Continuo a ricevere graditi segni di apprezzamento per l’intervento che ho svolto ieri a Rapallo e che trovate nel post precedente. Qualcuno ha anche chiesto che vengano pubblicate le slide e lo farò senz’altro, ma prima vorrei evidenziare rapidamente qui due cose che non sono nelle slide, ma che ho detto e sulle quali secondo me è importante fissare l’attenzione.
Un falso trade-off
La prima cosa sulla quale vorrei farvi riflettere è una evidente limitaziine della teoria economica standard, secondo la quale gli investimenti pubblici sono in qualche modo alternativi rispetto agli investimenti privati, nel senso che, per usare il linguaggio degli economisti, li “spazzerebbero” (il termine inglese utilizzato è: crowding out). Questa visione deriva dall’idea molto stilizzata secondo cui l’unica determinante del volume degli investimenti è il tasso di interesse. Se le cose stessero così, allora avrebbe un senso pensare che qualora lo Stato effettui investimenti finanziandoli in deficit, cioè con emissioni di debito pubblico, e ipotizzando che queste emissioni facciano innalzare il tasso di interesse, allora l’investimento pubblico determinerebbe una contrazione di quello privato attraverso il canale del tasso di interesse. In realtà, come ho cercato di spiegare ieri (ma non solo ieri) fra le determinanti complessive della redditività di un investimento ci sono anche le condizioni complessive della domanda aggregata e lo stato delle infrastrutture. Nessuno investe per portare al mercato con una strada che non c’è un bene che nessuno domanda. Voi (ad eccezione di Corrado) lo fareste? Io no, ma io non faccio testo: il problema è che non lo fa nessuno. Bisognerebbe quindi parlare di crowding in (non out) dell’investimento privato da parte di quello pubblico. Se lo si facesse, si capirebbe anche perché in un periodo in cui i tassi di interesse sono stati tenuti molto bassi, l’investimento privato in effetti non è esploso. Il motivo è semplice: perché in contemporanea sono stati tagliati gli investimenti pubblici, deteriorando lo stato della domanda aggregata complessiva e lasciando andare in malora le infrastrutture. La teoria economica corretta è quella che meglio si adatta ai dati: quello che vi ho detto spiega perché può succedere che l’acqua ci sia, ma il cavallo non beva.
Un vero trade-off
Un’altra cosa che non vorrei passasse inosservata nelle pieghe del discorso è riferita a una effettiva difficoltà alla quale un livello elevato di debito pubblico può esporre. Questo sfugge ancora a molti, ma è importante che noi, che preferiamo anticipare gli eventi (umilmente consapevoli del fatto che comunque non siamo in grado di influire più di tanto su di essi), ci mettiamo la testa. Livelli elevati di debito pubblico determinano un trade-off fra stabilità macroeconomica (intesa come controllo dell’inflazione) e stabilità finanziaria. Il motivo è molto semplice: dato che l’inflazione dipende dalla legge della domanda e dell’offerta, e che, conseguentemente, l’unico strumento che una banca centrale ha per controllarla è abbattere la domanda innalzando i tassi di interesse, quando le posizioni debitorie sono molto elevate c’è il rischio che un innalzamento dei tassi di interesse motivato dal desiderio di contrastare l’inflazione renda troppo oneroso rifinanziare le posizioni debitorie in essere. Detto in un altro modo, e pensando al debito pubblico, quando agli inizi degli anni ‘80 Paul Volcker avviò la sua politica di tassi di interesse elevati per combattere l’inflazione, il livello medio di debito pubblico nei paesi avanzati si situava attorno al 40%, e l’innalzamento dei tassi reali di circa quattro-sei punti avviò in molti paesi una spirale per cui ci si indebitava per pagare gli interessi sul debito. Ora il debito medio è oltre il doppio, cioè oltre l’80%, e quindi anche innalzamenti più contenuti dei tassi di interesse potrebbero farci entrare in una spirale simile, che potrebbe mandare fuori controllo le esposizioni debitorie pubbliche, ma soprattutto private. Per questo motivo sarebbe importante che queste venissero in qualche modo diluite, spingendo sulla crescita nominale, cioè sulla crescita reale e sull’inflazione.
Ecco: queste due cose nelle slide non c’erano, ma erano forse le due cose più importanti che avevo da dire ieri. Spero vi abbiano aperto delle prospettive utili.