sabato 6 dicembre 2025

Tre discorsi: "La political economy della LSP" (discorso numero due)

 

La traduzione letterale di political economy è economia politica, ma questa traduzione è fuorviante. La traduzione in inglese di economia politica infatti è economics, mentre economic policy è la politica economica, quella che insegno io. E la political economy? Nell'ambito delle scienze economiche (la cui tassonomia è consultabile qui) si intende per political economy quella disciplina a cavallo fra economia politica e scienze politiche volta allo studio delle interazioni reciproche tra processi economici e istituzioni politiche, cioè ad analizzare come la politica influenzi gli esiti economici e come, a sua volta, le dinamiche economiche plasmino le istituzioni politiche. La differenza principale fra la political economy e l'economia politica (cioè l'economics) è proprio questa: in economia politica le istituzioni politiche vengono considerate esogene, sono un dato, e la loro struttura (se le si vuole far entrare in gioco) è sostanzialmente assimilata a quella di un qualsiasi altro agente economico ottimizzante; nella political economy le istituzioni politiche sono endogene, e l'oggetto dell'indagine consiste spesso nell'analizzare come e perché esse mutano adattandosi alle evoluzioni del contesto economico.

In questa assemblea in cui i giovani della Lega si interrogano sul loro radioso futuro credo sia utile innanzitutto riflettere sul percorso che la Lega Salvini Premier ha fatto fin qui.

Noi non siamo progressisti: essere progressisti, come ci ha insegnato Michéa, significa sostanzialmente negare il passato in nome del "mai più", consegnandosi alla cecità e quindi all'eterno ritorno proprio di quelle sciagure che si è cercato di rimuovere psicanaliticamente dalla coscienza collettiva (affidandone una memoria stilizzata ad alcune liturgiche e vuote celebrazioni identitarie del "mai più"). Questo è il principale limite antropologico del progressismo, e da questo limite noi vogliamo distanziarci. Per capire quali siano i valori del nostro partito, per valutare se realmente ci identifichiamo con essi e vogliamo propugnarli, per riflettere su quali messaggi hanno portato e potrebbero portare consenso, al di là delle banalità sull'elettorato "fluido" dispensate dai media, che cercano di offuscare e di distogliere l'attenzione da quello che gli elettori graniticamente desiderano, dobbiamo quindi in primo luogo conoscere e interpretare la storia del nostro movimento. La political economy ci aiuta a calare questa analisi in un contesto macroeconomico globale in rapido mutamento, essendo (spero) ovvio che, pur nel persistere di una base valoriale che per sua natura, per essere tale, deve essere stabile nel tempo, altro è essere all'opposizione durante una crisi e altro è essere al governo durante una ripresa. Posto che il porto cui si desidera giungere resta il medesimo, altro è avere il vento in poppa a altro averlo in prua.

In questa ottica, è del tutto evidente che non possiamo riflettere sulla storia della LSP, come su quella di qualsiasi altro partito o istituzione politica italiana, prescindendo dal fatto stilizzato macroeconomico più rilevante dell'ultimo mezzo secolo (ma in realtà dell'intera storia unitaria), cioè questo:

che abbiamo ampiamente descritto in tante altre occasioni, ma sul quale bisogna sempre tornare, semplicemente perché la scarsa qualità dei ceti intellettuali italiani impedisce a questo fatto di diventare, come dovrebbe, l'elemento centrale del dibattito pubblico nel nostro Paese.

Ci siamo ampiamente diffusi in altra sede sulle cause di questo disastro, rinvenendo in particolare le cause prossime nel taglio degli investimenti pubblici con oltre un decennio di investimenti pubblici netti in territorio negativo:


(e qui in Abruzzo sappiamo meglio che in tante altre Regioni che cosa abbia significato questa distruzione di infrastrutture pubbliche). Sappiamo che le cause remote derivano dalla necessità di comprimere i salari reali, ma su questo tornerò dopo.

Oggi vorrei soffermarmi su alcune conseguenze di questo fatto macroeconomico.

Una ha a che fare con un problema cui ha accennato un relatore che mi ha preceduto: la crisi demografica. I dati sono piuttosto espliciti su questo punto:


L'austerità coincide con una flessione dei nati vivi che prima erano su un trend leggermente crescente. Dietro questi numeri c'è l'impossibilità di formare una famiglia in un contesto di carriere lavorative precarizzate in nome della flessibilità (al ribasso) dei salari.

Poi ci sono le conseguenze politiche, ed è soprattutto su di esse che vorrei soffermarmi con voi. Ve le riassumo in tre punti, uno rosso, uno verde, e uno blu:


Vediamo a che cosa corrispondono.

Il punto rosso individua il 2011:


cioè l'anno in cui, dopo aver denunciato il 22 agosto sulle colonne del manifesto il fatto che le asimmetrie dell'Eurozona ci avrebbero impedito di risalire la china e avrebbero portato all'avvento di un Governo tecnico che avrebbe fatto macelleria sociale spingendo a destra l'elettorato ("perché le politiche di destra, nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra"), il 16 novembre aprivo il mio blog per spiegare i motivi per cui i salvataggi di Monti non ci avrebbero salvato. Fu una chiamata cui, contro ogni mia aspettativa, risposero in decine di migliaia: attorno al blog si costituì quel consenso e quella community di cui in altre sedi abbiamo raccontato la storia, che ancora oggi porta a Montesilvano una volta l'anno centinaia di persone, e che diventò un fatto politico importante, forse il più importante di quel periodo. Il libro scritto per riassumere il primo anno di blog, Il tramonto dell'euro, vendette 25.000 copie contro il suo editore e contro tutto il complesso mediatico-giudiziario, che all'epoca era evidentemente più furbo di come si è poi dimostrato con Vannacci, scegliendo nel mio caso la strada dell'indifferenza e in quello di Roberto la strada della pubblicità negativa (più efficace della positiva).

Ma i social non erano abbastanza presidiati, e il messaggio si diffuse con rapidità.

