giovedì 19 dicembre 2024

L’esegesi di Draghi, parte prima

Ed è finalmente apparso il testo di LVI, sul quale credo che dovremo soffermarci a più riprese.

Oggi è stata una giornata molto lunga, perché alla Camera, a differenza di quanto accade al Senato, per non so quale motivo che approfondirò nel mio testo di antropologia parlamentare comparata, non è possibile scegliere la fascia oraria in cui si preferisce intervenire, né tantomeno saperla prima di aver varcato la soglia dell’AVLA. Quando ieri la capogruppo in commissione bilancio Silvana Comaroli mi ha chiesto se volessi intervenire in discussione generale ho  accettato immediatamente, non per presenzialismo ma per liberare le colleghe e i colleghi della commissione, che si erano tanto spesi nelle notti precedenti, da un impegno ulteriore. Ciò comportava essere lì alle 8:00, Ma questo non è un problema, perché, come sapete, io mi sveglio presto. Per qualche disguido organizzativo però, il governo non era presente in aula e senza governo (cioè senza un sottosegretario - di solito - o un ministro - nelle occasioni particolari) i lavori parlamentari non possono svolgersi. Mettici l’attesa del sottosegretario, mettici le giuste rimostranze dell’opposizione sull’ordine dei lavori (sull’ordine dei lavori può intervenire un rappresentante per gruppo, e quindi: misto, PD, 5 Stelle, Italia Viva, e un altro), Mettici lo svolgimento della relazione, che la relatrice di maggioranza ha semplicemente depositato per tagliare corto, io, che alle 7:55 avevo appreso che avrei parlato intorno alle 9:30, mi sono ritrovato a parlare alle 10:57. Poi c’è stato un giro di auguri di Natale, poi c’è stato un giro di disbrigo di corrispondenza, poi c’è stato un giro di sindaci del territorio (a uno il vento ha scoperchiato una chiesa, e non è una cosa bella; ad altri l’ANAS riprenderà in carico una provinciale che li collega e che la provincia, grazie alla riforma Delrio, non riesce a tenere in ordine, e questa invece è una cosa positiva, non tanto la centralizzazione, quanto il fatto che di una strada che una volta era statale e poi è stata declassata a provinciale, torni ad occuparsi lo Stato che ha un po’ più di risorse della provincia), poi sono passate a visitarmi delle persone, poi mi hanno telefonato altre persone, insomma: la sintesi è che ho dimenticato il pc in ufficio e quindi vi sto scrivendo dal telefonino per cui la faccio molto corta, nel mio perenne scrupolo di essere severo, sì, ma giusto.

L’agenzia che ho citato nel post precedente, infatti, riportava il pensiero del nostro omettendo una parte potenzialmente rilevante, che vorrei utilizzare a suo discarico. Il virgolettato giornalistico (perifrasi per: menzogna) era, lo ricorderete: “tutti i governi disponevano di uno spazio fiscale per contrastare la debolezza della domanda interna, ma almeno fino alla fine della pandemia, hanno preferito non utilizzare questo spazio“. 

Messa così suona veramente assurda, perché, come abbiamo imparato, al punto di intestargli una associazione scientifica che qualcosa ha prodotto, la situazione europea è caratterizzata da asimmetrie rilevanti, per cui suona strano di per sé che tutti i governi possano trovarsi nella stessa posizione. Il testo, in realtà, comincia un rigo sopra. Il virgolettato è tradotto bene, insomma, ma ne manca il primo pezzo, che provo a tradurvi io: “e squilibri commerciali globali molto grandi producevano una pressione al ribasso sui tassi di interesse reali che faceva sì che tutti i governi, ecc.”.

