lunedì 11 dicembre 2017

Made in Italy

(...da un manager che ha lavorato per tante aziende italiane ricevo un contributo che risponde alla provocazione di Brazzale. Quest'ultima ha particolarmente colpito la fantasia di molti di voi, soprattutto di quelli sempre disposti a caricare a testa bassa, con ottusa ferocia, il nemico di turno, magari senza averne nemmeno letto il nome, o senza aver verificato se le parole attribuite a X siano di X o di Y. Ora, io torno a ribadire due concetti, che sono i pilastri del nostro rapporto, due pilastri credo solidi, visto che questa comunità, pur con momenti di stress, di crisi, di tensione fra me e voi, e fra voi e voi, comunque cresce, e comunque continua a promuovere dibattiti che attirano eccellenze - e questo ne è un esempio. I due concetti sono:

1) io capisco la vostra rabbia. La capisco perché ho gli strumenti macroeconomici per capirla (banalmente, io so e ho enfatizzato prima di tanti altri che questa è la crisi più grave nella storia dell'Italia unita: non è quindi strano che siate un po' nervosetti), la capisco perché ho gli strumenti umani per capirla (banalmente, sono dalla parte degli sconfitti anch'io: sono nella seconda classe del Titanic, e anche se molti di voi sono in terza classe, io capisco, a differenza degli altri, che la nave sta affondando e che non ci sono scialuppe), la capisco perché ho gli strumenti culturali per capirla, come del resto molti di voi (sappiamo che quanto sta accadendo è un film già visto, la ripetizione di una trama che tante opere d'arte hanno consegnato alla nostra cultura, e in effetti il problema principale del nostro interlocutore, cioè del piddino, è appunto quello di essere pseudocolto, che poi vuol dire, per fare un esempio, non leggere Furore, ma estasarsi alla lettura superficiale e ideologica che Baricco dà di questa opera - e questo è solo un esempio fra i tanti). Quindi vi capisco, ma se ho cominciato questo lavoro è proprio per aiutarvi a canalizzare la vostra rabbia in qualcosa di produttivo, per esortarvi a indirizzare questa energia verso un percorso di conoscenza, e non verso sterili battibecchi o attacchi ad personam che vi fanno sistematicamente passare dalla parte del torto nella vostra vita di tutti i giorni, e in particolare sui social, cosa particolarmente controproducente ora che i social sono oggetto di una campagna di normalizzazione, o verso una demonizzazione dell'avversario che portandovi ad abolire le sue ragioni vi priva di prospettive analitiche. Lenin vedeva gli aspetti positivi del capitalismo. Bongano, o similare, invece non rinunciano alla propria integrità ideologica -dispensando così i posteri dal grato compito di interessarsi alla loro biografia...

2) io ho un'unica arma a disposizione, la mia credibilità, e un pezzo della mia credibilità è il mio rifiuto di compiacervi. Vi sto dicendo questa cosa qui. Mantengo il diritto di segnalarvi il mio disaccordo da certe posizioni, di non tornare a ripetere nel 2017 cose che erano già banali nel 2011, di scegliere con chi credo sia interessante - per me e per gli altri - discutere e con chi invece sia sterile, e di non seguirvi in certe intuizioni che ritengo strategicamente errate. Voi, del resto, avete il pieno e totale diritto di non prestarmi più attenzione, e di smettere di sostenermi. Come ogni decisione, anche questa ha lati positivi e negativi per tutte le parti coinvolte. L'importante è essere liberi. Il mio rifiuto di compiacervi è, per chi può capirlo, la principale garanzia del fatto che non sto cercando di manipolarvi, cioè che rispetto la vostra libertà. Non mi interessa essere ruffiano con voi: mi interessa provocarvi, e accettare le vostre provocazioni. Siamo cresciuti così, e così continueremo a crescere. Ho avuto la sensazione che alcuni mi rimproverassero di non aver invitato interlocutori "ideologicamente corretti" al convegno annuale. Alcuni, anzi, lo hanno proprio fatto. Ecco: vorrei dimenticare questa caduta di stile. Sono gli altri a rifiutare il confronto, non noi, e mi dispiace non potervi compiacere in questa vostra sete di vendetta e di annientamento di chi individuate come avversario (sentimento che pure capisco: vedi al punto uno).

Detto questo, io sono abbastanza stupito, come dicevo, del fatto che di un convegno del quale sono state dette tante cose molto pesanti in termini di teoria e qui di di prassi economica, alla fine l'unica che vi ha veramente colpito sia il dibattito fra tre imprenditori e un docente di economia industriale, anche considerando il fatto che, se li conosco un po', forse i tre imprenditori sono meno distanti di quanto uno di loro, con una provocazione che i fatti provano essere feconda, ha cercato di enfatizzare. Tuttavia, sono anche lieto che in questa storia ci sia qualcosa che riesce a stupirmi, e quindi qui di seguito vi propongo il contributo di un altro dei partecipanti al dibattito, Vito Gulli...)
 



Ciao a tutti,
Da ieri sera sono in giro per l' Italia per un torneo di calcio del mio bimbo. Tra una partita e l'altra (😱5 😱) ho Tw e Rtw, ma sempre soffocando (nella sintesi di 1 Tw) la voglia di approfondire l'amato tema, sul blog del ns. Prof (👏👏...Lui...seppur in giro per l'Europa per ben più importanti interventi, trova il tempo, Uga permettendo, di moderarci, risponderci, e sempre istruirci...)
Io ci provo ora, sulla via del ritorno a casa, stanco e contento, mio "portierino" permettendo, (...dorme lui, più stanco e più contento).

Innanzitutto faccio i miei complimenti a Roberto per le sue scelte da imprenditore.
Ha creato, di sicuro, un ottimo business, ha fatto il bene della sua azienda, ha addirittura costruito una case-history 👏 di cui molto ancora si parlerà: Gran Moravia, campione di sostenibilità e trasparenza.
E ancor più per quanto e come si è "battuto" su Tw con risposte tecniche sempre puntuali e, (per come mi par capire sia il suo carattere...) sempre un po'....provocatorie...👏

Ma io...non ci casco...

Mai detto, Mai direi, e Mai dirò, che la scelta/preferenza per un prodotto italiano, da parte di un italiano (!!), debba essere fatta per qualità e/o sicurezza.

Sebbene sia fortemente convinto che il ns sistema di controlli sia il più efficace in Eu, e che la qualità dei ns prodotti (alimentari e non) sia quasi sempre la migliore, lascio ai consumatori "esteri" queste ragioni.

È ben altra la ragione per la quale mi batto da 30 anni per il Made in Italy: il Lavoro! Nella nostra Terra, per le nostre Tribù. Per tutti noi, anche per chi il lavoro ce lo ha ancora, senza rendersi conto però, che lo perderà se continuiamo così..

Non mi stancherò mai di insistere nel tentare di far capire a quanti io possa, quanto ciò sia vitale per tutti noi.

Proprio perché stiamo subendo le disastrose conseguenze di una trentennale politica priva di visione, 
senza strategie, orfana del Costituzionale dovuto rispetto per chi suda. Prima incapace di capire in che guaio ci si stava ficcando (€😱), poi incapace di aprire occhi&cervelli 😳🦊, di fare mea culpa 😇, e pianificare le dovute correzioni (£👍). Ovviamente non parlo dell'appena perduta fase finale dei mondiali di calcio, bensì della sovranità monetaria, e di quel minimo di politica monetaria che ormai da troppo tempo ci manca, e senza la quale le "cose" non possono andare (tornare) al loro posto..
Bene, sapete cosa ho il coraggio di dire? E datemi pure del commmbbblottista finché vorrete... ma io sono fermamente convinto che alla radice di questo attacco alla ns. democrazia, di questo inno alla concentrazione dei più forti, di questo delirio dell'alta finanza incapace di creare ricchezza vera, ci sia proprio la "bramosia" delle grandi aziende internazionali nei confronti delle tante aziende italiane con le quali hanno dovuto per anni competere, quasi sempre con insuccesso.

