mercoledì 6 novembre 2024

Global imbalances

Gli squilibri globali di bilancia dei pagamenti sono stati a lungo un mio tema di ricerca. A quelli che "allora vuoi l'autarchiaaaaah!111!" ricordo che di per sé non c'è nulla di intrinsecamente errato o pericoloso nel fatto che un Paese voglia mantenere una posizione di surplus strutturale di bilancia dei pagamenti. Basta che si disponga a capire che in tanto lui può avere un surplus in quanto uno o più altri possono avere un deficit, dal che consegue:

1) che il surplus non è più glorioso di quanto il deficit sia ignominioso, perché sono le due facce della stessa medaglia;

2) che il surplus puoi averlo finché qualcuno finanzia gli altrui deficit (e i deficit altrui li può finanziare solo chi è in surplus!)

Quando un Paese si mantiene, ad esempio facendo dumping valutario, salariale, energetico, in una posizione strutturale di saldo attivo di bilancia dei pagamenti, ma non vuole prestare soldi ai Paesi in deficit, il sistema salta, e non è detto che a quel punto i "virtuosi" ne escano meglio dei "viziosi". Sarebbe opportuno evitare di arrivare a quel punto, cioè evitare di accumulare stock di debiti/crediti esteri così ingenti da essere difficili da rifinanziare nel caso in cui qualcosa vada storto.

Comunque, per articolare un ragionamento vi fornisco qualche dato sugli squilibri esterni fra i maggiori poli dell'economia globale. Qui li vedete in miliardi di dollari:


e vista così la situazione degli Usa fa paura (mille miliardi di dollari di deficit estero, di indebitamento verso il resto del mondo...), mentre qui li vedete in percentuale del Pil mondiale:


e il quadro che ne emerge è lievemente diverso (ma più corretto): il punto di maggior squilibrio esterno gli Usa lo hanno toccato nel 2006, quando il loro deficit esterno (di bilancia dei pagamenti) aveva sorpassato l'1.5% del Pil mondiale. Ora sono attorno all'1% del Pil mondiale e se in valore assoluto il loro deficit sembra sprofondare è solo perché l'inflazione ha gonfiato tutte le grandezze nominali, Pil compreso.

In questi grafico si distinguono abbastanza bene tre fasi:

1) quella in cui il cattivo era il Giappone:


2) quella in cui cattiva era la Cina:


3) quella in cui i cattivi siamo stati (e tuttora siamo) noi:


dove per "cattivo" intendesi: esportatore netto, verosimilmente nei confronti degli Usa, che da potenza imperiale devono adattarsi a esercitare un ruolo con cui mal convivono: quello di acquirente netto di ultima istanza dei surplus produttivi altrui. Perché se da un lato esercitare questo ruolo è necessario per tenere in piedi la baracca, se da un lato esercitarlo a loro non costa molto perché il commercio internazionale si svolge in dollari, valuta di cui gli Usa dispongono a profusione per ovvi motivi, dall'altro i beni prodotti all''estero  hanno un unico difetto (diceva un amico): sono prodotti all'estero e quindi non creano lavoro all'interno.

Le svalutazioni competitive dell'euro hanno reso la Germania un paese "canaglia", e la risposta è arrivata (Dieselgate, gasdotti, ecc.). Come andrà avanti questa storia? A tendere, l'antagonista, la fonte dei squilibri, sarà nuovamente la Cina?

Ora ci dormo sopra perché sono esausto.

Comments welcome (ovviamente, tutto questo ha e avrà a che vedere con Trump...).

martedì 5 novembre 2024

Ciamp

Marcio di sonno, dopo una giornata passata a studiare bilanci, a far parlare persone, a flippare da una commissione all'altra in ossequio alle liturgie di un parlamento mutilato, a sostare nelle anticamere dove si risolvono i problemi dei miei sindaci, e dopo una serata piacevole in famiglia (perché ogni tanto ci vuole anche questo), vi consegno una breve riflessione, della quale farete quello che vorrete, e soprattutto, come al solito, quello che potrete.

Al mio orecchio musicale, l'idea "de destra" che Ciamp sia la soluzione suona altrettanto sciocca dell'idea "de sinistra" che Abberluscone fosse il problema. Quest'ultima idea, quella "de sinistra", all'epoca la contestai in modo molto articolato qui, in un post che ancora qualcuno legge (oggi lo commentava Fabiuccio).

Non ho tempo né (soprattutto) voglia per fare una simmetrica articolata confutazione dell'idea "de destra", e non vorrei nemmeno saltare troppo di palo in frasca, perché alcuni vostri commenti al post precedente meritano di essere sviluppati e approfonditi, ma, senza allontanarmi troppo dal filo del discorso, vorrei richiamarvi a un tema che qui spesso abbiamo cercato di affrontare: che cosa vuole fare l'America (cioè gli Usa) dell'UE (cioè dell'Europa)? Perché alla fine Ciamp, per quanto ci possa essere simpatico (ma ci è simpatico, possiamo anche dircelo, principalmente perché i nostri nemici lo odiano!), non solo non è esattamente uno di noi (e fino a qui potremmo arrivarci facilmente), ma soprattutto non è così disruptive come i piddini ce lo e se lo rappresentano!

Questo, in buona sostanza, significa che se l'idea strategica degli Usa è quella di affermare la propria supremazia sul satellite europeo, tutto potrà venire in mente a chiunque governi quel Paese tranne che l'aiutarci a tirare fuori la testa dal cappio che ci sta soffocando. All'interrogativa indiretta che mi ponevo sette anni fa:


(qualcuno se la ricorda?), la risposta ormai è chiara e netta, e il suicidio di certe infrastrutture baltiche l'ha asseverata oltre ogni ragionevole dubbio.

Dopo di che, ora ci dormo sopra (ché domattina si inizia presto con una riunione piuttosto intensa), ma è chiaro che cosa preferirei leggere al risveglio! Meglio una vittoria non risolutiva di una sconfitta schiacciante, meglio vedere i piddini stracciarsi le vesti che vederli con un sorriso di sollievo, siamo d'accordo...

Tuttavia, a beneficio di quelli che hanno seguito questo dibattito fin dall'inizio, devo confessare che mi sto convincendo delle ragioni di Bellofiore (c'era qualcuno di voi a Bergamo nel 2012?): l'unione monetaria finirà not with a bang but with a whimper. Non è una citazione particolarmente originale, ma non è nemmeno un concetto così campato in aria. Il circolo vizioso deflazione-calo di produttività-deflazione ci condanna a questa ingloriosa fine, ci condanna a non essere più interessanti nemmeno come mercato di sbocco, ci condanna all'irrilevanza.

E questa irrilevanza a qualcuno farà pur comodo! Forse a chi ci ha condannato ad essa imponendoci un modello per noi insensato, più che inadeguato? Forse...

