sabato 11 gennaio 2025

Punturini ‘ndernescional

(… titolo ripreso dal noto saggio di Pino Aprile…)

Un amico “che io ci ho molto rispetto” mi segnala questo pregiato articolo del Völkischer Beobachter salmonato ‘ndernescional, dal titolo “A time for truth and reconciliation”. Mi sento anch’io di caldeggiarne la lettura. Confesso però che nonostante ne condivida il contenuto (e posso dimostrarlo, e lo dimostrerò) la mia prima reazione, fin dalla lettura del titolo, non è stata di assoluto e totale entusiasmo.

Intendiamoci: alcuni aspetti analitici dell’articolo, e in particolare la lettura del 2016 come anno di svolta in senso repressivo nella gestione di Internet, sono da me totalmente condivisi, sono cose che mi sentite dire da tempo, ma proprio per questo il vederle adesso spiattellate come ponzose e profonde analisi da un outlet così “autorevole“ più che inorgoglirmi mi fa incazzare. Come pure dovrebbe inorgoglirmi, ma invece mi fa incazzare, il richiamo alla Commissione per la verità e per la riconciliazione. Alzi la mano chi si ricorda questo (scritto mentre la Grecia veniva macellata, cosa di cui non abbiamo evidenza che l’intellettuale di turno si crucciasse)!

Si riconferma che nihil est in intellectuals quod prius non fuerit in Goofynomics, ma non vorrei che questa venisse presa per vanagloria. Sicuramente un po’ lo è, non mi attardo ad escluderlo, ma il motivo per cui il fatto che venga condivisa un’esigenza di metodo che avevo espresso 10 anni fa mi innervosisce, anziché sollevarmi o inorgoglirmi, non ha nulla a che vedere con la rivendicazione di un primato intellettuale, di una particolare originalità o tempestività. Io sono stato scolarizzato nel XX secolo e in Italia, quindi io so che dopo Omero chiunque pretenda di dire una cosa originale è sostanzialmente un illetterato.

In altre parole, quello che mi infastidisce di questo richiamo all’esperienza sudafricana (quella della Commissione sulla verità e sulla riconciliazione, dei cui risultati, a dire il vero, non vi saprei tracciare un bilancio storico), non è che venga dopo il mio (e chi sono io per pretendere di essere ascoltato?), ma sono i motivi che sottendono ad esso, e questi motivi mi infastidiscono non perché siano di per sé non condivisibili (ricordo che faccio parte di una commissione di inchiesta sul fenomeno del COVID-19, quindi ovviamente mi interessa vederci chiaro su questo fenomeno!), ma perché preludono a un inevitabile fallimento.

Che dal 2016 fosse all’opera un DISC (Distributed Idea Suppression Complex) ce ne eravamo un pochino accorti anche noi, e ne avevamo anche parlato, mettendo in guardia, pensa tu!, proprio quella sinistra che oggi piange sul latte da lei versato!

Tuttavia, invece di apprendere le lezioni della storia, la sinistra (perché il Völkischer Beobachter salmonato ‘ndernescional è un outlet di sinistra) continua a non fare i conti con alcuni caposaldi della cultura occidentale, quali la logica aristotelica e la geografia astronomica. Da quest’ultima ci deriva, in particolare, quello strumento che tendiamo a considerare banale, a dare per scontato (nonostante che la sua storia dimostri che non lo è affatto), ma che è tutt’oggi essenziale per dirimere controversie di vario tipo, e anche per attribuire ad analisi della più svariata natura il corretto valore: il calendario.

Eh sì!

Perché a leggere il contributo dell’illustre e autorevole autore non si può sfuggire alla sensazione che secondo lui “la strage e il grande scempio che fece i social colorati in rosso“ sia stata quella che qui, per non farci tirare giù dagli amici suoi (perché l’autore si propone come un pezzo della soluzione, ma il suo curriculum ce lo segnala come pezzo del problema), abbiamo deciso di chiamare metaforicamente la “punturina”, cioè la gestione ideologicamente orientata, e quindi inefficiente, della pandemia.

Ma allora come si spiega che il DISC sia attivo dal 2016, cioè da quattro anni prima che il noto fenomeno epidemiologico si manifestasse? In altre parole, una chiamata alla verità come strada maestra verso quella riconciliazione di cui tutti avvertiamo l’urgente bisogno, per essere o almeno sembrare non dico efficace (perché pur aderendo intellettualmente a questa istanza mi rendo conto del fatto che politicamente sia impraticabile), ma credibile, dovrebbe dimostrare di avere colto quali siano le contraddizioni fondamentali che hanno portato all’egemonia della menzogna, quelle che preesistevano all’eruzione del fenomeno sanitario, e che, non dobbiamo nascondercelo (pensate allo Pfizergate), ne hanno condizionato le modalità di gestione. Ma sotto questo profilo, il pregiato contributo del pezzo del problema è abbastanza deficitario: il problema è il debito pubblico (leggere per credere!) e le bolle immobiliari, con una tanto elegante quanto eloquente saldatura dei punturini ‘ndernescional ai Giannini (intesi come plurale di Giannino) ‘ndernescional.

Quello su cui abbiamo bisogno non di sapere, perché la sappiamo, ma di dirci apertamente la verità non è se nel XXI secolo da qualche parte si stiano studiando o producendo armi batteriologiche (quando ho fatto il militare nel 1989 la difesa anti-NBC era nel programma dei corsi AUC! Nel frattempo, la sigla è diventata CBRN, ma sempre di quella roba si tratta). No, di questo credo che ci interessi il giusto, anche perché non è un argomento così sorprendentemente nuovo. Sarebbe, sarà, più utile fare un’operazione di verità sulla terza globalizzazione e sulle sue dinamiche.

Questo non possiamo aspettarcelo, ovviamente, da chi su queste dinamiche prospera, il che però non rende inutile il suo contributo, tutt’altro! Vi esorto continuamente a utilizzare la forza dell’avversario, e quindi un contributo come questo può esserci molto utile dialetticamente, se però ci ricordiamo che il suo autore non è uno di noi, non è un nostro amico, anche se, per motivi in fondo estemporanei, sembra desiderare quello che tutti noi desideriamo: è e resta un nostro avversario. Questo suo (secondo) coming out quindi è utile, anzi utilissimo, ma dobbiamo ricordarci di inserire il nostro desiderio di avere una parola di verità sulla gestione della pandemia (da lui condiviso), nel contesto di una aspirazione più ampia (da lui non condivisa): quella di avere una parola di verità sulla organizzazione dei nostri rapporti sociali di produzione, e dobbiamo essere consapevoli del fatto che in questo compito il Völkischer Beobachter salmonato ‘ndernescional non può aiutarci, se non nella limitata misura in cui, come avevamo pronosticato, le politiche che ha sempre sostenuto allo scopo di ridurre la nostra fetta di torta alla fine abbiano ridotto anche la sua fetta di torta (quella destinata alla rendita finanziaria, cioè ai suoi azionisti di riferimento) perché hanno fatto collassare la torta.

Non leggete quindi questo intervento come un’esortazione alla schizzinosità, come la versione di destra di quelli che volevano “l’uscita da sinistra“, anzi! È una cosa profondamente di destra: un richiamo al senso critico, quella cosa che la sinistra ha deciso di mettere in soffitta, crimine contro l’umanità per il quale merita di scomparire, e scomparirà.

Statemi bene e ovviamente long 🍿!

venerdì 10 gennaio 2025

La svalutazione è una droga!

