venerdì 19 gennaio 2024

Contributivo, retributivo, capitalizzazione, ripartizione

Molto velocemente, che devo arrivare prima della neve (attesa per stasera).

Da alcuni commenti al post precedente, e da alcuni rigurgiti della cloaca nera, intuisco che una significativa maggioranza di italiani vive in un equivoco: quello secondo cui il passaggio al sistema contributivo (riforma Dini, per gli amici legge 335 del 1995) avrebbe reso il sistema pensionistico più sostenibile perché ognuno finanzierebbe da sé la propria pensione con i contributi che versa.

In altri termini, molti confondono il metodo di calcolo contributivo con l'adozione di un sistema a capitalizzazione.

Purtroppo (e ovviamente) non è così, e visto che hanno voluto non farvelo capire (altrimenti lo avreste capito) e quindi non vi sarà facile credere a me, proiettando un film già visto con l'euro vi fornisco subito l'auctoritas di un vero economista, il prof. Brunetta, attualmente presidente del CNEL, che nella sua audizione alla Commissione che mi onoro di presiedere ha specificato quanto segue:

(il resoconto lo trovate qui). Il cambio di metodo di calcolo (ancorato ai contributi versati anziché alle ultime retribuzioni percepite) non comporta un cambio di sistema di finanziamento, e ci mancherebbe! Se si fosse passati da un sistema a ripartizione a un sistema a capitalizzazione così, "de bbotto", sarebbe stata una tragedia, perché ovviamente intere coorti di pensionati sarebbero rimaste senza pensione. Come mai? Ma per il semplice fatto che i contributi dei lavoratori attivi, anziché a finanziare le pensioni correnti, sarebbero andati, quali novelli zecchini d'oro, nel Campo dei miracoli finanziari, dove si sarebbero moltiplicati (salvo crisi uso Lehman...) in attesa di finanziare le pensioni future.

Lo stesso euro non può essere simultaneamente dato a un pensionato e investito da qualche parte!

Detta in modo brutale (non me ne si voglia), il passaggio dal retributivo al contributivo non significa il passaggio a un sistema che si autofinanzia e che quindi può relativamente fregarsene di demografia e crescita. I soldi vengono sempre dai contributi dei lavoratori attivi correnti, ma col contributivo puoi pagare un po' di meno i pensionati correnti.

E quelli futuri?

Senza crescita economica e demografica, come mi avrete più volte sentito dire, né il metodo retributivo né quello contributivo offrono garanzie di sostenibilità. L'uno e l'altro metodo si applicano a un sistema a ripartizione, si basano cioè sul fatto che ci sia qualcuno che i contributi li stia pagando (non: li abbia pagati. Li stia pagando!).

E per pagare i contributi bisogna nascere, bisogna lavorare, e bisogna guadagnare.

Tre cose che, dopo l'austerità, sono diventate tutte più difficili, in particolare l'ultima, per i motivi riassunti dal noto grafico:


Chiarito l'equivoco, quando potrò tornerò su alcuni interessanti commenti al post precedente, riconoscendo ad anto e Alberto49 di aver sollevato certi temi in tempi non sospetti, quando mai avrei pensato di dovermi occupare per lavoro di pensioni.

34 commenti:

  1. Interessante. Confesso che pure io per tanti anni ero caduto nell'equivoco.

    Poi, adesso che presiede quella commissione, quando magari si sarà fatto un'idea, forse ci potrebbe spiegare una cosa.

    Per quale motivo, "il legislatore" - come si dice quando non si sa con chi prendersela - ha dapprima creato i fondi pensione (alla fine degli anni '90) per poi cacarli lì senza più curarsene.

    Per dirne una, il limite di deducibilità fiscale è ancora - in euro - l'equivalente di 10 milioni di lire come negli anni '90.
    Anzi, ogni tanto peggiorano qualcosa, o la tassazione o qualcos'altro.

    Pare che abbiano voluto attirare i buoi nel recinto per poi massacrarli, invece di investirci sopra da tutti i punti di vista come fanno altri Paesi molto più lungimiranti del nostro. E dire che potrebbero dare una grossa mano per alleviare il peso sulle casse dello Stato.
    Saluti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Credo la seconda che hai detto, ma quello che mi preme dire è che i fondi pensione sono una iattura, costituiscono l’abbozzo, l’embrione del tentativo di eliminare anche questa parte di welfare, di privatizzare insomma anche le pensioni. Francamente non capisco che cosa possa spingere dei genitori a versare fondi su un fondo pensione per un figlio poco più che ventenne, sapendo che per cominciare a rivedere in parte quelle liquidità il medesimo figlio dovrà restare in vita quasi 50 anni e se questo accadesse le rivedrebbe come rendita perpetua. Un pac su fondi comuni credo sia millemila volte più conveniente.

