lunedì 17 gennaio 2022

Meno sette: flessibilità!

Rodion Romanovic ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "È la flessibilità, bellezza... (MMT vs. Phillips)":


Buonasera Professore, dov'è che posso trovare i dati completi sulla flessibilità del lavoro? Sul database OCSE le serie sulla protezione del lavoro dipendente risalgono indietro al massimo fino al 1985. Dove si possono trovare i dati dei due decenni precedenti che lei ha utilizzato per stimare il modello?

Inoltre, non riesco bene a capire com'è che sia stata ricavata la serie "FLEX" da lei utilizzata, forse facendo una media dei quattro indicatori forniti dal sito OCSE? Perché mi sembra dal grafico (forse ci vedo male) che abbia un andamento diverso rispetto alla serie "Temporary Constracts".

La ringrazio molto in anticipo. Un caro saluto!

Postato da Rodion Romanovic in Goofynomics alle 5 aprile 2020 20:36


Rodion Romanovic, fra i protagonisti di questo blog, è quello che ho più amato: non solo per la sua indimenticabile prestazione in Eurodelitto ed eurocastigo, ma anche per la scialba comparsata nel suo sbiadito prequel, Преступление и наказание, uno di quegli inutili e tediosi libri senza figure di cui voi, che essendo di destra non siete culti e leggete solo fotoromanzi, non credo abbiate sentito parlare. Non vi siete persi niente. Ma Eurodelitto ed eurocastigo, invece, consiglio spassionatamente di leggerlo, e di farlo ora (se non vi è capitato prima)...

Per un autore è un'inesprimibile emozione incontrare un proprio personaggio, anche quando è un personaggio altrui!

Un po' per questo, un po' perché il 5 aprile 2020 ero piuttosto impicciato nella lavorazione del "Cura italia", nonché in vigilante attesa (ma senza Tachipirina) del "Liquidità" (se pure nel comodo ruolo di oppositore, quello dal quale ora tronitrueggiano gli amici di Fratelli d'Italia), e un po', infine, perché la domanda era molto circostanziata, ed esigeva una risposta altrettanto circostanziata, mi ero lasciato questo lavoro indietro, nella coda di moderazione, ma non me lo ero dimenticato (io non dimentico e soprattutto non perdono). Torno ora a soddisfare la lecita curiosità di Rodka, sperando di arricchire le vostre (e senz'altro le mie) conoscenze.

Ma prima di entrare nel merito, devo fornire ai niubbi un po' di background information. Di che cosa stiamo parlando? Perché ci interessa? E perché non mi è stato possibile rispondere subito?

Stiamo parlando di una cosa di cui avete sentito parlare decine di volte, non nella vostra esistenza: oggi. Ogni giorno, ogni singolo giorno che Dio mette in terra, per decine di volte al giorno, sentite parlare di riforme. La journaille può accontentarsi dello slogan. Gli científicos, invece, per sembrare tali, le riforme devono misurarle! Gli indicatori di cui parla Rodja, quelli di flessibilità del lavoro, sono appunto destinati a misurare la madre di tutte le riforme: la riforma del mercato del lavoro! Lo scopo di queste riforme, generalmente, è quello di risolvere il padre di tutti i problemi: come pagare di meno il lavoro per recuperare competitività di prezzo (e quote di profitto). Siamo nel meraviglioso mondo dei tecnici "offertisti", gli unici tecnici di cui disponiamo, quelli per cui se c'è carenza di domanda, bisogna comunque flessibilizzare l'offerta, per produrre di più a minor costo. Difficile capire come questo possa risolvere il problema di domanda, perché abbassare i salari significa in effetti ridurre ulteriormente la domanda aggregata (i soldi che circolano), e su questo ormai direi che un effimero consenso si è raggiunto (evaporerà, ma per ora c'è).

Questo ovviamente non significa che il mercato del lavoro debba essere sclerotico, che un rapporto di lavoro debba richiedere, per essere sciolto, una quantità ingente ma imprevedibile di soldi e la consulenza di un avvocato rotale! Vuol dire solo che ci sono problemi che possono essere risolti agendo sull'offerta e la sua eventuale rigidità, e problemi che possono essere risolti agendo sulla domanda e la sua eventuale carenza: risolvere i secondi (poca domanda) con la ricetta utile per i primi (maggiore flessibilità) non rende l'economia più forte né la crescita più rapida, un po' come amputare la gamba sana crea più problemi di quanti non intenda risolvere.