E qui si arriva al punto verde:


Il 23 novembre 2013 Matteo Salvini mi invitò con Borghi e Rinaldi al "No euro day" presso l'Hotel dei Cavalieri di Milano. Prendo questa foto come simbolica di un punto di svolta, di cui io all'epoca non mi rendevo conto, ma alcuni dei presenti sì. Quello che poi sarebbe stato il mio capogruppo in Senato, Massimiliano Romeo, otto anni dopo mi disse: "Erano anni che non vedevamo così tanta gente in una stanza [NdCN: per me abituato ai goofy era un po' meno di business as usual...], capimmo che c'era qualcosa di grande che dovevamo intercettare!"

Che cosa era successo? Che ci faceva un intellettuale di sinistra che scriveva per il manifesto e sbilanciamoci a un raduno di leghisti (variamente dipinti dai media di regime come xenofobi, omofobi, razzisti, ecc.)?

Erano successe diverse cose.

La prima, che all'epoca ignorai (perché non seguivo la politica, ritenendo che il ceto politico italiano non avesse e non volesse avere gli strumenti per interpretare e evitare il disastro cui eravamo avviati) era che a novembre 2011 la Lega (che guardavo con la sufficienza con cui i progressisti guardano chi la pensa un modo diverso da loro) era stata l'unico partito a opporsi al Governo Monti, in nome di un ideale di democrazia l'aveva portata a rifiutare il golpe bianco previsto da me ad agosto e realizzato da Monti a dicembre. Ci ricorda quel momento il senatore Garavaglia in una ricostruzione storica che merita sempre di essere riascoltata:

Questa decisione coraggiosa aveva consegnato la Lega a una lunga traversata nel deserto, condita di scandali giudiziari più o meno fondati (ormai abbiamo tristemente appreso come funziona...), che l'aveva condotta al 4,08% delle politiche del 2013, la metà circa dell'8,3% delle precedenti politiche del 2008 (tutte cose che all'epoca ignoravo, non interessandomi di vita parlamentare, ma che sono facilmente riscontrabili).

La seconda, che nella primavera del 2013 Lorenzo Fontana, allora capodelegazione della Lega Nord al Parlamento Europeo nel gruppo EFD di cui era capogruppo Nigel Farage, aveva prestato al suo collega Matteo Salvini una copia del Tramonto dell'euro.

La terza, che a luglio 2013 Matteo aveva chiamato Claudio Borghi per farsi spiegare cosa fosse "questa storia dell'euro" (ricordo la telefonata entusiastica che poi mi fece Claudio: in effetti il punto di svolta fu quello lì, ed è raccontato a pag. 31 di Vent'anni di sovranismo).

Con intuito e, aggiungo, aderenza ai messaggi storici del movimento (lo chiarirò meglio più avanti), Salvini aveva capito che c'era una battaglia che più di altre valeva la pena di combattere, e lo espresse in occasione del No euro day con la delicatezza che gli è propria e che ce lo fa apprezzare (e naturalmente lo fa detestare ai nostri nemici):


La battaglia per l'indipendenza (sottinteso: della Padania, perché quello era allora il brand del partito), era certo più identitaria, ma era destinata a restare vuota se si fossero dimenticate le parole di Bossi:


a me all'epoca del tutto ignote. Uno Stato centrale sottoposto a un'autorità sovranazionale che per sua intrinseca natura non poteva essere politica non avrebbe avuto alcun potere da devolvere alle autonomie locali né alcuna risorsa da affidare loro, in un contesto in cui la "finanziaria" (oggi "legge di bilancio") sarebbe diventata (come è diventata) "un semplice fax inviato da Bruxelles" e in cui la perdita della sovranità monetaria avrebbe scaricato sulla pressione fiscale le necessità finanziarie degli Stati e delle Regioni. La contraddizione principale, per dirla come Mao, o, se vogliamo, il principale pericolo per le tasche della ipotetica constituency leghista (la partita Iva, il sciur Brambilla con la fabbrichètta...) non era quella fra Milano e Roma, ma quella fra Roma e Bruxelles, come poi avrei cercato di spiegare - scoprendo involontariamente l'acqua calda - in Milano ladrona, Berlino non perdona! Salvini quindi stava semplicemente tornando alle origini, era più bossiano del "leghista Nord mediano", anche se non vi so dire quanto ne fosse all'epoca consapevole, ma questo conta il giusto.

Quello che conta è quanto successe dopo:


Il 15 dicembre 2013 Matteo diventava segretario della Lega Nord, il 16 dicembre andava a Porta a Porta:


esibendo coram populo una copia del libro che secondo lui esponeva i problemi reali del Paese (Il tramonto dell'euro), come avrebbe poi fatto in altre situazioni, con grande intelligenza tattica (perché di fatto mi mise sopra il cappello leghista, impedendomi di portare avanti il mio discorso in modo trasversale, anche se, per dirla tutta, i tentativi fatti a sinistra si erano risolti in nulla, dato che la sinistra era popolata di zeri - con la minuscola!).

Iniziava così un lungo percorso che attraverso il 6,15% alle Europee del 2014, dove scoprimmo di non essere mijoni (perché non riuscimmo ad eleggere Claudio, che se fosse andato a Bruxelles ci avrebbe dato tante soddisfazioni!), ci ha portato all'8,97% delle ultime europee, con le vicissitudini che sapete, ma soprattutto nel 2022 ha consegnato l'Italia a una stabile maggioranza di centrodestra:


(e siamo così arrivati al punto blu).

Ora, qual è la prima riflessione da fare su questo percorso, di cui alcuni snodi probabilmente vi erano ignoti perché non seguite il mio blog o perché non erano mai stati dichiarati in pubblico, e del quale sarebbe interessante sapere quale fosse la vostra percezione prima di questo riassunto?

La prima riflessione è che, in termini di political economy, questi risultati sono assolutamente scontati, questo percorso era prevedibile, e infatti lo avevo previsto, pur non essendo un gran politologo, quando il 22 agosto del 2011 avevo chiarito che "le politiche di destra [cioè l'austerità], nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra".

Le elezioni del settembre 2022 sono quindi state un gigantesco QED (quod erat demonstrandum).

