L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
Volevo riferirvi brevemente sulla mia attività istituzionale, perché penso che possa interessare alcuni di voi (in particolare, i medici, gli avvocati, gli ingegneri, gli architetti, i notai, i veterinari, gli agenti di commercio, i dottori commercialisti, i ragionieri, i geometri, gli impiegati delle aziende agricole, i consulenti del lavoro, gli infermieri professionisti, gli psicologi, gli attuari, i veterinari, i giornalisti, e poche altri categorie).
Come mi avrete sentito dire, dal 13 settembre 2023 sono Presidente della Commissione Bicamerale di Controllo degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale (per gli amici: Commissione Enti Gestori). Per motivi che ignoro c'è voluto più di un anno ai piani alti per comporre il puzzle che mi ha portato ad assumere questo incarico. Della Commissione Enti Gestori avevo sentito parlare solo una volta nella legislatura precedente (quando ero in Commissione Finanze al Senato), perché mi era stato sottratto uno dei funzionari in dotazione alla mia Commissione per destinarlo, appunto, alla "Enti Gestori", di cui mi era stata succintamente spiegata la funzione. Mai avrei pensato di trovarmi un giorno a presiederla. A un certo punto della scorsa legislatura mi ero accorto della scomparsa del collega Nannicini. Solo dopo l'ho collegata al fatto che dal 23 febbraio 2021 era diventato, appunto, Presidente della Enti Gestori (il mio predecessore diretto). Un presidente molto più discreto o accomodante, a giudicare da quello che riporta il web (poco o niente), nonostante che nel suo mandato si fosse trovato a gestire una bella gatta da pelare: il conferimento all'INPS, a partire dal 1° luglio 2022, della funzione previdenziale fino a quel momento svolta dall'INPGI, provvedimento preso nella legge di bilancio per il 2022 dal Governo Draghi. Un discreto sollievo per la professione informativa, che infatti ringraziò con il noto applauso:
Questa operazione di acquisto di consenso a prezzo di un gigantesco problema di moral hazard non fu di grande utilità a chi la praticò, ma temo sia stata di grande danno alla credibilità del sistema delle casse, che vive in una dimensione anfibia: enti privati (o privatizzati) che assicurano un diritto costituzionalmente tutelato, talché finché le cose vanno bene si rivendica con toni accesi l'autonomia, ma quando le cose vanno male si viene accolti nelle grandi braccia del bilancio statale. Sarebbe interessante ragionare se vi fossero tracce di questa catastrofe annunciata nei lavori della Commissione (credo di sì).
La storia della Commissione Enti Gestori è piuttosto lunga e può essere fatta risalire al Regio Decreto 2 gennaio 1913, n. 453. All'inizio una stessa Commissione bicamerale doveva vigilare su Cassa Depositi e Prestiti e sul sistema pensionistico. La Commissione venne sdoppiata nel 1989. Fun fact: nella legislatura precedente ero stato in Commissione di vigilanza CDP, cioè nella commissione "cugina" di quella che attualmente mi onoro di presiedere.
Il lavoro di una Commissione bicamerale sconta la difficoltà di dover conciliare i calendari dei due rami del Parlamento e anche quella di doversi relazionare con due Presidenti. I Presidenti di Commissione infatti non hanno rappresentanza esterna, e questo significa, ad esempio, che ogni audizione deve essere autorizzata dai presidenti di entrambi i rami (due lettere da spedire, due autorizzazioni da ricevere). Questi costi di transazione possono essere abbattuti incardinando una "indagine conoscitiva" ai sensi dell'art. 144 del Regolamento (prevale il regolamento del ramo del Parlamento cui appartiene il Presidente, e quindi qui ci riferiamo al Regolamento della Camera). Una volta autorizzata (dai presidenti delle due assemblee) l'indagine conoscitiva, così come deliberata in Commissione, le audizioni in essa programmate possono essere svolte senza ulteriori autorizzazioni. Per questo motivo una volta iniziato a carburare (completati i ranghi dei funzionari) abbiamo incardinato due indagini conoscitive: una sulle politiche di investimento, e una sull'equilibrio delle gestioni.
La prima indagine si è conclusa il mese scorso e il documento conclusivo lo trovate nel resoconto della seduta del 12 giugno 2025, in cui è stato approvato. La sua lettura credo possa interessarvi, e in ogni caso ha interessato gli operatori informativi, che se ne sono occupati, ad esempio qui:
(lo segnalo ai vittimisti paranoici: non tratto male solo voi!), ma anche qui:
con un certo mio stupore.
Nel frattempo, è successo anche che gli uffici del Ministero del Lavoro abbiano preso sul serio il lavoro svolto in Commissione e abbiano interpellato le Casse chiedendo ragguagli:
e questa in effetti è una soddisfazione: vuol dire che il lavoro è stato utile.
Il prossimo 8 luglio presenteremo questo lavoro alla Sala della Regina in Montecitorio. Se avete osservazioni mettetele qui, se volete esserci scrivete al mio indirizzo della Camera (ma i posti sono molto pochi).
Io che in quarant'anni non mi sono mai perso in montagna, nonostante nebbia, neve e notte, non potevo che perdermi alla mia prima escursione con l'esperto del luogo, con l'autoctono!
Bisogna sempre diffidare degli esperti, perché fatalmente cadono nella rete dell'inganno più insidioso, l'overconfidence, che tante vittime ha mietuto, non solo sui mercati finanziari.
L'amico mi aveva detto: faremo un anello!
Io, che scorte di energia ne ho (fin troppe), scorte di acqua ne avevo prese, e col mio zaino sovradimensionato ero pronto ad affrontare un range abbastanza ampio di condizioni metereologiche, non ero stato troppo a informarmi. Poteva sembrare che non mi fidassi, e infatti non mi fidavo, per il semplice motivo che quando si tratta della mia pelle mi fido solo di me (o del mio medico, più esattamente di uno di loro...). Ma proprio per questo, tanta (e tanto misconosciuta) era la mia delicatezza che non avevo chiesto "de preciso" dove saremmo andati, un po' per fatalismo, ma soprattutto perché per motivi di lavoro non avrei avuto il tempo di compulsare nevroticamente le carte e i repertori di itinerari della zona, bellissima (cioè abruzzese) ma a me ignota. Per una volta volevo saperne meno dell'autoctono, o, per meglio dire, volevo dare all'autoctono la soddisfazione di saperne più di me, volevo insomma lasciarmi sorprendere.
Ironia della sorte, eravamo alle falde di un monte di cui avevo negato l'esistenza a un amico proveniente da una regione che non esiste (il Molise): il Monte Meta, che per me era solo questo, mentre per lui era anche questo.
Aveva ragione lui (ma fino a un certo punto, perché il primo in realtà si chiama "la Meta", tout court).
L'amico (quello autoctono) voleva giragli intorno partendo dalla fine della sterrata e verosimilmente tornandoci, ma senza carta, senza bussola, senza GPS. Del resto, basta poco, che cce vò: è una collinetta di 1784 metri (cento meno del Secine) e dovevamo solo girargli intorno.
Vi spiego in breve com'è andata, con l'aiuto di questa diapositiva:
tratta da qui (cioè da uno di quei siti che di solito consulto prima quando da umile non autoctono mi organizzo per riportare la pelle a casa...).
