(questa è la
prefazione a un numero speciale di Comparative Economic Studies che ho curato e
nel quale sono raccolti gli articoli più significativi del seminario di
Pescara. Sì, sapete, quella piccola università di provincia dove degli
strampalati docenti ai margini della comunità scientifica sbraitano nella loro
allucinata demenza delle tesi assurde, che ovviamente mai troverebbero
accoglienza in una rivista scientifica internazionale. O no? La prosa è quello
che è, perché l’ho scritto in inglese e poi l’ho tradotto in italiano per i più
beati fra voi. E la cosa divertente è che sicuramente fra quelli che hanno
bisogno della traduzione ce ne sarà un 99.9% che prima di capitare su questo
blog avrà pensato che la soluzione fossero gli “Stati Uniti d’Europa”. Su,
piddinucci, dai, confessate: liberatevi da questo peso, e dopo vi sentirete
meglio...)
Questo numero speciale raccoglie le prolusioni di Roberto Frenkel (qui in versione
preliminare) e Ugo Panizza
(qui la
presentazione, qui
il video della prolusione) al seminario “The euro: manage it
or leave it!” tenutosi a Pescara il 22 e 23 giugno del 2012, insieme con un
articolo di Andrea Boltho e Wendy
Carlin (non presentato al seminario). Il seminario è stato organizzato dal Dipartimento di Economia dell’Università
Gabriele d’Annunzio in collaborazione con l’International Network for Economic
Research (INFER) e affrontava il tema
dei costi economici, sociali e politici delle strategie di uscita dalla crisi
dell’Eurozona.
Nel momento in cui scriviamo questo articolo (giugno 2013)
il tema è sempre attuale. Nella maggior parte dei paesi europei la fine della
recessione sembra oggi molto più distante di quanto non lo sembrasse un anno
fa. L’edizione dell’aprile 2012 del World
Economic Outlook (IMF, 2012)
prevedeva per il 2013 un tasso di crescita reale pari all1.0% in Francia, 1.4%
in Germania, e -0.3% in Italia. Un anno più tardi, l’edizione dell’aprile
2013 ha rivisto le stime di crescita al ribasso di circa un punto
percentuale pressoché ovunque, a -0.1%, 0.6% e -1.4%, rispettivamente. Infine,
all’inizio di giugno le previsioni di crescita della Germania sono state
dimezzate dal Fmi, passando dallo 0.6% allo 0.3%, il che suggerisce che anche l’economia
più forte e più resistente dell’Eurozona potrebbe essere travolta dalla
recessione che colpisce i suoi più importante mercati di sbocco.
Gli osservatori sono pressoché unanimi nel riconoscere che
le politiche di austerità praticate dai paesi periferici dell’Eurozona hanno
contribuito a questo disastro (come era peraltro stato anticipato
dal premio Nobel Stiglitz nel 2010). Le fondamenta empiriche dell’ipotesi di
“consolidamento fiscale espansionistico” sono state recentemente messe in
dubbio da numerosi studi, alcuni dei quali scritti dagli stessi autori che
negli anni ’90 avevano contribuito a fondare il “mito dell’austerity”; si
confronti, ad esempio, Alesina
e Perotti (1996) con Perotti (2011). Il
più importante articolo scientifico a sostegno delle politiche di austerità è
probabilmente stato quello di Reinhart e Rogoff (2010),
il cui successo presso gli uomini politici è stato certamente dovuto alla
semplicità del messaggio: “la mediana del tasso di crescita nei paesi dove il
debito pubblico supera il 90% del Pil è più bassa di un punto percentuale
rispetto agli altri”. Il nesso causale implicito in questa asserzione è stato
criticato da Ugo Panizza
e Andrea Presbitero (2012). Ciononostante, l’articolo di Reinhart e Rogoff
è stato citato ripetutamente dai media dell’Eurozona per sostenere l’ipotesi
che la scarsa crescita nei paesi del Sud dovesse essere curata con il consolidamento
fiscale. Di conseguenze, l’opinione pubblica è stata profondamente colpita
quando Herndon
et al. (2013) hanno mostrato che i risultati di Reinhart e Rogoff erano
affetti da errori di calcolo e dall’esclusione selettiva di dati. Ciò è
accaduto poco prima che IMF
(2013b) ammettesse “notevoli errori” nella gestione della crisi greca,
sottolineando che “la fiducia non è stata ristabilita”, che la recessione è
stata molto più profonda di quanto ci si attendesse, che i guadagni di
produttività sono stati illusori, ecc.