(… Scrivo questo post al volo dell’anticamera del gabinetto di un ministro a me particolarmente caro. Posso anche essere d’accordo con Claudio che le cose vanno ripetute, ma a ripetere le cose preferisco dedicare i dettagli di tempo…)

…e torniamo a occuparci del nostro troll preferito, fonte inesauribile di ispirazione:


Marco ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "I want to be a currency. From now on, I want you all to call me 'Leuretto'.":


Leo: non conosci la storia economica. Svalutazione e scala mobile + deficit pubblico è esattamente quello che ci ha portato al declino. Al di là di quanto poi l'euro possa aver fatto male o bene, avere inflazione e debito pubblici elevati fa male e la svalutazione monetaria non ci sono prove empiriche né teoria economica che dimostrano che causino crescita economica. La monetizzazione del debito per finanziare il deficit causa inflazione. Finora prova contraria quella che proponi è la ricetta che ha portato l'Italia alla crisi finanziaria del 1992 e quindi al governo tecnico Dini, primo governo tecnico chiamato a fare quello che la politica non aveva il coraggio politico (non volevano perdere la poltrona) di fare. 


Pubblicato da Marco su Goofynomics il giorno 9 gen 2025, 22:56

Ancora!? Ancora con queste stronzate lievi imprecisioni!?

Caro Marco, tanta ignoranza dovrebbe associarsi ad una maggiore modestia. Ti esorto a leggere questo articolo di Dani Rodrik, che sicuramente sa l’economia peggio di te e di quelli che a te sembrano economisti, ma siccome la vita è ingiusta, insegna in una università migliore di quella che hai frequentato tu (se l’hai frequentata) e di quelle dove insegnano quelli che a te sembrano economisti. Quando uno non sa niente, dovrebbe parlare poco. Agli operatori informativi che ce la menavano con la storia che la svalutazione è una droga, abbiamo cercato invano di far capire che la vera droga dell’economia è il cattivo credito, cioè il cattivo debito, e che l’unico vantaggio che abbiamo tratto dall’euro è stato quello di rendere questa droga più conveniente, e quindi più accessibile. I risultati si sono palesati sotto forma di una colossale crisi di debito privato, non pubblico. Non so come funzioni nel Paese dei campanelli, ma questa è ormai da anni la versione accettata dagli economisti non dico seri, ma conformisti, come Giavazzi. Se hai reclami da fare, falli a lui, non a noi, che non siamo autorevoli per il semplice fatto che eravamo arrivati cinque anni prima di lui alle stesse conclusioni.

Hai proprio ragione: la vita è ingiusta! Tuttavia, se posso, non è con l’ignoranza che rimedierai a questo tipo di ingiustizie. Stammi bene!





mercoledì 8 gennaio 2025

Sul ruolo internazionale dell'euro


Vi ricorda qualcosa?

Dovrebbe ricordarvi questo.

E perché ci penso proprio ora?

Perché il nostro amico Marco, di cui sono fermamente risoluto a non buttar via niente, ci ha detto che l'euro "è molto richiesto sui mercati internazionali".

Mi sono così ricordato di quando, nel Tramonto dell'euro, vi mostrai la quota dell'euro sulle riserve valutarie detenute dalle banche centrali:


che non era in forte espansione... Questo, a mio avviso, dimostrava che alla fine le Banche centrali nell'euro non ci credevano moltissimo. All'epoca i dati COFER (COmposition of Foreign Exchange Reserves) venivano distribuiti dal Fmi su fogli Excel. Oggi è possibile consultarli online e eventualmente scaricarli da questo sito piuttosto intuitivo. Sono andato a ricercarmi i dati, e ho costruito una serie estesa, questa:


dove osserviamo due cose:

1) l'andamento dei dati aggiornati è un po' diverso da quello dei dati disponibili all'epoca: la diminuzione della quota inizia intorno al 2009 e prosegue fin verso il 2016.

2) i due puntini evidenziano, rispettivamente, la pubblicazione del Tramonto dell'euro, e la pubblicazione di questo.

I dati sulle riserve ufficiali non sono banali da analizzare: sono soggetti a vincoli di riservatezza, il numero di reporting countries è aumentato nel tempo, in particolare con l'ingresso della Cina, ci sarà sicuramente un motivo per cui i dati raccolti nel 2012 non corrispondono esattamente a quelli che ho scaricato oggi, ma la cosa più ovvia da fare per verificare se sto utilizzando i dati giusti è semplicemente andare a controllare che cosa fanno gli studiosi internazionali. Prendo ad esempio l'articolo Dollar Dominance and the Rise of Nontraditional Reserve Currencies, di Arslanalp, Eichengreen e Simpson-Bell, che è proprio fra le letture consigliate nella homepage del database COFER. Il grafico sul quale si basano è questo:


e sì, i dati che usano per l'euro sono quelli che ho scaricato io, cioè la quota delle riserve in euro sul totale delle riserve per le quali le banche centrali specificano la valuta di riferimento (le cosiddette allocated reserves).

Mi affretto ad inserire un dettaglio biografico: Ruffini poi l'ho conosciuto, ci siamo simpatici, abbiamo amici in comune, è il futuro capo o comunque leader carismatico di quelli che voi chiamate "comunisti", ma è tanto una brava persona, prova ne sia che lui si è dimenticato (credo) di questo nostro diverbio. Io no, ma non correte subito alle conclusioni: io non sono rancoroso, cerco solo di combattere l'Alzheimer! Quindi siate rispettosi nei commenti: non sia mai che riescano un giorno a vincere, meglio tenersi buoni gli amici importanti (poi parliamo anche di questo)...

Ora, uno dei claim di Ruffini nel suo attacco dal blog dell'Espresso (anche la rete non è rancorosa, ma non dimentica) era che io avrei sbagliato nel non tener conto delle riserve "non allocate", cioè di quelle di cui le banche centrali non riportavano la valuta di riferimento. A questo rimprovero non so che cosa rispondere se non che:

1) non lo fanno nemmeno i più affermati studiosi del fenomeno pubblicando nel blog dell'istituzione che questi dati li raccoglie, e:

2) anche tenendone conto non cambia nulla.

Ma intanto, prima di mettervi di traverso anche voi, notate la beffarda ironia della sorte: il puntino giallo corrisponde a quando Ernesto puntò il dito dalle autorevoli (#DAR) pagine de L'Espresso per difendere le magnifiche sorti e progressive dell'euro, e subito dopo l'euro fece uno scivolone di cinque punti percentuali! Insomma: meglio lasciarmi perdere: come dico io, la mia parola ha un comprovato valore performativo, il che, tradotto in italiano, significa che come ogni vero economista porto una discreta sfiga...

Torniamo al 2012: la tesi che sostenevo era che l'euro non avrebbe spiazzato il dollaro, semplicemente perché era una valuta poco credibile. La mia visione all'epoca era controcorrente (tanto per cambiare). Venivamo da un periodo in cui gli economisti che contano, quelli statunitensi, dopo aver espresso, come sapete, un motivato scetticismo sulle sorti della moneta unica (qui trovate una rassegna), al constatare che non era esplosa subito avevano cambiato bordo, spiegandoci perché l'euro avrebbe rivaleggiato col dollaro! Insomma: da un eccesso (motivato) all'altro (immotivato). Una rassegna di questo dibattito la trovate in un recente working paper di Arslanalp et al. (2022), la versione approfondita dell'articolo che vi citavo sopra e da cui ho tratto il grafico con le quote delle varie valute. Ve la faccio corta. Nel commentare il grafico, gli autori constatano che:


cioè: nonostante che da solo esprima una percentuale delle riserve ufficiali più grande di quella di tutte le altre valute messe insieme, il dollaro ha un peso sempre minore nelle riserve ufficiali delle banche centrali, ma il suo ruolo non è stato insidiato né dall'euro, né dalle altre valute di riserva tradizionali (yen, sterlina, franco svizzero...), bensì dalle "altre" valute, dalle valute dei Paesi emergenti (renminbi e altre valute "non tradizionali", fra cui, udite udite!, la corona svedese! Ha proprio ragione quell’altro a dire che dovremmo fare come la Svezia…).

