venerdì 3 febbraio 2023

Disinformare sulla disinformazione

Quante volte abbiamo letto sui giornaloni o sentito dire al bar, in televisione, o nell'aula della Commissione amore, che oggi le fake news sono un problema serio, forse il più serio; che attraverso di esse i social media possono condizionare l'esito di elezioni, o amplificare la violenza sociale (per gli amici: l'odioh); che i cittadini sono sopraffatti dalla quantità di fake news in circolazione e non sanno come difendersi; che Internet è l'ambiente privilegiato e la cassa di risonanza par excellence di queste falsità sediziose, perché la sua rapidità di diffusione avvantaggia sistematicamente le notizie false, a scapito di quelle vere; questo perché gli utenti social sono creduloni, e quindi, da disinformati, si fanno parte attiva della disinformazione, avvalendosi della viralità del mezzo?

Tante.

Così tante che ormai queste petizioni di principio sono date per fatti assodati.

Nessun compassato piddino da salotto oserebbe contestarle, come non si contesta tutto ciò che rassicura. In fondo, se "il popolo" (che per i piddini deve essere rousseauianamente buono) ha votato "male" (cioè contro di loro) un motivo ci deve essere, e ovviamente non può essere che loro (i piddini) hanno sbagliato: deve essere invece che "i cattivi" (i russi, i cinesi, i marziani...) hanno fatto diventare cattivo il popolo disinformandolo sui social. Con questa spiegazione si prendono i classici due piccioni con una fava: "il popolo" è buono, "i cattivi" sono cattivi. Il mondo funziona come dovrebbe funzionare. Quando le cose vanno storte, quindi, la colpa è del mezzo (Internet) che consente ai "cattivi" con le loro "falsità" di raggiungere "il popolo", che, lo ripetiamo, è buono, ma anche - ça va sans dire - un po' coglione (concetto di cui è implicitamente intrisa tutta la fielosa melassa paternalista piddina).

Ora, per quanto consolatorio, rassicurante, autoassolutorio possa essere questo discorso, per quanto sovvenga al bisogno di una sinistra in sindrome da shock post traumatico di non porsi delle domande esistenziali, per quanto la aiuti a leggere in chiave favolistica (buoni, cattivi) i propri fallimenti, per quanto quindi ci piacerebbe avallarlo per clemenza verso l'avversario (parcere subiectis), purtroppo non possiamo, perché questo discorso, che poi è stato il Leitmotiv della Commissione amore, ha un solo difetto: è fake.

La scienza, da non confondere con Lascienza, dice altro.

La scienza dice, innanzitutto, che le fake news sono una percentuale irrisoria delle notizie "consumate" dai cittadini: c'è chi dice lo 0.15%, c'è chi dice lo 0.16%, qualcosa insomma di molto distante dalle percentuali mai realmente esplicitate ma sempre allusivamente indicate come pericolosamente maggioritarie dai tanti sociologi da cortile in giro per talk show e Commissioni parlamentari.

La scienza dice che la stragrande maggioranza degli utenti social non condivide affatto fake news (alla faccia della "viralità" di cui abbiamo sentito parlare esperti da baraccone), e, di converso, che la diffusione di fake news è opera di un gruppo estremamente minoritario di utenti (lo 0.1% degli utenti è responsabile del rilancio dell'80% delle fake news).

La scienza ci dice anche che se una fake news (qualsiasi cosa essa sia, ovviamente: perché anche il modello eliocentrico è stato una fake news...) raggiunge un utente social, di norma questo tende a considerarla meno plausibile di una notizia vera (il conformismo ha fatto anche cose buone...).

Ma soprattutto la scienza ci conferma, e noi qui non ne abbiamo bisogno, che nella diffusione di notizie "false e tendenziose" i media tradizionali (TV e giornali) giocano un ruolo tutt'altro che secondario.

E allora, se i social media non sono né gli unici, né i principali responsabili della diffusione di fake news, e se queste non hanno il ruolo così dirompente che i piddini gli attribuiscono (semplicemente perché i cittadini sono meno babbalei di come i piddini desiderano credere che siano, per consolarsi del fatto che gli stessi cittadini hanno voltato loro le spalle), perché tutto questo accanimento contro i social, questa demonizzazione, questa libidine ributtante di irreggimentarli, censurarli, silenziarli?