La cosa interessante è che quella che ancora otto anni fa era una riflessione isolata, che sviluppammo nel blog commentando i risultati delle elezioni politiche tedesche:


per far notare che il risultato di AfD non indicava un ritorno del nazismo, come paventavano ironicamente alcuni film "de sinistra" dell'epoca, ma esprimeva il semplice, limpido e prevedibile dato che di fronte a un'aggressione anche economica l'elettore si rivolge ai partiti di destra per soddisfare il proprio bisogno di sicurezza anche economica (noi lo avevamo appreso al convegno di Montesilvano), ecco, questa che in fondo era ed è una banalità, nel frattempo è diventata scienza, o, se volete, Lascienza, in purezza. Quelli bravi ci hanno messo un po', ma nel 2023, figuratevi voi, hanno organizzato un convegno niente meno che in Commissione Europea per discutere i costi politici dell'austerità:


e qui verrebbe da dire, parafrasando il claim del mio blog: strano come un costo visto da sinistra somigli a un'opportunità vista da destra! Perché nonostante gli sforzi profusi per spiegarci che l'austerità porta gli elettori a radicalizzarsi votando per posizioni estreme (?), lasciando sottintendere che essa alimenterebbe opposti estremismi:


la verità, come ci chiariscono i dati forniti dai piddinissimi autori del sito Authoritarian populism index, è che la stagione dell'integrazione monetaria e quindi dell'austerità ha recato consenso ai partiti di destra:


sgretolando il consenso per la sinistra a partire dall'inizio degli anni '80 per motivi che spero di aver chiarito e che possiamo riassumere così: è stata la sinistra a fare propria l'agenda cosmopolita della globalizzazione, con tutte le amenità e le disumanità arcobaleno che essa porta con sé, ed è quindi a destra che si sono rivolti i cittadini violentati nella loro più intima essenza dai sinistri sponsor di un progetto, quello globalista, che li ha messi in diretta concorrenza con una massa di poveracci in via di sviluppo, compromettendone il tenore di vita e degradandone l'antropologia.

Tutto molto ovvio, direi, come pure è ovvio che oltre all'impoverimento diretto, quello che suscita una reazione verso destra è l'impoverimento indiretto causato dai tagli allo stato sociale, come oggi scoprono brillanti ricercatori:


dando origine a una letteratura così fiorente che siamo ormai arrivati alle metanalisi:


cioè a studi che anziché studiare il fenomeno, studiano gli studi che studiano il fenomeno, per estrarne i messaggi principali (evitando così al ricercatore desideroso di raccapezzarsi la pena infinita di leggere le decine di articoli "copia e incolla" che normalmente caratterizzano la produzione scientifica nei campi di ricerca in rapida espansione).

In quest'ultimo abstract c'è una cosa che mi ha colpito perché mi ha rinviato a un ricordo molto nitido (uno dei pochi) di quel periodo turbolento. Nel giugno 2014 ero a Francavilla al mare con mia figlia, fra una sessione di esami e l'altra, piuttosto stanco dopo un anno impegnativo. Il tempo non era un gran che. Mi chiama Salvini per chiedermi di venire su a Milano per partecipare a una riunione strategica post-europee. Io all'epoca non avevo alcun ruolo politico, né volevo averne, non ero della Lega, ero di sinistra, ma tornai a Roma, presi il treno e andai. Notate bene: Matteo si affidava a un potenziale "nemico" per chiedere idee e valutazioni. Una cosa simile a sinistra ovviamente non esisterebbe

MAI.

(ed è questo che li rende così autoreferenziali e scollati dalla realtà). La riunione era ovviamente riservata, quindi non vi dico di che cosa si parlò (e peraltro quello che dissi io probabilmente non impressionò più di tanto i presenti perché mi lasciarono poi stare per un paio d'anni!), ma ricordo nitidamente che un sondaggista attribuiva i voti che la Lega aveva preso per due terzi al tema della sicurezza (in senso proprio) e per un terzo al neuro. Appresi quindi allora che non eravamo mijoni (cosa che sui social qualcuno non imparerà mai). Va anche detto che dal 4% al 17% ci corrono tredici punti e essere un terzo di tredici, cioè una cosa intorno al 4%, qualche soddisfazione la dà. Ma questo è un altro discorso.

Ora: se è ovvio ex post per quelli bravi ed ex ante per noi che l'austerità fa perdere consenso, perché mai la sinistra l'ha implementata? (che non significa "incrementata", come credono tutti i coatti, ma realizzata, cioè, in coattese, "messa a terra"). Come forse ricorderete (ma perché mai un giovane della Lega dovrebbe seguire i parlamentari della Lega?) questa domanda l'ho posta al Migliore:


ovviamente senza averne risposta, e questa domanda credo che dovreste provare a porvela anche voi, perché la risposta non è scontata e serve a delineare il nostro spazio di manovra! Se chiudere gli ospedali fa incazzare la gente, perché il PD ha chiuso gli ospedali? Voleva suicidarsi? E noi con gli ospedali che cosa dobbiamo fare? Aprirli o chiuderli?

Chiara la rilevanza della domanda?

Bene.

La risposta che normalmente si dà è che queste politiche impopolari erano però necessarie per risanare il Paese. Peccato che i dati raccontino che esattamente queste stesse politiche il Paese lo hanno rovinato:

portando a meno crescita, più disoccupazione, più povertà e soprattutto più debito pubblico e sei downgrade! Il Governo attuale, per inciso, sta andando in tutti questi ambiti nella direzione opposta. Tuttavia, se chiedete all'average Joe piddino che cosa ha fatto Monti, lui vi dirà che ha salvato il Paese mettendo sotto controllo il debito pubblico, anche se i dati (che lui non conosce perché non ha fatto una scuola di formazione politica né ha mai letto questo blog) dicono questo:

E allora? Dobbiamo pensare che sia stata solo follia?

