(...in settimana dovrei restituire tre referee report a tre distinti giornali: due in classe A - seconde letture - e uno Scopus - i colleghi sanno di che si tratta. I primi due, fra l'altro, sono seconde letture. Mi pare sia invalso l'uso di assegnare ai paper su temi "caldi" - che sono quelli dei quali mi occupo io - tre referee. Inoltre, almeno Elsevier, probabilmente la più rilevante fra le case editrici, ha preso l'abitudine di inviarti, quando ti chiede la seconda lettura, anche i report degli altri peer reviewer - Bagnai pirreviuuuueeeeeer! - il che, in un certo senso, costituisce una specie di pirreviù della pirreviù, perché dai rapporti degli altri puoi capire se le tue preoccupazioni e le tue curiosità circa il paper erano o meno condivise da altre persone che l'editor ha ritenuto, come te, competenti a livello internazionale, ma delle quali non sai assolutamente un accidenti di nulla - oddio: di una di queste una cosa la so, ed è che pensa che l'uscita dall'euro sarebbe un disastro perché sarebbe un disastro: argomentazione molto scientifica che si evince dal suo report. Non posso dirvi di più perché la pirreviù dev'essere anonima: se non è anonima, che pirreviù è? Tuttavia, non sempre le riviste in economia rispettano la regola del "doppio cieco" (tu non sai chi ha scritto, e chi ha scritto non sa che tu lo hai valutato) - e infatti quelle che lo fanno lo dichiarano, il che significa che spesso, come referee, mi viene detto chi è l'autore del lavoro, e, in ogni caso, è facilissimo, in tempi di Internet, risalire ad esso: nella maggior parte dei casi basta mettere in Google una qualche frase del paper per reperirlo su qualche "research repository" di qualche Intranet di qualche università. Molti paper prima sono stati working paper, proprio per consentire alla comunità scientifica un primo scrutinio dei risultato, prima di sottoporre questi a una rivista che ne certifichi la definitiva validità - che è parola diversa da "verità". Quindi capire chi ha scritto cosa è piuttosto semplice, ed è anche la prima fonte di conflitto di interessi, data la natura intrinsecamente faziosa e mafiosa della mia professione - nel male e nel bene! L'idea che un paper venga "stoppato" - alla Bergomi, noto pirreviuer della nazionale italiana - semplicemente perché prodotto da un esponente di una scuola di pensiero o di una cordata accademica avversa alla propria, nonostante le analisi proposte siano perfettamente valide, e magari nonostante tu sia d'accordo, anzi, magari proprio perché sei d'accordo, hai scritto anche tu un lavoro simile che è in valutazione, e non vuoi che il lavoro del tuo concorrente esca prima del tuo!
Del resto, vi ho raccontato due mie esperienze di autore che "subiva" pirreviù altrui, proprio per spiegarvi la logica del metodo. Una riferita a un paper sulla Cina, inviato a una rivista in fascia A, e poi pubblicato in parte come capitolo di un libro edito da Routledge, e in parte come articolo su una rivista in fascia A migliore della prima cui mi ero rivolto. La risposta del referee fu che il mio articolo andava respinto perché prevedeva che la Cina non sarebbe cresciuta per sempre al 10%. In effetti l'articolo, nel 2007, prevedeva per la Cina del 2017 una crescita molto simile a quella che si sta manifestando - un rallentamento, in particolare - perché questo era implicito nei parametri strutturali dell'economia cinese valutati secondo un approccio assolutamente ortodosso - un modello di crescita à la Solow. La verità in quel caso era (come ho poi saputo, perché sei miliardi non è un numero infinito, e la comunità scientifica è un insieme molto più ristretto) che il referee, un cinese, semplicemente temeva che un modello fatto meglio del suo entrasse nel mercato, e quindi voleva tenermi fuori. Sarebbe stato l'editor a dover valutare la coerenza del rilievo del mio collega: ma gli editor preferiscono tenersi il prestigio della loro carica ed evitare le grane. Ovviamente questo implica che si lascino spesso sfuggire lavori che darebbero prestigio alla loro rivista semplicemente per il semplice fatto di riportare previsioni azzeccate. Mi avete mai visto preoccupato per il rallentamento dell'economia cinese negli ultimi anni? Non credo. Eppure quanti, da anni, vanno vaticinando di una crisi epocale che però... però... non arriva mai! Certo, alla fine qualcosa succederà, chi può negarlo! Ma intanto è successo quello che diceva il mio modello, tant'è che quando i conformisti di Project Syndicate hanno - finalmente - detto che era ora di smettere di preoccuparsi del rallentamento dell'economia cinese io ho commentato con un laconico "I never did"... e ho cominciato a preoccuparmi!
La seconda riferita al paper sull'impatto macroeconomico di una dissoluzione dell'Eurozona, che in una versione precedente, sottoposto a un'altra rivista di classe A, era stato rifiutato dal referee con questo argomento: "Sulle simulazioni non ho nulla da dire, mi sembrano sensate, ma l'autore dovrebbe anche riportare argomenti a favore dell'euro". Evidentemente il calendario del referee era fermo al 1990, anno in cui trattare dei pro e dei contro sistematicamente avrebbe avuto un senso - e infatti non lo si fece. Nel 2017, alcuni decenni dopo, la letteratura sui pro è striminizita e per lo più in conflitto di interessi - essendo quasi tutta finanziata direttamente o indirettamente dalle istituzioni la cui sopravvivenza è legata all'euro - mentre quella sui contro è piuttosto ampia e articolata. Insomma: secondo il referee avrei dovuto fare come Hegsted: ignorare una letteratura ampia e in crescita e concentrarmi su una letteratura minoritaria e un pochino claudicante. Se lo avessi fatto, il mio paper sarebbe stato Lascientifico, cioè conforme ai suoi pregiudizi.
