(...ma putemm vince la guerr nu?...)
Ulisse ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Esiste un diritto umano a immigrare?":
Caro Professore,
ho ascoltato in differita le dirette di ieri.
È sempre un privilegio ascoltarla e leggerla.
È riuscito anche a citare il Marco Papa di 300 e mezzo. Meravigliosa citazione in dialetto pescarese. Mi sono commosso.
Ciò detto.
Mio papà, che alla veneranda età di 86 anni va ancora in azienda la mattina alle 6 (lui si che si meriterebbe l'onorificienza di cavaliere del lavoro), mi raccontava, quando ero bambino, dei suoi 11 anni in Svizzera, a Berna. Avevano 3 mesi per cercare lavoro e se non lo trovavano li rimettevano sul treno senza troppe cerimonie. La manodopera italiana era ricercatissima e pagata dignitosamente (inoltre il cambio marco/lira permetteva di costruire in Italia, nel caso specifico in Abruzzo, le basi per una vita più che dignitosa. Il mio paese è stato costruito con le rimesse degli immigrati). Ma non esisteva che venisse commesso un reato da un immigrato o che qualcuno fosse privo di titolo di soggiorno.
Quei racconti mi danno la misura di quanto siano stupidi i paladini dell'accoglienza nostrani. Non sanno di cosa parlano quando parlano di immigrazione e di emigrazione.
Il nostro paese ha un apparato sanzionatorio che, nei fatti, è molto blando. Gli stranieri, soprattutto quelli che delinquono, lo sanno e ne approfittano. E il paese di ritrova in una situazione sempre peggiore. Dove regna il caos.
Diritto di immigrare? Gli stupidi paladini dell'accoglienza non capiscono il concetto di coesione culturale di un popolo e quindi non capiscono il concetto di invasione e disintegrazione socio-culturale. È questo ciò a cui stiamo andando incontro.
Ma soprattutto, quando affermano il diritto di immigrare, dicono implicitamente che gli stranieri, nei loro paesi, non possono avere una vita dignitosa. E non capiscono che questa è una forma di razzismo molto sottile.
Io, che gli stranieri me li faccio amici, posso assicurare che ce ne sono molti che sono tanto meritevoli. Ma quelli meritevoli, spesso, e quando non c'è guerra o dittatura nel loro paese (gli afghani di etnia azara si guardano bene dal tornare in Afghanistan) non vedono l'ora di tornare a casa loro. Come mio padre.
Possibile che non riusciamo a trovare il modo di selezionare gli immigrati meritevoli?
Pubblicato da Ulisse su Goofynomics il giorno 30 set 2025, 23:22
(...dopo essere sceso infinite volte di corsa dai miei monti - Porrara, Secine, Pizzalto, ecc. - dopo essere sopravvissuto perfino alla Rava del Ferro - dove però ho corso poco! - martedì scorso, poco prima di questa diretta, ho fatto un inglorioso tonfo correndo a Villa Glori. Attila Gualtieri, aka l'incompetente, che sta buttando giù alberi peggio dell'uragano Vaia (anche a Villa Glori), ha lasciato lungo il vialetto della villa una insidiosa radice su cui il mio lubrico piè si è impuntato, condannandomi a una caduta rovinosa. Ho smorzato l'impatto abbozzando una capriola, ma nel girarmi di fianco per distribuire il peso mi devo essere contuso il torace. Lì per lì non ho sentito nulla, mi sono rialzato con una certa elasticità, ho proseguito la corsa, poi ho condiviso con voi qualche considerazione, ma dopo, arrivato in ditta, ho cominciato a sentire un certo dolore al costato. Dopo una notte difficile, mercoledì mi sono fatto vedere: nonostante le malelingue, sono bello dentro! Le costole ci sono tutte, candide e intatte, ma la contusione mi fa un male cane e quindi oggi, invece di assistere a due convegni cui ero particolarmente contento di prendere parte, per poi salire a pestare la prima neve sulla Majella - ma è meteo, amici, non clima! - me ne sto a letto a risolvere nell'immobilità e con l'immobilità una serie di arretrati. Immaginerete quanto mordo il freno, ipercinetico come sono. Ho deciso di sfogare la frustrazione per questa mia forzata inerzia togliendomi alcune benne di sassolini dalle scarpe, e cominciamo da una delle più colossali stronzate lievi imprecisioni che ci vengono propinate da iBuoni(TM): quella dei migranti "climatici"...)