Quindi nel 2022 salta fuori che nel 2012 avevo ragione io (strano...)!

In effetti, nello spiegare perché altre valute (quelle "non tradizionali", non l'euro!) stanno incontrando un simile favore, gli autori del working paper chiariscono che questo potrebbe dipendere da vari fattori: l'aumentata liquidità di alcune economie emergenti, l'accresciuta attenzione dei banchieri centrali per valute che forniscono remunerazioni interessanti in un periodo in cui i tassi di interesse di Stati Uniti ed UE erano prossimi allo zero (si parla del periodo precedente al 2021, ovviamente). Ma a fronte di questi vantaggi, le nontraditional currencies hanno uno svantaggio: tendono a fluttuare, e quindi espongono al rischio di cambio. Gli autori quindi concludono che c'è una spiegazione più plausibile del successo di queste valute alternative:


La stabilità delle economie sottostanti e la razionalità delle decisioni politiche sono importanti nel determinare l'accettazione internazionale di una valuta. Messo in positivo nel 2022 per spiegare il successo del renminbi e compagnia, è l'argomento che usavo in negativo nel 2012 per spiegare l'insuccesso dell'euro: la valuta di un'economia condannata ad accartocciarsi su se stessa come quella europea mai avrebbe potuto essere considerata allettante da chi fosse immune (magari perché protetto da una robusta barriera linguistica!) dalla propaganda dei nostri operatori informativi!

E infatti così è stato.

Il renminbi è la valuta di un'economia che avrà per noi tanti motivi di perplessità, ma almeno cresce (a spese nostre, per colpa delle decisioni errate prese a Bruxelles, ma cresce)! Perché un russo o un brasiliano non dovrebbero farci affidamento? E infatti ce lo fanno:


Ma non voglio sottrarmi: entriamo nel tecnico, come incautamente fecque (o febbe?) Ernesto nel lontano 2014. Mi faceva notare, Ernesto, che senza tener conto delle riserve "non allocate" era difficile sostenere che l'euro fosse poco appetibile: avremmo magari potuto scoprire, una volta avvenuta la disclosure, che la Cina era farcita di euro come un cocco, e questo avrebbe fatto crescere la quota di euro sul totale delle riserve!

Ora, di questo punto si occupano, in modo tecnico Arslanalp et al. nel sesto paragrafo del loro working paper, dedicato appunto ai robustness check della loro ipotesi (cioè della mia). In particolare, a pag. 29 analizzano il COFER reporting effect, cioè le potenziali distorsioni derivanti dal fatto che fino al 2018 c'era incertezza sulle valute nelle quali una quota piuttosto ampia di riserve ufficiali veniva investita. Le loro valutazioni sono piuttosto raffinate (anche se necessariamente basate su ipotesi arbitrarie, visto che mancano informazioni essenziali). Io ve ne propongo una molto meno raffinata: semplicemente, rappresento le quote di tutte le riserve ufficiali (comprese le "non allocate") sul totale (allocato e non allocato) delle riserve:


L'operazione non ha un gran senso (lo riprova il fatto che chi voleva farlo era un bravissimo tributarista, non un economista monetario internazionale con h-index pari a 64), ma almeno ci fornisce una specie di acid test. Che vediamo? Vediamo che l'euro era intorno al 20% nel 2003, ed è sempre intorno al 20% a fine campione, e quindi con la progressiva disclosure delle allocazioni di banche centrali importanti come quella cinese non si assiste a un'esplosione dell'utilizzo dell'euro, che era e resta un pio desiderio di Ernesto (spiace, non tutto si può avere). Le non traditional, invece (spezzata verde), partendo da più in basso hanno superato l'euro attorno al 2022. No, decisamente l'euro non ha rivaleggiato col dollaro, non è l'euro la causa del declino secolare del dollaro, e in generale l'euro non se la passa benissimo. Il suo global reach non è minimamente paragonabile a quello del dollaro, ci spiega la BIS, con l'aggravante che il suo ruolo potrebbe essere sovrastimato, dato che molte transazioni in euro formalmente internazionali sono sostanzialmente "nazionali" perché avvengono all'interno dell'area euro, ci spiega l'Atlantic Council.

Aggiungo un dettaglio: la weaponization del dollaro ovviamente non ha fatto bene all'euro. Quando gli investitori dei Paesi emergenti (qui non mi riferisco alle banche centrali, ma a tutti gli altri) hanno visto che l'Ue seguiva pedissequamente gli Usa su sanzioni, sequestri delle attività, ecc., fra dollaro e euro hanno ovviamente preferito il dollaro, perché hanno capito che l'euro, non  offrendo le stesse garanzie di stabilità del dollaro, non consentiva loro neanche di diversificare il rischio paese (i tuoi conti correnti sarebbero stati confiscati a Milano come a Washington...).

Il risultato è stato questo:


(tratto da qui).

Vedi che la razionalità delle politiche è una componente dell'appetibilità delle valute? Vedi che il lateral thinking aiuta?

Sì, lo so: Proietti lo aveva detto.

A questo punto, per chiudere, pianto qui un altro chiodo: esattissimamente per gli stessi motivi per cui l'euro non può soppiantare il dollaro, in Italia come altrove il "centro" non esiste, resta un buco coi partiti intorno. Chiudo quindi questo post facendo tanti auguri a un nuovo, anzi vecchio, amico che sta partendo in cerca di fortuna verso quel luogo mitologico, quel giardino delle Esperidi dove è situato l'albero dagli elettori d'oro, gli elettori moderati, quelli che, poverini, si stanno astenendo perché non possono votare per chi, come noi, è incoNpetente e si mette le dita nel naso.

Dell'incompetenza vi ho dato una diffusa illustrazione in questo post, la cui sintesi è: tanto qui vi aspetto!

Della voglia di moderazione vi sta dando illustrazione l'universo mondo ogni singolo giorno che il buon Dio mette in Terra!

Ma forse l'andare al centro quando il mondo va a destra (per l'ottimo motivo che è stato rovinato dalla sinistra) è un esercizio di lateral thinking che potrebbe rivelarsi fruttuoso. Io non credo, ma non voglio sembrare un menagramo!

Buona fortuna a tutti, e ricordate: io non sono rancoroso! Esercito solo la memoria... e di te, sì, di te che stai leggendo in questo momento, mi ricordo bene...

Buona notte!

martedì 7 gennaio 2025

Shock di offerta e come produrli (il fallimento del green)

Sono molto contento di essere tornato qui, a passare un po’ più di tempo con voi. La cloaca nera non consente di organizzare un dibattito, elaborare un pensiero, ritrovare e referenziare nei suoi gorghi tumultuosi il materiale utile che pure vi si troverebbe, ma che viene immediatamente travolto da ondate e ondate di sterco. Gli scambi sono troppo estemporanei e rapidi, lo spazio è comunque compresso, anche dopo l’allargamento del vincolo sul numero dei caratteri (allargamento di cui non sono mai stato un granché entusiasta, come di altri allargamenti, perché trovavo interessante la dimensione epigrammatica, mentre trovo snervante "er microblogghinghe"...).

Poche settimane di lavoro qui hanno riattivato il dibattito fra di voi, consentendoci di mettere a fuoco i nostri argomenti e permettendo ai più curiosi di sottoporci tanto materiale interessante. Hanno anche messo in evidenza, queste poche settimane di lavoro, un fenomeno abbastanza peculiare e solo apparentemente paradossale. Accade infatti che, con una certa regolarità, siano proprio gli interlocutori teoricamente più favorevoli al “mercato”, al “liberismo”, a trovarsi completamente digiuni dei rudimenti di quella cosa che gli “studiati“ chiamerebbero basic economic reasoning. Non una grande scienza: semplice buon senso, quello di qualsiasi massai*. Non a caso qui coniammo la definizione di "spaghetti-liberisti": perché questi araldi del libero mercato nulla sanno né di libertà, né di mercato, e sprecare per loro una categoria tutto sommato dotata di una sua dignità intellettuale come quella di "liberismo" ci sembrava un insulto alla storia del pensiero economico, ma anche, più semplicemente, un insulto al pensiero.