Voi mi conoscete, e quindi sapete che io interpreto in modo diverso il mio ruolo di pirreviuer. Basta un dato: difficilmente un mio report è meno lungo di tre pagine, e in ogni caso contiene tutte le parti che deve contenere secondo scienza e coscienza: una mia sintesi del lavoro, perché l'autore possa valutare se io ho capito cosa lui vuole dire; un mio elenco di osservazioni principali, di cui l'autore deve tener conto se vuole pubblicare il lavoro - se ho da farne - accompagnate sempre da indicazioni costruttive, dall'indicazione di altri studi che potrebbe voler o dover tenere in considerazione, ecc.; un elenco di osservazioni secondarie, che spesso sono sviste o ingenuità espositive sulle quali intervenire per dare coerenza al lavoro; un elenco degli errori fattuali - refusi, errori grammaticali o sintattici, ecc. Non ho mai, e dico mai, scritto come referee i "no perché no" che ho letto come autore (sopra vi ho dato due esempi). Ma io ho un'etica, che non posso chiedere a tutti di avere.
Da cosa traggo quindi la mia fiducia nel metodo scientifico?
L'avrete capito: da me stesso. Ho fiducia nel metodo scientifico perché sono uno scienziato, so come lavoro, e so di non essere una persona eccezionale. Il fatto che nella mia carriera abbia incontrato più di un paio di coglioni nulla toglie al fatto che io, o i miei colleghi di dipartimento - coi quali spesso ci scambiamo idee sui referaggi che dobbiamo fare - lavoriamo bene perché abbiamo deciso di lavorare bene. Lo stesso suppongo accada in tanti altri dipartimenti, e infatti, al netto di questi due imbecilli - un cinese e un Leuropeo - dei quali vi parlo sopra, normalmente i miei lavori hanno risentito sempre positivamente delle osservazioni dei pirreviuer - incluso il più controverso, quello sulla dissoluzione dell'Eurozona.
Questo è quello che dovrei fare. Quello che farò è una cosa diversa: a ovest della mia attuale residenza ci sono delle scogliere di granito. Ci porterò la mia famiglia. Ma prima condivido con voi qualche riflessione...)
Il post precedente suscita una quantità di riflessioni pressoché sterminata, molte decisamente fuori portata per chi non fa il mestiere della scienza, e alcune anche per chi lo fa, poiché riconducono ad aporie che questo mestiere ancora non ha risolto, né credo potrà mai risolvere, data la sua natura intrinsecamente politica (l'uomo è un animale politico, per il semplice fatto che vive per lo più in polis - un po' come api e formiche, che però, come sapete, hanno da tempo fatto il loro referendum, scegliendo la monarchia assoluta come regime più confacente ai loro bisogni: e un giorno governeranno il globo quando noi ci saremo suicidati).
Credo però che il suo messaggio principale sia assolutamente accessibile a tutti, e tutti dovrebbero rifletterci, anche alla luce dell'elzeviro - torna l'Elsevier! - di apertura. Vi ricordate di quando Maurice Chevalier rammentava che la vecchiaia non è poi così male, se si considera l'alternativa? Ecco: il senso del post precedente era proprio questo: anche la Scienza, e perfino Lascienza, non sono poi così male, se si considera l'alternativa.
Ai più torpidi, per nascita, perché in vacanza, perché oppressi dalla digestione, fornisco la chiave di lettura.
Quello che rende la vecchiaia preferibile alla sua alternativa è che questa, cioè la morte, per definizione non consente di valutare alternative. Da morto non hai scelta. Da vecchio sì (inclusa quella di non volere scelta). Ora, come credevo dovreste aver capito, nonostante gli inevitabili conflitti di interessi, nonostante le ovvie fallacie del processo di peer review, nonostante la natura umana e quindi fallibile dei suoi praticanti - solo Marione nostro si crede Dio e parla di irreversibilità - la Scienza consente sempre di valutare alternative. Magari non subito. Ma lo fa.
Tanto per essere chiari, Virchow, di cui vi parlavo nel post precedente, quello che affermava e rivendicava la natura "politica" (cioè sociale) della scienza medica, oltre a questa cosa, giusta, ne ha dette anche tante sbagliate: lui, per esempio, nonostante sia stato un pioniere della patologia cellulare, pare - così dice la fonte delle fonti - che avesse idee oggi superate sul ruolo dei batteri, e nonostante abbia fatto molto per promuovere l'igiene - anche come amministratore pubblico - pare che in alcuni casi sottovalutasse l'importanza di lavarsi le mani: un gesto semplice, che se pure in un caso documentato ha portato a una morte ingiusta (ma va anche detto che quello lì se l'era cercata), ha senz'altro contribuito in modo drastico all'abbattimento dei tassi di mortalità e di mortalità infantile - Pasteur potrebbe spiegarci perché, e qualcuno di voi avrà le statistiche. Si può dare un contributo importante e dire delle cazzate, le due cose sono perfettamente compatibili: se dell'uomo la storia tratterra il primo o le seconde dipende molto dall'uomo, ma il punto è che la Scienza procede (o retrocede) consentendo di valutare.
Insomma: gli stessi motivi che ci devono far guardare con sospetto chi nega la natura sociale delle scienze, devono però farci guardare con fiducia alle scienze.
Da qui in giù ci sarebbero mille considerazioni da sviluppare, riguardanti in particolare le contraddizioni e le asimmetrie con le quali i media trattano due dibattiti apparentemente scollegati, ma dei quali vi ho mostrato i sorprendenti (?) isomorfismi: quello economico e quello medico. Non ho tempo di farlo. Voi ora siete tutti presi da un tema che non mi interessa particolarmente, e allora vi fornisco due elementi che servono a problematizzarlo, e a darvi ulteriori intuizioni sul mestiere della scienza.
