mercoledì 3 dicembre 2025

I negazionisti dell'austerità

Ogni genocidio ha i suoi negazionisti.

Poteva l'austerità mancare all'appello?

Mi sono imbattuto nella cloaca di Twitter in un didascalico e sussiegoso divulgatore:

il cui specifico ambito di expertise mi sfugge, ma che non manca di buona volontà. Egli desidera illuminarci sul nostro futuro e a questo scopo ha scritto un libro che vuole vendere. A servizio di questo lecito scopo, srotola thread dai toni protrettico-parenetici, ghirlande di riverite opinioni e di risaputi grafici che male non fanno, anzi!, pur non essendo sempre illuminanti come l'enfasi di chi ce li propone vorrebbe lasciarci supporre.

Uno degli ultimi è qui e riguarda un tema da noi spesso affrontato, quello della natalità. Me lo sono letto, mi suonava vuoto, pensandoci un attimo ho capito che cosa non mi convinceva e l'ho detto (si può, vero?):


Le querimonie sulla natalità che non tengano conto del più violento e protratto shock economico subito dal nostro Paese dall'Unità in poi mi lasciano in effetti se non freddo, tiepido. La risposta del Leonardi, a dire il vero non piccata e costruttiva (l'uomo ha un buon carattere, io no), mi lascia ulteriormente perplesso: mucho texto e una implicita accusa di cherry picking che però denotano solo una certa ignoranza dei fondamentali e la necessità di un supplemento di istruttoria.


Insomma, il nostro amico ci dice che l'economia non c'entra, che il problema è più complesso e guidato da i dettami della Modernità (con la maiuscola), dall'individualismo, dalla secolarizzazione (con o senza la prima "e"), dal benessere, e così via, in un affastellamento di cause spirituali tutte esteticamente plausibili, nobilitate come sono dall'essere platonicamente astratte dalle contingenze materiali.

Peccato che, nel far questo, l'amico mostri un grafico che evidenzia esattamente il problema che cercavo di fargli capire: come mai le nascite, che in Italia erano sostanzialmente stabili dal 1985 (pensa un po' le coincidenze: da quando l'inflazione tornò a una cifra!) crollano dal 2012 in poi? Per non rispondere a questa domanda il buon Leonardi usa un espediente dialettico furbesco: risponde a una domanda che non ci eravamo posti, cioè perché le nascite calino dal 1964 al 1984. Nice try! Al bar di Lettomanoppello (o di Macchia Scandona, o di Monticchiello...) potrebbe funzionare, ma questo bar, il nostro bar, è molto mal frequentato (da noi), e chi ci entra deve fare attenzione.

Vediamo perché, dividendo il problema in due...

Dal 1964 al 1984

Sui motivi che hanno determinato il calo demografico in questo periodo ci siamo già esercitati ad esempio qui, evidenziando come in particolare da noi, ma non solo da noi, appaia una correlazione piuttosto forte fra la diminuzione strutturale delle nascite e l'aumento strutturale della disoccupazione, legato come sapete al rafforzarsi dell'integrazione monetaria (la necessità di competere al ribasso sui salari è necessità di competere al rialzo sulla disoccupazione):


Ora, questa è naturalmente una delle spiegazioni possibili, che non pretende di essere esaustiva. In generale osservo che questo dibattito non è fra chi dice che solo una variabile economica spieghi tutta la varianza delle variabili demografiche, e chi più saggiamente afferma che il fenomeno è multifattoriale. No, funziona al contrario: il dibattito è fra chi strenuamente negaziona la rilevanza dei fondamentali economici, e chi invece desidererebbe che venissero considerati anch'essi, tanto più che molte spiegazioni asseritamente alternative (la modernità, la sociologia, l'individualismo...) in realtà sono anch'esse esprimibili e misurabili in termini macroeconomici.

Ad esempio, gli anni cui ci riferiamo sono stati anche anni di profondo cambiamento strutturale dell'economia:


ed è sufficientemente ovvio che nel periodo di cui trattasi il passaggio da un'economia rurale (con una diminuzione di oltre 8 punti percentuali della quota di Pil del settore primario) e la terziarizzazione dell'economia urbana (con un aumento di oltre 15 punti della quota di Pil dei servizi), che sono misurabili in termini di variabili macroeconomiche, sostanziavano appunto quel transito verso la modernità di cui parla il nostro nuovo amico. Io però non userei per la modernità la "M" maiuscola di Messia, ma la "m" minuscola di merda, perché alla fine questa modernità altro non è stato che il riuscito tentativo di convincere le donne a lavorare con l'illusione di emanciparsi, affinché un nucleo familiare potesse sopravvivere percependo due mezzi stipendi al posto di uno, in un'epoca in cui il potere d'acquisto dei salari smetteva di crescere:


(una cosa che secondo me ha più a che fare con la schiavitù che con l'emancipazione, ma io sono strano).

Dal 1985 in qua

Ora, cari amici, il punto qual è?

Che dato per riconosciuto e assodato ciò che è ovvio, ovvero che fino alla metà circa degli anni '80 il cambiamento strutturale è una concausa delle dinamiche demografiche, e quindi se volete un fattore confondente nella relazione causale fra alcuni fondamentali macroeconomici (come gli investimenti pubblici) e la demografia, a partire dagli anni '90 il cambiamento strutturale sostanzialmente è avvenuto: l'inurbamento e la terziarizzazione non dico si arrestino, ma procedono in modo sostanzialmente impercettibile, la crescita della produttività si arresta anch'essa, come quella dei salari, la configurazione degli altri fondamentali si stabilizza come sapete (se avete dubbi o domande siamo qui), e così si stabilizzano i nati vivi, fino al 2011:

Questo sostanzialmente significa che lo shock causato da Monti nel 2012 non solo è il più rilevante nella storia del Paese, ma è anche il primo a poter essere osservato "in purezza", come direbbe il nostro amico Riccardo, ovvero ceteris paribus, come diciamo noi economisti. Nel 2012 la modernità con la "m" di merda era già arrivata da un bel pezzo ed era quindi ampiamente scontata nelle aspettative di chi avesse voluto progettare una famiglia. Quello che nessuno poteva aspettarsi era quello che non c'era mai stato: il dimezzamento degli investimenti pubblici lordi con rovesciamento di segno degli investimenti pubblici netti!

Più in generale, visto che un gruppo di controllo può senz'altro aiutare a evidenziare il fenomeno, è difficile negazionare che l'austerità sia un problema se si confrontano le dinamiche demografiche dei Paesi che l'hanno implementata con quelle dei Paesi che glie l'hanno imposta, e farlo è facile, ad esempio usando i dati del grafico qua sopra:


Occorre commentare?

In Grecia, Italia e Spagna si partiva da un trend più o meno debolmente crescente, e dal 2011 il crollo è di circa un terzo dei nati vivi. In Austria, Germania, Olanda il trend invece era negativo e si inverte (come in Germania) o si arresta (come in Austria) o prosegue più o meno allo stesso ritmo (come in Olanda) ma da nessuna parte si accentua drammaticamente al ribasso come nei Paesi cui è stata imposta l'austerità.