No, le cose non stanno così. Monti ha portato a termine la sua missione, che era quella di risanare il debito che realmente preoccupava i mercati, e quindi non quello pubblico, fatto per finanziare infrastrutture, ma quello privato, spesso destinato a impieghi meno produttivi e contratto, appunto, coi "mercati", cioè con le banche e i fondi esteri. Quello che secondo me dovrebbe dare una marcia in più al militante della Lega dovrebbe essere appunto la sua capacità di leggere la dinamica economica alla luce di una percezione non distorta di quale sia il vero problema, la vera fonte di instabilità finanziaria, e quindi la vera motivazione delle politiche di austerità:

Noi qui lo abbiamo detto fin dall'inizio, osservando, con molta semplicità, che i Paesi che erano andati in difficoltà nel 2010-2011 avevano debito pubblico in diminuzione o in ridotto aumento (con l'eccezione del Portogallo), ma avevano tutti uno stock di debito estero in aumento. Il problema era il debito estero, e l'austerità, cioè i tagli di reddito, non serviva a contenere il debito pubblico riducendo la spesa pubblica, ma a contenere le importazioni (distruggendo potere d'acquisto) al fine di riportare in surplus la bilancia dei pagamenti con l'estero e di ripagare quindi il debito estero.

Il meccanismo all'opera cioè era questo:


e il motivo per cui fra il deficit e il surplus ci deve essere necessariamente un abbattimento dei salari è, come credo sappiate, che in una unione monetaria non esiste più un tasso di cambio che possa muoversi per aggiustare i saldi esteri senza macelleria sociale nel Paese debitore. Vista in quest'ottica, l'esperienza Monti è stata un successo:


La deflazione salariale relativa all'altra grande potenza manifatturiera europea (la spezzata arancione che scende) ha risanato la posizione finanziaria netta sull'estero, che da debitoria è tornata creditoria, ed è oggi a un massimo storico.

Questo spiega perché il PD ha dovuto intraprendere politiche che hanno minato il suo consenso. Sostanzialmente perché queste politiche andavano a beneficio del blocco sociale di riferimento delle élite del PD, cioè della grande finanza internazionale, che quindi ha dato e continua a dare copertura politica o di altra natura agli artefici di questo rude ma efficace aggiustamento macroeconomico: cattedre prestigiose, cicli di conferenze profumatamente remunerati, consulenze milionarie, posti di spicco nelle istituzioni nazionali o sovranazionali (o estere), ecc.

E per gli elettori?

Per gli elettori, ovviamente, nozze gay coi fichi secchi. Finché si accontenteranno, pensando che l'alternativa sia il fasheesmo, avremo di fronte uno zoccolo di nostalgici che garantiranno al PD la doppia cifra (che tutte le sue articolazioni europee hanno perso, peraltro).

Questi però sono sostanzialmente fatti loro. Noi dobbiamo invece capire chi siamo e che cosa vogliamo, perché è solo uscendo dalla retorica della militanza che potremo entrare nella realtà della militanza.

Cos'è la retorica della militanza? Ve lo dico: ne ho i coglioni pieni di sentirmi ripetere l'epos convenzionale di quando venti o trent'anni fa Tizio o Caio andavano nelle nebbie della Padania o di altri circondari ad attaccare i manifesti con la colla. Questa cosa della colla ha sinceramente rotto i coglioni, anche se, per motivi per me incomprensibili, ogni volta che sul territorio si cerca di ragionare sui valori della Lega inevitabilmente si finisce a parlare di colla!

Ma la colla non è un valore della Lega!

Ne volete una prova?

Eccola:


Questo signore dallo sguardo profondo è tutto intento a spalmare colla, ma milita per il partito sorosiano e globalista per eccellenza! Ne volete un'altra prova? Questa:


Anche questa gentil donzella spalma colla, ma appartiene al partito del reddito di divananza, a quella che nel 2016 avevo previsto sarebbe diventata la stampella del PD (e nessuno mi credeva)!

Siete ancora convinti che i valori della Lega siano la colla?


Tutti attaccano manifesti, anche noi, naturalmente, ma forse, oltre a creare un racconto epico su chi i manifesti li attacca, bisognerebbe dire qualche parola su chi i manifesti li scrive: il successo del partito è dovuto a entrambi, ma la mia sensazione è che in questa epoca che vuole vedersi come "post-ideologica" l'importanza di quello che prima si pensa, poi si dice, poi si scrive, e poi si attacca al muro passi un po' in secondo piano, magari rispetto alle metriche social, o a una strana rivendicazione di anzianità. Perché mai dovrei considerare più militante uno che trent'anni fa attaccava manifesti del FUAN rispetto a uno che oggi legge e capisce Vent'anni di sovranismo?

E allora forse dovremmo, abbandonando per un attimo la retorica un po' autoreferenziale della militanza a base di colla, cercare una base valoriale e identitaria, da condividere, da mettere in discussione, da elaborare, nelle parole degli ideologi del partito, di quelli che gli hanno dato una fisionomia e lo hanno ingaggiato in battaglie condivise da un ampio elettorato. Un buon punto di partenza, ad esempio, è questo:

dove se non c'è tutto, sicuramente c'è molto. Militanza è ideologia, è capacità di leggere la realtà alla luce di un sistema di valori che consente di dedurre per ogni singolo problema che ci si trovi ad affrontare quale sia l'angolo di attacco da preferire, la decisione da prendere, la comunicazione da adottare, e di proiettare all'esterno, verso gli avversari ma soprattutto verso gli indecisi, un'immagine coerente, non schizofrenica.

Ad esempio, un pezzo di questa ideologia (il rifiuto del globalismo) si traduce nel noto aforisma:

UE = PD = cose che non si nominano a tavola

che ho formulato appunto parlando di ideologia a Beinasco:

Ecco: un militante questo non dovrebbe dimenticarlo mai, e dovrebbe sempre ricordarsi di declinare questo principio in ogni singola articolazione della sua vita personale, politica, amministrativa. Ad esempio, io sostengo che avremo fatto una vera rivoluzione culturale quando i nostri amministratori, i SOM che operano nelle varie amministrazioni, invece di dire "abbiamo preso i fondi europei" diranno "ci siamo ripresi i soldi delle vostre tasse", perché questa è la realtà e questo è quello che dice non Bagnai, ma la Corte dei Conti:


e questa verità andrebbe ricordata sempre, per ricordare sempre a noi stessi e a chi ci ascolta quali sono i danni del centralismo e dell'aver compresso i processi politici nazionali e locali, quelli vicini ai cittadini, a favore di processi distanti e condizionati dalle grandi lobby.

Questo è solo un esempio, se ne potrebbero fare altri, ma devo concludere.