Sorge allora spontanea una domanda: perché mai durante la
crisi si adottano con tanta coerenza le politiche sbagliate, nonostante la
letteratura scientifica abbia così spesso messo in guardia contro i loro
effetti? I tre articoli presentati in questo numero offrono delle intuizioni
interessanti sulle possibili ragioni di questo enorme fallimento nella gestione
macroeconomica della crisi.
Il primo articolo, scritto da Andrew Boltho e Wendy Carlin,
fa un’osservazione interessante: l’Unione Economica e Monetaria è minacciata
dal persistere di divergenze strutturali delle politiche fiscali, della
competitività, e della qualità dell’azione di governo, piuttosto che dal
verificarsi di shock “asimmetrici”. Questa osservazione promuove diverse
riflessioni.
In primo luogo, le verifiche del fatto che l’Unione
Economica e Monetaria fosse o meno un’area valutaria ottimale (AVO) si sono
concentrate finora sul grado di asimmetria fra paesi membri: un aspetto che
poteva essere analizzato formalmente nell’elegante quadro di riferimento del
noto modello di Blanchard e Quah
(1989), il che ha verosimilmente contribuito al successo accademico di
questo approccio. L’analisi di Boltho e Carlin suggerisce che forse abbiamo
sopravvalutato il reale contributo di questo tipo di ricerche. In effetti,
anche senza considerare che i loro risultati sono stati piuttosto inconcludenti,
andando dall’euroscetticismo di Bayoumi e Eichengreen (1992)
all’eurottimismo di Kouparitsas
(1999), questi studi crollano di fronte all’evidenza incontestabile del
fatto che l’Eurozona è stata messa in ginocchio da un gigantesco shock “simmetrico”,
ovvero dalla crisi finanziaria statunitense, che li ha portati tutti in
recessione al tempo stesso.
In secondo luogo, i dati proposti dall’articolo mettono in
dubbio la rilevanza della cosiddetta teoria dell’“AVO endogena”. Questa teoria
afferma che entrando in un’unione monetaria, un gruppo di paesi elimina le
asimmetrie strutturali esistenti presenti al suo interno, attraverso una
quantità di meccanismi che vanno dall’aumentata mobilità dei fattori, alla
sincronizzazione dei cicli economici favorita dallo sviluppo del commercio,
alla convergenza dei tassi di inflazione tramite effetti di credibilità, ecc.
Un dibattito vecchio quanto la teoria delle AVO, tant’è vero che lo stesso Robert Mundell (1961),
nell’articolo che ha dato avvio alla ricerca sulle AVO, cita la controversia
fra James Meade (1957) e Tibor Scitovsky (1958), nella quale quest’ultimo
sosteneva il punto di vista “endogeno”. Una nota tesi sostiene che “legando le
proprie mani” alle politiche dei membri virtuosi dell’UE, i governi del Sud
avrebbero guadagnato credibilità internazionale e interna, facilitando la
convergenza dei propri tassi di inflazione a quelli dei paesi virtuosi (Giavazzi e Pagano, 1988).
La divergenza fra gli indicatori di competitività e di governance dei paesi del Nord e del Sud, documentata da Boltho e
Carlin, confuta questa ipotesi. In altri termini, pur riconoscendo il bisogno
di riforme essenziali nei paesi del Sud, ci si deve chiedere se la camicia di
forza dell’unione monetaria le abbia significativamente accelerate, o se
piuttosto le abbia impedite, come suggerisce Granville (2013) con
riferimento all’esperienza francese.