Conclusioni

Vedo affacciarsi al Dibattito tanti giovani volenterosi, che vanno senz'altro incoraggiati nel tentativo di trasformare il loro dibattito in un Dibattito. Vanno però anche messi in guardia! Chi il Dibattito l'ha frequentato sa che uno dei punti di minore decenza è stato toccato qui:

Per anni abbiamo ritenuto che non si potesse andare oltre questo culmine di slealtà intellettuale deontologicamente raccapricciante, e non vorremmo pensare che invece lo zelo del neofita spinga alcuni a superare tanto orrore! Perché questa persona che non nomino, e che non ho nominato nemmeno in aula quando ho ricordato la sua prodezza nella mia dichiarazione di voto contrario al MES, per quanto sia non è arrivato fino al punto di negazionare che l'austerità abbia ucciso dei bambini. Il nostro nuovo amico, invece, sembrerebbe (ma sicuramente ho capito male io, e ora che mi sono spiegato meglio probabilmente mi aiuterà a cambiare idea) che voglia negazionare quello che perfino coso qua sopra non ha avuto il coraggio di negazionare. Ecco: facciamo attenzione, perché qui non c'è solo un problema che è oggettivamente serio per il futuro del Paese (e occuparmene è il mio lavoro, e su questo stiamo facendo un'indagine conoscitiva). Qui ci sono anche le sensibilità giustamente esasperate di chi sa riconoscere una strage degli innocenti quando la incontra.

La modernità con la "m" di merda non deve, o meglio non dovrebbe, obliterare l'umanità con la "u" di uomo.

(...and woman...)

Ha stato Giorgetti!

No, non è quello che pensate voi (per cui vale il noto brocardo Roma locuta, causa finita, con buona pace dei monatti che mi hanno inseguito per Montecitorio!): è una riflessione, la solita - ma sempre utile - riflessione, sull'austerità, su cosa sia, su quali effetti produca...

Faccio un rapidissimo riassunto delle puntate precedenti: nella prima, tredici anni or sono, vi avevo descritto l'aritmetica del debito pubblico, facendo riferimento a un noto episodio storico: il dialogo fra il premier della Ruritania e il governatore della BCR (Banca Centrale Ruritana), in cui quest'ultimo spiegava al primo che essendo il debito della Ruritania una frazione impropria del Pil, le politiche di austerità avevano come necessario effetto collaterale un incremento, anziché una diminuzione, del rapporto. Eh sì, perché per quanto sembri strano, capita che:


Nonostante che 2 si ottenga da 1,5 sottraendo 1 al numeratore e al denominatore, per un insondabile mistero dell'aritmetica risulta maggiore di 1,5. Questo significa che a meno che il moltiplicatore fiscale sia di molto inferiore a uno (e non si vede perché dovrebbe), quando il rapporto debito/Pil è superiore al 100% la crescita è più efficace dei tagli nel farlo diminuire, cosa che nel 2012 nessuno diceva tranne

IO

e nel 2025 stanno dicendo un po' tutti. Probabilmente il motivo di questo strano oblio dell'aritmetica elementare stava nella circostanza che qui vi rappresento:


All'inizio del 2012 (fine del 2011) un unico Paese significativo aveva un rapporto debito/Pil superiore al 100%: l'Italia. Solo l'Italia quindi si sarebbe fatta molto male, e se lo fece, approvando politiche procicliche di austerità:


Oggi seguire quella china sarebbe un problema non solo per noi, ma anche per Stati Uniti e Francia (per restare fra i grandi).

Ne consegue, e questa è la seconda puntata, che da due anni a questa parte la narrazione è cambiata, come vi ho spiegato parlando degli spingitori di austerità:


Ora quello che nel 2012 dicevo solo io lo dice, con maggiore ma non inattingibile né indispensabile raffinatezza, anche l'aiemmef (IMF): se tagli con un rapporto debito/Pil maggiore al 100% rischi di fare disastri (vedi il ragionamento qua sopra). Quindi l'"effetto Monti" da noi previsto ad aprile 2012 (prima che si materializzasse nei dati) ad aprile 2023 (dopo che gli si sono fatti esplicare i suoi effetti disastrosi) viene riconosciuto anche da quei gran figli di troika...

E fino a qui siamo alle cose che sapete.

Oggi sono intervenuto a una conferenza organizzata da Itinerari previdenziali, dove ho detto cose che anche solo tre anni fa mi avrebbero valso un brusio di scandalizzata riprovazione da parte della platea, molto ortodossa (casse previdenziali, fondi pensione, asset manager), e che invece hanno suscitato interesse e plauso, non quel plauso furtivo e clandestino che mi riservavano certi colleghi quando prima di diventare parlamentare denunciavo le storture dell'Unione monetaria, ma un plauso assolutamente trasparente.

Fra le varie cose che ho fatto vedere c'è questa:


Qui avete la media aritmetica del rapporto deficit/Pil e del rapporto debito pubblico/Pil nel triennio 2023-2025 secondo le previsioni del Fmi nell'aprile del 2023 e nell'ottobre del 2025. Che cosa notate? Che nell'aprile del 2023 il Fmi prevedeva che avremmo fatto mediamente meno deficit (attorno al -2.5% del Pil) ma più debito (attorno al 139% del Pil), mentre le stime più recenti, quelle di ottobre 2025 , ci dicono che avendo fatto più deficit (con una media attorno al -4.5% del Pil) siamo riusciti a fare meno debito (con una media sotto al 136% del Pil).

Per noi questa è accademia, ovviamente: sono banalità, business as usual, è un fenomeno della cui natura economica siete edotti fin dal lontanissimo 2012. Abbiamo fatto meno debito perché abbiamo fatto più deficit del previsto. Eventualmente ci sarebbe da ragionare sui risvolti politici: mi riuscite a spiegare come mai un Governo che si è comportato così (e quindi bene, secondo la vera teoria economica, quella esposta da Goofynomics undici anni prima del Fmi), viene accusato di essere una sorta di Monti 2?

Non sto dicendo che l'attuale manovra sia espansiva, per carità! Ma non è restrittiva, pur non volendo essere eversiva. La domanda diventa quindi: a chi farebbe comodo una manovra eversiva, che scatenando turbolenza sui mercati porterebbe al rovesciamento del Governo? Ormai abbiamo capito come funziona, e ci dispiace per er sor Perepè, per Thelmo&Louiso, ma anche per il loro blocco sociale di riferimento (o di utilidiotanza), cioè il grande capitale finanziario internazionale: non ci faremo tirare giù così!

Il gesto eclatante lo lasciamo agli altri.

Noi ci accontentiamo dei risultati eclatanti (date le condizioni).

That's it!

venerdì 28 novembre 2025

Monti ha salvato il Paese!