La political economy più dotta e recente ci dice quello che sapevamo da noi, cioè che la gente ci ha votato perché ci opponessimo ai Governi tecnici a al PD. Qualora questo non fosse stato sufficientemente chiaro, l'esperienza del Governo Draghi, un male necessario, ha fornito ampia controprova, determinando un crollo verticale di consenso.

Ne derivano diverse conseguenze e considerazioni che vi affido per una riflessione e come stimolo per ulteriori incontri. Intanto, è assolutamente evidente che quando un partito offre un messaggio rivoluzionario, di cambiamento, il suo consenso cresce proporzionalmente al disagio della popolazione. Quando poi va al Governo, mi sembra piuttosto chiaro che non è facendo star male la popolazione che aumenterà il proprio consenso! D'altra parte, chiedo: secondo voi ora avere lo spread a 500 farebbe stare meglio o peggio i cittadini italiani?

Potrei chiederlo in un altro modo: secondo voi chi ha vilmente assassinato il Paese nel 2012 e fino al 2018, quanto ha a cuore la prosperità dei suoi abitanti? Zero! Quindi le richieste dell'opposizione a "fare di più" in un sistema da loro voluto dove chi fa di più viene punito dai mercati hanno un evidente scopo tattico: quello di mettere questo Governo in difficoltà non con i propri elettori (perché difficoltà simili non si intravedono all'orizzonte, per i motivi che ci siamo detti), ma con i mercati! Non vedrebbero l'ora di far fare a Meloni la fine che fecero fare a Berlusconi, ma trascurano il fatto che noi, non essendo progressisti, la storia la osserviamo e ne traiamo lezioni.

Naturalmente il crinale sul quale ci si deve muovere è stretto e richiede accortezze di comunicazione: la prima cosa da fare, perciò, è studiare per smontare da subito e in ogni sede le tante bufale che vengono messe in giro (a partire dall'aumento di un euro delle pensioni o dell'insufficienza della spesa sanitaria, per dire). Per chi non se ne fosse accorto, i partiti sono stati demonizzati e definanziati, quindi dimenticatevi di poter fare un'operazione simile frequentando la sezione per leggere il giornale del partito! Questa roba non esiste più. Ma la Lega, a differenza di altri partiti, ha due parlamentari che più degli altri ogni giorno si confrontano sui social (mondo da cui provengono) per diffondere i messaggi giusti e confutare quelli sbagliati. Quindi, se è vero che vi piace la politica, se è vero che volete militare nella Lega, se vi interessa impegnarvi nel dibattito, seguite Borghi e Bagnai per altri trucchetti!


(...ho dovuto fare questo discorso a una velocità spropositata e a una platea che avrebbe avuto bisogno di molti più passaggi, quelli che qui ho inserito come collegamenti ipertestuali. Se non siamo mijoni un motivo c'è, e il motivo principale è che certi argomenti che a voi sembrano semplici - anche se poi non li sapete gestire! - tanto semplici non sono... A me poi sembra che ormai si sia persa la nozione di quale sia lo scopo del gioco, che le passioni siano altrove. Questo è uno degli ultimi luoghi dove la passione politica si manifesta e si esercita, ma pur essendo il luogo di uno che ora fa l'uomo di partito, non è mai stato né mai sarà un luogo di partito: è un luogo aperto, cui accede chi desidera - e ogni tanto si vede! La strada per ricostruire una dignità alla passione civile in questo Paese è ancora molto lunga, e se mai arriveremo in fondo ricordiamoci di chi è stato il vero nemico della democrazia...)

venerdì 5 dicembre 2025

Tre discorsi: "Lavori in corso" (discorso numero uno)


Sento dire da molti che questo Governo starebbe varando una manovra improntata all'austerità. Anch'io avrei preferito una manovra diversa, è sufficientemente ovvio e noto. Ad esempio, avrei preferito che l'innalzamento del tetto al reddito da lavoro dipendente oltre al quale non si può accedere ai benefici della flat tax fosse reso strutturale, anziché prorogato di un solo anno, e magari portato a 40.000 euro, anziché a 35.000. Però chi parla di austerità a proposito di questa manovra semplicemente non sa, o non ricorda, che cosa sia stata l'austerità, o, peggio ancora, vuole fare della scadente propaganda politica.

Vediamo insieme perché: i numeri ci aiuteranno, la loro voce è molto nitida.

Per tutto il dopoguerra fino al 2007, anno della crisi dei subprime, il Pil italiano è andato crescendo secondo una tendenza più o meno lineare:


dalla quale si è discostato di molto poco, nonostante che questo periodo sia stato caratterizzato da conflitti (dalla Corea al Vietnam all'Afghanistan alla Jugoslavia all'Iraq, ecc.), da crisi finanziarie (nei Paesi asiatici, in Argentina, negli Stati Uniti con la bolla delle dot com, ecc.), da crisi delle materie prime (come le due crisi petrolifere degli anni '70...), da sommovimenti sociali (come l'autunno caldo o gli anni di piombo...), e via dicendo.

Poi è arrivata la Grande crisi finanziaria del 2008-2009:


e mentre stavamo ripartendo, in corrispondenza del puntino rosso, è arrivato Monti con la vera austerità. Il risultato è stato che lo scarto fra effettivo e tendenziale aperto dalla grande crisi, che già era di per sé rilevante in termini storici, si è allargato a dismisura e non si è sostanzialmente più richiuso (né è prevedibile che si richiuderà nel prossimo secolo).

Come è potuta succedere una cosa simile?

Così:


A partire dal Governo Monti, e per tutti i successivi Governi, incluso quello gialloverde (che nel 2018 fece la manovra più restrittiva degli ultimi undici anni, con un rapporto deficit/Pil pari a 1.45% nel 2019, superiore solo all'1.32% del Governo Prodi nel 2007), gli investimenti pubblici italiani al netto del deperimento delle infrastrutture furono costantemente negativi. Undici anni di distruzione di infrastrutture pubbliche che hanno rappresentato un freno drammatico alla crescita del Paese e da cui solo il Governo attuale ci ha riscattato, riportando gli investimenti netti in terreno positivo.