Proprio il Made in Italy è il "loro" obiettivo primario.

Chi non capisce quanto sia facile venderlo nel mondo???

Nei miei ultimi 30 anni di esperienze nazionali e internazionali, di vita imprenditoriale, di associazionismo, li ho visti, sentiti, combattuti....e mi pare di risentirli.....:

" Via, all'attacco della miriade di medio piccole aziende italiane. Addosso ai diritti di quei lavoratori. Impediamogli quella variabilità del Cambio che tante volte ci ha disturbato. Costringiamo quel folcloristico paesucolo con retaggi socialisti ad abbassare i salari. Obblighiamoli a destrutturare il loro arcaico welfare. Attanagliamo quei pigmei di imprenditori..."

E da qui...la storia è quella che tutti sappiamo...

Il piano prevedeVA (speriamo la coniugazione sia quella giusta..) di far man bassa dei ns marchi, con pochi spiccioli. Nel frattempo usare le loro lobbies per far modificare qualche legge (ved. Prodotto Dove?), per poi produrre "usando schiavi", là dove meno costassero, e infine... Vendere una falsa italianità nel mondo.😱😡

Quale americano, giapponese, persino italiano, avrebbe potuto capire che, di una pasta Barilla fatta a ...chissà dove (??), la scritta sulla confezione: Barilla, via Parma 1, Parma. Italia,...fosse solo la sede legale..??😪
 
Ma almeno questo lo abbiamo, spero per ora, evitato. E mi prendo gran parte del merito. 👏 di aver concorso alla bocciatura del recepimento della normativa voluta dalle Lobbies, pardon, da Leuropa..
Quindi, oggi, in attesa che il ns. Prof giunga a...Palazzo.. e si ricominci a pianificare il nostro Ritorno al futuro, cosa possiamo fare? Difenderci! Come??  Zittti tutti! Stavate per darmi dell' autarchico 😱😱 NOOO! Solo un po' di buon senso.. Basterebbe che, almeno quelli che ne hanno un po' di più (💰), si adoperassero per tutti, non nel pagare occasionali patrimoniali, inutili e persino dannose, ma semplicemente prestando un po' più di attenzione alle proprie scelte, ai propri acquisti, ai propri consumi..

La mia solita tiritera ... se il 1º 20% degli italiani, che consuma il 1º 60% del tot.consumi, modificasse solo del ~ 10% il proprio mix fra consumi di prod.interna vs prod.esterna (~65% vs ~35%)..e il gioco è fatto!! Fate il conto di quanto aumenterebbe il Pil, quello vero, non quello dato alla ca...volo di cane? Sarebbero numeri da Cina.... e il Lavoro in 🇮🇹.. 👍

Buon senso, non arcaica autarchia. Come già fanno tedeschi e francesi, loro si scevri da complessi di esterofilia come molti di noi. I primi per nazionalismo, i secondi per sciovinismo, noi per il ns. storico paraculismo, pardon, pragmatismo!

Pensate alle automobili... in Germania si vedono solo auto tedesche. Certo, sono le migliori, le più belle, costano di più, ma il cambio le protegge. E in Francia?? Idem. Solo auto francesi. E se qualcuno volesse sostenere che le auto francesi siano le migliori sarebbe un para..dosso (con tante scuse a quelli che le hanno 😂).

Potremmo fare altri mille esempi di questo genere. Certo la Fiat / Fca con ciò che ha fatto negli ultimi 20 anni, non merita il ns supporto,... ma se in 🇮🇹 iniziasse un circolo virtuoso 🔁, per cui i ConsumATTori italiani, diventassero, con le loro scelte, i veri attori protagonisti della ripresa, e quindi premiassero i prodotti, prodotti qui, magari chissà...potrebbe essere la Mercedes o la Toyota a capire che volendo continuare a vendere qui, dovrebbero aprire una fabbrica qui. E il Lavoro in 🇮🇹.. 👍

Termino con una precisazione per chi pensasse che ho un qualche interesse nel dire ciò che dico: ho venduto tutte le azioni della società che ho costruito. Soddisfatto di averla costruita e altrettanto di averla ceduta (con la certezza che gli impianti resteranno qui..). Così, se nei miei primi 30 anni di impegno, potevo essere tacciato di conflitto di interesse, per i miei prossimi 30 di ulteriore impegno, me ne sono liberato.😂.

Ho qui trascurato il tema della sostenibilità, pur convinto sia un altro determinante fattore di scelta per i ConsumATTori consapevoli.

L'avesssi fatto il ns Prof. mi avrebbe censurato per prolissità (già così...)





(...emphasis added...)

(Si apra la discussione. A beneficio dei buoi che caricano a testa bassa, mi preme sottolineare un concetto un po' arduo ed astratto, che sintetizzerò così: siccome l'intervento è stato scritto da Vito Gulli, ne consegue che non è stato scritto da Roberto Brazzale, né da Alberto Bagnai, e che quindi le opinioni di Vito Gulli, essendo state espresse da Vito Gulli che è, per sua fortuna e sfortuna, se stesso, vanno attribuite e contestate a lui stesso medesimo, cioè a Vito Gulli, che non è né Alberto Bagnai, né Roberto Brazzale, né Paolo Rossi, né Mario Bianchi. Ovvero: siccome l'intervento è stato scritto da Vito Gulli, ne consegue che non è stato scritto da Roberto Brazzale, né da Alberto Bagnai, e che quindi le opinioni di Vito Gulli, essendo state espresse da Vito Gulli che è, per sua fortuna e sfortuna, se stesso, vanno attribuite e contestate a lui stesso medesimo, cioè a Vito Gulli, che non è né Alberto Bagnai, né Roberto Brazzale, né Paolo Rossi, né Mario Bianchi. Ovvero: siccome l'intervento è stato scritto da Vito Gulli, ne consegue che non è stato scritto da Roberto Brazzale, né da Alberto Bagnai, e che quindi le opinioni di Vito Gulli, essendo state espresse da Vito Gulli che è, per sua fortuna e sfortuna, se stesso, vanno attribuite e contestate a lui stesso medesimo, cioè a Vito Gulli, che non è né Alberto Bagnai, né Roberto Brazzale, né Paolo Rossi, né Mario Bianchi. Ovvero: siccome l'intervento è stato scritto da Vito Gulli, ne consegue che non è stato scritto da Roberto Brazzale, né da Alberto Bagnai, e che quindi le opinioni di Vito Gulli, essendo state espresse da Vito Gulli che è, per sua fortuna e sfortuna, se stesso, vanno attribuite e contestate a lui stesso medesimo, cioè a Vito Gulli, che non è né Alberto Bagnai, né Roberto Brazzale, né Paolo Rossi, né Mario Bianchi. Ovvero: siccome l'intervento è stato scritto da Vito Gulli, ne consegue che non è stato scritto da Roberto Brazzale, né da Alberto Bagnai, e che quindi le opinioni di Vito Gulli, essendo state espresse da Vito Gulli che è, per sua fortuna e sfortuna, se stesso, vanno attribuite e contestate a lui stesso medesimo, cioè a Vito Gulli, che non è né Alberto Bagnai, né Roberto Brazzale, né Paolo Rossi, né Mario Bianchi. Ovvero: siccome l'intervento è stato scritto da Vito Gulli, ne consegue che non è stato scritto da Roberto Brazzale, né da Alberto Bagnai, e che quindi le opinioni di Vito Gulli, essendo state espresse da Vito Gulli che è, per sua fortuna e sfortuna, se stesso, vanno attribuite e contestate a lui stesso medesimo, cioè a Vito Gulli, che non è né Alberto Bagnai, né Roberto Brazzale, né Paolo Rossi, né Mario Bianchi. Ovvero: siccome l'intervento è stato scritto da Vito Gulli, ne consegue che non è stato scritto da Roberto Brazzale, né da Alberto Bagnai, e che quindi le opinioni di Vito Gulli, essendo state espresse da Vito Gulli che è, per sua fortuna e sfortuna, se stesso, vanno attribuite e contestate a lui stesso medesimo, cioè a Vito Gulli, che non è né Alberto Bagnai, né Roberto Brazzale, né Paolo Rossi, né Mario Bianchi. Ovvero: siccome l'intervento è stato scritto da Vito Gulli, ne consegue che non è stato scritto da Roberto Brazzale, né da Alberto Bagnai, e che quindi le opinioni di Vito Gulli, essendo state espresse da Vito Gulli che è, per sua fortuna e sfortuna, se stesso, vanno attribuite e contestate a lui stesso medesimo, cioè a Vito Gulli, che non è né Alberto Bagnai, né Roberto Brazzale, né Paolo Rossi, né Mario Bianchi. 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Ovvero: siccome l'intervento è stato scritto da Vito Gulli, ne consegue che non è stato scritto da Roberto Brazzale, né da Alberto Bagnai, e che quindi le opinioni di Vito Gulli, essendo state espresse da Vito Gulli che è, per sua fortuna e sfortuna, se stesso, vanno attribuite e contestate a lui stesso medesimo, cioè a Vito Gulli, che non è né Alberto Bagnai, né Roberto Brazzale, né Paolo Rossi, né Mario Bianchi. Ovvero: siccome l'intervento è stato scritto da Vito Gulli, ne consegue che non è stato scritto da Roberto Brazzale, né da Alberto Bagnai, e che quindi le opinioni di Vito Gulli, essendo state espresse da Vito Gulli che è, per sua fortuna e sfortuna, se stesso, vanno attribuite e contestate a lui stesso medesimo, cioè a Vito Gulli, che non è né Alberto Bagnai, né Roberto Brazzale, né Paolo Rossi, né Mario Bianchi.
 