Misurare la flessibilità quindi è interessante, esattamente come chiedere "riforme" può essere giustificato. Poi bisogna valutare il contesto. In un contesto di austerità, cioè di domanda deficiente, solo un deficiente può pensare che il problema possa essere risolto dal lato dell'offerta, cioè con riforme e "flessibilità". Questo è il film che abbiamo visto negli ultimi dodici anni, un film che nonostante l'indubbia qualità dei suoi personaggi ci ha fatto ridere ben poco.

Prima di ragionare sul come si misuri la flessibilità, vi chiarisco un punto che credo possa interessarvi. L'OCSE, che produce dati, ma talvolta anche opinioni travisate da dati, per qualche strano motivo dal 2013 aveva smesso di aggiornare le serie di questi indicatori. Il mio educated guess, espresso implicitamente qui


era che questa scarsa solerzia dipendesse da uno spiacevole incidente di percorso, questo:


Nel 2013 il mercato del lavoro italiano era diventato meno "protetto", e quindi più flessibile, di quello di Germania e Francia (linea verde sotto le linee nere e blu). Si può ragionare se questo risultato, determinato dalla "riforma Fornero" del mercato del Lavoro (legge 28 giugno 2012 numero 92) sia stato un bene o un male. Diciamo che fra il 2012 e il 2013 il tasso di disoccupazione passò dal 10.9 al 12.4, quindi, come dire, questo booster di flessibilità sembrava non aver dato i risultati sperati...

Ma se per l'Italia questo risultato non era esattamente un bene, per l'OCSE e i suoi willing executioner era decisamente catastrofico!

Pensate!

Che cosa si fa quando una riforma, o in generale una politica (anche sanitaria) visibilmente non funziona? Ma è semplice: si dice che ce ne vuole di più (più "dosi", più "riforme ", più "flessibilità" ecc,)! La colpa non è mai del medico ma sempre del paziente, perché non ha fatto sufficienti compiti a casa.

Bene.

Ma nel momento in cui i dati indicavano che l'intensità delle "riforme" italiane era superiore a quella delle riforme francesi e tedesche, che cosa restava da fare ai simpatici amici dell'OCSE? Semplice: mutismo e rassegnazione! Non potevano certo dire di fare più riforme a un Paese che aveva dimostrato di essere più realista della Germania, cioè più tedesco del re, cioè, scusate: più realista del re.

Per sei (6) lunghi anni le statistiche non vennero aggiornate. Ogni volta che andavo a Parigi, e quando ero un uomo libero ci andavo spesso, mi ritrovavo a cena con gente di quel milieu e con un fare un po' narquois, fra un os à moelle e una svogliatura di Pont-l'Évêque, dopo aver ascoltato qualche aneddoto divertito e divertente degli allievi di cotanto maestro (la vita è una cosa meravigliosa...), lasciavo cadere nel discorso una frasetta del tipo "Ma flessibilità ne abbiamo? Ma i vostri amici quando li escono questi dati?"...

Seguiva un certo imbarazzo (ampiamente previsto)... perché non c'era una ragione precisa per non produrre quei dati, e quindi, come dire, il mio educated guess restava l'unica opzione valida in campo (una storia che, se ci fate caso, ricorda molto questa:


cioè la prima di una serie di spiacevoli vicende in cui il ministro Speranza si è andato a cacciare, dopo aver adottato misure che evidentemente non danno fastidio solo a noi - il riferimento letterario è a questo thread). Un po' come Speranza vorrebbe smettere di conteggiare i contagiati per raccontarci che le sue misure rapsodiche e infondate sono state efficaci, così l'OCSE aveva smesso di misurare la flessibilità per non dover ammettere che le politiche da lei raccomandate avevano fallito.

Uguale, no?

Capito perché non mi sorprendo se non di una cosa: della vostra sorpresa? Si fa così, sono i ferri del mestiere: quando le opinioni si rivelano sbagliate, si cambiano o si occultano i fatti:


Datovi nel modo più circostanziato possibile il quadro politico, entro nel quadro tecnico: come si misura la flessibilità (cioè come la misura l'OCSE)? Come era costruita la variabile FLEX usata nel modello costruito nel 2014 con l'aiuto di Mongeau Ospina?