Questo a voi è noto, almeno spero, come è noto che solo un negazionista quale Dragoni può tentare di controbattere un simile dato di fatto. Lo ho ripetuto al #goofy14, come qualcuno di voi avrà visto:

e lo ribadirò oggi alle 18 nella sala consiliare della Provincia di Chieti, confrontando il successo di Monti fra 2011 e 2013 con il disastro fatto dai fasheesti fra 2022 e 2024:


perché il problema, oggi come ieri, è il fasheesmo, e la violenza fatta alla donna dall'uomo bianco patriarcale.

Poi ci sono i dati, che in economia, come in tanti altri campi (direi tutti) raccontano una storia diversa, indicano altre criticità e altre priorità, e soprattutto che hanno, i nostri amici dati, la testa dura, come diceva il camerata Lenin.

Se passerete, ci divertiremo...

giovedì 27 novembre 2025

Qualche appunto sulla crescita

Domani escono i dati del Pil nel terzo trimestre (per ora abbiamo solo il provvisorio) e capiremo un po' meglio che aria tira. Intanto, vi fornisco qualche dato utile per inquadrare la situazione. Il Pil trimestrale nelle tre principali economie europee, fatto 100 l'ultimo trimestre del 2022 (quello in cui è arrivato il fasheesmo, per capirci) finora si è mosso così:


dove l'ultimo dato italiano è provvisorio (domani avremo il definitivo; la fonte di questi dati è Eurostat).

Diciamo bene ma non benissimo, nel senso che ovviamente sarebbe stato meglio crescere quanto la Francia.

Su cosa sostenga la crescita della Francia penso di poter fare un paio di educated guess. Senz'altro gioca un ruolo la spesa pubblica corrente, ma anche questo dato di fatto:


Il minor aumento del Pil in Italia è indubbiamente legato alla maggiore esposizione del nostro Paese verso la Germania, con un rapporto fra interscambio commerciale e Pil inferiore di oltre un punto.

Quindi il Pil tedesco è diminuito, mentre quello italiano è aumentato. Macabro dettaglio, i consumi delle famiglie sono però aumentati ovunque, anche in Germania dove i redditi diminuivano:


il che, così, a lume di naso, mi farebbe pensare che in Germania sia aumentato il debito delle famiglie (ma bisognerebbe approfondire l'analisi, ad esempio considerando il reddito disponibile delle famiglie ecc.).

Ci stiamo deindustrializzando?

Questo è l'indice della produzione industriale nel settore manifatturiero, base 2020 = 100, per Italia e Germania:

e non è difficilissimo vedere che in Germania la produzione è tendenzialmente cresciuta nell'ultimo trentennio, mentre in Italia scesa (il fatto che gli indici verso la fine coincidano ovviamente non significa nulla se non che la base degli indici è convenzionalmente posta al 2020: quello che va guardato di un indice è la dinamica.

Si vede anche abbastanza bene quand'è che le cose cominciano ad andare storte, e in effetti anche in questo caso il fasheesmo c'entra poco. Se ci soffermiamo sul periodo dal 2017 a oggi le cose vanno così:


e si vede bene dov'è il problema: dopo lo shock del COVID l'Italia è rimbalzata, la Germania no. Se restringiamo lo zoom vediamo una roba simile:


La discesa dell'indice della produzione industriale italiana comincia al tempo di LVI e tutto sommato il fasheesmo (insomma: noi) riesce a frenarla più che ad accelerarla.

Vero è che in Italia il peso del manifatturiero sul valore aggiunto totale si è andato riducendo a partire dagli anni '90:

A metà anni '90 il manifatturiero pesava per il 20% dell'economia sia in Germania che in Italia, ora pesa ancora per il 20% in Germania e in Italia per il 16%, un calo di quattro punti. Al #goofy12 l'amico Münchau ci ha insegnato a leggere questo dato non solo, o non necessariamente, come una funesta deindustrializzazione dell'Italia, ma forse come una altrettanto funesta strozzatura dell'offerta di servizi all'economia tedesca: non sarebbe cioè tanto il nostro manifatturiero a essere sottodimensionato, quanto il loro settore dei servizi ad esserlo (ricorderete l'aneddoto del figlio che chiede al padre: "Babbo, perché il telefonino non funziona?"):

Inutile dire che, come sempre, la verità è probabile che sia nel mezzo, ma sicuramente, qualsiasi cosa sia, non è difficile vedere quando è successa, e anche qui il fasheesmo c'entra poco (come c'entra poco con la crisi dei salari, come c'entra poco col fiscal drag, insomma: come c'entra poco con tutto, o come non c'entravano niente con la crisi da debito estero del 2011 le abitudini sessuali di Berlusconi - cosa che vi dicevo da sinistra e vi ripeto senza problemi da destra!). Basta vedere come si muove lo scarto fra le quote del manifatturiero in Italia e Germania:


Questo scarto si divarica in modo pressoché lineare fra il 1996 e il 2011, poi si ferma lì (e eventualmente dal 2022 a oggi si sta lievemente richiudendo, ma è presto per dire se si tratta di un cambiamento strutturale).

Voi direte: ma come fa il Pil italiano a crescere se la produzione industriale diminuisce? Perché nel Pil ci sono anche agricoltura e servizi, e poi perché l'indice della produzione industriale è un indicatore congiunturale basato sulla quantità fisica di prodotto, che è un concetto di misurazione relativamente facile a intervalli mensili, ma non è economicamente raffinato come il valore aggiunto, che misura il prodotto netto sottraendo al volume della produzione quello degli input intermedi (e quindi risente di elementi quali la struttura del processo produttivo e i costi degli input produttivi). Ovviamente nel lungo periodo le due misure sono correlate, e infatti se prendete le serie del valore aggiunto nel manifatturieri espresso come indice ritrovate un profilo simile a quello dell'indice della produzione industriale:


Simile, ma non identico, come si vede confrontando le due serie separatamente nei due Paesi, cioè in Italia:

e in Germania:


da cui vedete un paio di cose: che lo scollamento fra le due serie è maggiore in Germania che in Italia, e che a fine corsa, cioè con l'avvento del fasheesmo, la serie del valore aggiunto penalizza più la Germania che l'Italia. I motivi tecnici di queste differenze, se interessano, li trovate qui.

La sintesi estrema è che, pur non essendoci un gran che da stare allegri con l'andamento del nostro indice della produzione industriale, se invece di questo indice congiunturale guardiamo un indice più strutturale come il valore aggiunto la situazione è leggermente migliore da noi (per il semplice fatto che è leggermente peggiore in Germania ora che non può più fare dumping energetico col gas russo), e comunque rispetto a quanto accade in Germania, che, come sapete, non è la locomotiva ma la zavorra dell'Eurozona, quello che accade qui non dico che ci debba far stare tranquilli, ma sicuramente non giustifica gli alti lai disfattisti del PD, perché se non stiamo facendo molto meglio (e dentro un'unione monetaria è concettualmente difficile riuscirci), non stiamo nemmeno facendo peggio.

sabato 22 novembre 2025

La decrescita infelice: previsioni e prefiche

Quelli della decrescita felice escono dalla loro crisalide (sono ortotteri) per accusare questo Governo di aver fatto austerità, e quindi decrescita, che quindi, par di capire, nel frattempo è diventata infelice.

