domenica 31 marzo 2024

Unione o transizione? La radice del fallimento europeo.

Dieci anni fa tentammo per la prima volta l'esperimento del #midterm, e ci radunammo a Roma per parlare di Un'Europa senza euro. Dieci anni, e due elezioni europee, dopo, ci ritroveremo a Roma il 13 aprile prossimo per parlare di Un'Europa senza Euro 6.


I tempi cambiano, ma, come vedrete, non cambiano i temi. Semplicemente, la loro lista si allunga perché ad essa si aggiungono ulteriori declinazioni di un tema, quello della transizione, che è il tema fondante e cruciale del progetto europeo.

Su questo vorrei condividere qualche riflessione con voi, anche per raccogliere vostri stimoli e suggerimenti.

Giandomenico Maione, che abbiamo avuto ospite nove anni fa,  nel suo libro del 2014, Rethinking the Union of Europe post crisis, fa un'osservazione determinante, che deve essere compresa bene, nelle sue implicazioni, se si vuole capire in che razza di vicolo cieco ci siamo cacciati. Osserva Maione che la costruzione europea si caratterizza, più esattamente che i Trattati la caratterizzano, come un processo di transizione perenne verso una "unione sempre più stretta" (ever closer union, art. 1 secondo comma del Trattato sull'Unione Europea). Non è però chiaro quando questa unione potrà essere considerata abbastanza stretta da sancire il compimento di questo processo, di questa transizione, né, correlativamente, che forma dovrebbe prendere un’unione per essere considerata abbastanza stretta.

Basta un collier o occorre proprio una garrota?

Questo essere un processo di eterno avvicinamento asintotico ad un asintoto che non c’è, o non si vede, è un elemento particolarmente tossico per la conduzione di un ordinato dibattito democratico sulla costruzione europea. L'inesistenza di un chiaro obiettivo, che, se ci fosse, andrebbe iscritto nella Costituzione che non c'è (quella europea), genera vari livelli di problemi di delega e in particolare di moral hazard, quella forma di comportamento opportunistico del delegato (il politico) che sorge, appunto, quando il delegante (l'elettore) è nell'impossibilità di accertare la negligenza, o addirittura il dolo, del delegato nel definire il suo compito. Se questo compito è indefinito, è definito come una transizione, non come un obiettivo, accertare l'impegno di chi dovrebbe realizzarlo, accertare se e quanto si sia avvicinato al risultato, diventa intrinsecamente impossibile.

Il problema è duplice. Da un lato, evidentemente, il non sapere verso dove, verso cosa, si stia andando, rende impossibile giudicare se ci si stia andando. Di conseguenza, la concettualizzazione del progetto come eterna transizione rende logicamente impossibile valutare la qualità della leadership europea, e quindi la deresponsabilizza. Qualsiasi cosa essa faccia è sottratta alla critica, pour la simple et bonne raison che se si ignora l'obiettivo se ne ignorano distanza e direzione, e quindi resta impossibile valutare se chi è in quel momento al governo abbia compiuto passi nella direzione di guida e con la giusta velocità. Si aggiunga che questa radicale indeterminatezza apre alla possibilità  che la definizione dell’obiettivo finale sia dettata da umori estemporanei, come quelli determinati dallo stato di eccezione implicitamente causato da eventi eccezionali (non a caso, secondo Jean Monnet, l'Unione Europea sarebbe stata "la somma delle soluzioni trovate alle crisi": perché queste soluzioni, dettate dalla violenza dei fatti, avrebbero imposto la concretezza di un obiettivo definito: risolvere, appunto, la crisi. Inutile dire, e lo si sta vedendo ora col PNRR, che una panoplia di strumenti creati in condizioni di emergenza non necessariamente costituisce l'ossatura di una Costituzione in grado di assicurare i necessari pesi e contrappesi in condizioni di normalità). L'obiettivo volta a volta perseguito, o presentato come perseguendo, poi, è anche alla mercé di rapporti di forze altrettanto estemporanei e transitori fra i singoli Stati membri, rapporti soggetti all'alea dei singoli processi politici nazionali.

Si trova forse scritto da qualche parte che l’obiettivo sia l’elezione diretta del Presidente degli Stati Uniti d’Europa? No. Però se ne sente parlare come di un obiettivo legittimo, lo si dà per assodato e pacifico, ignorando che un simile obiettivo non è stato né sottoposto a un vaglio democratico né, quindi, tantomeno iscritto in un Grundgesetz condiviso.

