(...come sapete, ho una metà poliziana, e l'altra jesina. Se non avete intuito che cosa c'entri col titolo, siete europeisti, ma a tutto c'è rimedio. Intanto, prendete nota...)
Rapido post della serie "scaldare la poltrona", per comunicarvi che martedì prossimo, il 23 aprile, sarò a Collecchio e poi a Lesignano de' Bagni per presentare dei candidati sindaci, in compagni del collega Maurizio Campari. Il 26 invece sarò a Piacenza, all'oratorio di S. Ilario, invitato dal collega Pietro Pisani per parlare di Europa. Poi tornerò a Roma, dove il 29 e il 30 ci occuperemo in aula di donazione del corpo post mortem e di contrasto al finanziamento delle mine antipersona (quest'ultimo provvedimento è passato per la mia Commissione). Due giorni di relativa pace, e poi il 3 maggio decollo per Redipuglia, dove volevo andare da tempo e finalmente ci riesco grazie all'iniziativa della collega Patrizia Marin. Da lì, in giornata, vado a Oderzo per parlare, pensate un po', di Europa, su iniziativa del collega Gianpaolo Vallardi. Il giorno dopo, il 4 maggio, mi sposto a Bassano del Grappa, dove sono stato invitato dal collega della Camera bassa Germano Racchella (che mi invitò mentre eravamo in fila con gli altri candidati per farci la foto con Salvini nel febbraio del 2018: e non me ne sono dimenticato!). Il 5 torno a Roma ma il 6 parto per andare a ritrovare, con grande piacere, un altro collega, Paolo Ripamonti ad Albenga (dove presenterò i candidati alle europee e alle regionali). Il 7 torno a Roma e lavoro in Commissione (audizioni sulla semplificazione del rapporto fra fisco e contribuente e sulle parità di genere negli organi di controllo delle società), ma la sera sono a Veroli su invito del collega Gianfranco Rufa per presentare i candidati alle amministrative e la collega Cinzia Bonfrisco che si candida alle europee (per fortuna), e ci sarà anche una sorpresa. L'8 proseguono i lavori in Commissione e il 9 sarò in Abruzzo (da precisare) per presentare i nostri candidati. Il 10 torno a Roma perché ho un convegno su Europa a un bivio: tra crisi e rinascita, alle 15:30 presso la sala capitolare del Senato. Organizza il collega Tridico e partecipano i colleghi Piga e Stirati: insomma, un tuffo in quel passato dal quale tutti qui proveniamo: er dibbattito! Il giorno dopo, cioè l'11 maggio, parto per Lamezia Terme, dove terrò lezione alla Accademia Federale della Lega (la prima lezione del ciclo è qui). Il giorno dopo, cioè il 12, volo a Bergamo, dove la collega Simona Pergreffi mi accoglierà e mi porterà a fare qualche gazebo (noi leghisti siamo così, ci piace stare in mezzo alla gente). La sera sarò a Trescore Balneario insieme al collega Marco Zanni, che si candida (per fortuna) alle europee. Il giorno, cioè il 13 maggio, sarò a Monza per vedere la corona ferrea, ma anche i monzesi, e poi a Concorezzo, con l'aiuto rispettivamente dei colleghi Massimiliano Romeo e Emanuele Pellegrini. Il 14 si torna a Roma perché in aula abbiamo il voto di scambio e la videosorveglianza, ma già il 16 ho qualcosa in giro per il Lazio con la collega Bonfrisco, e il 17 parto per Milano dove il 18 abbiamo la manifestazione federale. Il 19 sarò a Novara (su istigazione del collega della Camera bassa Riccardo Molinari), e il 20 a Torino, per iniziativa della collega Marzia Casolati, mentre il 21 sarò a Vinci, Pistoia e Firenze, e il 22 tra Follonica, Grosseto e Cinigiano (da definire, ma i posti dovrebbero essere quelli), su iniziativa del collega Manuel Vescovi. Il 23 sarò nelle Marche (a disposizione del collega Paolo Arrigoni) e il 24 in Abruzzo, nel mio collegio, per chiudere la campagna, a disposizione del regionale Giuseppe Bellachioma. Il 25 mi riposo e il 26 facciamo i conti (dei voti, ovviamente).
Forse si aggiungerà altro, ma per il momento c'è questo. Informazioni di dettaglio su Twitter e su Facebook, a mano a mano.
(...vita militia est...)