Dopo il mantra del fiscal drag (di cui a un successivo post, perché mi sarei anche rotto i coglioni seccato di assorbire un tasso di stronzate lievi imprecisioni fuori scala), il nuovo mantra è questo: "nel 2026 cresceremo solo dello 0,8 perché il Governo ha fatto austeritah!"

Su cosa sia l'austerità ci siamo esercitati in un altro post, dove come chiave di lettura vi ho dato l'andamento degli investimenti pubblici netti, i quali indicano chiaramente chi, quando, dove e come ha fatto austerità:


Per inciso, vi suggerisco di scaricare questi dati dalla loro fonte originale (se incontrate difficoltà ditemelo e vi spiego come si fa), che è questa (la variabile è UING e la potete selezionare nel "sub chapter" 3.4 "Net fixed capital formation"), perché sono piuttosto convinto del fatto che da quando questo blog che non esiste l'ha portata nel Dibattito che non c'è qualcuno in Commissione stia passando un brutto momento, e sicuramente una accurata "revisione" dei dati potrebbe essere promossa per riscrivere la storia, un po' come accadde con le misure di flessibilità del mercato del lavoro dell'OCSE, che, come ricorderete, vennero "revisionate" quando qualcuno vi aveva fatto vedere che il nostro mercato del lavoro era già sufficientemente flessibile e quindi le "riforme" non servivano (questa storia la trovate qui e chi non la conosce trarrebbe beneficio dallo studiarla).

Oggi parliamo del nuovo mantra, quello della scarsa crescita nel 2026, partendo da un dato ovvio, cioè che per conoscere quale sarà la crescita nel 2026 bisognerà aspettare almeno il 2028: tanto occorre alle statistiche economiche per consolidarsi, dato che il Pil, come quelli di voi più anziani sanno, è una stima campionaria, soggetta a affinamenti progressivi. Non è una gran sorpresa! Basta andare ora sul sito dell'ISTAT per vedere che fra l'edizione del settembre 2024 e quella del settembre 2025 il tasso di crescita del Pil reale nel 2023 è aumentato da 0,7% a 1%!


(mi perdonate se vi lascio fare i calcoli per esercizio?)

Niente male, no?

Per inciso, nell'autunno del 2022 la Commissione Europea la metteva giù ancora più cupa, prevedendo che nel 2023 saremmo cresciuti appena dello 0.3% (lo trovate qui). Insomma: il dato definitivo ma non consolidato dell'ISTAT nel 2024 sottostimava la crescita di 0.3 punti, mentre la previsione della Commissione Europea a fine 2022 sottostimava la crescita nel 2023 di 0.7 punti.

Ribadito che a me di fare l'avvocato difensore del Governo di destra interessa fino a un certo punto (le conosco, sono brave persone, ma in questa sede ci occupiamo di altro), vorrei però dire che se le previsioni degli idioti di Bruxelles vanno prese per oro colato, allora innanzitutto non capisco perché stracciarsi le vesti a fronte di un dignitoso 0,8% ottenuto con Germania e Francia sull'orlo di una crisi non indifferente, e poi soprattutto non capisco perché nessuno abbia applaudito Giorgetti quando nel 2025 si è visto che nel 2023 aveva portato a casa 0.7 punti di crescita in più del previsto!

Non è mica poca cosa fare il triplo della crescita che ti hanno attribuito!

Il punto però, ovviamente, è un altro.

Gli esercizi di previsione di Bruxelles hanno mera rilevanza comunicativa e politica, di scientifico hanno ben poco (non sono replicabili, non viene fornito né il database di riferimento né il modello con cui sono effettuati), e soprattutto prendono delle toppe clamorose e soggette a un discreto bias ideologico, talché sarebbe d'uopo stamparli sulla stampante della Merkel e farne il conseguente uso, invece che usarli per sterili polemicucce da classe differenziale. Ma questa è l'opposizione che ci possiamo permettere col budget che abbiamo (la prossima volta che incontro Giancarlo gli chiederò di fare un po' di deficit per comprarci un'opposizione migliore!), e devo dire che vista da destra non è meno scema di quando la guardavo da sinistra...

Entriamo quindi nel merito e analizziamo il track record di questi esercizi previsionali negli ultimi anni. Per non tediarvi (cioè tediarmi) troppo mi sono limitato a esaminare quelli fatti da quando venne aperto il blog, cioè dall'autunno del 2011. Per chi si fosse dimenticato il calendario a casa, ora siamo nell'autunno del 2025 e le previsioni testé emesse, che trovate qui, si riferiscono al triennio 2025-2027. Il 2025 infatti non è ancora finito (it's not over until it's over) e quindi bisogna stimare anche lui: la Commissione ci stima a 0,4% come l'IMF, mentre l'OCSE ci stima a 0,6% e come sarà andata lo sapremo nel 2027 (a settembre, quando forse sarò tornato a fare una vita normale). Per valutare l'attendibilità complessiva di queste previsioni ho scaricato tutti i rapporti a partire da quello dell'autunno del 2011, che quindi prevedeva gli anni dal 2011 al 2013 (l'archivio lo trovate qui).

Ho calcolato le usuali statistiche descrittive di bontà della previsione (errore medio, errore assoluto medio, radice dell'errore quadratico medio) per due previsioni: quella cumulativa sul triennio, e quella fatta per l'anno immediatamente successivo all'anno in cui l'esercizio viene pubblicato (quindi le previsioni one-step-ahead: quella per il 2012 fatta nel 2011, quella per il 2013 fatta nel 2012, ecc.). Il triennio, naturalmente, l'ho considerato perché l'ho sentito evocare spesso dalle prefiche piddine ("cresceremo solo del 2% nel triennio..."). I dati sono rappresentati qui:


dove ogni set di previsioni è rappresentato da una spezzata tratteggiata rossa che unisce tre punti dati, e i dati consolidati invece sono invece rappresentati dalla spezzata nera.

Cominciamo intanto dalle previsioni "un passo avanti".

La situazione è questa:


Nei tredici anni considerati c'è stata una discreta prevalenza di sovrastime della crescita (errori di previsione negativi). L'errore medio è pari a -0.6, ma com'è noto questa statistica dice poco sull'accuratezza del modello, dato che nell'errore medio gli errori positivi e negativi si elidono a vicenda. Per questo è meglio utilizzare l'errore assoluto medio (dove gli errori vengono presi tutti in valore assoluto, cioè ignorando l'eventuale segno negativo) o l'errore quadratico medio (dato che elevando al quadrato l'errore si ottiene sempre un numero positivo), del quale si prende la radice quadrata perché sia di un ordine di grandezza comparabile a quello della variabile analizzata, o meglio ancora lo SMAPE, cioè l'errore assoluto medio percentuale simmetrico (lo spiegone è qui), che è l'indicatore utilizzato nelle famose M-Competitions (famose per quelli del mestiere, naturalmente: ma dite la verità, quante cose si imparano qui?...).