La differenza la situazione attuale e l'austerità, quella praticata da Monti su istigazione della lettera di Draghi, emerge bene se si considerano i risultati in termini di crescita dei due trienni 2011-2013 e 2022-2024:


Nei primi tre anni dall'inizio del Governo Monti l'Italia perse il 5% del Pil, nonostante che il contesto internazionale fosse di ripresa, con una Germania che realizzava una crescita cumulata del 3%. Nei primi tre anni del Governo Meloni l'Italia ha realizzato una crescita cumulata di oltre il 2%, con un contesto internazionale estremamente sfavorevole, caratterizzato da tensioni belliche e sul mercato dell'energia e da una Germania in caduta libera con una crescita cumulata inferiore al -1%.

Credo si capisca che non è la stessa cosa. Eppure:


l'idea che Monti abbia salvato il Paese è ancora egemone sui media, nonostante che un confronto fra i dati del Governo Monti e di quello Meloni sia impietoso:


Quale che sia la dimensione scelta (quella della crescita cumulata, della variazione della disoccupazione, o della povertà, o del debito pubblico, o del rating sul debito sovrano) il Governo Monti esce stracciato da questo confronto. Se si considerano i dati, e in particolare la ripresa degli investimenti pubblici netti col Governo attuale, questo risultato non è strano. Quello che è strano è che gli italiani ancora continuino a ritenere che Monti abbia sì distrutto benessere ma almeno risanato le finanze pubbliche, quando invece i dati dicono che le ha compromesse:


(perché distruggendo Pil ha fatto aumentare il rapporto debito/Pil), oppure che Monti ci abbia resi credibili, quando invece ci ha fatto passare per sei declassamenti del debito sovrano da parte di Moody's:

(e analoghi declassamenti da parte di tutte le altre agenzie di rating), cosa non strana, se si pensa che i mercati guardano ai risultati, e dodici trimestri di recessione non sono un ottimo risultato.

Quindi: la quarta manovra di questo Governo è senz'altro criticabile, sono io il primo a non esserne perfettamente contento, ma se non vogliamo sembrare dei faziosi propagandisti spudoratamente ignari di economia per cortesia non parliamo di austerità: l'austerità è stata un'altra cosa, e chi ne parla a vanvera dimostra solo di non aver realmente capito che cosa sia stata e quanto male abbia fatto al Paese.

(...questo breve discorso, con queste slides, è stato tenuto il 28 novembre scorso a Chieti, all'incontro "Lavori in corso", in cui abbiamo presentato la manovra di bilancio alle categorie produttive della provincia. Io mi sono occupato di questo inquadramento complessivo, e Gusmeroli da par suo ha evidenziato quali sono i principali provvedimenti e il loro ruolo. Apprezzerete il fatto che si cerca, con delicatezza, di smontare alcuni luoghi comuni. Certo che essere politici espone alla critica di essere in conflitto di interessi: non ci si aspetta che un parlamentare di maggioranza parli male del suo Governo! Tuttavia, i dati hanno una loro voce squillante e nitida, e portarli in sedi simili secondo me qualcosa fa, qualche seme di dubbio lo getta, che magari potrà germogliare. In ogni caso, a me di fare l'ennesimo discorso a base di "valori della Lega", cioè di colla, veniva male, e quindi ho cominciato a fare quello che voi avreste voluto che facessi fin dall'inizio, e che invece secondo me si può cominciare a fare solo ora. Se volete, ho anche la controprova: il discorso molto pedagogico che feci a suo tempo a San Salvo nelle mie intenzioni voleva aprire gli occhi agli astanti, ma nei risultati lasciò scontenti tutti: gli operai che volevano "la soluzione" - non essendo più disponibile la più ovvia, cioè quella di aprire gli occhi prima di entrare nella tonnara!, gli amministratori locali cui sembrava strumentale la politicizzazione di un tema simile, e i colleghi di altri partiti, cui era facile liquidare le mie parole come rigurgito propagandistico di un dilettante della politica paracadutato in un territorio di cui ignorava l'essenza. Non erano quelle le cose che andavano dette, non lì, non allora. Per essere ascoltati in certi contesti bisogna non solo aspettare qu'il arrive beaucoup de choses et de bien cruelles al cortese interlocutore, ma bisogna anche essersi creati una reputazione e un'autorevolezza con la presenza e col rispetto. Altrimenti, hai voglia a trombetteggiare o a Thelmo&Louiseggiare! Sui social funziona, ma nella vita vera no. Ecco, da qualche tempo a questa parte ho la sensazione che si possa cominciare a far aprire gli occhi alla gente, e naturalmente, come vedremo più avanti - nel discorso numero tre - un pezzo di questa apertura a nuove possibilità dipende dal fatto che Uva e er Piroetta ci hanno sorpassato a sinistra, per cui ora possiamo presentare le nostre idee come se fossero loro, sfruttando la reputazione -cioè la forza - dell'avversario. Chiaro, no?...)

mercoledì 3 dicembre 2025

I negazionisti dell'austerità

Ogni genocidio ha i suoi negazionisti.

Poteva l'austerità mancare all'appello?

Mi sono imbattuto nella cloaca di Twitter in un didascalico e sussiegoso divulgatore:

il cui specifico ambito di expertise mi sfugge, ma che non manca di buona volontà. Egli desidera illuminarci sul nostro futuro e a questo scopo ha scritto un libro che vuole vendere. A servizio di questo lecito scopo, srotola thread dai toni protrettico-parenetici, ghirlande di riverite opinioni e di risaputi grafici che male non fanno, anzi!, pur non essendo sempre illuminanti come l'enfasi di chi ce li propone vorrebbe lasciarci supporre.

Uno degli ultimi è qui e riguarda un tema da noi spesso affrontato, quello della natalità. Me lo sono letto, mi suonava vuoto, pensandoci un attimo ho capito che cosa non mi convinceva e l'ho detto (si può, vero?):


Le querimonie sulla natalità che non tengano conto del più violento e protratto shock economico subito dal nostro Paese dall'Unità in poi mi lasciano in effetti se non freddo, tiepido. La risposta del Leonardi, a dire il vero non piccata e costruttiva (l'uomo ha un buon carattere, io no), mi lascia ulteriormente perplesso: mucho texto e una implicita accusa di cherry picking che però denotano solo una certa ignoranza dei fondamentali e la necessità di un supplemento di istruttoria.