L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
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sabato 20 aprile 2019
venerdì 19 aprile 2019
L'arringa
(...l'hanno chiamata così quelli che non sanno mettere le virgolette, così ci hanno chiarito da che parte stanno. Tecnicamente, è una dichiarazione di voto. Avevo dieci minuti, ma siccome l'Europa (?) ci chiede di tagliare, ne ho risparmiati un paio...)
(...poi sono andato dalla collega Bellanova a scusarmi perché non ero proprio riuscito a capire che cosa volesse dirmi, e dalla collega Fedeli per abbracciarla fortissimo: in fondo sono un buono, e soprattutto una personalità debole, traviata dalle cattive compagnie - cattive come Simone Bossi, alla mia destra nello schermo, che mi ha suggerito il collegamento fra Pillon e Pil...)
(...sul NAIRU e sull'output gap potremo fare, quando ne avremo tempo, un discorso tecnico. Per ora mi limito ad osservare che il carattere prociclico delle regole basate sul prodotto potenziale è ormai accertato dalla letteratura scientifica - qui un esempio - e che l'insofferenza verso questo quadro concettuale bizantino e infondato si sta diffondendo. Inutile dire che finché tutti, ma proprio tutti, con la limitata eccezione di un sottoinsieme ristrettissimo di voi, continueranno a vivere nel delirio allucinatorio della partita singola - quella in cui al debito pubblico non corrisponde alcuna attività, materiale o immateriale - e nei paradossi della moneta merce - quella che siccome se ne emettono migliaia di miliardi dovrebbe perdere valore, ma non sembra minimamente intenzionata a farlo - sarà piuttosto arduo far maturare una reale coscienza politica dell'assurdità di certe fumisterie. Ma noi abbiamo tanto tempo a disposizione. Stiamo schierando le nostre batterie, la battaglia non è nemmeno cominciata...)
(...poi sono andato dalla collega Bellanova a scusarmi perché non ero proprio riuscito a capire che cosa volesse dirmi, e dalla collega Fedeli per abbracciarla fortissimo: in fondo sono un buono, e soprattutto una personalità debole, traviata dalle cattive compagnie - cattive come Simone Bossi, alla mia destra nello schermo, che mi ha suggerito il collegamento fra Pillon e Pil...)
(...sul NAIRU e sull'output gap potremo fare, quando ne avremo tempo, un discorso tecnico. Per ora mi limito ad osservare che il carattere prociclico delle regole basate sul prodotto potenziale è ormai accertato dalla letteratura scientifica - qui un esempio - e che l'insofferenza verso questo quadro concettuale bizantino e infondato si sta diffondendo. Inutile dire che finché tutti, ma proprio tutti, con la limitata eccezione di un sottoinsieme ristrettissimo di voi, continueranno a vivere nel delirio allucinatorio della partita singola - quella in cui al debito pubblico non corrisponde alcuna attività, materiale o immateriale - e nei paradossi della moneta merce - quella che siccome se ne emettono migliaia di miliardi dovrebbe perdere valore, ma non sembra minimamente intenzionata a farlo - sarà piuttosto arduo far maturare una reale coscienza politica dell'assurdità di certe fumisterie. Ma noi abbiamo tanto tempo a disposizione. Stiamo schierando le nostre batterie, la battaglia non è nemmeno cominciata...)
lunedì 15 aprile 2019
Brexit (again)
(...la qualità delle nostre secredenti élite mi lascia sempre più sbigottito! La dialettica che si è sviluppata con l'amico awanagana su Twitter è solo un esempio ex multis, in fondo il meno grave, dato che in quello, come in altri consimili casi, all'indubbia rilevanza scientifica si accompagna un'altrettanto indubbia irrilevanza politica. Altri esempi non hanno, né possono, né devono avere la stessa pubblicità, visto che riguardano personaggi meno irrilevanti politicamente. Comunque, esco da certi confronti convinto che l'Italia sia un grande paese: deve esserlo, se non è andato a fondo nonostante la zavorra di certe teste pe(n)santi. Nel frattempo, rientrando a Roma, consegno a un brevissimo post una semplice riflessione sul tema della settimana, almeno per me: la Brexit...)
Ci eravamo detti da subito che la Brexit avrebbe messo in luce le aporie del progetto europeo. A fronte del desiderio di un paese di uscire, esercitando un diritto previsto dai Trattati, l'Unione avrebbe potuto reagire in due modi: consentendo l'esercizio di questo diritto, col rischio di creare un effetto emulazione, oppure ostacolandolo, col rischio di rendere palese la propria natura illiberale.
