Del resto, costruire un nemico era l’unico modo per coagulare un po’ di consenso attorno a una classe politica che non aveva nulla da dire e molto da nascondere. Perché queste persone sono le stesse che per “disciplinare” (leggi: sconfiggere) i sindacati hanno sconfitto il proprio paese, nella speranza di poter così entrare (loro) nei salotti buoni della finanza (“abbiamo una banca”!). Cara Concita, benvenuta nel club dei complottisti. Non mi sei mai sembrata così bella! Se poi sapessi che anche tu capisci che questa sinistra ha gestito l'euro come la presidenza della regione Lazio, mi sentirei meno solo su questa terra...
L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
martedì 29 novembre 2011
L'uscita dell'euro redux: la Realpolitik colpisce ancora
Del resto, costruire un nemico era l’unico modo per coagulare un po’ di consenso attorno a una classe politica che non aveva nulla da dire e molto da nascondere. Perché queste persone sono le stesse che per “disciplinare” (leggi: sconfiggere) i sindacati hanno sconfitto il proprio paese, nella speranza di poter così entrare (loro) nei salotti buoni della finanza (“abbiamo una banca”!). Cara Concita, benvenuta nel club dei complottisti. Non mi sei mai sembrata così bella! Se poi sapessi che anche tu capisci che questa sinistra ha gestito l'euro come la presidenza della regione Lazio, mi sentirei meno solo su questa terra...
lunedì 28 novembre 2011
I compiti a casa della famiglia nucleare
venerdì 25 novembre 2011
Keynes vs Tabellini
Siamo in mano a operatori (i "mercati") costretti ad agire in una logica di brevissimo periodo, che per questo motivo traggono i loro guadagni non dal merito intrinseco delle loro scelte di investimento finanziario, cioè, in sostanza, dal fatto di finanziare il progetto più meritevole e redditizio. I loro guadagni derivano dal fatto di lasciare il cerino acceso in mano al fesso di turno. E questo spiega come mai i mercati tollerino la persistenza di situazioni che oggettivamente dovrebbero essere percepite come pericolose. Guardate ad esempio la dinamica dell’indebitamento estero e pubblico nei Pigs:
Lo Stato non si esprime col disegno...
Ora la musica è finita, e Tabellini parla di riformare i Trattati. L’idea sottostante è quella, cara all’ortodossia, che siccome il mercato è buono, allora lo Stato è cattivo (nelle favole un cattivo ci deve essere). Lo Stato cattivo non deve intervenire nell’economia, ma deve semplicemente limitarsi a “disegnare” istituzioni che consentano al mercato di operare in modo ottimale. Naturalmente le istituzioni devono basarsi su regole rigide, perché introdurre elementi di discrezionalità le renderebbe poco credibili (ancora la credibilità), lasciando margini di manovra che i governi nazionali sfrutterebbero a fini elettoralistici. Ben venga quindi la rigidità, che rende credibili le istituzioni.
Questo atteggiamento ideologico contrasta con l’evidenza dei fatti: è esattamente la rigidità delle regole della costruzione europea che ne ha minato la credibilità e garantito il fallimento. Lo si è visto con le regole di convergenza di Maastricht, criticate a suo tempo da Buiter, Corsetti e Roubini (1993) perché “mal motivate, mal congegnate e suscettibili di provocare, se applicate meccanicamente, difficoltà evitabili”, tali da rendere impossibile il valutare se esse avrebbero “rinforzato o indebolito la credibilità” di paesi come l’Italia. Lo si vede adesso con la stessa presunta irreversibilità dell’entrata nell’euro, una nozione che oltre a non avere alcun fondamento giuridico, viene ormai correttamente percepita come fonte di problemi di credibilità. Il problema, ahimè, è proprio il ragionare per regole, cioè il cullarsi nell’illusione tecnocratica che l’economia sia una caldaia alla quale, in caso di problemi, basta sostituire lo scambiatore del Trattato di Maastricht o il termostato della Bce (“Dotto’, solo pe’ la chiamata so’ 50 mijiardi de euri...”). L’economia siamo noi, sono i nostri soldi, e se abbiamo dovuto tagliare delle teste per affermare no taxation without representation, speriamo di non doverne tagliare altre per affermare il nostro diritto di autodeterminare nelle sedi politiche democratiche la condotta della nostra politica economica.