D’altra parte, il fatto che non si sappia e non si voglia, in fondo, sapere, che cosa l'Unione Europea debba essere, il fatto che non si sappia a che cosa debba condurre questa transizione, rende non solo impossibile valutare se ci si stia avvicinando all’obiettivo finale (e su questo ci siamo intrattenuti fin qui), ma anche se questo obiettivo sia sensato. Se non sai dove stai andando, ovviamente non puoi sapere se ci vuoi andare. Nel dibattito hanno corso solo le valutazioni implicite e scombiccherate di natura comparativa, riferite a esperienze federali sul cui successo ci si potrebbe interrogare da diversi punti di vista (come più volte ricordato, nella creazione degli Stati Uniti d'Europa a noi sarebbe riservata la sorte non brillante dei nativi) e il cui percorso storico è comunque stato totalmente diverso dal nostro, procedendo, per lo più, da una operazione di tabula rasa delle popolazioni o comunque delle culture autoctone che qui in Europa non c'è stata, nemmeno con tutto il male che ci siamo inflitti, e difficilmente ci potrebbe essere. Questa indeterminatezza del punto di arrivo apre allo sgradevole fenomeno per cui, nel momento in cui i cittadini si accorgono che le cose non stanno funzionando come promesso, che la transizione verso una Unione sempre più stretta non sta "deliverando", come dicono quelli bravi, basta dirgli che se il processo non funziona è solo perché non è ancora compiuto, cioè che ci vuole più Europa. Naturalmente ciò che rende possibile argomentare impunemente il progetto non sia ancora compiuto è il semplice motivo che nessuno sa quale dovrebbe esserne il compimento! In altre parole, la natura di eterna transizione verso l’ignoto del progetto europeo è esattamente ciò che fornisce un fondamento logico all’argomento che altrimenti apparirebbe fallace, ma che tante volte sentiamo ripetere con apoditticamente: quello che attribuisce i fallimenti dell’Europa al fatto che ce ne vorrebbe di più!

Incidentalmente, questo schema logico, lo schema del "ci vuole più", nato e messo in campo nel dibattito sull’Unione europea, è poi stato applicato anche ad altre situazioni di transizione verso l’ignoto. Pensate ad esempio alla gestione della pandemia! Quando era assolutamente acclarato che un certo approccio terapeutico non aveva le proprietà che gli erano state date attribuite, cioè quelle di immunizzare e sterilizzare i pazienti (nel senso di: renderli incapaci di contagio), la risposta, come ricorderete, è stata che ce ne voleva di più ("ci vogliono più dosi" era la declinazione sanitaria del "ci vuole più Europa").

Essendo l’Unione Europea ontologicamente una transizione, non stupisce che la transizione sia la cifra della sua azione politica. Nei fatti, quello che l’Europa ci propone oggi è un florilegio di transizioni: la transizione ecologica (o ambientale, o energetica, che si voglia); la transizione digitale; il sostegno a una serie di altre transizioni di cui l’Unione si fa paladina, nella dimensione che ha assunto di stato etico, e che riguardano la sfera più intima di ogni singolo individuo. L’importante è il processo, la fluidità, e non il punto di arrivo, l'identità. Questo, se ci pensate, è il motivo per cui identità e democrazia sono logicamente connesse. Naturalmente un pezzo di questa storia è che è il processo, e non il punto di arrivo, a giustificare l’esistenza di un clero sterminato e opaco di burocrati, il cui compito è appunto quello di farci transitare, di farci transumare. Sono loro i Pastori di questa eterna e indefinita transumanza, e come tutti i Pastori essi rivendicano un ruolo di guida e pretendono un rispetto sacrale.

Restano da mettere a fuoco alcune visibili asimmetrie, o incoerenze che dir si voglia.

Ad esempio, perché per ogni singola transizione al dettaglio (ecologica, ambientale...) la governance europea ci propone obiettivi quantitativi e tempi specifici, veri e propri benchmark in base ai quali si riserva il diritto di dichiarare il successo o l’insuccesso dei suoi singoli Stati, mentre per la sua propria transizione, quella verso unione sempre più stretta, l’Unione Europea non si propone né un obiettivo definito né dei tempi precisi, sottraendosi quindi alla possibilità di vaglio democratico degli elettori? I politici, e i burocrati, europei non possono sbagliare, non sono accountable, non tanto perché sono loro a fissare a se stessi l'asticella, quanto perché questa asticella è evanescente, non c'è! Sì, certo, Ursula, che sia stata o meno corrotta dai cinesi, con il "grande balzo green" ci ha mandato a sbattere, esattamente come 65 anni fa il compagno Mao mandò a sbattere la Cina, e questo lo pagherà, gli elettori avranno voce in capitolo. Un errore simile, però, alla fine è meno disastroso del non sapere dove si stia andando e in quanto ci si debba arrivare. Alla fine, aldilà di tutti i fronzoli e gli accidenti o incidenti di percorso (come quelli che hanno colto impreparati i poveri punturini, ma non che, come noi, li aveva visti arrivare), al di là quindi di epifenomeni come la censura, il controllo manu militari dei social, lo sforzo profuso per condizionare l'opinione pubblica, ecc., più di tutto questo (che è comunque "tanta roba"), la natura antidemocratica, anzi direi ademocratica del progetto europeo risiede in questo: nel suo essere un processo ontologicamente refrattario alla valutazione da parte di un qualsiasi circuito democratico per il semplice fatto di essere un processo verso l’ignoto, verso un obiettivo non specificato se non come work perennemente in progress.