Ovviamente, delle due strade è stata scelta la più sbagliata, cioè la seconda. Il bravo Barnier, legato come forse sapete a Martin Selmayrgate, ha affrontato con piglio prussiano la vicenda, ottenendo due risultati. Il primo è quello di aver dato una manifestazione intrinseca di debolezza: se sei veramente convinto che il tuo progetto sia così attraente, perché temi che chi vuole andarsene scateni l'emulazione? Se cerchi di ostacolare chi vuole esercitare un proprio diritto non sei solo illiberale: sei anche un guappo di cartone, e confessi di avere una fifa blu del fatto che tutti se ne accorgano. Il secondo effetto (e a questo, va riconosciuto, ha collaborato in modo determinante la signora May) è quello di aver inutilmente esasperato l'incertezza sottostante al processo di uscita. Ad oggi nessuno ci capisce nulla, col risultato di creare una serie di inutili costi di transazione.
Naturalmente questo bel risultato andrà premiato, e verosimilmente lo sarà con la Presidenza della Commissione: dall'evasore Juncker al secondino Barnier.
Gli ambienti che contano (non saprei dirvi né fino a quanto né fino a quando) piangono la dipartita del mercato londinese, senza rendersi conto di almeno un paio di paradossi impliciti in questo atteggiamento. Il primo è quello di mostrare lo strano spettacolo di élite liberali che piangono la morte di un monopolio, quello, appunto, della borsa di Londra. Eppure, per loro, se fossero realmente liberali, dovrebbe essere più rassicurante un mercato meno concentrato, tanto più in un ambito, quello della finanza, dove la prima cosa che impari è a non mettere tutte le uova nello stesso paniere! Il secondo è quello di mostrare il pietoso spettacolo di élite "europeiste" ridotte ad ammettere l'incapacità del grande progetto unionista di creare un mercato (illudendosi di poter vivere per sempre "a buffo" sul mercato londinese). Se glielo fai notare, poverini, si incazzano. Ma del resto lo fanno anche le formiche, nel loro piccolo: perché non dovrebbero farlo loro, che si sentono tanto grandi?
"Punire" il Regno Unito non è solo una scemenza (qualcuno dovrebbe dimostrarmi come e perché possa essere nell'interesse del nostro paese): è anche un'illusione. Mi rendo conto che da Crécy a Azincourt i francesi ne abbiano accumulati di motivi di risentimento (e vi risparmio una lunga lista). Ma non è certo agendo in modo impulsivo che si evitano ulteriori sconfitte, e poi, soprattutto: noi che c'entriamo!? Una volta di più, il progetto unionista si rivela incapace di difendere i nostri interessi, forse perché qui da noi dobbiamo ancora smaltire le scorie (normative) tossiche lasciateci in eredità da quelli che ritenevano l'interesse nazionale un retaggio fascista, da obliterare a fronte dell'interesse "europeo": cioè dell'interesse di una cosa che non ci sarà mai così come chi ce l'ha proposta l'ha descritta, per il semplice motivo che nessuno degli altri Stati membri l'ha mai creduta possibile né tanto meno desiderabile (magari cercatevi su un dizionario tedesco la traduzione di Nein!) e alla quale oggi credono qui da noi solo dei boccaloni sconfitti dalla storia e dalle urne.
Ovunque, in Europa, l'Unione viene interpretata in un altro modo.
La Brexit ci dà una grande lezione anche sotto questo profilo. Basterà confrontare questo video:
con questo tweet:
Cosa li accomuna? Un errore cruciale (da parte degli elettori): mai affidare la difesa dei propri interessi a chi non è convinto che sia giusto difenderli! Lo stesso errore, con conseguenze ancora più nefaste, venne compiuto nel 2015 dai greci.
Sotto questo profilo mi sento di potervi rassicurare: forse votandoci non avrete fatto la cosa più giusta (anche se non saprei proporvi un'alternativa migliore), ma non avete fatto nemmeno una cosa così tanto sbagliata (e le alternative peggiori invece abbondano, o abbondavano). Noi cosa c'è di tossico e di inemendabile nel progetto unionista lo sappiamo. Sta a voi darci la forza per convincere gli altri, cominciando dalle nostre secredenti élite, che, pur nella loro povertà intellettuale, e nonostante lo spessore dei loro paraocchi ideologici, sono pur sempre un pezzo del paese. Come dissi aprendo la mia prima campagna elettorale a Firenze, siamo tutti sulla stessa barca, e una barca ha bisogno anche di zavorra...
(...la serata di ieri a Lecco è stata per me molto piacevole ed emozionante. Ringrazio tutti gli organizzatori e i partecipanti. Prossimi appuntamenti, dopo Pasqua, a Parma e a Piacenza...)
