(... la settimana era stata impegnativa, e così giovedì scorso, tornato a casa, sono crollato immediatamente a letto. All'alba di venerdì mi sono svegliato e mi sono messo in macchina, pensando a un commento che qualcuno aveva fatto a questo post, e ad altre due o tre richieste/tentativi di esegesi che mi erano giunti in privato, cui non avevo nemmeno risposto, perché se c'è il blog, per discutere, meglio usare quello, visto che ultimamente il tempo per rispondervi riesco a trovarlo. Recupero ora,al crepuscolo, immerso nel verde, nel fresco, e nel silenzio...)
Il post in cui evidenziavo un parallelismo fra Fiscal compact e Trattato istitutivo del MES, consistente nel fatto che entrambi sono trattati internazionali che esulano dal corpus del diritto unionale (non sono cioè né parte dei Trattati istitutivi dell'Unione, né atti giuridici - regolamenti, direttive, ecc. - da essa promulgati), avrebbe dovuto suscitare in tutti noi una riflessione, che nel mio testo era solo larvata, e di cui io stesso ho preso coscienza in seguito, rimuginando questo commento di uno di voi:
massimo_bad ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Un dettaglio sul MES":
Io non ho capito il senso politico di questa ipotesi di spostamento del voto a settembre, sinceramente...
Spero che un senso ce l'abbia e che alla fine il voto sia una volta per tutte DEFINITIVO al fine di sotterrare questa ignominia di MES e destinarlo alla pattumiera della Storia.
Pubblicato da massimo_bad su Goofynomics il giorno 29 giu 2023, 19:11
un commento che in realtà di riflessioni ne promuove più di una.
Parto dalla prima: atteso che nessuno di noi può sapere che cosa realmente passi per la testa al nostro premier, e atteso che secondo chi vi parla non avrebbe nessun senso, come ho specificato appunto nel post in questione, un baratto i cui termini sono così radicalmente disomogenei, prendiamo per buona la tesi che invece il MES (rectius; la ratifica della riforma del MES) possa essere oggetto di negoziato, sia negoziabile. In questo caso, caro massimo, mi sembra evidente quale sia il senso politico dello spostamento. Forse tu non c'eri quando Heiner Flassbeck venne a dirci che se volevamo avere una qualche speranza di successo in un negoziato con i suoi compatrioti dovevamo tenere una pistola carica sul tavolo! Ora, se accettiamo la logica del "negoziato", mi sembra evidente il perché non bocciare subito la ratifica: perché noi di pallottola abbiamo solo questa, e se la spariamo la pistola si scarica! Ecco spiegato il senso (non particolarmente arcano) della sospensiva, che comunque, se permettete, è già un bel progresso rispetto ai tempi in cui il piddume ci gettava immediatamente a capofitto in ogni trappola europea.
"Ma allora fra quattro mesi lo ratificherete?", è il coretto a testa di cappella dei ppdm...
No, non c'è un nesso causale fra il voler utilizzare una certa concessione come merce di scambio, e l'accordarla al termine del negoziato: bisogna anche vedere che cosa si pensa di ottenere e che cosa si è concretamente ottenuto. Alcune ipotesi giornalistiche sono sinceramente ridicole: secondo gli operatori informativi, sarebbe nostra intenzione ratificare la riforma solo se in cambio potessimo mettere persone che ci disprezzano in posizioni prestigiose da cui ci possono nuocere! Spero che il piano non sia questo, perché non sarebbe un piano coronato da successo. La domanda che alcuni colleghi si pongono è: "Ma atteso che né noi né i nostri elettori ne vogliamo sapere, che cosa ci porterà il Governo per provare a convincerci?"
Lo vedremo.