Questo in qualche modo è anche l’aspetto più nuovo e più inquietante. La censura è sempre esistita, il potere ha sempre ristretto con violenza più o meno esplicita il diritto di critica (e qui ne sappiamo qualcosa: ricordate quando ci negavano le aule a Tor Vergata, per dirne una (l'incontro annunciato qui non si è svolto, e non perché io avessi judo)? Ricordate come è nato questo blog?). Il controllo sociale è sempre esistito anche quando non veniva esercitato in forma digitale: può piacere o dispiacere come considerazione, ma si può ragionevolmente argomentare che alcuni aspetti del fenomeno religioso siano stati agiti con funzioni di controllo sociale, un controllo forse più pregnante di quello esercitato dall’Unione europea ma, attenzione, basato sostanzialmente sugli stessi meccanismi simbolici e archetipici. Vogliamo parlare, ad esempio, del tema della colpa, agilmente sostituito da quello del debito pubblico, o della redenzione, che nella religione europea conserva la "r", quella di "riforme"? La mistica dell'espiazione, della purificazione, del percorso verso la redenzione, insomma: di quella transitio Crucis che sono "le riforme" (altro concetto indefinito, peraltro...), permea tutto il discorso politico europeo, per il semplice motivo che chi lo gestisce ha avuto la scaltrezza di fare proprio un armamentario archetipico che in tutti noi, atei compresi, tocca corde profonde. Censura, controllo sociale, compressione del dibattito, linguaggio sacrale, però sono sempre esistiti: fanno un po' tenerezza i punturini che se ne accorgono oggi, e che forse, per accorgersene prima, invece di leggere per finta Orwell, avrebbero dovuto leggere sul serio Balzac. Il dato radicalmente nuovo, e quindi difficilmente gestibile, del momento storico in cui viviamo è che oggi essi vengono esercitati in nome di un’autorità che non si sa cosa sia, e quindi che cosa possa garantire in cambio (a parte il ciarpame propagandistico sui decenni di pace e di prosperità). Chi ci restringe non è "lo imperatore", non è un monarca vestfaliano, non è una Repubblica liberale borghese: è un po’ di tutte queste cose, senza essere in realtà nessuna di esse.

Ed è appunto questo l’elemento che dovrebbe allarmarci.

Oggi le miserevoli vicende della rivoluzione "green" lo hanno fatto capire ad una certa fascia di pubblico, quello particolarmente attaccato al proprio autoveicolo: a Bruxelles ti dicono di andare da una parte prima di aver capito, e senza avere la volontà di capire, da che parte ti stanno dicendo di andare.  Al #midterm ne parleremo con Riccardo Ruggeri, un altro amico che ci ha accompagnato nel nostro percorso (lo ricorderete al #goofy9 parlarci di CEO capitalism). Purtroppo, se l’automobile è un concetto concreto, tangibile, esattamente come lo era il dischetto di metallo chiamato euro, la libertà, la democrazia, l’ordinamento giuridico, la legge fondante di uno Stato o di una comunità, peggio ancora la necessità che una comunità si aggreghi attorno a una norma fondante, sono concetti molto più impalpabili ed evanescenti, appartengono a quella categoria di concetti che nella mente del grande pubblico possono essere definiti solo per negazione. Ci sono infatti cose che, per qualche strano meccanismo di psicologia delle masse (materia a me totalmente ignota), i popoli tendono a rimpiangere quando li hanno persi, molto più che a difenderli quando li hanno ancora. Questo significa che la battaglia che qui da tempo stiamo compiendo per destare a razionalità il maggior numero di interlocutori possibili è oggettivamente una battaglia ardua.

Alle difficoltà appena enunciate se ne aggiunge una fondamentale, di metodo, consistente nel fatto che dobbiamo tutti chiederci quanto il fare il bene degli altri contro la volontà degli altri non coincida poi esattamente col ributtante paternalismo dei Padoa Schioppa, dei Ciampi, e via discendendo.