Sul primo punto (come si misura la flessibilità), ora che ha ripreso a pubblicare gli indicatori, posso rinviarvi al sito dell'OCSE sugli indicators of employment protection. In buona sostanza, l'OCSE sintetizza in un unico indicatore numerico, dopo averle in qualche modo standardizzate, una serie di variabili quantitative che indicano il grado di rigidità (se crescono) o flessibilità (se calano) del mercato del lavoro. La descrizione tecnica è in questo capitolo dell'Employment Outlook del 2020, che annuncia la ripresa della pubblicazione dopo questa prolungata eclissi, e per capire come funzionano gli indicatori basta dare uno sguardo alla Tavola 3.1:


Le variabili considerate sono roba tipo la durata del preavviso richiesto per il licenziamento (ovviamente, più il preavviso è lungo più il mercato è rigido), la possibilità di essere riassunti in caso di licenziamento senza giusta causa (se questa possibilità esiste, il mercato del lavoro è più rigido), l'entità del TFR, ecc.

Diverte molto apprendere nel Par. 3.2 dagli economisti dell'OCSE che i loro indicatori sono fondamentali per lo studio dell'economia, ma siccome purtroppissimo per sei anni hanno avuto lezione di judo, non hanno potuto pubblicarli perché boh:


Non è bellissimo?

Se il mio educated guess fosse stato corretto, le nuove serie, per essere "migliori" (cioè più funzionali alla narrazione) sarebbero state costruite in modo da occultare quello spiacevole incidente (l'Italia più "brava" della Germania!? Impossibile...).

Comunque: dopo avervi detto come l'OCSE misura la flessibilità, devo dire a Rodka come è costruito l'indicatore FLEX: come media ponderata dell'indicatore riferito alla rigidità dei licenziamenti individuali per i contratti regolari (a tempo indeterminato) e di quello riferito alla rigidità dei licenziamenti individuali per i contratti a tempo determinato (indicatori epr_v1 e ept_v1), scelti perché solo per questi la versione precedente del database forniva una serie sufficientemente lunga (dal 1985 al 2013), utilizzando come peso l'incidenza dei rispettivi tipi di contratti (a tempo indeterminato e a tempo determinato). Quindi, ad esempio, l'indicatore FLEX dell'Italia veniva fuori da questo calcolo:


dove t.d. è la percentuale di lavoratori a tempo determinato, epr l'indice riferito ai contratti a tempo indeterminato, ept quello riferito ai contratti a tempo determinato, e FLEX la media ponderata (che potete verificare). Quindi, per capirci, e con riferimento alla prima riga, l'indicatore composito FLEX deriva dall'operazione: 2.76 x (1-0.062) + 4.75 x 0.062 = 2.89 (con un lieve errore di arrotondamento). Dato che i contratti a tempo determinato sono una percentuale ridotta, se pure crescente nel tempo, l'andamento della serie è dominato dall'indicatore epr (flessibilità degli impieghi "regolari", cioè a tempo indeterminato), e in particolare il "salto" verso la minore rigidità (con passaggio da 2.66 a 2.44 dell'indicatore medio FLEX dipende dal salto da 2.76 a 2.51 dell'indicatore epr.

E con questo termina la mia risposta a Rodja.

Ora mi devo togliere una curiosità, e me la tolgo qui, in diretta con voi. Che una organizzazione sovranazionale rinunci per ben sei anni a pubblicare un dato così centrale nella narrazione che lei stessa porta avanti ("Le riformeeeeeeeh! La flessibilitaaaaaah!") è, lo capite bene, un'anomalia piuttosto vistosa. Il dubbio è che questi sei anni siano serviti a trovare il modo di "raffinare" i #datigrezzi pubblicati fino al 2013, in modo da piallare la fastidiosa eccezione data dal fatto che nel 2013 l'Italia aveva fatto più riforme della Germania, o quanto meno possano essere serviti a riprendere la pubblicazione in un anno in cui l'evoluzione dei dati consentisse di sostenere la narrazione moralistica delle "riforme" (vedremo che entrambe le cose sono vere).