Ci eravamo detti da subito che la Brexit avrebbe messo in luce le aporie del progetto europeo. A fronte del desiderio di un paese di uscire, esercitando un diritto previsto dai Trattati, l'Unione avrebbe potuto reagire in due modi: consentendo l'esercizio di questo diritto, col rischio di creare un effetto emulazione, oppure ostacolandolo, col rischio di rendere palese la propria natura illiberale.
Ovviamente, delle due strade è stata scelta la più sbagliata, cioè la seconda. Il bravo Barnier, legato come forse sapete a Martin Selmayrgate, ha affrontato con piglio prussiano la vicenda, ottenendo due risultati. Il primo è quello di aver dato una manifestazione intrinseca di debolezza: se sei veramente convinto che il tuo progetto sia così attraente, perché temi che chi vuole andarsene scateni l'emulazione? Se cerchi di ostacolare chi vuole esercitare un proprio diritto non sei solo illiberale: sei anche un guappo di cartone, e confessi di avere una fifa blu del fatto che tutti se ne accorgano. Il secondo effetto (e a questo, va riconosciuto, ha collaborato in modo determinante la signora May) è quello di aver inutilmente esasperato l'incertezza sottostante al processo di uscita. Ad oggi nessuno ci capisce nulla, col risultato di creare una serie di inutili costi di transazione.
Naturalmente questo bel risultato andrà premiato, e verosimilmente lo sarà con la Presidenza della Commissione: dall'evasore Juncker al secondino Barnier.
Gli ambienti che contano (non saprei dirvi né fino a quanto né fino a quando) piangono la dipartita del mercato londinese, senza rendersi conto di almeno un paio di paradossi impliciti in questo atteggiamento. Il primo è quello di mostrare lo strano spettacolo di élite liberali che piangono la morte di un monopolio, quello, appunto, della borsa di Londra. Eppure, per loro, se fossero realmente liberali, dovrebbe essere più rassicurante un mercato meno concentrato, tanto più in un ambito, quello della finanza, dove la prima cosa che impari è a non mettere tutte le uova nello stesso paniere! Il secondo è quello di mostrare il pietoso spettacolo di élite "europeiste" ridotte ad ammettere l'incapacità del grande progetto unionista di creare un mercato (illudendosi di poter vivere per sempre "a buffo" sul mercato londinese). Se glielo fai notare, poverini, si incazzano. Ma del resto lo fanno anche le formiche, nel loro piccolo: perché non dovrebbero farlo loro, che si sentono tanto grandi?
"Punire" il Regno Unito non è solo una scemenza (qualcuno dovrebbe dimostrarmi come e perché possa essere nell'interesse del nostro paese): è anche un'illusione. Mi rendo conto che da Crécy a Azincourt i francesi ne abbiano accumulati di motivi di risentimento (e vi risparmio una lunga lista). Ma non è certo agendo in modo impulsivo che si evitano ulteriori sconfitte, e poi, soprattutto: noi che c'entriamo!? Una volta di più, il progetto unionista si rivela incapace di difendere i nostri interessi, forse perché qui da noi dobbiamo ancora smaltire le scorie (normative) tossiche lasciateci in eredità da quelli che ritenevano l'interesse nazionale un retaggio fascista, da obliterare a fronte dell'interesse "europeo": cioè dell'interesse di una cosa che non ci sarà mai così come chi ce l'ha proposta l'ha descritta, per il semplice motivo che nessuno degli altri Stati membri l'ha mai creduta possibile né tanto meno desiderabile (magari cercatevi su un dizionario tedesco la traduzione di Nein!) e alla quale oggi credono qui da noi solo dei boccaloni sconfitti dalla storia e dalle urne.
Ovunque, in Europa, l'Unione viene interpretata in un altro modo.
La Brexit ci dà una grande lezione anche sotto questo profilo. Basterà confrontare questo video:
con questo tweet:
Cosa li accomuna? Un errore cruciale (da parte degli elettori): mai affidare la difesa dei propri interessi a chi non è convinto che sia giusto difenderli! Lo stesso errore, con conseguenze ancora più nefaste, venne compiuto nel 2015 dai greci.