A me interessa poco, direi nulla: quello che mi interessa è, come sempre, aiutarvi a lateralizzare, sradicarvi dal terreno dello scontro che infallantemente lasciate scegliere all'avversario, e, come sempre, imparare dalla Storia. Perché, amici cari, il parallelismo fra "Trattato sulla stabilità bla bla bla" e Trattato istitutivo del MES non è solo formale, non si risolve solo nella comune natura giuridica extra-unionale di questi due documenti, ma va molto oltre: le analogie si estendono al dibattito e al contesto strategico in cui i due Trattati (rectius: le due revisioni, perché in fondo anche il Fiscal compact era, se pure imperfettamente, una "revisione" del Patto di stabilità e di crescita - o meglio: reiterava i contenuti di alcune recenti revisioni di esso...), e si estendono anche, come vi ricordavo pochi giorni fa, al pathos con cui all'epoca affrontammo la vicenda, un pathos che ritroviamo oggi, e di cui ci dovremmo chiedere quanto sia genuino, quanto sia giustificato, e quanto invece non sia indotto, come sempre, dal nostro avversario.
Ma andiamo per ordine, cominciando col farvi vedere le analogie.
Anche all'epoca c'era chi delineava, con maggiore o minore lucidità e attenzione agli interessi del Paese, un uso strategico dell'adesione al Trattato:
con esattissimamente la stessa solfa che oggi sentiamo a proposito del MES (
rectius: della ratifica della sua riforma). L'argomento era/è sempre il solito: non firmiamo [il Fiscal compact]/[la ratifica del MES] perché così potremo contrattare un miglioramento delle regole.
E anche all'epoca c'era un genio, il solito, che se ne usciva con proposte creative:
"Il Fiscal compact? Ma è ovvio: firmiamolo ma non applichiamolo agli investimenti!" Che poi, se ci fate caso, è la stessa struttura logica della cazzata
du jour: "Il MES? Ma è ovvio:
ratifichiamolo ma non utilizziamolo!" (stessa cazzata, stessa testata):
L'eterno ritorno dell'uguale...
E, naturalmente, anche allora, come ora, c'era tanto, tantissimo pathos marziale e bellicista: ne è prova il mio stesso post, in cui utilizzavo lo straziante, allucinato resoconto della catastrofe di Caporetto fatto dal Gaddus, come metafora di quanto era successo in Parlamento.
Partiamo da qui, dal nostro pathos, dal nostro empito retorico, dalla nostra sconfitta, dall'abietta vergogna, dal tradimento esecrando, di aver accettato regole che avrebbero prima soffocato e poi distrutto il Paese, che infatti non c'è più, come non c'è questo blog di cui io non sono l'autore...
Vi porgo una domanda semplice: ma voi, prima di leggere il mio post del 29 giugno, del Fiscal compact ve ne ricordavate?
Ah, no!?
E sapete perché no?
Semplice: perché nei fatti non è mai stato applicato. Vi risulta che ci sia mai stato chiesto di ridurre il debito pubblico di un ventesimo della sua eccedenza dal parametro del 20%?
No.
E sapete perché?
Ci aiuta Bordignon a capirlo, ma per arrivarci dobbiamo prima farci ricordare da lui perché ci fosse stato chiesto di firmare un trattato che in fondo era una minestra riscaldata:
Il Fiscal compact era la prova d'amore che il Nord esigeva in cambio del whatever it takes, and believe me it will be enough di Draghi. Ovvero: ti faccio monetizzare il debito se mi prometti che non ne farai tanto perché altrimenti la moneta causerà l'inflazzione (non è un errore ortografico: è un errore economico. La moneta causa l'inflazzione, l'inflazione ha altre cause, come credo stiate capendo...).
Ricordate?
E nota bene: quello del Nord era un ricatto, va da sé. Quello che oggi il Della Vedova o la Quartapelle Procopio imputano a noi di commettere. Per fare una cosa che tutti reputano giusta e quasi santificano (il uoteverittèics) i nordici chiedevano ai sudici una cosa che oggi tutti reputano sbagliata e demonizzano (a chiacchiere): l'austerità. Un lurido ricatto, o un negoziato: vedete voi quanto eticizzarlo, di quanta melassa sentimentale caricarlo.