Parcheggiata la macchina alla fine della sterrata (puntino rosso in basso), in località Vallopiana, partiamo seguendo l'indicatore per Valle Strina:
con l'idea di percorrere un anello in senso orario (quello evidenziato in fucsia). Sentiero ottimamente segnato, arriviamo in breve alla Valle Strina, appartata, solitaria, bellissima. A Capo di Serre troviamo un indicatore che ci segnala a destra la deviazione per il Vado di Focina, cioè questa qui:
ricalcata in violetto (Vado di Focina è il "guado", il colle che si affaccia sull'alta Val Pescara, precisamente sulla patria dell'arrosticino: Villa Celiera), ma noi proseguiamo lungo la valle proseguendo verso Nord, fino a quando non si palesa, a una strettura, la mole del Prena:
Mai viste così tante genziane:
e tanta altra vegetazione con cui non vi tedio. Proseguendo, la vista si apriva sempre più su Campo Imperatore, visto da sud, con (da destra a sinistra) Camicia e Prena:
Il piccolo Tibet d'Abruzzo, ma anche lo scenario di tanti spaghetti western. A un certo punto pieghiamo a Nord Est, seguendo un sentiero laterale, e ci fermiamo a mangiare nel punto più a Nord dell'anello, vicino a un roseto, da cui si godeva di una vista magnifica su Campo Imperatore, col ristoro Mucciante, Fonte Vetica, e tutte le cose che chi sa vedrà e a chi non sa non interessano:
Rinfrancati, ripartiamo, e qui attenzione, perché arriva l'errore. Ci muoviamo verso Sud Est seguendo la freccia rossa:
ma io ero convinto che ci stessimo muovendo verso Sud, perché non mi ero reso conto che dal crinale principale, evidenziato dal tratto celeste, si distaccava un crinale secondario, evidenziato in giallo, che si muoveva, appunto, verso est. Quindi, mentre io pensavo che stessimo restando sul ciglio occidentale dell'altipiano del Voltigno, in realtà ne stavamo percorrendo il ciglio settentrionale in direzione Est (cioè verso Vado di Focina - Villa Celiera).
Ora, come ben sanno gli #abruzzesiautentici e i #parlamentarichefrequentanoilterritorio, quindi, ça va sans dire, non io, il nome del Voltigno è associato a tristi ricordi. Questo per dirvi che se tutto mi predisponeva all'ottimismo (il tempo smagliante, la vegetazione lussureggiante, il sentiero comodo e ben segnato, e le tante creaturine del buon Dio
che accompagnavano il nostro cammino), una certa sottile inquietudine comunque mi permeava, quella tensione con cui inizia ogni episodio delle serie americane che tanto mi conciliano il sonno, al cui inizio, invariantemente, uno o più personaggi ignari e spensierati si imbattono, quando meno se lo aspettano, nelle macabre vestigia di un qualche orrendo crimine. E insomma, si va e si va, e io mi aspettavo (pensando di andare a Sud) di imbattermi prima o poi nel sentiero che partiva da Capo di Serre e che mi avrebbe permesso (pensavo), traversando verso Ovest, di tornare nella Valle Strina, e da lì alla macchina. Sarebbe in effetti stato così se i capricci della tettonica non ci avessero messo in mezzo il crinale giallo! Seguendolo, arriviamo a un altro segnavia, in località "La Zingarella":
e lì qualquadra non mi cosa, perché a destra mi sarei aspettato la Valle Strina! Comunque, con l'esperto, decidiamo che è meglio andare a destra (cioè, credevamo noi, a Ovest) che a sinistra. Invece destra era Sud, perché eravamo ruotati di 90 gradi! Entriamo in una faggeta solenne, popolata di faggi colonnari:
ed estremamente poco frequentata. A un certo punto, penso che anche se il segnale non c'è, la bussola del telefono dovrebbe funzionare. Do un'occhiata, e mi rendo conto che stiamo procedendo verso Est, cioè, per capirci, verso Villa Celiera (patria dell'arrosticino), non verso Villa Santa Lucia, insomma: verso il margine dell'altopiano opposto a quello in cui avevamo parcheggiato. Si apre a destra (che a questo punto è Sud) un sentiero con segni bianco-rossi, ma anche sbarrato da qualche ramo. Decidiamo di andare a Sud seguendo i segni, finché i segnali terminano e il sentiero non riesce su un prato ripido, popolato di verbaschi in piena fioritura:
che finalmente ci consente di capire dove siamo: non sul margine occidentale, ma su quello settentrionale dell'altopiano, verso il quale dobbiamo scendere per risalire poi sul bordo occidentale che ora è alla nostra destra:
Eravamo dove non avremmo dovuto essere, ma almeno lo sapevamo. La cosa non è priva di vantaggi, del resto. Il mio amico, cui lasciavo fare il passo, vede davanti a sé un grosso felino selvatico (bella esperienza: io guardavo a dove mettevo i piedi), segno evidente che da lì nessuno mai passava. Con qualche minima cautela, perché l'erba alta non facilita il passaggio (e può nascondere qualche sorpresa) arriviamo al fondo del catino, che presenta tratti da brughiera irlandese:
Sulla nostra destra la pastorella Giulia con le sue pecore (questa è un'altra storia su cui non mi dilungo):
e di fronte a noi un lago di erba rigogliosa e in fioritura: fioriva la scabiosa, fioriva il verbasco, fioriva soprattutto la piantaggine:
una pianta che, con le sue spighe prodighe di polline, riesce sempre a commuovermi. E, in effetti, solo grazie a un minimo di copertura antistaminica riesco ad arrivare vivo al ciglio dell'altopiano da cui dovevamo riguadagnare la macchina. Volto lo sguardo indietro:
ci facciamo i duecento metri di salita all'ombra, ma lì partono lacrime e starnuti (che è sempre meglio di lacrime e sangue):
Il problema non era nemmeno questo, quanto il fatto che l'amico carissimo che mi aveva portato con sé, avendo qualche anno più di me, era passato per qualche malanno che presumo aspetti al varco anche me (ma va detto che il mio rapporto con le analisi cliniche è come quello con le carte geografiche: le uso per evitare sorprese, mentre il suo rapporto con le analisi cliniche è come quello con le carte geografiche: non le usa, forse perché ama le sorprese, che però in caso di negligenza raramente sono buone...). Insomma: al momento di affrontare la salita mi dice che era la prima escursione che faceva dopo un intervento non banale. Un pensiero mi traversa la mente: "Ho trovato uno che è più testa di cazzo di me! Ecco perché mi sta simpatico. Ma ora come lo riporto su?"
Con qualche pausa (e uno scenario di disaster recovery che prevedeva che io andassi su rapido a prendere la macchina e poi scendessi per la sterrata a prenderlo) tutto si risolve per il meglio, e in cima al ciglio dell'altopiano assistiamo allo spettacolo della nebbia che agli irti colli piovigginando sale:
Conclusione fresca di una giornata non calda e ombreggiata, per fortuna, visto che mi ero dimenticato la crema solare (no comment: sul Monte Amaro mi sarei scortecciato come una betulla).
La morale della favola è che un occhio alla bussola conviene comunque darlo (peraltro io ho anche un lussuosissimo GPS ma devo imparare a usarlo e sono un po' neofobo...).
