L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
Nel liber scriptus in quo totum continetur ne abbiamo già parlato, come qualcuno ricorderà. Parlato di cosa? Ma di Marcinelle, appunto. Domani parteciperò a una commemorazione di quell'evento, uno dei tanti fatti tragici dell'Abruzzo di cui una certa parte politica si è appropriata a dispetto dell'evidenza storica. Lo stesso racconto del Protocollo italo-belga che viene fatto dal più subdolo organo di piddopropaganda non riesce a dar conto in modo completamente coerente delle motivazioni sottostanti al disastro. Se era vero che gli italiani venivano chiamati per fare "i lavori che i belgi non volevano più fare", come mai su 262 vittime il 36% era belga? La verità è che gli italiani venivano chiamati per fare i lavori che i belgi non potevano più fare perché già occupati altrove. L'accordo "minatori-carbone" era un accordo fra un Paese con disoccupazione all'8,8% (l'Italia) e un Paese con disoccupazione all'1,2% (il Belgio). Esattamente come in Italia non c'era lavoro per le persone che emigravano, e non c'era lavoro perché mancavano i capitali (quei capitali che poi sarebbero stati ricostituiti in parte anche con le rimesse degli emigrati), in Belgio non c'erano persone per sostenere lo sforzo produttivo che il Paese stava affrontando.
Nella direzione di questi flussi c'era quindi una logica economica e geopolitica: il lavoro andava dove occorreva, e ci andava per rinsaldare rapporti che il conflitto aveva compromesso, e per contribuire con risorse finanziarie e materie prime alla ripresa del nostro Paese.
Non credo che oggi si possa dire la stessa cosa dei flussi che riguardano il nostro Paese, ma di questo abbiamo già parlato in tante occasioni. Intanto, vi segnalo che fra tre giorni partiranno le prenotazioni per il #goofy: si torna all'antico, alla notte di San Lorenzo. Anche quest'anno impareremo e ci divertiremo. Anticipazioni non ne do: sono pur sempre il deputato del collegio dove riposa quello che si sentì dire:
QVIA VIDISTI ME THOMA CREDIDISTI BEATI QVI NON VIDERVNT ET CREDIDERVNT!
Non sarò certo io a frustrare la vostra aspirazione alla beatitudine!
Premesso che chi si è esibito in performance simili:
forse farebbe meglio a lasciar passare qualche secolo in dignitoso silenzio, nella speranza di farsi dimenticare, ma riconosciuto altresì che un minimo di imbonimento da fiera paesana è comunque connaturato alla rappresentazione degli interessi ed è da considerarsi fisiologico, voglio fare ammenda su una mia valutazione errata riportata in questo post. Il delitto mio non è, direbbe Leporello, ma è dei soliti noti, dei nemici della democrazia, degli operatori informativi. Sono loro ad aver titolato:
e questo mi ha indotto a pensare che al CSC avessero seri problemi col concetto di elasticità al prezzo (che con ordini di grandezza simili sarebbe stata del 200%: una cosa mai vista in natura, come spiegavo appunto nel post sull'impatto dei dazi).
In realtà, la valutazione del modello CSC (pubblicato dove?) è coerente con quella del modello di Bagnai et al. (2017) (pubblicato su Economic Modelling), perché, come spiegato da una civile & resiliente esponente della nota associazione di categoria nel corso di questo pacato & costruttivo dibattito:
l'impatto di 23 miliardi è calcolato tenendo conto anche della rivalutazione nominale dell'euro, stimata al 15%, e quindi è riferito a un incremento complessivo del 30% sul tasso di cambio reale. A incremento doppio, impatto doppio, e pari elasticità (sempre intorno a 1).
Tuttavia qualcosa mi lascia supporre che questi impatti siano sempre sovrastimati, e pesantemente, e se volete vi spiego subito perché. Il fatto è che i tassi di cambio reali (che sono il prezzo relativo dei beni nazionali rispetto a quelli esteri) sono costruiti con riferimento a due classi di indicatori: o gli indici dei prezzi al consumo, o il costo del lavoro per unità di prodotto. Lo vedete ad esempio qui, nel database dell'Eurostat, che vi consente appunto di scegliere l'indicatore che preferite:
Non entro ora nella ratio di questa scelta, cioè nel perché si usi l'uno o l'altro indicatore e su quale sia preferibile per quale analisi (a richiesta ve lo spiego). Voglio solo far notare che quello che riusciamo a misurare econometricamente è la reazione dei volumi venduti alla variazione del prezzo finale, quello al consumo. Ora, il fatto è che, come sa chiunque abbia un minimo di cervello, il famoso 15% non si applica allo scaffale, ma in dogana. Per capirci, con qualche approssimazione: non si applica al prezzo al dettaglio (che è quello che confluisce nella valutazione del tasso di cambio reale e quindi nella stima dell'elasticità di prezzo), ma al prezzo all'ingrosso, con riflessi proporzionalmente inferiori sul prezzo al dettaglio.
Credo capiate dove voglio arrivare, anche perché è sempre la stessa storia. Quelli che oggi dicono che all'aumento dei dazi del 15% conseguirà un apprezzamento del cambio reale del 15% sono della stessa pasta marrone (che non è cacao) di quelli che dicevano che a un deprezzamento reale del 20% sarebbe conseguita un'inflazione del 20% (ne abbiamo parlato qui, come ricorderete, analizzando le leggende metropolitane bipartisan - perché il non cacao è assolutamente trasversale, c'è in versione socialisteggiante e c'è in versione #verolibberale...). Ci vuole più di un neurone per capire che l'attività economica è fatta di tanti snodi, e che fra ognuno di questi c'è un pass-through: esattamente come un deprezzamento di x% non comporta una inflazione del x%, e esattamente per gli stessi motivi (perché il pricing in regimi oligopolistici o imperfettamente concorrenziali si basa sull'applicazione di mark-up sui costi, mark-up che possono essere ridotti per assorbire shock di prezzo allo scopo di mantenere quote di mercato), un dazio di x% non comporta un aumento del prezzo finale di x% e quindi un apprezzamento del cambio reale misurato sul prezzo finale di x%.
Morale della favola?
Dopo tanto stracciavestismo e espertonismo un tanto al mazzo (di cui fra un po' avrete un esempio all'Aria che tira) non è escluso che, come già accadde nel primo mandato Trump, e prese tutte le debite cautele rispetto al fatto che qui si parla di un dazio generalizzato e comunque il clima internazionale è improntato a una maggiore conflittualità, alla fine le esportazioni italiane verso gli Usa possano in realtà crescere, se l'effetto reddito (maggiore crescita negli Usa) prevarrà sull'effetto prezzo (minore competitività del prodotto europeo), tanto più che il prodotto italiano è solo italiano, e quindi in re ipsa difficilmente sostituibile.
Quindi calma!
Il vero problema è un altro: il fallimento industriale europeo del green deal, e il nostro fallimento politico nel realizzare quella che è e resta una nostra legittima ambizione: essere arbitri del nostro destino sganciandoci da chi regolarmente ci porta a combattere battaglie in guerre che non sono la nostra guerra. Sì, finora non siamo riusciti a renderci indipendenti, ma qualche passo lo abbiamo fatto (vedi riforma MES) e continuiamo a spingere in quella direzione. Ci vediamo fra un po' in TV con chi lo desidera...
Sono arrivato. Domattina collegamento a l'Aria che tira, non in Zoom ma con lo "zainetto" (mandano una troupe, il che mi consacrerà definitivamente come personaggio qui in paese). Dopo pranzo riunione col coordinatore provinciale. Dopodomani (ma in realtà ormai domani, cioè venerdì) sveglia prestissimo, perché bisogna essere dalla parte opposta della gigantesca montagna, a Manoppello, all'ora in cui qualcosa andò storto a Marcinelle. Poi gommista, poi due incontri coi militanti, poi si torna in quota. Dopodomani (cioè sabato) per ora è previsto solo un concerto d'organo a Carunchio, ma andrò almeno un'oretta prima per fare due chiacchiere col sindaco, e poi non so se tornare al nido del falco, o proseguire verso un non luogo che non esiste.
Non che siano proprio vacanze, ma almeno ci sono dodici gradi.
Il primo giorno libero è domenica, ma è il giorno libero di tutti, e quindi dovrò scegliere bene la montagna in cui andare da solo (e un'idea ce l'ho, ma... non la dico, per restare solo!).
Il problema più serio, quello del collegamento Internet, alla fine mi sembra risolto. Ora, per tre settimane, guarderò il mondo da questo oblò:
(sì, quello che vedete è Roio del Sangro, a sud della linea Gustav).