Sotto questo profilo mi sento di potervi rassicurare: forse votandoci non avrete fatto la cosa più giusta (anche se non saprei proporvi un'alternativa migliore), ma non avete fatto nemmeno una cosa così tanto sbagliata (e le alternative peggiori invece abbondano, o abbondavano). Noi cosa c'è di tossico e di inemendabile nel progetto unionista lo sappiamo. Sta a voi darci la forza per convincere gli altri, cominciando dalle nostre secredenti élite, che, pur nella loro povertà intellettuale, e nonostante lo spessore dei loro paraocchi ideologici, sono pur sempre un pezzo del paese. Come dissi aprendo la mia prima campagna elettorale a Firenze, siamo tutti sulla stessa barca, e una barca ha bisogno anche di zavorra...
(...la serata di ieri a Lecco è stata per me molto piacevole ed emozionante. Ringrazio tutti gli organizzatori e i partecipanti. Prossimi appuntamenti, dopo Pasqua, a Parma e a Piacenza...)
domenica 14 aprile 2019
Come arricchire rapidamente e senza sforzo (la propaganda)
(...adesso basta...)
(...so che aspettate il terzo capitolo della saga di "awanagana", ma perdonatemi: come sempre, le mie priorità le decido io, e come sempre non avrete da lamentarvene...)
Poche ore fa Claudio Borghi ha pubblicato sul suo profilo questo tweet eloquente:
Siamo in campagna elettorale, e purtroppo occorrerà, per un minimo di igiene del dibattito, tornare alle vecchie regole. Le ricordate? Eccole:
Diciamo che alla luce degli sviluppi recenti molti di quelli che allora non capirono la fondatezza di queste regole ora l'avranno afferrata: il succitato dibattito con gli scienziati coNpetenti awanagana è di per sé una spiegazione sufficiente del terzo e del quarto motivo di blocco, il secondo dovrebbe essere self-explanatory, e del primo ci occuperemo oggi, in modo che quando vi capiterà di essere bloccati non abbiate poi a lamentarvi. Ricordo con l'occasione che un clic è come un diamante: è per sempre (e porta con sé il blocco di chi intercede per il malcapitato). Nell'ampio contenitore del #chennepenZa rientra infatti l'attività di sedazione dei boccaloni cui allude Claudio. Attività in pura perdita, come chiarisce la prima legge della termodidattica: ci sono cose che se potessero essere capite non andrebbero spiegate! Se una persona non capisce da sé le motivazioni sottostanti alla diffusione di certe "notizie" da parte dei soliti noti direi che spiegargliele è tempo inutile. Noi abbiamo bisogno di combattenti, e comunque di minus habens non ha bisogno nessuno!
Tuttavia, fedele al motto "severo ma giusto", mi sentirei in colpa, non ci dormirei la notte, se bloccassi sui social qualcuno di voi senza prima avergli spiegato bene il perché. Oggi vorrei soffermarmi su uno dei motivi di blocco che prevedo saranno più frequenti nel prossimo mese e mezzo: quello del malcapitato che avendo letto sulla fonte di stampa x la minchiata y a noi attribuita viene, con toni melodrammatici, a chiederci chiarimenti. Questo "Radames discolpati!" sarebbe già insopportabile (perché petulante) in una persona che fosse entrata in contatto con me da poco, ma è del tutto ingiustificato in chi abbia seguito, o pretenda di aver seguito, il lavoro da me svolto in questi anni su questo blog e altrove. Vorrei ricordare, a costo di ripetermi, che uno dei fili conduttori di questo blog (in effetti il più importante, a insindacabile avviso del suo autore) è stato lo smascheramento delle balle colossali diffuse dalla propaganda avversaria in tema economico (ad esempio qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, ecc.). A fronte di tanti esempi, mi aspetterei che chi si accosta alle fonti di stampa "autorevoli" avesse maturato negli anni un minimo di senso critico. E invece no! Ogni volta si torna daccapo, ogni volta il boccalone (vero o presunto) di turno chiede a te di smentire la notizia tale, invece di chiedere a se stesso quali possano essere le motivazioni di chi gliela sta proponendo. Inutile dire che la macchina della propaganda si è portata avanti col lavoro, e quello che una volta mi venne insegnato dalla mia insegnante comunista in seconda media (valutare criticamente le fonti significa in primo luogo vedere a quali interessi economici, cioè politici, rispondono) oggi verrebbe derubricato a complottismo: la morte della sinistra è tutta qui, e non occorre spenderci altre parole.