      Elimina
    2. Quella dei genitori che aprono i fondi pensione ai figli piccoli pare anche a me un'assurdità.

      Ma invece ad esempio per i lavoratori dipendenti aderire al fondo negoziale - specie se fatto da giovani - dà una grossa mano a colmare il gap previdenziale a fine carriera.

      E stessa cosa dovrebbero fare gli autonomi coi fondi aperti.
      Ma la cosa va incentivata sia a livello fiscale in fase di accumulo che di prelievo, e sia nella gestione delle linee di investimento.

      Come del resto avviene in tanti altri Paesi, qualcuno citava la Norvegia ad esempio. Ma anche il Canada, il Cile... ci sono tanti begli esempi nel mondo.

      Elimina
    3. Io ho un bel fondo pensione, peraltro con gestione rischiosa che nel corso del tempo mi ha dato ottime soddisfazioni che perdurano, ma io sono un iscritto di vecchia occupazione, potrò prendere il malloppo e farne ciò che vorrò, cosa che i nuovi iscritti non potranno fare e si dovranno accontentarsi di una rendita, spesso miserrima, a condizione che invecchino almeno fino a 70 anni, una vergogna. Senza contare come questi malloppi attirino sempre più appetiti disparati e sguardi indiscreti finanche del legislatore o del fisco, come già in passato aveva avvisato Alberto. C’è poi una questione di metodo, dare centralità ai fondi pensione vuol dire disintermediare lo Stato, la società, dalla questione, e questo lo trovo inaccettabile. Spero di essere stato chiaro.

      Elimina
    4. Sul fatto che il Cile sia un "bell'esempio" ho i miei dubbi.
      Qui vige la logica del Campo dei Miracoli.
      Una domanda: se capisco bene, quindi, passare da un sistema a capitalizzazione ad uno a ripartizione ha molte meno "controindicazioni dolorose" rispetto ad un ipotetico percorso inverso?

      Cordiali saluti e grazie mille :)

      Elimina
  2. E cosa c'è di meglio di una bella guerra per passare da un sistema a ripartizione a un sistema a capitalizzazione, donando l'oro (pensionistico) alla patria (di RTX)?

    RispondiElimina
  3. è chiaro ma perchè non fare come il fondo sovrano domestico (non globale) norvegese che, aderendo ai principi di Santiago, garantisce investimenti profittevoli a favore delle pensioni delle generazioni future? L'ho detta semplice, quasi ingenua, ma spero che il concetto suggerisca qualche ragionamento ai più bravi. Certo, loro hanno il petrolio come sottostante, ma, vivaddio, non è una forma di garanzia che mi sentirei di valutare come solida alla stregua dell'oro, nel lungo termine.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In tutta onestà questa mi sembra aria fritta e sinceramente l'osservazione mi sembra laterale rispetto al punto che evidenzio nel post. Che il "fondo" a capitalizzazione sia etico o meno, quanto cominci a contribuire ad esso sottrai liquidità al sistema vigente a ripartizione. Su quanto l'oro sia più solido del petrolio si potrebbe discutere in termini economici (in termini fisici no perché il petrolio è liquido).

      Elimina
    2. grazie, capisco le sue opinioni e sono comunque contento per la riflessione su un tema così attuale e cogente. Magari, dopo le europee, spero sia possibile riprendere a ragionare fattivamente su questo tema da parte della lega e degli alleati di governo; lo dobbiamo alle future generazioni

      Elimina
    3. Ah! Le future generazioni! Il cruccio era enorme già per Einaudi agli inizi del 900. Mio nonno nacque proprio nel 1900 spaccato, dovette fare 2 guerre, la prima come ragazzo del 900, e la seconda come padre di famiglia. Dopo la seconda guerra, poiché Einaudi si sentiva ancora in debito con le future generazioni, dovette riemigrare in africa per altri 5 anni, ebbene sì, perché aveva appena venduto la sua terra per comprarne un'altra ad un chilometro da casa invece che a 10, che percorrere con l'asino era un poco più scomodo, e con i soldi della vendita ci comprarono un maiale, questo era sempre nei racconti subito dopo di quelli su Biancaneve, così a 50 anni potè nuovamente avere gli strumenti per sfamare la famiglia. Ma intanto i primi due figli erano dovuti partire per l'Argentina. Ah, le generazioni future! Lo dobbiamo, sì sì, come no?!