Se non esagererò coi grafici riuscirò anche a restare in contatto con voi. Di cose da dire ne avrei, e magari cominciamo domani, dopo la riunione di coordinamento, a meno che lo spirto guerrier ch'entro mi rugge non mi spinga verso il bosco o verso l'alto, in cerca di altri animali asociali.
Intanto, buona notte! Domani si parlerà di dazi. La cronaca ha più fantasia dei cronachisti, ma essere in squadra significa anche cercare di rendere divertenti delle cose noiose. Il gap che separa chi è qui da chi guarda la TV è incolmabile, temo, e sinceramente fra divertire voi e tentare di istruire chi nel 2025 ancora non ha capito non ho esitazioni! La vita è troppo breve per annoiarsi. Le vacanze, poi, sono brevissime (per chi ce le ha) e quindi scusandomi per aver abusato del vostro tempo mi congedo.
(...nella migliore delle tradizioni, il 10 partono le iscrizioni al goofy...)
La mattinata è iniziata con una vivace discussione nella chat della Community abruzzese, discussione originata da un aggiornamento di questa notizia:
Pare che non siano 400 ma 600, ecc. Il dato, lo immaginate bene, è catastrofico per la valle (del Sangro), per la provincia (di Chieti) e per l'Abruzzo. Il giochino sappiamo qual è e purtroppo sappiamo anche dove porta:
ma nelle pieghe del discorso è emerso che il game changer, secondo alcuni, risaliva a tre anni fa:
In realtà, non è che le cose in Polonia vadano benissimo, ma non entro in questo. Il punto è che, come vi ho detto spesso, dà un po' ai nervi che ci venga fatta concorrenza interna da chi non solo ha mantenuto e usato la flessibilità del proprio cambio nominale, ma soprattutto beneficia in modo sproporzionato dei fondi che escono dalle nostre tasche!
Questa cosa la sapete bene, anche Claudio ve la ricorda spessissimo, ma vorrei farvela vedere in dettaglio (impegno preso con gli amici abruzzesi). Per comodità, non partirò dal tempo di Checco e Nina, ma dall'inizio del secolo, in modo da avere tutti i dati in un unico foglio, questo, che trovate alla pagina EU spending and revenue 2021-2027. Vi fornisco i flussi al netto delle operazioni straordinarie (cioè escludendo gli esborsi del PNRR, che sono debiti da rimborsare), ma se volete avere il quadro di cassa completo potete tranquillamente riprodurvelo coi dati. Quello che ci serve quindi, anno per anno, sono le "national contributions" (soldi che gli Stati membri danno al bilancio, i contributi al bilancio dell'Unione), le "total expenditures" (fondi che l'UE attribuisce agli Stati membri perché li spendano, e quindi i fondi che provengono dal bilancio dell'Unione), e naturalmente il Pil (per fare un rapporto).
Con un po' di santa pazienza (purtroppo oggi sono influenzato e quindi me ne sto alla scrivania a lavorare), l'impianto dei calcoli è questo qui:
la rappresentazione grafica del contributo (valori negativi) o beneficio (valori positivi) netto in valore assoluto è questa qui:
e in rapporto al Pil nazionale è questa qui:
I dati si commentano da soli, ma sentitevi pure liberi di esprimervi. Della sproporzione ero a conoscenza, ma certo che vederla rappresentata così, sapere che un Paese in cui delocalizziamo le nostre produzioni viene sussidiato a botte del 2% del Pil e oltre, ovviamente non fa piacere, anche se intuiamo l'astratta e nobile motivazione di creare un level playing field...
A differenza di Dostoevskij, che avrà avuto i suoi buoni o cattivi motivi, io non sono sospettabile di animosità verso il nobile popolo polacco, che mi ha dato tanto. Sono cresciuto ascoltando questo ripetuto e ripetuto dalla mia mamma:
(non so se adesso mi chiuderanno il sito); per motivi che non saprei nemmeno spiegarvi e sui quali è comunque inconferente dilungarsi questo:
ha cambiato significativamente il mio rapporto col pianoforte e col romanticismo (cosa di cui gli sono grato); mi piacciono i pierogi e i tramonti lunghi. Sono anche uno poco attaccato ai soldi. Però l'idea che questi qui ci fottano coi nostri soldi a me dà un pochino fastidio, forse un po' di più dell'idea che con i nostri soldi la UE, in cambio del bel servizio che ci rende, si faccia pubblicità, deturpando le nostre scuole con le sue placche infami.
Premesso che sapete bene che cosa pensi del Fmi e delle sue previsioni, segnalo che mentre sui media italiani imperversa la narrazione terribilista e stracciavestista sui dazi di Trump, dalle istituzioni internazionali ci perviene questo messaggio:
e quindi la domanda, oggettivamente, si pone: ma com'è possibile che se siamo finiti, se il disastro dei dazi ci travolgerà, il Fmi innalzi le stime di crescita? Dov'è l'errore, se c'è?
Per mettere un po' di ordine nel caos volevo darvi qualche ordine di grandezza utile a valutare l'impatto di questa contromisura. Come punto di partenza prendo il mio modello dell'economia italiana, quello pubblicato nel 2017 con Brigitte Granville e Christian Mongeau-Ospina su Economic Modelling (la versione working paper, accessibile a tutti, è qui). Questo modello ci è utile intanto perché è pubblicato con peer-review (non mi risulta che i pronostici di altri centri di ricerca più o meno prestigiosi siano tutti passati da quel vaglio) e poi perché il suo blocco del commercio estero rappresenta il commercio estero dell'Italia disaggregandolo per i principali blocchi dell'economia mondiale, e quindi prevede una funzione delle esportazioni specifica per gli Stati Uniti, questa:
dove vi ho evidenziato il parametro che ci serve, l'elasticità delle esportazioni al tasso di cambio reale, che è sostanzialmente pari a -1. Una elasticità di -1 significa che un aumento del 15% del tasso di cambio reale verso gli Stati Uniti, come quello astrattamente causato da un aumento dei dazi del 15%, dovrebbe determinare una variazione del -1x15% (cioè una diminuzione del 15%) del volume delle esportazioni verso gli Stati Uniti.
Ora, secondo le statistiche di bilancia dei pagamenti le esportazioni italiane nel 2024 erano così configurate:
720 miliardi di euro, di cui 341 al di fuori dell'UE, di cui 74 verso gli Stati Uniti. Il 15% di 74 è 11.1, quindi i dazi al 15% causerebbero una diminuzione delle esportazioni italiane di 11 miliardi, che sono il 15% delle esportazioni verso gli Usa, e siccome le esportazioni verso gli Usa sono il 10% di quelle totali, la diminuzione delle esportazioni totali sarebbe pari all'1.5%, e siccome le esportazioni sono un terzo del Pil:
l'impatto sarebbe ceteris paribus pari a circa lo 0.5% del Pil, che non è poco.
Vi dico subito che queste valutazioni (di cui mi fido per ovvi motivi) sono all'interno del range delle valutazioni effettuate dagli altri (in appendice vi metto un riassunto fatto dall'amico intelligente), i cui valori vanno dai 7.5 miliardi di Unimpresa ai 22 miliardi di Confindustria.
Va però aggiunto che si tratta di valutazioni di lungo periodo, di equilibrio parziale, e che non considerano il livello attuale dei dazi.
Partendo dalla fine, i dazi prima dell'arrivo di Trump non erano a zero. Una valutazione macroeconomica non è facile da fare, perché l'imposizione dei dazi è molto granulare, colpisce le singole merci, con percentuali differenziate, ma insomma quelli bravi ci dicono che prima di Trump la media si avvicinava di molto al 5%:
L'incremento non sarebbe quindi di 15 (da zero a 15) ma di 10 (da 5 a 15), e conseguentemente l'impatto totale sarebbe ridotto di un terzo: il 10% di 74 è 7,4 che corrisponde appunto al 10% delle esportazioni verso gli Usa, cioè all'1% delle esportazioni totali, cioè allo 0,3% del Pil.
Circa il tema breve-lungo periodo, nel nostro modello in effetti le due elasticità sono sostanzialmente identiche, a testimoniare che gli aggiustamenti di prezzo sostanzialmente hanno luogo all'interno dell'anno (i dati hanno cadenza annuale). L'elasticità di breve periodo infatti è:
-0.92, sostanzialmente pari a uno (volendo fare i precisetti, dovremmo dire che la variazione delle esportazioni è data dal 0.102 x (-0.929) = - 9.4758%, pari a 7 miliardi di calo delle esportazioni nel breve periodo, ma insomma siamo lì, anche se più vicini al limite inferiore del range calcolato da Unimpresa).
