venerdì 27 settembre 2024

#goofy13: il programma (parte prima)

 (…i vostri suggerimenti nel post precedente, sia quelli di chi ha capito che quelli di chi non ha capito, mi sono stati molto utili. Li ho portati in una riunione costruttiva coi partner del nuovo sito, che sicuramente pensano che io sia un matto, ma probabilmente trovano stimolante lavorare con un matto. Sono sicuro che verrà fuori un bel lavoro…)

(…nei corridoi di a/simmetrie si respira l’aria torbida e malsana di una corte bizantina. Il despota ha scommesso: se il pubblico non raggiungerà una certa soglia, l’anno prossimo i cortigiani verranno deportati nei recessi più remoti del feudo. Il fatto è che se quella soglia verrà raggiunta - e ahimè temo che ci siamo! - il despota la sposterà verso l’alto, per deportare i cortigiani e tutti voi nei recessi più impervi ed ascosi del suo feudo. Il despota non ama perdere! Certo, i Monti Pizzi sono un ambiente austero. Ma quasi tutti quelli che riusciranno ad arrivarci li apprezzeranno…)

(…il ramo della Val Pescara che risale fra Morrone e Majella presenta paesaggi sorprendenti: quella che dall’autostrada si percepisce come una dolce salita verso il Passo San Leonardo è un sistema di canyon aspri, profondamente incisi, che ospitano gli eremi di Celestino, e si addentrano nel fianco occidentale della Majella, verso il vallone dell’Orfento. Sono qui da qualche parte, con poco campo. Domani gazebo…)


La risposta breve è: no!

Ma è una risposta per certi versi pleonastica. Non serve a voi, che se siete qui è perché ve la siete già data; non serve agli altri, in particolare a quelli molto preoccupati di quanto rischiano di avere nel deltoide e poco e nulla preoccupati di quanto hanno già nel retto. Ci si abitua a tutto, soprattutto quando si pensa che capiterà agli altri.

L’interesse quindi è nella domanda: l’Europa può farcela?

Questa è la domanda che ci poniamo a dieci anni da quando ci chiedemmo se l’Italia avrebbe potuto farcela. La risposta a quest’ultimo quesito per certi versi è stata affermativa: la strada secondo noi sbagliata (la deflazione salariale) ci ha condotto nel posto secondo gli altri giusto (un attivo nei conti con l’estero), e siccome quella che conta è la metrica altrui, sì, possiamo dire che l’Italia ce l’ha fatta, anche se non ce l’hanno fatta molti italiani. Ma questo noi lo avevamo chiarito prima, e abbiamo la coscienza a posto.

Avevamo anche chiarito che i problemi dell’Italia, per quanto ci stessero a cuore, erano forse quelli meno rilevanti. Molto più inquietante era l’insostenibilità del modello di sviluppo tedesco, che nel palesarsi (“la Germania segherà il ramo su cui è seduta”) avrebbe reso attuali e concrete le prospettive di un conflitto à l’ancienne.

Parafrasando Flaiano: “Io di guerra parlavo nel 2012, adesso ne parlano anche i portieri!”

Non apriremo però i lavori con uno sciatto esegeta del poi, ma con un raffinato analista del prima, Carlo Galli, che ci parlerà di “Europa fra pace e guerra: nuove dinamiche e nuove prospettive”. Io comincio a pensare che si faccia un po’ troppo affidamento sul fatto che oggi non possa combattersi un conflitto guerreggiato sul nostro suolo perché da un lato “Leuropa ci dà Lapace”, e dall’altro se ingaggiassimo un vero conflitto ci sarebbe un’escalation nucleare e quindi “moriremmo tutti”. La stagione dei punturini almeno una cosa dovrebbe averca fatta capire: che l’unica morte che stia a cuore ai nostri cosiddetti simili è la propria, e che per scongiurarla una scommessa che comporti la morte di tutti gli altri in fondo può anche avere una sua razionalità. Quindi non ho mai creduto che l’atomica, più della balestra o della selce scheggiata, potesse esercitare per sempre una significativa deterrenza, e del resto chi non è convinto può citofonare Kiev. Ma sentiremo che cosa ne pensa Carlo.

Difendo la mia posizione, che è quella dell’umiltà. Ho fallito, e ad aver capito qui siete veramente in pochi. Siete però sempre di più di quanti abbiano capito nelle élite, in particolare in quelle tedesche, perché lì sostanzialmente nessuno ha capito che cosa sta succedendo. Ce lo spiegherà Lucio Baccaro, una new entry, parlandoci di “Le élite tedesche e la crisi del modello di crescita export-led”. I tedeschi non hanno ancora capito che se esporti beni importi problemi: questo risulta da una analisi approfondita delle loro mappe concettuali, della loro Weltanschauung, e questo ci conferma ogni giorno di più la cronaca. Il decoupling da quegli ottusi patologici e dai loro indirizzi politici suicidi (tutto il green lo è, e non vuole morire senza prima ucciderci) vi apparirà ancor più necessario dopo aver ascoltato Lucio.