      Elimina
    4. semplicemente perchè io, lei, Bagnai, l'avremo, più o meno dignitosa; alle future generazioni, allo stato attuale, andrà peggio. Dovere morale, ribadisco

      Elimina
    5. Prendo atto che lei considera il suo "dovere morale" superiore a quello che stabiliva per sé Luigi Einaudi. È che bisogna essere fortunati, e nascere nelle epoche in cui le persone vogliono fare veramente sul serio, ma dico veramente veramente, mica solo semplicemente veramente.

      Elimina
  4. Quando seppi che ti saresti occupato di pensioni ho avuto un momento di gioia e di questi tempi non è poco!
    Grazie.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io no, ma sto imparando molto. Del resto, nel mio distante passato ci sono anche due esami di matematica finanziaria e uno di matematica attuariale delle assicurazioni sociali, quindi la parte tecnica dovrei saperla gestire. Quella politica è riassumibile dal noto grafico.

      Elimina
    2. Direi risposta esemplare di come sei, prendi le cose sul serio e te ne assumi sempre personalmente le responsabilità e lo farai benissimo! Certo un cario maggiore di impegni forse non ci voleva. Siamo qui per darti supporto ed esserti vicini. Un abbraccio.

      Elimina
  5. Molto utile, sapevo che il sistema fosse a ripartizione ma nell'articolo ci sono degli aspetti che spiegati dal Professore sembrano banali nella logica ma che spesso non si tengono in debita considerazione e che non avevo esaminato in modo adeguato. Detto questo si torna sempre al fatto che la robustezza della busta pensionistica "promessa" a chi oggi lavora dipende da quanti lavoreranno domani e quindi dal Pil, dai redditi, dall'occupazione e che l'austerità non ha reso più stabile il sistema previdenziale ma più precario, anche e banalmente perchè aumentando la disoccupazione ha ridotto le entrate contributive.
    Buon rientro e buon fine settimana.
    Giuseppe

    RispondiElimina
  6. "Molto velocemente, che devo arrivare prima della neve (attesa per stasera)".
    Sono le 23 e qui si sta in pensiero...

    RispondiElimina
  7. Altrimenti non si spiegherebbe l'ingiustizia del fatto che prendo in proporzione a quanto ho versato ma non posso uscire quando voglio. E' invece normale che se prendo quasi quanto l'ultima retribuzione, quando esco lo decide il sistema.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il sistema decide quando esci ma con un'ultima retribizione niente affatto vicina all'ultima retribuzione. Il tasso di sostituzione si aggira tra 40 e 50% dell'ultima retribuzione. Il punto è questo, meno si cresce meno pensioni si incasseranno; dunque austerità e avanzi primari = meno pensioni in buona sostanza.

      Elimina
    2. Mi scuso per i refusi, intendevo "con assegno pensionistico niente affatto vicino all'importo dell'ultima retribuzione." Parliamo di meno della metà, stante le attuali proiezioni attuariali.
      Un caro saluto,
      Giuseppe

      Elimina
    3. Si, mi sono spiegato malamente: illustravo i due sistemi sostenendo che a mio modo di vedere è 'ingiusto' che se percepisco l'assegno sulla base di quanto ho versato sia il sistema decidere quando posso uscire. La spiegazione ovvia è che lo stesso non si autoalimenta.

      Elimina
  8. Si impara sempre qualcosa. Ero beato (cit.) nella mia convinzione che invece il sistema contributivo fosse sostenibile per definizione. Pillola rossa del sabato.
    Ma in tutto questo le c.d. previdenze complementari dei contratti collettivi non sono un passo verso il fondo pensione assicurativo all'americana?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il "secondo pilastro" (fondi pensione) adotta generalmente sistemi a capitalizzazione individuale (vedi anche qui). Sui fondi negoziali, che sono quelli di cui parli tu, vigila la COVIP (ma anche la Commissione Enti Gestori).

      Elimina
    2. a me sembra che il problema sia europeo, perchè globali sono le cause, evidenziate dai threads; il punto è: perchè non prevedere un meccanismo di stabilità (visto che farebbe comodo anche ai frugali a cui tanto piace il mes) degli enti gestori dei fondi previdenziali nazionali, che, se istituìto, avrebbe una potenza di fuoco finanziaria non banale. Sicuramente se ne sarà discusso a vari livelli ed in forma meno semplicistica, pertanto chiedo venia

      Elimina
  9. https://vm.tiktok.com/ZGeM5R3v5/ ancora più veloce 🤣

    RispondiElimina
  10. Egregio Onorevole,
    le scrivo per alcune considerazioni sul peso dei fattori da lei citati, relativamente alla sostenibilità del nostro sistema pensionistico.