Del resto, che il problema non siano le regole è evidente nel ragionamento stesso dei Tabellini di tutto il mondo e di tutti gli schieramenti, per i quali la crisi si risolverebbe se la Bce si comportasse come la Fed (cioè acquistasse titoli di Stato a man salva). Ma proprio perché la Bce è indipendente, può fare sul mercato aperto quello che le pare: non esiste alcuna regola che vieti alla Bce di acquistare sul mercato aperto quanti e quali titoli pubblici vuole (e infatti lo sta facendo, cercando di guidare gli spread a seconda delle convenienze politiche del momento). E allora le regole che c’entrano? Niente, perché il problema non è “tecnico”, di “regole”, ma politico, e perché comunque l'accumulazione di debito pubblico è a valle di un'accumulazione di debito privato determinata dagli squilibri di competitività che in presenza dell'euro possono sanarsi solo con deflazioni competitive (visto che la Germania non vuole cooperare). E resta comunque paradossale che si additi ora come strategia per la sopravvivenza dell’euro la possibilità per la Banca centrale di acquistare titoli del debito pubblico, quando a livello nazionale la separazione fra Tesoro e Banca centrale è stata salutata come un passaggio ineludibile per l’entrata in Europa. Insomma: tutto si risolverebbe facendo fare alla Bce quello che la Banca d’Italia non doveva fare, perché facendolo ci avrebbe allontanato dall’Europa!
La non sostenibilità dell’euro, ampiamente prevista in letteratura, ha favorito un colossale fallimento del mercato, aggravato dall’irrazionalità delle regole dettate per scongiurarlo. Le lezioni sono due: la prima è che prima o poi dovremo tornare a qualche forma di controllo dei movimenti di capitale, possibilmente più incisiva della Tobin tax. Verosimilmente dovremo recuperare l’idea keynesiana che un sistema a cambi fissi non può sopravvivere senza una regola della valuta scarsa, cioè senza un meccanismo che autorizzi i paesi in deficit ad adottare pratiche commerciali discriminatorie, proteggendosi dai paesi in surplus che non vogliono cooperare alla soluzione degli squilibri. La seconda, più immediata, è che introdurre rigidità e fare la voce grossa, come alcuni politici tedeschi quando abbaiavano il loro “drei Komma null null”, serve solo a distruggere credibilità. Quello che ognuno di noi capisce nella sua famiglia, è ora che tutti insieme lo capiamo nel nostro continente. Ma analisi ideologicamente scollegate dai fatti non possono certo dare un grande contributo in tal senso. E quindi lo scenario più plausibile e forse meno doloroso rimane sempre quello di cui parlavo ad agosto.
Riferimenti
Buiter, W., Corsetti, G. Roubini, N. (1992) "Excessive deficits: sense and nonsense in the Treaty of Maastricht", Economic Policy
Fonti dei dati
Il solito database del Fmi.
mercoledì 23 novembre 2011
I Bund, la prossima bolla
Quando dagli Usa è arrivato lo shock della crisi finanziaria, la Germania, che si era arricchita, ha negato aiuto a quelli che dovrebbero essere i suoi compagni di cordata nell'Unione Europea, senza capire che questi avrebbero trascinato nella sua caduta anche lei. Un concetto facile da capire, ma difficile da spendere sul mercato della politica interna tedesca. Scusate, secondo voi, se prestate 10000 euro a qualcuno e quello poi scompare, in crisi chi ci va, lui o voi? Perché qui si parla solo di crisi del debito (sovrano, beninteso), ma si dimentica che questo significa che il creditore non rivedrà i soldi. E il principale creditore (come il grafico mostra benissimo) è la Germania. Non sarà mica colpa del freddo se in quel paese tante banche sono già andate a gambe all'aria o lo hanno evitato di misura drenando una quantità spropositata di risorse pubbliche? Un fatto che suscita sdegno motivato perfino sul Sole 24 Ore, che in teoria dovrebbe essere un giornale conservatore, ma che in questa, come in tante altre analisi, si trova "a sinistra" di tanti forum della sinistra per bene, che imperterriti continuano a raccontarci la storiella della Germania che esporta in Cina! Ma si sa, il mercato, come il pianoforte, bisogna studiarlo da piccoli. E quindi non dobbiamo stupirci se l'elaborazione concettuale di chi da piccolo ha studiato (forse) Marx suona un po' fessa come l'esasperante "Für Elise" dell'attempato vicino di casa che ama (non ricambiato) la musica.