Il vero tema però è un altro, cioè il fatto che queste sono valutazioni di equilibrio parziale, cioè non tengono conto di una serie di altri effetti indotti, fra cui:
1) l'effetto reddito negli Stati Uniti (se Trump riesce a spingere l'economia Usa, è vero che il vino costerà di più, ma è anche vero che gli statunitensi, soprattutto quelli in grado di apprezzare il vino italiano, avranno più soldi in tasca);
2) l'effetto reddito negli altri paesi (se #idazzidiTrump scatenassero una recessione mondiale, cosa che il Fmi smentisce:
allora avremmo un calo generalizzato delle esportazioni, cioè avremmo un problema non solo col 10% che va verso gli Usa, ma anche col 90% che va altrove);
3) l'effetto sostituzione (c'è chi è stato "dazziato" più di noi, ad esempio, e sicuramente le misure di Trump un po' di trade diversion la causano: non è detto che non ci facciano guadagnare qualche cliente).
Naturalmente il discorso non si esaurisce qui e va fatto filiera per filiera, prodotto per prodotto, mercato per mercato. Questi però sono gli ordini di grandezza macroeconomici, e in appendice, come vi ho detto, trovate una rassegna fatta dall'amico intelligente, nella quale credo che dopo questo esame sarete in grado di orientarvi meglio.
Buona lettura (ora ho una riunione organizzativa del #goofy14, dove ovviamente si parlerà anche di questo...)!
Appendice: l'amico intelligente
L’imposizione di dazi al 15% sulle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti, come previsto dall’accordo USA-UE annunciato il 27 luglio 2025, avrà un impatto significativo sull’export italiano, con stime che variano in base a fonti e metodologie. Di seguito, sintetizzo le informazioni disponibili da studi recenti, riportando i dati in miliardi di euro e, dove possibile, in percentuale, con riferimento alle fonti consultate.
### Stime del Calo delle Esportazioni
1. *Confindustria e Centro Studi Confindustria*:
- *Stima del calo: Secondo il Centro Studi Confindustria, i dazi al 15% potrebbero causare una contrazione delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti di circa **22,6 miliardi di euro, pari a circa un terzo (circa **33%) delle vendite totali verso gli USA, che nel 2024 ammontavano a circa **65-66 miliardi di euro. Tuttavia, parte di questa perdita (circa **10 miliardi di euro*) potrebbe essere compensata da un aumento delle esportazioni verso altri mercati.[](https://www.panorama.it/attualita/economia/dazi-usa-ue-cosa-cambia-per-litalia-dopo-laccordo-trump-von-der-leyen)
- In uno scenario con dazi più alti (30%), Confindustria aveva stimato una riduzione di *38 miliardi di euro* (58% delle vendite negli USA), ma con i dazi al 15% l’impatto è più contenuto.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)
- *Impatto sul PIL: L’effetto netto sul PIL italiano è stimato in una riduzione di circa **0,5-0,8%* entro il 2027, mitigato dalla capacità di reindirizzare l’export verso altri mercati.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)
2. *Unimpresa*:
- *Stima del calo: Un’analisi del Centro Studi di Unimpresa prevede un impatto più contenuto, con una perdita di esportazioni compresa tra **6,7 e 7,5 miliardi di euro, significativamente inferiore alle stime iniziali di **10,5 miliardi di euro*. Questo grazie a esenzioni parziali o totali per settori strategici come le tecnologie avanzate.[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)
- *Percentuale: Considerando che le esportazioni italiane verso gli USA nel 2024 sono state di **66-70 miliardi di euro, il calo stimato da Unimpresa rappresenta circa il **10-11%* dell’export totale verso gli Stati Uniti.
3. *Confimi Industria*:
- *Stima del calo: Secondo il presidente di Confimi Industria, Paolo Agnelli, i dazi al 15% potrebbero portare a una perdita di fatturato di circa **12 miliardi di euro, equivalente a una riduzione del **20%* delle esportazioni italiane verso gli USA.
- Questa stima tiene conto anche del differenziale del cambio euro-dollaro (circa 15%), che aggrava l’impatto economico.
4. *Centromarca*:
- Per i beni di largo consumo, il calo delle esportazioni è stimato in *767 milioni di euro, corrispondente a una riduzione del **7,7%* a valore.
5. *ISPI*:
- Secondo l’ISPI, un dazio del 15% potrebbe causare una contrazione delle esportazioni europee verso gli USA del *25-30%. Per l’Italia, considerando un’esposizione di circa **64-66 miliardi di dollari* (circa *55-57 miliardi di euro* al cambio attuale), ciò potrebbe tradursi in una perdita di *14-17 miliardi di euro. Tuttavia, l’impatto sul PIL italiano sarebbe limitato a circa **0,2%*.[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)
6. *Altri studi*:
- Un’analisi riportata da lavoce.info stima un impatto di breve periodo più contenuto, con una contrazione delle esportazioni di circa *6 miliardi di euro* nei principali settori, grazie alla bassa elasticità di sostituzione dei prodotti italiani di alta qualità nel breve termine.[](https://lavoce.info/archives/107491/lexport-italiano-di-fronte-ai-dazi/)
- Per il settore agroalimentare, che vale circa *8 miliardi di euro* di export verso gli USA, si stimano perdite di circa *500 milioni di euro per il vino, **240 milioni per l’olio d’oliva, **170 milioni per la pasta* e *120 milioni per i formaggi*.[](https://www.avvenire.it/economia/pagine/tutto-sui-dazi-ecco-cosa-rischia-l-economia-globale)
### Fattori che Influenzano l’Impatto
- *Esenzioni e settori colpiti*: Alcuni settori beneficiano di esenzioni parziali o totali, come i farmaci generici e alcune tecnologie avanzate, riducendo l’impatto complessivo. Tuttavia, settori come agroalimentare (vino, olio, salumi, formaggi), farmaceutico (non generici), meccanica, e moda sono particolarmente vulnerabili.[](https://www.corriere.it/economia/finanza/25_luglio_28/cosa-cambia-made-italy-dazi-esportazioni-usa-4c15e916-98c2-4f5d-8fb6-b85545991xlk.shtml)[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)
- *Cambio euro-dollaro: La svalutazione del dollaro (circa -13% rispetto all’euro dall’insediamento di Trump) aggiunge un “dazio implicito” che porta l’onere complessivo per gli esportatori italiani a circa il **21%*, riducendo ulteriormente la competitività.[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)
- *Capacità di assorbimento*: Le imprese italiane di grandi dimensioni, che rappresentano oltre il 50% dell’export verso gli USA, sono più resilienti grazie a margini più alti e diversificazione geografica. Le PMI, invece, sono più esposte.[](https://www.unimpresa.it/dazi-terzo-aziende-italiane-esporta-usa/66365)
- *Compensazione su altri mercati: La capacità di reindirizzare l’export verso mercati in crescita come Emirati Arabi, Arabia Saudita, Turchia, Brasile, India e Messico potrebbe mitigare le perdite. Secondo ICE, questi mercati valgono già **25 miliardi di dollari* di export italiano.[](https://www.quotidianopiu.it/dettaglio/11090627/nuovi-dazi-usa-impatti-sul-commercio-internazionale)
### Sintesi
- *Range di calo atteso*:
- *Valore assoluto: Le stime variano da **6 miliardi di euro* (lavoce.info, breve periodo) a *22,6 miliardi di euro* (Confindustria). Una stima media ragionevole si attesta tra *7,5 e 12 miliardi di euro*, con possibilità di compensazione parziale (circa 10 miliardi) su altri mercati.
- *Percentuale: Il calo delle esportazioni verso gli USA è stimato tra il **7,7%* (beni di largo consumo) e il *33%* (Confindustria), con una media probabile intorno al *10-20%*.