Ora, se dovessi dirvi, io così, a mente, il nesso fra squilibri commerciali (di quale segno?) e pressione al ribasso sui tassi di interesse non riesco a spiegarmelo. Se ci rifacciamo al modello che abbiamo spesso considerato, quello del ciclo di Frenkel, il paese importatore è tale anche perché in esso l’inflazione è più alta, il che determina:

1. uno svantaggio di prezzo dei suoi beni rispetto a quelli dei concorrenti (un apprezzamento del cambio reale);

2. Un tasso di interesse nominale più alto, che ha il duplice scopo di cercare di raffreddare l’inflazione da un lato, e dall’altro di attirare i capitali esteri necessari per finanziare il saldo negativo della bilancia dei pagamenti.

Possiamo immaginare che un discorso uguale e contrario valga per il paese esportatore, che intanto riesce ad esserlo in quanto controlla i prezzi, controllando i salari (e questo pezzo del ragionamento Draghi non riesce più a nasconderlo e lo svolge molto bene), il che gli consente di tenere bassi i tassi di interesse e quindi, in ipotesi, di creare spazio fiscale, cioè, spazio di manovra per la politica di bilancio (posto che questo spazio non si crea solo con bassi tassi di interesse, ma anche con alti tassi di crescita).

Insomma: nella versione abbreviata il discorso di Draghi non gira ed ha anzi il sapore acre di una atroce beffa a chi ha subito un danno superiore a quello di un conflitto mondiale. Nella versione estesa, però, non è che giri molto meglio. A mio sommesso avviso, ma può darsi che mi sbagli, girerebbe meglio se fosse scritto così: “surplus molto grandi di bilancia dei pagamenti producevano in alcuni Stati una pressione al ribasso sui tassi di interesse reale, che creava uno spazio fiscale per contrastare la debolezza della domanda, ma almeno fino alla pandemia in Europa gli Stati in surplus hanno fatto la scelta deliberata di non utilizzare questo spazio”.

Così il discorso fila, e diventa quello a noi ben noto del partigiano Joe, ma anche di quello che, all’inizio del Blog, chiamavamo affettuosamente l’hidalgo de la Sierra, e che il senatore Garavaglia all’epoca chiamava il “ragioniere Monti”. Un discorso meno beffardo (perché accusare l’Italia di non aver speso da parte di chi gli aveva proibito di spendere sarebbe oggettivamente un’atroce beffa), ma non meno fallace sotto almeno due ordini di considerazioni.

Intanto, la storia che abbiamo sentito più volte, anche dall’Hidalgo, secondo cui la Germania avrebbe dovuto, dovrebbe, dovrà, spendere di più per sostenere la crescita europea, è abbastanza futile sotto il profilo politico, rientrando in quella categoria di fallacie logiche che in questo blog abbiamo definito pinball theorem (il teorema del flipper: se mio nonno avesse cinque palle sarebbe un flipper). L’Hidalgo, se ricordate, la enuncia nel famoso video sulla distruzione della domanda interna. Dice, l’Hidalgo: “Abbiamo distrutto domanda interna per ristabilire la competitività e quindi ci dovrà essere un rilancio della domanda europea”. Ora, esistono 200 casi di poliorchia attestati in letteratura, ma non si va oltre le quattro palle. Mi affretto ad aggiungere che non è solo per questo, e non è neanche principalmente per questo, che un nonno non è un flipper. Di converso, sappiamo che esistono molti tedeschi generosi: lo sono, ad esempio, quelli che generosamente finanziano le navi delle ONG al nobile scopo di destabilizzare politicamente il nostro paese. Tuttavia, desumere da questo che la Germania possa avere una fiscal stance generosa sarebbe da ingenui, per restare in argomento. Di ingenui ne conosciamo almeno due: uno è il partigiano Joe, e l’altro è l’Hidalgo. Se ci dovessimo aggiungere anche Draghi, sarebbe poliorchia. Una posizione fiscale austera serve al capitalismo tedesco a regolare i conti coi propri lavoratori, e quindi difficilmente la prenderà indipendentemente dal fatto che al governo ci siano socialisti, democristiani, verdi, gialli, neri, rossi o blu. Semplicemente, i loro rapporti sociali di produzione funzionano in quel modo lì, da secoli, e chi tentasse di contrastare una tendenza simile manderebbe il sistema in una contraddizione tale da restare stritolato (e fra un po’ avrete conferma di quello che vi sto dicendo).