Sì, sono un pochino esasperato da certi atteggiamenti, ma mi abituerò... Ho speso una mattinata a metter su questo articolo, e mi dà un tantino al... fastidio (diciamo così) vedere che commentare, a voi, costa così poco. Non sono totalmente sicuro che sia giusto.
 
In altre parole, dite e fate quello che vi pare, da berciare "al rogo!" al lanciare il reggiseno sul palcoscenico, purché al rogo ci mettiate Vito - ha le spalle larghe - o il reggiseno lo tiriate a lui - che non ne ha bisogno.

Pigé?

Sono sicuro di non essere riuscito a farmi capire, ma va bene così: l'insegnamento è una missione impossibile e asimmetrica: la colpa è sempre e solo dell'insegnante. E io convivo così male con i miei pochi fallimenti...)

41 commenti:

  1. E questa è la storia di una azienda italiana del tabacco in Italia,molti sicuramente non conosceranno la sua storia, "Yesmoke".
    https://www.facebook.com/carlo.giampaolo.messina/

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    1. Gianni, chi sei? Cosa vai cercando? Chi fuma puzza, e in effetti anche la tua storia un po' puzza, e il suo puzzo si attacca anche a te. Puzzo di troll. Poi, che la Stampa non sia una fonte affidabile l'ho sperimentato in prima persona (chiedendo la rettifica di una "notizia" che mi riguardava). Tuttavia, non mi sembra molto il caso di dare spazio sul mio blog a prodotti comunque nocivi, no?

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    2. Infatti La Stampa e' nota affetuosamente qua in Piemonte, dove e' nata e prospera, anche come La Busiarda.... giusto una nota di colore....

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  2. Ad un certo punto mi è sembrato di entrare nei 100 anni di solitudine.

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  3. Quando votano i cittadini? Non ogni 5 anni alle urne ma ogni giorno al mercato, quando decidono di promuovere un prodotto mettendolo nel carrello della spesa o di bocciarlo lasciandolo sullo scaffale.

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    1. Il vero punto è quanto sia reale la sovranità del consumatore. Su Twitter ho visto due persone insistere su questo concetto. Uno è Vito e l'altro, purtroppo, è Becchetti. Almeno Vito fa una cosa sensata: chiede sensibilità etica a chi se la può permettere. Tuttavia sospetto che questa sensibilità, se uno ce l'avesse, non potrebbe permettersela, e viceversa se se la può permettere è perché non ce l'ha. Problema noto alla logica antica...

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    2. Alla fine il consumatore purtroppo nn smpre riesce ad essere Sovrano neanche nello scegliere la spesa, per due ragioni, una economica perchè chi ha 600 euro di pensione al mese purtroppo è obbligato a comprare ciò che cosata meno, e l'altra è il richiamo della reclame a cui nn tutti riescono a resistere.

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  4. Purtroppo il motivo principale per cui al nostro paese sia stato possibile fare quello che è stato fatto è proprio il diffuso sentimento di auto-razzismo, trappola nella quale io per primo sono cascato per tanti anni.
    Quando dico ai miei amici di comprare in negozi o supermercati italiani, che pagano le tasse in Italia e che danno lavoro a parecchie persone, mi sento rispondere che ho una mentalità antica, che la globalizzazione non si può fermare

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    1. Io sto facendo, da qualche mese, la scelta di comprare nei negozi, non nelle "grands surfaces". Non è sempre possibile, non posso essere sistematico in questo, spesso ho dei problemi da risolvere (tornare a casa per rispondere a 50 commenti sul blog) e non ho tempo a disposizione. Però sto cominciando a prendere in considerazione questa alternativa. Temo che sia troppo tardi. Quello della "globalizzazione" è un argomento passepartout, come l'uomo nero per i bambini, che qualifica (male) chi lo usa e non ci fornisce nessun reale elemento di conoscenza.

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  5. Sì, anch'io penso che caricare a testa bassa sia controproducente, così come aver rumoreggiato al Goofy6 quando venivano dette cose sgradite: è stato scortese (per quel poco che conta, l'ho anche twittato in tempo reale).

    Se c'è una cosa che ho capito in modo chiaro, è che questa è una guerra da combattere più sul piano culturale che politico. E quindi è essenziale non screditarsi abbassandosi al livello dei talk show: dove vince chi urla più forte, a prescindere dai contenuti. Immagino che sia proprio per la volontà di agire più sul piano culturale che il Prof. è così infastidito da chi propone "Ahò, famo er partito": è molto più fondamentale costruire un luogo dove le idee, anche quelle che non ci piacciono, possano circolare liberamente, per poi diffondersi senza alcun altro ostacolo che quelli frapposti dal nemico.

    Per la stessa ragione penso che questo blog, nonostante saltuari scazzi tra il padrone di casa e i suoi lettori (scazzi che però sono sempre fecondi), dovrebbe rimanere ad accesso gratuito: concordo con Stefano Longagnani che ha recentemente detto altrove la stessa cosa, non motivandola (ma facendo un bonifico ad Asimmetrie, a cui si aggiungerà presto il mio).

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  6. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  7. Leggendo la lettera ad un certo punto ho iniziato a credere che ci sarebbe potuto anche essere scritto che se l'Italia chiuderà definitivamente i battenti la colpa è solo nostra e del consumatore medio italiano cattivo e brutto che non ha comprato prodotti italiani. Poteva anche scriverlo chiaramente ma credo comunque che si intuisca :(((
    Allucinante!

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    1. No: in effetti, come ho evidenziato altrove, se ci fai caso Gulli non si riferisce al consumatore medio.