Fra gli adepti di questo orientamento, che ha in Oscar Giannino il suo esponente più rappresentativo, abbiamo qui fra noi l'amico Marco, che mi dispiace di aver deluso. Fatto sta che il suo ragionamento secondo cui "una moneta è migliore di un'altra se ha i tassi più bassi" proprio non tiene! Quale che sia il mercato, il prezzo migliore è quello di equilibrio, non "il più basso". Un prezzo troppo basso infatti incentiva una domanda eccessiva da un lato, e deteriora la qualità del prodotto dall'altro (perché per soddisfare l'eccesso di domanda bisogna necessariamente abbassare gli standard di produzione: lavorare più in fretta, utilizzare materie prime meno pregiate, ecc.).

Questo vale in modo particolarmente plateale nel mercato del credito!

Dal lato della domanda, cioè di chi chiede un mutuo, tassi di interesse troppo bassi incentivano le famiglie a indebitarsi in modo eccessivo per sostenere i propri consumi ("Prendi oggi e paghi in 36 rate a partire da Natale prossimo!") e i propri investimenti immobiliari (con la creazione di bolle immobiliari cui abbiamo assistito in Spagna, ma non solo). Inoltre, tassi troppo bassi sui depositi o su altri strumenti tradizionali a basso rischio di investimento del risparmio spingono le famiglie ad assumere rischi eccessivi (perché la loro ricerca di prodotti finanziari più remunerativi li porta ad acquistare prodotti molto più rischiosi). Il pensionato di Civitavecchia è stato ucciso precisamente da questa distorsione del mercato.

Ma anche dal lato dell'offerta (cioè delle banche) un tasso troppo basso crea problemi: intanto, crea un incentivo a recuperare sui volumi quello che si perde sul margine, e quindi in definitiva a elargire credito in modo non particolarmente accurato (e deriva da qui, cioè dal tentativo di arginare questa distorsione, l'onere regolatorio che l'Unione Bancaria impone agli istituti di credito). Poi, a tendere sposta l'attività delle banche da quella di intermediazione del risparmio (raccolta di depositi, erogazione di prestiti) a quella di outlet di prodotti finanziari (rischiosi), rendendo piuttosto complicata la vita alle tante medie, piccole e microimprese per le quali il credito bancario potrebbe ancora essere una (fisiologica) fonte di finanziamento. Non c'era nulla di buono nel fatto che i tassi greci o italiani fossero uguali a quelli tedeschi, e chi non ha capito prima che questa era una gigantesca distorsione del mercato l'ha, in molti casi, dovuto capire dopo.

Poi c'è anche chi non lo capirà mai, come Marco, ma noi gli vogliamo comunque bene.

Oggi però volevo parlarvi di un'altra cosa che Marco credo non capirà (il che non ci impedirà di continuare a volergli bene). Ci riflettevo oggi,


mentre scendevo verso Roma dai non abbastanza gelidi altopiani d'Abruzzo, sotto un cielo livido, frustato da una pioggerellina puntuta e gelida. Continuavo a rimuginare uno dei grafici che avevo commentato con voi:

(qui), un grafico tutto sommato sorprendente perché mostra come il pass-through fra costi internazionali dell'energia e inflazione nazionale non sia poi stato alterato in modo drammaticamente significativo dall'entrata nell'Unione economica e monetaria: negli anni '70 inflazione al 20% con un incremento dei prezzi dell'energia del 200%, negli anni '20 inflazione all'8% con un incremento dei prezzi dell'energia dell'80%...

Da questa riflessione sugli shock di offerta e su come le loro conseguenze nel tempo tutto sommato non siano cambiate, nonostante la continua e profonda evoluzione delle tecnologie e delle istituzioni, il mio pensiero andava a una considerazione svolta da Blanchard nel suo commento al rapporto Draghi.

Ve la copio qui sotto:

Nel suo compitino Draghi deve naturalmente dire che il "green" sarà (o dovrà essere) un motore di sviluppo ecc. ecc. Blanchard gli spiega asciuttamente perché non potrà esserlo. Non potrà esserlo perché la lotta al cambiamento climatico condotta all'interno del paradigma predominante (quello degli effetti climalteranti della CO2), equivale a trasformare la CO2 da prodotto di scarto (in quanto risultato della combustione) in una materia prima come il petrolio (in quanto i produttori devono acquistare il "permesso" di emetterla, o devono spendere in altro modo per non emetterla), imponendo su di essa un prezzo artificialmente alto al preciso scopo di contenerne l'utilizzo.

Ne consegue che il green è un gigantesco shock di offerta, che in quanto tale non può che avere effetti recessivi.

Insomma: il "green" è uno spostamento dall'equilibrio E all'equilibrio E' nel modello keynesiano standard:


modello che vi spiegai qui, non a caso a proposito dell'incremento delle bollette (segnalo che, come il post prevedeva, lo científico non volle restare al governo...).

Nota bene: non mi interessa, e non deve interessare neanche a voi, in questa sede, confutare o contestare il paradigma! Ci inchiniamo, ci prosterniamo, ci prostriamo ai piedi del paradigma! A me sta benissimo (no!) pensare che le cose stiano esattamente così, che ogni mio atto espiratorio comprometta gli equilibri del globo.

Va bene.

Fatto sta che, se ragioniamo così, in termini economici stiamo trasformando uno scarto in una materia prima, stiamo insomma rendendo la CO2 una cosa analoga al petrolio, e quindi il suo desiderato, auspicato incremento di prezzo di fatto equivale a uno shock petrolifero, come quelli degli anni '70.

Ne derivano alcune conseguenze piuttosto ovvie: intanto, per questi motivi il green avrà un impatto inflazionistico sulla nostra economia, impatto difficile da quantificare (perché non credo che esistano ad oggi le basi statistiche per farlo, dato che lo stesso quadro normativo è in continua evoluzione), ma che si può prevedere sarà molto protratto nel tempo. Siamo in mano, come nota Blanchard, a un elemento imprevedibile: la rapidità del progresso tecnologico. Finché questo non ci condurrà nell'Eldorado di tecnologie superiori e a buon mercato, la conseguenza dello shock di offerta autoinflitto sarà un clima economico recessivo, una perdita di potere d'acquisto delle famiglie e di competitività delle imprese, mentre il vasto resto del mondo, fottendosene del paradigma, prospererà e ci inonderà dei suoi prodotti "sporchi".

Basic economic reasoning.

Quanto occorrerà ancora per capire che questo progetto politico danneggia la nostra libertà (come oggi gli ha rinfacciato perfino Pan di Zucchero!) perché distorcendo le più elementari regole economiche provoca inevitabilmente un malcontento che può essere gestito solo in chiave repressiva?

Le due cose vanno insieme: distorsione del mercato e censura del pensiero sono due forme di coartazione della libertà e sono l'una la causa dell'altra, in una spirale al ribasso di cui non si vede la fine, nonostante le evoluzioni che segnalavamo nel post precedente.

Ci vorrà molta pazienza e molta attenzione...

lunedì 6 gennaio 2025

Things are moving...

Attenzione!

Sotto l'albero di Natale abbiamo trovato laPatrimoniale™️ per lAmbiente™️:


(cortese pensiero del Santa Klaus arancione), ma nella calza della Befana abbiamo trovato, in rapida successione, lo schianto del "cordone sanitario" austriaco, che non ha retto alla pressione del voto popolare:


e soprattutto le dimissioni del nostro Cicciobello preferito, Cicciobello globalista:


quello che bloccò i conti correnti dei camionisti per farli desistere dallo sciopero contro l'obbligo vaccinale.