Questa domanda mi ha assalito leggendo il pregiato studio da cui ho tratto i riferimenti che vi ho fornito sopra. Uno studio che vi esorto a leggere nonostante che questa domanda, salvo errore, gli autori non se la siano posta. Ma a me sembra centrale, e credo che sia urgente risponderle.

La risposta, "mi verrebbe da dire" (cit.), è che se vuoi sopprimere un canale che non diffonde falsità, lo fai per evitare che diffonda verità (se non serve a niente serve a qualcos'altro).

E se siete qui, forse avete in mente un'idea, e certamente avete davanti agli occhi un esempio, di che cosa io intenda dirvi.

Siamo a poco più di un anno dalle prossime elezioni europee, e la strada è tracciata.

Loro andranno avanti piantando bandierine identitarie per chiamare a raccolta un popolo che non possono più credibilmente raccogliere sotto lo stendardo del lavoro, nonostante le goffe esibizioni di resipiscenza. Sarà così tutto un florilegio di diritti cosmetici, anzi: dirittu cosmeticu (che non è rumeno, ma un nuovo v@zz@ d@ll@ s@n@str@), sarà un'affannosa race to the bottom alla ricerca del più distante degli ultimi per non occuparsi del più prossimo dei penultimi (di cui ormai si percepisce la freddezza), sarà un diuturno tentativo, camuffato dalle più generose intenzioni, di soffiare sul fuoco del conflitto intergenerazionale, alla ricerca di un nuovo '68, e su quello del conflitto sociale, alla ricerca di un nuovo '69, col rischio palese ed evidente già in queste ore di mancare questi due appuntamenti palingenetici, per portarci direttamente a una nuova spirale di violenza e di morte in stile anni '70.

Ma questo non servirà a molto, e loro lo sanno, e quindi non gli basterà.

Non potendo vincere con la forza (inesistente) del loro messaggio, dovranno adoperarsi per censurare il nostro.

Il percorso iniziato con la Commissione Joe Cox, proseguito con la Commissione amore, punteggiato da infiniti tribunalucci e tribunaletti della verità, proseguirà sempre più rapido e scomposto. Qui trovate un esempio, analizzato qui, di cui discuteremo qui giovedì prossimo.

Del resto, l'ultima volta se la sono vista brutta: hanno vinto per soli nove voti.

Non stupisce quindi che loro siano motivati a giocare il tutto per tutto pur di non essere sconfitti. E voi, che ci siete andati così vicini, cosa siete disposti a fare per vincere?

18 commenti:

  1. il Partito.
    Ma lei non ha voluto farlo. Continuo a sperare che un giorno possa cambiare idea.
    Ps: sul tema tolleranza/intolleranza, ad essere giunti alla conclusione che a destra sono più tolleranti che a sinistra cominciamo ad essere tanti... 👇
    https://www.youtube.com/watch?v=iKQokhE2myg
    ...devo darle atto del fatto di essere stato uno dei primi (se non forse il primo)!

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    1. Per aver provato, due volte nella mia non brevissima vita, posso solo dire che il Guru ha ragione. Da vendere. Da affittare. Da regalare anche, ma i più non capiscono la logica del dono...