In terzo luogo, l’articolo di Boltho e Carlin ha importanti
implicazioni politiche. Si invoca spesso come soluzione ai problemi dell’Eurozona
un “grande balzo in avanti” verso una completa unione fiscale, portando, più o
meno a proposito, l’esempio degli Stati Uniti. Se il problema fosse il
verificarsi in di shock asimmetrici casuali, un’unione fiscale potrebbe in
effetti funzionare come meccanismo assicurativo fra i paesi membri, consentendo
a ogni paese di mantenere una posizione netta nulla in valore attuale medio (Ndc: oggi a me, domani a te, e in media
i trasferimenti da un paese all’altro nel lungo periodo di compenserebbero). Ma
siccome l’Eurozona è caratterizzata da divergenze strutturali persistenti, ne
deriva l’ovvia conseguenza che i trasferimenti fiscali andrebbero per un
periodo molto lungo in un’unica direzione: dal Nord al Sud. Come sottolineano
Boltho e Carlin, il “macrocosmo” dell’Eurozona si troverebbe così a replicare
le esperienze deludenti dei “microcosmi” di molti paesi membri, nei quali le
politiche di trasferimento dal Nord al Sud (in Italia e Spagna) o dall’Ovest
all’Est (in Germania) non hanno affatto compensato le divergenze strutturali e
si sono dimostrate sostenibili politicamente solo a causa di un senso di
identità nazionale più o meno profondo, la cui costruzione ha comunque
richiesto secoli. La fattibilità di una “unione di trasferimento” a livello
dell’Eurozona è quindi molto discutibile, sia perché costerebbe troppo ai
contribuenti del Nord (Jacques
Sapir, 2013, ha calcolato che, per compensare il divario di infrastrutture,
istruzione e spesa in ricerca e sviluppo, la Germania dovrebbe trasferire ai
paesi del Sud un ammontare pari a circa il 9% del proprio Pil), sia perché la
costruzione di un’identità europea è impedita dalla crisi dell’euro, che porta
con sé l’ovvia conseguenza di un aumento della diffidenza fra cittadini del
Nord e del Sud, e anche fra i cittadini dei diversi stati del Sud (un esito
previsto da economisti tanto diversi per formazione e orientamento quanto Nicholas
Kaldor, 1971, e Martin
Feldstein, 1997).
Nel secondo articolo, Roberto Frenkel confronta la crisi
dell’Eurozona con le crisi verificatesi negli ultimi trent’anno nei mercati
emergenti, analizzandole nel contesto del modello di ciclo minskyano. Questo
confronto fornisce molte intuizioni importanti.
In primo luogo, come l’adozione di un cambio “credibile” nei
paesi emergenti, così l’adozione dell’euro, con la “credibilità” ad esso
associata, è stato il fattore scatenante della fase espansiva del ciclo
finanziario nei paesi del Sud, incoraggiando la crescita dell’indebitamento
privato nei riguardi degli altri paesi dell’Eurozona. In altre parole, l’analisi
di Frenkel sottolinea che l’euro, invece di ridurre le divergenze strutturali
documentate da Boltho e Carlin, come sarebbe dovuto accadere secondo i teorici
dell’AVO endogena, le ha enfatizzate. Una spiegazione che col senno di poi
sembra in effetti molto plausibile. In fondo, lo scopo della moneta unica era
quello di facilitare i movimenti di capitale (l’impatto della moneta unica sul
commercio internazionale era previsto fosse piuttosto contenuto – Eichengreen,
1993 – come i fatti hanno confermato – Berger and
Nitsch, 2008). Come sottolinearono a suo tempo Blanchard
e Giavazzi (2002), questo risultato avrebbe anche potuto avere effetti
positivi nell’Eurozona, dove notevoli disparità fra i paesi membri lasciavano
ampio spazio per un processo di catch-up.
Ma l’assenza di regolamentazione finanziaria ha trasformato questi benefici
potenziali in un disastro, secondo un copione sperimentato in precedenza da numerosi
paesi emergenti.
In secondo luogo, Frenkel affronta il tema del perché le giuste
politiche macroeconomiche siano così tragicamente scarse durante le crisi
finanziarie. Secondo Frenkel questo infelicissimo risultato deriva dal
comportamento razionale di governi che operano in una situazione molto simile
al classico “concorso di bellezza keynesiano”. Dato che la sostenibilità dei
loro debiti dipende da una “aspettativa autorealizzantesi circa l’opinione media
diffusa nel mercato” (nelle parole di Frenkel), i governi, piuttosto che
praticare le politiche che ritengono corrette, adottano quelle che essi
ritengono che l’opinione dominante sul mercato troverà corrette. In questo
contesto le misure di austerità sono razionali, perché forniscono un segnale
rassicurante per l’opinione dominante sui mercati. Tuttavia, queste politiche
sono destinate a un inevitabile fallimento, perché la politica idealmente
corretta sarebbe, come notano Boltho e Carlin, quella di sostenere la domanda
con ulteriore debito pubblico per favorire il rientro del settore privato dai
propri debiti.