Trovo l'osservazione di Ulisse particolarmente corretta e pregnante: uno dei due argomenti utilizzati per presentare l'immigrazione come un dato di natura, come un fenomeno ineluttabile e prepolitico, a una più attenta considerazione si rivela essere una sottile manifestazione di razzismo e una inconsapevole ammissione della propria incapacità di comprendere, o scarsa volontà di risolvere, il problema. Perché mai infatti gli abitanti di una delle parti più ricche di risorse del globo sarebbero in qualche modo costretti ad abbandonarla per incapacità di trarne sostentamento, tanto più ora che le nostre dissennate politiche, quelle che ci condannano a morire di fame oggi per non morire di caldo domani, hanno fatto lievitare oltre ogni più sfrenata immaginazione il prezzo di materie prime la cui strategicità un tempo sarebbe stato difficile prevedere?
(...il prezzo del petrolio è il Crude Oil (petroleum), simple average of three spot prices; Dated Brent, West Texas Intermediate, and the Dubai Fateh, US$ per barrel, quello del rame è il Copper, grade A cathode, LME spot price, CIF European ports, US$ per metric tonne, entrambi espressi come indici a base 100 nel 1980, provenienti dal solito database. La Repubblica Democratica del Congo - non a caso un posto tranquillo! - è il secondo produttore mondiale di rame...)
Presumere che in mezzo a tanta bonanza gli autoctoni siano incapaci di provvedere al proprio dignitoso sostentamento significa affermarne implicitamente un qualche deficit intellettuale o culturale. Ma siamo sicuri che questa sia una linea di argomentazione fondata e accettabile?
Una volta la sinistra non dico che si proponesse di risolvere, ma almeno "metteva a tema il" (come dicono loro), cioè parlava del (come dicono le persone normali) problema del colonialismo, dello sfruttamento dei popoli africani, del loro diritto all'autodeterminazione, e di cosa fare per accompagnarli lungo un percorso virtuoso. Oggi il massimo di elaborazione che ci perviene da cotanti intellettuali è una sorta di riedizione for dummies del principio dei vasi comunicanti, quella secondo cui è ovvio che loro debbano venire qui, perché lì sono tanti e qui siamo pochi.
Ma perché la sinistra italiana è regredita verso argomentazioni così infantili e controvertibili?
(...a mero titolo di esempio: è certamente vero che in Africa sono tanti, ma hanno molto più spazio a disposizione di noi, tant'è che la densità della loro popolazione per km quadrato è la metà della nostra...)
Per chi segue il lavoro che stiamo facendo qui da anni la risposta è chiara: la sinistra italiana ha smesso di riflettere sull'autodeterminazione dei popoli africani quando ha deciso di rimuovere psicanaliticamente quella dei popoli europei, cioè quando si è venduta al progetto europeo, a quella mascheratura di una politica di deflazione e di recessione antioperaia, onde ottenere dalla sponda de leSocialdemocrazieeuropee(TM) un sostegno per governare in casa propria contro il volere dell'elettorato (ultimo episodio eloquente: i sorrisetti di Sarkozy; letteratura rilevante: i lavori di Kevin Featherstone). Qualcuno, negli anni '10 di questo secolo, si sarebbe potuto chiedere perché mai impietosirsi per il destino dei bantù e non per quello dei greci, e quindi, per non far venire strane idee all'elettorato piddino, si è preferito dimenticare i bantù! Si è insomma lasciato cadere con eleganza il tema nodale, che è quello di cosa si possa fare per accelerare il cammino dei popoli verso una effettiva indipendenza, per evitare che quel discorso potesse applicarsi anche al popolo che la sinistra italiana in cuor suo più disprezza: quello italiano.
Il fatto è che in Africa questa indipendenza passerebbe, ovviamente, da una cosa che nessuno vuole, e in cuor loro men che meno gli ideologi climatisti e a scendere tutti i volenterosi carnefici della filiera climatista: il riappropriarsi delle risorse africane da parte dei popoli africani. Perché sul climatismo c'è chi mangia a quattro palmenti, e una condizione necessaria, ma non sufficiente, per continuare a farlo è proseguire sulla strada dello sfruttamento coloniale dell'Africa, che oggi vede come protagonista indiscussa la Cina (ma con molto maggiore intelligenza di quella dimostrata dagli europei nel XIX secolo). Il piano Mattei, che colpevolmente non ho mai studiato e di cui non saprei effettivamente argomentarvi i contenuti (ma se interessa posso studiare), ha se non altro il pregio di comunicare qualcosa che una volta era una cosa di sinistra: aiutiamo i popoli africani a progredire a casa loro!
Perché, vedete, qui si intersecano vari livelli di sinistre contraddizioni, che vale la pena di enumerare.
1) Risorse o minus habens?