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  8. Un brevissimo commento all'intervento di Vito Gulli che non è né... .... , né Mario Bianchi. (Faccio lo spiritoso confidando nella pazienza del Moderatore, al quale faccio gli auguri per ieri, giorno del suo compleanno).
    Di certo, tenderei ad identificarmi maggiormente nella filosofia di Gulli rispetto a quella di Brazzale ma non mi sento assolutamente di condannare la scelta effettuata da quest'ultimo. Sono 2 risposte diverse allo stesso problema che hanno come scopo la sopravvivenza socio-economica (ma direi anche culturale, quando si parla di produzione si parla quasi sempre di know-how e innovazione ma più spesso dovremmo parlare di tradizione e come trasmettere il sapere alle future generazioni. Se qualcuno pensa che dopo aver perso circa il 25%, si possa tranquillamente iniziare da zero come se nulla fosse, si sbaglia di grosso. Molte produzioni sono il risultato di una stratificazione di esperienze secolare).
    Le circostanze impongono un cambiamento e la scelta di agire, seppur differentemente, è apprezzabile e forse quella di Brazzale ha maggior probabilità di successo. Scegliere tra passione e pragmatismo non è sempre facile. In un certo senso, tendo anch'io a cadere nel tranello dell'autorazzismo: se non abbiamo il senso delle comunità, se la nostra cultura è fortemente individualista, pur riconoscendo un primato culturale e scientifico, dobbiamo rassegnarci e soccombere. Noi ci sbracciamo, protestiamo, siamo arrabbiati ma siamo sempre una minoranza; se non lo fossimo, probabilmente, la Germania avrebbe chiesto di uscire dall'€ a causa dell'invincibile concorrenza italiana.
    Concludo, volendo far notare un'altra cosa; spesso, in questo blog abbiamo visto tantissimi numeri e grafici sulla produttività e la competitività ma alla fine queste qualità sono esprimibili altrettanto bene e più semplicemente con la frase di Gulli: "Buon senso, non arcaica autarchia. Come già fanno tedeschi e francesi, loro si scevri da complessi di esterofilia come molti di noi. I primi per nazionalismo, i secondi per sciovinismo, noi per il ns. storico paraculismo, pardon, pragmatismo!"

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  9. Innanzi tutto complimenti a Vito Gulli e a Roberto Brazzale, oltre a Ciccola e Pozzi per la loro attività e per il contributo al dibattito.
    Il Made in Italy, come il Made in Germany o il Made in France, insomma il "Made in" in generale l'ho sempre considerato come un indispensabile identificazione delle diversità di prodotto, di cultura, di modus operandi dei lavoratori e di imprese delle varie nazioni.
    Anche solo per questo va difeso e va preteso contro l'ostracismo delle lobbies, guarda caso assolutamente globaliste.
    La difesa del lavoro sul rispettivo territorio è la logica conseguenza e un importante aspetto che la politica deve assolutamente perseguire con tutti i mezzi possibili (per quanto riguarda l'Italia anche riacquistando sovranità e dignità) tra i quali il "Made in".
    Quindi sono d'accordo con il sig. Gulli.
    L'affermazione di Roberto Brazzale (del quale sottolineo la grande disponibilità al dialogo, personalmente provata su Tw, chapeau) che il Made in Italy non esiste, non serve anzi, è dannoso, sebbene motivata e spiegata al convegno, mi lascia perplesso e un po' sospettoso: ci vedo un poco di conflitto d'interessi, avendo lui creato una produzione (e ri-chapeau) importante e di qualità anche all'estero.
    Il modo va concordato ma il "Made in" è indispensabile per valorizzare la capacità di ogni singola nazione e non deve far paura ma essere di stimolo.
    Il consumatore ha diritto di poter scegliere informato e il "Made in"
    è un'informazione indispensabile.
    E poi il "Made in Italy" è il marchio a più alto valore al mondo: stupido non difenderlo.

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  10. Compro sotto casa e cerco prodotti locali. Finché riesco, lo faccio.

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  11. Personalmente non accetto di pensare solo all'interno delle regole del capitalismo liberoscambista ma ragionando su strategie a breve termine e di sopravvivenza, bisogna riconoscere che queste regole esistono.

    Stanti così le cose, siamo in guerra e come "Italia" siamo in grave svantaggio. Il capitale simbolico "italianità" è una delle pochissime armi che abbiamo a disposizione, ed è assolutamente necessario utilizzarlo saggiamente. Questo include anche usarlo per conquistare posizioni difendibili, come ha fatto Roberto Brazzale in Repubblica Ceca: solo avendo buone posizioni avanzate si può difendere il centro del proprio schieramento.
    L'ho applaudito convintamente per questo.
    Tuttavia il suo attacco sui mercati è riuscito anche grazie ad un intelligente uso della tecnica "Italian sounding" o meglio "Grana Padano sounding" (o il suo formaggio si chiamerebbe Big Moravia).
    Questo lo sa benissimo, naturalmente. Per questo continua a investire in Italia. È da qui, dalla tradizione e dall'innovazione italiana che la sua azienda prende non solo il know-how ma anche il capitale simbolico che traduce in un sostanzioso margine.

    Immaginate però che per dieci o vent'anni il Grana Padano ormai troppo caro per gli italiani venga venduto solo all'estero, mentre noi mangiamo Gran Moravia. Oppure immaginate che continuiamo a mangiarlo, ma gli unici in grado di produrlo siano bengalesi. Questo capitale simbolico non si esaurirebbe prima o poi?

    Certo che sì. È un problema serio, variante della cosiddetta "generalizzazione". Per fare un esempio: la vera pizza secondo i simpatici americani si fa a Chicago. Difficile rispondergli con buoni argomenti, se a Napoli si mangia la pizza all'ananas e se in Italia i pizzaioli sono tutti egiziani.

    È un grave danno che per essere evitato richiede azioni energiche continue; finora i consorzi hanno fatto un buon lavoro da questo punto di vista. Chiederei a Roberto Brazzale di non disconoscerlo. D'altro canto può essere che il marchio "Made in Italy" e altri siano appesantiti da regolamenti superati o controproducenti. Sono però le uniche armi rimaste per organizzare un minimo di resistenza, come dice Vito Gulli.

    Aggiungo una parentesi costruttiva: sarebbe molto utile che tutti gli interessati ( e un giorno magari una classe politica non venduta) organizzassero delle etichette di livello "intermedio" fra gli stringenti Dop o IGP e il lasco "Made in Italy".
    Una etichetta rappresentativa di una filiera interamente italiana sarebbe un grande passo in avanti. Per fortuna una veloce ricerca su google mi fa scoprire che da circa un mese è stata presentata da Coldiretti e varie aziende di trasformazione una nuova realtà che si chiama proprio "Filiera Italia". Si trovano pochi dettagli su di essa per ora, ma credo valga la pena di tenersi informati, pur ricordando che se non usciamo dall'euro siamo fregati anche con tutti i pannicelli caldi di questo mondo.

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  12. Magari con imprenditori che assumino solo cittadini italiani?Può sembrare una provocazione,ma se si assumono stranieri,questi mandano rimesse nel loro paese,non solo,questi di solito consumano prodotti importati da quei paesi e quindi questo ci danneggia due volte.Solo con la collaborazione di imprenditori e consumatori si esce da questo pantano.Ci sarà?Studiano la storia dal 1861 in poi ho qualche dubbio,per il resto confido nella fame che sta raggiungendo anche gli imprenditori.Parlo ovviamente sempre in generale perchè come diceva il sommo (totò) è la somma che fa' il totale.

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  13. Perchè, a parità di spesa, per abbellire le case non si acquistano le opere di artisti italiani (invece della paccottiglia industriale dei centri commerciali)?
    Ho scoperto questa possibilità acquistando delle opere di un artista mio amico (in serie difficoltà economiche) e mi sono pentito di non averci pensato prima.

    Per la spesa frequento invece da due anni il mercato rionale vicino casa con somma soddisfazione: oltre al piacere di socializzare, sulle verdure si risparmia dal 30% al 60% (rispetto alla GDO) e la qualità dei prodotti di stagione è senz'altro superiore (miglior gusto, e la presenza di insetti e lumachine nella verdura non è un difetto, anzi).