- *Impatto settoriale*: I settori più colpiti saranno agroalimentare (soprattutto vino, olio, pasta, formaggi), farmaceutico (non generici), meccanica, e moda. L’automotive beneficia di una riduzione dei dazi dal 25% al 15%.[](https://www.corriere.it/economia/finanza/25_luglio_28/cosa-cambia-made-italy-dazi-esportazioni-usa-4c15e916-98c2-4f5d-8fb6-b85545991xlk.shtml)[](https://www.panorama.it/attualita/economia/dazi-usa-ue-cosa-cambia-per-litalia-dopo-laccordo-trump-von-der-leyen)
- *Studi di riferimento*: Le analisi più dettagliate provengono da Confindustria, Unimpresa, ISPI, e lavoce.info, con stime basate su dati Eurostat, World Bank-WITS, e modelli macroeconomici.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)
### Conclusione
Il calo delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti a causa dei dazi al 15% è stimato tra *7,5 e 12 miliardi di euro* (circa *10-20%* delle esportazioni totali verso gli USA), con perdite maggiori nei settori agroalimentare, farmaceutico, e meccanica. Tuttavia, esenzioni per settori strategici e la possibilità di reindirizzare l’export verso altri mercati possono mitigare l’impatto. L’effetto sul PIL italiano è previsto tra *0,2% e 0,8%* nel medio-lungo periodo. Per dettagli su specifici settori o prodotti, posso approfondire ulteriormente se richiesto.
La petulanza con cui i piddini recriminano sul fatto che a trattare con gli Usa sarebbe dovuto andare il nostro amico 🍇 (un vile affarista) dà l’esatta misura di quanto non abbiano capito i termini del problema, rispetto ai quali le qualità vere (o, come nel caso di 🍇, presunte) del negoziatore non spostano nulla. Rispetto a questo, vi dico che sarei stato io il primo a volere 🍇 al comando in una situazione come questa, soprattutto dopo aver visto come balbetta quando si trova davanti qualcuno che parla chiaro (virtù che a Trump non può essere disconosciuta)! Che cosa ci può essere di meglio per togliersi di torno un avversario che metterlo alla guida di un autobus senza freni lanciato a tutta velocità contro una rupe di granito!? Come si è schiantata VRSVLA, così si sarebbe schiantato 🍇, che in più (conoscendolo) ci avrebbe lasciato da gestire una pesante serie di ritorsioni.
Il fatto è che, come vado dicendo da sedici anni, l’UE nulla ha fatto per risolvere il problema degli squilibri macroeconomici globali e molto ha fatto per aggravarli. La semplice macroeconomia dei saldi settoriali, che dovrebbe essere per noi uno strumento acquisito almeno dal 2012, ci ammonisce che S-I = X-M. Ora, noi ci siamo raccontati che ci saremmo messi insieme per fare tanto “I” (investimenti pubblici e privati per favorire la crescita), ma sappiamo bene, essendo in grado di leggere i dati e di valutare i resoconti dei disinformatori, che invece abbiamo tenuto il freno tirato per fare tanto “X” (esportazioni), e con questo non abbiamo aiutato né noi né il resto del mondo.
La svalutazione competitiva dell’euro, rispetto alla quale i dazi sono una ritorsione tutto sommato blanda, è un pezzo, o meglio un epifenomeno, di questo squilibrio fondamentale. Sullo sfondo restano le parole di Alesina: “l’integrazione economica dovrebbe procedere di pari passo col separatismo politico: l’Europa sta andando nella direzione opposta”.
E quindi, anche se non possiamo dirlo perché altrimenti 🎺 si adonterebbe, dieci, cento, mille 🍇 alla guida del negoziato! Esattamente come la presidenza del consiglio non è stata, come credeva lui, un trampolino ma una tagliola sulla via del Quirinale, mettersi alla guida della cage aux folles europea non sarebbe il rilancio, ma la pietra tombale su una comunque invidiabile carriera politica, e questo non tanto perché l’Europa non è unita dall’UE, quando perché dovrebbe essere più divisa!
Non a caso chi auspica una soluzione simile è un altro uomo con un grande futuro dietro le spalle… 😉
Possiamo comunque tranquillizzare 🎺 e tutti i famoerpartitisti: un esito simile non è plausibile.
L'Europeona Unitona ha fatto peggio del povero San Marinuccio, che l'aveva chiusa bilateralmente al 10% tre mesi fa:
(come del resto aveva fatto il Regno Unito).
Che un negoziato bilaterale fosse possibile e potesse essere vantaggioso per il nostro Paese ce lo eravamo detti sei mesi fa, visto che l'Italia non era la principale fonte dello squilibrio causato dall'Eurozona:
D'altra parte, nonostante nessuno (tranne chi vi parla) lo mettesse in evidenza, la manovra statunitense era una contromisura allo squilibrio causato da quelli che abbiamo chiamato "i dazi di Draghi", cioè alla svalutazione competitiva dell'euro:
(svalutazione competitiva perché avveniva mentre il surplus europeo stava crescendo, diversa quindi dal fisiologico deprezzamento che subiscono le valute dei Paesi in deficit). Anche in questa svalutazione competitiva il nostro Paese aveva avuto un ruolo tutto sommato marginale, altrimenti la si sarebbe vista quando eravamo in crisi noi, intorno al 2011, mentre si è materializzata intorno al 2015, all'epoca del Dieselgate, cioè dell'inizio della fine tedesca. La contromisura, del resto, era largamente annunciata. Era il 2019 quando parlandovi di quelle che gli operatori informativi chiamano le tariffe vi facevo vedere che da quasi un decennio (allora) gli Stati Uniti manifestavano aperta insofferenza verso la manipolazione della valuta posta in essere dalla Germania. Tuttavia, nonostante le sparate iniziali (se ricordate, a febbraio si parlava di dazi al 25%):
ad aprile davo per molto probabile un punto di caduta vicino a quel 10% di cui Trump e i suoi esperti avevano parlato in campagna elettorale. In effetti, sia San Marinuccio che il Regnone Unitone (due realtà la cui distanza non devo evidenziarvi) l'hanno chiusa lì, come sapete. Ma noi ci siamo affidati alla sagace negoziatrice europea, in ossequio alla saggezza popolare secondo cui l'unione fa la forza. Il risultato è stato il profferire una serie di sconclusionate minacce:
Ben 95 miliardi di controcazzi, pardon: controdazi, senza mai e poi mai ammettere la natura del problema e dimostrare un minimo di resipiscenza e di volontà di raggiungere soluzioni cooperative. Insomma, una vera e propria Strafexpedition (che è la dimensione negoziale delle Sturmtruppen, come l'autogol è la dimensione dialettica del piddino) che non poteva portare che da una parte, qui:
Questa arroganza totale, questa incapacità ontologica di ammettere le proprie colpe, stupisce, perché poi si scopre che quando nelle vesti dell'importatore si trova l'UE, la signora von der Leyen ha ben chiaro che deve chiedere quello che da esportatrice non è disposta a concedere:
La malafede (e anche una certa ingenuità, se posso...) è quindi palese...
Inutile dire che alla minaccia di controdazi il Donaldo Trumpo ha reagito da par suo:
andando 5 punti percentuali oltre la sua pretesa iniziale del 25% (apro e chiudo una parentesi: le forme di parmigiano esposte sul Sole 24 Ore fanno capire come il giornale degli industriali italiani immagina sia composto il nostro export verso gli Usa), e trascinando così verso l'alto di 5 punti percentuali il punto di caduta, che quindi è stato il 15%, non il 10% che pensavo io (e pensava anche lui, come vi ho dimostrato per tabulas). D'altra parte, all'arroganza del botolo tedesco non si poteva rispondere in altro modo, ed è colpa nostra, non di Trump, se non ci è bastata la lezione del 1945.
I mercati, lungo tutto lo svolgersi di questa complessa vicenda, se ne sono battuti completamente il belino, tranne all'inizio, quando ci fu un tuffo verso il basso prontamente recuperato:
(questo è il FTSE MIB).
Non è chiaro perché mai gli operatori informativi e gli economisti da talk show, sempre così inclini a prosternarsi al verdetto dei mercati, in questo caso lo ignorino. Non è chiaro, cioè è chiarissimo: in questo caso il verdetto dei mercati non quadra con la loro narrazione terribilista "Trump pazzo cacca pupù disastro", e quindi lo ignorano. Mi è invece chiaro perché i mercati non si preoccupino: perché il 15% (cugino del 10%) è un margine che lungo catene distributive complesse si può assorbire, nel tempo, soprattutto considerando che a monte di questo aumento del 10% c'era stata una svalutazione del 25% che aveva consentito a molti di mettere, quatti quatti, tanto bel fieno in cascina. Ma non vi annoio con una lezioncina sul pricing delle aziende oligopolistiche che operano in mercati internazionali.