Il primo è che i conflitti di interesse sono ovunque. Esempio: nel dibattito che vi interessa, e che non interessa me se non in quanto reagente che sta mettendo in evidenza il peggio di chi lo ha dentro, qualcuno poco fa ha citato questo articolo. L'articolo (che ha avuto 70 citazioni su Scholar, di cui pochissime da riviste peer reviewed) stabilisce una correlazione fortissima fra mortalità infantile e numero di vaccinazioni, con un p-value inferiore a 0.0001 (un decimillesimo). Cos'è il p-value? Senza entrare troppo nel tecnico, il p-value è la probabilità che i test effettuati rifiutino una ipotesi vera.
Accipicchia... nel caso in questione, quindi, la probabilità che non esista un legame fra dosi di vaccini e mortalità infantile risulterebbe inferiore a un decimillesimo.
Bene: il dibattito muore qui?
Non credo.
Il dibattito morirebbe qui... se non ci fosse una prospettiva alternativa! Ve ne fornisco due.
Intanto, i conflitti di interesse non ce li hanno solo i Lascienziati cattivi (quelli del "20 con la bocca e 50 con la pirreviù"). Infatti gli autori dell'articolo sono stati costretti dalla rivista a un lunga disclosure dei loro conflitti di interessi, che potete leggere qui. Non erano "ricercatori indipendenti" (come una Banca centrale, e come si erano dichiarati nella prima stesura dell'articolo), ma rivestivano cariche di responsabilità in ONG (ahi!) con una precisa mission, e il loro studio era stato finanziato dai genitori di un bambino deceduto in seguito a una vaccinazione (una cosa che succede: anche la medicina che sto prendendo potrebbe uccidermi, o almeno mandarmi in coma, e lo so: infatti la prendo sotto il controllo di un medico). Adesso qualcuno sclererà (ma so anche di avere le spalle abbastanza larghe): eppure, oggettivamente, questo lascia supporre un problema del tutto isomorfo a quello del nostro amico Mark, che riceveva dal nostro amico John la lista dei paper da distruggere, perché, come dice la nostra amica Marion (tutto nel post precedente) in tutta evidenza e secondo i documenti Mark sapeva cosa John si aspettava, e lavorava per darglielo.
Come evitare questi sospetti?
E, più in generale, basta un sospetto, o la certezza, di un conflitto di interessi, a invalidare uno studio in un senso o nell'altro?
Possiamo spingere così lontano la consapevolezza (che deve essere comunque piena e assoluta) della natura politica delle scienze?
Qui viene il bello (e il secondo elemento fattuale che vi offro per problematizzare le vostre certezze di dilettanti del mestiere della scienza, indipendentemente dal loro segno)!
In teoria, i Lascienziati se la cantano e se la suonano con l'idea che loro fanno Gliesperimenti, e che quindi le loro conclusioni sono verificabili perché replicabili. Anzi: i Lascienziati se la prendono tanto con noi, gli scienziati "sociali", proprio sulla base del fatto che i nostri studi, quelli degli economisti, intrinsecamente sono non sperimentali (non è possibile tornare con la macchina del tempo al 1980 per creare un campione di osservazioni in cui il Tesoro non divorzi dalla vigile Banca d'Italia).
Quindi, to set the record straight, basterebbe che uno studioso prendesse lo studio dei ricercatori indipendenti de cujus e lo replicasse per vedere se a lui i conti tornano, magari aggiungendo altre variabili, per vedere se la correlazione non dipenda in effetti da queste ultime. Questa cosa, voi penserete, verrà fatta di routine: magari gli stessi referee, penserete voi, andranno a replicare i risultati degli scienziati, prima di permettere la loro pubblicazione.
Ecco, invece, sorprendentemente (credo per voi, certo non per me che il mestiere della scienza lo faccio) è cosa di dominio pubblico fra gli addetti ai lavori (cioè di dominio privato) che la replicazione sperimentale dei risultati non solo non viene fatta sistematicamente, ma quando viene tentata fallisce nel 70% dei casi, compreso un simpatico 50% di casi di autori che non sono riusciti a replicare i loro stessi esperimenti (ad esempio, non hanno ottenuto gli stessi risultati).
Una calunnia? Una teoria del complotto? No: un articolo di Nature (probabilmente la più importante rivista scientifica) che vi esorto a leggere per intero e con attenzione. Se lo farete, potrete poi rileggere il post precedente tenendo in mente queste due paroline: "selective reporting". Capirete meglio cosa c'è che non andava nello studio di Mark e Fredrick e soprattutto capirete che la Scienza, che non è Lascienza, si sta occupando del problema.
Devo dirvi che a me è capitato, da referee, di andare a vedere se certi coefficienti proposti dall'autore erano veramente così come lui li raccontava, e se non riuscivo a riscontrarlo glielo dicevo. Ma questo, ovviamente, presupponeva che i dati mi fossero messi a disposizione, o la fonte fosse citata con esattezza, consentendo a me di scaricarli e riprodurre le stime. Questo oggi non viene sistematicamente fatto. Solo due riviste, finora, mi hanno chiesto esplicitamente di rendere pubblici i dati sui quali basavo i miei studi. Una ha accettato un mio articolo, del quale vi parlerò rispondendo a Cochrane, e l'altra sta valutando la mia revisione (se accetterà l'articolo, poi ne parleremo). Se non ricordo male, il primo articolo all'estero l'ho pubblicato nel 1999. Quasi vent'anni dopo constato che la comunità scientifica si sta finalmente ponendo in modo concreto il problema del consentire a se stessa - e non solo al peer reviewer, o nemmeno a questi! - di verificare, replicandoli, i risultati da essa stessa prodotti!
Come tutte le notizie, questa è buona (per la parte: finalmente) e cattiva (per la parte: finora?).
Ogni volta che vedo un p-value miracoloso mi prudono le mani dalla voglia di caricare i dati in qualche software e andare a vedere se le cose stanno proprio così. Ma nella maggior parte dei casi è impossibile. Lo sarebbe se si prendesse una decisione molto semplice, ma che nessuno vuole prendere, se non a chiacchiere: pubblicare solo studi replicati dalla rivista e che mettano in condizione almeno gli altri studiosi del settore di replicare i risultati - e la prima condizione è fornire sistematicamente dati e codici.