Buonanotte!


giovedì 31 ottobre 2024

Draghi vs Blanchard

(...in un commento al post precedente Luciano evidenziava come il problema della maggior parte delle persone non sia non aver capito, ma non essere venute a conoscenza del Dibattito - cioè del blog che stai leggendo, caro lettore! Il mio spirito polemico e sofistico mi porterebbe a dire che, invece, il successo del Dibattito [e quindi la sua diffusione, che, per quanto scarsa, è stata sufficiente a farmi Presidente di bicamerale] sia da attribuire al fatto che la gente aveva capito, cioè che si riconosceva in quanto trovava scritto, con un atto di adesione emotivo e intuitivo. Insomma: il blog ha funzionato perché era inutile, ha funzionato con quelli cui era inutile, e quindi non tanto perché abbia aggiunto qualcosa alle loro conoscenze o al loro bagaglio culturale, quanto perché ha dato loro coscienza di non essere soli nella percezione di certi problemi, e ha dato loro una casa, che è appunto, caro lettore, il blog che stai leggendo, questa pagina, questo schermo di laptop o di smartphone [questo passa il convento!]. Però ha ragione anche Luciano: le persone che conoscono il nostro lavoro sono poche, pochissime, e per quanto questo possa apparire paradossale, sono in particolare pressoché assenti in Abruzzo! Pensate un po'! Quello che gli sprovveduti chiamano "sovranismo" è sostanzialmente nato in Abruzzo, per un decennio qualche collega - o presunto tale - particolarmente cretino è andato avanti sui social [che a voi sembrano il mondo e sono una bolla di metano ] a canzonarmi con la storiella di "Pescaracas", per anni abbiamo portato centinaia di persone fra cui un paio di scappati di casa rispondenti ai nomi di Giorgia e Matteo a Montesilvano, in tutti i media nazionali si parlava del professorino abruzzese di provincia... Quando questo lavoro ha contribuito a mutare il panorama politico italiano, per inciso mettendo una "poltrona" sotto il sedere di tante persone, non solo di chi vi scrive!, ci si sarebbe aspettati che là dove se non tutto, molto era successo, un minimo di campanilismo portasse a rivendicare il lavoro svolto, ad appropriarsene in qualche modo. O no? Invece no! I miei rappresentati per lo più non sanno un cazzo di niente di chi li rappresenta [e certo non possono affidarsi ai media locali per colmare questa lacuna, laddove vogliano], e i miei "colleghi" leghisti locali a loro volta non sanno un cazzo di niente di chi credono di essersi portati in casa [ma era qui, e costruiva senza minimamente immaginarselo un pezzo del pensiero "leghista", molto prima che loro sapessero che esisteva la Lega]! Eppure leggere il blog, o almeno sapere chi lo ha scritto, sarebbe utile: non vorrei sembrare eccessivamente enfatico, ma in certi casi letteralmente salverebbe la vita. Basterebbe sapere che queste pagine sono scritte dal Cavaliere nero, e al Cavaliere nero... Ma è inutile: non leggono - se leggessero non scriverei così, ça va sans dire - non mi seguono, né me né altri personaggi rilevanti come Claudio, sui social, non hanno idea di che ruoli io svolga a Roma, non hanno idea di quanto sia risalente e di quale sia il mio rapporto con Matteo e con gli altri leader politici in utroque, e quindi non capiscono, il che non è del tutto un male, perché mi consente di esercitare nel piccolo le virtù che spero di essere chiamato ad applicare nel grande: la pazienza, l'umiltà, spinta fino alla dissimulazione, la tenacia, l'arte di vincere una battaglia politica mandando l'avversario a schiantarsi contro le proprie contraddizioni, l'arte di vincere [eliminando i problemi] senza stravincere [umiliando chi li ha creati], e così via. Quindi, amici miei, guardate il bicchiere mezzo pieno: in un mondo a informazione completa fottere chi ti vorrebbe fottere sarebbe molto più difficile! Il messaggio, insomma, è sempre il solito: facciamoci bastare quello che sappiamo, e cerchiamo di usarlo a nostro vantaggio, se non per trarne un guadagno, almeno per limitare le perdite! E a questo proposito...)

Lo scorso otto ottobre Olivier Blanchard e Angel Ubide hanno scritto sul blog del Peterson Institute for International Economics un commento dal titolo particolarmente eloquente: Essential issues raised, but not fully answered by the Draghi report sull'ormai mitologico rapporto di Draghi. Un titolo che, se vogliamo, è un riuscito esercizio nella mia preferita fra le arti marziali: l'eufemismo estremo (not fully answered è un colpo mortale, inutile girarci intorno).

(...apro e chiudo una parentesi per confessare a voi fratelli che senza Marco Zanni mai e poi mai sarei venuto a conoscenza di questo pezzo di bravura! Esattamente come cerco di vincere le mie battaglie sfruttando la forza dei nemici, e ci riesco, sviluppo il mio pensiero sfruttando il cervello dei miei amici, e ci riesco. Vi ho sempre confessato che l'economia in fondo a me non interessa: è perché non l'amo che l'economia mi ama e cerca di compiacermi comportandosi in modo per me prevedibile! Certo però che un economista deve almeno far finta di interessarsi all'economia, e qui arrivano in soccorso gli amici: mi riconosco il merito di aver creato le strutture di coordinamento in cui ci confrontiamo, ma quelli bravi, posso dirlo senza tema di smentita, sono loro...)

La parte più corrosiva del commento di Blanchard e Ubide coincide con quella che vi ho illustrato in una slides del #goofy13:


Loro la mettono (diplomaticamente) così:

"Let us start with a strong statement: The title of the report, The Future of European Competitiveness, is misleading. What the report is about, and indeed should be about, is productivity, not competitiveness. Productivity determines the standard of living. Competitiveness is a different issue: A country can have low productivity and still be competitive. This is what a flexible exchange rate is supposed to achieve and typically does. The European Union does not have a competitiveness problem—in fact, it runs a current account surplus. If anything, it has a potential productivity problem."

Il titolo del rapporto Draghi è fuorviante (io direi sbagliato, ma fuorviante è più cortese), perché l'UE non ha un problema di competitività, dal momento che è in surplus di partite correnti: eventualmente si può argomentare che l'UE abbia un problema di produttività. Diciamo che io l'ho detta in modo più rude, fornendo una mia personale definizione di trombone sopravvalutato ("persona che in piena crisi del modello mercantilistico ravvisa un problema di competitività in un'area che ha un surplus estero superiore a quello della Cina"), ma tant'è: il concetto è lo stesso, e fanno meglio loro a esprimerlo in modo asettico (non sia mai che qualcuno mi accusi di invidiare economisti a basso h-index!).