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  14. Del signor Gulli apprezzo l'intento ultimo dichiarato, quello di proteggere il lavoro, e quindi i lavoratori, ovvero gli sconfitti.
    Purtroppo però trovo sia l'analisi delle cause che i metodi proposti per la soluzione inappropriati.
    Il Comblottismo è una scorciatoia troppo breve e pericolosa verso l'assoluzione di noi stessi dalle nostre colpe e la reductio ad "bianco e nero", "con me o contro di me" cui mi sembra cadere.
    Da quando leggo, con sempre maggiore interesse, le pagine memorabili di questo preziosissimo blog, mi sembra sempre più evidente che questa trappola eurista in cui siamo capitati`, a sua volta probabile frutto di un “disegno” coloniale americano, altro non sia che il risultato a sua volta di meccanismi evolutivi “naturali”, in cui ognuno di noi (muschi, licheni, cani, gatti, umani e aziende quotate) fa la sua parte, verso un macro-destino apparentemente ineluttabile, schiavi di pulsioni naturali che non hanno volontà, o intelligenza "autocosciente", non più di quanta ne abbiano avuta le forze evolutive che Darwin incominciò a descrivere e che hanno prodotto organismi (individui) ben più complessi di quanto la nostra migliore tecnologia possa produrre ad oggi. Prodotti “intelligenti” di un processo selettivo triviale.
    In un passaggio simile a quello da organismi monocellulari a pluricellulari, l’essere umano sembra sempre più soggetto (da secoli, lo sappiamo, ma sempre più rapidamente, anche grazie alle tecnologie che ha creato) a vincoli e pulsioni che nessun individuo è più in grado di fermare, né più di tanto influenzare.
    Questo non deve assolvere NESSUNO da ALCUNA responsabilità, né giustificare alcun atteggiamento di passiva accettazione di un destino che, per come l’ho appena descritto, altro non è che una mera, fantasiosa supercazzola, solo uno dei molti possibili.
    Mi fa però sorridere che ci si aggrappi a soluzioni in stile “panettone Melegatti” per illuderci che questo porti ad alcunchè di buono. Perché mai dev’essere di nuovo il lavoratore a privarsi della macchina migliore, o del “panettone migliore”, quando la colpa non è sua. Perché deve di nuovo castrarsi, e compiere scelte inefficienti, a suo discapito, quando lui è già la parte sconfitta.
    I mercati e la libera concorrenza hanno un grande valore. Vanno solo regolamentati e protetti da chi (o cosa), dominandoli, li distorce a proprio uso e consumo.
    Le proposte del signor Gulli vanno in una direzione che sa di sterile vendetta nazionalistica, di lotta tra lavoratori di diverse nazioni, quando loro stessi sono vittime, come noi, di un sistema che li schiaccia inesorabilmente.
    Quindi, in sintesi: il nemico è un altro, e non è umano.
    Sul fatto che si possa battere: non lo so, ma la (nostra) natura ci impone di combatterlo.

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  15. Chi acquista non presta attenzione all'origine della produzione, fatto salvo, forse, per i prodotti alimentari; a chi compra interessa soprattutto che il prodotto corrisponda al rapporto qualità/prezzo desiderato. Fatevi un giro nella grande distribuzione, di qualsiasi genere, e analizzate quanti prodotti sono di origine italiana.
    Alla grande distribuzione interessa il prezzo di vendita a cui può proporre il prodotto e ottenere il più ampio margine di guadagno possibile.
    Gran parte dei prodotti italiani male si prestano a questa logica commerciale.
    Chi vende deve tenere conto della compressa capacità di spesa di una fetta sempre più ampia di italiani e quindi adeguarsi al ribasso.
    L'Euro e l'alta tassazione hanno azzoppato la produttività delle aziende italiane e chi sopravvive sono le aziende che erano orientate all'esportazione. Chi era orientato al mercato interno ha visto precipitare il fatturato, magari ha dovuto licenziare, forse ha chiuso oppure continua a tentare l'impossibile per cercare di proseguire in un'attività produttiva sempre più minacciata da un sistema economico che certamente non crea le condizioni favorevoli alla sua impresa. Ultima notizia........A seguito della modifica della disciplina fallimentare, le società SRL con almeno 10 dipendenti dovranno dotarsi di un revisore dei conti, con ulteriore aggravio in materia di costi di gestione.
    Il costo di un revisore contabile è di circa 8.000 - 12.000 Euro all'anno......
    Non serve l'autarchia e nemmeno i pur comprensibili appelli all'acquisto preferenziale di beni nazionali, serve un sistema fiscale e normativo che ponga condizioni favorevoli alla produzione italiana.
    Ogni obiettivo di politica economica necessita di uno strumento e gli unici rimasti all'Italia, dopo aver rinunciato a quelli monetari e valutari, sono:
    - quello fiscale(abbiamo l'IVA al 22% !!, l'IRAP!!, l'IMU sugli immobili aziendali!!). Le alte tasse non hanno mai favorito alcuna crescita economica.
    - quello di gestione del mercato del lavoro (maggiore disponibilità di dati inerenti le offerte lavorative e una migliore strutturazione di servizi informatici utili sia ai lavoratori che alle imprese nel processo di ricerca del personale). Un mercato del lavoro con ampie asimmetrie informative (solo il 5-10% trova lavoro tramite i Centri per l'impiego) non aiuta nè le imprese nè i lavoratori.

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  16. quando 6 anni fa ho incominciato a riflettere di cosa potesse significare una rivalutazione mi è venuta la pelle d'oca (ok, riflettere grazie al prof, all'AVO e al ciclo di Frenkel).

    Osservate due-tre cose nel mio piccolo:
    a) le aziende segano i margini (quindi hanno meno possibilità di investimento e di assunzioni a "babbo morto"*)

    b) ciclo di Frenkel: non capivo 10-12 anni fa come le banche potessero prestare soldi a società che non facevano profitti

    c) quando lo Stato da noi in Sicilia ha investito (vado a memoria: gli unici due periodi dell'Unità d'Italia in cui il Sud ha recuperato il gap è stato quello delle ondate degli investimenti pubblici) attorno a questi si è creato un substrato di piccole e medie imprese..


    Ciò premesso, ormai ci sembra chiaro che svalutare aiuterebbe ad avere spazi fiscali e che i circoli viziosi si creano in un modo piuttosto che un altro**


    *per me sono quelle assunzioni con cui prendi il ragazzo, dei ragazzi e li fai crescere (pagandoli..) per poi assumere quando maturi ruoli di responsabilità.
    Invece si vedono solo dimissioni o licenziamenti e "dirigenti" vaganti


    **un pazzo può pensare che a lungo andare con questa povertà e disoccupazione si potranno ancora creare competenze e laureati.. "a buon mercato" per loro, nelle loro prospettive, ci sono solo cuochi e camerieri

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  17. Ho riflettuto molto sul dibattito Gulli-Brazzale-Ciccola. Lavoro nell'alimentare, il tema mi è caro.

    Ho l'impressione che Gulli e Brazzale abbiano una concezione diversa di Made in Italy. Mentre per Gulli l'espressione sembra avere un'accezione oserei dire filosofica, in quanto riferita allo stile di vita che noi italiani abbiamo creato e che riusciamo a infondere anche in un bullone, Brazzale mi è sembrato più pragmatico, sicuramente più cinico, meno "simpatico". Ma entrambi amano il nostro Paese e sanno che la moneta unica ci ha danneggiati; solo che, nel tentativo di preservare il nostro patrimonio culturale ed industriale, hanno fatto scelte diverse. Ho letto molte critiche a Brazzale. Ammetto che sentir parlare di Made in Italy come di un intralcio lì per lì mi ha infastidita. Poi ho riflettuto sul fatto che Brazzale, a differenza di altri, ha saputo sfruttare una situazione svantaggiosa per mantenere stabilimenti e lavoro in Italia. Non è una decisione scontata.