Il terzo articolo, di Ugo Panizza, fornisce ulteriori
intuizioni sulla dinamica politica delle crisi finanziarie rispondendo a due
diverse domande: perché le politiche messe in pratica sono così inadeguate? E
perché la risoluzione di una crisi, eventualmente sotto forma di un default
sovrano, viene sempre rimandato, anche quando questo ne aumenta tragicamente i
costi sociali, come è successo in Grecia?
La risposta alla prima domanda risiede nelle asimmetrie
informative fra i governi e i loro elettori. Una pessima economia può diventare
(o sembrare) una buona politica perché, come dice Paul
Krugman (2012), “è normale pensare all’economia come a una favoletta morale”.
La favoletta è quindi facile da spiegare al pubblico, ma mette sotto pressione
i governi che la raccontano, costringendoli ad adottare o imporre politiche
procicliche che esacerbano la crisi. Un altro punto interessante sollevato da Panizza
è che, in molto casi, le politiche fiscali sono concepite in modo inappropriato
perché si soffermano sulla causa sbagliata della crisi. In effetti, l’evidenza
empirica dimostra che la dinamica del debito pubblico è influenzata in modo
significativo da una componente di riconciliazione stock/flusso le cui origini
rimangono ampiamente ignote e la cui gestione quindi ricade per lo più al di
fuori dell’ambito della politica di bilancio.
La risposta alla seconda domanda (perché i politici rinviano
i default?) è duplice: da una parte, politici mossi da interessi personali possono
temere il costo politico della propria decisione; dall’altra, politici
disinteressati possono voler attendere fino a che non sia emersa nei mercati la
consapevolezza unanime del fatto che il default è inevitabile, anziché essere
strategico (cioè frutto di un comportamento opportunistico), perché ciò ne
ridurrebbe il costo economico (in termini di perdita di fiducia da parte dei
mercati).
Gli stessi argomenti potrebbero applicarsi all’uscita di un
paese dall’Eurozona. Gli articoli presentati hanno opinioni diverse su questo
punto. Frenkel considera l’euro irreversibile: un punto di vista condiviso da
quelli che credono che l’immenso “capitale politico” investito nel progetto
(per citare Mario
Draghi, 2013), impedirà a politici mossi da interessi personali di
smantellare l’Eurozona. La soluzione della crisi, secondo Frenkel, comporterà
prima o poi una ristrutturazione dei debiti e probabilmente l’evoluzione della
Bce che dovrà diventare un credibile prestatore di ultima istanza per i governi
dell’Eurozona. Boltho e Carlin hanno una visione più pessimistica: dato che le
divergenze in termini di competitività sono molto difficili e costose da
ridurre attraverso la “svalutazione interna” (leggi: taglio dei salari, NdC), i costi percepiti della permanenza
finiranno per superare quelli dell’uscita. La storia insegna che molti altri
progetti politici ambiziosi sono dovuti venire a patti con l’inesorabile logica del
ragionamento economico. L’URSS è un buon esempio, dato che il capitale politico
investito nella sua creazione e nel suo mantenimento è stato senz’altro più
ampio di quello investito nell’Eurozona, ma il rendimento di questo capitale in
tutta evidenza non è stato sufficiente a impedire il collasso del sistema (Kawalec e Pytlarczik, 2013,
forniscono altri esempi). Questo semplice fatto suggerisce che nel prossimo
futuro lo studio di strategie di uscita ottimali potrà sembrare meno astratto e
teorico di quanto non sembri adesso.
Bibliografia
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November, http://russeurope.hypotheses.org/453
Scitovski, T. 1958: Economic theory and western European
integration. Stanford University Press.
Buongiorno professore
RispondiEliminavolevo giusto segnalarle un errore di traduzione...