Il problema di produttività c'è tutto, e ve lo mostro con una delle slides che al #goofy13 non vi ho fatto vedere (il tempo era poco, l'anno prossimo mi prendo due ore):


Se facciamo 100 nel 1995 il Pil in termini reali per addetto, AMECO prevede che al 2025 negli USA sarà aumentato di quasi il 60%, nell'UE di quasi il 30% (la metà) e nell'Eurozona di quasi il 20% (un terzo). Mi sembra evidente che quello che "tira su" la produttività dell'Unione europea è la performance dei Paesi non appartenenti all'Eurozona, e ci vuole poco a verificare che in effetti è così:


Naturalmente i Paesi "non-EZ" sono un insieme molto eterogeneo, composto per lo più da Paesi che partivano da posizioni relativamente arretrate. Tuttavia, i loro risultati smaglianti in termini di crescita della produttività non sono imputabili esclusivamente al meccanismo di catch-up implicito nel modello di crescita neoclassico, che spiegammo ad esempio qui, tra l'altro perché anche la Svezia, paese storicamente "avanzato", ha fatto meglio dell'Eurozona! Ma insomma, il problema di produttività c'è e si vede. 

Può forse stupire che dopo aver affermato questo problema, Blanchard e Ubide ne neghino la rilevanza:

"In comparing the European Union to the United States, and in characterizing the diagnostic of the report, Draghi has talked about an “existential challenge” and, if nothing is done, a “slow agony.” This overstates the case."

Insomma: parlare di "lenta agonia" dell'Eurozona sarebbe un'esagerazione. Certo è che la crescita del Pil per addetto (Blanchard e Ubide usano il Pil pro capite) nell'Eurozona è stata un terzo che negli Usa. Un gran successo non è...

Perché Blanchard e Ubide devono sminuire?

Io un'idea ce l'avrei, ma prima condivido seco voi un'altra riflessione, destinata ai più anziani del blog e studiosi. Alla luce del nostro modello di crescita standard, quello di Verdoorn-Kaldor-Thirlwall, spiegato ad esempio qui, il primo e il secondo grafico di questo post non sono coerenti: ci aspetteremmo infatti che la produttività sia maggiore (minore) dove maggiore è il surplus (deficit) della bilancia dei pagamenti. L'argomento è quello di Smith: al crescere dei mercati di sbocco viene incentivata l'innovazione di processo (divisione del lavoro), quindi aumenta la produttività, che non è un dato tecnico, esogeno, ma un dato endogeno, dipendente dalla domanda. Ci si aspetta quindi che cresca di più in Paesi i cui beni sono in domanda netta, che sono cioè esportatori netti. Invece cresce di più negli Usa (importatori netti) e di meno nell'Eurozona (esportatore netto).

Perché?

La risposta è in alcune slides che vi ho mostrato al #goofy13, e il suo tenore spiega anche perché Blanchard e Ubide, dopo aver puntato il dito sul problema di produttività, preferiscono poi girarci intorno.

Mi limito a una slide, quella centrale nel ragionamento:


Il modello di Thirlwall in linea di principio è sempre valido: la crescita delle esportazioni (nette) in linea di principio causa una crescita della produttività. Il problema dell'Eurozona però è che la crescita delle esportazioni nette è a sua volta stata provocata con misure che deprimono la produttività: la svalutazione interna, cioè la deflazione salariale. Certo, abbattere i salari fa aumentare le esportazioni perché abbatte il costo dei prodotti nazionali. Tuttavia, la compressione dei salari esercita un effetto avverso sulla produttività che compensa, riducendolo o addirittura azzerandolo, l'effetto propizio via aumento delle esportazioni. Altro sarebbe se la crescita delle esportazioni fosse assicurata via svalutazione esterna, cioè affidando il cambio di una ipotetica valuta nazionale alle forze di mercato.

Questo spiega, fra l'altro, il differenziale di produttività fra Paesi dell'Eurozona (necessità di tagliare i salari, produttività più bassa) e Paesi UE extra-Eurozona (possibilità di manovrare la valuta nazionale, produttività più alta).

Ma naturalmente questo banale fatto stilizzato a Blanchard e Uribe non fa comodo vederlo, quindi non lo vedono, sciorinando invece tutto il pattume supply-side che a Montesilvano ci fu propinato in occasione del #goofy8:

(Tir di faldoni, tabaccaie scalabili, amo perso er treno de 'a rivoluzzzione diggitale, ecc.).

Va bene così: il vero problema non fa comodo evidenziarlo nemmeno a noi. Nel momento in cui Germania e Francia si schiantano contro la propria arroganza, nel momento in cui le agenzie sono costrette se non ad alzarci il rating almeno a rivedere al rialzo l'outlook, inutile far casino per portare l'attenzione sulla "contraddizione principale". Quella è, e resta, l'euro, ma visto che ora sta lavorando per noi, ragazzi: lasciamola lavorare! Ora sono gli altri a dover tagliare i propri salari, e quindi la propria produttività. Il problema è loro: si prendano loro il costo politico di accennare la soluzione!


(...ci eravamo detti a settembre che la Francia poteva solo scegliere come, non se, far crescere il rapporto debito pubblico/Pil: aumentando la spesa sociale, o praticando politiche di austerità. Ha fatto la sua scelta: sarà austerità! Non possiamo che congratularci con Barnier: l'esperienza italiana dimostra che questo è il modo più rapido per far crescere il rapporto debito/Pil, e quindi presto non saremo più soli in testa alla classifica. Non è Schadenfreude! Semplicemente, ormai sapete che l'UE, come Goofynomics, è fatta di figli e di figliastri: quando i problemi li hanno solo i figliastri, va tutto bene, ma quando toccano i figli bisogna intervenire, e in questo caso è veramente difficile immaginare un intervento selettivo che aiuti solo i figli, trascurando i figliastri...)

(...ah, naturalmente non vi ho spiegato perché, invece, la produttività cresce negli Usa, che sono importatore netto. In realtà al #goofy13 l'ho detto: qualcuno se lo ricorda?...)

martedì 29 ottobre 2024

#goofy13

Tempo addietro, qualcuno che pensava di saperla lunga, nel commentare l'opportunità di contribuire ad a/simmetrie (si parlava, beninteso, di contributo d'idee), emise una valutazione un po' sprezzante: "Tanto ormai la spinta propulsiva si è esaurita, lo si vede a Montesilvano, dove non viene più nessuno...".

Quindi, come dire: meglio cercarsi altri outlet per esporre il proprio pensiero: luoghi più autorevoli e più e meglio frequentati.