Tuttavia, nonostante questo aneddoto durato 15.6 km contenga interessanti ammaestramenti, non era di questo che volevo parlarvi. Volevo invece soddisfare questa curiosità:
Pubblicato da KitKot3 su Goofynomics il giorno 16 nov 2024, 07:44
A me sembrava di essere stato abbastanza esplicito:
ma posso provare a esserlo di più, in base al noto principio "meglio perdere un amico che una buona risposta".
Non è perché l'attacco alla proprietà privata è di sinistra che l'overtourism debba diventare di destra, perché è di destra anche la difesa dell'identità culturale.
Capisco e politicamente sostengo la battaglia politica perché chi è proprietario di appartamenti possa, entro determinate regole, disporne come desidera, ma non assocerei questa battaglia alla negazione del fatto che l'overtourism sia oggettivamente un problema in realtà come Roma, e possa potenzialmente diventarlo ovunque si sragioni di "turismo come petrolio del Paese". Tra l'altro, le masse di barbari lobotomizzati, teleguidati con le cuffiette da guide annoiate e frettolose, non credo alberghino in B&B. Si può quindi difendere l'affitto breve senza denigrare chi difende il proprio diritto a essere se stesso nel proprio mondo, e chi denuncia l'assurdità di certi modelli di sviluppo totalmente sbilanciati.
Sarà che da toscano mi capita di essere ormai straniero in patria, una patria devastata, deturpata, mutilata da orde di turisti e dal desiderio suicida di offrire loro la Toscana che si pensava che loro si immaginassero e chiedessero, in una sorta di perverso beauty contest keynesiano:
(qui per i neofiti), anziché, semplicemente, la Toscana risultante dall'essere e voler essere se stesso (e quindi, tra l'altro, non particolarmente ospitale) di ogni toscano! In effetti, quando Claudio ha tuittato, in un afflato di sincerità dal quale escluderei intenti di captatio benevolentiae:
avrei avuto (da toscano) la risposta immediata: "Lo so io cos'è, gli è che tu in Toscana un ci sei nato!"(ma mi sono morso la lingua e non l'ho detto perché sembrava poco carino).
Per me la Toscana non potrà mai più essere felicità, ma solo lutto. Il centro di Firenze sventrato dai turistifici mi accora e mi abbatte quanto l'idea che qui presto troveremo una di quelle carbonarerie H24, dove buttadentro slavi attirano nuovi benestanti cinesi allettandoli con un bel piatto di pasta scotta da mangiare sorseggiando un cappuscheeno a qualsiasi ora del giorno e della notte (capisco il jet lag, ma Dio santo!). Anzi, a dire il vero Firenze mi deprime più di Roma, perché Roma l'ho sempre e solo subita e gestita, mentre in fondo Firenze fino agli otto anni è stata casa mia.
E il paradosso è che ora vedo pregiati esponenti di classi politiche orgogliosamente autoctone costruirsi "sul territorio" un destino di sradicati, andando alla ricerca non di se stessi, ma di quello che secondo loro "il turista" potrebbe desiderare. Tanto orgogliosi di appartenere al centimetro quadrato in cui sono nati, e solo a quello, quanto ansiosi di lasciarlo devastare da un'orda di automi standardizzati che sorseggiano uno spritz con una pizza margherita alle 10 come si abboffano di spagetti bolognaise alle 17.
Ora, per carità: esattamente come il diritto alla proprietà privata, anche quello alla mobilità è sacro e inviolabile.
Ma il diritto a non farsi rompere i coglioni vogliamo prenderlo in considerazione, per un futuro abbozzo di carta fondamentale?
Potrebbe aprire prospettive innovative.
Perché alla fine la mobilità è anche quella del romano che vorrebbe poter andare dal punto A al punto B senza testare infinite volte il principio di impenetrabilità dei corpi, o vorrebbe poter tornare in locali di qualità non spiazzati dalla legge di Gresham (nella versione secondo cui la ristorazione cattiva scaccia la buona).
Si tratta di un'ipotesi, che vi sottopongo astrattamente, perché per me che nella natura ci vado, e che ne leggo il linguaggio semplice e piano, è piuttosto chiaro che il mondo al disotto dei mille metri presto diventerà insalubre: ci facciano quindi ciò che vogliono, e noi attrezziamoci in una defensible position.
Da Roccaraso è tutto, ora scatenatevi, che io dormo. Domani (cioè oggi) andrò sul Monte Zurrone per una bella cerimonia, ma anche di questo parleremo un'altra volta.
(...il passaggio all'iPhone 16 si è rivelato un disastro, la qualità delle dirette è peggiorata verticalmente, speriamo di capire perché, o me lo terrò come macchina fotografica e tornerò all'iPhone 12. Per questo motivo non so se avete potuto ascoltare le due domande che ho posto questa mattina, e quindi le ripeto qui...)
Prima domanda
Ma se quando in Iran c'era lo scià tutti stavano bene, c'era tanta libertà e prosperità, e le ragazze andavano in spiaggia col bikini, perché e da chi lo scià è stato mandato via?
Seconda domanda
Ma se da quando c'è la teocrazia tutti stanno male, c'è tanta oppressione e miseria, e le ragazze devono andare in giro col velo, perché la teocrazia resiste alle tante proteste che pure vediamo e condividiamo?
Conclusioni
Non sto cercando polemiche. Non sto difendendo né attaccando nessuno dei due regimi citati. Non mi interessa, perché io veramente penso che a casa propria ognuno debba potersi regolare come meglio crede, perché questo è quanto io vorrei per il mio Paese, cui questa possibilità è preclusa.
Mi interessa invece sapere se vi siete posti anche voi queste domande, o se magari conoscete, avendo studiato o frequentato quei luoghi, le risposte. Io da voi imparo tanto, sono certo che imparerò anche questa volta.
Come ricorderete, il 29 marzo 2020, quando il mondo si preoccupava della deflazione, vi spiegai perché la pandemia, se gestita come l'avrebbe gestita la BCE, avrebbe invece potuto condurre a inflazione dal lato dell'offerta. Il punto centrale del ragionamento era questo:
e la mia tesi era che per evitare inflazione da offerta la BCE avrebbe dovuto anticiparla con uno stimolo monetario che evitasse la distruzione di capacità produttiva. Ma, si sa, nella mistica europea la distruzione di capacità produttiva è sempre vista come qualcosa di positivo, perché si presuppone che le attività che vengono terminate siano appunto le meno produttive, il che contribuirebbe (si sostiene) a un aumento del livello medio di produttività (tagliando la coda inferiore della distribuzione). Si scelse quindi di lasciare che la recessione facesse il lavoro sporco, e in generale si scelse una linea di gestione della pandemia basata su chiusure e riaperture la cui razionalità è contestata da alcuni epidemiologi illustri, ma le cui conseguenze sono piuttosto ovvie (e vanno nella direzione che vi indicavo ex ante).
Infatti, a meno che voi non aderiate alla vulgata #hastatoPutin, smentita dai dati che collocano i picchi degli incrementi di prezzo delle materie prime molto prima dello scoppio del conflitto in Ucraina e in occasione delle "riaperture" delle grandi rotte economiche:
(la fonte è il solito Pink Sheet), credo possiate facilmente riconoscere che, pur essendo visibile e significativo il contributo del conflitto in Ucraina (che peraltro è esso stesso uno shock di offerta), i picchi più elevati dell'incremento di prezzo erano antecedenti e causati, come si ricorda chi segue quei mercati, da strozzature dal lato dell'offerta a fronte di un incremento della domanda che in alcuni casi esprimeva un fisiologico rimbalzo, e in altri era drogato da provvedimenti molto espansivi (Superbonus) ma in qualche modo postumi.
che, tanto per cambiare, ci dice cinque anni dopo quello che sapevamo cinque anni prima (ricorda qualcuno?).