Una è quella evidenziata da Ulisse: dare per scontato che una popolazione che vive in un territorio così ricco sia ineluttabilmente condannata ad abbandonarlo, consegnando ad altri tanta ricchezza, significa presumere che questa popolazione sia fatta di minus habens: è quindi oggettivamente una forma di razzismo, nemmeno tanto implicito. Ma se l'incapacità dei popoli africani di vivere dignitosamente a casa loro fosse veramente dovuta a una qualche forma di deficit intellettuale o culturale (come affermano quelli secondo cui l'immigrazione è un ineluttabile dato prepolitico), allora crollerebbe la retorica de imigrantichecipaganolepensioni, atteso che difficilmente coi contributi di lavoratori a basse competenze, basso valore aggiunto e conseguentemente bassa remunerazione si potrebbe pensare di sostenere l'onere pensionistico di una popolazione relativamente più evoluta. O no? In altri termini, se non riescono ad essere "risorse" a casa loro, perché mai dovrebbero esserlo a casa nostra, dove qualcuno ce li indica come la panacea di tutti i nostri mali (trascurando come sempre l'aritmetica)? Ma anche, di converso: ammesso che possano essere risorse a casa nostra, perché non dovrebbero esserlo anche a casa loro, dove fino a prova contraria c'è più bisogno? Di questo vogliamo parlare? Su questo qualcuno ci informa?
2) Ogni immigrazione a casa nostra è un'emigrazione a casa altrui
Aggiungo che è ovviamente contraddittorio stracciarsi le vesti per la nostra pretesa incapacità o contrarietà ad assicurare un ipotetico diritto all'immigrazione altrui, e al contempo stracciarsi le sottovesti per l'effettivo problema causato dell'emigrazione dei nostri giovani. Quello che per noi è un problema, cioè la nostra esportazione di capitale umano, il fatto di investire somme ingenti nella formazione di giovani cui non diamo opportunità di lavoro (e quindi possibilità di contribuire alla prosperità collettiva) in patria, evidentemente lo sarà anche, e in misura tanto maggiore quanto più essi sono arretrati, per i Paesi africani, o no? Quelli che imigrantichecipaganolepensioni non se lo pongono il problema di chi pagherà le pensioni agli africani? E allora vogliamo porre la questione nei termini corretti, che non sono quelli di assicurare il diritto all'immigrazione, ma di assicurare il diritto di restare a casa propria, come solo Benedetto XVI ha fatto nel dibattito pubblico occidentale (a meno che io non mi sia perso qualche cosa)? Va da sé che in determinate circostanze, riconducibili alla protezione umanitaria, l'accoglienza resterà un dato non negoziabile (e chi lo nega?). Al contempo, l'accoglienza non può essere vista o addirittura imposta come unica valvola di sfogo di evidenti squilibri strutturali cui dobbiamo porre rimedio innanzitutto a casa nostra, per il duplice ottimo motivo che a casa nostra abbiamo maggiori possibilità di incidere che a casa altrui, e che se non risolviamo i nostri problemi, condannandoci a un lento declino, non potremo assicurare nemmeno la protezione umanitaria (che costa).
Resta sullo sfondo la stucchevole retorica colpevolizzante, elemento costitutivo di ogni pensiero magico, sciamanico, o religioso: dobbiamo accoglierli perché è colpa nostra se stanno male (ma non dobbiamo riflettere su come farli stare meglio)! Non stanno male per colpa mia, né credo per colpa di nessuno di voi, e non è abolendo una vera riflessione, razionale, non deamicisian-sentimentale, sui problemi di questi popoli che potremo tacitare le nostre coscienza. Oddio, il piddino a dire il vero è di facile contentatura: gli basta di potersi sentire buono, e per lui il problema è risolto. Per sentirsi buono, poi, gli basta chiedere agli altri di accogliere indiscriminatamente chiunque nei loro quartieri, come sappiamo. Ma proprio chi, a meri fini di autoflagellazione, riconosce l'eredità storica del colonialismo, dovrebbe esercitare maggiore solerzia nell'individuare le forme che lo sfruttamento prende nella contemporaneità (e l'ecologismo è una di queste), e nel proporre strade alternativa.
Invece l'unica riflessione e l'unica proposta è quella thatcheriana: there is no alternative, l'immigrazione non è oggetto di valutazione politica né può essere oggetto di gestione politica, se non "a valle", perché è un indiscutibile dato di natura.
Che cosa può andare storto di fronte a cotanta profondità di ragionamento e di proposta?
Gli argomenti di natura economico-demografica utilizzati per argomentare l'ineluttabilità dei flussi in entrata da noi sono quindi tutti riconducibili a una matrice razzista, perché non saprei come definire altrimenti (ha ragione Ulisse) una simile radicale sfiducia nella possibilità dei popoli africani di ridiventare padroni del proprio destino. Ma credo sfugga, o almeno non ho sentito mai nessuno rilevarlo, che anche gli argomenti di natura ambientale sono ugualmente razzisti.