L'errore assoluto medio è di 1,7 e la radice dell'errore quadratico medio di 3,1. Considerando che nel periodo considerato la crescita media è stata di 0,5, diciamo che l'ordine di grandezza dell'errore di previsione è di oltre tre volte quello della variabile che intende prevedere. Naturalmente sono stati anni difficili, e quindi una precauzione va presa: nessuno poteva prevedere il tonfo causato dal COVID, per cui può essere utile ricalcolare queste statistiche eliminando il 2020 (non il 2021, perché a differenza del tonfo il rimbalzo era prevedibile!). Con questa accortezza l'errore medio si avvicina sostanzialmente a zero, l'errore assoluto medio scende a 1,1, e la radice dell'errore quadratico medio a 1.7. Sono sempre ordini di grandezza ragguardevoli rispetto alla media del fenomeno (che se escludiamo il tonfo del 2020 sale a 1,3, il che significa ad esempio che l'errore assoluto medio percentuale è dell'85%)! Anche utilizzando lo SMAPE, misura più appropriata in presenza di errori estremi, i risultati sono sostanzialmente simili: 85% o 75%, a seconda che si consideri o meno l'outlier del 2020.

Per darvi un'idea di che cosa questo implichi per l'accuratezza delle previsioni europee, questa:

è l'appendice B della terza M-Competition (The M3-Competition: results, conclusions and implications, pubblicata nel 2000), e come vedete l'ordine di grandezza dello SMAPE per le previsioni un passo avanti è fra l'8% e il 10%.cioè le previsioni europee sono dalle sette alle dieci volte meno accurate di previsioni fatte con metodi di analisi univariata.

Insomma, queste previsioni tecnicamente sono una chiavica, come tutto ciò che da lassù proviene.

Nel caso interessi, e visto che ve le avevo promesse, vi do anche le statistiche descrittive delle previsioni della crescita cumulata nel triennio:


e come si dice (ed è del resto prevedibile, considerando l'allungamento dell'orizzonte di previsione), mejo me sento! Lo SMAPE arriva gagliardo al 99%, le toppe clamorose non mancano e spesso sono ideologicamente connotate. Guardate ad esempio quale radioso futuro prevedeva per noi la Commissione ad autunno 2011: nel triennio 2011-2013 la crescita cumulata sarebbe stata di 1,3 (non mi ricordo che nessuno si stracciasse le vesti piagnucolando sull'austerità: io mi ricordo un grande elogio del loden, del rigore e della compostezza...). Fu invece di -4,2, con un errore di previsione di 5,5 (niente male, no?). Questo significa che il 2,0 previsto, oltre a non essere nemmeno sul podio delle peggiori previsioni di crescita triennale cumulata (le peggiori furono, nell'ordine: 0,1% nel 2013, 1,2% nel 2019 - vi ricordate critiche al Governo giallorosso? - e 1,3% ex aequo nel 2011 e 2014), potrebbe con uguale facilità essere uno 0% o un 4% per quanto ne sappiamo (io scommetto su qualcosa vicino al 3%, ma prendetene nota voi perché se ne dovrà riparlare nel 2028, al #goofy17).

Capite quante sfumature di non senso racchiude la nenia delle prefiche piddine sulla mancata crescita?

Bene.

Torno su un punto. Appurato che quando uno è imbecille, lo è indipendentemente dal punto di osservazione (e quindi tanto lo è da destra quanto da sinistra), mi preme evidenziare, miei diletti seguaci, nella mia qualità di vostro ecclesiarca e guru, che a me di difendere il governo "de destra" me ne fregherebbe anche poco, come esercizio intellettuale. Non sono l'ufficio stampa di Giorgia né lo spin doctor di chicchessia, e peraltro sanno benissimo difendersi da soli quando sono attaccati (almeno quanto sanno mettersi nei guai quando non lo sono)! Qui il problema è un altro: mi infastidiscono molto la disonestà intellettuale e soprattutto il dilettantismo. Questo sentir blaterare di previsioni come se fossero dati consolidati da parte di chi a malapena saprebbe definire le variabili di cui si tratta, da chi in vita sua non ha mai fatto una previsione né ha idea di quali siano i relativi metodi e strumenti, né tantomeno cognizione dell'amplissima letteratura scientifica sull'argomento, dopo un po' mi infastidisce. Vero è che a questo dovremmo essere abituati. Ma è esattamente a questo che non dovremmo abituarci, ed è invece esattamente il contrario quello che dovremmo pretendere, dato che in suo nome siamo stati vessati oltre umana immaginazione: che a pronunciarsi siano solo gli esperti.

Se valeva per gli opinion leader con 21.007 follower al tempo della pandemia, può valere per i docenti universitari della materia con 142.695 follower dopo la pandemia.

O no?

venerdì 21 novembre 2025

La contraddizione principale

Scusate, la rivoluzione di Garofani non è archiviata, quindi occorre aggiungere una postilla.

Oggi pare che siano tutti d’accordo sul fatto che il “complotto del Colle” sia una bufala, o meglio una non notizia. È stato il popolo sovrano a voler regredire a una sorta di monarchia assoluta, un ordinamento in cui i tre poteri si assommano in una entità legibus soluta cui il Parlamento non può fare da contrappeso, soggetto com’è alle incursioni della magistratura (al vertice del cui organo di autogoverno chi abbiamo?) per via dell’abolizione dell’immunità, e al ricatto del Governo o dello stesso vertice supremo per via dell’abolizione del vitalizio. Le logiche del mondo cui l’eutanasia del Parlamento ci ha consegnato avranno tanti difetti, ma certo non quello dell’opacità! La sovranità è un quid incomprimibile, per il semplice fatto che dato che le decisioni vanno prese, qualcuno le deve prendere (deve cioè esercitare sovranità), e se il popolo decide, più o meno consapevolmente, che non debbano (o non possano) farlo i suoi rappresentanti diretti, lo farà qualcun altro.

Non è quindi particolarmente utile parlare di “complotti”: distrae da una riflessione sulla natura del problema, che non risiede in una perversione del sistema, ma nella struttura del sistema, della cosiddetta “seconda Repubblica”.

Con questa premessa, oggi i commentatori “quelli bravi” ci spiegano che l’obiettivo polemico del nostro Ravaillac da fraschetta sarebbe stato la Schlein più che la Meloni, nel senso che il “listone di centro” (che non è un parquet) sarebbe in primis et ante omnia lo strumento con cui il nucleo “democristiano de sinistra” vorrebbe riprendersi il controllo del PD per sottrarlo a una leadership ritenuta inefficace, perché tutta diritti civili e distintivo, ma visibilmente incapace di proporre un’alternativa sociale.

Beh, sì, ci sta!

Ne conosco anch’io di democristianoni di provincia, signori dei territori e delle preferenze, cui l’arcobaleno fa venire le bolle. Quando si raglia a vanvera di “comunismo”, oltre a commettere l’errore speculare a quello dei cretini di sinistra che combattono l’antifascismo in assenza di fascismo, si commette quello di leggere il PD come partito “post-comunista”, quando in realtà è un partito “post-democristiano”. Provate un attimo a leggerlo così anche voi: unirete tanti puntini e vi spiegherete tanti misteri, a partire da quello che consiste nell’incredibile radicamento nelle istituzioni degli eredi di un partito che per decenni era stato all’opposizione (il PCI): è perché in realtà sono gli eredi di un partito che da sempre è al potere (la DC).