    Parlo di alimentare perché è il settore che conosco. Ad oggi, apporre la dicitura Made in Italy su un prodotto significa poter dimostrare di produrre e trasformare delle materie prime secondo i dettami de Leuropa. Leuropa ci dice che per poter essere definito Made in Italy, un prodotto deve essere composto o da materie prime interamente ottenute sul territorio nazionale, o sufficientemente trasformate da poter vantare origine italiana. E qui le cose si complicano, perché le regole sembrano scritte apposta per colpire le nostre produzioni. Ne consegue che se per definire Made in Italy un pacco di pasta ho bisogno di una trasformazione sufficiente, e la regola Leuropea stabilisce che tale trasformazione è garantita da un "salto" di codice doganale (che tradotto significa che se il grano che utilizzo come materia prima per la pasta ha una classificazione doganale diversa dalla pasta come prodotto finito, soddisfo il requisito e posso definire Made in Italy il mio prodotto), io produttore, strangolato da cambio fisso ed altri problemi, per tenere aperta la baracca compro il grano che più mi conviene comprare, perché in ogni caso la regola la rispetto e forse riesco a pagare i miei dipendenti. Ovviamente queste stesse regole finiscono, alla lunga, per affossare le produzioni nazionali, favorendo l'infiltrazione di semilavorati esteri e portando tante aziende a chiudere o a vendere. Che pacchia, per i nostri fratelli nordeuropei!

    Un secondo problema si pone quando il consumatore scopre che nella pasta che compra a 0,80€ e che ritiene essere italiana c'è il grano canadese trattato col glifosato. S'incazza e dice "ma come!? io compro il marchio X pensando di mangiare italiano, poi scopro che Tizio mi fa pagare 0,80€ usando grano straniero, quando al discount dietro l'angolo con 0,40€ mi compro la pasta di sottomarca fatta comunque con grano straniero. Sai che c'è?". C'è che la pasta prodotta da Tizio, che si barcamena tra regole insensate per lui, ma sensate per i concorrenti, rimane sullo scaffale.

    Quindi, quando Brazzale parla di intralci ho la netta impressione che si riferisca alla possibilità che le regole per il conferimento della dicitura Made in Italy divengano più restrittive (come vorrebbero i consumatori); quando in realtà, ad oggi, sono quelle stesse già pessime regole a consentire NEL BREVE TERMINE ad un'azienda trasformatrice di restare a galla. E ha ragione Gulli, quando dice che le stesse regole sono fatte per colpire al cuore i nostri produttori di materie prime minando così la nostra capacità di produzione, che poi vorrebbe appunto dire posti di lavoro in più, parecchie terre incolte in meno e più sicurezza per il cittadino.

    Il problema, alla fine, è sempre il solito: chi ci ha traditi.
    Da parte mia, cerco di fare scelte che aiutino le nostre aziende e i nostri concittadini. Posso solo rispondere all'appello del sig. Gulli ed invitare chi conosco a fare altrettanto.

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  18. Non credo nel potere reale del consumATTORE di difendere il lavoro italiano, neppure quando si pretende di esprimerlo come boicottaggio.
    In quanto consumatore e, come molti credo, acquisto in base a quello che consente il mio portafoglio e il mio stile di vita, il tempo che dedico agli acquisti è il minimo indispensabile, non ho tempo per fare spesso scelte diverse da quelle messe a disposizione dalla grande distribuzione. Certo scelgo col buon gusto tipico di noi italiani, in base alla qualità e per questo, specie nell'alimentare, compro molto italiano, ma non sempre. Certo da massaia media non compro il tonno di altissima qualità e di elevato prezzo per condirci la pasta di "tutti i giorni", uso quello della grande distribuzione, il nostro veramente eccellente lo gusto solo ogni tanto, in purezza. E così per l'arredamento di casa ho scelto per lo più mobili e complementi italiani di qualità che durino nel tempo, le camerette dei bambini, l'arredamento ufficio è ikea o aziende importatrici similari. Idem per l'abbigliamento..
    Il divario di prezzo è troppo elevato perché io possa combattere la guerra della difesa del lavoro italiano da consumatore, anche perché nel contempo il potere che dovrei esprimere col mio portafoglio è stato via via eroso. Infatti sono anche una piccola imprenditrice che ha visto via via diminuire il suo fatturato e aumentare la pressione fiscale, nel mentre fatica sempre di più a incassare. E come cittadino sono costretta a pagare imu sulla casa ereditata che non produce reddito, visite mediche specialistiche e ticket,ecc.. E i risparmi non si toccano per assicurare ai figli un aiuto visto il futuro sempre più incerto.
    Come posso essere un attore politico in quanto consumatore che deve razionalmente far quadrare i propri conti? E se non posso io come lo possono essere i tanti precari e disoccupati? E i pochi che della crisi non hanno sofferto per nulla perché dovrebbero combatterla questa battaglia? Posto poi che se italiani probabilmente acquistano già italiano semplicemente per la qualità superiore, non certo in difesa del lavoro di cui sostengono la svalutazione?
    Quindi ben venga una legislazione che non regali l'etichetta del made in italy a produzioni che di italiano hanno solo il nome ma la guerra vera a difesa delle imprese e dei lavoratori può essere solo politica, affidata al cittadino come agente politico, che sostiene un programma e vota. Votare è gratis e fare l'interesse nazionale è veramente razionale per il singolo cittadino, a differenza del singolo consumatore.

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  19. Come ho avuto modo di dire già su Twitter in realtà credo che, provocazioni a parte, le affermazioni di Brazzale e Gulli (che sembravano dividersi in "colpa dell'euro vs. colpa del dumping" quando così non è e basta leggere il post di Gulli per accorgersene) non siano economicamente in contraddizione.
    Il cambio fisso favorisce dumping e delocalizzazioni rendendo necessarie politiche protezioniste più incisive. Il cambio variabile ostacola il dumping e le delocalizzazioni per sfruttarlo e di conseguenza richiede meno politiche protezioniste (includendo nel termine i provvedimenti più vari).
    Per quanto riguarda il saccheggio di marchi italiani è interessante un lavoro di Eurispes, "Outlet Italia" (qui la sintesi del rapporto), di cui Fara parlò in anteprima al convegno che organizzammo al Tempio di Adriano nel 2013 e che da un'idea delle dimensioni del problema. Una lista in cui ogni aggiunta, per chiunque comprenda un po' di economia, è un passo avanti nel countdown verso il punto di non ritorno del "sistema Italia" mentre per i #piddini di ogni colore è un evento da festeggiare... Dio li perdoni (io no).
    Colgo l'occasione per ringraziare Alberto per averci consentito di ascoltare tanto Brazzale (che avevo già conosciuto ed incontrato allo scorso #goofy5 e che solo per avere il merito di sostenere Asimmetrie per quanto mi riguarda può anche affermare che la terra è piatta e io gli lascerò quantomeno il beneficio del dubbio) quanto Gulli che è stata una delle migliori voci ascoltate quest'anno a Montesilvano insieme a quella della Professoressa Stirati e del mitico Pedante.
    Insomma, per me Gulli sta sul podio nella categoria "nuove proposte" e mi prenoto per organizzare un incontro sul tema della difesa del Made in Italy per sviluppare una proposta articolata sul tema, anche in vista delle prossime politiche. :-)

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  20. @ Vito Gulli

    Che dire, durante gli interventi di Brazzale ero lì seduto in platea a non contestare, a non mugugnare, ma ad osservare me stesso con il classico mega-punto-interrogativo sulla testa, quello classico dei belli e lenti cartoons Disney di pre-rivoluzione-digitale anni 70, e con a margine la nuvoletta con scritto “Ma ci è o ci fa?” . Insomma, prima ancora che la teoria macroeconomica, un tentativo di piegare la semplice logica. Non ho potuto che rimanere silente nell’ infruttuoso tentativo di capire dove il Brazzale volesse andare a parare.
    Si, penso in effetti che la lettura che ne da il Prof sia quella più calzante. Provocazione.
    Staremo a vedere.

    Vengo a quanto affermato da Vito Gulli.