L'articolo è molto tecnico e molto ben fatto, sarà un piacere leggerlo con calma, ma una conclusione però possiamo trarla fin da ora: se le tensioni inflazionistiche non dipendevano principalmente dal surriscaldamento del clima macroeconomico, ma piuttosto da strozzature e shock dal lato dell'offerta, allora la strategia adottata per combatterle alzando i tassi d'interesse per raffreddare un'economia che non era surriscaldata era (ed è) radicalmente inefficace e dannosa. Le "banche centrali indipendenti" si confermano il maggiore ostacolo sulla via della razionalità e quindi del progresso economico, semplicemente perché la loro indipendenza non è concepita affinché esse operino per perseguire un ipotetico interesse generale (questo sarebbe compito politico, da affidare a organi politici), ma l'esclusivo interesse dell'industria finanziaria, che non sempre coincide (essendo miope) con quello generale.
E anche questo lo abbiamo detto e continuiamo a ripeterlo, da oggi appoggiandoci all'auctoritas di Gourinchas e dei suoi coautori (che non arrivano a queste conclusioni, peraltro, ma pongono le premesse perché chi desidera farlo ci arrivi). Fa piacere essere in così buona e tempestiva compagnia.
(...vi sono ancora debitore di un'analisi approfondita di questo grafico riferito al nostro Paese:
presentato qui, ma almeno vi ho detto dove trovare l'algebra che mette in relazione l'indebitamento netto con la posizione netta sull'estero:
cioè nell'equazione (3) di questo paper di Obstfeld che ci interessa anche per altri motivi, cioè perché è una confutazione competente del pensiero degli economisti di Trump. L'andamento dello stock di attività nette sull'estero non coincide con la cumulata del saldo commerciale perché, come evidenziato da alcuni di voi, bisogna tenere conto anche dei capital gain, cioè delle variazioni dei prezzi sia delle attività che delle passività.
Tutto giusto e tutto interessante, ma ora, nel nostro vano tentativo di anticipare la legge di Murphy e i suoi corollari, volevo commentare a caldo un passaggio dell'odierna relazione di Savona nell'incontro coi mercati a Piazza Affari...)
Intervenendo il 20 giugno al tradizionale appuntamento coi mercati il presidente della CONSOB, a voi noto e caro, Prof. Paolo Savona, ha detto, fra l'altro, che:
"non può sfuggire l'analogia che si va determinando con le radici della crisi finanziaria del 2008 dovuta alla diffusione dei derivati complessi che contenevano crediti difficilmente rimborsabili (subprime)..."
Secondo me, invece, sfugge ai più, e potrebbe anche sfuggire qui a noi, perché non ne abbiamo mai discusso in dettaglio. Sarà il caso di farlo, perché questa analogia appartiene al novero di quelle cose di cui è meglio occuparsi, prima siano loro a occuparsi di noi!
Un'altra è senz'altro il disaccoppiamento fra debito privato e investimenti "produttivi" (formazione lorda di capitale fisso) evidenziato nell'ultimo rapporto OCSE sul debito:
ma questo fenomeno non ci stupisce più di tanto, perché è la diretta conseguenza pratica di un modello teorico che analizzammo qui.
Di finanza "virtuale" invece ci siamo occupati meno, anche se in Goofynomics, il liber scriptus in quo totum continetur, se n'era comunque parlato. A questo proposito, era stata la segnalazione di uno di voi, Davide Sarti, a farmi conoscere un articolo (DeFi: Shadow Banking 2.0, di H.J. Allen) che avevo poi utilizzato per preparare questo intervento:
e in particolare questa slide:
su cui non c'era stato abbastanza tempo per soffermarsi "esplodendo" in tutti i suoi dettagli il terzo punto, quello sulla DeFi come Shadow Banking 2.0. L'analogia di cui parlava oggi Savona è proprio questa, e per l'autorevolezza e il ruolo di chi l'ha evidenziata occorre che le dedichiamo un po' di tempo (sempre ringraziando voi, perché, per fare un esempio concreto, senza il suggerimento di Davide io questa allusione non l'avrei capita - e del resto non sono certo che la platea cui il messaggio di Savona era rivolto l'abbia unanimemente recepito...).
La tesi di Allen è semplice: così come la sottovalutazione del rischi dello shadow banking è stato uno dei fattori amplificanti la crisi del 2008, la sottovalutazione dei rischi della DeFi potrebbe amplificare una futura crisi finanziaria, perché fra DeFi e shadow banking esistono forti analogie.
"Spedire moneta come una foto"
Cominciamo a definire qualche concetto. Intanto, DeFi sta per decentralized finance, intesa come fornitura di strumenti o servizi finanziari (ad esempio, di servizi di pagamento) per mezzo di contratti intelligenti (smart contracts) su una blockchain (un registro distribuito privo di permessi). Ci serve qualche altra definizione: il registro distribuito (distributed ledger) è un database crittografato e decentralizzato in cui le singole transazioni vengono registrate e concatenate in modo che sia impossibile alterarne una senza dover alterare tutte quelle successive. Questa caratteristica (cioè la concatenazione) è importante perché il registro è distribuito, cioè i dati che contiene sono diffusi e sincronizzati in varie copie ospitate da diversi computer in giro per il mondo, e ogni modifica deve essere validata (con complesse procedure di crittografia per preservare la riservatezza delle informazioni) da tutti i nodi di questa rete. Ciò garantisce che il registro sia affidabile, cioè che il suo contenuto non venga arbitrariamente alterato (ad esempio, facendo scomparire la traccia di un pagamento effettuato), perché queste alterazioni verrebbero rilevate dagli altri nodi - l'alternativa essendo, ovviamente, un registro detenuto da un'autorità centralizzata (come una banca centrale). Se posso fare un esempio banale ma credo calzante: questo blog è un registro che annota fatti e previsioni. A me non verrebbe mai in mente di tornare indietro su un post e modificarlo per rafforzare - o inventare! - una previsione azzeccata o magari per cancellarne una sbagliata, nonostante questo mi sia tecnicamente possibile, e il motivo è semplice: se anche fossi intellettualmente disonesto (non ne ho bisogno perché di solito ci colgo, ma questo è un altro discorso) mi esporrei comunque al rischio di smentita semplicemente perché sia voi che la Wayback machine avete copie delle versioni originali, per cui se mi atteggiassi a profeta aggiustando le mie profezie lo sputtanamento sarebbe immediate. Chiaro il senso del controllo decentrato? Nota bene: questo tipo di controllo comporta anche che per validare una transazione occorra un certo tempo e una certa energia elettrica, e non si tratta di dettagli (l'effettiva operatività della blockchain e la sua sostenibilità sono tutt'altro che assicurate). Inoltre, per registro "privo di permessi" si intende che chiunque può accedervi (e quindi chiunque può effettuare una transazione). Infine, i "contratti intelligenti" sono programmi che eseguono operazioni (ad esempio, la cessione di un'attività finanziaria) e l'interfaccia utente che consente di attivarli viene detta Dapp (decentralized applications).