" La storia insegna che molti altri progetti politici ambiziosi hanno venire a patti con l’inesorabile logica del ragionamento economico."
dovrebbe essere sostituito da qualcosa tipo...
" La storia insegna che molti altri progetti politici ambiziosi sono dovuti venire a patti con l’inesorabile logica del ragionamento economico."
Per il resto direi che lo scritto e` cristallino come sempre...
Orsù Piddinucci non siate Zucconi..
RispondiEliminaOttima Review, grazie!
Un beato (anzi beatissimo) la ringrazia (per la traduzione), ora cercherò di conseguire un supplemento di beatitudine per leggerlo
RispondiEliminaOttimo!!! Grazie. L'edizione speciale e' gia' disponibile? Quando lo sara', se no?
RispondiElimina(Mi spiace per la pessima ortografia: e' sempre un colpo al cuore dover lavorare da una postazione inadeguata, con tastiera anglografa.)
Aggiungo un interrogativo, sulla scia di quello citato dal professore che recita: "Sorge allora spontanea una domanda: perché mai durante la crisi si adottano con tanta coerenza le politiche sbagliate, nonostante la letteratura scientifica abbia così spesso messo in guardia contro i loro effetti?"
RispondiEliminaIl mio interrogativo è polemico, ma fino ad un certo punto, e recita così: "Perché mai si adottano con tanta coerenza le politiche sbagliate suggerite da economisti con un pedigree lungo da Pescara a Roma? Come mai articoli spazzatura di illustri economisti, vedi Reinhart&Rogoff, non vengono passati al setaccio da altri accademici e occorre attendere TRE anni prima che vengano confutati, o per meglio dire autenticamente smerdati, da sconosciuti dottorandi? e soprattutto utilizzando sofisticatissimi (uahahahaha) SW predittivi quali i fogli di calcolo Excel?? Quanto ciarpame scientifico gira per mezzo mondo senza che qualcuno rielabori indipendentemente i dati di origine?"
Insomma, qua la politica ha usato teorie di accademici accreditati. Le armi per giustificare l'equazione debbbitopubblico90%=criiisi! gliele ha fornite la letteratura scientifica.
Come ho già scritto altrove - scusate sono ingegnere quindi di economia non capisco una fava, ma lo spirito critico e la logica le ho sviluppati e consolidati e li uso tutti i giorni sul lavoro- il problema di fondo delle menti economiche del mondo è uno: chi controlla i risultati delle pubblicazioni scientifiche? chi consente che certi lavori possano essere pubblicati? chi fa una controverifica indipendente dei risultati? se uno scrive fanfaluche, ed è un mega prof di Harvard, perché non viene cacciato?
Tempo fa un professore di fisica si è espresso dicendo "guardate, qua al CERN sembra che abbiamo scoperto che i neutrini viaggino più veloce della luce: sottopongo agli altri esperti i dati raccolti in modo tale che possiate verificare l'esattezza dei risultati", e poi si scopre che era una fibra ottica scalibrata il problema dell'abbaglio..beh, quel prof si è dimesso. Qua c'è gente che gestisce il destino di milioni di persone con i propri scritti e nessuno li sfancula se sbagliano?
Caro Marchetti, le suggerisco di leggere Vasco Ronchi (1983) Storia della luce da Euclide a Einstein, Bari: Laterza. La sua simpatica, ottocentescamente ingegneristica fiducia nella superiorità morale delle scienze dure verrà un po' scossa, e mi dispiace, ma è anche così che si diventa adulti.
EliminaDopo, ma solo dopo, potremo fare un discorso articolato per rispondere al suo quesito che è lecito e interessante, ma che, attenzione, di fatto contiene la risposta all'interno della domanda...