E con questo spero di aver risposto a Giovanni De Rasis che sulla mia unofficial web page, opera di qualche studente sbarazzino, mi chiede perché da tempo dico che non è il caso di comprare Bund. Mi pare chiaro, no?
Eppure per un po' anche i mercati non hanno afferrato il concetto. Presi dal panico, hanno convogliato una quantità di risparmio verso i Bund tedeschi, percepiti come bene rifugio, spingendone in basso i tassi di interesse (e quindi in alto i prezzi), in simmetria con l'impennarsi degli spread periferici. Si sa: nel breve periodo la razionalità dei mercati consiste nel comprare gli asset i cui prezzi crescono, facendoli crescere ancora di più, e invogliando così altri acquisti: si chiama bolla, e prima o poi esplode, perché gli stupidi sono sì la maggioranza, come sapeva bene Rabelais e come il dibattito nostrano sull'euro dimostra, ma purtroppo non sono infiniti. Se ci fosse sempre un fesso che compra non avremmo mai crisi finanziarie, come spiegano O'Connel e Zeldes, 1988, Rational Ponzi games, International Economic Review, 29(3) (letture di gioventù): ebbene sì, anche gli stupidi sono, o meglio, potrebbero essere - se fossero infiniti - una preziosa risorsa!
Ma il tempo è galantuomo: già a ottobre gli analisti cominciavano a vederci chiaro. Un mio ex-studente, strategist di una banca con sede a Dublino, mi diceva che in banca sapevano benissimo che i Bund erano la prossima bolla, e stavano già cercando di sfilarsi...
Nel frattempo a settembre la produzione industriale tedesca calava del -2.8%. Il dato usciva il 7 novembre e subito dopo, il 9 novembre, la Merkel cambiava atteggiamento: uscire dall'euro si può! Traduzione: abbiamo capito che se strozziamo i nostri mercati di sbocco dopo dovremo veramente competere con i cinesi (ma con i cinesi i tedeschi hanno un deficit crescente)!
E ora i mercati cominciano a realizzare che i fondamentali dei tedeschi in realtà sono quelli nostri: se noi andiamo male, loro vanno male (perché se noi non compriamo, la Goofynomics insegna che... loro non vendono!). E dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che la classe politica tedesca, mentendo per fini elettoralistici, si è messa nell'impossibilità di definire strategie cooperative e rischia di far soccombere il proprio paese nel tentativo vano di assicurare la propria sopravvivenza.
Così, giustamente, i mercati mandano quasi deserta l'asta dei Bund. Ma non è una bella notizia, perché l'elettore tedesco è stato bombardato dal messaggio che se le cose vanno male, la colpa è nostra. Qualcuno si ricorda di com'è andata l'ultima volta?
Già, ora ci dicono che la colpa della crisi è nostra, di noi meridionali pigri, perché lavoriamo poco, siamo poco produttivi, e quindi poco competitivi. Il che, in buona sostanza, significa che sulla porta d'ingresso dell'euro c'era scritto "Arbeitsproduktivität macht frei". Una versione riveduta e corretta. Chissà da dove usciremo questa volta...
Fonte dei dati
Updated and extended wealth of nations dataset (e se non vi dicono le fonti, passate oltre).
martedì 22 novembre 2011
lunedì 21 novembre 2011
Da non credere...
Da non perdere...