Bisognerebbe insomma chiedersi che senso abbia lottare per la libertà e l'autodeterminazione di persone che forse preferirebbero restare schiave! Non è un tema secondario, tutt’altro. Il fatto che in Italia esista ancora uno zoccolo duro, apparentemente inscalfibile, di persone che si riferiscono al partito che ha fatto un investimento politico massiccio su questo progetto di "depowerment" e di "unaccountability", cioè il PD, ci deve incutere non solo e non tanto scoraggiamento, quanto rispetto. Non è escluso, e comunque non va escluso, che siamo noi dalla parte del torto e che invece le magnifiche sorti e progressive di questo processo storico rettilineo verso lo stringersi sempre di più intorno a una cosa che non si sa cosa sia, possa essere effettivamente l’uovo di Colombo, quello che ci mancava e ci manca per ottenere pace e prosperità (e quindi che ce ne voglia "di più"). Certo, la posta in gioco è elevatissima, e quindi ognuno di noi ha il diritto di portare avanti una visione alternativa rispetto a quello che scarnificato dai cascami di una propaganda lezza e putrida ci appare come un’ossatura logicamente incoerente. In questa, come in tante altre cose, si potrebbe argomentare che la gravità delle conseguenze sia tale da determinare una sorta di stato di eccezione, ma qui si entra in una circolarità che è etica prima ancora di essere logica: non possiamo combattere quelli che legittimano se stessi affermando di essere migliori di noi, affermando a nostra volta di essere migliori di loro. Questo modo di fare si attaglia a un un asilo infantile, ma se applicato al mondo degli adulti è, come infiniti esempi anche recenti dimostrano, il germe di sanguinosi e sterili conflitti.

Nel nostro appuntamento di metà anno ci occuperemo quindi non tanto della transizione dell'Unione, del suo punto di arrivo (Stati Uniti d'Europa? Confederazione?... per citare due degli slogan che in modo ricorrente vengono riproposti a vanvera nel dibattito), quanto delle transizioni che l'Unione ci propone, e in particolari di due di esse: quella digitale, di cui la transizione monetaria è un sottoprodotto, e quella ecologica. Due transizioni, si badi bene, che oltre ad avere delle rilevanti contraddizioni interne, tant’è che la transizione ecologica si sta già accartocciando su se stessa, sono anche contraddizione reciproca. La transizione digitale infatti, come del resto la stessa transizione ecologica, richiede una enorme quantità di energia e di materie prime, che non possono essere estratte dalle viscere della terra senza causare un impatto ambientale. Esiste quindi un trade off piuttosto evidente fra digitale e green, e la narrazione che dice di voler portare avanti in parallelo queste due rivoluzioni è un’altra narrazione intrinsecamente truffaldina. Oggi, per fare un esempio, il Bitcoin è uno stato grande quanto la Malesia, e una singola transazione in Bitcoin impiega tanta acqua da riempire una piscina da giardino. L’energia necessaria per alimentare la tecnologia a registri distribuiti sottostante al Bitcoin assorbe una quantità di energia stimata attorno ai 159 TWh (a mezza strada fra i consumi elettrici dell'Egitto e della Malesia: l'Italia è a circa 296 TWh). Non tutte le tecnologie digitali sono così impattanti, naturalmente. Ma l’idea che il "digital" sia amico dell’ambiente perché sostituirebbe la carta che è cattiva perché uccide i nostri amici alberi è totalmente infondata e caricaturale! Non è certo per merito del "diggital" che la superficie dei boschi italiani è in aumento. Un’idea che appartiene appunto a quell’argomentario demagogico, emotivo, basato su sollecitazioni archetipiche, cui ricorre sapientemente il clero europeo per giustificare le proprie decisioni, concepite astrattamente nelle stanze di Bruxelles, tanto impermeabili alla democrazia quanto permeabili dalle lobby. Questo è tanto più vero in un paese in cui, come ben sa chiunque faccia qualcosa, qualsiasi cosa, e da questa eletta schiera tiriamo ovviamente fuori i commentatori televisivi e i giornaloni, in un paese in cui ogni processo amministrativo digitale deve essere replicato in cartaceo perché tale è la volontà della pubblica amministrazione.

Del fondamento, della natura, e delle contraddizioni di queste rivoluzioni parleremo con due esperti che avete conosciuto all'ultimo goofy, dove hanno avuto uno spazio troppo ristretto: Gianluca Alimonti e Michele Governatori. A commentare il loro confronto, e questa è una novità metodologica che sottopongo alla vostra sagace attenzione, avremo un panel di amministratori di società del settore, cioè di uomini pratici, quelli di cui Keynes un po' diffidava, ma senza i quali, vi garantisco, non sarebbe possibile mandare avanti la baracca. Sarà utile per voi capire se e quanta consapevolezza dei limiti di certe retoriche esista nelle classe dirigente, come sarà utile per la classe dirigente capire quanto interesse esiste per certi temi, e quanta attenzione le ordinary uninstructed persons pongono al loro lavoro.

E questi sono solo alcuni dei temi che tratteremo. Per gli altri (euro incluso), ci leggiamo domani (cioè oggi), o forse dopodomani, cioè a Pasquetta. Il link per la registrazione è qui.