Superiorità morale delle scienze dure? io di "nudo e duro" conosco solo Rocco Siffredi, ma credo che a modo suo insegni sessuologia applicata, non economia. No, guardi, ha preso un granchio. A me della superiorità morale non interessa nulla. Semmai, ora che ci penso, è lei che scrive sempre "la Storia giudicherà!!": più moralista a posteriori di così, faccia lei. Le ho chiesto se gli scritti di economisti di fama vengano sottoposti metodicamente al vaglio della prova o del riesame dei dati di partenza da colleghi indipendenti per luogo e formazione. Mi sembra che, visti i risultati, la risposta varii da "controllo assente" a "controllo insufficiente". Giudizi sommari sulla persona e sulla mia levatura culturale li trovo scadenti, specie perché cadono a sproposito: sulla luce, sulla diatriba etere/vuoto e sul suo comportamento ondulatorio/quantistico potrei farle lezione, mi creda. Ma preferisco insegnarli a chi mi paga. In modo cinicamente utilitaristico seguo il suo blog quando ha qualcosa da insegnarmi e a fornirmi elementi per comprendere meglio l'attualità, e per smontare le convinzioni altrui in discussioni da salotto quando mi annoio. Però ho una duplice reazione quando dà risposte così becere rivolte a chi la commenta secondo un piano che "nun l'aggrada". Da un lato mi cascano le braccia per delusione, dall'altro sono incuriosito: evidentemente qualcuno ci cascherà pure perché avrà il complesso dello studente che non ha capito la formuletta e si fa massacrare. Che poi le formule econometriche sono così semplici che basta un liceale per capirle... e fogli Excel per gestirle :-)
EliminaBuona fortuna con il blog e le sue attività di divulgazione, le risparmierò i miei commenti per l'immediato futuro perché sono prevedibili le sue risposte. Vedremo se con gli anni migliorerà.
perdonate l'intrusione, non sono un accademico, ma riporto un commento al post sulle "cucurbita maximae":
Eliminahttp://goofynomics.blogspot.com/2013/06/zucconi_24.html?showComment=1372236950368#c8449488401724964579
dove c'è qualcosa ancora peggiore del peggio, ed è questo:
http://bari.repubblica.it/cronaca/2013/06/25/foto/f35_boccia_bersaglio_della_rete_il_tweet_sugli_elicotteri_cult-61839350/1/?ref=HRER1-1#1
si nota che il nostro è veramente un beato, e senza possibilità di riscatto; perchè se ti danno del beato a venti anni, hai ancora tempo per recuperare, a quarantacinque no; lo sei e basta, pro gloria mundi.
Caro Marchetti,
Eliminanon si sopravvaluti. Sono lieto di sapere che lei preferisce fare lezione a chi la paga. Questo ci permette di capire come mai viene a fare stupide provocazioni a chi invece si sta dedicando a un'opera di divulgazione su base volontaria.
Parlare di giudizio storico non è fare moralismo, ma è normale che questo a lei sfugga, abbiamo capito come funziona. È invece esattamente il contrario: è il ricordare che all'eterna, stucchevole domanda "erano cattivi o erano stupidi" (applicata ai politici, o nel suo caso agli economisti), qui non si dà risposta perché questa NON è la sede adatta. Il giudizio in questione è appunto un giudizio morale, storicoe, ecc.
Il suo insistere sul fatto che Excel sia semplice fa capire due cose: la prima è che lei trae la consapevolezza della sua intelligenza dal fatto di saper fare delle cose che a lei sembrano complicate. Come corollario, ne deduco che assistere a una sua lezione sia non solo spiacevole, ma anche inutile. La seconda è che lei usa Excel in modo piuttosto superficiale.
(ce ne sarebbero anche altre, perché bisognerebbe vedere in quale fase dell'analisi Excel sia stato utilizzato: non è segno di intelligenza uccidere una zanzara con un bazooka, e se devo calcolare una mediana mi basta Excel e non ho bisogno di MathLab. Deridere una disciplina sulla base degli strumenti utilizzati da alcuni studiosi in un certo lavoro mi sembra un segno di profonda intelligenza, o forse era un'altra cosa?)
Ma vede, qui il punto è un altro: tutta la sua risposta trasuda di uno stranissimo complesso di superiorità/inferiorità. Viene qui dicendo che vuole provocare, poi se la prende se qualcuno le risponde a tono. Ma è proprio sicuro di voler star qui? Forse perché qui ha capito delle cose che con tutte le sue formulette (e quelle dei miei colleghi che lei reputerebbe "bravi" perché usano software complicati) non era riuscito a capire? Allora stia cheto. Se starnazza, mi si trasforma in Donald, proprio ora che ce l'eravamo tolto di torno...