    Se l'ammontare delle pensioni PE deve coincidere con l'ammontare dei contributi versati CO e questi sono una frazione k del monte salari W, allora si ha che:
    PE = CO = k*W = k*(W/E)*(E/WA)*(WA/P)*P
    dove E sono gli occupati, WA è la popolazione in età lavorativa e P è la popolazione totale.

    Se ora si definiscono:
    - il salario medio nominale degli impiegati w = W/E;
    - il tasso di occupazione e = E/WA;
    - la quota di popolazione in età lavorativa wa = WA/P;
    - la pensione media pe = PE/(P - WA);
    risulta: pe = k * w * e * (wa/(1 - wa))

    La pensione media di equilibrio è quindi proporzionale al salario medio.
    Va sottolineato che, attualmente il fattore entro parentesi tonde è pari a 2, ma nel 2050 sarà pari a 1 (vedasi https://www.istat.it/it/files/2023/09/Previsioni-popolazione-e-famiglie.pdf). Questo è l'effetto demografico!
    Compensare questo dimezzamento è impossibile e per garantire pensioni dignitose l'unica soluzione è un incremento più che significativo dei salari. Considerato che, in termini reali, essi sono fermi da 25 anni, le prospettive non sono delle migliori.

    Un saluto e buon lavoro,
    Fabio

    RispondiElimina
  11. La storia del campo dei miracoli, la lessi tanto tempo fa sul blog di Gennaro Zeza (qui: https://gennaro.zezza.it/?p=891#comments)
    Il sistema contributivo, spiegava Zezza dopo aver premesso che non era un esperto del ramo ma che era stufo di sentire luoghi comuni, non è come piantar zecchini per raccoglierne i frutti zecchini alla pensione, perché le pensioni sono un prelievo attuale dai salari e un trasferimento attuale sulle pensioni, e niente viene messo all'accumulo, cioè sono una sistema di solidarietà tra generazioni. A Cassino avevano scritto su: Economia e luoghi comuni, che la percentuale previdenziale complessiva del prelievo sui salari sembrava essere, decimale più decimale meno per tutti i paesi avanzati, di circa il 33%, qualsiasi fosse il sistema adottato, che fosse complementare o non complementare, materasso o investimento immobiliare. Le imprese, a quanto pare, con questa situazione non c'entrano nulla, perché tutto grava sui salari, come lo era pure nell'impero romano. Riguardo le pensioni, il contributivo era un calcolo relativo al tasso di crescita dei tempi migliori, il contributivo è un calcolo adeguato alla minore crescita attuale. E le nuove forme flessibili di lavoro che generano l'attuale crescita, genereranno anche le relative ricadute.
    Se tutto ciò è corretto, direi che infine, per le pensioni, il sistema lo richiameranno sistema solidale, oppure sistema del cetriolo, o qualche cosa di simile, soprattutto se non si torna ad un reddito annuo decente. Cioè, se non si decide di ritornare a far sul serio, per il futuro la strada dell'inferno è già appositamente lastricata, e sicuramente, se 120-mila giovani all'anno, spesso molto qualificati, vanno via all'estero perché così si è pianificato, la produttività andrà sempre più a picco e la strada è segnata.

    RispondiElimina
  12. Dati ed analisi sono come sono . Quello che vedo mancare è la fantasia applicativa per una possibile soluzione .
    Esempio:
    a)spostare la contribuzione dagli umani ai robot
    b)finanziare la produzione di robot pubblici per l'agricoltura e l'industria
    c)i padroni li noleggiano quando servono , il ricavato va a contribuzione
    conseguenza:
    d)nessuna necessità di immigrazione
    e)denatalità gestibile
    L'agricoltura italiana è la più "costosa" del mondo (in dare ed in avere) pertanto l'Italia può essere la fonte produttiva di ogni tipo di robot agricoli (dalle olive al pomodoro ai tartufi ) .
    Si noti che la Cina e l'India non possono robotizzare in quanto hanno troppi umani .
    Ovviamente per pensare in questo modo occorre un coordinamento interdisciplinare fra i ministeri e mettere le basi giuridiche per una possibile normativa di passaggio da "fondata sul lavoro" a "fondata sulla produttività del lavoro" .
    Attualmente tutta la produttività passa in capo al capitale in quanto si considerano i macchinari come "capitale fisso" ma non è scritto da nessuna parte che debba essere così .
    Ovviamente una IRI per i robot che noleggi gli stessi avrebbe il vantaggio di produrre l'indotto che potrebbe vendere i prodotti in tutto il mondo (ed anche fuori: appena Elon M. diventerà Elon I di Marte la produzione dei robot necessari dovrà essere fatta sulla terra per molti anni ancora) .
    Già attualmente la robotica italiana (e giapponese) sono fra le migliori del mondo .