Mettendo in ordine diverso questi concetti, Allen definisce la DeFi come "una applicazione software nota come Dapp che simula la fornitura di servizi finanziari tradizionali, offerti usando (cripto)valute e token gestiti tramite un registro distribuito privo di permessi... i pagamenti sono spesso effettuati utilizzando un tipo di criptovaluta noto come "stablecoin"... che cerca di evitare la volatilità associata a cripto come il Bitcoin agganciando il proprio valore al dollaro o ad altre valute a corso legale. Le Dapp sono costruite utilizzando smart contracts, programmi che girano sul registro distribuito per gestire le transazioni su criptovalute o token garantendone l'esecuzione automatica e la registrazione distribuita (al verificarsi di certe circostanze)."
I fautori di queste innovazioni tecnologiche sostengono che tramite esse inviare moneta diventerà facile e immediato come inviare una foto (digitalizzata, naturalmente!). Fatto sta che, come osserva Allen, le conseguenze di un errore nell'invio di moneta sono generalmente più gravi di quelle di un errore nell'invio di una foto, o di un'email, ed è esattamente per questo motivo che le attività bancarie e finanziarie tradizionalmente sono sottoposte a regolazione e vigilanza. Vigilanza e regolazione pongono però limiti e determinano costi cui gli operatori cercano di sottrarsi con l'innovazione finanziaria. Ma non tutte le innovazioni sono innovazioni buone. Qualcuna è destabilizzante e amplifica gli effetti di eventuali crisi. È quanto accadde nel 2008, avviando una spirale perversa. La crisi infatti aveva screditato l'efficacia del controllo effettuato dalle autorità di vigilanza sugli intermediari finanziari, che si era rivelato inefficace, e per ciò stesso aveva promosso l'idea che invece di un controllo centralizzato, effettuato da autorità nelle quali era difficile o addirittura rischioso riporre fiducia, fosse meglio affidarsi a una rete decentrata, in cui non fosse necessario avere fiducia in alcun intermediario, perché gli intermediari non c'erano (era una rete peer to peer).
Quella che la disintermediazione possa risolvere (tramite il controllo decentrato effettuato dalla blockchain) il problema della fiducia negli (e della vigilanza sugli) intermediari è però una pia illusione, perché affidandosi alla DeFi l'utente non si libera dagli intermediari, ma semplicemente sostituisce una classe di intermediari (banche, fondi, ecc.) con un'altra classe (gestori della rete Internet, sviluppatori delle Dapp, ecc.), che spesso sono non identificabili e non vigilati, il che, nonostante i limiti storicamente evidenziati dalla vigilanza (ricordate Visco?), non è comunque una buona cosa. In questo senso la transizione monetaria ricorda quella ecologica, che altro non è che la sostituzione di una classe di materie prime (quelle fossili) con un'altra (i metalli). In entrambi i casi, il passaggio non è necessariamente vantaggioso, e il rischio di trovarsi senza liquidità (o senza corrente elettrica) può aumentare, anziché diminuire...
Shadow banking 1.0
La ricerca di innovazioni finanziarie che consentissero di sfuggire ai vincoli e ai costi della regolazione finanziaria (al prezzo però di esporre a un certo rischio chi le adottasse) sono alla base dello shadow banking, che Allen definisce come l'insieme di quelle attività o transazioni finanziarie funzionalmente equivalenti a quelle condotte sui mercati bancari regolati ma che (grazie all'innovazione) sfuggono alla regolamentazione bancaria.
Una caratteristica comune a queste attività è la loro complessità, che, come avrete capito, è anche tipica della DeFi (non sono infatti certo che siate sopravvissuti alla mia spiegazione, come non sono certo di averla capita io)!
La complessità, nota Allen, è in sé e per sé un fattore destabilizzante.
Può infatti rendere non pienamente intelligibile la struttura di certi prodotti finanziari e le loro interazioni col sistema finanziario, aumentando in questo modo la probabilità che il rischio relativo a questi prodotti non sia percepito. Ma anche se il rischio è in qualche modo anticipato, la complessità fa sì che esso possa essere sottostimato quando le cose vanno bene (causando bolle), e sovrastimato quando vanno male (causando panico).
Allen fa tre esempi di innovazione finanziaria classificabile come shadow banking evidenziando i limiti regolatori che intendevano aggirare, i rischi che causavano, e il potenziale destabilizzante (che in tutti e tre i casi si è manifestato nella crisi del 2008).
MMMF
Il Pecora report spiega a pag. 28 che fra le varie misure prese per contenere il ruolo delle banche nell'eccessivo uso della leva finanziaria (intesa come acquisto di attività finanziarie finanziato con debito, in particolare verso le banche) si annoverava il divieto di remunerare i depositi a vista:
L'obiettivo di questo divieto, noto come Regulation Q, era quello di scoraggiare le banche dall'attirare fondi facendosi concorrenza al rialzo sui tassi di interesse passivi (quelli pagati ai depositanti), schiacciando lo spread fra interessi attivi e passivi, e incoraggiando quindi l'impiego dei fondi raccolti in attività ad alto rischio (in cerca di alti rendimenti). Possiamo anche concettualizzare questo circolo vizioso in un altro modo: la prospettiva di fare profitti elevati prestando soldi a speculatori in una fase di mercati crescenti spingeva le banche ad attirare depositi offrendo ai clienti tassi di interesse sempre più alti, ma questo meccanismo imponeva a valle di andare alla ricerca di impieghi speculativi, cioè spiazzava gli investimenti produttivi, che non potevano pagare tassi di interessi sui prestiti sufficientemente elevati da remunerare la raccolta. In ogni caso, il circolo vizioso poteva essere spezzato calmierando il prezzo della raccolta.
(...quanti di voi sapevano che l'autopsia della crisi del '29 era stata commissionata a un magistrato nato a Nicosia, Ferdinand Pecora?...)
La Regulation Q poneva quindi un tetto anche ai tassi sui depositi a tempo e sui conti di risparmio (e anche sulle savings & loans, ma questo ve lo dico dopo). Per qualche tempo questo tetto fu superiore al tasso di mercato (la storia è qui):
ma dall'inizio degli anni '70, con gli effetti dello shock petrolifero, che fece aumentare l'inflazione e i tassi, il limite divenne sempre più anacronistico:
Si sviluppò così un mercato alternativo, quello dei money market mutual funds(fondi comuni di mercato monetario).I MMMF sono fondi le cui quote generalmente valgono un dollaro e possono essere riscattate in qualsiasi momento (il fondo è open-end). Le somme raccolte vengono investite dai gestori in attività del mercato monetario (titoli di Stato a breve termine, in Italia sarebbero Bot, o altre attività liquide a breve scadenza), e i rendimenti ottenuti vengono distribuiti ai soci sotto forma di dividendi. In questo modo si realizzava un equivalente funzionale del deposito a vista (metto i soldi quando voglio, li riprendo quando voglio), che aggirava il tetto sugli interessi (dato che questo tetto ovviamente non riguardava i dividendi), ma che naturalmente oltre a non avere i limiti della regolamentazione bancaria (non essendo un deposito), non aveva nemmeno le garanzie di un deposito bancario (che oggi negli Usa arrivano a 250.000 dollari per deposito).