Rimango però affezionato alla mia analisi (fregandomene se ogni tanto qualcuno la definisce "complottista"). Senza disconoscere la forza dirompente della stupidità, così ben analizzata da Cipolla in "Allegro ma non troppo", dobbiamo avere il coraggio di vedere che dietro a certe scelte c'erano interessi ben precisi: l'interesse della Germania di ricreare, dopo il crollo di Bretton Woods, un sistema che assicurasse il successo della sua strategia di deflazione competitiva; l'interesse delle classi dominanti dei paesi periferici di "disciplinare" i salariati col vincolo esterno.
Questo era il fulcro del mio intervento su sbilanciamoci, e questo è quello che la sinistra per bene e decotta dei salotti e dei tinelli buoni non si vuole sentir dire. Poverina, l'euro è l'unica cosa che le è stato permesso di fare in quaranta anni, ed è quindi comprensibile che sia affezionata all'idea che fosse una cosa buona!
Quanta parte ci sia stata di stupidità (a sinistra) e quanta di furbizia (a destra) in quello che è successo non lo sapremo mai, ma certo la visione di Krugman, geniale e divertente quanto si vuole, attribuisce troppo peso alla stupidità!
domenica 20 novembre 2011
Quod erat demonstrandum
Ma che sorpresa!
E non abbiamo ancora cominciato con il rigore...
sabato 19 novembre 2011
La risposta giusta alla domanda sbagliata
Tutti chiedono a Monti di intervenire con rigore fiscale per risolvere il problema del debito pubblico, ma se lo farà Monti darà la risposta giusta alla domanda sbagliata. Se il problema è il debito privato, politiche fiscali restrittive non potranno che amplificarlo: le famiglie saranno in difficoltà con le rate dei mutui, ecc. Certo, la politica di rigore ridurrà anche le importazioni, e quindi allevierà il vero squilibrio, quello dei conti esteri. Inoltre, deflazionando l’economia, si recupererà un po’ di competitività, rilanciando anche le esportazioni e migliorando per questa via lo squilibrio fondamentale. Il problema però è che nel primo decennio del secolo è avvenuta la più riuscita privatizzazione italiana: quella del debito (Fig. 1). Dal 1998 al 2007, mentre il debito pubblico diminuiva di 11 punti di Pil, quello delle famiglie cresceva di 34 punti. Con un debito delle famiglie all’80% del reddito disponibile, l’esito più probabile di politiche di rigore è la bancarotta delle famiglie, nel tentativo (o col pretesto) di evitare quella dello Stato.
mercoledì 16 novembre 2011
I “salvataggi” che non ci salveranno
Lo squilibrio strutturale
Si parla solo di debiti “sovrani”, ma la scansione dei fatti mostra che la crisi dei PIGS nasce dall’accumulazione di debito privato verso creditori esteri. Dal 2000 al 2007 nei PIGS è cresciuto il debito estero (in Grecia, Portogallo e Spagna per circa 60 punti di Pil; Fig. 1), ma il debito pubblico era stazionario (come in Grecia) o in calo (Spagna, Irlanda, Italia). Il debito estero era quindi essenzialmente privato (questo è chiaro ad esempio a De Grauwe). Certo, il debito “nato” privato è poi “morto” pubblico: dal 2008 la perdita di credibilità dei PIGS chiude il rubinetto dei capitali esteri e i salvataggi pubblici della finanza privata fanno esplodere l’indebitamento pubblico. Ma se non si ricorda che il problema è il debito privato, non si capisce perché le manovre non hanno risolto nulla e perché i “salvataggi” autunnali si avviano sulla stessa strada.
