Il concerto di mercoledì prossimo, cui voi parteciperete numerosi (non eravate voi a chiederlo?), documenta uno snodo fondamentale nella storia della musica occidentale, cioè nella storia della musica: l'emancipazione della musica strumentale da quella vocale.
Fino a tutto il sedicesimo secolo il canone della musica "alta", ma non solo di quella, il suo culmine espressivo ed estetico, corrispondeva alla musica vocale polifonica (con Palestrina, per semplicità, come punto di arrivo di un percorso che nasceva almeno tre secoli prima e che si era dipanato per l'Europa seguendo a grandi linee la principale fonte di ispirazione dei musicisti, che non è Euterpe ma il denaro: quindi polifonia inglese, francese, fiamminga, veneziana, e infine romana, seguendo le alterne vicende della politica europea, dettate ora come allora dagli interessi finanziari).
Era vocale (e polifonica) anche certa musica relativamente "bassa" (come le frottole o le laudi), e tanto per capirci il carattere "alto" (colto, aristocratico) o "basso" (leggero, popolare) non dipendeva dal contenuto "sacro" o "profano", ma dalla ricerca espressiva e quindi dalla difficoltà tecnica del testo musicale. Nel '500 la musica "alta" era fuori dalla portata dei dilettanti, non fosse che per le difficoltà di lettura della notazione mensurale, e per la complessità dell'intreccio delle parti (che spesso veniva programmaticamente perseguita creando dei veri e propri rompicapo, come i cervellotici canoni mensurali). D'altra parte le laudi, cui abbiamo dedicato un disco, sono sostanzialmente dei jingle pubblicitari (per un prodotto particolarmente impegnativo: Nostro Signore).
Era conseguentemente polifonica, e in qualche modo strutturalmente subalterna alla musica vocale, anche la musica strumentale. Nel Rinascimento, e fino a tutto il Cinquecento, gli strumenti monodici (quelli che possono suonare una nota alla volta, per capirci) erano concepiti in "cori" o consort: per ogni tipo di strumento (flauto, viola, cromorno, dulciana, trombone, cornetto, ecc.) esistevano il soprano, il contralto, il tenore e il basso (oltre, in certi casi, al sopranino o al contrabbasso), e la musica strumentale era polifonica, scritta per "cori" di strumenti.
Con un esempio si capisce meglio:
e naturalmente se poteva farlo un coro (consort) di flauti poteva farlo anche un coro (consort) di viole:
ma anche uno strumento polifonico da solo:
Sono tre esecuzioni credibili, perché la scrittura strumentale, fino a tutto il Cinquecento, ancora non era idiomatica, non parlava, cioè, la lingua di un particolare strumento, non ne sfruttava le caratteristiche, ma era sostanzialmente fungibile.
Il protagonista del concerto di oggi sarà il basso del "coro" dei violini, ma di questo vi parlerà il violoncellista neoborbonico caro ai lettori storici del blog.
In effetti, all'epoca qualsiasi strumento soprano (o alto, o tenore o basso) poteva suonare una parte di soprano (o, rispettivamente, di alto, tenore, o basso) in un "coro" strumentale, tant'è che i musicisti più che negli strumenti si specializzavano nei registri (cioè: il suonatore di soprani sapeva suonare tutti gli strumenti soprani) e perfino la musica per tastiera veniva scritta in partitura a quattro voci, come fosse musica corale, e come Bach, due secoli dopo, volle fare nel suo supremo manifesto estetico:
Una deliberata rivendicazione di inattualità, com'è testimoniato dal fatto che (proprio come due secoli prima) lo stesso brano poteva essere credibilmente affidato a uno strumento polifonico:
e che questa operazione veniva fatta da chi aveva spinto all'estremo (per l'epoca) le caratteristiche idiomatiche degli strumenti disponibili. Per esempio, immaginate di fare questo preludio con un coro di flauti:
Non dico che sia impossibile, ma renderlo credibile sarebbe molto molto difficile. La scrittura di Bach, quindi, era idiomatica per clavicembalo, ma quando lo voleva lui. La totale emancipazione del linguaggio strumentale da quello vocale sarebbe arrivata col Romanticismo. Questo:
ha senso solo ed esclusivamente sul pianoforte, come questo:
ha senso solo sul violino, ed è difficile immaginare di affidare questa o altra musica strumentale romantica a un coro, nonostante che ogni tanto qualcuno ci si diverta:
Ma, appunto, è (relativamente) divertente, e non particolarmente credibile, anche perché, lo noterete, della musica vocale manca un elemento portante: il testo.