Glielo dico, badi bene, essendo sostanzialmente in sintonia con il messaggio del suo intervento, che mi piacerebbe fosse meno beceramente superficiale, appunto...
Ma non faccia caso agli attacchi personali dovuti al posto in cui insegna, di solito si attacca la persona quando non è possibile attaccarne le idee.
RispondiEliminaComplimenti per la prefazione, il curriculum si allunga.
Caro, un fiorentino non fa caso a nessun attacco personale, credimi. Mi diverto solo a ironizzare su chi è così cretino da tentarli, senza sapere che siccome la vita è strana, qualsiasi attacco di questo tipo prima o poi si trasforma in un boomerang. Ma la cronaca dice che io ho smesso di insegnare alla Sapienza (per dire) per lo stesso motivo per il quale non sono entrato in Banca d'Italia: perché l'ho deciso io. Punto. Quindi, come dire, ti ringrazio per la solidarietà...
EliminaComplimenti per la calma e la serenità, per quello che mi riguarda mi sarei incazzato (e non poco) davanti ad attacchi professionali quali lei ha subito. Sulla profossionalità non si scherza.
EliminaCaratteri diversi.
Un saluto.
Se Frenkel ci dice che l’adozione dell’euro, con la “credibilità” ad esso associata, è stato il fattore scatenante della fase espansiva del ciclo finanziario nei paesi del Sud, incoraggiando la crescita dell’indebitamento privato nei riguardi degli altri paesi dell’Eurozona avete visto il debito privato in Danimarca?
RispondiEliminaE tu hai visto che il cambio danese è agganciato a quello dell'euro? (più o meno a 7.44) No, sai, perché a espertone, espertone e mezzo. O vuoi dirci anche tu, come Scacciavillani, Bisin, e Giannino, che il problema non è l'euro?
Eliminahttp://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-06-14/luglio-croazia-entra-unione-114904.shtml?uuid=Ab4HMx4H&fromSearch
EliminaSembra molto simile, si può paragonare? Anche qui cambio fisso, disoccupazione, debito estero fuori controllo (nel caso della Croazia probabilmente penso io da ora in poi sarà anche peggio data l'apertura doganale con l'UE)
La cosa più divertente della Croazia è che entrerà in UE fra 4 ore e la Commissione Europea stà già programmando una procedura di infrazione. Il sublime
Bella prefazione, e tanta solidarietà per gli attacchi di certi furboni che attaccano Pescara. Come se le proposte uscite dalla Bocconi e fallite sul campo non evidenziasse come, forse, anche la politica ha una sua influenza sulle graduatorie.
RispondiEliminaE sono pure capaci di darti dello sprovveduto...
molto interessante il titolo del seminario: THE EURO:MANAGE IT OR LEAVE IT che tradotto vuol dire: L'euro: man(n)aggialo o levalo.
RispondiEliminascusate, non ho resistito.
grazie. ritorno alla lettura, stavolta seriamente.
Ernesto
Gent.mo prof. Bagnai, perché attribuisce alla visione di Boltho e Carlin maggiore "pessimismo", riguardo alla loro ipotesi di fine dell'euro, rispetto all'ipotesi di "soluzione" avanzata da Frenkel, che come lei scrive "comporterà prima o poi una ristrutturazione dei debiti e probabilmente l’evoluzione della Bce che dovrà diventare un credibile prestatore di ultima istanza per i governi dell’Eurozona"? Leggendo spero attentamente il suo blog mi sono convinto che la dissoluzione dell'eurozona sia una cosa buona e giusta, e mi pare lei stesso la pensi così. Etichettando tale svolta come "pessimismo", forse perché la prefazione, situata in una rivista scientifica, è rivolta ai membri inconsapevoli del PUDE, lei rischia involontariamente (?) di avallare il paradigma corrente, mentre al contempo cerca di cambiarlo con i dati di fatto riportati negli articoli. Era un pedaggio proprio da pagare?