Mi sembra di poter dire che quanto abbiamo visto nello scorso fine settimana smentisce questa dichiarazione di morte presunta avventatamente rilasciata da un giovine ambizioso: 403 persone in sala (esclusi i relatori, lo staff, e una manciata di altri invitati last minute, essenzialmente amministratori locali), per un'edizione concepita e organizzata all'ultimo momento, poco pubblicizzata, e soprattutto poco sostenuta dal blog, dove, come vi dicevo qualche giorno addietro, ho sempre meno tempo di soggiornare con voi. Quando vennero Meloni e Salvini, dieci anni fa, in sala eravamo 466. Non molti di più, quindi, considerando che quell'anno fino all'inizio di novembre avevo scritto quasi 400 post (398), mentre quest'anno non arriviamo a 80. Fatte le debite proporzioni, in effetti, le visite al blog sono quasi maggiori ora che non scrivo, rispetto a quando spingevo come un forsennato, per soddisfare una urgenza comunicativa che i fatti hanno non direi logorato, quanto canalizzato altrove. Fatte le debite proporzioni, e osservati i numeri (veri), la "trazione" che alcuni ricordano della stagione "eroica" del blog non era quindi superiore a quella attuale, se misurata dai numeri del #goofy, che hanno visto il loro massimo nel 2019, poco sopra i 700 (mentre sono certo che molti di voi pensavano che il massimo fosse stato raggiunto prima). Purtroppo, viviamo in un mondo di illusioni ottiche, e non basta ripeterlo e dimostrarlo (altrimenti, che illusioni sarebbero?).

Per chiudere il punto, direi pro futuro che l'anno prossimo faremo meglio: partiremo prima, coinvolgeremo di più (partendo dai tanti che ex post esprimono il desiderio di averci voluto essere). Del "numero" mi interessa il giusto: quello che mi interessa, però, è il suo risvolto pratico, ovvero la possibilità di avere l'esclusiva della struttura, cioè di poter essere veramente "a casa nostra". Di sciroccati voglio solo i miei, non gli altrui!

E passiamo agli altri punti.

Qualcuno mi chiede: "Sei soddisfatto?"

La domanda non mi è chiara. Soddisfatto di che, di cosa? Del menù? Dei relatori? Dell'affluenza? Ma allora forse non è chiaro! Io non scodinzolo né mai ho scodinzolato per il "consenso", per il "concorso di masse". Certo: come notavano alcuni addetti ai lavori, difficilmente oggi qualcuno riesce a portare così tante persone in una stanza. Ma se si capisse perché lo faccio, si capirebbe anche perché la cosa mi lascia indifferente. Lo faccio per voi, non per me. Chiaro, no? Quindi, la soddisfazione, eventualmente, dovreste esprimerla voi, non io.

In effetti, molti, direi tutti, hanno espresso, a me direttamente, o a altri membri del direttivo o dello staff, viva soddisfazione: io posso, eventualmente, notare due cose, che magari non avete notato non per trascuratezza ma perché non avevate i dati per valutarle: oltre a una presenza rilevante di volti nuovi, soprattutto giovani (il 6% sotto i 25 anni), a testimoniare che il pubblico si rinnova, che la comunità in effetti cresce, una presenza altrettanto rilevante di esponenti non banali della classe dirigente, tutti molto contenti di esserci e molto impressionati dalla qualità delle relazioni. Abbiamo perso degli zerovirgolisti ma abbiamo guadagnato dei consiglieri di amministrazione: scambiare persone certamente ininfluenti con persone probabilmente influenti a me sembra un dato positivo, se lo scopo è far sapere che esiste un modo diverso di vedere le cose! Perché di una visione alternativa, di pensiero laterale, chi ha qualcosa da fare ne ha bisogno quanto e più di chi sbraita di complotti e tradimenti trincerato nel proprio divano...

Questa soddisfazione si è tradotta, in molti casi, in una domanda: "Come fai a fare ogni anno un'edizione migliore delle altre?"

Vedo almeno due motivi, entrambi non banali.

Il primo è che finalmente, dopo tanti anni (ce ne sono voluti veramente tanti perché tanti ce ne vogliono, e gli eventuali imprenditori in sala possono capirmi), ho una squadra di profilo intellettuale elevatissimo. Due persone che hanno in odio, come l'ho io, il "basta che sse capimo", la sciatta approssimazione romanesca (del resto, a Roma "fare 'na romanella" ha un significato ben preciso...), capaci di praticare la difficile, per alcuni inattingibile, arte del prima e del dopo, capaci di rispettare gli altri, tutti gli altri, a partire dal più velenoso (io) per arrivare ai più rompicoglioni (voi: avevamo anche l'idea di fare un concorso per farvi votare la lettera più assurda ricevuta dallo staff, ma poi ci abbiamo rinunciato. Lo teniamo per l'anno prossimo). Spero che vogliano fare un altro pezzo di strada con noi, e che il sostegno (questa volta non di idee!) ad a/simmetrie non venga a mancare, creando i presupposti perché la sua attività continui.

Il secondo motivo è che ogni anno il livello altrui si abbassa, sprofonda, sicché basta poco, basta sempre meno, ad apparire prominenti sull'orizzonte sempre più mefitico del pattume informativo. Non lo dico per sminuire gli eccellenti relatori che abbiamo avuto, non lo dico per sminuire il lavoro che è stato fatto per creare un filo logico fra i diversi interventi, non lo dico per sminuire la professionalità di chi ci ha ospitato e di chi ci ha trasmesso sul web! Dico semplicemente che la cappa di censura sempre più opprimente, sempre più esplicitamente rivendicata (il prebunking di cui ha parlato Benedetto), rende prezioso ogni sia pur minuscolo, impercettibile refolo di libertà. Se vogliamo, è uno dei tanti possibili modi di "sfruttare la forza dell'avversario": quanto più operatori informativi, procure, agenzie europee e non, si adopereranno per censurarci, tanto più apprezzeremo gli spazi di libertà che siamo riusciti a costruirci, li vivremo come momento identitario e rigenerante, come unica possibilità di alimentare una fiammella di speranza.

Abbiamo voluto venire incontro a chi non poteva esserci per tanti motivi: penso ad Alessia, ma penso anche ai genitori (o ai figli) di figli (o di genitori) di difficile gestione, come quello che, in un messaggio, mi ha ringraziato dicendomi "io sono ai domiciliari senza aver fatto niente...". Non so se prenderemo sempre questa decisione, ma sono contento di averla presa quest'anno, anche perché, ricordando sempre che il social ex azzurro cesso (Twitter) è una bollicina di metano nella palude del pattume informativo, essere sul podio dei trending topics è comunque un obiettivo che (forse) un senso ce l'ha, e mi è sempre stato chiaro che il coinvolgimento ottenibile con lo streaming era un presupposto per il conseguimento di questo obiettivo.

Lo streaming lo potete rivedere qui:

e qui:


(o direttamente nel canale YouTube di a/simmetrie, dove trovate tante altre cose interessanti).

Concludo con una osservazione.