A maggior riprova del fatto che i problemi sono sempre gli stessi, vi regalo un altro paragrafo dell'ineffabile Bordignon:
Allora come ora ci si confrontava con l'impossibilità raggiungere una unanimità sulla modifica dei Trattati, allora come ora ci si poneva il tema di come integrare nel diritto dell'Unione, e quindi all'interno di qualcosa latamente assimilabile a un processo democratico, dei Trattati internazionali concepiti in situazioni di emergenza, retti quindi dalla logica dei rapporti di forza e dello stato di eccezione, allora come ora si chiedevano atti che non avevano alcun significato giuridico, perché sostanzialmente irrilevanti, ma solo un significato politico: quello di un atto di sottomissione.
Bene, torno sul punto, che forse ora comincia a esservi più chiaro: perché non è mai stato applicato il Fiscal compact?
Semplice: perché era assurdo! La sua applicazione letterale avrebbe travolto la nostra economia, certo, ma anche le loro, quella dei prepotenti che chiedevano la prova di amore, l'atto di sottomissione.
Quando c'è stato da monetizzare il debito lo si è fatto (vi dice niente l'APP? Quello che chiamate quantitative easing...), quanto c'è stato da fare deficit lo si è fatto, senza star troppo a guardare a trattati e parametri: alla prima vera emergenza il Patto di stabilità e di crescita è stato sospeso.
E il Fiscal compact?
No.
Ve ne siete accorti?
No.
Quindi è stato applicato?
No.
Perché?
Perché nessuno se ne ricordava più. Il ruolo che doveva svolgere a suo tempo (rassicurare quei grulli dei tedeschi e umiliare quei grulli degli italiani) lo aveva ormai svolto, e c'erano cose più importanti di cui occuparsi!
E quindi?
E quindi tanto pathos, tanta retorica, tante veementi accuse, per nulla?
Viene quasi da parafrasare quell'autore che ogni piddino millanta di aver letto: "Dire que j'ai gâché des années de ma vie, que j'ai voulu mourir, que j'ai écrit mes pages les plus intenses, pour un traité qui ne servait à rien, qui n'était pas mon genre!"
Ma anche, per chi alla prosa delle prose preferisse la poesia:
Quoi! nulle trahison ?
Ce deuil est sans raison.
(...ormai sono rimasti in pochi quelli in grado di orientarsi: a quei pochi va la mia solidarietà...)
La sintesi di quanto detto finora è più o meno questa: le regole europee hanno tanti difetti, ma non sono quasi mai prive di un pregio determinante: la loro assurdità, la loro irrazionalità, diretta conseguenza del loro essere concepite per placare le deliranti fobie dei nostri amici tedeschi, sono, paradossalmente, la migliore clausola di salvaguardia, il nostro schermo più efficace! Regole così assurde che se si applicassero travolgerebbero chi le ha volute ovviamente non si applicano se non nella misura in cui i rapporti di forza consentono a chi le ha volute di applicarle senza rischi eccessivi.
Alla luce di questo dato di fatto, chiediamoci se la nostra attuale enfasi, se il nostro afflato abbia o meno delle raisons. La ciurma social ha cambiato bandiera: undici anni fa era "No Fiscal compact o morte!", oggi è "No MES o morte!" La ciurma va per bandiere, ed è giusto che sia così. La politica deve dare una visione, quindi i simboli sono importanti (altrimenti i piddini non insisterebbero tanto per avere il nostro atto di sottomissione), e deve anche raccogliere consenso, radunare le proprie truppe, e quindi le bandiere sono importanti (altrimenti non staremmo facendo tanto lavoro per spiegarvi bene che cosa comporti la ratifica del MES).
Questo è un fatto.