Mi spiego: avrete sentito parlare pure voi di migranti climatici, no? L'argomento è una diversa declinazione del TINA (there is no alternative) immigrazionista: sopra ci siamo occupati del "devono venire qui perché sono più di noi", ora vorrei spendere due parole sul "devono venire qui perché da loro fa più caldo che da noi". Insomma: l'idea che l'alluvione umana, come quella idrica, dipenda dal clima, e quindi non possa essere gestita se non con la "transizione", cioè con lo sfruttamento coloniale delle risorse africane (che invece, come sto cercando di far capire, è più un pezzo del problema che della soluzione...).
Bene.
Questa dell'immigrazionismo "climatico" è una gigantesca puttanata, una cretinata che può essere affermata solo da persone totalmente digiune di geografia, tanto ignoranti quanto razziste. La premessa (duole doverla fare) è che il clima equatoriale è caratterizzato dall'assenza di stagioni e da temperature stabili su una fascia fra i 25 e i 30 gradi centigradi, quindi, certo, relativamente calde rispetto alle nostre temperature non estive. Ad esempio, in questo momento a Kinshasa ci sono 32 gradi, con un'umidità del 51%, quindi non particolarmente elevata (non tale da qualificare questa come una giornata umida), mentre a Roma abbiamo una giornata decisamente più fresca e secca, con 19 gradi e umidità al 34%. Noterete che siccome qui fa fresco, oggi nessuno ci sta dicendo che "devono immigrare da noi perché da loro fa caldo". Dato che il piddino è in grado di immedesimarsi coi problemi dell'altro solo quando questi sono i suoi problemi, nei Paesi a clima temperato questo tipo di analisi ha una sua stagionalità: si presenta di solito in estate! Fatto sta che è proprio in quelle circostanze che l'immigrazionismo climatico dimostra tutta la sua fallacia. In un'estate calda, infatti, la situazione a metà giornata di solito si configura così:
(ho preso a caso uno dei miei tanti screenshot: questo è del 19 luglio 2023). Non so se notate l'elegante paradosso: quando il piddino, flagellato dal solleone nostrano, viene a dirci che "dobbiamo accoglierli perché cercano rifugio dalla crisi (?) climaticaaah!11!", a Kinshasa fa più fresco che alla Valle del Sole di Pizzoferrato! Questa cosa non succede per caso (e infatti di screenshot simili rigurgita il mio telefonino), ma per due ben precisi elementi che solo chi è ignorante come una zappa può, appunto, ignorare (come li ignorerebbe una zappa)!
Il primo è che il continente africano è sì più esposto al Sole (avendo un'ampia fascia tropicale), ma capita che nostro Signore, nella sua imperscrutabile sapienza, lo abbia innalzato più dell'Europa rispetto al livello delle acque. Il secondo è che gli africani non sono scemi, e ovviamente potendo scegliere vanno a insediarsi in altura, dove fa più fresco. Se prendiamo le prime dieci capitali europee e le prime dieci capitali africane la situazione è questa (vi metto i conti che ho fatto sulla carta del prosciutto, così potete verificarli):
L'elevazione media dei principali insediamenti in Africa è dieci volte quella dei corrispondenti insediamenti europei (Pretoria è più alta di Gamberale, Addis Abeba è all'altezza della Forchetta di Maiella...), e siccome il gradiente termico verticale è di 0,65 gradi centigradi ogni cento metri, vedi bene che qui ci scappano 6,5 gradi centigradi di differenza a vantaggio proprio di quei Paesi da cui, nell'epos piddino, si scapperebbe "a causa del caldo".
Va da sé che a questa statistica non attribuisco un particolare valore dirimente, ma rimango estasiato dall'ignoranza di quelli che mentre amano atteggiarsi a profondi intellettuali, da un lato ignorano i lineamenti più elementari di quella scienza tanto bistrattata che è la geografia (dovrebbe essere noto che l'Africa subsahariana è un gigantesco altopiano, con quel che ne consegue) e dall'altro - in qualche modo prevedibilmente! - vedono nell'africano un "buon selvaggio" incapace di scegliere in modo razionale il luogo in cui insediarsi. Eppure, se il Sahara è un deserto, questo significa, per definizione, che non c'è nessuno! E ci sarà pure un cazzo di motivo se in un continente di oltre un miliardo e mezzo di persone il luogo più caldo è deserto, no? Sarà perché gli africani, non essendo scemi, nella misura del possibile preferiscono insediarsi altrove, giusto? Quindi l'idea che "poverini, dobbiamo accoglierli perché a casa loro fanno 50 gradi" (massima estiva nel deserto del Sahara) andrebbe un po' rivista, magari dando ogni tanto un'occhiata all'app del meteo sul cellulare (che essendo fatto anche di coltan dovrebbe ricordare alle anime belle l'esistenza dell'Africa equatoriale).
Ecco, scusatemi, questa cosa era un po' che volevo dirvela, e non so perché mi è venuto di farlo oggi. Aspetto le vostre valutazioni.
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