Molti di voi hanno espresso il rimpianto di dover abbandonare la propria casa comune per tornare alla vita di tutti i giorni. E questo un po' mi stupisce, e mi fa capire che bene ho fatto a precisare alcuni punti nella mia relazione introduttiva, perché la vostra casa comune, nella vita di tutti i giorni, è qui, è questa, anche se mi rendo conto che questo fatto è stato perso di vista, e intuisco i motivi di questa perdita di contatto. La differenza l'ha fatta l'intuizione di offrire a una comunità virtuale un momento di raduno e di comunione fisica: la cosiddetta "community" di cui tanti parlano (anche Wikimm..., come sapete) nasce da questa intuizione, che però aveva un presupposto, che sarebbe saggio e salutare non dimenticare: il compleanno del blog in tanto esiste in quanto esiste il blog, banalmente...

Ma il blog esiste ancora, potrebbe chiedere qualcuno?

Beh, in effetti sta a noi, a partire da me, tornare ad abitare durante l'anno la nostra casa comune. Certo, mamma Albertina (come la chiama Mauro), oltre ad ammannirvi i suoi manicaretti il giorno del compleanno, dovrà anche fare uno sforzo per imbandire più spesso la tavola. Abbiamo parlato del perché e del per come questo compito è sempre più gravoso, ma c'è una cosa che io posso fare, che tutti possiamo fare, per liberare il nostro tempo, ed è, molto semplicemente, non buttarlo giù per il tubo della cloaca nera! Parlando questa mattina con Elisabetta, che nei social non è mai voluta entrare, le ho espresso il mio proposito di lasciar perdere il social già azzurro cesso, oggi nero cloaca: una fonte di perdita di tempo, ricettacolo di una umanità minorata, controllato da uno che tutto è tranne che nostro compagno nel nostro percorso di liberazione, e frequentato da una minoranza rumorosa ma trascurabile.

Lo spazio dei contenuti, lo spazio della riflessione era ed è questo, e qui tornerò a condividere con voi, perché di questo c'è bisogno. 

To the happy few.

(...nei prossimi giorni sarò occupato da un altro progetto, ma tornerò comunque qui con regolarità. Spero che lo facciate anche voi: ho imparato da voi almeno tanto quanto voi avete imparato da me, ed è qui, non nella schiuma del microblogging, che le cose restano agli atti. Qualcosa da condividere con voi ce l'ho, a partire dalle mie slides al #goofy13...)

venerdì 25 ottobre 2024

Pensioni e sanità

Diciamolo pure: questa legge di bilancio fa schifo!

Contenti?

Ora però fatemi una cortesia: mi ricordate una legge di bilancio che non abbia fatto schifo? Il discorso è sempre il solito: chi blatera di politica "a servizio del bene comune" in realtà ha in mente una politica a beneficio del meglio individuale, e del resto è giusto che sia così: il bene non è mai abbastanza, quindi bisogna volere il meglio, e su che cosa sia "comune" ognuno ha nella propria testa una sua idea, che quindi è individuale, con l'aggravante che chi ciancia di cose "comuni" spesso ha zero esperienza politica e una vita sociale molto povera, quindi non ha ben chiaro quanto sia difficile anche solo per tre amici scegliere in quale pizzeria passare la serata...

Detto questo, però, anche basta, basta cazzate! Basta!

Pensioni

Gli operatori informativi a trazione PD allargato (insomma, a trazione Ursula) ce la menano con questa storia che le pensioni minime sono aumentate solo di tre euro e quindi "vergonniaaaaah111!1!". Ora, le pensioni minime nel 2022 (decise da LVI, perché noi siamo arrivati a fine anno) erano pari a 525.38 euro (sta scritto qui). Rispetto a questo il Governo ha adeguato rispetto all'inflazione e ha anche adottato una rivalutazione temporanea del 2.7% che le ha portate al 614.77 nel 2024 (con una rivalutazione complessiva del 17% a fronte di un'inflazione cumulata attorno al 16% - il dato definitivo del 2024 ancora non possiamo saperlo!). Se nel 2025 andranno, come dicono gli operatori informativi, al 617.9, vuol dire che dal 2022, cioè in tre anni, saranno aumentate di 92.52 euro, cioè del 17.6%, sostanzialmente al passo, o lievemente sopra, l'incremento dell'indice generale dei prezzi al consumo. LVI avrebbe certamente fatto di meglio. Intanto, per non sbagliare, ha fatto peggio. Quindi?

Sanità

Ma bisogna sempre tornare su questa storia? Ma perché invece del pattume informativo non vi leggete il blog? La questione l'abbiamo chiusa qui, come ricorderete, ma la ripeto aggiungendo un dettaglio. Oggi Trovati (che è uno dei meno peggio) sul Sole 24 Ore ci dice che il Governo vuole portare la spesa sanitaria al 6.35% del Pil nel 2025. Dimentica (come tutti dimenticano) tre dettagliucci:

1) LVI nel 2025 voleva portarla al 6.2% (e piddini e operatori informativi muti!):


2) il Pil che LVI prevedeva di fare nel 2025 era 2089 miliardi, mentre ora il Fmi prevede che andremo a 2241;

3) ad ammalarsi non è il Pil, ma sono le persone, e la popolazione del Paese sta decrescendo, ahimè, talché, ad esempio, i 114423 milioni del 2018 corrispondevano a 1909 euro di spesa sanitaria pro capite, mentre i 143200 dell'anno prossimo corrispondono a 2428.6 euro pro capite (LVI ci avrebbe portato a 2196 euro pro capite), con un aumento del 27.2% a fronte di un'inflazione aumentata di qualcosa attorno al 20% nello stesso periodo.

Occorre altro?

Sintesi: tutto fa schifo e tutto è migliorabile, ma per partire occorre una buona base. I dati lo sono, il pattume non lo è, e da 12 anni i dati li trovate qui.

A dopo (all'Aria che tira...).

giovedì 24 ottobre 2024

Dr. Bagnai e Mr. Palla

 (...oggi ero a pranzo con pregiati esponenti della classe dirigente - peraltro renitenti alla leva del #goofy - e si parlava appunto di quanto i figli tendano a somigliare ai padri. "Prendete me!" dicevo: "Quando stavo per terminare la carriera universitaria, me ne sono andato in Senato. Ora che arriva la legge di bilancio, mi eclisso per incidere un disco. Ogni volta che si arriva a un punto di arrivo, mi faccio sviare da una nuova curiosità [e in effetti, aggiungo per voi, perché loro non avrebbero potuto capire il riferimento, la persistenza nella compilazione di questo blog è il vero dato anomalo della mia esistenza]! Così lui per evitare di studiare si era messo a lavorare, poi per evitare di lavorare si era rimesso a studiare, poi per evitare di finire gli esami si era rimesso a suonare, si era comprato la tastiera Midi, arrangiava canzoni e andava in giro a cantarle. Una eterna ricerca del male minore, la bussola delle mie interminabili giornate in Parlamento. Ma alla fine un punto fermo è stato costretto a metterlo..."