Quindi, come vedete, insistere serve. Ho sempre diffidato dei geni che invocano l'astensione, considerandoli utili idioti del regime, e i fatti dimostrano che questa diffidenza è fondata: votando in modo diverso si può fare la differenza.

Aggiungo un dettaglio: non votando, si possono rendere determinanti minoranze organizzate, e in un mondo basato sulla deflazione salariale, cioè sull'immigrazionismo, bisogna stare molto attenti ad attribuire a simili minoranze un tale potere. Ascoltatevi questa intervista, ad esempio. Non la prenderei per oro colato, come del resto nulla, tranne ciò di cui si ha esperienza diretta, va preso per oro colato, ma l'idea che i laburisti abbiano prosperato sul disinteresse della classe media bianca per corteggiare i pacchetti di voti di minoranze colorate dedite a hobby più o meno condivisibili un senso ce l'ha. E attenzione: sarà anche vero che gli immigrati regolari sono più indispettiti degli autoctoni dai flussi di immigrazione irregolare, perché detestano che venga regalato ad altri quello che loro si sono guadagnato con fatica. Ma questo è un discorso diverso. Ascoltatela bene, l'intervista: le ex potenze coloniali sono più avanti di noi su una strada pericolosa, sulla quale, va riconosciuto, anche noi ci siamo avviati.

Ci vuole meno libera circolazione di qualsiasi fattore di produzione, e alla fine si andrà a parare lì (lo stesso reshoring in fondo è un pezzo di questa storia). Nel frattempo, insistete, e diffidate molto da chi vi dice di non insistere: forse lui non ha hobby discutibili, ma certamente non vi aiuta a difendere voi e la vostra famiglia da chi li ha.

(...ciao, Cicciobello globalista! Ci mancherai tanto...)


Uno vale uno...

...e una vale (quasi) zero, rispetto a quanto ci ha e ci hanno raccontato!

Claudio ci si è messo di buzzo buono, come solo lui sa fare, e l'ha pestata come l'uva, scoperchiando un vaso di Pandora di millanterie e approssimazioni più o meno innocenti (sarà chi di dovere a giudicare). Trovate tutto nel melmoso flusso della cloaca nera (se vi interessa il genere miasmi...).

Io vi regalo solo un interna corporis dal mio staff.

Durante le mie due campagne elettorali, che voi avete provato a finanziare (la prima volta Unicredit si mise scandalosamente di traverso, come voi ricorderete e io non dimentico) questa storia del rischio di decadenza in caso di irregolarità nel maneggiare lo sterco del Demonio mi assillava. Detesto la burocrazia: pur riconoscendone e apprezzandone la funzione, sono insofferente di certi adempimenti e terrorizzato dalla mia distrazione. In questo caso ero anche indignato per la presunzione di colpevolezza che grava su chiunque decida di mettersi a disposizione di un progetto politico, insomma, sul clima creato da quelli dell'onestah (cha cha cha). Sapete bene che da sempre stigmatizzo l'antipolitica (basta rileggersi questo, dove descrivevo gli ortotteri per quello che sono e che valgono, in tempi in cui non passava né a me né a altri nemmeno per l'anticamera del cervello un mio coinvolgimento in politica).

Il risultato era che il mio povero staff viveva perennemente in camera iperbarica, sotto la pressione di un'atmosfera particolarmente pesante, quella che solo io so creare. Eppure, noi avevamo un vademecum prodotto dal partito, con tutte le norme rilevanti, e la nomina del mandatario veniva gestita dal notaio di fiducia del partito insieme con l'accettazione di candidatura (quindi il percorso era in qualche modo già blindato). Essere un partito significa anche dover pensare a questo, ma essere un perfezionista significa vedere il bicchiere rotto, come dice S.A.R.

Vi risparmio quindi i commenti del mio prezioso staff all'ipotesi che qualcuno possa anche solo pensare che "vabbè, abbiamo scherzato, in fondo sono poche decine di migliaia di euro non tracciati..." e via così (anche trascurando il non dettaglio che c'è uno che si è fatto mesi agli arresti domiciliari per finanziamenti completamente leciti e tracciati).

Sarebbe in effetti scandaloso.

Non credo che nessuno, tanto meno gli onesti, possa trarre vantaggio dal fare ostentatamente due pesi e due misure. Se vogliono, proprio loro, far passare il principio che chi si attiene alle regole è un coglione, si accomodino! Gli adepti della divananza li avranno sempre con loro (figurarsi!), ma un bagno simile chiuderebbe parecchi percorsi politici. E così la divina Provvidenza e l'umana improvvidenza ci consentiranno di porre rimedio a un accidente della Storia: in un mondo che va a destra, una Regione che va a sinistra possiamo classificarla in questa categoria.

(..."e i 49 migliooooniiiii11!!1!"... Fanno rima con te, gentile amico. Stai bene e riguardati!...)

(...comunque sarebbe bastata l'opposizione dal Consiglio regionale alle girandoline cinesi che tanto bramava quando era al Governo. E nell'uno e nell'altro caso resta sullo sfondo la suprema domanda: perché?...)

domenica 5 gennaio 2025

#hastato Lacina! I Kindersoldat e la crisi dell'Eurozona

Su queste pagine ci siamo spesso divertiti osservando i trucchetti da fiera paesana utilizzati dagli economisti "laureati" per mistificare il ruolo dell'economia cinese nelle dinamiche dell'economia mondiale. Ai poveri "Bocconi boys" qui è sempre andata male, perché l'economia cinese, insieme alle dinamiche del debito nei Paesi in via di sviluppo (e quindi nei Paesi europei, per i motivi esposti da De Grauwe qui), è stata uno dei miei campi di specializzazione (ad esempio qui).

Una delle mistificazioni più in voga all'epoca in cui scrivevo i miei papers sulla Cina consisteva nel presentare i saldi delle bilance dei pagamenti di Cina e Stati Uniti in rapporto ai rispettivi prodotti interni lordi. Siccome il Pil cinese era notevolmente inferiore a quello statunitense, adottando questa metrica emergeva un quadro allarmante:


da cui sembrava che la Cina, con il suo surplus mostruoso, fosse il motore primo degli squilibri globali.  "#hastatoLacina!", ragliavano un po' ovunque colleghi a disagio con l'economia quantitativa.

In realtà, come vi spiegai qui tre anni or sono, questa rappresentazione era artatamente distorta. Per analizzare il ruolo dei tre poli dell'economia globale (Usa, Cina, Ue) sugli squilibri globali di bilancia dei pagamenti bisognava usare una metrica comune, e i rispettivi Pil non lo erano per l'ovvia ragione che erano diversi!

Un quadro più veritiero emergeva riportando i dati in miliardi di dollari:


(o, volendo, in percentuale del Pil mondiale). Da questa rappresentazione si vedeva che lo squilibrio maggiore e precedente era il deficit della potenza imperiale (come è anche corretto che sia, visto che essa per definizione e in virtù del suo ruolo importa strutturalmente capitali).

Oggi sta circolando una narrazione fasulla della crisi dell'Eurozona che in parte si basa sullo stesso tipo di artifizio. Prima di esporvela, vi ricordo che la narrazione corretta l'avevamo avuta fin dall'inizio (qui e) da De Grauwe:


(correva l'anno 2012). In De Grauwe c'era quasi tutto, tranne quello che all'epoca vedevamo solo noi, cioè che questa asimmetria dell'Eurozona (tale per cui si imponeva ai Paesi deboli una svalutazione interna - taglio dei salari - anziché praticare una rivalutazione interna - aumento degli investimenti pubblici - nei Paesi forti) non era un gioco a somma nulla, ma a somma negativa. Insomma, quella storia che nel 2011 sul manifesto avevo espresso come "La Germania segherà il ramo su cui è seduta", e che nel 2013 espressi così in quella che ora è la mia Commissione alla Camera.