Moneta unica, inflazioni diverse
L’indebitamento privato estero ha una causa strutturale nota: i tassi di inflazione dell’eurozona non stanno convergendo1. Dal 2000 al 2007 la Germania ha avuto l’inflazione media più bassa (1.6%). All’estremo opposto Irlanda (3.4%), Grecia (3.2%), Spagna (3.1%) e Portogallo (2.9%) hanno avuto l’inflazione più alta: la competitività è diminuita, le importazioni di beni dai paesi “virtuosi” dell’eurozona sono aumentate, le esportazioni diminuite. Per finanziare il deficit estero i PIGS hanno fatto ricorso al credito dei paesi virtuosi, e il resto è storia. La Fig. 2 mostra come nei PIGS l’indebitamento estero si sia mosso in simmetria con lo scarto fra prezzi interni e prezzi tedeschi: a maggior inflazione cumulata corrisponde maggior indebitamento estero (in maggior parte privato).
Quando un paese è in surplus evidentemente i suoi beni sono molto richiesti. La legge della domanda e dell’offerta vuole allora che i prezzi di questi beni aumentino rispetto a quelli dei concorrenti: si chiama rivalutazione reale. Se in più il paese ha una valuta propria, il cambio si apprezzerà perché la valuta dell'esportatore viene domandata per acquistarne i beni: si chiama rivalutazione nominale. Ma in Germania non va così. La rivalutazione nominale verso i partner dell’eurozona è scongiurata dell’euro. L’aumento dei prezzi da una politica di crescente moderazione salariale, per cui a produttività crescente corrispondono salari reali calanti. Il patto sociale tedesco si basa su una deflazione competitiva che equivale a una svalutazione reale competitiva e trasforma l’eurozona in un gioco a somma nulla: il nucleo si alimenta a spese della periferia, causandone il dissesto finanziario, e accumulando crediti esteri per oltre mille miliardi di dollari dal 1999 al 20092.
Del resto, supponiamo che i paesi periferici adottino le strategie di rigore proposte: combattendo questa battaglia perderebbero in ogni caso la guerra. Infatti, se le politiche di “tagli” non riuscissero a incidere sul differenziale di inflazione, i sacrifici sarebbero vani, perché persistendo lo squilibrio esterno proseguirebbe l’accumulazione di debito privato (a fronte di riduzioni del debito pubblico rese modeste dal rallentamento della crescita, e vanificate periodicamente dalla necessità di salvare la finanza privata). Ma anche se i tagli avessero successo, riportando l’inflazione dei paesi periferici in linea o leggermente al di sotto di quella della Germania, la risposta tedesca non si farebbe attendere: ulteriori ribassi competitivi dell’inflazione, come sperimentato anche nel passato recente (vedi sempre il lavoro di Cesaratto e Stirati), e così via. L’eurozona si avviterebbe in una spirale recessiva senza uscita. E questo i mercati lo intuiscono benissimo: ecco perché sono così nervosi.
I veri costi della politica
Ma questa soluzione trova due ostacoli politici: uno interno alla Germania, perché dopo aver raccontato per motivi elettoralistici che la colpa è dei meridionali pigri, i politici tedeschi, indipendentemente dal loro colore, non possono proporre ai loro elettori di cooperare coi “cattivi” (anche se i primi a beneficiarne sarebbero proprio i “buoni”); uno esterno alla Germania, perché solo un’azione coordinata dei governi periferici, guidati da quello del paese periferico più importante (che rimane il nostro) potrebbe far ragionare il governo tedesco. Ma il nostro governo precedente aveva la credibilità nulla che la “politica del cucù” gli ha procurato, e quello attuale è incline a seguire la strategia di deflazione proposta dalla Bce. Soluzioni cooperative non sembrano quindi realizzabili, il che mette una seria ipoteca sulla sostenibilità dell’euro. Per chi tiene veramente a mantenere la moneta unica sarebbe allora molto più razionale valutare l’ipotesi di “exit rules”: all'estero se ne parla serenamente. In loro assenza, allo stato attuale l’alternativa più plausibile rimane quella di una disgregazione dell’eurozona, subita e non gestita, con tutti i costi economici e politici che questo comporta.
1 Busetti, F., Forni, L., Harvey, A.e Venditti, F. (2006) “Inflation convergence and divergence within the European Monetary Union”, ECB Working Paper Series, No. 574 (Gennaio).
2 Cesaratto, S., Stirati, A. (2010) “Germany and the European and global crises”, International Journal of Political Economy, 39(4).