24 commenti:

  1. Se è l'ora di riparlare di euro comincio a drizzare le antenne.
    Sulla possibilità che noi potremmo essere in torto o nella ragione (sempre relativi) condivido il principio: l'approccio a muso duro non funziona (quasi) mai. Se vuoi essere ascoltato, e quindi incidere, devi imparare ad ascoltare.
    Buona Pasqua e a rivederci a Roma.

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    1. Guarda, non lo so. 12 anni Borghi disse che dovevamo fregare il piddino e io, tronfio e ripieno di Veritah come un tacchino, gli chiedi se non fosse sbagliato: mi rispose che così sarebbe stata pari e patta.
      12 anni dopo credo avesse ragione lui: dobbiamo fregare i piddini. Perché noi abbiamo ragione, perché i modelli che ci mostra il Prof. Bagnai sono predittivi, e loro torto. Punto. Se significa promettere Pace, Pensioni e Porti chiusi per arrivare al 50%, amen. Così dev'essere

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    2. E come lo freghi il piddino?
      A numeri (per ora) non ci siamo e gli alleati non promettono bene nonostante le evidenze; anche avendo i numeri poi che fai?
      Non è così semplice e lo vediamo ogni giorno.
      La battaglia culturale durerà ancora per un po’ e sarà ancora necessaria la fatica del confronto con tutto quel che richiede.
      Ad un certo punto si è smesso di parlare di euro (haitraditohhh!) perché primo si era già detto tutto e poi politicamente in quel frangente non era opportuno insistere anche perché comunque la sua insostenibilità sarebbe (anzi lo era già ma è stata negata in tutti i modi) esplosa da sé,volenti o nolenti.
      Costruire il consenso necessario richiede tempo e fatica; lo smantellamento, o anche solo una modifica,del sistema attuale provocherà comunque danni che sarà neccessario affrontare con tutti.
      Il confronto è necessario e mi ricordo quel che qualche volta ha evidenziato il prof.: l’Italia post bellica è stata ricostruita anche con chi ha collaborato col regime.

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    3. L'insegnamento fondamentale del nostro Ospite è che l'€ finirà, ossia: i "collaborazionisti" di cui parli non sono stati convinti, hanno perso.
      Cosa cambia? Cambia che forse (forse) aveva ragione Cesaratto, chi poteva capire oramai ha capito (buongiorno Chimico scettico), gli altri saranno accompagnati a forza, o meglio dalla forza dei fatti.
      Quanto al "come", i modi sono infiniti: molti "concerned troll" frignano che "haitraditoh" perché non parliamo di € ma la questione fondamentale è che nel 2018 non vinse l'è, ma la ka$ta, nel 2019 i "nekri" e nel 2022 "Gioggia che non sta al Koverno quindi è Putiniana". L'elettore è molto scemo e come ha detto il professore nella penultima diretta bisogna trovare la "bugia" giusta.
      L'importante è capire che "la Veritah non rende liberi".

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  2. "a Bruxelles ti dicono di andare da una parte prima di aver capito, e senza avere la volontà di capire, da che parte ti stanno dicendo di andare." Questa semplice verità spiega tutto..non esiste un asintoto, non c'è una logica nelle transizioni, non c'è un modo di comprendere dove si sta andando con questa unione e con l'euro semplicemente perchè non esiste una meta (per noi) ma conta, come da lei ricordato, essenzialmente il viaggio verso l'ignoto (sempre per noi). La vera questione è come sia stato possibile che un disegno così facilmente intuibile fin dall'inizio abbia obnubilato milioni di persone tra cui migliaia di politici (che ancora oggi tra l'altro ne tessono le lodi)

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  3. Questo post è più di altri perfettamente nelle mie corde. Ripeto spesso che, ahinoi, c’è una moltitudine di persone che è perfettamente funzionale alla dittatura e che di certo non serviva aspettare di sperimentarlo in pandemia per rendersene conto. Sono dispiaciuta di non poter essere presente al midterm (non ci si crede, ma dalla mia parte del Nordest fare un viaggio verso Roma in giornata non è praticabile). Il dispiacere è maggiore perché ritengo utilissima l’idea di aver pensato di coinvolgere “gli uomini pratici”. E’ utile per chi come noi cerca di diffondere idee che si scontrano con menzogne ripetute talmente tanto e in ogni dove da sembrare solide verità. Ma certo, da quanto tempo ci si chiede “quid est Veritas?”, ma la nostra civiltà ci aveva insegnato che la Verità deve essere la sintesi di un processo dialettico e non certo l’indottrinamento e l’inquisizione dei dissenzienti. Per questo continuerò con parole mie a parteggiare per l’autodeterminazione, anche in faccia a chi non la vuole, perché in fondo non vuole riscattarsi dal vincolo esterno che qualcuno gli ha dipinto come migliore. Non essendo presente, mi mancherà una parte importante e quindi mi impegnerò a fare stalking ai presenti quando ritorneranno per capire qualcosa. Buona Pasqua.