RispondiEliminaInoltre, se proprio debbo essere pessimista, le segnalo una notizia sicuramente a lei già nota che conferma mi sembra un paio di suoi post, e cioè che il "metodo Cipro" è stato ieri notte adottato ufficialmente per tutta l'eurozona. Sto diventando pessimisticamente dell'idea che prima della dissoluzione dell'eurozona dovranno passare i quasi ottant'anni che ci sono voluti all'impero sovietico per implodere (sofferenze per la popolazione comprese). Non ho tutto questo tempo, né io né i nostri rispettivi figli. Ormai quasi le scrivo "Mi dia delle speranze!", si rende conto?
Con cordialità.
P.S. Non contento di espormi con domande saccenti a reazioni adeguate, segnalo se può servire per un riutilizzo della prefazione in una futura pubblicazione in italiano, un paio di errori di battitura; nella frase "le politiche di trasferimento dal Nord e il Sud (in Italia e Spagno)" oltre all'ovvia A finale in SpagnA, andrebbe sostituita "dal Nord e il Sud" con "dal Nord al Sud".
Rimango in attesa di stroncature sfavillanti! :-) P.S. Se può servire all'opera di stroncatura, oltre che modenese come Zucconi sono pure ingegnere... Mi cucini pure a dovere.... ;-)
Caro Longagnani, lei c'è o ci fa? Basta dirlo. Il termine "pessimistico" si riferisce evidentemente a "pessimistico sulla sorte dell'euro". I due autori cioè ritengono, come ritengo io, che l'euro non sopravviverà. Scenario sul quale le mie opinioni sono note.
EliminaO forse lei appartiene all'esigua schiera di imbecilli per i quali "Bagnai è un voltagabbana ed è diventato eurista-neoliberista-capitalista?".
Guardi, capisco che come ingegnere lei parte svantaggiato, ma sarei veramente stupito se arrivasse a tanto.
Qualcun altro ha equivocato il senso di questo passo?
Nessun pedaggio pagato al PUDE, caro il mio ingegnere. Nelle rivista scientifiche si è relativamente liberi, amico caro, comunque più liberi che sul manifesto o su certi blog di pseudo-sinistra. Il fatto che lei abbia potuto pensare una cosa simile dimostra solo che lei non è particolarmente adatto a questo blog, cosa della quale entrambi ci consoleremo molto facilmente, non è vero?
P.s.: grazie per la segnalazione dei rifiuti. Dal letame, del resto, può nascere un fiore...
Fà veramente tristezza e rabbia capire e sapere che uno dei politici italiani più esposti mediaticamente come cicchitto sia informato su tutto e che in questi anni non abbia mai parlato, anzi sembra come sperare che ci faccia la carità la germania ensomma sia clemente perche altrimenti esportano meno nei paesi del sud europa.
RispondiEliminaSe siamo ridotti a questo, sperare che l" agguzzino si impietosisca credo che siamo messi male, ma male assai
@Lorenzo Marchetti
RispondiEliminaIl sistema internazionale delle pubblicazioni scientifiche è in molti campi e da diverso tempo soggetto a dure critiche e un giro su retractionwatch (per citare il sito più autorevole e multidisciplinare) è un sano assaggio della cruda reltà (tra l'altro da quel che ne so R&R non hanno ancora ritrattato e non credo ne abbiano intenzione, visti i toni della loro polemica con Krugman).
Riguardo le ragioni per cui certe cose accadono, immagino che la sua domanda sia retorica... Un mio collega ha forgiato un motto che puo essere esteso in "model/calculate/discover your way to tenure/grants"...
A proposito di "Su, piddinucci, dai, confessate: liberatevi da questo peso, e dopo vi sentirete meglio...)" le copio questa poesia di Trilussa:
RispondiEliminaPoesia di Trilussa sulla "Crisi de Coscenza"
La crisi de coscenza pò succede
da un dubbio che te rode internamente:
come ridà la fede a un miscredente,
pò rilevalla a quello che ce crede.
In politica è uguale. Quanta gente,
che ciaveva un principio in bona fede,
s'accorge piano piano che je cede
e je viè fora tutto differente?
Te ricordi de Checco er communista
che voleva ammazzà de prepotenza
tutta la borghesia capitalista?
Invece, mò, la pensa a l'incontrario:
e doppo quarche crisi de coscenza
s'è comprato un villino a Monte Mario.