E come viatico, ha avuto queste mie sagge parole: "Questo è solo un inizio!"

Che, se vogliamo, sono un po' tautologiche, perché la fine non sappiamo quando sarà, e non c'è finché non arriva - ma in quel momento, epicureamente, smettiamo di esserci noi! L'unica cosa che posso presumere, sulla base delle statistiche, è che nel mio caso sia più vicina dell'inizio. Mi capita di pensarci, ed è per questo, in definitiva, che sto cercando di mettere ordine nelle cose. Oggi una è andata a posto. Ci vediamo domani!...)

Distribuzione del reddito e teorema di Eulero

Perdonatemi, una rapida integrazione "tennica" che potrebbe esservi utile per apprezzare alcune sfumature del dibattito odierno e senz'altro vi aiuterà con le mie slide di domenica.

Ci è capitato spesso di parlare del modello neoclassico di crescita, basato sulla funzione neoclassica di produzione. Nella sua versione standard, questa funzione esibisce rendimenti di scala costanti. Significa che, come vi ho spiegato parlando di Crescita neoclassica for dummies, gli incrementi di output sono proporzionali a quelli degli input. Immaginando che il livello di produzione Y dipenda dalla quantità di capitale K e da quella di lavoro L, cioè che sia:

Y = f(K, L)

avremo che se moltiplichiamo per un certo numero t gli input, risulta moltiplicato per t anche l'output:

f(tK, tL) = tY

e quindi, ad esempio, ponendo t = 2, se raddoppiamo gli input raddoppia l'output:

f(2K, 2L) = 2Y

(e questo ve lo dissi a suo tempo e quelli bravi se lo ricordano).

Le funzioni di questo tipo sono dette dai matematici "omogenee di primo grado" e vale per loro il teorema di Eulero, secondo cui il valore di Y è dato dalla somma dei valori degli argomenti ognuno moltiplicato per la rispettiva derivata:

E qui vi ho perso quasi tutti per strada, ma va bene così, proseguo imperterrito sulla strada della veritah (che è la nuova onestah), e chi mi ama mi segua!

Che vuol dire questa formula arcana?

Intanto, per i più curiosi, vi rinvio alla sua dimostrazione nel caso generale.

E questa è matematica.

L'economia, e la distribuzione del reddito, entrano nel ragionamento quando ci si ricordi che, come spiegammo a suo tempo a Lampredotto, che impazza nuovamente sui social col suo delirante proposito di abbandonare la nave che galleggia per quella che affonda, nel modello di equilibrio concorrenziale i fattori di produzione vengono remunerati alla rispettiva produttività marginale. La tabella era questa:


e lo spiegone era nel post sul BDSM (cara, non è come pensi tu!).

Da quanto ci siamo detti fin qui (e nei post linkati) conseguono due proprietà del modello neoclassico standard:

  1. in equilibrio, il lavoro verrà remunerato al valore della propria produttività marginale;
  2. in equilibrio, tutto il prodotto verrà distribuito.

La seconda cosa deriva dal fatto che, appunto, la somma dei prodotti delle quantità di fattori impiegate, moltiplicate per la rispettive remunerazioni, coincide, guarda un po', col totale della produzione. Quindi in equilibrio tutta la produzione viene distribuita, e ognuno riceve in proporzione a quanto ha contribuito alla produzione.

C'è un altro pezzettino di tecnica che potrebbe essere utile a qualcuno. In funzioni di questo tipo, la produttività marginale è proporzionale alla produttività media. Se considerate ad esempio la più usata delle funzioni di produzione, la Cobb-Douglas:

potrete verificare facilmente che la produttività marginale del lavoro (la derivata di Y rispetto a L) è data da:

(i passaggi sono su Wikimmmm, che ovviamente li fa per il capitale - è un chiaro messaggio politico - ma se siete sopravvissuti fin qui li sapete fare anche per il lavoro).

Che cosa significa questa bella storia (su cui ci saremmo potuti dilungare, ad esempio sviluppando direttamente qui tutti i passaggi, per i quali invece vi rinvio alle fonti citate)?

Significa che in teoria dovremmo aspettarci che i salari reali evolvano in modo proporzionale alla produttività media del lavoro (average labour productivity, APL). Se questo non succede, i casi sono due:

  1. o la funzione di produzione non ha rendimenti costanti (ad esempio perché li ha crescenti, cioè perché all'aumentare degli input le economie di scala fanno aumentare in modo più che proporzionale l'output);
  2. o il mondo non funziona come nel modello neoclassico (ad esempio perché invece di essere remunerati in base alla loro produttività marginale i fattori di produzione vengono remunerati in base ai rapporti di forza sociali).

Voi direte: sì, tutto bello, tutto forse comprensibile, con difficoltà, ma che c'entra con le cose di cui si parla tanto oggi?

C'entra (o, come dicono quelli che scrivono "non c'è la faccio", centra) moltissimo! Non avete mai sentito dire che la crisi salariale è legata alla crisi della produttività, che il problema di stagnazione dei salari è un problema di stagnazione della produttività?

Bene!

Chi vi dice questo vi sta dicendo che il mondo è neoclassico, che ogni fattore di produzione (incluso tu che stai leggendo) viene remunerato in base alla propria produttività marginale, e quindi che se la remunerazione dei fattori non aumenta ciò dipende dal fatto che la loro produttività non è aumentata (cioè che tu, caro lettore, hai fatto schifo e hai avuto quello che ti meritavi, cioè poco).

Ma se invece osservassimo che mentre la produttività del lavoro è aumentata, la remunerazione del lavoro (salari reali) invece no, che cosa dovremmo concludere?

La conclusione non è difficile, ma la trarremo insieme domenica...

domenica 20 ottobre 2024

La crisi dei salari e la produttività

Sempre preparando il mio prossimo intervento, dopo aver riesumato il grafico del 2012 su salari e produttività:


tratto da Svalutazione e salari (ad usum piddini), sono andato a vedere se fosse possibile replicarlo con le versioni odierne delle relative base dati, e se altre basi dati evidenziassero il medesimo fatto stilizzato.

Nel 2012 lavoravo con il CD delle International Financial Statistics (IFS) era tutto molto più semplice (detto fra noi). Ora si fa tutto online accedendo a questa pagina, lentissima, i codici delle variabili sono cambiati, ma insomma, prendendo l'indice dei salari (wage index) e dividendolo per l'indice dei prezzi  al consumo (consumption price index all items) quello che viene fuori è questa roba qui:


Nota bene: qui si vedono molti più dati che nel grafico del 2012: si comincia dal 1950, anziché dal 1970, e si termina nel 2019, anziché nel 2009. Se restringiamo il grafico alla finestra considerata nel 2012 l'ultimo database IFS ci dà questa rappresentazione:


ovvero, a distanza di dodici anni i dati sono rimasti gli stessi (la storia non è stata riscritta, e di questi tempi non è poco): la tendenza crescente del salari si appiattisce nel 1981, l'elettrosalariogramma piatto parte negli anni '80, quando la produttività cresceva.