    Chiaro l’esempio dell’acquisto da parte degli italiani di auto straniere, scelta forse economicamente conveniente a parità di qualità, causa rigidità del cambio che non consente di prezzarle il giusto. O, magari, è solo per motivi di subalternità culturale.
    Oggi invece, come ai tempi d’oro delle estati romagnole, una tedesca non la si nega più a nessuno.
    D’altronde, come biasimarli gli italiani? Quali valori, se non quelli del portafoglio, potrebbero spingerli a disdegnare una Mercedes? Il senso di appartenenza e tutela della patria?
    Su questo fronte (storico-antropologico) siamo totalmente INDIFESI , come spiega in breve anche Francesco Mazzuoli qui→ https://youtu.be/lLdEPZikKW0 , e quindi dovremmo concentrarci su altre azioni visto che neanche quando c’è di mezzo la salute il cittadino ci fa un pensiero... altrimenti il mio vicino acquisterebbe la farina locale dal mulino sotto casa a 1,20 € (come me) piuttosto che all’Eurospin a 0,30 € , ma che invece non rinuncia al pacco di sigarette quotidiano (5,50€).

    Che un privato cittadino acquisti un prodotto straniero in luogo di quello dietro casa si può anche comprendere. Ma non è comprensibile nè ammissibile che lo faccia L-O S-T-A-T-O !
    Avrete notato in giro per le nostre citttà le nuove BMW in dotazione alla polizia di Stato. Quale criterio si è applicato nella scelta del produttore? (I tedeschi sono tanto onesti signora mia! Mai penserei alle italiche bustarelle…). Le BMW erano forse più a buon mercato e quindi più funzionali all’italica austerity? Qualcuno ha considerato che il (ipotetico) risparmio sul prezzo si trasforma in cassa integrazione per gli operai della FIAT, AlfaRomeo, Lancia… e che a stretto giro lo Stato ci ha rimesso D-U-E volte ?

    Al di là delle a noi QUI ben note argomentazioni relative alla sovranità monetaria ed alle misure di politica economica che uno Stato sovrano applica, andrebbe definito un elemento non secondario: “un pò di sana autarchia non ha mai fatto male a nessuno” (cit. non ricordo se di @comunardo o Nino Galloni). (sana)autarchia non è una bestemmia.

    Chi è informato, e sicuramente lo è @comunardo in questioni russe, si sarà accorto che a seguito del colpo di stato nazista in Ucraina, Mosca si è ritrovata con un ulteriore problema da risolvere: aveva in passato concentrato tutta la produzione di turbine a gas in Ucraina e d’improvviso dopo il golpe non ha potuto più rifornire la sua industria aeronautica e navale, ed anche quella civile delle centrali elettriche.
    Soluzione: in un paio di anni hanno messo in piedi il piu avanzato stabilimento di produzione turbine che si sia mai visto.

    SEGUE.....

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  21. ....CONTINUA

    Stessa cosa nel settore informatico, con la costruzione di impianti per la produzione di microprocessori per PC. Oltre alle ragioni di sicurezza nazionale (I progetti delle CPU INTEL sono segreti e made in USA), è facile intuire cosa accadrebbe in caso di embargo USA. La russia si ritroverebbe in breve tempo ferma al medioevo informatico.
    Hanno inoltre già da alcuni anni eliminato i sistemi operativi proprietari made in USA (Windows, Apple) in favore di una versione del sistema operativo LINUX modificata e il cui codice sorgente è in mano agli sviluppatori russi.

    Mentre mi torna in mente ora (forse perchè il terrore della realtà non riesco ad accettarlo) che abbiamo S-venduto ai francesi la Telecom. Au revoir, sicurezza nazionale.

    Sono questi solo alcuni esempi di come una Nazione fornita di veri statisti opera.
    D’altronde il popolo sa far bene solo “er popolo” , così come l’imprenditore sa far bene solo l’imprenditore. Sono gli statisti i soli che impediscono ad entrambi di segare I rami sui quali sono seduti.

    Il mantra italiano da diversi decenni è invece quello di adagiarsi sul nostro immenso e unico patrimonio culturale ed ambientale, “il nostro petrolio”, per diventare un immenso parco divertimenti per vacanzieri trash dell’ora d’aria liBBerista, con buona pace della miriade di piccole e medie industrie cannibalizzate ogni giorno da tedeschi e francesi.
    Purtroppissimo il turismo è il settore voluttuario per eccellenza, il primo che salta per aria in tempi di crisi. Inoltre, ben peggio, è un bene da “esportazione superfluo” che se imposto come dominante ci costringe ad “importare il necessario” una volta perse le nostre capacità produttive primarie. E Dio solo sa quanto a noi servono le mietitrebbie... che non crescono sugli alberi ma ormai nemmeno più in Italia.

    “Il turismo è il settore di R-I-P-I-E-G-O dei territori deindustrializzati” (cit. C.Pozzi)
    Che pena infinita vedere al TG Rai la cara città di Matera ridotta ad un teatrino ed i suoi abitanti a mere comparse. Mi ha tanto ricordato gli spettacolini per turisti visti nei miei viaggi nel Pacifico. Orgoglio di appartenenza fatto a brandelli. Dopodichè, passato il santo (anno €uropeo della cultura) , finita la festa, l’ultimo spenga la luce.
    Anche i computers non crescono più in Italia da quando la Olivetti inventò il PRIMO PC al mondo (la Programma101) per poi in fretta vendere (sotto imposizione) i brevetti alla General Electric, con devastante delusione dell’ing. Perotto → https://www.youtube.com/watch?v=2RjIRKIetP8
    Morale: le CPU le importiamo dagli USA, dai quali dipendiamo totalmente, e Dio non voglia che gli diventiamo antipatici per via di nostre strane decisioni sovraniste.
    Ma su questo fronte siamo sereni. A) siamo disarmati; B) di novelli Enrico Mattei all’orizzonte non se ne scorgono.

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  22. Molto condivisibili le parole di Vito Gulli.
    Avrei solo dei parerga in forma di quesiti da porgli:

    1) la grande distribuzione, oltre ad aver messo in ginocchio i piccoli commercianti, (non solo nel campo alimentare) sta danneggiando il made in Italy? Mi pare infatti che alcune ditte straniere operanti nella grande distribuzione in Italia abbiano ridotto la scelta dei prodotti italiani in favore di articoli esteri più economici (e - almeno a mio avviso - spesso di qualità inferiore).

    2) Questa insufficiente presenza di prodotti "Made in Italy" è solo un problema di inadeguatezza di marketing e distribuzione delle aziende italiane?

    3) Ritiene che abbia qualche incidenza la politica europea di dumping salariale ed esasperata flessibilità del lavoro sulle scelte dei consumatori e sul Made in Italy? (Ho visto dirigenti di banca andare a far la spesa in un discount tedesco, dove, ad esempio, si imitano le etichette di alcuni aperitivi italiani per farli assomigliare agli originali)
    Che opinione ha in merito?

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  23. La cosa che mi fa rabbia è vedere le forze dell'ordine con la Seat o la Clio

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  24. Cerco di farlo da anni, praticamente da quando sono approdato qui. Senza talebanizzarmi però..buon senso come dice Vito, consapevole che non può essere questa la soluzione.
    Eppure, è cmq un modo per "allenarci" ad un'etica che ritengo dovremmo avere anche in tempi di scambi ordinati e valuta adeguata.

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  25. "La mia solita tiritera ... se il 1º 20% degli italiani, che consuma il 1º 60% del tot.consumi, modificasse solo del ~ 10% il proprio mix fra consumi di prod.interna vs prod.esterna (~65% vs ~35%)..e il gioco è fatto!!" .Un imprenditore che pensa come appartenente ad una comunità è di per se una buona notizia perchè è il segno che la mentalità "globalista" non ha più l' unanimità e l' egemonia, neanche nell' ambiente dov'è più radicata.Rimane comunque sottostante alla soluzione evocata,il mercato plebiscito quotidiano nel quale s' esprime la sovranità del consumatore,un individualismo che induce ad una "testimonianza"(acquisto Made in Italy)ma non può invertirne il risultato negativo(la deindustrializzazione e colonizzazione ) e al tempo stesso confligge con l'idea stessa d' appartenenza ad una comunità. La soluzione d' un problema collettivo deve essere collettiva e la troviamo nella nostra Costituzione di matrice keynesiana e lavorista,che presuppone l' uso completo dei fattori produttivi e quindi pure la loro tutela per il perseguimento del diritto al lavoro e dei diritti sociali

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  26. Io compro italiano, ma quanti di questi negozianti e produttori, nei tempi buoni, "compravano italiano" pagando un pò di tasse o almeno comprando la Thema e non la BMW? Certo qui si impara che in qualche modo i loro profitti rientravano in circolo, ma la frattura sociale purtroppo c'è, si sente il sapore amaro della solidarietà a senso unico.