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  4. "Bisognerebbe insomma chiedersi che senso abbia lottare per la libertà e l'autodeterminazione di persone che forse preferirebbero restare schiave! " Nessuno, se si potesse lasciarle disporre di sé come preferiscono senza conseguenze. A me basta che sapere che renderebbero schiavo anche me per non pormi la domanda.

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    1. Ovviamente. Fa parte delle cose che ci siamo detti fin dall'inizio: se chi vuole l'euro potesse averlo solo per sé, e lasciasse noi nel mondo deprecabile e ributtante della liretta, saremmo tutti amici (ma noi cresceremmo)! Purtroppo non funziona così: quello che voglio dire è che non dobbiamo entrare in un ragionamento tale per cui agli altri elettori dobbiamo imporre il patentino di goofynomics perché possano esercitare il diritto di voto. Altrimenti saremmo piddini, ne convieni? E se non riusciamo a convincerli, dobbiamo ammetterlo e capirne i motivi.

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    2. Ne convengo sì. A mio parere, il motivo principale per cui non riusciamo a convincerli è nella disparità di mezzi. Un argomento è buono come un altro (figuriamoci se è buono davvero!) se hai a disposizione una potentissima macchina propagandistica. Poi ci si può illudere di trovare l'argomento "fine di mondo", ma credo sia appunto un'illusione. Più probabile che la fine del mondo diventi argomento convincente.

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  5. Però non riesco a ricordare benissimo lo spirito con cui si è fondato il carrozzone. O meglio, ricordo un'epoca un po' spensierata in cui si spostava la polvere sotto al tappeto e si accomodavano gli scheletri nell'armadio (di posto ce n'era) perché stava arrivando il paradiso in terra del futuro, con tutte le sue tecnologie una più bella dell'altra.
    Forse la transumanza era già in nuce, ne parlava con un certo malumore anche il salvatore del nostro debito verso l'estero nel 2015.
    Certo è che il griin moderno sembra l'applicazione raffazzonata di tutti i sogni di futuro degli anni '90, in cui si contrapponeva un mondo verde al grigio dell'inquinamento. Forse, il sogno Leuropeo è anche appesantito da quel bug à la Matrix del conflitto negato, che non è nemmeno sopito ma ritengo si stia riversando da anni nella nostra società e che alla fine ci farà pagare a caro prezzo quegli "80 anni di pace".
    E quindi, il transumare per non cambiare.
    Per altro, sul moral hazard, la responsabilità politica e il tempo in cui dal politico si sentiva parlare più di "parola data" che "regolamento Leuropeo" (linkerei ICS ma anche no), sembra che pure a sinistra si ricordino bene che effetto faceva l'illuminarsi di responsabilità in tal modo...

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  6. L'UE è la perfetta ipostasi del Wille zur Macht. Il potere che si autopotenzia allo scopo di espandere sé stesso. Poi si raccontano tra loro (sì, anche tra loro) che serve a fare il bene di qualcuno. Non agiscono, sono agiti. Ma naturalmente credono di agire. Per questo sono difficili da fermare.

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  7. "fare il bene degli altri contro la volontà degli altri" è l'immagine speculare di "fare il profitto dei pochi col consenso dei molti", non sarebbe il caso di domandarsi che valore abbia questa volontà inane, manipolata, plagiata nei gusti, nelle emozioni, nei sentimenti e nelle categorie? In altre parole, guardare più da vicino il veleno a rilascio lento messo nella polpetta.

    "Bisognerebbe insomma chiedersi che senso abbia lottare per la libertà e l'autodeterminazione di persone che forse preferirebbero restare schiave! "
    Queste persone non sanno di essere schiave come non lo sapevo io e non so se saprebbero essere libere, come non so esserlo io, forse non è neanche il caso di illuminarli, per quel che a loro serve; ho fatto l'operaia per dieci anni a Milano, ho lavorato anche in una fabbrichetta di terzisti a conduzione famigliare, tali fabbriche sono scomparse ora, resistono solo poche molto grandi; il titolare aveva fatto l'apprendista e poi l'operaio per molto tempo prima di mettersi in proprio, alcuni di noi sono naturalmente portati per la libera impresa, altri, la maggior parte, si trovano meglio a fare i dipendenti, brontolare per il troppo lavoro e i pochi soldi, ma non correre rischi, non affrontare seccature con banche e commercialisti e clienti. Tuttavia questi spiriti liberi , fintanto che animano la PMI , sono soggette alle velleità di altri. In questo momento il diluvio è in corso, sull'arca del PNRR sale una certa categoria di persone di cui la PMI non fa parte, ed ecco che sul territorio gli imprenditori cercano di resistere come possono a questo diluvio inviato dalla stessa mano che ha mandato l'arca, ho in mente la rappresemtazione che ne fa Michelangelo nella cappella sistina, spero di rendere l'idea. Nel frattempo l'angelo della globalizzazione che ha settantamila facce ed ogni faccia ha settantamilabocche tanto enormi da contenere settantamila lingue che cantano le lori del mercato e della scienza e del greeen e dell'Ucraina ecc ecc tutti idoli che chiedono sacrifici umani, tutti a ringraziare il cieli che tocchi ad altri e non a noi. Certo che non ha alcun senso, darsi uno scopo simile è del tutto arbitrario, e dev'essere molto scomodo.