Come è anche un fatto che lo scenario è cambiato: la battaglia sul Fiscal compact la combattevamo dall'esterno e dall'opposizione, quella sul MES la combattiamo dall'interno e dalla maggioranza. Una maggioranza che deve resistere, perché la sua resistenza è la prima speranza concreta di depiddinizzazione del Paese che ci si sia presentata in lunghi anni (avete presente quanto si stracciano le vesti in Rai? Ecco: quella roba là...).
La principale preoccupazione di Lidia, la prima volta che mi telefonò, nel 2012, per avvertirmi che stavano preparando questo simpatico marchingegno, era che il Paese venisse commissariato, e che noi venissimo espropriati dei nostri risparmi. Ma poi ai nostri risparmi ci ha pensato il bail in, e a commissariarci il PNRR, che sotto questo profilo è semplicemente un MES che ce l'ha fatta, come mi pare abbia detto la stessa Lidia a Roma il 15 aprile.
Siamo ancora qui.
Certo, il fatto che il Paese sia commissariato, che ogni giorno si parli di che cosa dobbiamo fare di assurdo per riottenere i nostri soldi, testimonia che un arretramento c'è stato, e come! D'altra parte, questo stesso fatto ci indica quanto esiziale sarebbe per il Paese cumulare due dibattiti sulle rate: al dibattito sulla rata del PNRR, aggiungere anche, ogni semestre, il dibattito sulla rata del MES. Resta sullo sfondo il tema principale: quello di restituire agli italiani, se veramente li si ritiene adulti (come Della Vedova insistentemente affermava in aula) il diritto di disporre dei propri soldi.
Ma a questo obiettivo come ci si arriverà?
La domanda a questo punto diventa: indipendentemente dal possibile e probabile tradimento dei 5 Stelle (chi ha eletto la von der Leyen ovviamente voterà per la ratifica del MES), che potrebbero tradire se stessi per non spezzare il fronte dell'opposizione, ritenete che la linea rossa del MES giustifichi uno spaccamento della maggioranza, con tutte le conseguenze del caso? Non è che forse stiamo andando dietro a un drappo rosso che qualcuno (i piddini e la loro quinta colonna, i ppdm) ci stanno agitando davanti agli occhi per cercare di spaccarci, di dividerci, e questo per una questione la cui importanza, fra dieci anni, potrebbe essere pari a quella del Fiscal compact oggi (cioè zero)? A differenza degli studenti, io, da ricercatore, pongo domande quando non ho risposte. Non ne ho, in particolare, in questo caso. Quale sia il mio scenario preferito lo sapete. Sapete anche che da mesi cerco di dimostrare a voi (e non solo) che è uno scenario sostenibile: noi non stiamo peggio degli altri, cresciamo economicamente, e potremmo diventare il Governo più influente fra quelli dell'Unione, per il semplice fatto che un po' ovunque gli elettori stanno mandando a stendere democristiani e socialisti "indernescional". A quel punto il tema "MES" potrebbe diventare largamente irrilevante, e lo sarebbe in ogni caso dato che se tirano giù noi non gli va come in Grecia, ma ci vengono dietro.
Ognuno di voi avrà sicuramente chiaro che cosa si dovrebbe fare, e verrà qui a dircelo. Io vi ho dato un elemento di riflessione tratto dalla Storia: una Storia che abbiamo vissuto e sofferto (forse troppo) insieme, e che poi ci siamo dimenticati, nonostante sia la migliore illustrazione e il più rappresentativo precedente delle circostanze che stiamo vivendo oggi. Teneteci un attimo la mente prima di esprimervi. Le Guerre dei trent'anni durano trent'anni, e qui siamo appena al quinto. Lo so che non avete tanto tempo a disposizione: ma non dipende da me se certe matasse si fatica a sbrogliarle.
Pensateci, e cercate di ricordarvi l'estate del 2012...
(...una delle lezioni di quell'estate, peraltro, è che si può votare in dissenso dal gruppo e diventare ministro...)