Non è nemmeno chiarissimo per quale motivo abbiamo evitato di percorrere la strada, assolutamente lecita, del negoziato bilaterale. Vero è che era stato Trump il primo a escluderla:
come era in sua piena potestà fare (mentre spero che abbiate capito, almeno voi, che la competenza esclusiva dell'UE è sui dazi che mette lei - perché anche lei ne mette! - non su quelli che mettono gli altri, nonostante questo concetto sia impervio a peraltro garbati colleghi con cui non voglio litigare: lascio che litighino loro col mio amico Aristotele...). Trump potrebbe averlo fatto per evitare di subire la solfa deamicisiana: "Trump, tu uccidi l'Europa!", ben consapevole che quest'ultima è di per sé un morto che cammina, e lo è tanto più quanto più si affanna a dare segni di vitalità. Lato nostro, credo che sia entrata in gioco una complessa valutazione di opportunità che tutto sommato condivido: se ci fate caso, mandare la von Sturmtruppen a schiantarsi contro il muro della propria connaturata arroganza di certo non la rafforza, ci ha evitato di passare per sabotatori del meraviglioso brogeddoeurobeo, con annesso costo politico di un nuovo otto settembre (di cui l'Italia è meglio che abbia fatto a meno), e alla fine ci è costato solo il 5% in più (15% invece di 10%). Un costo che molti imprenditori, inclusi quelli sollecitati dai media per alimentare la narrazione terribilista, trovano in fondo sostenibile (anche se è ovvio che chi ha beneficiato di una svalutazione del 25% preferisce poi non sostenere un dazio del 15%)!
Quindi, come dire: tutto è bene quel che finisce male!
Il nostro principale nemico ne esce indebolito anche di fronte ai più subalterni dei suoi vili lacchè (l'odierna rassegna stampa offre un florilegio inestimabile). Il nostro Paese non ne esce troppo danneggiato, posto che l'alleanza con il fiero alleato germanico ormai è lì, e sbarazzarsene non è semplice come ordinare una cedrata al bar (il che significa che l'ottica in cui dobbiamo porci è quella di riduzione del danno, e mi sembra che sia stata interpretata bene). Non ne esce troppo male nemmeno il blog, anche se avevamo fatto una previsione che era un bijoux, quel 10% che era nelle cose come tanti esempi dimostrano, e da cui ci siamo discostati, come il breve resoconto storico che vi ho fatto dimostra, solo per le goffe vociferazioni dell'odiosa megera.
Inutile dire che l'opportunità offerta dai dazi, quella di riflettere, come oggi chiede perfino Draghi, sul nonsenso di un modello di crescita sbilanciato sull'inseguimento dei mercati esteri, è finora andata perduta. Un modo per coglierla potrebbe essere, come sta facendo Claudio, usare la sponda della narrazione terribilista per chiedere un provvedimento che, come vi dicevo, è comunque nelle cose (l'allentamento delle regole di bilancio), o un provvedimento che non verrà mai accordato (la sospensione delle regole di bilancio). Tatticamente sarebbe una mossa interessante, ma vanno viste anche le sue implicazioni strategiche. Un'Europa che non strangoli se stessa con il Patto di stabilità rischia di innescare una nuova dinamica centro-periferia, un nuovo ciclo di Frenkel? Non è da escludersi, anche se in questo caso il motore degli squilibri, la Germania, più che sul dumping salariale e quindi sull'espansione delle esportazioni (con conseguenti squilibri debitori della periferia) sembra puntare su una sorta di dumping di bilancio e quindi sull'espansione degli investimenti bellici (con una spinta espansiva da cui in realtà la periferia potrebbe trarre beneficio, naturalmente fino al momento di rinnovare il magazzino). La fragilità causata dall'assenza di quel fisiologico meccanismo di riequilibrio che è il cambio nominale potrebbe tardare a palesarsi, ma sarebbe necessariamente parte degli sviluppi di un'Unione Europea che in un modo o in un altro cessasse di crescere sotto potenziale.
Intanto, il dollaro sta cedendo, cioè l'euro si sta rivalutando:
e chi ci dice (ora) che l'euro forte danneggia le imprese sta dicendo, senza rendersene conto, che una lira correttamente prezzata non le danneggiava.
Pubblicato da Marco Pezzini su Goofynomics il giorno 12 ago 2024, 19:43
Marco Pezzini ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "A mente fresca":
Scrivo qui un commento a corredo, dato che in altri post non li ho visti nemmeno inseriti.
Gentile dottor Bagnai, mi dispiace molto che siamo arrivati a questo punto. Fin dal primo post di quel lontano novembre del 2011 l'ho seguita. L'ho "divulgata" ad amici, conoscenti, mi sono abbeverato ai suoi insegnamenti con ardore scolastico più forse di alcuni suoi studenti. Quando scrisse il primo libro, e la piccola (allora) comunità di seguaci la spinse per entrare in politica ne ero felicemente entusiasta.
Così come del fatto che avesse trovato casa nel centrodestra seppur lei fosse dichiaratamente di sinistra. Merito a chi allora l'ha "scovata" e convinta ad entrare in un progetto politico che sembrava destinato a scardinare le regole di una imposizione dall'esterno - quanti post ho letto sul vincolo "maledetto"- determinata anche da un successo popolare oltre ogni rosea aspettativa.
Il fatto è, mi consenta, che nonostante lei sapesse, lei avesse capito prima di altri, meglio di altri, cosa sarebbe accaduto, nessuna e dico nessuna delle politiche possibili da mettere in campo è stata proposta.
Ricordo i bei tempi in cui scriveva che "l'euro non è più un problema , semplicemente perchè è morto" mentre invece...
Le forze in campo sono soverchianti, le dinamiche finanziarie in atto, soprattutto in queste settimane (citofonare Giappone), tali che nessun politico nostrano possa o potrà cambiare lo status quo. Nemmeno la Lega, che ha un segretario che tutto ha meno che la legittimazione popolare precedente, certamente data da scelte atte più a mantenere poltrone e situazioni, che da una visione propopolo.
Ricordo le parole del ministro delle finanze e suo compagno di partito in una conferenza stampa della fine dell'anno scorso, quando disse che "il mio problema è vendere ogni mattina i nostri titoli di stato"... bei tempi
La situazione dei conti pubblici, come detto è drammatica, il debito è a quota 2.9 trilioni di euro, il deficit al 7.4 da portare al 5.6 per fine anno. Il vostro governo sta vendendo tranche di pezzetti di "gioielleria nostrana" con procedure di urgenza tutto pur di salvare la capra. Forse i cavoli no.
E intanto, la commissione nuova di questa Europa è ancora in sella, come se niente fosse. Il sostegno che questo Paese sta dando a Paesi (che loro si andrebbero inseriti nelle liste canaglia) facendo pagare ai suoi cittadini un prezzo troppo caro sia economico che morale.
Non so se lei sia cambiato in questi anni, o meglio, non so se ancora una volta lei abbia svoltato la bandiera delle sue convinzioni, ma forse ora è il momento di dire basta.
O semplicemente dire la verità ai cittadini, a rete unificate: che la pacchia è finita, per noi. Non ci sono più forzieri nascosti a cui attingere o bauletti segreti da aprire.
Fino a quando ciò non accadrà, lei come molti altri saprà quello che succederà prima, lo saprà meglio, ma l'unica consolazione sarà e rimarrà "io lo sapevo".