I MMMF sono un tipico esempio di shadow banking: un'attività funzionalmente equivalente a quella condotta da intermediari bancari che riesce a sfuggire alle maglie della regolamentazione bancaria grazie all'innovazione finanziaria (la creazione di un particolare tipo di fondo).
Il primo fondo di questo tipo, il Reserve Fund, nacque nel 1970 e fu liquidato nel 2008 dopo aver "rotto il dollaro" (break the buck). Che cosa significa? Le quote dei MMMF non fluttuano, ma vengono mantenute al valore di un dollaro (che è quello al quale possono essere riscattate), perché i dividendi vengono contabilizzati giornalmente per un ammontare pari ai rendimenti ottenuti, e perché le attività vengono valutate al costo ammortizzato anziché al fair value, cioè al valore di mercato (dettagli qui). È appunto la stabilità della quota a rendere il MMMF un equivalente funzionale del deposito bancario, perché avere quote (di fondo) che valgono esattamente un dollaro è come avere un dollaro depositato in un conto corrente bancario. Se però le cose vanno storte (succede raramente, ma succede), le attività acquistate con le somme raccolte possono perdere valore. Questo riguarda non tanto i titoli di stato a breve termine, ma i commercial paper, che sono una sorta di pagherò cambiario emesso a sconto da grandi aziende per finanziare il capitale circolante. Se l'azienda emittente va in seria crisi, in linea di principio è improbabile che ridia tutti i soldi ed è certamente impossibile disfarsi al prezzo di carico il suo commercial paper (nessuno lo acquisterebbe), per cui il valore di mercato del fondo (il fair value) ovviamente scende. Se il fair value si scosta di oltre mezzo centesimo al di sotto del costo ammortizzato si dice che il fondo ha "rotto il dollaro" (perché diventa difficile immaginare che possa restituire un dollaro per ogni quota).
La fine del Reserve Fund è raccontata da Allen e contiene diversi utili insegnamenti. Il Reserve Fund aveva iniziato a comprare commercial paper nel 2006. Prima lo aveva ritenuto un investimento inutilmente rischioso. Due anni dopo, nel 2008, il 56% del suo portafoglio era composto da commercial paper, di cui una parte emessa da Lehman Brothers. Già capite come andò (cit.). Quando il 15 settembre 2008 Lehman dichiarò bancarotta, i clienti del Reserve Fund, sapendo dell'esposizione verso Lehman, chiesero di riscattare le loro quote. Si scatenò cioè un run di tipo bancario: il 25% chiese il riscatto delle quote nel giorno stesso e un'altra metà il giorno successivo. A differenza dei depositi bancari infatti le quote di fondi non sono garantite, ed era quindi razionale da parte dei "depositanti" sbrigarsi a rientrare delle loro somme prima che il fondo avesse venduto i suoi asset migliori (più sicuri e più liquidi). Naturalmente dal lato del fondo la necessità di rispondere a richieste così pressanti comportava la vendita in urgenza delle attività finanziarie (il fondo non teneva da parte il cash ma lo investiva, altrimenti non avrebbe potuto pagare un dividendo superiore al tetto posto dalla Regulation Q), cioè causava dei fire sales, che come sapete deprimono il prezzo e quindi il ricavato (nell'urgenza di vendere, si vende a sconto). Il valore realizzato si scostava così ulteriormente da quello di bilancio. Il fondo fu costretto a dichiarare che una quota valeva non più un dollaro, ma 97 centesimi (nonostante detenesse commercial paper di Lehman solo per l'1.2%).
Il dollaro era rotto.
Questo evento causò un discreto panico provocando contagio: anche i clienti di altri fondi cominciarono a non accontentarsi della promessa (ben remunerata) di avere indietro dei dollari veri, e pretesero invece di avere nelle proprie tasche della infruttifera ma rassicurante liquidità. Il contagio poteva avere effetti disastrosi: in effetti, come primo effetto avrebbe comportato un credit crunch (stretta creditizia) verso quelle aziende cui i MMMF prestavano soldi (acquistandone il commercial paper), ma immaginate da voi la spirale in cui ci si sarebbe avvitati: incapaci di finanziare il proprio capitale circolante, le aziende avrebbero avuto difficoltà a rimborsare il commercial paper emesso, mandando in difficoltà altri fondi, ecc. A questo punto il Dipartimento del Tesoro intervenne garantendo che le quote dei MMMF avrebbero mantenuto il valore di un dollaro, e la FED aprì delle linee di credito di emergenza per sostenere i fondi in difficoltà. La garanzia che non esisteva di diritto venne creata di fatto per evitare il peggio, ma il Reserve Fund venne comunque liquidato. Il settore venne in qualche modo riformato, ma questo non evitò, e anzi, secondo alcuni autori esacerbò, il successivo episodio di crisi all'inizio della pandemia, anch'esso contenuto fornendo liquidità in condizioni di emergenza, e creando quindi decisamente un problema di moral hazard: se chi gestisce un fondo sa che quando le cose vanno male lo Stato interverrà, l'incentivo a gestire bene (a costo di sacrificare un po' di profitti) ovviamente cala.
La lezione che si trae da questo episodio è semplice: quando esiste un prodotto che promette di restituirti a richiesta un dollaro, non appena questa promessa appare difficile da mantenere la gente corre (run) a pretendere il dollaro. Chi sa come funzionano le stablecoin ha già capito dove voglio arrivare (o meglio: dove Allen vuole arrivare!), gli altri saranno accompagnati da me più avanti.
ABS
...non quello delle macchine (Anti-lock Bracking System), ma quello finanziario: asset backed securities, cioè titoli garantiti da attività (finanziarie). Allen ricomprende alcuni di questi strumenti, in particolare le MBS (mortgage backed securities, obbligazioni garantite da ipoteca) fra le pratiche definibili come shadow banking. Chiarisco prima il concetto: la "garanzia" non viene dal fatto che si accende un'ipoteca su un'obbligazione! L'ipoteca ha per oggetto un bene reale, quindi la garanzia qui è indiretta. Una MBS viene costruita così: la banca cede a un intermediario specializzato un pacchetto di crediti immobiliari bancari (ognuno assistito dall'ipoteca sul relativo immobile), e in cambio incassa (a sconto) il valore del credito. L'intermediario specializzato trova i soldi per acquistare il pacchetto (il "salsicciotto") di crediti emettendo appunto MBS, che tecnicamente sono un'operazione di cartolarizzazione di un pacchetto di crediti immobiliari assistiti da ipoteca. Il recupero del credito viene gestito dall'intermediario che con il flusso dei pagamenti ricevuti dal debitore (proprietario dell'immobile ipotecato) restituisce capitale e interesse relativo alla MBS e realizza un profitto. Quindi: le ipoteche sono sulle case, e il fatto che i crediti ceduti dalle banche siano assistiti da una garanzie reale così forte rende l'MBS una forma di investimento relativamente sicura, perché è sostanzialmente un pass-through fra il proprietario dell'immobile e l'investitore che acquista la MBS.
Le motivazioni del ricorso a questi strumenti sono di due ordini.