Nel frattempo, il pezzo che a De Grauwe mancava lo ha aggiunto Draghi (a noi non serve nulla, Presidente, le faremo sapere, chiamiamo noi...):

(correva l'anno 2024).

Ricordo a me stesso che la "domanda interna" è una componente del Pil e che l'offerta (produttività) dipende dalla domanda, ma su questo ci soffermeremo con calma un'altra volta. Quello che voglio evidenziare è che anche i maggiori economisti, sia in termini di capacità scientifica (De Grauwe) che in termini di percorso istituzionale (Draghi) quando non hanno fin dall'inizio sostenuto la tesi di questo blog sono comunque stati costretti a seguirla a danno fatto, perché, lo ricordo, la tesi di questo blog è banalissima ECON102.

Bene.

A fronte di una narrazione così incontrovertibile, come il 28 aprile del 1945 era incontrovertibile che Čujkov si trovasse nei pressi della Belle-Alliance (oggi Mehring) Platz di Berlino, la risposta del regime è, inevitabilmente, la solita:


schierare i Kindersoldat, mandare loro a schiantarsi contro i carri armati russi, dopo che i generalissimi si sono trincerati nel bunker di una verità tanto postuma quanto inoppugnabile.

Succedono quindi cose come questa, dove alcuni imberbi vogliono convincerci che la colpa della crisi dell'Eurozona sarebbe stata, udite udite!, del costo dell'energia (inutile dire che la produzione industriale tedesca era in caduta libera dal 2017, cioè da quattro anni prima della crisi dell'energia: che vuoi che ne sappiano dei bambini che all'epoca avevano otto anni!), ma soprattutto della Cina! Quello che si vuole insinuare è la solita balla smentita qui in tempi risalenti, occupandoci di una collega tanto affascinante quanto distratta: quella secondo cui i Paesi virtuosi (la Germania) sarebbero stati esportatori netti nei riguardi della Cina, che quindi avrebbe sostenuto la loro crescita, ma ultimamente la Cina sarebbe riuscita a rovesciare la situazione, mandando in deficit la Germania e causando il rallentamento della  sua e della nostra nostra economia.

Per dimostrare questa scemenza asserzione eroica, i soldatini, invece che con Panzerfaust, vengono equipaggiati con grafici tipo questo:

da cui il lettore dovrebbe trarre una suggestione: siccome le importazioni tedesche (o europee) dalla Cina sono aumentate, e le importazioni cinesi dalla Germania, cioè le esportazioni tedesche verso la Cina, diminuite, la Germania sarebbe passata da una situazione di surplus commerciale nei riguardi della Cina a una situazione di deficit commerciale, perdendo lo stimolo derivante dalla domanda estera cinese. Mi riferisco ovviamente ai due grafici inferiori: nei due grafici superiori si suggerisce la stessa cosa, con riferimento all'intera Eurozona: anche questa, si vuole suggerire, starebbe soffrendo avendo perso il "traino" del surplus verso la Cina (cioè delle importazioni cinesi di nostri prodotti).

Bene.

Le cose però non stanno così, e il trucchetto è sempre il solito: quello di utilizzare due metriche diverse (i rispettivi Pil nazionali), aggravato da quello di utilizzare due scale verticali diverse. Mi soffermerò, da qui in giù, sul caso tedesco, per semplicità, perché a stare male è la Germania, e perché le dinamiche dell'Eurozona sono largamente determinate da quelle tedesche.

E quindi, dico io: se interessa veramente capire qual è stato l'andamento dell'interscambio commerciale fra Germania e Cina, perché non fare quello che feci (o fecqui?) io nel 2012 rispondendo alla gentile collega Reichlin, e non prendere sic et simpliciter il saldo commerciale bilaterale fra i due Paesi? Non è una cosa difficilissima, i dati sono qui! Tanto per fissare le idee, all'epoca la situazione era questa:

(come ricorderete dal già citato post). Quello che gli eroici combattenti vogliono farvi capire è che dopo questo evidente deficit la situazione si sarebbe rovesciata due volte: una prima per portare la Germania in surplus per decine di miliardi di dollari (o di euro) di esportazioni nette verso la Cina, e una seconda per riportarla in deficit, causando il raffreddamento della sua economia.

Ma è andata così?

Intanto, replichiamo il grafico del 2012 coi dati disponibili nel 2025:

giusto per essere sicuri che stiamo parlando della stessa cosa (e la risposta è sì, con l'unica differenza che questi dati sono misurati in milioni di euro anziché in miliardi di dollari), e poi estendiamo il grafico per vedere come si è sviluppata la situazione negli ultimi anni:

Dunque...

Da quando l'avevamo osservata noi, la situazione del saldo bilaterale merci Germania-Cina è in effetti migliorata, avvicinandosi al pareggio e addirittura andando in moderato surplus (2 miliardi di euro nel 2014). Questo risultato era stato ottenuto in parte con una accelerazione delle esportazioni per 19 miliardi (il balzo verso l'alto della spezzata blu), ma soprattutto con una frenata delle importazioni per circa due miliardi (la diminuzione della spezzata arancione). Nonostante queste due correzioni, un marcato surplus della Germania nei confronti della Cina non c'è stato mai, e con la pandemia le cose sono bruscamente tornate sulla loro tendenza storica (che era di scambi commerciali deficitari).

Alla luce del post di due giorni fa, non stupisce, ovviamente, che il saldo con la Cina sia migliorato dalla crisi dell'Eurozona in poi: questo perché a quella crisi la Bce ha risposto con una colossale svalutazione competitiva! Lo si vede un po' qui:

(quando l'euro si apprezza - il cambio sale - i conti con l'estero peggiorano - il saldo scende, e viceversa), e un po' meglio qui, usando una misura più accurata della competitività di prezzo tedesca, cioè il tasso di cambio reale (fonte Eurostat):

Quindi il miglioramento del saldo bilaterale con la Cina è in buona parte spiegabile con una svalutazione reale di circa il 10%, a sua volta guidata dalla svalutazione nominale dell'euro, che però non riesce a portare la Germania in surplus.

Quindi: questi vi fanno vedere dei grafici da cui sembra che la Germania sia passata da un surplus con la Cina a un deficit, e la realtà è che è stata in minimo surplus solo nel 2014 e nel 2018, in virtù di una svalutazione di cui abbiamo beneficiato anche noi, ma che non riesce, ora, a contrastare le due scelte suicide dell'establishment tedesco: quella di distruggere il mercato interno con l'austerità, e quella di distruggere l'industria europea col green.

Insisterei soprattutto sul primo punto. Rispetto alle dinamiche degli scambi con la Cina, mi sembra più plausibile che la differenza l'abbia fatta l'appiattimento delle esportazioni verso l'Eurozona, che vedete qui, e che è appunto il risultato della distruzione del mercato interno:


Insomma: quello che è mancato all'Eurozona non è la domanda estera cinese, che non c'è mai stata (se non in forma sottrattiva, come importazioni nette), ma la domanda interna dell'Eurozona, che per un lungo periodo è stata distrutta da politiche dissennate di deflazione salariale. Ve lo diceva Bagnai nel 2011 e ci sta che non lo ascoltaste: Bagnai poi non è rancoroso, è paziente... Ma ora ve lo dice Draghi, brutti fessi stimati colleghi, e ancora volete convincerci che l'Eurozona è morta per il raffreddamento della domanda cinese!?

Tanto vi dovevo per oggi.

Domani è un altro giorno, e se Dio vuole lo passerò al freddo.

Se incontro il lupo ve lo saluto.

sabato 4 gennaio 2025

La quarta legge

Le leggi di Twitter sono state enunciate qui.