    Il fatto che in Italia esista ancora uno zoccolo duro, apparentemente inscalfibile, di persone che si riferiscono al partito che ha fatto un investimento politico massiccio su questo progetto di "depowerment" e di "unaccountability", cioè il PD, ci deve incutere non solo e non tanto scoraggiamento, quanto rispetto.
    Quello è solo quel tipo di potere che chiamiamo mafia.

    Non è escluso, e comunque non va escluso, che siamo noi dalla parte del torto e che invece le magnifiche sorti e progressive di questo processo storico rettilineo verso lo stringersi sempre di più intorno a una cosa che non si sa cosa sia, possa essere effettivamente l’uovo di Colombo, quello che ci mancava e ci manca per ottenere pace e prosperità (e quindi che ce ne voglia "di più").

    Per avere ragione basta avere la bocca; nel secondo dopoguerra in Europa avevamo bene o male messo in piedi un sistema sanitario pensionistico e scolastico di cui non si era mai visto l'eguale nel mondo: ce l'hanno tolto e ci hanno tolto ogni senso dj reciprocità e mutuo soccirso, sostituendoli con gli schemi americani della competitività; collettività e umanità stanno sparendo, a favore di una massa inerte di individui allo specchio, non diamo tutti così, o crediamo dj non esserlo, ma temo che il punto non sia avere ragione o avere torto, semplicemente chi detiene il capitale impone la propria volontà sul resto del mondo, ad ogni costo. Adesso ci hanno convinto che mangiare merda è bello perché miliardi di mosche non possono essersi sbagliate. Sarebbe meglio se potesse prevalere un minimo di buon senso, ma non mi pare che il padrone di casa sia molto ottimista.

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    1. Sono un ottimista bene informato. Quanto al fulcro del mio ragionamento qui (e nel post successivo), parte dall'ammissione del fatto che evidentemente non siamo una maggioranza, non vogliamo nemmeno sembrarlo (basterà vedere quanti saremo al #midterm), anche perché non abbiamo un armamentario simbolico, retorico, persuasivo potente e finanziato come quello degli altri. Quindi, indipendentemente dal fatto che il paternalismo mi ripugna, è nei numeri che la nostra visione del mondo difficilmente potrà tradursi in prassi politica (anche per la presenza fra noi di intelliggenti di varia estrazione, che non vogliono far quadrato perché preferiscono avere i riflettori tutti per sé).

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    2. Ammetto che sono colpevole di non poter rinunciare a formulare degli obiettivi minimi di apprendimento, pur nella consapevolezza che solo la parte emersa dell'iceberg può essere scalfita dal ragionamento, mentre l'altra difficilmente si libera da certe forme di controllo, soprattutto se non le riconosce come tali. (E però se una come me è qui a scocciare, non può essere nemmeno impossibile, solo che il processo non sembra potersi replicare se non per caso, e quindi non vale la pena di investirci molto ahimé)

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  8. Il fatto che ci poniamo dei dubbi mi
    dice che siamo dalla parte giusta.
    Però non perdiamo di vista che:
    - se l'Europa non è un'OCA (e non lo è), come può essere una nazione?
    - ci sono ancora tanti piddini in Italia per il semplice motivo per cui pensano di essere immuni dall’austerità, un po' come i punturini. La città emblema di questo fenomeno è Siena. Quando crollano le certezze economiche, poi crollano anche quelle politiche... (in questo ordine, purtroppo)
    - esiste il fenomeno
    Filini-Dracula (bisogna portare pazienza)

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    1. D'altra parte neanche l'Italia è un'OCA e anche l'Italia ha grossi problemi a viversi come nazione.

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  9. Eppure l'agire di una entità così assurda, è molto efficace. Perché se il numero di italiani venuti al mondo continua a diminuire, significa che questa entità ci sta danneggiando come Nazione. E a me sembra che il rischio di una spirale senza ritorno, sia sempre più concreto.