Per la produttività, all'epoca, avevo usato l'indice della produttività media del lavoro dell'OCSE. Sono sicuro che sia ancora da qualche parte nel loro sito, ma nel frattempo anche lì il CD non è più di moda, l'interfaccia è cambiata, e quindi mi sono rivolto a un altro database, AMECO, che fornisce il Pil per persona occupata (variabile RVGDE). Tuttavia, siccome vorrei portare evidenze coerenti, prodotte con basi di dati uniformi, prima della produttività ho cercato in AMECO una misura dei salari reali, per vedere se "si parlasse" con quella riportata dalle IFS. Questo anche perché i dati IFS terminano nel 2019, e a me interessa arrivare al 2024 (AMECO arriva al 2025 perché per default riporta la previsione per l'anno successivo). AMECO misura il salario reale con una variabile che si chiama Real compensation per employee (RWCDV) e usa come deflatore il deflatore del Pil anziché l'indice dei prezzi al consumo (a beneficio di chi sa la differenza). Per l'Italia, questa variabile si presenta così:


e stringendo al campione considerato nel post ad usum piddini (1970-2009) si presenta così:


La storia parzialmente coincide con quella che sapevamo dall'IFS: il trend dei salari reali si arresta nel 1981. Qui però vediamo una ripresa fra la metà e la fine degli anni '80, e poi l'arresto definitivo. Sarebbe interessante ragionare sul perché e il per come di queste differenze, ma il punto fondamentale che ci interessa, il fatto stilizzato che vogliamo portare a casa, è: questo arresto (con o senza eventuale ripresa) del salario reale è associato a (e quindi potenzialmente dipende da) un arresto (con o senza eventuale ripresa) della produttività?

La risposta è desolantemente la solita: no!


Fatta base 100 nel 1960, gli indicatori vanno avanti di conserva per due decenni, poi all'inizio degli anni '80 si appiattisce l'elettrosalariogramma, e alla fine dei '90 (altri vent'anni dopo) si appiattisce anche l'elettroproduttivigramma.

La stasi dei salari precede quella della produttività, indipendentemente dalle basi dati utilizzate per misurare questi due fenomeni.

Quanto mi fanno pena quelli che si indinniano perché in televisione e sui giornali sono state dette tante fregnacce sul COVID! Da quarant'anni ci mentono su una cosa leggermente prioritaria, perché non averla teoricamente uccide: il salario. Quelli che si stupiscono e si indinniano (sic) per menzogne di parecchi ordini di grandezza inferiori sinceramente mi fanno un po' pena. Quello che avete subito è figlio di quello che avete accettato e state accettando. Qui è da un po' di tempo che sconsigliamo di accettare dati (cioè menzogne) dagli sconosciuti, e quelle che abbiamo smascherato dovrebbero averci indotto a un sano scetticismo, così sano che a qualcuno è servito per restare sano.

Ma non parliamo di questo, anche se oggi a tavola se n'è parlato, perché tanto si va sempre a finire lì. Eppure, con buona pace di chi monta la panna (anche a fin di bene, per carità...), il grafico più importante, politicamente, resta quello che vi feci vedere nel 2012 e vi ho fatto rivedere qui. Tanto importante, quanto misconosciuto e incompreso. Ma questo, forse, è un bene, perché ha evitato che ci fosse un incentivo a riscrivere la storia: una storia che resta quella a distanza di decenni e che nella sua brutale semplicità smonta ictu oculi le tante cretinate che ci sentiamo dire sulla stasi della produttività  come "causa" della crisi salariale. Se lo fosse, il crollo della produttività non verrebbe dopo, ma prima. Invece viene dopo. Quindi le cose sono un po' più complicate di così, un po' più complicate dell'idea (giusta) che non puoi distribuire quello che non viene prodotto. In economia, ahimè, tutto dipende da tutto, e capita quindi anche che quanto produci dipenda da quanto distribuisci.

Ma di questo non parliamo stasera, altrimenti... al #goofy13 che vi racconto?

(...un grazie ai reduci e ai nuovi ingressi della colonna genovese che si sono trovati coinvolti in un cocktail di manager e consiglieri di amministrazione: ma la focaccia di Recco era buona, vedersi è stato piacevole e rinfrancante, e almeno avete visto uno spicchio di mondo che comunque esiste, ed è, e considera se stesso, rilevante. Rixi, peraltro, ha fatto un bellissimo discorso...)

Sul metodo (preparando il #goofy13)

Qualche volta si va per esclusione.

Direi anzi che molto spesso si va per esclusione, soprattutto invecchiando, e questo verosimilmente deriva dall'azione combinata di due forze eterne e incontrovertibili: da un lato, con l'età il mondo circostante ti appare in preda a un degrado progressivo e inarrestabile; dall'altro, sempre l'età ti suggerisce che trovare una soluzione è sempre meglio che non trovare nessuna soluzione, e l'esperienza ti sconsiglia fortemente di lasciarla trovare a qualcun altro (soprattutto se sei in politica).

Sul degrado del mondo circostante qualche dubbio ce l'ho: può darsi che quello che osserviamo noi anziani sia solo un riflesso del nostro degrado, o semplicemente della nostra riottosità ad adattarci a metriche più consone allo Zeitgeist. Può darsi. Possiamo documentare che da un po' meno di tre millenni chi viene prima si lamenta di chi è venuto dopo: se quello che la letteratura ci trasmette fosse minimamente fondato su dati oggettivi, probabilmente oggi abiterei la Grotta del Cavallone, invece di un attico ai Parioli. Di contro, però, l'economista qualche riscontro oggettivo ce l'ha (il reddito pro capite, per dirne uno), e quindi può (se vuole) articolare un discorso meno impressionistico sulle (pretese) magnifiche sorti e progressive da un lato, e sulla  (supposta) inarrestabile decadenza morale dei giovani dall'altro.

Sul fatto che trovare una soluzione sia meglio che lasciarla trovare a un altro non mi dilungo: mi appello alla prima legge della termodidattica (ci sono cose che se potessero essere capite non andrebbero spiegate), e percepito o reale che sia il degrado, soprattutto quando devi scegliere persone, ma anche strategie di comunicazione, ma anche un piatto al ristorante, quello della riduzione del danno, del male minore, della scelta per esclusione resta il criterio principe in un'età in cui hai rinunciato a illuderti che il mondo possa mai non dico piegarsi al tuo anelito di perfezione, ma anche semplicemente comprenderne l'essenza e le ragioni.