Oggi si è riunito a Bologna un comitato ristretto per rivedere il testo della quarta legge, il cui termine nel frattempo era stato tacitamente prorogato. La riformulazione proposta, in attesa di vostri emendamenti o considerazioni, rende scorrevole nel tempo la finestra individuata dalla norma originale, e quindi stabilisce che, fatto salvo il disposto delle altre tre leggi, chi interloquisce essendosi iscritto negli ultimi tre anni viene bloccato.

Nulla di personale: è netiquette!

La netiquette suggerisce l’opportunità di capire quale sia lo spirito della community cui ci si rivolge, quale ne sia la cultura, e siccome Goofynomics è una community piuttosto complessa, articolata, stratificata, possiamo dare per scontato che tre anni di lurking siano un minimo sindacale.

Visto che siamo qui per aiutare, mettiamola in positivo: se mi incontri su Twitter e

  1. hai più di 100 follower,
  2. non hai la baio in inglisc,
  3. ti sei iscritto prima del 4 gennaio 2022,

non ti blocco (non subito!).

Domani basterà essersi iscritti prima del 5 gennaio 2022, dopodomani prima del 6, eccetera.

In attesa di vostre considerazioni (ma anche no), porgo con immutata stima i miei migliori saluti…


(…e anche oggi di produttività ne parliamo domani, a indicare che in effetti un problema di produttività c’è! Sarete sorpresi di sapere quale sia…)

venerdì 3 gennaio 2025

I want to be a currency. From now on, I want you all to call me 'Leuretto'.

Chiedo scusa, ma ne ho piene le tasche dei cretini che quotidianamente ci importunano nella cloaca nera con i miasmi delle loro flatulenze verbali. Penso sia quindi utile per tutti noi mettere le cose in prospettiva, ribadendo un concetto essenziale e misurabile: l'euro ci era stato annunciato come valuta forte e stabile, ma i dati dicono che non è stata particolarmente stabile e che non si sta rivelando particolarmente forte. Mi è venuto in mente di ribadire questo punto semplice ma incontestabile (se non dai cretini, che qui comunque hanno libertà di espressione del pensiero) intravedendo oggi un tweet del nostro amico involontariamente esilarante:


che lamentava il raggiungimento del livello più basso dell'euro dal 2022 (!) a causa di preoccupazioni sull'economia europea (!).

Ho rimesso doppiamente in prospettiva questo tweet surreale con un breve intervento:


Eh sì! Perché innanzitutto non è il valore più basso dal 2022, ma dal 2008, e poi le preoccupazioni non sono per l'Europa, ma per la Germania.

Non poteva non inserirsi il prototipo del troll drindrino:


un ellissoide di rotazione che adesso bloccherò, perché oltre a essere diversamente intelligente è anche molto, ma molto monotono... Ma questo qui non interessa: ve lo indico solo a titolo didattico come prototipo dei cretini della liretta, il cui nome è Legione.

E allora parliamone, della liretta, ma coi dati!

I dati ci sono: quelli dal 1960 alla fine del 1998 li trovate sulle International Financial Statistics del FMI:


espressi in quantità di lire necessaria per acquistare un dollaro (quotazione incerto per certo), ma volendo anche sui Key Short Term Economic Indicators (accessibili dal Data Explorer dell'OCSE), sempre espressi come unità di valuta nazionale per dollaro, con la differenza però che l'OCSE prende come riferimento per la valuta nazionale l'euro:


In altre parole, questo significa che i dati OCSE e i dati FMI sono esattamente gli stessi, a meno della moltiplicazione per un numero che ben conoscete:


Per ottenere la serie in lire (quella fornita dal FMI) basta moltiplicare la serie in euro (quella fornita dall'OCSE) per 1936.27.

Ovvio, no?

Perché ci occorrono due fonti? Perché il FMI smette di riportare il cambio lira/dollaro da quando la lira non esiste più (cioè dal 1999). Viceversa, l'OCSE riporta il cambio della valuta italiana rispetto al dollaro sia quando questa valuta era la lira che quando questa valuta era l'euro. In effetti, ci basterebbe quindi come fonte l'OCSE, ma ho voluto confrontare le due fonti nel foglio Excel che vedete qua sopra per essere certo che la misurazione retrospettiva dell'OCSE coincidesse con quanto avevo appreso del cambio lira/dollaro nella mia lontana giovinezza.

Ve la faccio breve. I dati sono questi:


Sono dati mensili dal gennaio del 1960 al novembre del 2024.

Chiedo (per un amico): sapreste indicarmi in quale punto del grafico l'Italia entra nell'Unione Economica e Monetaria? L'ingresso nell'euro ci è stato proposto come raggiungimento di una stabilità ormai perduta dall'abbandono di Bretton Woods, come fine di un periodo di volatilità eccessiva e di svalutazioni devastanti (che sul grafico si vedono come impennate, come aumento della quantità di valuta nazionale necessaria per comprare un dollaro), e quindi, se la promessa tanto sbandierata fosse stata almeno un po' mantenuta, non dovrebbe essere difficile individuare il momento in cui essa è venuta a compimento, no? D'altronde, se ci fate caso, l'abbandono della stabilità che il sistema di cambi fissi di Bretton Woods ci garantiva nel grafico si vede piuttosto bene, giusto? Si vede quando il cambio cessa di essere fisso (retta orizzontale) e comincia a muoversi, o no? E quindi, di converso, la ritrovata stabilità conferita dall'euro, di cui tutti gli euroti cianciavano e tuttora cianciano, dovrebbe essere altrettanto facilmente individuabile, o sbaglio?





















































Eh...

















































No, mi sa di no...




























Dai, vi aiuto mettendo le date e un paio di rette verticali...


La serie FMI (in lire) è rappresentata sull'asse di sinistra, quella OCSE (in euro) sull'asse di destra, le due serie sono, com'è ovvio per i motivi che vi ho detto sopra, perfettamente sovrapponibili, e ho messo due linee verticali per indicarvi i due eventi storici marcanti di cui vi parlavo sopra.

La linea verticale rossa indica un evento di cui vi accorgereste anche se non ve lo evidenziassi: la fine del sistema di Bretton Woods decretata da Nixon a Ferragosto del 1971. Da lì in avanti (cioè verso destra) si comincia a percepire una certa instabilità di quello che prima era un cambio fisso (cioè una linea perfettamente orizzontale). La linea verticale celeste indica invece l'evento che non riuscivate a collocare, cioè l'ingresso dell'Italia nell'Unione Economica e Monetaria. Come? Non vedete l'immediato raggiungimento di una rinnovata stabilità? No!?

Eh, no.

Non lo vedete perché non c'è.

La valuta italiana è stata volatile rispetto al dollaro sia quando si chiamava lira che quando si chiamava euro, cioè sia quando la gestivano i corrotti e dissoluti banchieri centrali italiani non ancora indipendenti, che quando la gestivano i puri e rigorosi banchieri centrali leuropei indipendenti! Tanto  per darvi un'idea, dall'ingresso nell'euro a gennaio del 1999 all'ottobre del 2000 (in 22 mesi) l'euro si svalutò del 26%! E sapete perché? Perché la Germania era il malato d'Europa (come adesso) e aveva bisogno di un aiutino.

(...sul grafico, dove il cambio è quotato incerto per certo, questa svalutazione figura come un incremento del 35% del costo di un dollaro in valuta nazionale: se ci vuole più valuta nazionale per acquistare un dollaro, vuol dire che la valuta nazionale vale di meno...)

Ma... ma... ma... una svalutazione simile somiglia tanto a quello che accadeva alla liretta nei turbolenti anni '80, quando qui, a sentire i porci imbecilli antitaliani, era tutta svalutazionecompetitiva e carriole per fare la spesa! In effetti, allora occorsero solo 20 mesi (dall'agosto del 1983 al marzo del 1985) per svalutare della stessa entità...