Insomma, il nostro amico ci dice che l'economia non c'entra, che il problema è più complesso e guidato da i dettami della Modernità (con la maiuscola), dall'individualismo, dalla secolarizzazione (con o senza la prima "e"), dal benessere, e così via, in un affastellamento di cause spirituali tutte esteticamente plausibili, nobilitate come sono dall'essere platonicamente astratte dalle contingenze materiali.

Peccato che, nel far questo, l'amico mostri un grafico che evidenzia esattamente il problema che cercavo di fargli capire: come mai le nascite, che in Italia erano sostanzialmente stabili dal 1985 (pensa un po' le coincidenze: da quando l'inflazione tornò a una cifra!) crollano dal 2012 in poi? Per non rispondere a questa domanda il buon Leonardi usa un espediente dialettico furbesco: risponde a una domanda che non ci eravamo posti, cioè perché le nascite calino dal 1964 al 1984. Nice try! Al bar di Lettomanoppello (o di Macchia Scandona, o di Monticchiello...) potrebbe funzionare, ma questo bar, il nostro bar, è molto mal frequentato (da noi), e chi ci entra deve fare attenzione.

Vediamo perché, dividendo il problema in due...

Dal 1964 al 1984

Sui motivi che hanno determinato il calo demografico in questo periodo ci siamo già esercitati ad esempio qui, evidenziando come in particolare da noi, ma non solo da noi, appaia una correlazione piuttosto forte fra la diminuzione strutturale delle nascite e l'aumento strutturale della disoccupazione, legato come sapete al rafforzarsi dell'integrazione monetaria (la necessità di competere al ribasso sui salari è necessità di competere al rialzo sulla disoccupazione):


Ora, questa è naturalmente una delle spiegazioni possibili, che non pretende di essere esaustiva. In generale osservo che questo dibattito non è fra chi dice che solo una variabile economica spieghi tutta la varianza delle variabili demografiche, e chi più saggiamente afferma che il fenomeno è multifattoriale. No, funziona al contrario: il dibattito è fra chi strenuamente negaziona la rilevanza dei fondamentali economici, e chi invece desidererebbe che venissero considerati anch'essi, tanto più che molte spiegazioni asseritamente alternative (la modernità, la sociologia, l'individualismo...) in realtà sono anch'esse esprimibili e misurabili in termini macroeconomici.

Ad esempio, gli anni cui ci riferiamo sono stati anche anni di profondo cambiamento strutturale dell'economia:


ed è sufficientemente ovvio che nel periodo di cui trattasi il passaggio da un'economia rurale (con una diminuzione di oltre 8 punti percentuali della quota di Pil del settore primario) e la terziarizzazione dell'economia urbana (con un aumento di oltre 15 punti della quota di Pil dei servizi), che sono misurabili in termini di variabili macroeconomiche, sostanziavano appunto quel transito verso la modernità di cui parla il nostro nuovo amico. Io però non userei per la modernità la "M" maiuscola di Messia, ma la "m" minuscola di merda, perché alla fine questa modernità altro non è stato che il riuscito tentativo di convincere le donne a lavorare con l'illusione di emanciparsi, affinché un nucleo familiare potesse sopravvivere percependo due mezzi stipendi al posto di uno, in un'epoca in cui il potere d'acquisto dei salari smetteva di crescere:


(una cosa che secondo me ha più a che fare con la schiavitù che con l'emancipazione, ma io sono strano).

Dal 1985 in qua

Ora, cari amici, il punto qual è?

Che dato per riconosciuto e assodato ciò che è ovvio, ovvero che fino alla metà circa degli anni '80 il cambiamento strutturale è una concausa delle dinamiche demografiche, e quindi se volete un fattore confondente nella relazione causale fra alcuni fondamentali macroeconomici (come gli investimenti pubblici) e la demografia, a partire dagli anni '90 il cambiamento strutturale sostanzialmente è avvenuto: l'inurbamento e la terziarizzazione non dico si arrestino, ma procedono in modo sostanzialmente impercettibile, la crescita della produttività si arresta anch'essa, come quella dei salari, la configurazione degli altri fondamentali si stabilizza come sapete (se avete dubbi o domande siamo qui), e così si stabilizzano i nati vivi, fino al 2011:

Questo sostanzialmente significa che lo shock causato da Monti nel 2012 non solo è il più rilevante nella storia del Paese, ma è anche il primo a poter essere osservato "in purezza", come direbbe il nostro amico Riccardo, ovvero ceteris paribus, come diciamo noi economisti. Nel 2012 la modernità con la "m" di merda era già arrivata da un bel pezzo ed era quindi ampiamente scontata nelle aspettative di chi avesse voluto progettare una famiglia. Quello che nessuno poteva aspettarsi era quello che non c'era mai stato: il dimezzamento degli investimenti pubblici lordi con rovesciamento di segno degli investimenti pubblici netti!

Più in generale, visto che un gruppo di controllo può senz'altro aiutare a evidenziare il fenomeno, è difficile negazionare che l'austerità sia un problema se si confrontano le dinamiche demografiche dei Paesi che l'hanno implementata con quelle dei Paesi che glie l'hanno imposta, e farlo è facile, ad esempio usando i dati del grafico qua sopra:


Occorre commentare?

In Grecia, Italia e Spagna si partiva da un trend più o meno debolmente crescente, e dal 2011 il crollo è di circa un terzo dei nati vivi. In Austria, Germania, Olanda il trend invece era negativo e si inverte (come in Germania) o si arresta (come in Austria) o prosegue più o meno allo stesso ritmo (come in Olanda) ma da nessuna parte si accentua drammaticamente al ribasso come nei Paesi cui è stata imposta l'austerità.