Per verificarlo, nella Tabella precedente aggiungo la Germania:


e poi replico gli stessi calcoli prendendo i dati estratti dall'ultima edizione (quella del 2021):


e il risultato è una cosa del genere:


dove, con scarsa sorpresa, vediamo che truccando misurando in modo più accurato i dati l'OCSE può raccontarci che l'Italia ha sempre dominato strettamente in termini di (maggior) rigidità del mercato del lavoro la Germania, cioè ha sempre avuto bisogno di "riforme", anche nel 2013, dopo la legge Fornero, con una sola eccezione dal 2016 al 2018 (dovuta al famigerato jobs act). Ovviamente la pubblicazione dei dati è ripresa nel 2020 (evidentemente in smart working i nostri funzionari lautamente remunerati si annoiavano), anche perché siccome il Decreto dignità (DL 96/2018) ha disciplinato in modo più restrittivo i rinnovi dei contratti a tempo determinato (la storia è qui), l'Italia dal 2019 è di nuovo più "rigida", e quindi dal 2020 è di nuovo possibile invitarla a fare "le riforme" (senza che qualcuno faccia notare che le riforme sono già state fatte).

Io i complimenti dal 2016 al 2018 per le riforme fatte però non me li ricordo (a me facevano abbastanza schifo, ma questo è un altro discorso)!

Capito che cosa significa essere padroni della narrazione?

Ma possiamo anche consolarci dicendoci che quando l'unico elemento tattico su cui contare è la forza dell'avversario, avere a che fare con un avversario così ingenuamente prevedibile probabilmente è un vantaggio...

8 commenti:

  1. Mamma mia ragazzi... sono senza parole. Che schifo.
    Veramente, non vede solo chi non vuol vedere!

    Grazie professore.

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    1. Buona fortuna a spiegare la flessibilità e le riforme all'italiano medio, che nella migliore delle ipotesi capisce solo quanto (e se ancora) sta bene, e chemmefregammè c'ho 'l diesel.
      Date queste premesse, sarà un altro anno grottesco...

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  2. La lettura (o rilettura) di "1984" e "La fattoria degli animali" di Orwell, e "Il mondo nuovo" di Huxley, risulta utilissima nell'epoca che stiamo vivendo.
    Ovviamente ogni regime, e quindi ogni narrazione, è destinato a cadere e ad essere sostituito da un altro regime.
    Non a caso, e pagando un prezzo umano, sociale ed economico altissimo, dopo la seconda guerra mondiale sono arrivati i famosi 30 anni gloriosi (anni 50, 60 e 70 del 900), che dopo essere stati demonizzati (soprattutto gli anni 70 dominanti da la LinflazioneBrutta), sono stati a loro volta sostituiti da 40 anni (4 decadi per i piddini) di regime e propaganda l€uropeista, fomentata da una "informazione" a reti unificate che non ha fatto altro (e continua a fare) che alimentare l'autorazzismo, la necessità del vincoli esterno per disciplinarci e degli stati uniti d'€uropa come unica ancora di salvezza per il nostro Paese e per il nostro popolo.
    Quindi alla luce del fatto che si sta preparando nuovamente il terreno per chiedere "le riforme", cioè per massacrare il lavoro e i lavoratori, l'imminente elezione del PdR, e le prossime elezioni politiche nel 2023, saranno due snodi fondamentali per il nostro Paese e per il nostro futuro. E se entrambi questi passaggi elettorali andranno come noi auspichiamo (anche se sarà difficilissimo) avremo la possibilità di organizzare prima le "battaglie per confondere" (stratagemmi dal XIX al XXIV) e poi le "battaglie di contrattacco" (stratagemmi dal VII al XII).
    Per gli stratagemmi in questione vedasi il libro "I 36 STRATAGEMMI".

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  3. Grazie come sempre, professore. Leggerla è sempre un piacere e una tristezza insieme, dato che fatico sempre di più a sperare che usciremo bene da tutto questo

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  4. C'è da dire che quando si parla di "piallare i dati grezzi", come i climatologi non c'è nessuno.
    Voi economisti dovreste vergognarvi anche un po', non sarete mai alla loro altezza.