Incidentalmente noto che il romanticismo, visto e sentito come un tempo di totale libertà, di emancipazione dell'individuo, musicalmente è un tempo di totali obblighi: puoi suonare un certo pezzo solo con quello strumento, il tempo te lo indica l'autore, qualche volta addirittura con l'indicazione del metronomo, tutte le intenzioni espressive sono annotate, ecc. ecc. I margini interpretativi per l'esecutore restano, ma si fanno molto, molto più ristretti.
Nel concerto di mercoledì (che poi sarebbe oggi), concentrandoci sugli anni '30 del Seicento documentiamo il trapasso dal paradigma "vocale", proponendo brani strumentali che rielaborano materiale vocale (come madrigali o inni gregoriani), o comunque si intitolano "canzona", al paradigma "strumentale", con brani che si intitolano "toccata" (titolo che testimonia il cambio di paradigma dal canto di una melodia al toccare i tasti di uno strumento), o fantasia, genere particolarmente longevo (dal rinascimento al romanticismo e oltre), caratterizzato dalla mancanza di un sottostante letterario, di un testo, e quindi connaturatamente strumentale (ogni regola ammette eccezioni).
Il grosso del programma è tratto da due libri pubblicati a Venezia (la città dove nel 1501 Ottaviano Petrucci aveva inventato la stampa musicale a caratteri mobili, progresso tecnologico determinante per la democratizzazione - o borghesizzazione - della prassi musicale): il Primo libro delle canzoni di Frescobaldi (stampato a Roma nel 1628 e ripubblicato a Venezia nel 1634) e il Primo libro di canzoni, fantasie e correnti di Selma y Salaverde (pubblicato a Venezia nel 1638).
Per collocare nel tempo questa roba, siamo in piena Guerra dei Trent'anni (come oggi, del resto), il decennio era iniziato con la peste di Milano (quella dei Promessi sposi), più esattamente nella fase svedese, in Francia regnava Luigi XIII, in Spagna Filippo IV, in Inghilterra Carlo I (il primo a essere decapitato, peraltro), in Germania erano troppi, perché la Germania era allora come oggi piacerebbe a noi che la amiamo tanto (ce ne erano parecchie), il papa era Urbano VIII (quod non fecerunt barbari...), Guercino rifiutava l'invito di Luigi XIII e se ne andava a lavorare a Bologna, dove operava anche Guido Reni (Caravaggio s'aveva mort 24 anni prima...), la letteratura ci dava decisamente meno soddisfazioni (Shakespeare, ma anche Góngora, ma anche Marino, erano morti, e Molière aveva appena .dodici anni).
Eseguiremo questi brani:
Bartolomé de Selma y Salaverde (c. 1595, Cuenca – dopo il 1638), "Vestiva i colli passeggiato", a basso e organo.
Girolamo Frescobaldi (Ferrara, 13 settembre 1583 – Roma, 1º marzo 1643), "Canzona quinta detta la Tromboncina", a basso e organo.
Girolamo Frescobaldi (Ferrara, 13 settembre 1583 – Roma, 1º marzo 1643), Toccata seconda dal "Secondo libro di toccate, canzone, versi d'hinni, Magnificat, gagliarde, correnti et altre partite d'intavolatura di cembalo et organo" (Roma, 1627).
Bartolomé de Selma y Salaverde (c. 1595, Cuenca – dopo il 1638), Fantasia quinta a basso solo.
Girolamo Frescobaldi (Ferrara, 13 settembre 1583 – Roma, 1º marzo 1643), "Canzona sesta detta l'Altera", a basso e organo.
Girolamo Frescobaldi (Ferrara, 13 settembre 1583 – Roma, 1º marzo 1643), Inno Ave Maris Stella dal "Secondo libro di toccate, canzone, versi d'hinni, Magnificat, gagliarde, correnti et altre partite d'intavolatura di cembalo et organo" (Roma, 1627).
Girolamo Frescobaldi (Ferrara, 13 settembre 1583 – Roma, 1º marzo 1643), "Canzona ottava detta l'Ambitiosa", a basso e organo.
Giovanni Battista Vitali (Bologna, 18 febbraio 1632 – Modena, 12 ottobre 1692), Capritio sopra otto figure, Capritio sopra li cinque tempi, Passa Galli per la lettera E, dalle "Partite sopra le diverse sonate per il violone".
Come avrete notato, c'è un intruso, Giovanni Battista Vitali, inserito perché virtuoso del protagonista strumentale di questo programma, il basso di violino (cioè, appunto, il basso del coro dei violini, che poi sarebbe diventato il violoncello, così come il contralto del coro dei violini sarebbe diventato la viola, che infatti nella Leuropa chiamano "alto", come sapranno gli europei - ma non gli europeisti). Vitali nasce più o meno quando i due libri di cui vi parlavo vengono pubblicati, ed è quindi protagonista di una fase di più avanzata emancipazione del linguaggio strumentale.