Questo, è bene lo sappiate, quando parlate di Lascienza, non viene ancora fatto in modo sistematico.
Eppure, nonostante questi ovvi limiti del mestiere della scienza, la vita media si è allungata, ed è anche per questo che, come ci ricorda il poeta in un album coevo der Palla, l'uomo moderno passa più tempo nervosetto...
Ecco, fatemi questo cazzo di favore: datevi tutti una calmata, se ne avete bisogno trangugiate la medicina per gli approcci e che sia di giovamento a voi e soprattutto al vostro partner (poi dice che il progresso scientifico non esiste...), e dopo tornate qui, se volete imparare cosa sia il mestiere della scienza. Qualche studio, nel mio campo, io l'ho replicato, e ve ne parlerò al #goofy6. Ma perché possiate anche voi, come me, rotolarvi per terra dalle risate (soprattutto pensando alla spocchia di certi editor), occorrerà che acquisiate qualche rudimento del mestiere...
L'estate è ancora lunga... e per voi tutta in salita! Io vado dal granito. Se torno, leggerò con grande divertimento i vostri simpatici scleri dell'una e dell'altra parte.
L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
mercoledì 2 agosto 2017
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Sul lavarsi le mani per salvare vite (ante Pasteur) e il rapporto difficile tra lo scienziato e Lascienza, mi piace ricordare, di autore a lei non troppo grato, La Vie et l'œuvre de Philippe Ignace Semmelweis.
RispondiEliminaA proposito di Lascienza e Scienza, un video esplicativo redatto da Claudio Messora di un paio di giorni fa.
RispondiEliminahttp://www.byoblu.com/post/2017/07/30/la-scienza-oggi-davvero-scientifica-non-perche.aspx .
Conferma quanto Lei dice e riporta su "repricabilità del lesperimento".
Qui la lettura dell’articolo pubblicato su Saluteuropa: “La scienza è in crisi: i ricercatori non sanno più riprodurre e confermare molti degli esperimenti moderni".
RispondiEliminala scienza e' soprattutto un metodo e dipende, in larga parte, dall'etica dello scienziato. Non vi e' niente di male ne' nei conflitti di interessi, ne' nelle inesattezze dello studio dato che solo Dio possiede la verita' e, per definizione, l'onniscienza e' una astrazione metafisica. Cio' che invece e' ascientifico e' la violazione anche delle regole del metodo: omissione dei dati rilevanti, ignoranza della letteratura rilevante, tendenziosita' mella selezione delle fonti e delle variabili per manifestare conclusioni coerenti con le premesse essendo queste non rappresentative della realta'.
RispondiEliminaNon c'e' niente di male nel non avere capito tutto semplicemente perche' non si puo' capire tutto. La scienza e' un processo e a Newton non si puo' rimproverare di non conoscere i quanti da chi grazie alla sua mela solo puo capire perche' l'acqua del mare gli bagna i piedi invece di sciacquargli la testa.
L'onesta' pero' e' prescientifuca per questo il suo rispetto e' un dovere credo anche giuridicamente esigibile. Lascienza della Scienza ha un'estetica (fatta di selezione, note, meticolosita' nella ordinazione dei dati e la logicita' delle conclusioni), pero non l'essenza, che e' il canone del metodo.
E in effetti la si rivonosce per questo: che e' molto elaborata e non conduce ad alcunche', quando invece la natura e' minimalista (che bello, l'ho appreso qui) e sempre contundente.
Dai frutti li riconoscerete...
Interessante la storia dei dati, perché non è solo nel mondo scientifico che non vengono messi a disposizione. Da persona che lavora nel mondo privato, ho spesso a che fare con delle agenzie che fanno ricerche per me. La pratica di dare insieme con i report i dati grezzi è grandemente insolita... perché nessuno li chiede! Così insolita che spesso alcune agenzie non li danno "per contratto", e il 90% di loro non sa come si costruisce decentemente un dataset (te ne accorgi purtroppo quando ti arrivano). Ma quelle serie te li mandano subito ed in ordine se li chiedi...
RispondiEliminaUna divertente ma piuttosto approfondita analisi del problema della riproducibilità dei risultati e dell'uso scorretto dell'inferenza statistica si trova al capitolo 9 di How not to be wrong di Jordan Ellenberg (traduzione italiana I numeri non sbagliano mai, Ponte alle Grazie).
RispondiEliminaL'autore cita tra l'altro questo paper di John Ioannidis, un ricercatore citato anche nell'articolo di Nature: sembra quindi che almeno in medicina il dibattito sull'argomento sia iniziato già da qualche anno.
nessuno sclero.. ho fatto il ricercatore fino a qualche mese fa e conosco perfettamente (perche' vissuto sulla mia pelle) le dinamiche esposte in questo post... purtroppo...
RispondiEliminaQuando si parla di conflitto di interessi in ambito scientifico, si pensa spesso alla grande multinazionale che paga fior di milioni per finanziare studi di parte dal dubbio valore, per i quali lo scienziato di turno si prostituisce senza scrupoli.
RispondiEliminaMa esiste anche un altro conflitto di interessi, quello dei 'piccoli e medi dipartimenti', che un tempo erano forse l'eccellenza del nostro sistema universitario (adesso non esistono più, ci sono macro-dipartimenti ottimizzati in nome di una presunta efficienza amministrativa). Se è vero che ci si può prostituire per mancanza di morale e di amor proprio, più spesso il piccolo scienziato si deve prostituire per il pane, suo e del suo gruppo di ricerca. Invece di indirizzare i finanziamenti, al contrario l'università è costretta ad elemosinarli.