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    2. Azzardo una risposta: l’ambiguità di questa discussione è tutta nel significato che si attribuisce al termine “partito”. Nessuno ha mai pensato che si potesse o dovesse fare un partito “pesante” stile PCI anni ’50 con “una sezione per campanile”. Banalmente perché ci vogliono tanti, ma tanti soldi.
      Quello che si poteva (e a mio avviso doveva) fare era un’operazione in stile UKIP nel Regno Unito o AfD in Germania: impiantare nel quadro politico italiano un soggetto politico che sviluppasse coerentemente il tema del vincolo esterno (cosa che non necessariamente significa dover dire subito “usciamo dall’UE”). Magari con una connotazione meno di destra per non farsi relegare nel ruolo dei cattivi e risultare attrattivi anche a sinistra.
      Ovviamente – e qui veniamo al giochetto dell' “allora fallo tu!” – questa operazione non può farla chiunque, non può farla il privato cittadino che magari segue - anche da vicino - il dibattito politico. Bisogna trovarsi “al posto giusto nel momento giusto”. E lei a fine 2016 ci si trovava.
      Era reduce da un pluriennale percorso di divulgazione che le aveva consentito di acquistare una visibilità nazionale, era a capo di un’associazione che – volendo - poteva costituire l’embrione del partito in questione, eravamo nel pieno della sequenza “Brexit-Trump-Referendum Costituzionale”, Mattarella non aveva sciolto le camere ed era chiaro che si sarebbe andati a votare a scadenza della legislatura (e che quindi c’era un anno buono per prepararsi).
      L’obiettivo non sarebbe stato – ovviamente - vincere le elezioni ma entrare in parlamento e costituire un polo politico autonomo di opposizione al vincolo esterno (sapendo peraltro che l’anno successivo ci sarebbero state le europee). Resto dell’opinione che una lista fatta bene, con lei candidato premier e con candidati seri e preparati (Giacchè, LBC etc) avrebbe superato tranquillamente lo sbarramento (che, lo ricordo, era del 3%, cioè circa un milione di voti tenuto conto dei livelli di affluenza, forse poco meno).
      Basti pensare che nel 2018 ce la fece “Liberi e Uguali”, una lista di residuati bellici (D’Alema, Bersani) senza né arte né parte, con un candidato premier inconsistente e zero messaggio politico che infatti si è sciolta subito dopo. E basti pensare che nel 2022 una lista fatta con i piedi e piena di matti da legare come “Italexit” ha comunque preso un non del tutto irrilevante l’1,9% (peraltro parlando solo di covid e vaccini).
      Superato lo sbarramento ed entrati in Parlamento si apriva una partita completamente diversa e dagli sviluppi imprevedibili.
      Detto questo, lei ha scelto di non farlo, con motivazioni anche rispettabili. Ma sul fatto che “non si potesse fare”, che fosse “impossibile” o che “non avrebbe funzionato” …I respectfully disagree!

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    3. I voti si pesano, non si contano, pagliaccio. Anche perché la preferenza cardinale è molto più importante di quella ordinale (c'ho pure i graffici https://richardhanania.substack.com/p/why-is-everything-liberal!).
      Il punto è che sei pigro, Anonimo. Succede, ma bontà vorrebbe poi stessi zitto.
      P.s.: il partito duro e puro cui fai riferimento è il Grand Britain Party, lo UKIP è sempre stato un movimento entrista dei conservatori.

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  2. Quindi animo, gente. Non chiediamoci cosa può fare il prof per noi, ma cosa possiamo fare noi per lui (cioè per noi 🙂)

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    1. Se esistessimo, ma non esistiamo, sarebbe utile segnalare la nostra esistenza, per esempio ricominciando a frequentarci e a riempire quelle sale che, esattamente come undici anni fa, #aaaaabolidiga oggi non riesce a riempire. Capisco anche i motivi per i quali il ciclo Monti aveva galvanizzato quelle stesse persone che il ciclo Draghi ha sfibrato. Ma se ci arrendiamo, vincono loro. O meglio: se ci arrendessimo, perché non esistiamo, e quindi non saremo questa sera alle 21 all'hotel Barone de Sassj di Sesto San Giovanni per ascoltare Bagnai, Borghi, Colla e Sardone, e non saremo il 15 aprile a Roma per partecipare al #midtermGoofy che non si terrà perché non esiste una community che non può esistere su un tema inesistente come quello europeo.

      Ecco che cosa (non) potreste fare se esisteste.

      Chiaro?

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    2. [In the long history of the world, only a few generations have been granted the role of defending freedom in its hour of maximum danger ... The energy, the faith, the devotion which we bring to this endeavor will light our "party" and all who serve it. And the glow from that fire can truly light "Italy".] 🙂

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  3. La questione Cospito però, se continuerà a vedervi rigidi e intransigenti, se Cospito dovesse morire quindi, avrete dato una mano alla nuova stagione della violenza sociale. Sono sicura che verrà strumentalizzato per giustificare il ritorno di movimenti anarchici e pseudoterroristici manovrati dalla sinistra.