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  5. "È la flessibilità, bellezza... (MMT vs. Phillips) è uno dei miei post preferiti e la ringrazio con tutto il cuore per esserci ritornato su. Mi mancherebbe però di capire in che modo funziona la regressione che, tramite il parametro flex, passa dal 29 all'80. Se ci potesse tornare su, per me sarebbe davvero utile.
    Nel caso piacesse a qualcuno, segnalo questo podcast che parla della vita avventurosa di Phillips. Davvero interessante. Chi dice che gli economisti debbano essere sempre personaggi noiosi?
    https://www.bbc.co.uk/programmes/b01qdzcd

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  6. Dal libro “IL LAVORO IMPORTATO”

    Conclusioni:

    La libertà di movimento di capitali, delle merci e delle persone, ovvero i tre aspetti principali della mondializzazione, costituiscono anche i tre maggiori ostacoli che si frappongono a ogni miglioramento duraturo delle condizioni di vita dei ceti popolari di qualsiasi nazione. Attraverso canali diversi , ciascuna di queste tre libertà ostacola il perseguimento di politiche di pieno impiego e redistributive; ostacola anche la semplice difesa delle conquiste faticosamente conseguite nel tempo dal mondo del lavoro nei paesi a capitalismo avanzato, in quanto genera concorrenza tra lavoratori di paesi diversi, caratterizzati al loro interno da differenti rapporti di forza tra capitale e lavoro e da una diversa coscienza di classe.
    I flussi migratori sono il canale più diretto attraverso il quale si verifica questa concorrenza, che è di per sé incompatibile con qualsiasi “solidarietà proletaria internazionale”.
    Di fatto , i flussi migratori costituiscono l’aspetto della mondializzazione più immediatamente e “fisicamente” subito dai ceti popolari, dunque anche quello nei confronti del quale più netta si è manifestata la loro ostilità…
    …È ormai da due secoli che nell’ambito del capitalismo più avanzato i salariati combattono per migliorare le proprie condizioni di vita, contenendo per quanto possibile al loro interno concorrenza è antagonismo, di cui il padronato è sempre pronto a servirsi per accrescere il suo potere e le sue pretese sul prodotto sociale. Concorrenza e antagonismo rappresentano minacce permanenti alle condizioni di vita dei lavoratori, minacce alle quali diventa estremamente arduo resistere quando siano alimentate da masse di immigrati in lotta per la sopravvivenza. I salariati e i ceti popolari hanno una consapevolezza di ciò molto nitida, in quanto basata sull’esperienza…
    …Ci si aspetterebbe che quanto appena osservato fosse pane quotidiano per la cultura e le forze politiche di sinistra. Di fatto non è così…
    …Non ci riferiamo soltanto alla sinistra “antagonista”…
    …Ci riferiamo soprattutto alla cosiddetta sinistra di classe a al sindacato…
    …la posizione, in particolare del sindacato, a favore dell’apertura è in ultima analisi sostenuta da due motivazioni. La prima è che attraverso la forza lavoro immigrata si possa rimpolpare una platea di iscritti sempre più esigua , puntando ad una sorta di sostituzione di lavoratori con più pretese, che di fatto non si sentono più rappresentati dal sindacato, con lavoratori molto meno esigenti grazie ai contesti di rapporti di forza e di coscienza di classe da cui provengono. La seconda è costituita dalla convinzione che il degradarsi di istituzioni e norme del mercato del lavoro a protezione dei salariati non abbia nulla a che vedere con l’immigrazione; in pratica, si ragiona come se il risalire la china dei bassi salari e del peggioramento delle condizioni lavorative non fosse una questione di forza contrattuale dei salariati…
    … La sordità della sinistra rispetto al tema dell’impatto negativo dell’immigrazione sul mondo del lavoro va persino oltre il vuoto ideologico e programmatico nel quale essa è scivolata negli ultimi decenni…
    …Si può dire che la messa in concorrenza dei salariati con masse crescenti di immigrati disposte a lavorare di più per meno, insieme al più generale degrado delle condizioni di vita nelle aree in cui la loro presenza è maggiormente concentrata, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso già colmo di disoccupazione, precarietà, bassi salari, contrazione dello Stato sociale. Ogniqualvolta situazioni del genere si sono verificate senza trovare risposte progressive da parte di una sinistra organizzata… non è mai mancato chi si sia fatto carico di individuare un altro sbocco.

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