La logica dietro l'attuale sistema peer-review (che comprende non solo la review in sè, ma anche tutto il sistema di citazioni, journals e case editrici) sta diventando autoreferenziale per sopravvivenza, e i danni si vedono a tutti i livelli. La pubblicazione, da mezzo per diffondere il Sapere nelle comunità e per difendersi dai ciarlatani, sta diventato un fine.
Non è possibile che ricevo più mail che mi invitano, con uno stile degno del più improvvisato call-center, a pubblicare (a pagamento!) sul Mondial Journal of Fregnaccia piuttosto che mail su pillole blu. Vuol dire che il Sistema vede l'Accademia, da Harvard al dipartimento di Fosso Conocchio, come un pollo in crisi da spennare o da usare per i suoi scopi.
Forse bisognerebbe fare come con la moneta. Ad ogni nazione, e ad ogni diverso sistema accademico, un suo sistema di controllo/gestione della ricerca e delle pubblicazioni, compatibile con la sua cultura (modo di vedere) della scienza. Come con le economie, ciò favorirebbe gli scambi e la prosperità dei saperi.
Una volta le pubblicazioni erano negli "Atti/Bollettini dell'Università/Accademia/Società XYZ" e non si passava da Springer o Elsevier ma da società editrici locali. In quei vecchi scritti si trovano spesso delle perle. Tra l'altro, nell'era digitale, non servono grandi doti di tipografo per organizzare il layout di una rivista: se non si deve colorare un libro per la scuola media, basta un buon template LaTeX.
E adesso vado a calmarmi e a prendere la mia medicina
I progressi reali accadono 1) in tempo di guerra, 2) quando ci lavora un prodigio (da Einstein a Godel a Mozart, eccetera). Nessuna scoperta di rilievo da circa un secolo, direi.
RispondiEliminaCioè dalla fine della prima guerra mondiale. Mi sa che ti sei perso bazzeccole come la plastica e i transistor, ma niente di rilevante, tranquillo
EliminaOT - Misteri gaudiosi...
RispondiEliminaPerche' cercando con google "European people history" escono praticamente solo immagini di neri ed arabi?
Non sara' che l'AI di google sta riscrivendo la storia un po' troppo in anticipo?
Assurdo. Ho appena controllato ed è vero PS e non uso nemmeno google, ma un altro motore di ricerca!
EliminaQuando leggo e ascolto le parole di uno scienziato che "ha un'etica", diventa molto più facile darsi una calmata. Perché chi ha un'etica come te non nasconde la polvere della scienza sotto il tappeto, ma ne parla apertamente continuando a fare ricerca e produrre risultati per l'uomo e la sua polis.
RispondiEliminaAlberto, permettimi di dirtelo: "la tua scienza, il tuo essere scienziato è democratico".
Grazie
Quando aottobre del '16 ho iniziato a studiare immunologia, mi è stato presentato Ignác Fülöp Semelweiss.
RispondiEliminaNato nel 1818 a Budapest, studiò a Vienna. Per questioni di baronie (castacriccacoruzzione, ma asburgica)(#perdire), e non trovando una collocazione, si rivolse all'ostetricia e alla chiururgia. Nel 1846 divenne assistente del dr. Joann Klein a Vienna, dove su indicazione del suo maestro Rokitanski gli fu permesso di dissezionare i corpi delle puerpere defunte.
Però qui il luminare Johann Boër, predecessore di Klein, si era rifiutato di dissezionare le donne per studio accademico: consentiva esclusivamente autopsie patognostiche, prima di cedere il posto per raggiunti limiti di età.
Il nostro Semmy constato che ai tempi di Boër le morti di parto per febbre puerperale erano intorno all'1%, mentre con la direzione Klein , dal 1822 (15/20 dissezioni al giorno per scopi di insegnamento, e nessuna camera di compensazione tra queste e le visite interne alle puerpere) si era arrivati intorno al 15-20% (un dato a cui tende la Grecia odierna, vedi alla voce Lastoria Nontinzegna).
E che ti scopre poi? Che nella divisione di Bartch, aperta da Klein per addestrare le infermiere di ostetricia, non morivano proprio. Perlomeno, non di febbre puerperale.
Nello stesso edificio.
All'inizio diede la colpa al prete (un po'lo capisco), poi all'aria, poi ai fluidi vaginali, insomma, non ne veniva a capo.
Colpo di scena.
Un bel dì muore un collega, Kojetchka. Si era ferito praticando la dissezione di una morta di FP. E lui la spara grossa: vuoi vedere che la FP di passa da paziente a medico a paziente?
Fa lavare le mani con la calce, e cambiare le lenzuola.
In tre anni, mortalità all'1%.
Senza di lui, Pasteur avrebbe fatto grondaie.
Epperò... Klein si incazza. Questo offende il personale dandogli degli zozzoni, butta un sacco di soldi in lavaggio lenzuola (spesapubblicaimproduttiva) e insubordina, vietando a chi ha fatto autopsie di accedere al padiglione.
Lo licenzia.
Gli fa terra bruciata intorno.
Lo fa (pare sia stato lui) internare in manicomio, dove morirà di percosse a 47 anni.
Morale?
"Nihil sub sole novi".
Conflitti accademici, pregiudizio, baronie, prestigio e testediminchia che allegramente rifiutano l'evidenza empirica pur di non essere contraddetti.
Ovvio, il bannatore col brevetto non fa internare la gente (staccato), ma se potesse, farebbe il Klein della situazione.
Perdonate la pedanteria alta, ma i miei docenti alla Statale di Milano (una è consulente OMS per l'influenza, che sarà la prossima vera pandemia letale) non si sognerebbero MAI di dire che certe punture sono esenti da rischio.
Ho grafici a capriole sulla mensola, ma per oggi ho annoiato anche troppo.
Questo dello spiegare al cittadino cosa fa la scienza è un grande forse enorme problema. Nel trattarlo (esplicitamente come in questi e alcuni altri post o implicitamente in tutti gli altri) Bagnai secondo me è un maestro. Tanta accortezza e profondità l'ho trovata forse solo in vecchi e dimenticati fisici.