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  4. Difendere l'informazione vera, con ogni mezzo e ovunque, e votare. Consapevolezza e numeri, non vedo altra via.

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    1. Infatti non esiterò a non esistere in un inesistente convegno nell'inesistente Città.

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  5. Non c'è dubbio sul fatto che la guerra alle presunte fake news sia la guerra alla libertà di opinione, e in particolare alla stessa legittimazione delle opinioni non allineate al pensiero unico progressista-globalista. E che attraverso questa gigantesca strumentalizzazione la sinistra abbia negato le proprie sconfitte (Trump, Brexit, elezioni italiane 2018), addossandone le responsabilità ai cattivi hacker russi o a imprecisate campagne di odio sul web. Tutta la macchina burocratica di Bruxelles è mobilitata da anni per introdurre limitazioni e censure alla c.d. informazione non mainstream, e c'è da temere che andranno avanti ancora più spediti in vista delle elezioni 2024. Mi chiedo però se ci sia sufficiente consapevolezza di questi pericoli nei gruppi dirigenti del Cdx, ho purtroppo l'impressione che il tema della informazione venga colpevolmente sottovalutato da questa maggioranza, ma se capisco che in FI prevalgano le solite ragioni di opportunismo a difesa delle aziende di famiglia, nel caso di FdI e in parte anche della Lega questa sottovalutazione appare assai meno comprensibile. Faccio solo l'esempio di Sanremo, fra pochi giorni, in prima serata, milioni di telespettatori assisteranno ai discorsetti di alcune ospiti, scelte con cura, i cui temi (omofobia, razzismo, femminicidi, migranti) verranno declinati, come sempre fa la sinistra, in chiave autorazzista, con velenosi riferimenti ai cittadini rozzi e arretrati che hanno "votato male" e che si ostinano a credere nella famiglia tradizionale e nella difesa del proprio Paese. Quando si accetta senza un minimo accenno critico questo show del progressismo arcobaleno per cinque serate consecutive (mentre un parlamentare di FdI si rende piuttosto ridicolo dedicandosi a criticare la presenza a Sanremo di un cantante 'gender fluid', dopo che se ne sono visti a decine negli anni scorsi), mi pare che non ci siano nè la forza nè le intenzioni di mettere in discussione la supremazia della sinistra su questo terreno, forse per il solito complesso di inferiorità di cui da decenni è vittima in Italia il mondo dei conservatori.

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    1. In teoria io sarei un pezzo dei gruppi dirigenti del centrodestra, e visto che la maggior parte di voi questa roba la sa perché gliel'ho spiegata io, la consapevolezza c'è. Naturalmente è una consapevolezza minoritaria, visto che voi non esistete e quindi non siete in grado, col vostro numero, di influire sugli orientamenti dei miei colleghi. Peccato, è andata così...

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    2. Si può sempre tentare una confutazione di Parmenide in futuro...

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  6. Ad esempio si potrebbe cominciare a indicare alcuni candidati, che sono stati segnalati, a conoscenti già orientati verso una determinata area ma che, forse, non sanno ancora se e quale specifica preferenza esplicitare. Ciò ovviamente - e tra l'altro - senza pregiudizio per la presenza il 15 aprile p.v. (pràud member sinz tu-tausand-eitin, purtroppo non da prima, ma almeno si è falsi pandemici)

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  7. Personalmente ho imparato moltissimo dal suo blog, che seguo fin dal primo post sui "salvataggi che non ci salveranno", soprattutto su europa, euro, austerità, debito pubblico ecc. Tuttavia su altre materie (visto che ho una certa età) qualche conoscenza pregressa ce l'avevo anche prima, come ad esempio sullo stato dell'informazione in Italia e sul predominio della sinistra in RAI e nell'editoria, quindi se sollevo dei dubbi sulla consapevolezza del Cdx (ed è ovvio che non mi riferisco a lei) credo di svolgere un esercizio critico lecito, per quanto magari da lei non condiviso. Che poi da noi elettori debbano venire contributi concreti sono d'accordo, ma penso che ciò non impedisca di poter anche abbozzare qualche analisi politica circa le scelte dei partiti di Cdx e dei loro vertici.

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