Ma perché la Lue prende certe cantonate? Perché imbocca, acclamandoli come svolte epocali, quelli che in tutta evidenza, a noi normodotati, appaiono quali palesi vicoli ciechi? Che cosa ha causato questa incapacità (se è veramente tale) di pensiero strategico in Europa? Proverà a rispondere Vladimiro Giacché parlandoci de “La fine della strategia”. La mia tesi, lo sapete, è lamarckiana: le élite europee non hanno bisogno di sviluppare un organo che il contesto ambientale, quello del “pilota automatico”, le preserva dall’utilizzare. Non so come la pensi Vladimiro, ma credo in modo non molto diverso.

Ciononostante, come ci ricorda spesso Capezzone, il centrodestra ha “oi strategoi”, i teorici della destra che piace alla sinistra, e che poi è, semplicemente, quella che perde! Noi, non aspirando a tanto, ci accontenteremo di uno che la guerra, anzi, come oggi si dice, la pace, l’ha fatta per mestiere, il generale Boni. A lui e a un membro del Copasir Gianandrea Gaiani chiederà di riflettere su “La sfida della difesa europea”. Il membro del Copasir ve lo ritroverete poi ai capannelli, ma fate attenzione: è venuto a dossierarvi…

“Come siamo arrivati qui: anatomia di una crisi di civiltà” ci verrà spiegato da Nello Preterossi in chiusura della prima serata. Nello è per certi versi un nostalgico dell’esperienza gialloverde, considera la sconfitta di quell’esperienza come la nostra sconfitta, ed è già venuto a dircelo nel 2021. Non contesto che una sconfitta sia una sconfitta: vorrei però riflettere su che cosa quella sconfitta abbia da insegnarci. Secondo me non poco: ad esempio, che un gatekeeper è un gatekeeper; che la potenza non è niente senza controllo (il potere derivante da una forte legittimazione elettorale non è nulla senza la capacità tecnica di esercitarlo); ma anche che quando l’unica, o almeno la più quantitativamente rilevante, energia politica rivoluzionaria è il fascismo dell’antipolitica più becera, siamo già (cioè eravamo già) in una crisi di civiltà, e sarebbe (cioè era) ingenuo pensare che simili rivoluzioni portino altrove che alla restaurazione più plumbea. Ma su questo sarà utile e rigenerante confrontarsi. Come la penso lo sapete, e non voglio rovinarvi la serata.

Seguiranno i capannelli, quest’anno à l’ancienne. Spiaze per chi, non assistito dalla prestanza fisica, resterà escluso dal cerchio della condivisione.

(…di quello che succederà domenica ne parleremo domani. Ora provo a dormire: se mi sveglio presto farò quelle due ore di camminata di cui ho tanto bisogno, altrimenti aggiungerò due ore di sonno di cui non ho meno bisogno. Io come andrà a finire voglio vederlo e lo vedrò, perché me lo merito. Spero altrettanto di voi…)

(…le informazioni sono sul sito)

















2 commenti:

  1. A distanza di tanti anni la capacità di proporre ogni anno temi rilevanti che si dimostrano retrospettivamente vieppiù significativi col passare degli anni, è già di per sé il frutto di un grande successo intellettuale e metodologico.
    Nel panorama un po' desertico della politica e della cultura nostrana un programma del genere è un unicuum per la complessità della visione del mondo che lo sottende.
    E comunque nonostante tutto si ride e si scherza, il che non è
    scontato.
    Ci vediamo a Montesilvano.

    Parafraso qui di seguito l'unica frase che ho capito del post qui sopra; o forse la frase che mi è sembrata più rilevante, perché nel leggerla mi è balenata la rappresentazione plastica della nostra situazione attuale:

    l'unica morte che stia a cuore ai nostri cosiddetti liberatori è la propria, e per scongiurarla una scommessa che comporti la morte di tutti gli europei in fondo può anche avere una sua razionalità.

    Io l'ho letta così, e mi viene di sottolinearla per dire che non sono mai riuscito a credere che qualsiasi (qualsiasi) cosa abbia fatto la cattivissima e suicida "Germania" in questi ultimi vent'anni, possa non essere stata avallata, sostenuta e garantita dal capo dei capi le cui gesta, come noto, godono di ottima stampa a Capezzonia.

    Questo forse è un pezzo del problema di cui si potrebbe iniziare a parlare. Non lo so. Magari non è necessario. Nella vita prediligo i sottointesi, anche se parlar chiaro mi aiuta a pensare.


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