Eh, vedi che forte l'eurone!

Ci ha fatto resistere due mesi in più...

Sossodisfazzioni...

E inoltre, dirà qualcuno, dopo questa infausta partenza l'eurone si è rafforzato: lo si vede bene nel grafico, anzi, nei due grafici, anche in quello mostrato all'amico diversamente italiano e involontariamente comico: lì il rafforzamento dell'eurone si vede come crescita della spezzata rossa (a indicare che un eurone comprava più dollari), mentre nel grafico più esteso si vede come una calo della spezzata rossa (a indicare che ci volevano meno euroni - nel frattempo diventati valuta italiana - per comprare un dollaro).

Giusto! 

A fare i conti, si vede che dall'ottobre del 2000 al luglio del 2008 la quantità di valuta italiana (euro) necessaria per acquistare un dollaro è diminuita del 45.8%, cioè, di converso, che una poderosa erezione rivalutazione ha fatto aumentare l'eurone di ben l'85% (84.6%, ma arrotondiamo)!

Acciderbolina, che performance erotica (se pure in 94 mesi)!

Ma... ma... ma... è più o meno quello che accadeva nei decadenti e dissoluti anni '80, quando la casta, la cricca, la corruzione, erdebbitopubblico, le cavallette, le pallottole in garage (come dimenticare l'immortale Verzelli e il suo sproloquio dadaista? Chissà che fine avrà fatto, quel buon'uomo...), le svalutazzionicompetitive, e via scemenzando, indebolivano il potere di acquisto delle famiglie (che invece aumentava), ma fra il marzo del 1985 e il novembre del 1990 la lira si rivalutò dell'86% sul dollaro, e in soli 69 mesi (sì: si rivalutò più la lira nel 1985 che l'euro nel 2000, e in meno tempo. Li vedete i cazzo di dati? Vi serve un disegnino coi sottotitoli?).

Certo, dirà qualcuno, è chiaro, l'entrata nello "SME credibile" (daje a ride...) aveva contribuito a rafforzare il nostro tasso di cambio, che però poi si dimostrò insostenibile, tant'è che poi dovette cedere (nel grafico, la spezzata riprese a crescere), e nei 99 mesi fra il novembre del '90 e l'entrata nell'euro perse il 33%! 

Eh, già...

Era deboluccia, la liretta...

Mica come l'eurone, che nei 99 mesi successivi al picco raggiunto a luglio 2008 ha perso il 29% (mica il 33%! Solo il 29%...) e da allora un altro 5%, e ci si aspetta che ceda ancora, in un tentativo vano di aiutare l'economia tedesca a proseguire la sua sciocca guerra contro il resto del mondo (che tanto si sa come va a finire: così).

Volete vederla in un altro modo?

Vi faccio vedere, sovrapponendoli, l'andamento del tasso di cambio dai "minimi relativi" di marzo 1985 e di ottobre 2000 (che nel grafico incerto per certo sono massimi relativi) per i 12 anni successivi. Per facilitare la vostra intuizione, esprimo i tassi di cambio in quotazione certo per incerto, quella che si usa oggi (per cui un aumento indica una rivalutazione) e li presento come indici con base 100 nel primo periodo osservato (così potete confrontare direttamente gli ordini di grandezza):


Ma voi, la radicale diversità, la profonda stabilità, del mondo dell'eurone rispetto a quello della liretta la vedete? Se non avessi etichettato con le date le due serie, sapreste scegliere a colpo sicuro quali dati vengono dal turbolento mondo della liretta e quali dallo stabile mondo dell'eurone?

Non credo.

E sapete perché?

Ma, direi per un motivo uguale e contrario a quello che spingerebbe un eurota, se si buttasse dalla finestra (Dio non voglia!), a pensare di essere lui ad attrarre la Terra con la propria massa.

Chiaro?

Beh, se non è chiaro, io mi arrendo: più chiaro di così non posso essere.

Con questo che cosa voglio dire?

Che è colpa degli altri, che è un complotto satanista di Soros e di Schwab, che se tornassimo al sesterzio nel Tevere scorrerebbe latte e miele, [puttanata a piacere inventata dai porci antitaliani]?

No.

Non voglio dire questo, né l'ho mai detto. Voglio dire quello che ho detto: che la promessa di stabilità sui mercati finanziari internazionali fatta da chi ci ha proposto l'euro non è stata mantenuta, e (per definizione) non per colpa nostra, visto che la possibilità di gestire la valuta ci è stata sottratta, quindi non possiamo essere noi i responsabili di una instabilità che abbiamo subito come tutti gli altri Stati membri ma che non dipende dalle nostre scelte (ma dalla salute dell'economia tedesca)!

Tutto qua.

Un vantaggio, un beneficio, che ci è stato chiesto di considerare perché essenziale, perché strategico, non si riscontra nei dati. Solo questo volevo dire: mi sembra abbastanza per aiutarvi a riconoscere un imbecille quando lo incontrate (operazione che può comunque essere utile, se non altro per non perdere tempo), e per riflettere su quali vantaggi non stiamo avendo dall'unione monetaria, la cui valutazione complessiva non si esaurisce, ovviamente, qui.

L'imbecille, naturalmente, dirà il contrario e ripeterà "liretta, liretta...". Ora voi avete visto la performance di leuretto, quindi sapete che cosa pensare.

Tanto vi dovevo, e ora vado a bloccare un po' di stolti...

giovedì 2 gennaio 2025

Sul disordine dei lavori…

 … i peggio sono quelli che, quando pensi che la tiritera sia terminata, arrivano con un messaggio molto “studiato“ il cui senso è: “ Tifaccio gli auguri in ritardo, perché altrimenti resterebbero sommersi dalla valanga di tutti gli altri, ma IO non sono come tutti gli altri, IO ho un rapporto diverso dagli altri con con te, IO, IO”… e l’asino mio! 😂

Comunque, ho imparato l’arte di vedere il bicchiere mezzo pieno, checché ne dicano le malelingue. Posso assicurarvi che lo sforzo di reprimere i conati di odio fa bruciare parecchie calorie. E così, ho passato il pomeriggio a ringraziare i ritardatari, dopo un tentativo infruttuoso di capire se le osservazioni di Blanchard a 🍇 fossero o meno fondate.

Abbiate un po’ di pazienza: sarà anche vero che dobbiamo rispiegare tutto da capo perché molti si sono aggiunti senza aver fatto il vostro percorso, ma sarebbe un peccato sprecare le opportunità che si sono aperte da quando quelli che cercavano di zittirci stanno cominciando ad appropriarsi dei nostri argomenti. Se non fosse così, basterebbe ripubblicare “Il tramonto dell’euro” sic et simpliciter. Invece, in questi 14 anni di crescita comune, abbiamo imparato molte cose di cui sarebbe un errore non tenere conto. Alcune derivano dall’esperienza concreta dei processi politici, altre da evoluzioni dei processi macroeconomici che ci allontanano sempre di più da quella narrazione calcistica, di tenzone agonistica fra Italia e Germania, che qui abbiamo comunque sempre rifiutato (e abbiamo fatto bene). Di questa esperienza e di queste evoluzioni bisogna tenere conto, perché l’unica flebile speranza che abbiamo di costruire una soluzione pacifica consiste nel far capire che siamo in un gioco a somma negativa, dal quale tutti, non solo quelli che una volta venivano dipinti come deboli ed oggi sono oggettivamente i più forti, hanno interesse a sfilarsi.

Ma questa nuova impostazione del problema richiede studio approfondito, tanto quanto era approfondito lo studio dietro ai primi post di questo blog, ma molto più faticoso perché il tempo manca ed è continuamente frantumato da IO!

A proposito: auguri!