RispondiEliminaFidati, non è una buona idea linkare il Manifesto. Specialmente considerato che richiede una sottoscrizione per essere letto, da che deduco che lo finanzi
EliminaNon finanzio il manifesto semplicemente perché non mi piace. Si possono leggere 8 articoli al mese senza pagare. So bene che il padrone di casa non è grande amico del manifesto, ho riflettuto prima di inserire quel link: è un articolo ben scritto che parla di vecchi libri sul tema della non-neutralità della scienza, libri che in un'epoca lontana (anni '70) hanno provocato un certo fastidio nell'intellighenzia di sinistra e ancora oggi sono un riferimento per chi fa filosofia e sociologia della scienza. Queste spiegazioni non te le devo, visto che non sei il padrone di casa. Ma io sono gentile.
EliminaOgni tanto un mio amico medico, prof e ricercatore mi gira roba che gli arriva in peer review ingozzata di chimica che lui non sa da che parte prendere. E con sommo stupore, nel dibattito sanitario/legislativo più rovente degli ultimi tempi, ho letto Pinco, invariabilmente medico, farsi avanti e dire laqualunque (cazzatona), allargandosi a chimica, tossicologia, farmarcologia. Con i capelli ritti, su questo o quel social, ho eccepito. E ho aperto gli occhi su un abisso che mai avrei voluto vedere, ma come in economia, pullula di gente che "sa di sapere" alla faccia di dati tossicologici del NIH e non dello "state of the art", ma dell'abc della disciplina, quello che insegna che il destino di uno xenobiotico iniettato sottocute, o endovena, è diverso da quello di uno xenobiotico amministrato per os...
RispondiEliminaQuesti due ultimi post mi hanno fatto apprezzare tantissimo la mia beata ignoranza, e per dirla alla Don Buro di Vacanze in America: "Beata la gnoranza chi stai bene de mente, de core e de panza" :)
RispondiEliminaNel mio campo sono a posto: i bug devono essere riproducibili altrimenti non si correggono!
RispondiEliminaGià, perché da noi fuffologi non se ne sono mai visti. E annamo, alzi la mano chi non ha mai rassicuranto un cliente dicendo "Tranquillo, è tutto OK" senza esserne davvero sicuro. Io l'ho fatto, per esempio sostituendo a caldo le batterie di un UPS senza essere certo che l'UPS supportasse l'operazione. E non è nemmeno la decisione più risky che ho preso/visto prendere nella mia vita professionale, conosco uno che è riuscito a spegnere un DC di 9000 macchine con un test di failover della linea elettrica.
EliminaSono pazzi questi scienziati
RispondiEliminaTrovo molto importante l'ulteriore allargamento di visuale che sta portando avanti sul blog ultimamente, lo apprezzo molto e la ringrazio ancora una volta per il suo lavoro (in moneta forte per a/s come al solito).
RispondiEliminaSegnalo due link semi-seri (semi- perché vengono da Nature, e lei ben nota come il prestigio sia spesso in conflitto con la serietà):
- sui conflitti d'interesse della ricerca "dura" (soprattutto verso la fine):
http://www.nature.com/news/europe-pauses-funding-for-500-million-fusion-research-reactor-1.22165
e ad occhio qui Leuropa ci cova
- un crescente dibattito a riguardo dei p-value:
https://www.nature.com/news/big-names-in-statistics-want-to-shake-up-much-maligned-p-value-1.22375
Breve nota personale sulla peer-review: nella mia non lunga ma nemmeno troppo breve esperienza, la peer-review ha certamente aumentato la fiducia nella mia professione e, perché no, nel genere umano in generale. Con le dovute eccezioni, ho ricevuto quasi sempre commenti costruttivi, a volte addirittura profondi. Io cerco di fare la mia parte... certo che quando arriva l'ennesimo paper scritto in cinese maccheronico...
Buone scogliere, io ahimé per quest'anno ho già avuto la mia dose, e dovrà bastare per un po'.
OT - poi vennero a prendere i farmacisti...
RispondiEliminahttps://www.google.it/amp/s/amp.tgcom24.mediaset.it/articolo/377/3087377.html
A proposito non di peer review ma di semplici recensioni.
RispondiEliminaLeggendo Internazionale per anni mi è capitato di imbattermi in sunti di articoli apparsi su Alternatives écomomiques. Mi ero sempre chiesto che tipo di rivista fosse, visto che non capivo dove andassero a parare le loro analisi. Oggi apprendo su Wikipedia che: Proche du keynésianisme, Alternatives économiques traite également des thèmes altermondialistes et se montre critique vis-à-vis du néolibéralisme et de l'école néoclassique. Le journal revendique explicitement une ligne éditoriale « de gauche ».
La ragione di questo mio interessamento è la recensione al libro di Stiglitz fatta dal direttore, tale Duval, di professione ingegnere (Stiglitz replicherà spiegando come di costruisce un grattacielo su una rivista di ingegneria?)
Ne riporto alcuni passaggi, lasciando a voi il giudizio:
Ce qui est irritant dans ce contexte de la part d’un économiste progressiste comme Joseph Stiglitz – il est loin d’être le seul –, c’est son incompréhension manifeste de l’enjeu politique de l’affaire : l’euro est d’abord un moyen de marquer une rupture avec l’approche libérale de l’Europe-marché. Jusque-là, le marché unique se caractérisait en effet non seulement par le dumping fiscal et social, qui restent tous deux très problématiques aujourd’hui, mais aussi par le dumping monétaire. On avait bien tenté de le limiter en organisant des systèmes de changes fixes et ajustables entre les monnaies européennes mais cela n’avait jamais fonctionné durablement. L’euro y a mis un terme en transférant un élément essentiel de souveraineté vers l’Union : il permet enfin de la doter de politiques communes, les politiques monétaire et de change, autres que la sacro-sainte politique de la concurrence.