"Vestiva i colli" è un madrigale di Palestrina pubblicato nella raccolta "Spoglia amorosa" (Venezia, 1592), su un testo di anonimo petrarchesco (altro paradigma duro a morire):
Vestiva i colli e le campagne intorno
La primavera di novelli amori
E spirava soavi Arabi odori,
cinta d'erbe e di fior il crine adorno.
Il madrigale ebbe un enorme successo, tant'è che 46 anni dopo Selma y Salaverde ne propone una cover nel suo primo libro (per capirci - e restare all'attualità - un po' come se oggi qualcuno proponesse una cover de "Il segno dei pesci" di Venditti: come passa il tempo!). Il paradigma vocale resta ancora fonte di ispirazione, ma completamente rielaborato, con un duplice vantaggio: quello di consentire la riproduzione domestica di un brano noto e amato senza coinvolgere un coro di cinque persone (l'accompagnamento dell'organo consente un minimo di polifonia, ma il protagonista è il basso di violino e la sua rielaborazione della parte di basso del madrigale), e quello di mostrare il virtuosismo del compositore e dell'esecutore "passeggiando", cioè "passaggiando", cioè arricchendo di passaggi (variazioni) virtuosistiche un materiale musicale che era nelle orecchie dell'ascoltatore.
Al di là del loro valore musicale, le "canzone" di Frescobaldi sono interessanti per le note che l'editore aggiunge al termine del libro, chiarendo che ha deciso di pubblicarle in partitura, anziché a parti staccate, come allora si usava, per renderne l'esecuzione agevole anche a un pubblico non specialistico. Era la definitiva rottura del monopolio dell'interpretazione musicale da parte dei professionisti, che consentiva a un nuovo pubblico, la borghesia colta, di soddisfare la propria domanda di musica in un'epoca in cui le orchestre, come oggi, costavano troppo, ma i giradischi (o i lettori CD, o Internet) non erano nemmeno lontanamente concepibili.
La Toccata di Frescobaldi rappresenta un esempio evidente di musica strumentale del tutto emancipata dal paradigma vocale: toccare (i tasti), non cantare (una canzone). Qualcuno penserà che manca la fuga: in effetti, fra i vari episodi di cui il pezzo di compone, un piccolo fugato c'è, ma la bipartizione fra momento "improvvisativo" e momento "contrappuntistico" (toccata e fuga) si sarebbe consolidata qualche decennio dopo, in Germania.
Nello stesso libro, Frescobaldi rielabora per organo, verosimilmente a uso liturgico, un antico inno gregoriano, l'Ave Maris Stella:
Ave, maris stella,
Dei mater alma
atque semper virgo,
felix coeli porta!
Un'altra melodia notissima, che nella rielaborazione viene inserita in una trama polifonica particolarmente raffinata.
Infine, la piccola suite di Vitali propone lo schema del "basso ostinato": lo strumento si sbizzarrisce su una sequenza di note che l'accompagnatore ripropone ostinatamente, lasciando al solista l'estro di esprimersi esplorando le possibilità tecniche del suo strumento.
Ora devo lasciarvi.
A dopo!
(...non ho tempo di rileggere, ai refusi pensateci voi...)
(... aspetto gli "io non sono un musicologo ma...". Tanto è sempre la stessa cosa, siete sempre la stessa cosa...)
(...detto con affetto, ovviamente. E poi non è vero che io sono vendicativo: io so aspettare!...)
Grazie delle spiegazioni e buon concerto, intanto ieri è nato l'Aquilotto!
RispondiEliminaBuongiorno Professore,
RispondiEliminaavrei molto gradito ma non mi è possibile trovarmi lì. Le auguro di ottenere tanta soddisfazione per questo impegno.
Con i miei apprezzamenti per le spiegazioni e cordiali saluti.
È strano come una maggiore libertà vista dal compositore somigli ad una maggiore costrizione vista dall'interprete.
RispondiEliminaInteressantissimo, grazie!
RispondiEliminaP.s. al Divo ne bastavano due ... per noi invece, che l'amiamo smisuratamente, più sono e meglio è.
Grandissimo pezzo di storia della musica, non solo da leggere ma pure da studiare per la grandissima cultura che vi è racchiusa oltre alla spiegazione dei movimenti storico-sociali. Si può dire che nel momento storico dell'individualismo borghese più forte, la libertà dell'eseguire viene meno in ossequio al titanismo insito nel mito dell'autore. Grazie.
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