E così, dovendo scegliere se buttare dalla torre Sergio Cesaratto, con il suo sconsolato, un po' sprezzante e molto condivisibile "chi voleva capire ha capito, a chi non vuole capire è difficile imporgli le cose più di tanto", emesso dieci anni fa:


o Claudio Borghi, che continua a dire che c'è un gap generazionale da riempire, e quindi dobbiamo ricominciare a spiegare tutto da capo, il procedimento per esclusione mi ha convinto a buttare di sotto Sergio (Claudio mi serve di più, oggettivamente), nonostante la pensi in fondo come Sergio (cioè pensi che chi non ha capito nel 2024 è ancora più coglione e inutile di chi non aveva capito nel 2014, il che frustrerebbe in nuce l'ottimismo della volontà del sornione Borghi), e per il prossimo #goofy13 sto preparando una relazione che riprende il discorso da capo, ragionando su grafici come questo:


(tratto da qui). Dodici (o tredici, o quattordici) anni dopo queste serie si sono allungate di altrettanti anni e il loro tracciato ha sicuramente qualcosa da insegnare a chi era qui dodici (o tredici, o quattrodici) anni fa e pensava o pensa di aver capito tutto. Ma questi grafici, il tanto lavoro fatto, hanno implicazioni immediate, anche prendendoli così come sono, sic et simpliciter, per chi arriva qui oggi, o magari è qui da pochi mesi o pochi anni.

Un esempio banale: ci dicono che l'Italia ha un problema di salari perché ha un problema di produttività. Ma noi sappiamo che non è vero, perché da dodici anni (tanti quanti ne ha questo grafico) abbiamo visto che il problema dei salari in Italia preesiste al problema di produttività. Ricorderete la stucchevole polemica con "er Melanzana" sull'opportunità di articolare o meno il dibattito in termini di quota salari: l'amico aveva qualche problema con la definizione delle variabili, non capiva, in tutta evidenza, che la quota salari altro non è che il rapporto fra le due variabili rappresentate nel grafico:



(lo spiegammo poi qui), e quindi il nostro approccio, che era più analitico (perché presentava le due variabili separatamente anziché il loro rapporto), era anche, ovviamente, più informativo.

E quale informazioni traiamo da questo grafico: ma semplicemente che, come vi ho detto sopra, è un po' sconclusionato attribuire a una cosa che è venuta dopo (la flessione della produttività) una cosa che è arrivata prima (la stagnazione dei salari). Capisco l'evitare il post hoc propter hoc, ma anche propalare un ante hoc propter hoc non mi sembra molto più rigoroso in termini scientifici! E infatti la scienza su queste e altre dinamiche ci dice cose diverse da quelle che gli economisti "de sinistra" e "de destra", nella loro pervicace volontà di girare intorno al problema, continuano a raccontarci: dal tir di faldoni del buon Zingy, alla piccola impresa familistica e amorale tanto vituperata anche a sinistra!

Ma, appunto, di questo parleremo esattamente fra una settimana, e quindi ora mi rimetto a slidificare (se siete a Genova però ci vediamo alle 18 alla Caravella - e dove se no?).

venerdì 18 ottobre 2024

Appunti

(...ho 21 minuti di discussione generale sul PSB - Piano Strutturale di Bilancio. Lascio qui qualche dato che vorrei commentare...)


Ci hanno detto che dovevamo fare l'Europona della monetona perché "fuori" c'era la Cina. Ce lo hanno detto quelli che la Cina ce  le stanno portando in casa con le politiche "green", e questo è il segno più eloquente della transizione ideologica da una sinistra amica di Marx a una sinistra nemica di Aristotele. La domanda però è: ha funzionato? La risposta è nei numeri: no!

La quota della Cina sul Pil mondiale si è espansa di 17 punti dal 1975 al 2023, e di questi 3 gliene ha lasciati il Giappone, quattro gli Stati Uniti, e 11 l'Eurozona. Dal 1999 il declino è quasi raddoppiato: fra 1975 e 1999 i punti persi sono 4, fra 1999 e 2023 sono 7. 

Un pezzo di questo suicidio è l'assurda risposta alla crisi finanziaria globale:


L'Eurozona, che negli anni '80 aveva un flusso di investimenti del tutto comparabile a quello degli USA, ha risposto a questa crisi diminuendo il flusso di investimenti, anziché facendolo decollare come negli USA, o almeno sostenendolo come in Giappone. La dinamica è più evidente se la si analizza in percentuale degli investimenti fissi lordi mondiali:


Le politiche di austerità sono chiaramente leggibili. Esse si sono tradotte nel tagliare gli investimenti di chi li faceva, e chi li faceva, contrariamente al racconto che ci è stato fatto per anni, non era la Germania. Fra 2008 (inizio della crisi) e 2014 (anno in cui il Pil europeo recuperò il livello del 2018) la dinamica degli investimenti nei quattro principali Paesi fu questa:


e non necessita di ulteriori commenti per chi è familiare con l'argomento: si vede come la Germania tradizionalmente abbia sottoinvestito, e come abbia suicidato il continente forzando tagli degli investimenti ovunque. Ma in questa follia c'era un metodo: il metodo mercantilista. Tutti ormai sanno e dicono che il problema del debito pubblico è un problema di crescita, e se il problema fosse stato questo, la risposta sarebbe stata più investimento. Ma il problema era drammaticamente un altro: era l'accumulo di debito estero causato dall'impostazione mercantilista della Germania, di un Paese incapace di sopravvivere senza praticare una qualche forma di dumping, senza truccare le carte, condizione necessaria (ma non sufficiente, come i fatti dimostrano) per campare coi soldi di chi ti compra i tuoi prodotti.

Questi erano gli appunti per questo discorso:


Domani sono a Sky Agenda, e sto prendendo altri appunti:


(fonte Eurostat), dove si vede bene come la Germania negli anni '90 fosse in difficoltà e riuscisse a decollare solo dopo la riforma del mercato del lavoro, cioè la sua svalutazione interna, e come all'interno dell'Unione monetaria shock quali la crisi finanziaria abbiano provocato una divergenza delle economie reale.

Possiamo però zoomare nel post-Dieselgate (cioè dopo che gli americani hanno preso i tedeschi a sportellate, stanchi delle svalutazioni competitive dell'euro ingegnerizzate per tenere i cocci insieme...). Facendo base 100 al primo trimestre del 2016 le cose si presentano in una luce un po' diversa:


e naturalmente questo si riflette anche sul Pil.

L'ultimo dato riportato dall'Eurostat per l'Italia (455,4 milioni) è superiore al livello del terzo trimestre 2007 (453,1 milioni), anche se inferiore al massimo storico di 456,8 milioni toccato nel primo trimestre del 2008:


(...or ci dormo sopra, fate così anche voi...)