegnerizzando una svalutazione competitiva dell’euro rispetto al dollaro è riuscito a far girare vorticosamente i coglioni agli americani che hanno risposto come sapete (Dieselgate, gasdotti, eccetera). Insomma, anche qui vedete che siamo nel solito ambito: quello della autoderesponsabilizzazione.

E la cosa che, se fossi ancora di sinistra, mi imbarazzerebbe di più, detto fra noi, è proprio che il tema della corretta attribuzione delle responsabilità politiche di certi gesti o di certe parole è un tema intrinsecamente di sinistra. Guardate come lo poneva qualche anno fa uno dei tanti padri ignobili (perché ha assistito muto al sacro macello dei lavoratori italiani) della sinistra in uno dei suoi pezzi di bravura:


Ecco: a Massimo suggerirei di morettizzarsi un po’. Gli farebbe bene. Del resto, con tutto il male che se ne può pensare e che personalmente ne penso, Moretti, quel Moretti lì, perché quell’altro non ho ancora capito esattamente che terra lo reggesse, è di fatto l’unico ad aver detto le uniche due cose di sinistra dell’ultimo cinquantennio, cioè, in sintesi: che sui temi dovrebbe esprimersi chi li conosce (fatto salvo il diritto degli altri a esprimere le proprie opinioni), e (vedi sopra) che andrebbero evitate chiamate in correità da parte dei perdenti della storia, soprattutto quando è noto ed evidente che all’epoca vi erano state risalenti e documentate posizioni di dissenso, posizioni dileggiate, vilipese, schiacciate, travolte dai lazzi, dalle contumelie, e dall’accusa infamante di contiguità con un mitologico fascismo, la cui invocazione è ormai diventata, è inutile che ve lo dica, il primo e ultimo rifugio delle canaglie.

È appena il caso di sottolineare, per chiudere in epanalessi questo pezzo che ho dettato alla mia protesi  tecnologica, aggirandomi per le nebbie degli altopiani maggiori d’Abruzzo, che in tutti questi casi c’era, c’è stata, responsabilità, perché in tutti questi casi c’era un’alternativa. Anzi, aggiungerei che almeno nella materia che più direttamente mi competeva, cioè quella economica, di alternative ce ne erano più di una.

C’era un’alternativa all'austerità, alla deflazione salariale competitiva, alla svalutazione interna?

Certo che c’era! Era ovviamente la svalutazione esterna, cioè lo smantellamento della moneta unica, ma sappiamo tutti che questa era ed è un’alternativa traumatica e ingestibile, che nessun tipo di processo politico potrà riuscire a maneggiare (il che non significa che non possa essere chiamato a subirla). C’erano però alternative meno traumatiche richieste da illustri economisti, come ad esempio mettere in campo un vero coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri. Il famoso discorso del convincere la Germania a spendere di più, anziché continuare a esercitare la propria volontà di potenza con una politica di bassi investimenti ed alte esportazioni. Questo Stiglitz, che a mio sommesso avviso resta comunque un altro sopravvalutato, lo aveva almeno chiesto. Il sopravvalutato nostrano non mi sembra che si sia mai espresso se non nel senso di incitare a reprimere la domanda del paese che gli ha dato i natali e che lo ha fatto studiare in una buona università. Suoi appelli, che sarebbero stati autorevoli, a un maggiore coordinamento delle politiche economiche intrazona, non me ne ricordo, ma potrei sbagliarmi e vi dirò che sarei lieto di sbagliarmi in questo, come in tutti i casi in cui non mi sono sbagliato.

E nel caso delle politiche di (sempre meno) strisciante repressione del dissenso l’alternativa c’era?

Sì, certo che c’era! Innanzitutto bisognava denunciarle, e denunciarle funditus, mettendo in guardia la sinistra dal fatto che siccome nel lungo periodo le politiche di destra avvantaggiano solo la destra, alla fine, per forza di cose, sarebbe andata su la destra, e quindi ogni gesto, ogni provvedimento che si prendeva per corrodere le fondamenta dei più elementari baluardi della libertà di espressione, ogni pretermissione di quello spirito critico che avrebbe dovuto suggerire ai media una maggiore correttezza nel riportare i fatti, si sarebbe fatalmente ritorta contro la sinistra. Ma questa operazione ricordo che solo una persona la fece, senza molto successo. Uno dei motivi per i quali non mi impietosisco particolarmente sul caso del novello Giordano Bruno, Raimo (chi?), e che in fondo anche lui è vittima di se stesso. Sì, l’alternativa c’era, ed era, come spesso nella vita, pensarci prima, pensarci prima che toccasse a te. Era cioè una delle tre virtù teologali, la più incompresa e misconosciuta: la carità. Ed è tanto sorprendente quanto desolante il constatare come i cattocomunisti siano così a disagio con categorie che dovrebbero essere fondanti per il loro pensiero.

Ma forse è meglio così: visto che ci hanno dichiarato guerra, e visto che il loro nome è legione, sfruttiamo la loro ignoranza, che è la nostra forza, per sconfiggerli.

E così sia.

(...questo pensavo mentre scendevo dalla Polledrara, e questo ho voluto condividere con voi. Non mi considero particolarmente coraggioso né particolarmente acuto per aver fatto quello che ho fatto. Certo, l'ho fatto solo io, e questo qualcosa significa. Significa, fra l'altro, che non mi sento di giudicare chi non lo ha fatto. Ma non prendiamoci in giro: Massimo, come Graziano, come Mariou, non possono nascondersi dietro un "noi" che non c'è, per il semplice fatto, appunto, che quel noi non c'è, e non c'è perché non l'hanno voluto loro...)