Conclusioni

Vedo affacciarsi al Dibattito tanti giovani volenterosi, che vanno senz'altro incoraggiati nel tentativo di trasformare il loro dibattito in un Dibattito. Vanno però anche messi in guardia! Chi il Dibattito l'ha frequentato sa che uno dei punti di minore decenza è stato toccato qui:

Per anni abbiamo ritenuto che non si potesse andare oltre questo culmine di slealtà intellettuale deontologicamente raccapricciante, e non vorremmo pensare che invece lo zelo del neofita spinga alcuni a superare tanto orrore! Perché questa persona che non nomino, e che non ho nominato nemmeno in aula quando ho ricordato la sua prodezza nella mia dichiarazione di voto contrario al MES, per quanto sia non è arrivato fino al punto di negazionare che l'austerità abbia ucciso dei bambini. Il nostro nuovo amico, invece, sembrerebbe (ma sicuramente ho capito male io, e ora che mi sono spiegato meglio probabilmente mi aiuterà a cambiare idea) che voglia negazionare quello che perfino coso qua sopra non ha avuto il coraggio di negazionare. Ecco: facciamo attenzione, perché qui non c'è solo un problema che è oggettivamente serio per il futuro del Paese (e occuparmene è il mio lavoro, e su questo stiamo facendo un'indagine conoscitiva). Qui ci sono anche le sensibilità giustamente esasperate di chi sa riconoscere una strage degli innocenti quando la incontra.

La modernità con la "m" di merda non deve, o meglio non dovrebbe, obliterare l'umanità con la "u" di uomo.

(...and woman...)

Ha stato Giorgetti!

No, non è quello che pensate voi (per cui vale il noto brocardo Roma locuta, causa finita, con buona pace dei monatti che mi hanno inseguito per Montecitorio!): è una riflessione, la solita - ma sempre utile - riflessione, sull'austerità, su cosa sia, su quali effetti produca...

Faccio un rapidissimo riassunto delle puntate precedenti: nella prima, tredici anni or sono, vi avevo descritto l'aritmetica del debito pubblico, facendo riferimento a un noto episodio storico: il dialogo fra il premier della Ruritania e il governatore della BCR (Banca Centrale Ruritana), in cui quest'ultimo spiegava al primo che essendo il debito della Ruritania una frazione impropria del Pil, le politiche di austerità avevano come necessario effetto collaterale un incremento, anziché una diminuzione, del rapporto. Eh sì, perché per quanto sembri strano, capita che:


Nonostante che 2 si ottenga da 1,5 sottraendo 1 al numeratore e al denominatore, per un insondabile mistero dell'aritmetica risulta maggiore di 1,5. Questo significa che a meno che il moltiplicatore fiscale sia di molto inferiore a uno (e non si vede perché dovrebbe), quando il rapporto debito/Pil è superiore al 100% la crescita è più efficace dei tagli nel farlo diminuire, cosa che nel 2012 nessuno diceva tranne

IO

e nel 2025 stanno dicendo un po' tutti. Probabilmente il motivo di questo strano oblio dell'aritmetica elementare stava nella circostanza che qui vi rappresento:


All'inizio del 2012 (fine del 2011) un unico Paese significativo aveva un rapporto debito/Pil superiore al 100%: l'Italia. Solo l'Italia quindi si sarebbe fatta molto male, e se lo fece, approvando politiche procicliche di austerità:


Oggi seguire quella china sarebbe un problema non solo per noi, ma anche per Stati Uniti e Francia (per restare fra i grandi).

Ne consegue, e questa è la seconda puntata, che da due anni a questa parte la narrazione è cambiata, come vi ho spiegato parlando degli spingitori di austerità:


Ora quello che nel 2012 dicevo solo io lo dice, con maggiore ma non inattingibile né indispensabile raffinatezza, anche l'aiemmef (IMF): se tagli con un rapporto debito/Pil maggiore al 100% rischi di fare disastri (vedi il ragionamento qua sopra). Quindi l'"effetto Monti" da noi previsto ad aprile 2012 (prima che si materializzasse nei dati) ad aprile 2023 (dopo che gli si sono fatti esplicare i suoi effetti disastrosi) viene riconosciuto anche da quei gran figli di troika...

E fino a qui siamo alle cose che sapete.

Oggi sono intervenuto a una conferenza organizzata da Itinerari previdenziali, dove ho detto cose che anche solo tre anni fa mi avrebbero valso un brusio di scandalizzata riprovazione da parte della platea, molto ortodossa (casse previdenziali, fondi pensione, asset manager), e che invece hanno suscitato interesse e plauso, non quel plauso furtivo e clandestino che mi riservavano certi colleghi quando prima di diventare parlamentare denunciavo le storture dell'Unione monetaria, ma un plauso assolutamente trasparente.

Fra le varie cose che ho fatto vedere c'è questa:


Qui avete la media aritmetica del rapporto deficit/Pil e del rapporto debito pubblico/Pil nel triennio 2023-2025 secondo le previsioni del Fmi nell'aprile del 2023 e nell'ottobre del 2025. Che cosa notate? Che nell'aprile del 2023 il Fmi prevedeva che avremmo fatto mediamente meno deficit (attorno al -2.5% del Pil) ma più debito (attorno al 139% del Pil), mentre le stime più recenti, quelle di ottobre 2025 , ci dicono che avendo fatto più deficit (con una media attorno al -4.5% del Pil) siamo riusciti a fare meno debito (con una media sotto al 136% del Pil).

Per noi questa è accademia, ovviamente: sono banalità, business as usual, è un fenomeno della cui natura economica siete edotti fin dal lontanissimo 2012. Abbiamo fatto meno debito perché abbiamo fatto più deficit del previsto. Eventualmente ci sarebbe da ragionare sui risvolti politici: mi riuscite a spiegare come mai un Governo che si è comportato così (e quindi bene, secondo la vera teoria economica, quella esposta da Goofynomics undici anni prima del Fmi), viene accusato di essere una sorta di Monti 2?

Non sto dicendo che l'attuale manovra sia espansiva, per carità! Ma non è restrittiva, pur non volendo essere eversiva. La domanda diventa quindi: a chi farebbe comodo una manovra eversiva, che scatenando turbolenza sui mercati porterebbe al rovesciamento del Governo? Ormai abbiamo capito come funziona, e ci dispiace per er sor Perepè, per Thelmo&Louiso, ma anche per il loro blocco sociale di riferimento (o di utilidiotanza), cioè il grande capitale finanziario internazionale: non ci faremo tirare giù così!

Il gesto eclatante lo lasciamo agli altri.

Noi ci accontentiamo dei risultati eclatanti (date le condizioni).

That's it!