Da un lato, le cartolarizzazioni servivano ad attirare fondi verso il mercato immobiliare in un periodo in cui le istituzioni tradizionalmente dedicate al prestito immobiliare (le saving & loans, intermediari specializzati nella raccolta di depositi e nell'emissione di prestiti immobiliari garantiti da ipoteca) non riuscivano a raccogliere capitali sul mercato a causa della Regulation Q che rendevano i loro depositi poco attraenti (per inciso: vedete quanti casini succedono in un'economia di mercato quando si blocca un prezzo? Ora potete cominciare ad apprezzare in che situazione siamo da quando abbiamo deciso qui nell'Eurozona di bloccare il prezzo più importante, quello delle valute nazionali).
L'altra motivazione era l'aggiramento di un vincolo regolatorio, quello che impone alle banche di accantonare riserve a fronte di prestiti emessi, ancorché garantiti da ipoteche. Le regole di Basilea impongono infatti che per assorbire eventuali perdite su crediti le banche accantonino un certo ammontare di capitali, in proporzione alle attività ponderate per il rischio (risk-weighted assets). Per una banca un prestito è un'attività (la promessa di ricevere soldi da qualcuno, cioè di ricevere la restituzione del prestito), esattamente come per le casse previdenziali sono attività i crediti previdenziali (la promessa - implicita - degli assistiti di versare i contributi non ancora versati), ma entrambe queste classi di attività (asset class) sono soggette al rischio "procedura" (del Marchese del Grillo): "Io i soldi nun li caccio e tu nun li piji!" (si chiama credit risk). Il saggio (...) regolatore di Basilea impone quindi che per coprire questo rischio la banca metta da parte qualcosa. Ma naturalmente il capitale accantonato a riserva non può essere destinato ad altri investimenti (non può essere prestato, non ci puoi comprare attività finanziarie redditizie...), e quindi per la banca rappresenta un peso. Da qui l'idea semplice e efficace: vendere a terzi i crediti dopo averli accordati! In questo modo la banca sostituisce un attivo che le immobilizza capitale (un prestito) con cash (che, come ricorderete, is king), liberando capitale e potendo concedere altri prestiti da cedere, e così via. Il cessionario (quello che i crediti li compra) si finanzia emettendo MBS (il meccanismo visto sopra) e tutti vivono felici e contenti: i clienti della banca comprano casa, la banca pulisce i bilanci, l'operatore specializzato realizza profitti.
Non è bellissimo? Del resto, Pangloss ce lo aveva detto: "tout va pour le mieux dans le meilleurs des mondes possibles". Poi però Murphy aveva avanzato l'ipotesi che: "anything that can go wrong will go wrong".
Cosa potrebbe andare storto in questo caso? Almeno un paio di cose. Siccome le banche sanno di non tenersi in carico i crediti (perché li contraggono per poi cederli), ovviamente saranno meno scrupolose nell'accordarli (dal momento che se poi il debitore non paga il problema non è loro ma del cessionario, cioè dell'emittente della MBS), ariconsolannose con l'idea che la cessione e l'inserimento in veicoli complessi realizzi una diversificazione e quindi una mitigazione del rischio. La probabilità che in una MBS finisca "monnezza" (junk, subprime) quindi ovviamente aumenta. D'altra parte, siccome fra Pangloss e Murphy vince il secondo, le cose spesso vanno storte, e se il debitore si incaglia per qualche motivo un conto è se il credito è in carico alla banca, che lo conosce e può valutare l'opportunità di gestire questo incaglio con qualche flessibilità, ad esempio offrendo una ristrutturazione delle scadenze; ma se il debitore è stato ceduto, allora scattano degli automatismi che generalmente prevedono l'immediata escussione della garanzia (il pignoramento immobiliare). Intendiamoci: è assolutamente comprensibile e razionale che un prodotto finanziario complesso, in cui confluiscono decine o centinaia di posizioni, debba prevedere delle regole semplici e automatiche per la gestione di queste fattispecie (del tipo: "Non paghi? Ti pignoro!"). Sarebbe inconcepibile che l'emittente di una MBS entrasse nel merito di situazioni che non conosce (perché non le ha originate, perché coinvolgono soggetti a lui ignoti, ecc.) cercando caso per caso di trovare la migliore composizione di interessi. D'altra parte, se è vero che la rigidità delle regole implicite in questi "contratti Frankestein" (come li chiamano Gelpern e Levitin) può favorire il rispetto degli impegni in tempi di prosperità, è anche vero che essa può rivelarsi un patto suicida in tempi di crisi. Nel 2007 la rigidità delle MBS, l'esplicito divieto di modificare in qualsiasi modo la struttura del sottostante (di ristrutturare il flusso dei pagamenti del debitore) ha scatenato un'ondata senza precedenti di aste giudiziarie, che in qualche modo si è autoalimentata, perché naturalmente l'offerta di un numero elevato di immobili sul mercato ha portato a un crollo dei prezzi, con la conseguenza che un numero elevato di mutui si è trovato "sott'acqua".
Vorrei tirare le fila di questo esempio: abbiamo da un lato un caso di shadow banking, perché una prescrizione regolamentare (quella di accantonare capitale a fronte di prestiti) viene aggirata con un'innovazione finanziaria (la MBS), consentendo di accordare un maggior numero di prestiti che fatalmente sono di peggiore qualità. Dall'altro, il principale problema di questa innovazione è il prescrivere automatismi nell'esecuzione immobiliare che altrettanto fatalmente causano contagio e amplificazione della crisi.
Chi sa come funzionano gli smart contracts ha già capito dove voglio arrivare, gli altri li accompagnerò per mano dopo un terzo e ultimo esempio.
CDS
Meglio noti come credit default swap. Prima di spiegare cosa siano, Allen ci ricorda il concetto di leva finanziaria (leverage): uso di debito per acquistare attività finanziarie. Un caso lo abbiamo ricordato sopra: quello del credito che prima della crisi del 1929 le banche accordavano agli speculatori per consentire loro di acquisire posizioni più rilevanti in attività finanziarie rischiose. Ovviamente se le cose vanno bene allo speculatore, ce n'è per tutti, ma se vanno male non ce n'è per nessuno, e soprattutto non ce n'è per la banca, che sperimenta notevoli difficoltà nel farsi restituire i soldi (perché lo speculatore vendendo le attività che ha comprato potrebbe non ricavare sufficiente liquidità da estinguere il debito). Come nota Allen, "la leva finanziaria può moltiplicare i profitti, ma se un investitore usa solo una piccola parte di fondi propri per acquistare una attività e prende il resto a prestito, l'anticipo versato può essere spazzato via da una flessione anche contenuta del prezzo dell'attività acquistata", e in questo caso l'investitore è costretto a disfarsi in fretta dell'attività per rimborsare il prestito contratto. Si creano così delle "fire sales externalities": le vendite da parte di un investitore pilotano al ribasso i prezzi delle attività simili causando problemi ad altri agenti che hanno operato "a leva", con effetti di contagio, ecc. (roba che abbiamo visto anche sopra). Dato che un eccesso di leva fragilizza il sistema finanziario, agli intermediari bancari sono stati posti dei limiti (in Europa la situazione è descritta qui).