Il faudrait également, nous dit Stiglitz, « des règles pour limiter les excédents commerciaux ». Il a, là aussi, raison : les excédents commerciaux excessifs de l’Allemagne sont au cœur des dysfonctionnements de la zone euro. Mais de telles règles ont déjà été introduites dans le Six Pack en 2011, un progrès majeur pour la zone euro. Et ce qui manque surtout, pour l’instant, c’est suffisamment de courage politique à la Commission européenne pour les utiliser et dénoncer publiquement ces excédents allemands.
Il faudrait, nous dit-il encore, « une politique monétaire qui se préoccupe davantage d’emploi, de croissance et de stabilité et pas seulement d’inflation ». Les politiques français, de droite comme de gauche, ont constamment voulu l’euro depuis les années 1970 pour récupérer une partie de la souveraineté monétaire perdue de facto du fait de l’affaiblissement du franc. Et éviter ainsi que la politique monétaire européenne continue d’être déterminée de façon unilatérale par la seule Bundesbank allemande, qui ne se préoccupait en effet que d’inflation, et pas de croissance et de chômage. Sur ce plan, quoi qu’en dise Joseph Stiglitz, l’euro a atteint ses objectifs.
La BCE est engagée aujourd’hui dans une politique monétaire extrêmement expansive : son bilan dépasse désormais celui de la Réserve fédérale américaine. Et ce sont surtout les représentants de la Bundesbank en son sein qui critiquent cette politique : deux d’entre eux avaient d’ailleurs démissionné de son board en 2011. Mais dès avant la crise, le principal reproche qu’on peut faire à la BCE sur la période 1999-2008 est déjà d’avoir mené une politique monétaire trop expansive, ayant gonflé des bulles spéculatives dans toute l’Europe du Sud.
Non vado oltre. Noto solo una cosa, cercando nei numeri arretrati della rivista mi sono imbattuto in un articolo su un argomento di estrema importanza per una testata che si spaccia per essere altermondialista, i sistemi agroecologici. Beh, sembrava una ricerca fatta da alcuni alunni delle scuole medie inferiori.
Fatta da loro, sì, sarebbe stata un ottimo lavoro. Fatta da questa gente tradisce probabilmente la realtà, ovvero che più che imbecilli trattasi di ignavi fannulloni.
A proposito di etica dello scienziato, de Lascienza e conflitto di interessi nel campo della ricerca mi è venuto alla memoria il caso di questo fisico tedesco https://de.wikipedia.org/wiki/Klaus_Robock
RispondiEliminaChi era Robock ?
Uno scienziato con un qualche curriculum di rispetto, che venne arruolato dall' AIA, l' associazione internazionale dei produttori d' amianto, ufficialmente con il compito di "supervisione delle metodologie delle polveri negli ambienti di lavoro", ma secondo l' accusa della Procura di Torino per depistare le evidenze, confutare le ricerche, occultare le prove della pericolosità dell' amianto per la salute umana, ed in particolare per i lavoratori esposti.
Il suo ruolo è ben descritto nelle pagine 39 e seguenti del libro di Giampiero Rossi dal titolo "Amianto, processo alle fabbriche della morte", nel quale viene dettagliatamente ricostruita la catena di omissioni e occultamento delle prove scientifiche da parte della dirigenza della multinazionale dell' amianto.
E sappiamo com' è finita, la lunga storia del processo Eternit
http://notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/Morti-per-amianto-ennesima-sentenza-di-assoluzione-per-i-manager/
La scienza per fortuna ha annoverato tra le proprie fila anche studiosi come Irving J. Selikoff
https://en.wikipedia.org/wiki/Irving_Selikoff
l' epidemiologo americano che a partire dagli anni '60 diffuse in tutto il mondo la conoscenza sulla pericolosità dell' amianto.
Per esemplificare la tragedia dell' amianto di Casale Monferrato, sarebbe sufficiente raccontare la storia di Romana Blasotti Pavesi, che ha perso a causa del mesotelioma il marito Mario di 61 anni, la sorella Libera, il nipote Giorgio, la cugina Anna e la giovane figlia Maria Rosa. Cinque familiari falciati da quella fibra di amianto inalata nelle vie aeree non solo dai lavoratori della fabbrica, ma anche da familiari e abitanti di Casale Monferrato.
Gli studi epidemiologici sono terribili in proposito, e le morti purtroppo non finiranno, perché le fibre inalate producono effetti a distanza di alcuni decenni dall' inalazione.
Ora, così giusto per ricordare che esiste una solidarietà di classe, voi ricordate gli applausi che Confindustria dedicò alla notizia dell' assoluzione di Schmidheiny, vero ?
Del resto, tale solidarietà è ovvia, dal momento che per foraggiare e alimentare le lobby, occorre la pecunia e ad essi non fa difetto.
Caro Professore,
Eliminaho letto con attenzione il suo post precedente e ho letto ora il presente. Volutamente non ho letto i commenti per evitare di lasciarmi influenzare (è parte del metodo che mi è stato insegnato: a volte funziona, altre volte no, lo so!) Mi scuso, pertanto, se ripeterò cose già dette. Ci tengo a precisare che, ex post, leggerò, comunque, tutti i commenti e, eventualmente, ritornerò sui miei passi (come mi è stato insegnato: dì quello che pensi di poter dire, liberamente, e poi vedi se qualcuno l’ha già detto o già l’ha confutato).
Le buone maniere esigono che io mi presenti: ho una formazione scientifica (laurea e phd in fisica), attualmente ricercatore/docente presso una “Facoltà” di Economia (mi scusi ma non riesco ancora a dire “Dipartimento”) come matematico (Secs-S/06).
Le scrivo per dire quello che io ho capito, nella mia esperienza, del metodo scientifico e della peer review.
In Fisica ho pubblicato quattro lavori in fascia A (su Physical Review B) da dottorando, quindi da sconosciuto. Nessun problema!