Ora, vorrei che voi capiste una cosa della quale il post precedente credo possa darvi una pallida idea (farò un maggiore sforzo per farvelo capire meglio). Il lavoro parlamentare è molto complesso, e richiede tempo. Tanto per fare un esempio, al di là del lavoro tecnico (legislativo e scientifico), dietro alla risoluzione sulla COM(2018) 135 c'è stato tanto lavoro politico, che è consistito, ad esempio, nel parlare (in aula o in corridoio) con i membri dell'opposizione più interessati al tema per sondare le loro posizioni, nel diffondere a tutti i membri della Commissione la bozza (via capigruppo) e raccogliere le loro indicazioni, nel far verificare ai funzionari che l'impostazione fosse formalmente corretta, ecc. In questo particolare caso questo sforzo rispondeva a quello che per me è un principio incontestabile, ovvero che in Europa si va da Italiani, e quindi su atti di questo tipo occorre l'unanimità, che non è una cosa che gli altri ti regalano: devi costruirla, e costruirla nel tempo. Naturalmente, come potrete immaginare, se è difficile trovare unanimità con le opposizioni, non è semplice nemmeno trovare una linea politica all'interno di un partito o di una maggioranza. Si chiama democrazia, e se il vostro argomento è che la dittatura è più efficiente accomodatevi altrove...
Intanto, se il PD avesse messo agli atti una risoluzione in cui fosse stato scritto a chiare lettere quello che oggi dice l'EBA/ESMA (ovvero che il bail in è stata una solenne minchiata) forse se la passerebbe meno male, anche perché se avesse avuto il coraggio di dire quelle cose, avrebbe poi avuto il coraggio di farne altre, e il Paese starebbe meglio. Ma indipendentemente da quello che pensiate del lavoro parlamentare (perché fra voi ci sono molti Padoa Schioppa in erba, come ho avuto modo di stigmatizzare a inizio anno), resta il fatto che se nella giornata standard occorre prevedere un'ora di tempo per smentire cose che non si sono dette, più un'ora di tempo per commentare cose che nessuno ha detto, più un'ora di tempo per gestire con gli specialisti chi ha esagerato, capite bene che 24 ore non bastano! Ora, in modo fattuale e oggettivo, vorrei chiarirvi una volta per tutte un punto essenziale, che dovete afferrare per il vostro, non per il mio bene: la qualità dell'informazione politica è molto peggiore di quella dell'informazione economica, della quale per anni vi ho mostrato lo stato desolante.
Non ci dovrebbe essere niente di particolarmente sorprendente. Intanto, è chiaro che dove il messaggio si fa esplicitamente politico, le dinamiche partigiane, propagandistiche, che, lo sottolineo,
SONO LECITE,
si fanno più esplicite e pervasive. Ma poi, ed è soprattutto qui che oggi insisterò, dovrebbe essere chiaro che chi ha la faccia di tolla sufficiente a dirvi che una variabile osservabile e riportata dagli organi di statistica è diminuita quando invece è cresciuta (o viceversa), chi non teme di essere smentito su elementi oggettivi e facilmente accessibili come i dati economici, figuratevi un po' se teme di essere smentito su dati più evanescenti come quelli politici, fatti di dichiarazioni che possono tranquillamente essere travisate, senza che colui al quale sono state attribuite se ne accorga, o, se se ne accorge, possa reagire, o, se reagisce, possa farlo in modo efficace (considerando che una smentita è una notizia data due volte: il che, peraltro, rafforza la mia tesi che solo un completo imbecille o una persona in totale malafede può venire a chiedere smentite)! Il sistema mediatico è profondamente malato, ma il problema non è soggettivo, non sono le persone: sono alcune dinamiche oggettive che vorrei provare a interpretare con voi e per voi. Prima di interpretarle, però, di queste occorrerà dare evidenza, occorrerà descriverle. Il mondo delle anime belle è pronto a scandalizzarsi senza se e senza ma laddove si critichino quei media che rimangono il loro ultimo rifugio (cit.): l'habitat nel quale è ancora consentito loro sentirsi buoni, sentirsi colti, sentirsi superiori. Occorre quindi esercitare un'estrema cautela nell'affrontare il tema, che di per sé è divisivo e anche oggettivamente scivoloso. La democrazia, come argomenterò, è in serio pericolo, ma sarebbe illusorio difenderla con misure che la intaccassero ulteriormente. Il rimedio sarebbe peggiore del male. Tuttavia, per decidere serenamente se vogliamo tenerci il male, o come sarebbe possibile porvi rimedio, bisognerà che ancora una volta ci affidiamo alla nostra guida, che in sette anni di dibattito è sempre stata il dato. Seguono alcuni esempi, di gravità variabile. Ve li riporto un po' in ordine sparso, perché è roba che si è accumulata nel tempo. Questo è quel famoso post sul giornalismo che non riuscivo a pubblicare perché non riuscivo a rileggere: c'è voluto un viaggio a Lecco per consentirmelo.