Supponiamo, però, che il ragionamento di Draghi sia effettivamente questo, che lui abbia voluto fare quello che in realtà non ha fatto, cioè rimproverare alla Germania quello che praticamente tutti gli altri le hanno rimproverato, cioè di essere la causa della crisi europea, il tumore del nostro sistema economico e politico. Se fosse così, il suo pensiero odierno non andrebbe in contraddizione con la sua lettera del 2011, perché andrebbe letto nel senso che l’Italia, essendo un paese in deficit estero, spazio fiscale non ne aveva, e quindi non doveva usarne. Ma questo aprirebbe a due altre considerazioni. Intanto, si chiarirebbe una volta per tutte che la misura dello spazio fiscale non è il deficit pubblico ma quello estero: posso spendere, e quindi spingere sulla crescita, finché non vado in deficit di bilancia dei pagamenti. Significherebbe cioè dare ragione a chi proponeva, nei lontani anni 10 di questo secolo, un external compact come cardine della politica di bilancio degli Stati membri. Cioè, a me. Qualcosa (compresi gli sguardi a 0 K) mi dice che non fosse questa la principale motivazione dello scritto del presidente Draghi. 

Di converso, però, sappiamo che il ragionamento secondo cui chi è in deficit deve tirare i remi in barca, vale solo in determinate circostanze. Siccome, con buona pace degli economisti della troika, il moltiplicatore keynesiano esiste, l’idea di tirare i remi in barca quando si è in deficit estero funziona solo finché il rapporto debito/Pil è inferiore a uno. Se il rapporto debito/Pil è una frazione impropria, invece, questa idea è sbagliata, come io vi dissi nel 2012 in un post che vale sempre la pena di rileggere e far leggere, e che ha ricevuto dal Fondo monetario internazionale una autorevole conferma (di cui 11 anni dopo non ci facciamo un cazzo di niente): i riferimenti estesi li trovate in questo post sugli spingitori di austerità.

Insomma, tiriamo le somme che domani è un’altra giornata lunga: o non capisco io, e ci può stare, perché la bibliometria non è una scienza esatta, oppure il discorso che Draghi conduce è spiacevolmente reticente e ambiguo. Lo spazio fiscale ce l’avevano tutti gli Stati (ma allora perché hai fatto quel cazziatone a noi?) o solo quelli in surplus? E se l’interpretazione è quest’ultima, siamo sicuri che gli Stati in deficit non avessero spazio per fare politiche espansive, visto che impedirgli di farle ha portato il loro debito a crescere, nel nostro caso dal 120% al 135% del Pil?

Insomma, come la metti la metti, in questo discorso c’è sempre qualcosa che non torna, e solo due cose sono assolutamente nitide ed evidenti: la prima è che tutte queste seghe mentali argomentazioni sono solo un gigantesco spot pubblicitario per la CMU. La seconda è che da quest’ultima dovremmo stare ben distanti in base al principio timeo Danaos et dona ferentes. Niente di personale, naturalmente, ma se chi ci dice di mettere nella cassa comune i nostri risparmi è la stessa persona che ci dice che seguendo i suoi consigli abbiamo determinato una massiccia fuga di capitale all’estero, se chi ci chiede di mobilitare la nostra liquidità oziosa è la stessa persona che quando ci diceva di tirare i remi in barca, sbagliava, che ne fosse consapevole o meno, allora forse è meglio che i nostri risparmi ce li teniamo per noi e la nostra liquidità la mobilitiamo se ci va e quando ci va e agli scopi che decidiamo noi.

E, ancora una volta, se sbaglio certamente mi correggerete. Ma, come vi dicevo, su questa seconda parte dovremmo intrattenerci un po’ più.

Per questa sera è tutto, ci vediamo domattina a Coffee Break.