Le auguro una buona serata e buon lavoro
Pubblicato da Marco Pezzini su Goofynomics il giorno 8 lug 2025, 18:19
Marco Pezzini ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Carità e narcisismo":
Buongiorno Professore. Parto dal suo lavoro di divulgazione, che a molti di noi ha praticamente introdotto al mondo accademico, seppur dalla porta di servizio, ha spinto ad approfondire, cercare e soprattutto di studiare. Leggo il suo blog dal terzo post pubblicato. Smettendo di parlare di me, vengo al punto: la domanda che lei ironicamente pone nel il post, pressupporrebbe a mio avviso che le sue carriere, sia quella di docente che successivamente quella di politico siano sovrapponibili. Se lo sono nella sostanza, e a volte non sembra, faccio fatica a comprendere proprio un post come questo. Tante nell'arco di questi anni sono le persone che ha mandato a spendere, che non hanno creduto, non hanno capito o peggio, voluto capire. Forse non essendo dentro il mondo universitario è un particolare che non mi "arriva", il lasciare al proprio destino lo studente recalcitrante che o non si applica o non capisce. La vita è dura come tante volte ha detto. Ma, dall'altra parte, il compito di un politico, in quanto eletto, non è quello di spiegare concretamente, con parole comprensibili al popolo, concetti o misure che per loro natura sono a volte (molto spesso) incomprensibili? Ho la certezza che il numero di preferenze personali che le sono state riconosciute alle varie tornate elettorali vengono da questo contenitore. Gente come me, che fin da subito, seppur come detto non ne avevo gli strumenti, ha compreso le capacità, l'intuizione e soprattutto la buonafede di quello che veniva detto. A questo punto, a mio parere, servirebbe fare un reset, mettere dei punti e forse crearne di nuovi. L'uscita dall'euro è ormai una battaglia persa, forse inutile? Però, sapere che sta arrivando una bufera, cercare di avvisare gli altri, poi quando arriva l'unica cosa che rimane da dire è "io ve lo avevo detto"? Il cambiamento, quello vero, ha bisogno di sostegno, sia in termini intellettuali ma più spesso di voti. Dura la legge di coloro che sanno. Diverse le battaglie di coloro che conducono le masse. E' la ragione del successo in tempi ormai lontani del grillismo. Ed il loro successo era dovuto in gran parte al successo personale del loro leader. Leader decaduto (da riascoltare nel caso, Paolo Mieli come ne parla dell'episodio del 2019 l'altra mattina a radio24 con Spethia) partito finito. Se il progetto Lega deve andare avanti, senza smembramenti o diaspore, non è il caso di ripensare a tutto il pacchetto? Se l'euro è stato il problema inziale, la gestione del covid la prova generale, quale sarà lo spettacolo che ci attende? Perchè anche se io so, avendo letto quì tutto il possibile e avendo capito quanto mi è possibile, da qualche parte dobbiamo pur andare. La mia partecipazione resta immutata, la mia volontà pure. Se ci sarà da salire sulle barricate ci sono. Altri lo faranno? Ho come la sensazione che molti sono figli della maledizione del "Sì, Ma, Però"... Con immutata stima Grazie
Pubblicato da Marco Pezzini su Goofynomics il giorno 20 lug 2025, 12:09
Marco Pezzini ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Una riflessione":
Buongiorno professore
le domande quasi retoriche che pone nel post, sinceramente a me ne suscitano altre. Che riguardano un tema da Lei trattato in uno ormai storico intervento in cui si parlava di denaro e potere. In questi giorni l'ho riascoltato con molta attenzione, e i concetti che esprime in quel convegno mi sembrano più attuali che mai. Mi riferisco al tradimento, anzi ai tradimenti, e quello che mi arriva in questi giorni è "e il tradimento attuale?" "I tradimenti attuali?"
Perché vede, gentilissimo, ne vedo parecchi in giro. E seppur che in questo luogo dedicato alla divulgazione ed alla comprensione (che non è compassione e soprattutto che la seconda non è detto che sia consecutiva alla prima) dato che Lei è uomo delle istituzioni ma più di ogni altra cosa persona che può tirare le fila, lo percepisce pure Lei?
Quando colui che guidava il governo precedente ha mentito, sapendo di mentire, ed ha reiterato anche successivamente, mi sarei aspettato alcuni sussulti, diciamo...più incisivi. E invece, niente. Come ebbi modo di scriverle, non sono addentro al mondo accademico e men che meno a quello che succede nel "palazzo o nei palazzi che contano", ma una bugia palese se detta da colui o coloro che ci guidano a me sa tanto di tradimento. E a volte l'ignavia di tacere o fare finta di niente, è peggiore dell'ignoranza. Ci sono persone che "ignorano" eppure sono dotate di un coraggio da leoni. Ha presente le citazioni che ricorda in quell'intervento? Soprattutto quelle di Hengels. Ecco, penso a quei poveri cagnolini che ubbidiscono sempre. Ma siamo sicuri che siano sempre e solo i cagnolini più in basso nella catena alimentare a dire sempre si? Le auguro delle buone camminate, e soprattutto una buona domenica. Grazie mille e...le barricate ci aspettano.
L'accampamento d'inverno
L’officier aux grosses moustaches, nommé Zdrginsky, leur en fit un récit emphatique. À l’entendre, la digue de Saltanovka ne rappelait rien moins que le défilé des Thermopyles, et la conduite du général Raïevsky, s’avançant avec ses deux fils sur la digue, sous un feu terrible, pour commander l’attaque, était comparable à celle des héros de l’antiquité. Rostow l’écouta sans lui prêter grande attention ; il fumait sa pipe, faisait des contorsions chaque fois que l’eau lui glissait le long de la nuque, et regardait Iline du coin de l’œil ; entre lui et cet officier de seize ans, il y avait aujourd’hui les mêmes rapports que ceux qui avaient existé sept ans auparavant entre lui et Denissow. Iline avait pour Rostow une adoration toute féminine : c’était son Dieu et son modèle ! Zdrginsky ne parvint pas à communiquer son enthousiasme à Nicolas, qui garda un morne silence, et l’on pouvait deviner à l’expression de son visage que ce récit lui était souverainement désagréable. Ne savait-il pas, par sa propre expérience, après Austerlitz et la guerre de 1807, qu’on mentait toujours en citant des faits militaires, et que lui-même mentait aussi en racontant ses prouesses ? Ne savait-il pas également qu’à la guerre rien ne se passe comme on se le figure, et comme on le raconte après coup ? Le récit ne lui plaisait donc en aucune façon, le narrateur encore moins ; car en parlant il avait la fâcheuse habitude de se pencher sur la figure de son voisin, jusqu’à la toucher presque de ses lèvres, et d’occuper en outre beaucoup trop de place dans l’étroite hutte ! « D’abord, se disait Rostow, les yeux fixés sur lui, la confusion et la presse devaient être telles sur cette digue, que si vraiment Raïevsky s’y est élancé avec ses deux fils, il n’a pu produire d’effet que sur les dix ou douze hommes tout au plus qui le serraient de près… Quant aux autres, ils n’auront certainement pas remarqué avec qui il était, et s’ils s’en sont aperçus, ils s’en seront d’autant moins émus, qu’ils avaient dans ce moment à songer à leur propre peau, et que, par suite, le sacrifice de sa tendresse paternelle leur importait fort peu… et d’ailleurs, le sort de la patrie ne dépendait pas de cette digue… ! La prendre ou la laisser à l’ennemi revenait au même, et, quoi qu’en puisse dire Zdrginsky, ce n’étaient pas les Thermopyles ! Pourquoi alors ce sacrifice ? Pourquoi mettre en avant ses propres enfants ? Je n’aurais certainement pas exposé ainsi Pétia, ni même Iline, qui est un étranger pour moi, mais un brave garçon… J’aurais au contraire tâché de les placer loin du danger. » Il se garda bien cependant de faire part à ses deux camarades de ses réflexions : l’expérience lui avait appris que c’était inutile, car, comme toute cette histoire devait contribuer à glorifier nos armées, il fallait feindre d’y ajouter une foi entière, et c’est ce qu’il fit sans hésiter.
Meno Europa!
Due giorni fa ero ad Alghero, nella sede provvisoria del consiglio comunale:
per parlare di un tema a me caro:
in compagnia di un ospite del #goofy8, Omar Chessa, e di una sessantina di persone che avevano avuto la bontà di interessarsi di quanto avevamo da dir loro.
Nella cortese introduzione gli organizzatori avevano evidenziato come il messaggio che questo blog da sempre porta avanti fosse stato all'inizio un messaggio minoritario ed eterodosso. Ho allora esordito dicendo che il mio messaggio in effetti non era minoritario, ma solitario (perché non è che avessi molti compagni di strada, almeno per i primi due anni, fino all'arrivo di Claudio), e non era eterodosso, ma eversivo (perché da un lato era fondato sul pensiero economico più ortodosso, come sapete, e dall'altro, però, contestava in radice il fondamento delle istituzioni in cui siamo immersi). Nel ringraziare l'associazione "Identità e costituzione" mettevo in evidenza la relazione cogente fra questi due termini: non può esserci una Costituzione, una Grundnorm, senza che ci sia un popolo, cioè un'identità (collettiva) che decida di darsi una legge fondamentale, e in fondo il vulnus fondamentale dell'Unione Europea come progetto politico era ed è tutto qui: l'assenza di un demos (e quindi di un logos) europeo che preclude in re ipsa la possibilità di una democrazia europea, che non si sa in nome di chi e con la lingua di chi dovrebbe essere agita. Questo, dicevo, chiuderebbe il discorso, eppure continuiamo a sentirci dire che l'Unione Europea è un modello, e lo è in particolare l'assetto statuale e amministrativo cui asintoticamente (o forse onanisticamente) tende, vale a dire i SUE (Stati Uniti d'Europa), anche se chi ci parla di "modello europeo", come del resto facevamo noi nel sottotitolo dell'evento, ben si guarda dal dirci chi lo stia seguendo. Non gli Stati del Centro America, che darebbero vita al cacofonico (ma involontariamente espressivo) SUCA (Stati Uniti del Centro America), ma nemmeno quelli dell'America Latina, o dell'Estremo Oriente, o dell'Oceania. Pressoché ovunque nel mondo gli Stati si accordano per convivere in termini pacifici, possibilmente sfruttando in modo intelligente i rispettivi vantaggi comparati, e lo fanno nelle forme che la teoria dell'integrazione economica ci insegna: zone di scambio preferenziale, zone di libero scambio, unioni doganali, mercati unici, unioni economiche, unioni monetarie, unioni economiche e monetarie. Messi insieme, di questi esperimenti più o meno riusciti in giro per il mondo ce ne sono svariate decine, ma già quando si arriva ai mercati unici, che sono zone di libero scambio assistite dalla libera circolazione dei fattori di produzione (capitale e lavoro), gli esempi significativi scendono a due (Unione Europea e Mercosur), di unioni economiche e monetarie di un qualche rilievo ne conosciamo una sola, ma soprattutto nessuno di questi esperimenti di integrazione ha mai pensato che fosse cosa utile e giusta dotarsi di una caricatura di parlamento e di governo nazionali: al massimo, hanno istituito un organismo arbitrale di composizione delle controversie commerciali!