In questo senso, quindi, l’anelito al “listone di centro” risulta ancora più incomprensibile e ancora meno risolutivo. Il “listone” c’è già, ed è il PD. Se non riesce a dire cose di centro, è semplicemente perché questo gli è impedito dalla sua collocazione europeista, che è in contraddizione non solo con la difesa del lavoro (dato che l’unione “sempre più stretta” e “fortemente competitiva” fatalmente conduce alla deflazione salariale), ma anche con quei valori cattolici cui i democristianoni di provincia si ispirano, a partire dalla famiglia (che senza soldi non si mette su), passando per le radici cristiane (che ostacolano il conseguimento a colpi di eutanasia della sostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale), per arrivare a una certa dottrina sociale della Chiesa (basti pensare a come la cosiddetta Europa ha smantellato riformato qui da noi istituzioni come le banche popolari e quelle di credito cooperativo, che da quella dottrina promanavano).

Il che, se vogliamo, rende ancora più grottesca la soluzione del “listone” al problema della prevalenza del centrodestra.

In Europa (per chiamarla come la chiamano loro), più esattamente nell’Eurozona, non c’è spazio per una sinistra che difenda democraticamente il lavoro. C’è al più spazio per una sinistra che difenda violentemente qualcos’altro, e quindi non c’è spazio per il “listone”.

That’s all, folks!

(…nota bene: questo è un post scientifico, per i popperiani di passaggio, perché è falsificabile. Ovviamente se nel 2027 o nel 2032 il Grande Centro si fagociterà gli astensionisti, magari sotto la guida della sua nuova Giovanna d’Arco, la Salis gradevole, ci rivedremo qui e farò ammenda. Altrimenti sarà QED, com’è già stato tante volte…)

giovedì 20 novembre 2025

La rivoluzione di Garofani

...oh, tiriamo un sospiro di sollievo! La vicenda è stata archiviata, fa parte del passato, o del futuro, ma comunque non dell'attualità, e quindi in questo blog che rifiuta il presentismo possiamo finalmente parlarne.

Credo non sia vilipendio affermare che Sergio Mattarella è un politico del PD (rectius: di quell'area politica che all'esito di lunghe e tormentate vicende è confluita naturaliter nel PD di cui costituisce il nucleo): la traiettoria in cui si iscrive è limpidamente descritta da Wikipedia (prego consultare), e se lo dicono loro forse lo posso dire anch'io.

Non vedo nulla di particolarmente strano nel fatto che un politico del PD si scelga come stretti collaboratori altri politici del PD, fra i quali il finora oscuro Garofani, un mio coetaneo che ha fatto (perché voleva farla) una ragguardevole carriera nell'area di cui sopra (prego consultare). Non so voi, ma io, ove mai in futuro dovessi scegliere chi inserire in un mio ufficio di diretta collaborazione, difficilmente penserei a farcirlo di piddini, ed è assolutamente ovvio che valga reciprocità.

Sarei molto sorpreso, infine, se un piddino non dicesse cose da piddino!

Confesso quindi a voi fratelli (e basta) che non vedo lo scandalo che ci ha tenuti occupati per 72 ore:

Tralascio le varie questioni ancillari su quanto una conversazione inter pocula possa essere o meno assimilata a una oscura trama, su quanto possiamo spingerci con la nostra fantasia nell'immaginare che possa esistere una leale collaborazione nell'interesse del Paese fra istituzioni comunque politiche perché di emanazione direttamente o indirettamente parlamentare, su quale debba essere il contegno non solo pubblico ma anche privato di chi riveste ruoli in certe auguste istituzioni, su come sarebbe stata gestita dagli operatori informativi una situazione simile a parti invertite, e via dicendo. Il fatto che una chiacchierata un po' guascona non sia un piano non significa naturalmente che un politico del PD auspichi un radioso futuro per il centrodestra, come pure il fatto che se un politico del PD potesse non esiterebbe a mettere i bastoni fra le ruote al centrodestra non significa che questo sabotaggio sia nella sua disponibilità, atteso che il gradimento di questo Governo presso gli elettori resta tutto sommato stabile, per motivi a noi chiari dal 22 agosto 2011 (che a pensarci è tanta roba):

(fonte YouTrend), e quindi rebus sic stantibus le elezioni del 2027 sembrano destinate, trame o non trame, Colle o non Colle, a dare un ulteriore dolore agli amici del PD.

Quindi, ricapitolando, il fatto che un politico del PD si scelga un collaboratore del PD che la pensa come uno del PD a me sembra piuttosto scontato.

Quello che invece mi colpisce è lo strumento con cui il PD pensa di ostacolare l'inevitabile, ma non imprevedibile, decorso degli eventi da lui stesso innescato: il "listone di centro" (che non è un parquet, ma una tappezzeria)!

Si continua cioè a ignorare che il centro è un buco coi partiti intorno, e questo buco è stato scavato dal PD, col sostegno dato ai Governi che realizzando questo programma hanno ottenuto questo risultato:


(ne parlammo qui). Quello che mi stupisce, e, ragionando con spirito patriottico, mi preoccupa, è che una testa pensante di una istituzione così eminente in tutta evidenza non si renda conto di che cosa il Paese ha subito, e non sia in grado di trarre delle ovvie conseguenze politiche dalle dimensioni e dalla scansione temporale di un simile shock economico! Non sono conseguenze inedite, tutt'altro! Sono anzi conseguenze assolutamente omogenee nel tempo e nello spazio, per cui stupisce che chi è pagato per pensare strategicamente non sia in grado di tenerne conto.

Questi intellettuali del PD, insomma, si rivelano un materiale sorprendentemente scarso non nelle loro forme, ma nella loro sostanza. Non possiamo perdonarli, proprio perché non si sono ancora resi conto di quello che ci hanno fatto. E finché a non rendersene conto è un personaggio tutto sommato irrilevante come questo qui:


(qui) direi che va anche bene. Uno che twitta gnegnegnègnegnegnègne (peggior governo di sempre) immediatamente sopra al grafico che certifica lo stupro fatto alla crescita italiana dai Governi Monti e Letta va tenuto caro! Averne di alleati simili!

Quando però questa lucidità di visione ("il fasheesmo ha portato il Paese sull'orlo del collasso e quindi un listone di centro riscontrerà consensi e darà la spallata") viene espressa da personaggi che un ubi consistam e soprattutto un ascolto ce l'hanno, eh, allora la situazione prende una luce che per certi versi è inquietante (possibile mai tanta cecità in centri decisionali importanti?), e per altri rassicurante (dato che quei centri decisionali ci sono apertamente ostili, è cosa buona e giusta che non abbiano capito un accidenti di quello che il Paese ha passato e sta passando).

Insomma: il problema (se è un problema) non è che un piddino pensi da piddino, ma è che cosa pensano i piddini.