Come ricorderete, dalla dottoressa Gruber è andata così. Vedendo o rivedendo il video vi farete o rifarete un'idea. Il mio commento è molto semplice: quando si incontrano due professionisti, e lo scopo del gioco è chiaro, lo spettacolo merita sempre (anche nei casi in cui, come in questo, l'unica regola è che non ci sono regole). Biasimo quindi il tifo da stadio che molti hanno esternato su Twitter. A tal proposito, vi segnalo l'autorevole commento del Truzzolillo, che trovate qui (mandategli un abbraccio fortissimo). Avvicinandoci al tema di oggi, vi sottopongo altresì il sereno resoconto di Libero, del quale qui vi accludo screenshot originale:
Apprezzerete il solito giochetto del reverse SEO, la foto a occhi chiusi (selezionata con cura), e la lapidaria descrizione: "Le domande fanno infuriare il leghista Bagnai?" (Bagnani nel tweet). Dopo un mio sereno commento su Twitter (una risata a crepapelle) e su Facebook (una pacata analisi degli effetti di un simile business model sul conto economico di chi lo applichi, peraltro suffragata immediatamente dopo dai messaggi di alcuni amici edicolanti), allo stesso URL, che è questo:
https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13435865/otto-e-mezzo-lilli-gruber-domande-alberto-bagnai-case-chiuse-leghista-sbotta.html
(...notate: alberto-bagnai-case-chiuse-leghista-sbotta... e ditemi voi se ho sbottato!...)
si trova un titolo ben diverso, questo:
(quindi siamo passati da "le domande fanno infuriare" - che lascia supporre un'atmosfera rovente, che non c'è stata - alla "sconcertante domanda, gelo in studio" - che altresì non c'è stato).
Eh già! La figura da "cronisti non estremamente accurati" fatta in diretta web su due canali sui quali ho un certo seguito ha convinto immediatamente i redattori di Libero a rettificare titolo e contenuto (peraltro, rasandolo dalla cache di Google con una certa prontezza), ma senza scusarsi e senza segnalarlo. Una prassi non del tutto anglosassone, ma, come vedremo, molto diffusa. E fino a qui siamo su imprecisioni tutto sommato lievi: mi viene attribuito un atteggiamento che non ho (L'Alberto furioso!), ma non parole che non ho detto. Paulo maiora canamus...
Io intervengo intorno ai 2:50 e la "sbobinatura" del mio intervento è in calce a questo post. Ora, qui ci sarebbero tante considerazioni di merito da fare, ma non mi addentro in esse, limitandomi a una domanda sul metodo: è più noioso leggere la "sbobinatura" di un intervento orale, o assistere alla lettura di un intervento scritto? Io, generalmente, in pubblico preferisco non leggere, così come, se poi devo scrivere un mio intervento estemporaneo, faccio interventi editoriali per evitare ripetizioni, spezzare incisi, risolvere forme troppo colloquiali. In questo caso non l'ho fatto, e quindi il testo sembra scritto in stato di ubriachezza! Me ne scuso, ma mi è sembrato indispensabile attenermi rigorosamente alla lettera di quanto ho detto, e riportarvela per iscritto, perché solo così potrete apprezzare l'entità della "tempesta emotiva" (cit.) che mi ha assalito nel leggere la seguente agenzia:
Ci sono capitato per caso: pago persone per farlo al posto mio, cioè per verificare che la stampa non mistifichi quanto dico, o meglio: per documentare come ha mistificato quanto ho detto (trattandosi di un evento con probabilità uno). Ora, uno che mi sta accanto tutti i giorni, e che magari ha anche assistito all'evento, dovrebbe capire che queste parole non mi somigliano, ricordarsi che non le ho dette, comprendere l'assoluta gravità del fatto che a un politico del mio rango istituzionale vengano messe in bocca parole che non ha detto, avvertirmi tempestivamente affinché io possa prendere le azioni correttive necessarie per evitare l'insorgere di fastidiose e controproducenti polemiche.
Questa volta ci sono arrivato sopra io, evidentemente la gravità del fatto era stata sottovalutata, ma siamo tutti qui per imparare... Nessuno dei virgolettati che mi venivano attribuiti era stato da me pronunciato, ma soprattutto il senso complessivo del mio intervento era stato totalmente travisato! Non dicevo certo di essere "contrario allo sviluppo sostenibile", anzi: affermavo il nonsenso di una simile asserzione, e sviluppavo alcune considerazioni che sarebbe superfluo ripetere per chi le ha capite, e inutile per chi non può capirle. C'è anche chi le ha capite, come Uno de passaggio:
che, non a caso, non è l'ultimo arrivato, ma un imprenditore sopravvissuto (e bene) alla crisi (SD non sta per standard deviation...)