Arrivato a Economia ho capito pienamente un libro che avevo letto al primo anno di studio: “Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche”. E la sua completa descrizione della nozione di “paradigma”.
Mi sono ritrovato tra sraffiani-marxiani che mi dicevano che la matematica non è il linguaggio più adatto e tra neoclassici amanti della matematica ma con i quali non ho collaborato visto che non concordavo con le loro ipotesi di partenza.
Insomma… una depressione!
Non ne parliamo con le riviste… Una che ti dice che il tuo lavoro è buono ma dovrebbe andare su riviste di Finanza, un’altra che ti dice che il tuo lavoro è buono ma dovrebbe andare su riviste di Insurance, etc, etc...
Non so nemmeno io se ho pubblicato da neoclassico o da eterodosso (sono state più importanti le citazioni opportune o i miei risultati?)
Devo ammettere che ringrazio la VQR che richiede solo due fasce A in quattro anni! Me la cavo da solo!
Quindi tutto vero ciò che Lei dice sulla Lascienza e pirreviù.
Per concludere sappia che anche con la Fisica si potrebbe render reale l’isomorfismo.
Ad esempio la Relatività Generale e la sua quantizzazione richiedono spazi fisici a undici dimensioni. Alcuni richiedono infiniti universi paralleli. Ahh. E se chiedi ai suoi sostenitori (come ho fatto io durante il dottorato a ricercatori che hanno contribuito a costruirla) mi hanno risposto: va bene perché è elegante…
Boh, se anche la fisica richiede eleganza e non praticità de che parlamo?
Tanti auguri, prof, nella sua battaglia!
La sua battaglia è la nostra battaglia!
EliminaLa produzione scientifica è talmente "culturale" che si vedono cose come... :
RispondiElimina- Ottimi ricercatori che sono pessimi comunicatori (come copernico, che mi pare scrivesse da schifo) o semplicemente poco portati nelle lingue (lo standard anglofono è comunque limitativo). Viceversa, c'è chi pubblica nonostante scriva in inglese de noartri -> un esempio qui: http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0139644 ("Recordered temperature were acquisited": poesia)
- ricercatori che divulgano conclusioni diverse da quelle che hanno scritto nei loro paper (questo del 2009 mi aveva fatto arrabbiare : https://www.nominaomina.org/2009/01/agopuntura-repubblica-placebo/). Il prof Bagnai lo documenta benissimo nell'ambito dell'economia, ma pure altrove non si scherza.
- il caso recente di uno studio pubblicato su science in cui gli autori traggono conclusioni affrettate sui loro stessi dati (http://www.laprimaveradellascienza.it/epic-fail-su-science-un-errore-da-dilettanti/). Il caso genera un dibattito ampio, ma quasi nessuno sembra accorgersi che ci sono sostanzialmente delle mancanze di ordine logico, non scientifico. Due anni dopo gli autori stessi "raddrizzano il tiro", ma resta il fatto che sembra che NESSUNO LEGGA.
Più in generale, @AlbertoBagnai grazie per il modo con cui si è barcamenato in questo tema epistemologico così delicato in cui da un lato uno vorrebbe evitare la faciloneria delle certezze scientiste, ma dall'altro non essere gettato, per contrapposizione, nell' "ordalia dei pupi siciliani" (cit.). Mi piacerebbe tante volte avere una tale capacità di understatement.
Tuttavia, per quanto approvi l'idea che ognuno debba occuparsi del suo settore, non riesco a non provare fastidio per chi si occupa di scienza senza interessarsi un minimo all'epistemologia. Credo che l'epistemologo in qualche modo sia costretto a entrare "in laboratorio" per capire come descrivere quel modo di acquisire conoscenza.. allo scienziato, invece, che pure teoricamente ricerca il sapere, può non importare nulla del modo in cui lo fa?
La quasi totalità dei docenti che ho incontrato sono fermi al metodo galileiano, o quando va bene al primo popper. (se a qualcuno piace lo spagnolo, consiglio questo video: http://www.laprimaveradellascienza.it/cosa-e-scienza-un-breve-excursus-sul-xx-secolo/)
Così ci ritroviamo in situazioni come questa:
https://www.facebook.com/iTrustScienceMoreThanReligion/videos/416957838658935/
estremamente (apparentemente) efficace dal punto di vista comunicativo, dove però nell'affermare il primato del metodo scientifico si finisce per supportare inconsapevolmente il relativismo più radicale*, nella totale ignoranza dei presenti. Riguardo al video:
- se il motivo per cui ci affidiamo alla scienza è che funziona, qualunque altra cosa funzioni, pur non essendo scienza, può essere oggetto di affidamento. Questo suppone che lo scienziato sia totalmente aperto a cose che anche non fanno parte del suo metodo ma che potrebbero avere pari dignità
- la scienza (quindi) non dipenderebbe dal metodo. Ci affidiamo ad essa perchè funziona, non perchè abbia un metodo che ci avvicina alla verità. Questo lo hanno sostanzialmente detto epistemologi come Feyerabend, ma nel video sembra che l'approccio "filosofico" (mostrato dal ragazzo che fa la domanda) sia un inutile orpello.
*mi fa sempre una strana sensazione notare come, all'aggiunta dell'aggettivo "radicale", si scateni subito una indefinita sensazione di negatività, per cui il lettore (compreso me, adesso!) suppone che chi scrive non sia d'accordo con quella versione dei fatti. Mi ricorda tanto l'ottimo articolo del Pedante sui moderati.
(Sono biologo, attualmente anche studente in medicina, da anni studio e pratico la medicina cinese. Sono stato a contatto con il mondo della ricerca scientifica per pochi anni e mi è bastato per vedere molte delle storture che sono state descritte nei post e nei commenti).
A proposito di p-value...
RispondiEliminahttp://www.lescienze.it/news/2017/07/31/news/statistica_riproducibilita_dati_ricerca_falsi_positivi-3616958/
Danilo