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E chi obbliga i "padroni" a non noleggiare robot da Fanuc o Kuka? E anche le aziende italiane di robot non sono così italiane.
      Il problema è che Goldman Sachs (sineddoche) non paga le tasse e si risolverà solo facendo pagare più tasse a Goldman Sachs.

      Elimina
    2. Vero ,ma se oggi non trovi un robot per raccogliere le olive, l'uva o i pomodori è perchè Kuka e Fanuc non hanno convenienza a farli . L' Italia è pena di piccole aziende che fanno cose che nel resto del mondo gli altri non fanno. Sia Kuka che Fanuc non fanno robot ma macchinari di automazione industriale . Il concetto applicato all'agricoltura semplicemente è assente , si trovano le prime macchine automatiche di raccolta uva solo da qualche anno . Fatte in italia da artigiani . Il fatto che il governo si rivolga ad aziende italiane per svilupparne i prodotti è , appunto, una azione di governo . Le aziende che non sono totalmente italiane non avranno commesse, il come fare passa da una P.A. che faccia gli interessi della nazione e quelli di terzi .
      Provocazione: mi presti 1 milione per entrare in produzione con droni in bambu ? Anche buoni per attività belliche .

      Elimina
    3. Non fanno robot? Strano, ho tra i piedi un affare giallo che sembra proprio un robot e c'è scritto FANUC. Oltre ad avere un paio di contratti per le mani con KUKA AG con oggetto "Manutenzione robot". Ma sarà una svista. Come sarà assolutamente scevra dalla mia esperienza personale la risatina al panegirico alle piccole imprese italiane che il mondo ci invidia.
      Ammesso che tu possa aggirare le regole leuropee e assegnare appalti pubblici solo ad aziende italiane, le macchine per l'agricoltura, che, per altro, già esistono e non le fa Comau ma SAME, questa non sarebbe in grado di soddisfare il mercato con le produzioni negli stabilimenti italiani. E le aziende non hanno convenienza a comprare macchine agricole perché si importano schiavi che letteralmente pagano per lavorare. Invece di pensare a improbabili wunderwaffen, chiedine conto a chi vota per mandare missioni militari all'estero.

      Elimina
  13. Lavoravo per Olivetti ed Alenia nei primi anni 80 e la politica "faceva" le relazioni industriali e sceglieva cosa e come fare. Il bypass delle regole a favore delle aziende italiane era sistemico e cooperativo fra politica, P.A. e aziende .
    Quello che faccio notare è che "risorsa INPS" non è solo un immigrato ma anche un "coso" giallo o arancione o bianco sporco .
    Ma per consentire questo occorre una normativa che lo preveda , cosa che attualmente non c'è ( o mi pare che non ci sia) .
    Tutte le condizioni normative si possono cambiare e quelle che non si riesce a cambiare si disapplicano : dipende dalla forza e dalla coesione del potere politico.
    La mia critica alla sua posizione è sulla azione da intraprendere: la via della tassazione alle multinazionali è una via che non mi convince .
    La via che funzionava era l'uso della forza dello stato posta sulla bilancia (o meglio sul bilancio) di chi rompeva le scatole .
    Non comprendo il riferimento alle missioni all'estero.
    Per quanto riguarda SAME o simili : non credo a limiti strutturali ma solo a limiti politici volutamente mascherati da normativi , economici o di opportunità .


    RispondiElimina
  14. Non ho parlato di multinazionali: quello era un problema legato ai vaccini. Oggi la "politica" non vuole o non può uscire dal solco tracciato da qualcuno. È un dato di fatto, altrimenti non staremmo qui a discuterne. Il problema è che il valore aggiunto esce vieppiù dalle nostre tasche per finire in quelle dei padroni del vapore: finché non si inverte il processo il problema non si risolve.

    RispondiElimina

Tutti i commenti sono soggetti a moderazione.