3 commenti:

  1. Il discorso sul legame tra gli squilibri esterni e il livello dei tassi di interesse mi fa venire in mente il tema del cosiddetto global savings glut (eccesso di risparmio globale), introdotto anni fa nel descrivere i rapporti tra Stati Uniti e Cina (ma anche altri Paesi emergenti) (ricordo uno speech del 2005 di Bernanke, l'allora governatore della Fed).
    In pratica, sperando di non dire inesattezze o sciocchezze (la invito a correggermi nel caso), l'idea era che il forte disavanzo delle partite correnti degli Stati Uniti era compensato dal forte afflusso di capitali esteri da quegli stessi Paesi rispetto ai quali gli Stati Uniti erano in deficit, il quale finiva per tenere i tassi di interesse bassi per via della forte domanda di attività finanziarie statunitensi (oltretutto questo ragionamento vale probabilmente anche per i Paesi europei per descrivere il calo dei tassi reali da circa la metà degli anni '90 in poi).
    Nel caso dell'eurozona però la situazione sembra un po' diversa se la si guarda negli anni post crisi finanziaria globale. Cioè, il Paese che ha beneficiato di tassi di interesse reali molto bassi è stato il Paese in surplus, ossia la Germania (ma anche i Paesi Bassi), che ha beneficiato di afflussi di capitale negli anni post-crisi (la famosa divaricazione dei saldi Target2 dovrebbe riflettere, almeno in parte, anche questo fenomeno), mentre gli altri Paesi, quelli della cosiddetta periferia, hanno avuto tassi reali più alti.
    In questo modo si andrebbe a cadere sull'interpretazione che ha suggerito anche lei delle parole di Draghi, ossia che quest'ultimo intendesse dire che la Germania doveva fare politiche fiscali maggiormente espansive sfruttando questa condizione favorevole in termini di tassi di interesse e quindi di costo dell'indebitamento pubblico.

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    1. Dell’ipotesi del global savings glut ci siamo ovviamente occupati a suo tempo, perché era centrale nel ragionamento sugli squilibri finanziari globali, che erano il mio tema di ricerca centrale prima di soffermarmi sulla disastrosa situazione europea. Un esempio è qui:

      https://goofynomics.blogspot.com/2012/07/cesena-goofy-e-qui-quo-e-qua.html

      (Metto il link “passivo” perché non sono più tanto sicuro di come funzionino i link attivi e non ho tempo di ripostare il commento in caso qualcosa vada storto). Il ragionamento sottostante era che in fondo anche se gli Stati Uniti avevano un deficit estero monumentale, stava andando tutto bene, perché quel deficit segnalava un afflusso di capitali dal resto del mondo. C’è però una differenza sostanziale, anche nel caso in cui volessimo trascurare le asimmetrie regionali, fra Europa e Stati Uniti. Il savings glut si riversava negli Stati Uniti, perché questi emettono la valuta che è il principale strumento di liquidità internazionale e sono un paese sostanzialmente privo di rischio politico. Come ho sempre fatto notare, invece, la situazione dell’euro è totalmente diversa. La previsione fatta nel Tramonto dell’euro che l’euro non avrebbe soppiantato, e nemmeno scalfito, il ruolo del dollaro negli scambi internazionali si è sostanzialmente verificata e dopo la weaponization del dollaro a seguito della crisi ucraina le cose sono andate ancora peggio, perché è apparso chiaro agli investitori dei paesi emergenti, quelli dove si forma l’eccesso di risparmio, che l’euro non consente di diversificare il rischio politico rispetto agli Stati Uniti (banalmente se ti bloccano il conto negli Stati Uniti te lo bloccano simultaneamente, o magari un po’ prima, anche in Europa). Quindi, non capisco proprio le parole del presidente Draghi.

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    2. Intendo dire, per maggior chiarezza, che il tuo riferimento è del tutto pertinente, e che probabilmente dietro la retorica di Draghi ci sono reminiscenze di quell’argomento, che aveva un fondamento e delle funzioni politiche del tutto in conferenti con la situazione in cui ci troviamo in questo momento.

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