E come ogni problema, anche questo è un'opportunità.

Basta togliersi di torno i piddini...

martedì 18 novembre 2025

Sull'ordine dei lavori: i segnalati

Riprendo il filo degli interventi sull'ordine dei lavori (il primo era qui) per riferirvi un dettaglio che potrebbe aiutarvi a capire a che punto siamo con la legge di bilancio, e che ha comunque validità generale.

La Camera e il Senato hanno due approcci opposti per gestire in modo nella misura del possibile razionale la discussione di un provvedimento cui vengano presentate centinaia di emendamenti. Alla Camera l'art. 85-bis del regolamento prevede che:


cioè che prima di passare all'esame degli articoli (con relativa votazione degli emendamenti) i gruppi segnalino gli emendamenti che desiderano assolutamente porre in votazione. Al Senato l'art. 100 prevede che:

cioè che dopo l'avvio dell'esame degli articoli il Presidente possa decidere l'accantonamento di emendamenti meno essenziali ai fini della discussione. Questo comma riguarda l'esame degli articoli in assemblea, ma l'art. 43 specifica che:


il rinvio (e quindi l'accantonamento di emendamenti) è ammesso nelle sedi referenti, ovviamente purché non pregiudichi il lavoro dell'Assemblea.

Sintesi: alla Camera decidi prima quali emendamenti vorrai votare e li segnali, in Senato decidi dopo quali emendamenti non vorrai votare, e li accantoni (al termine dell'esame poi i presentatori degli emendamenti non votati li ritirano).

Ne scaturisce una simpatica pantomima. Esattamente come un disegno di legge viene approvato almeno cinque volte:

  1. quando un operatore informativo carpisce in buvette l'idea di proporlo
  2. quando viene depositato in un ramo del Parlamento
  3. quando viene assegnato alla Commissione
  4. quando viene approvato in Commissione
  5. quando viene approvato in Aula (rectius: Assemblea)

così anche un emendamento ha parecchie vite:

  1. quando compare in qualche fascicolo di lobbysti
  2. quando viene presentato
  3. quando viene segnalato
  4. quando viene supersegnalato
  5. quando viene approvato (se viene approvato)

Questo per dire che quando l'onorè di provincia fa ilComunicato per proclamare urbi et orbi di aver presentato un emendamento, in realtà sta molto probabilmente raggirando (a fin di bene, ça va sans dire!) i suoi potenziali elettori, perché la presentazione vale zero è un importante segnale politico! Già sulla eventuale segnalazione ci sarebbe da discutere (e i segnalati sono più o meno dell'ordine di uno a testa...), ma resta il fatto che rigore è quando arbitro fischia. Eppure, quelle due righe sull'Eco di Mazzangrugno, o sulla Gazzetta di Battiferro, fanno sentire vivo chi le commissiona, nonostante  che scorrano sulla mente dei potenziali destinatari come rugiada su un blocco di granito...

Gli emendamenti veri, tanto perché lo sappiate, sono quelli che presenta il Governo "assorbendo" le proposte che ritiene più percorribili, o che infila, spesso (senza malizia) a insaputa dei parlamentari e anche propria, nel maxiemendamento, cioè in quell'obbrobrio legislativo che riassume in un unico emendamento, consentendo così di portarlo in un'unica votazione per appello nominale, il disegno di legge di bilancio, trasformando i suoi articoli e commi in commi di un articolo unico, che poi è il motivo per cui la legge di bilancio, quando andate a consultarla, vi si presenta così:


Così è se vi pare, e credo proprio che vi paia così, dal momento che se una Repubblica parlamentare funziona con queste logiche è perché i suoi cittadini, in nome della sacra invidia sociale, hanno privato i loro rappresentanti di alcuni banali presidi di resistenza a queste logiche.

Termine segnalati slittato a domani pomeriggio, ora posso occuparmi di altri, ma intanto... ora sapete di che cosa mi sto occupando!

domenica 16 novembre 2025

Eggnente...

(...giusto per farvi capire...)

Guardate questo:


Un servizio garbato, equilibrato, non ostile, e quindi mi dispiace far notare che si basa su un malinteso, che probabilmente ho originato io.

Quella della "colla" infatti per me non era una metafora della militanza, ma al contrario una aperta manifestazione di insofferenza verso chi reclama rispetto per il fatto di aver attaccato manifesti, ma quei manifesti non pare li abbia letti, e soprattutto non pare rispetti chi li ha scritti.

Tutto qua.

(...forse vi sembrerà strano, ma in una riunione del partito a Chieti un simpatico vegliardo ha chiesto al suo vicino se io fossi un SOM, cioè un Socio Ordinario Militante, perché lui si sentiva più anziano di me non solo anagraficamente - su quello non avrei avuto dubbi nemmeno io! - ma anche per seniority di partito, essendo iscritto dal 2016. Non sapeva cioè che io conosco Matteo dal 2013, che l'ho portato in Abruzzo al #goofy3 nel 2014, e che i parlamentari sono SOM ipso jure. Non poteva quindi immaginare di avere a che fare con una persona che i manifesti li attaccherebbe anche volentieri, ma non ne ha bisogno perché con un post su FB fa la tiratura del Corsera, e che in quindici anni di lavoro ha creato una community che è ovunque, anche nella sedia dietro di lui. Sono le gioie, un po' cecoviane, un po' balzacchiane, un po' pacchiane, della politica di territorio, amici miei! Se mi seguite, nulla vi sarà risparmiato, né delle grandi, né delle piccole cose, e io ho sufficienti mezzi per occuparmi delle une e delle altre...)

(...non voglio che la mia critica sembri ostile al giornalista! Certo, se avesse ascoltato con più attenzione avrebbe potuto fare un servizio più pepato, ma... molto meglio così! Le cose le spiego qui a voi, in questo blog che non esiste, perché possano esservi utili. Questo aneddoto, ad esempio, spero serva a chi fra voi ha deciso di fare militanza politica e si sente un po' frustrato perché non riesce - o ritiene di non riuscire - ad elevare il livello del dibattito. Ci vuole molto tempo e molta pazienza perché si parte da molto in basso! A mero titolo di esempio, è strano quanto sia difficile attrarre su ragionamenti patriottici i "leghisti" di certe regioni del Meridione, nonostante che essi siano per lo più orfani poco lungimiranti dell'esperienza di AN - i più lungimiranti, ovviamente, sono finiti in Fratelli d'Italia. Ti aspetti che per gli eredi di una tradizione nazionalista temi come i nostri, di riscatto della dignità nazionale, di valorizzazione del patriottismo, possano avere un appeal, e invece, ahimè, tristemente no! D'altra parte, se la politica è colla, e se i ragionamenti politici sono saudade di un passato non tutto da ricordare, poi è chiaro che le cose vanno in merda. Ma, ripeto: se la strada è quella giusta, con le dovute precauzioni passa relativamente in secondo piano il fatto che i compagni siano quelli sbagliati...)