Ma naturalmente (ormai lo avete capito) fatta la legge, trovato l'inganno! Per aumentare la propria esposizione in modo sostanzialmente analogo a quello consentito dalla leva finanziaria a partire dagli anni '90 si è diffuso un tipo di contratto noto come credit default swap, che funziona in questo modo: l'acquirente (protection buyer) paga un premio su base periodica, espresso in genere come percentuale di un capitale nozionale, all'emittente (protection seller), che, in cambio, gli offre una protezione assicurativa contro un credit event riferito a un certo titolo. Se il titolo va in default, il protection seller (l'emittente dello swap) rimborsa il protection buyer al posto dell'emittente del titolo (che appunto non può rimborsarlo perché ha fatto default). Dettaglio: il buyer può assicurarsi anche per il default di titoli che non possiede, e quindi, ovviamente, più soggetti possono assicurarsi presso lo stesso protection seller contro il fallimento di uno stesso titolo che nessuno di loro possiede. Ovviamente in questo caso la situazione si complica e per capire quale sarà il pagamento effettivamente accordato ai buyersi procede con un'asta. Il punto su cui Allen insiste però è che dato che il buyer del CDS non deve materialmente possedere il titolo, il CDS gli consente di acquisire una posizione speculativa anche rilevante con un minimo impiego di capitali propri.
Ora, i CDS creano leva moltiplicando il numero di volte in cui qualcuno può acquistare un'esposizione su un determinato sottostante. Ma nel mondo delle criptovalute succede qualcosa di sostanzialmente analogo: non ci sono particolari limiti sulla qualità dei token presi a garanzia dei prestiti accordati, e ci sono dei token costruiti per funzionare come dei CDS, creando un'esposizione sintetica verso attività finanziarie effettive.
Concludendo: shadow banking 2.0?
Non la tiro molto più in là: avete tutte le fonti per approfondire. L'argomento di Allen, che spiega le preoccupazioni di Savona, è che la DeFi:
1) attraverso la struttura dei token rischia di creare l'eccesso di leva che ha caratterizzato l'uso dei CDS;
2) attraverso l'uso di stablecoins (criptovalute ancorate a un sottostante come il dollaro) rischia di provocare run come quelli che hanno caratterizzato i MMMF (con l'aggravante che le norme attraverso cui i possessori di stablecoins potrebbero farsi ridare l'agognato dollaretto vero sono un po' opache e chi debba o possa farle rispettare è molto poco chiaro);
3) attraverso l'uso di smart contracts introduce rigidità analoghe a quelle che hanno causato gli effetti destabilizzanti di contagio osservati con le MBS.
Il rischio effettivo in questo momento è relativamente contenuto perché questi strumenti allo stato attuale sono di nicchia: possono far danno a poche persone. Ma se il loro uso dovesse diffondersi, sarebbe indispensabile regolare queste fattispecie "virtuali", che di fatto creano uno shadow banking 2.0, possibilmente prendendo spunto da quello che gli esiti non brillantissimi dello shadow banking 1.0 ci ha insegnato (dolorosamente).
Questo sta chiedendo Savona da quando è a capo della CONSOB, e questo ha chiesto venerdì scorso in un passaggio che probabilmente ha colpito meno di tanti altri.
Ora poi abbiamo i bombardieri Usa in volo, le preoccupazioni sono altre, lo capisco (in particolare, quella di un ulteriore shock dal lato dell'offerta). In effetti, non si tratta di preoccupazioni molto distanti: avrete notato ad esempio che la storia che ha portato alla creazione dei MMMF nasce quando la Guerra del Kippur prima e la Rivoluzione iraniana poi fecero "schizzare" (come dicono gli operatori informativi) l'inflazione (tirando su i tassi, rendendo necessario aggirare la Regulation Q, ecc.).
Le preoccupazioni sono sempre altre, del resto.
Quando questo blog venne aperto, la preoccupazione era ridurre il rapporto debito/Pil tagliando il Pil, ricordate? La nostra preoccupazione era diversa. Mentre ci preoccupiamo di altro, una cosa che altro non è che la riedizione più complessa, quindi meno leggibile, e meno regolata, quindi più letale, di quanto ci ha portato alla crisi del 2008 cresce, prende piede, e si candida passo dopo passo ad avere effetti sistemici.
Le preoccupazioni sono altre, finché quelle che non erano preoccupazioni prendono il posto, appunto, delle altre...
(...buonanotte! Domani intervengo in aula sulla vicenda iraniana, se avete osservazioni anche su questo sentitevi liberi di esporle...)
Dalle primissime informazioni a Sky pare si dovesse parlare di lavoro, ma siccome regna la cronaca quasi certamente non se ne parlerà. Riprendo allora qui il tema utilizzando questo grafico:
(che avevamo già visto qui) e ne assisto la lettura con questa tabella, ricordando che il Jobs act venne approvato a dicembre 2014:
Gli occupati a termine rispetto ad allora sono aumentati di circa 358.000 unità, ma gli occupati totali di circa 2.407.000 unità, e quindi il rapporto è rimasto invariato al 14%. Peccato che dopo l'approvazione del Jobs act fosse risalito a quasi il 18% (con un massimo nel 2018). Quindi chi parla di "aumento del precariato" non dice una cosa falsa, per carità: i lavoratori "a termine" sono aumentati, in effetti. D'altra parte, siccome sono aumentati in generale gli occupati, non dice una cosa false nemmeno chi sostiene che in realtà questo governo ha riportato (o, se preferite, che le circostanze hanno riportato) l'incidenza del precariato a quella precedente all'approvazione del Jobs act. Fra le varie circostanze sarebbe disonesto non considerare gli incentivi fiscali alla stabilizzazione dei lavoratori.
Tutto qua.
Secondo voi qual è il modo più equilibrato di raccontare questa storia?
Il lavoro di Miran è qui, quello di Obstfeld qui. Meritano entrambi un’attenta lettura, nella quale cercherò di assistervi. Il secondo critica il primo, con argomenti fondati, e nel farlo fornisce un’algebra utile per interpretare i trend che abbiamo descritto qui e rispondere alle domande che si poneva ad esempio Simo97 qui.
(…io però ci dormo sopra. Sono a Milano sfasciato dal caldo, domani assisto nel mio ruolo istituzionale all’incontro della CONSOB coi mercati, e poi me ne torno giù, facendo tappa a Roma prima di salire dove si respira…)
(...il dizionario è qui, ogni tanto lo integriamo - l'ultima integrazione qui - poi però siccome sono pigro non riporto nel corpo dell'opera le varie perle che raccolgo lungo il cammino di questa tribolata esistenza. Ve ne propongo al volo un'altra...)
Invece di dire:
Prova a dire:
Siamo nella merda!
Ci sono [ampi] margini di miglioramento.
(...proseguite voi...)
dove naturalmente la parte fra parentesi quadre è facoltativa. In alternativa, si potrebbe formulare in modo più analitico (ma so che ci sareste arrivati da voi):
Invece di dire:
Prova a dire:
Siamo nella merda!
Ci sono margini di miglioramento.
Siamo nella merda fino al collo!
Ci sono ampi margini di miglioramento.
Siamo sommersi dalla merda!
La situazione presenta sfide e opportunità.
Ecco: ora siete pronti ad affrontare qualsiasi fase del ciclo dell'azoto, ricordando sempre che la merda galleggia, ma nella merda si affonda. Ovviamente, cercando di mantenere compostezza e dignità...
(...segue post tecnico sul tema "aggiustamento di flusso/aggiustamento di stock": ho letture interessanti per noi, ed è anche interessante come ci sono arrivato...)