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  27. Solo su un punto dissento "abbastanzamente"; Quello del comprare "italiano".
    Intanto non è chiaro e limpido quali siano le aziende "italiane".
    E poi, il "consumatore" più spesso che no, ha la scelta obbligata (relativamente alla possibile scelta tra prodotti).

    Mi viene in mente quelli che restano convinti della possibilità di indirizzare il mercato (dei beni primari) "dal basso"...ha una certa analogia con un'altro concetto, stavolta politico, che parte dallo stesso punto prospettico.

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  28. Che, tra l'altro, muove dalla stessa prospettiva che pone l'individuo come motore primo dei risultati del sistema sociale di riferimento.

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  29. "Proprio il Made in Italy è il "loro" obiettivo primario!".
    Vito Gulli for President
    e chi non lo apprezza si merita il parmesan.


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  30. Come ha detto il professore nella risposta al commento di Emanuele 777 è probabile che "sia troppo tardi", anche perché, e lo spiega bene il commento di Giulia pubblicato su Goofynomics del 12 dicembre, ormai anche i prodotti venduti come italiani non lo sono spesso più al 100%, data l'immissione forzata nel mercato di semilavorati esteri. La scelta di comprare prodotti italiani è comunque conseguenza di quell'amor di patria, che, quando è vero, permette di sacrificare il proprio interesse economico immediato (che invoglierebbe a comprare un prodotto estero di qualità inferiore ma meno caro) per quello di lungo periodo (che porta a scegliere il prodotto nazionale, anche se più costoso), amore al quale si deve essere educati fin da piccoli e che purtroppo la sinistra in questo paese ha la responsabilità storica di avere soffocato in modo quasi totale, grazie alla posizione di predominio da essa avuta nel mondo della cultura, della scuola e dell'università (e nonostante fosse cosa normalissima nei paesi del blocco socialista esaltare i valori patrii). La causa della situazione in cui il paese versa è anche il fatto di essere stato abituato a pensare che il sentimento nazionale fosse cosa negativa, di cui vergognarsi e da condannare come retaggio del fascismo. Vivendo in un paese, come la Polonia, il cui popolo ha invece un'identità nazionale fortissima, valorizzata dal sistema educativo, mi rendo conto, discutendo coi polacchi sulla possibilità che il loro paese aderisca all'euro, come, per loro, sia cosa facilissima rigettare l'adesione alla moneta unica per via del vulnus alla sovranità nazionale che essa comporterebbe, e di cui anche i meno avezzi in materia economica o giuridica sono, almeno per me, incredibilmente consapevoli. Preoccupazione questa che fu del tutto assente nei nostri politici, ma anche nella stragrande maggioranza del popolo italiano (eccettuando, pur con tutti i suoi limiti, la sola destra estrema), il cui inesistente amor di patria condusse gli uni e l'altro a vedere nell'adesione all'euro una possibilità di rinnovamento catartico della nazione grazie alle virtù redentrici del "podestà straniero" biondo e dagli occhi azzuri. Finché non sentiremo di essere un popolo unito dal fatto di condividere una comune identità nazionale (costituita da storia, lingua, cultura e tradizioni religiose comuni), ci sarà impossibile difendere i nostri interessi in modo efficace ma continueremo ad essere in bali degli interessi stranieri e dei loro lacchè.

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  31. Io faccio fatica a pensare alla Grande Distribuzione italiana in termini negativi come viene evocata spesdo qui. Soprattutto se pensiamo che Esselunga, Coop, Finiper, Sogegross e molte altre sono sempre state marcatamente dalla parte del prodotto Italiano, nonostante l'esigenza di offrire assortimenti più allargati, non escluda la presenza di prodotti di importazione. Con queste strutture di distribuzione l'unico ostacolo ai prodotti è la reperibilità continuativa o stagionale e soprattutto la vendibilita'. Il prezxo basso dei prodotti hanno spesso la sola funzione di richiamo ma quasi mai danno marginalità. A loro interessa far entrare il cliente per una ragione forte, convinti che una volta dentro, il cliente acquisterà altro. La grande distribuzione ha dato certezza e capacità di pianificare e crescere a migliaia di piccole aziende molto spesso educandole a dotarsi di sistemi organizzativi e innovativi avanzati. Esselunga e Coop su tutti credo che siano lì a testimoniarlo. Per le risorse e le intelligenze messe in campo non credo proprio che una sana politica di Made in Italy possa prescindere dalla GDO. La riprova è lì da vedere attraverso quello che NaturaSi sta facendo con il biologico. Il produttore ha bisogno di un cliente forte, capace di pianificare, supportare e garantire il ritiro dei volumi di produzione. Ingegneri capaci per esempio come in Decathlon, sono capaci persino di rendere un produttore italiano più competitivo del produttore cinese perché il prezzo è l'insieme di tante cose e se non le sai fare bene tutte (garantire 5 anni per esempio il prodotto) il tuo prezzo può essere basso ma in relazione al sottostante, può essere scarso e poco conveniente. Credo che tutti ormai abbiano sperimentato che comprare cianfrusaglia cinese è solo alla fine una perdita di denaro. Scusate la banalità delle considerazioni ma quando si difende Esselunga o Coop, non si difende la globalizzazione perché ormai quelle, stanno diventando i piccoli negozi da difendere se paragonati allo tsunami Amazon etc...

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    1. Non so se hai delle basi fattuali per difendere queste affermazioni, nel caso sono molto interessato. Ho studiato un pochino il mondo del retail e al netto dell'ovvio conflitto di interesse degli studiosi (che ricevono ricche consulenze proprio dai giganti del commercio) la storia delle economie di scala nella GDO sembra davvero una "lieve imprecisione". Al contrario, mantenere una struttura distributiva del genere, un'offerta centralizzata eccetera causa enormi diseconomie.
      Perché vincono allora?
      Semplicemente la loro dimensione gli da un grande potere. Sui produttori (fino a strangolarli, costringerli ad abbassare la qualità o integrarli direttamente), sui lavoratori (infatti i sindacati sono stesi al loro cospetto), sulla politica locale e nazionale, sulle banche che gli fanno credito e sui consumatori, profilati e studiati per estrarne tutto il valore disponibile.

      Citi la Decathlon: ma di che prodotti parli? Sono un appassionato di pesca subacquea dalla più tenera età e il rapporto qualità/prezzo di marche anche italiane che prima facevano prodotti solidi e stupendi è crollato. Credo valga per ogni campo.
      Risultato? Chiunque può riempirsi il garage di carabattole, mentre chi vuole praticare seriamente una passione deve andare sul top di gamma e tirare fuori mezzo stipendio. Ovviamente comprando su Internet, perché se stai spendendo 500 euro uno sconto del 10% incide .

      Il Made in Italy lo difende chi lo fa e chi lo usa. Chi lo vende segue, con calma e se costretto a viva forza.

      (Suggerisco per un intervento più generale http://ilpedante.org/post/il-punto-della-concentrazione)

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  32. Mah, l'intervento di Brazzale è estremamente strumentale (ho visto ora).
    Le sue considerazioni sono espressamente materiali e fisiche.
    L'impressione che se ne trae è quella secondo la quale il cervello non serve a nulla.
    Ci sono elementi e funzioni secondo le quali le cose accadono; lo stabilimento in arkazzia, il latte della Lattosìa, il fattore della Fattia e via fatturando...


    Proprio lei Prof mi ha portato a riflettere con la frase; "Dietro ad ogni tecnica c'è una metafisica".
    Che ne facciamo di questa "fantomatica" metafisica? Ce lo facciamo spiegare da Brazzale?
    ...

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