Quindi il modello non è tale, perché nessuno lo segue, e nessuno lo segue perché è un fallimento politico, ed è un fallimento politico perché è un fallimento logico, una interminabile sequenza di aporie e paradossi.
L'idea che "grande è bello" veniva sostenuta, intorno agli anni '10 di questo secolo, con l'argomento che "oggi c'è la Cina!". Era la teoria del pennello grande, che esposi per la prima volta qui:
le cui fallacie sono fin troppo evidenti. Del resto, siccome il legno storto non si raddrizza, non è paradossale che una Unione che doveva nascere per combattere la Cina oggi vaneggi di allearsi con la Cina per combattere gli Stati Uniti! Di male in peggio, ma questo non sorprende, perché la logica antagonistica insita nel progetto europeo è distante anni luce dal ragionamento economico sulle dimensioni ottimali di uno Stato. Quest'ultimo ragionamento, come abbiamo ricordato più volte, era stato impostato da Alesina in termini di scelta fra capacità decisionale e capacità di ammortizzare gli shock esterni: un grande conglomerato di Stati perde in capacità decisionale (oggi lo ammette perfino Cottarelli, quando confessa che l'UE non è un negoziatore efficace perché deve difendere gli interessi di Stati troppo disparati), ma acquista in capacità di ammortizzazione delle recessioni mondiali, perché in teoria può contare su un ampio mercato interno.
E qui sta il primo paradosso: andando con l'unione monetaria verso "più Europa" abbiamo distrutto il mercato interno, perché abbiamo costretto un insieme di Stati precedentemente abbastanza floridi a privarsi del meccanismo di aggiustamento dato dal tasso di cambio, scaricando sui salari il peso dell'aggiustamento alle recessioni mondiali. Abbiamo cioè costretto questi Stati ad abbattere i salari per mantenere convenienti le proprie merci in caso di recessione mondiale, in modo tale che quando il resto del mondo si trovava senza soldi per comprare i nostri beni, noi toglievamo soldi dalle tasche dei nostri cittadini per inseguire i mercati del resto del mondo offrendo beni a buon mercato! Non era a questo che doveva servire l'Unione economica, ma non poteva che funzionare così una volta trasformata in Unione monetaria.
L'altro paradosso evidente è che l'Unione europea, che tanto esalta e glorifica l'economia di mercato fin dai primi articoli dei suoi Trattati costitutivi, con altrettanta involontaria incisività confessa di non essere altro che un colossale esperimento (non riuscito) di manipolazione del mercato. L'europeista mediano (a pelo lungo o corto) a un certo punto del suo discorso vi dirà che "grazie all'UE abbiamo potuto godere di tassi di interessi bassi come quelli tedeschi...", senza rendersi conto del fatto che non c'è alcun particolare motivo per cui in Germania e in Italia, a fronte di economie sufficientemente distinte, il denaro debba avere lo stesso costo, e che per l'Italia (ma in generale per i Paesi della periferia) avere un costo del denaro troppo basso è anche (e soprattutto) una iattura, perché incita al sovraindebitamento. Un prezzo deve tendere al suo valore di equilibrio: se lo si forza verso il basso, consegue errata allocazione e spreco di risorse. L'eccesso di debito privato nei Paesi del Sud è frutto appunto di questa gigantesca distorsione del mercato.
Per non parlare, poi, del costo della valuta! Oggi ci sentiamo dire che l'euro forte danneggia le imprese. Dovremmo quindi concludere che la lira "debole" le avvantaggiava! Ma allora perché i porci negazionisti hanno sempre contraddetto questa evidente simmetria, arzigogolando che le "svalutazioni competitive" della liretta danneggiavano il Paese? A parte che, come vi ho dimostrato per tabulas, la maggiore stabilità dell'euro rispetto alla lira è una fake news, il punto è che non era la "liretta" a svalutare, ma il marco a rivalutare, e per vederlo basta considerare che tutte le valute mondiali, non solo la lira, cedevano rispetto al marco.
Da questi (e altri) fallimenti logici conseguono fallimenti politici, che spesso vengono concettualizzati in termini di "distanza". Si dice che l'UE non può amministrare efficacemente perché è lontana dai cittadini. Giusto (forse), ma bisogna naturalmente riflettere sul perché le cose siano andate in questa direzione: ci sono andate perché, come tanta letteratura qui compulsata da oltre un decennio ci ha illustrato fin dagli anni '90, l'invenzione di un livello politico sovranazionale era strettamente funzionale allo scarico dei responsabilità da parte delle classi politiche nazionali verso "santuari" tecnocratici "al riparo dal processo elettorale" (sottinteso: nazionale). Il problema non è tanto quello della "distanza", che oggi sarebbe anche sormontabile, ma quello della voluta mancanza di accountability (problema insormontabile perché per molti in realtà è una soluzione: basta guardare la von der Leyen ancora in sella dopo il fallimento catastrofico del green deal)!
Gli argomenti economici ormai sono ampiamente fatti propri dalla controparte: il più fiero nemico dell'austerità oggi è Draghi! Per questo la frontiera del dibattito si è spostata sul tema della responsabilità politica e della supremazia dell'ordinamento comunitario su quelli nazionali. Ma di questo era più competente l'altro relatore cui passavo la parola.
La relazione di Chessa è stata molto interessante, sono seguite delle domande, e al termine, quando ci si avviava a concludere, ho ripreso la parola per dire: "Scusate, ma qui nessuno ha fatto, almeno a me che ora sono formalmente un nemico, la domanda che mi sarei aspettato di sentirmi porre: va bene, abbiamo capito che questa cosa non funziona e forse lo avremmo o lo avevamo capito anche da soli, ma tu che sei un politico vuoi dirci come se ne esce? Insomma, mi aspettavo che dalla spiegazione del "perché" meno Europa, emergesse una curiosità sul "come" meno Europa!". E mi sono messo a spiegarlo.
Ma in quel momento ha cominciato a piovere, e siccome il pubblico non la pensava come quel giocatore di rugby secondo cui "la pelle è impermeabile" abbiamo dovuto sospendere i lavori...
Guerra e pace
Qualche giorno fa è venuto a trovarmi Nello Preterossi per motivi consentiti dalla legge, e al termine, per descrivergli il mio stato d'animo, gli ho citato il passo di Guerra e pace che riporto qua sopra, ma non sono sicuro che Nello lo abbia correttamente situato, né sono sicuro di averglielo correttamente indicato io: l'opera è troppo complessa, e il tempo a disposizione poco. Ma poco importa: qui qualcuno di voi potrà capirmi, e potrà capire perché i commenti in sequenza di Marco mi rinviano allo stato d'animo dell'ussaro di Pavlograd che è in me - perché c'è anche lui, e ogni tanto, raramente, si fa vedere.