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    1. La "spirale senza ritorno" è iniziata all'inizio degli anni '80, come rispiego nel prossimo post e il problema, come il tuo commento evidenzia, è che ormai ci siamo abituati.

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  10. Non è che non si capisca dove si sta andando, la direzione è sempre quella: l'incremento del saggio di accumulo del capitale. Questo presuppone una 'ricostruzione'. Di cosa? Che importanza ha? Ecco la transizione... Con il green ha funzionato ma si è esaurita, vediamo che cosa riescono a fare con la guerra...

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    1. Perdonami: che col "green" abbia funzionato è un'affermazione che andrebbe quanto meno circostanziata! A differenza della rivoluzione "istituzionale" che l'UE propone, il cui obiettivo è ignoto (gli Stati Uniti d'Europa? E che sono!?), la rivoluzione tecnologica "green" aveva una forma ben definita: auto elettriche ovunque, stop al fossile, ecc. Non siamo arrivati nemmeno alla metà di un quarto di un terzo di questa strada, e già il mercato ha preso la politica a calci nel culo! Dire che abbia funzionato quindi è arduo, a mio avviso, ma sono qui per farmi convincere.

      Di converso, dire che non abbia importanza che cosa si ricostruisce mi sembra un po' azzardato: si può ricostruire un mondo che non c'era (opzione green: non ha funzionato), o si può ricostruire il mondo che c'era (opzione bellica: è sempre stata percorsa dal capitalismo per riprendere il ciclo di accumulazione). Magari non ti interessa perché ti connetti da un altro pianeta, ma per chi vive qui capire se dobbiamo distruggere e entro quanto dobbiamo farlo non è indifferente.

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    2. Certo che mi interessa! Il 7 maggio dovrò 'sfollarmi' da casa mia alle 6 del mattino perché è stata rinvenuta nei pressi una bomba della II guerra, pensa te! Il discorso green non ha funzionato? Beh... pensa ai guai che ci sta facendo passare quello scienziato di Conte con il degno Gualtieri...all'epoca funziono' tutto alla perfezione, secondo loro.... e comunque concordo con la reazione dei mercati. Ma ci hanno provato!

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  11. Il processo di transizione perenne (asintotico) verso una unione sempre più stretta, previsto nei Trattati UE, ha subito alcune pesanti sconfitte politiche, come la bocciatura di Francia e Olanda nei referendum popolari del 2005 sulla Costituzione Europea.
    L'Unione "sempre più stretta" è in realtà nata come un ambiffffioso progetto federale, da realizzarsi nel tempo e con l'aiuto delle molteplici emergenze, secondo le modalità efficacemente illustrate da Monnet, da Amato e da Jean Claude Juncker.
    Il motivo di questa apparente inadeguatezza del progetto appare molto chiaro: perché forzare le tappe del percorso unionista, quando i Trattati di per sé già garantiscono "un mercato interno basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi e un'economia sociale di mercato fortemente competitiva"?
    Una volta garantita la libera circolazione di persone, merci e capitali e scritte le regole liberiste fondamentali dei Trattati, con una BCE che fa il cane da guardia "indipendente" contro le Costituzioni democratiche e "lavoriste", cioè per le élite finanziarie internazionali, il grosso del lavoro è stato già compiuto.
    Non restava che raccogliere le occasioni che la Storia non avrebbe mancato di offrire, come le crisi finanziarie, pandemiche e belliche.
    L'esercito europeo e gli eurobond per gli armamenti non sono previsti dai Trattati?
    Ma che importa!
    È un'emergenza!
    Cambiamo subito i Trattati, magari con decisione a maggioranza semplice, altrimenti Putin ci ammazzerà tutti.
    Questa Unione svolge perfettamente la sua funzione di strumento di aggressione alle condizioni di vita, lavoro, salute, reddito dei lavoratori e dei popoli europei, a tutto vantaggio della ristretta oligarchia che guida e beneficia del progetto.
    Il problema per noi oggi però non è soltanto lo zoccolo duro del PD, questa sinistra che ha tradito la propria "mission", pro unionista, ideologica e fanatica, dal momento che c'è anche l'altro zoccolo duro della grillanza che raccoglie il disagio del sottoproletariato e dei giovani prevalentemente al sud.
    Se la produzione industriale scenderà ancora, come segnala l'Istat, prevedo mesi difficili, circondati da alleati guerrafondai già con la baionetta innestata e il rosario di granate in cintola.
    Dovremo fare lo sforzo di non appiattirci sull'allegato più forte oggi e di tenere la barra dritta sulle nostre posizioni e non sarà facile. Ma sono fiducioso che non ripeteremo l'errore compiuto con Draghi e che questa coerenza ci porterà consensi alle elezioni europee, nonostante le quotidiane aggressioni di stampa e TV.

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