(...l'insigne privilegio di scrivere su un blog che non esiste ma ciononostante parla a centinaia di migliaia di persone, tranne quelle che trarrebbero beneficio - o veneficio! - dall'ascoltare...)

La storia siamo noi

Murmur ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Il goofy migliore è sempre l’ultimo":

Come verrà raccontato questo periodo tra 100 anni, quando nessuno di noi ci sarà più? Quando gli storici probabilmente dovranno anche fare uso di Intelligenze Artificiali molto più avanzate per scandagliare e analizzare l'infinita mole di documenti prodotti dall'umanità (inclusi i contenuti del Goofy che magari, per sopravvenuta obsolescenza tecnologica, non si troveranno più su Youtube ma archiviati in qualche altra forma)?

Il periodo del COVID verrà raccontato riducendo il tutto a scontro tra Lascienza e complottismi, come si fa oggi per vicende di 100 o 200 anni fa? O verrà messo in relazione alla più generale crisi della rappresentanza democratica e della distribuzione del potere che ha prodotto Brexit, Trump, Euroscetticismo? E la parentesi Eurozona/Unione Europea, come verrà giudicata dagli storici e dagli economisti del futuro?

Pubblicato da Murmur su Goofynomics il giorno 15 nov 2025, 16:17


Nel chiudere il #goofy14 mi sono posto una domanda analoga, ma forse più fruttuosa (o più assurda, giudicherete voi): ora che vediamo l'Europa andare rapidamente a destra

noi, che sappiamo perché ci sta andando, dato che lo avevamo previsto il 22 agosto del 2011 ("le politiche di destra, nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra"), non dovremmo forse rileggere con occhi diversi la storia dell'ultima drammatica svolta a destra del continente, quella iniziata circa un secolo fa?

Sono pressoché certo, caro Murmur, che uno storico comme il faut considererebbe con sussiegoso disdegno la mia e la tua applicazione alla storia di un metodo che probabilmente non le appartiene, quello analogico. Diciamo che su questo c'è un dibattito, e che probabilmente l'anelito verso un ragionamento rigoroso vale anche come scusante per la conclamata incapacità di imparare dagli errori del passato, visto che, in effetti, quanto il passato abbia da insegnarci dipende da quanto fondate siano le analogie che vediamo fra esso e il presente, e che un livello elevato di sofisticazione consentirà sempre di trovare distinguo in numero sufficiente da convincerci che "questa volta è diverso".

Tuttavia, nel modo asimmetrico con cui ci poniamo il problema (tu che ti chiedi come vedrà il presente uno storico del futuro, io che mi chiedo che cosa il presente dica del passato a noi che questo presente abbiamo dimostrato di comprenderlo meglio di altri perché ne abbiamo previsto un tratto molto significativo in un momento in cui il mondo sembrava stesse andando da un'altra parte - cioè a sinistra con la deposizione di Berlusconi qui, l'avvento di Hollande in Francia, ecc.), in questa asimmetria vedo un dato percettivo molto interessante. Mi sembra (ma può darsi che questa sia una mia impressione) che la maggior parte di voi non rifletta sul fatto che anche il presente è storia, e che, di converso, la storia è stata il presente di altri essere umani, né tanto migliori né tanto peggiori di noi. Questa dicotomia fra attualità e storia è largamente falsa, ancorché, me ne rendo conto, si basi su uno dei problemi più formidabili che la filosofia abbia mai dovuto gestire (non credo lo abbia risolto), quello del divenire, che da Parmenide in qua ha occupato menti più attrezzate della mia. Ma è questa dicotomia che ci consente di "chiamarci fuori" quando ragioniamo sui fatti storici, trincerandoci dietro la certezza che essi riguardino non solo (com'è ovvio) altre persone, ma persone e circostanze radicalmente diverse, realtà non confrontabili.

Credo che sarebbe invece un esercizio proficuo, e qui qualcuno lo ha fatto:


riflettere sul fatto che la storia siamo noi, che noi siamo nella storia, nella nostra storia, naturalmente, ma che questa storia, la nostra storia di esseri viventi che zampettano su due gambe da poco meno di quattro milioni di anni e che ha ancora più o meno lo stesso pancreas di 12.000 anni fa, quando ha posto le basi per soffrire di diabete, non può essere così radicalmente diversa da quella dei nostri simili che vivevano in un sistema economico capitalistico un centinaio di anni fa. Insomma, è sempre il solito discorso: chi ci propone "i totalitarismi" (e in particolare "le destre") del XX secolo come una imprevedibile irruzione nel divenire storico di un Male assoluto e radicale, inemendabile e incomprensibile, forse agirà in buona fede, ma sicuramente ci impedisce una lettura di quegli eventi in base alle dinamiche di classe che qui abbiamo individuato e applicato con successo, quando abbiamo preconizzato che l'austerità avrebbe fatto svoltare a destra la politica europea (QED) proprio mentre la politica europea pareva andasse a sinistra. E, in effetti, anche negli anni '30 del XX secolo era stata l'austerità a far svoltare a destra la politica europea, almeno in Germania, come ormai tutti sanno e ammettono. Solo qualche remoto sprovveduto crede più alla storiella dell'inflazzzzione di Weimar come causa del nazismo, la letteratura scientifica ha archiviato questo mito (basta leggersi Austerity and the rise of Nazi party, uno dei tanti paper che qui abbiamo scritto prima di leggerlo...). Non saprei citarvi ricerche analoghe a proposito del fascismo, ma sul nazismo c'è ormai un corpo di ricerca consolidata e autorevole secondo cui non è andata che i tedeschi siano tutti impazziti andando dietro a un folle omicida sessualmente disturbato, ma:


semplicemente che hanno cercato di reagire a governi che li avevano impoveriti praticando le politiche che qui in Italia sono state praticate dal PD, come Keynes aveva detto a suo tempo prima del nazismo, e noi qui avevamo detto prima di Monti.

Quindi, forse, l'esercizio più proficuo non è chiedersi come ci vedranno fra cento anni gli storici, perché fra cento anni noi non ci saremo, e questo quindi non ci riguarda. L'esercizio più proficuo è rendersi conto che siamo immersi in un flusso che spinge in una direzione per motivi che qui abbiamo dimostrato di conoscere meglio di altri, e che in passato ha condotto a vele spiegate verso la catastrofe. Il vero negazionismo è quello del PD, che disconosce la paternità di politiche à la Brüning, e il loro nesso causale con la solidità del consenso che sorregge la destra.

Questo, ormai, devo considerarlo il bicchiere mezzo pieno. In fondo, averlo capito, e essermi regolato di conseguenza, è quello che fa di me oggi un uomo politico relativamente visibile, e comunque abbastanza visibile da attirare la grottesca invidia dei tanti wannabe piddini à la Gerbaudo (un nuovo amico incontrato nella cloaca, ne parleremo in altra occasione...).

Ma non dobbiamo dimenticarci che siccome la storia siamo noi, e noi non siamo in una posizione di radicale alterità e terzietà rispetto a dinamiche già sperimentate e analizzate da ricercatori di varia estrazione, il bicchiere potrebbe anche rompersi...