Lo stato d'animo infastidito, disincantato, ma (seppure di malanimo) per quieto vivere accondiscendente, con cui il veterano Rostov ascolta il resoconto artefatto e ontologicamente mendace dei fatti d'arme di Saltanovka è sempre più il mio, lo provo ogni volta che mi affaccio alla cloaca, e tanto mi infastidiscono le narrazioni, quanto, come il conte Rostov, sono infastidito da certi narratori, non solo quelli che ignari di anatomia ti parlano nel naso, ma più in generale quelli che animano, per ottime ragioni, un epos che però non ha ragione di essere, non rende il senso di quali siano e dove siano le difficoltà da superare (e quindi i progressi fatti), e costringe perciò a quello che ad altri sembra un slittamento, un regresso, mentre magari non lo è, come Claudio eroicamente cerca di spiegarvi... Ma l'experience m'a appris que ce serait inutile, e quindi taccio. I sette anni che mi separano dal mio ingresso in Parlamento, del resto, sono i sette anni che separano la carica degli ussari di Pavlograd a Schöngraben, nel novembre 1805, quella di cui parlammo qui, da quella a Ostrovna, nel luglio 1812, il giorno dopo aver passato la serata a far baldoria con gli amici, dopo l'inizio di serata un po' infelice che ho riportato qua sopra.
Sette anni che separano due domande ugualmente lancinanti, urgenti, ma profondamente diverse, la cui drammatica opposizione dà conto di quanto possa maturare in sette anni un essere umano, e di quanto forse avremmo potuto, o dovuto, maturare noi (e forse lo abbiamo anche fatto). Il Nicola Rostov di Schöngraben si chiede: perché vogliono uccidermi? Quello di Ostrovna si chiede: perché voglio ucciderlo? In mezzo c'è la maturazione tecnica, quella che permette di non cadere da cavallo durante una carica, ma c'è anche una maturazione morale, forse favorita o accelerata dal fastidio arrecato da tante narrazioni stereotipate e convenzionali di fenomeni complessi, difficilmente riducibili a formule semplici e di immediata applicazione.
Marco Pezzini era entusiasta a Schöngraben: finalmente vedeva "i nostri" attaccare l'avversario, varcare con slancio generoso il tremendo limite dell'ignoto e del terrore. Quella carica, quello slancio, si è interrotto nel 2019, e i motivi li ho spiegati per filo e per segno qui: non c'entrano niente le poltrone o le situazioni (quali?), non è venuto meno alcuna spinta "propopolo" (parola il cui unico merito è stato quello di avermi facilitato la ricerca del commento). Semplicemente, si è sacrificato un obiettivo tattico a un obiettivo strategico: affossare la riforma del MES, e la stessa cosa è poi accaduta nel 2021, quando l'obiettivo strategico era: evitare che si spaccasse il partito. Gli obiettivi strategici sono stati entrambi conseguiti, almeno finora, ed è un vero peccato, ma non un fatto imprevisto, che per conseguirli si siano dovuti lasciare tanti caduti sul campo. Chissà, fra questi caduti magari al prossimo giro ci sarò anch'io: continuerò a ritenere hegelianamente che la scelta fatta sia stata razionale. Mi sembra un po' ingiusto accusare di inconsistenza un leader che ha guidato il suo partito verso due obiettivi così difficili in periodo così turbolenti, e comunque non vedo molta razionalità nelle accuse che Marco muove al governo: quella di svendere le partecipate (è possibile dettagliare, per cortesia?), quella di piegarsi alla logica dei mercati.
Certo: un ministro del Tesoro ha il dovere di gestire il debito pubblico, che significa anche renderlo appetibile agli investitori. Non solo quelli esteri, peraltro. Il debito collocato all'estero era il 32% del totale nel 2019, è stato il 31% nel 2024 (dati qui), non si vede questa svendita e questa penetrazione. Si vede invece che Giancarlo fino a oggi è riuscito a risolvere, nonostante il conseguimento di alcuni obiettivi strategici come il no alla riforma del MES, un grosso problema di credibilità del Paese, il cui debito ora è relativamente meno oneroso. Dobbiamo preoccuparci perché le agenzie di rating, che sono il nemico, ci fanno i complimenti? Ma amici cari: qui continuiamo a dire che sarebbe migliore un mondo in cui le scelte dei governi non venissero rimesse al giudizio dei mercati (considerando che questi regolarmente si schiantano per i motivi illustrati dettagliatamente qui, e per questo motivo non danno prova di una saggezza particolarmente superiore)! Resta un piccolo dettaglio: se il mondo funziona in questo modo, non tenerne conto è qualcosa di peggio che cadere da cavallo a Schöngraben: è semplicemente girare il proprio cavallo e caricare contromano il proprio schieramento! Che cosa può andare storto? Ora i mercati non ci rompono più i coglioni. Dobbiamo considerarlo un tradimento o una sconfitta? Secondo me no, perché questa non è una guerra lampo (nessuna guerra lo è): è una guerra di logoramento (tutte le guerre lo sono), e la stagione dello spread ci ha logorato abbastanza, facendoci perdere tanto tempo che si sarebbe potuto dedicare a scopi strategicamente più validi, come la costruzione di una classe dirigente, cui abbiamo cominciato a dedicarci con metodo solo dal 2021 (sotto le bombe dei grandi media anglosassòni e i trabocchetti degli operatori informativi nostrani sinceramente non era proprio facilissimo organizzarsi).
Dice: "avreste dovuto pensarci prima!"
Ah, beh, certo! E allora anche tu, che dopo dici che ci si doveva pensare prima, avresti dovuto essere con noi. E perché non c'eri? Perché non eri a Schöngraben? Perché volerci essere, amico caro, presuppone un certo grado di incoscienza che se pure può essere condizione sufficiente per un fallimento, è altrettanto condizione necessaria per un tentativo. Tu, Marco, non eri lì perché già sette anni fa eri troppo saggio...
Così saggio che ti esorterei a non decretare la fine di una battaglia che non hai combattuto, quella per liberare il Paese dall'euro. Il fatto che questa battaglia non sia sulle prime pagine dei giornali non significa che il problema non esista più: significa solo che abbiamo imparato a lasciare che siano gli altri a logorarsi. Un euro che funziona come la lira, svalutandosi al punto di far imbelvire gli Stati Uniti, per noi va anche bene, in un certo senso. Quando i giornali oggi titolano che la moneta forte ci fa male, dopo aver titolato che la moneta forte ci avrebbe protetto, può non esserti evidente, ma abbiamo vinto noi, abbiamo minato un'altra casamatta della narrazione. Sì, è ovvio: a beneficio del tuo morale tu vorresti il gesto eclatante, la certificazione narcisistica del fatto che non hai votato per dei traditori, che ha sostenuto delle persone giuste, delle persone "propopolo", come dici tu. Sei dispostissimo ad accettare la morte dei tuoi campioni, pur di rimettere all'ordalia, e non alla strategia, la soluzione del problema! Questo significa veramente vivere orazianamente, all'insegna del carpe diem! Se mi fossi dato fuoco in Piazza di Montecitorio gridando "euro merda!" chi avrebbe schiacciato il pulsante rosso sul grugno del MES? Se Claudio si fosse fatto esplodere a Palazzo Madama al grido di "lira o morte!" chi avrebbe cucito i fili di un discorso che mi annoia profondamente, quello sull'OMS, convincendo i Fratelli (coltelli) a schiantare gli emendamenti al Trattato pandemico? E questi sono solo due esempi, i più simbolici e quindi, forse, i meno sostanziali, di battaglie combattute e vinte. E perché dovremmo alzare bandiera bianca ora che abbiamo imparato come si combatte, ora che siamo sul campo di Ostrovna, non su quello di Schöngraben?
La verità da dire ai cittadini non è che "la pacchia è finita", come dici tu, come un Monti qualsiasi, non è che "non ci sono forzieri cui attingere" (?). La verità da dire ai cittadini è che ogni giorno si sta facendo un passo avanti. Meno OMS è meno Europa, perché l'Europa, catturata dalle lobby farmaceutiche, voleva più OMS. Meno MES è meno Europa, perché l'Europa, subalterna alle grandi centrali finanziarie, voleva più MES (per farci saltare in aria immediatamente, dichiarando insostenibile il nostro debito: e invece abbiamo outlook positivo).
Non lo vedi?
Mi dispiace.
La mia vita negli ultimi quindici anni è consistita nel parlare a persone che non mi capivano, o mi capivano troppo tardi, e anche nei tuoi tre messaggi, in fondo, un progresso (lento) si vede.
Qui non c'è nessuna bandiera da innalzare se non il tricolore italiano. Il bianco è solo un pezzo della storia: ci sono anche il rosso, e il verde.
Tutto qua...
(...come vedete, in ossequio al principio nil inultum remanebit tutti i vostri commenti avranno risposta. Sono in coda, ora non potete cancellarli...)