Mi sale immediatamente il crimine (cit. Garavaglia). Lavati in famiglia i panni sporchi, con l'ordine assoluto di non intrattenere più rapporti con agenzie di stampa, rivolgo le mie sollecite attenzioni al "giornalista amico" dell'agenzia de cujus, con le seguenti cortesi e testuali parole: "Ma siete proprio sicuri che io abbia detto così? Un consiglio: io non smentisco mai. Riascoltate e scusatevi. That's all, folks!"
Mi tremavano le mani dalla rabbia. Per uno strano caso, avevo finito di lavorare un po' prima, potevo andarmene via alle 18, e mi volevo godere Giulia un paio d'ore. Vado a prenderla a inglese, e lei: "Babbo, cosa hai?"... Io: "Niente, poi mi passa. Mi hanno fatto dire una cosa che non ho detto." Lei: "Ma è grave?" Io: "Per loro sì...".
Poi torno a casa, entro in cucina, e un po' perché astratto nei miei pensieri furibondi, un po' perché ancora fisicamente scosso dall'ira, esordisco rovesciandomi addosso una pentola! Devono vivere anche le lavanderie, penso, e mi cheto lentamente, dopo aver preso la determinazione di chiarire una volta per tutte a chi di dovere come si lavora. Chiedo al mio addetto stampa di verificare se il lancio è stato rettificato, e apprendo così che le agenzie non si scusano quando mettono in bocca a un politico parole che non ha detto, e che comunque non si poteva rettificare perché "s'era fatta una certa" (virgolettato giornalistico: cioè, non hanno detto così. Anzi, aspettate: virgolettato quasi giornalistico, perché è vero che non hanno detto così, ma il concetto era questo).
Ci metto una pietra sopra, blocco tutti i contatti di quella roba lì che mi trovo ad avere in agenda (poi con calma bloccherò qualsiasi cosa da ovunque, ma non può diventare un lavoro a tempo pieno: lo farò quando mi chiameranno), e aspetto.
Il giorno dopo esce questo:
E voi direte: incidente chiuso!
Eh, no, se ne parlo qui evidentemente l'incidente non è chiuso!
Intanto, mi hanno avvelenato due ore con mia figlia, bene piuttosto raro di questi tempi. Dice: "Non te le hanno avvelenate loro. Te le sei avvelenate tu, perché potevi fottertene e vivere felice". Certo, capisco. Io sono inquieto. Non c'è pace per chi non vuole pace, questo ce lo siamo detto tante volte, anche in musica. Ma il fatto è che io non sono (solo) un politico: sono anche un artista, altrimenti Brilliant non pubblicherebbe i miei dischi e voi non sareste qui, dove non vi ha trattenuto il fascino delle partite correnti o del tasso di cambio reale (cioè dell'ancora ignoto, per voi, otto anni dopo...), ma quello della prosa (qui, qui, qui, ecc.). Scriverete sulla mia tomba le parole di Rilke: Er war ein Dichter und haßte das Ungefähre. Odio le imprecisioni. E siccome la parola è divina, alterarla non è solo poco professionale: è blasfemo.
Ma soprattutto, purtroppo io non sono (solo) un artista, ma (anche) un politico. Le dichiarazioni de cujus hanno provocato le stucchevoli querimonie di alcuni colleghi della Camera, sui quali appongo il suggello di un tombale Vae victis! Tuttavia, avrebbe potuto reagire anche qualche organismo pluricellulare minimamente più rilevante, e magari parole riportate in modo inaccurato avrebbero potuto mettere in difficoltà qualche mio collega in qualche trattativa, o dibattito, o intervista. "Viceministro Garavaglia, Bagnai ha detto di essere contrario allo sviluppo sostenibile, lei cosa ne pensa?" Quante volte sono stato inseguito dai lemuri che stazionano, con la telecamerina a spalla, intorno ai palazzi, per farci commentare cose che nella maggior parte dei casi nessuno di noi ha detto (l'episodio che vi sto riportando è la regola, non l'eccezione, come poi vedrete), alla ricerca dell'incidente, della polemica costruita ad arte? Capito perché io non commento mai le parole di nessun collega? Perché so sempre che non sono mai state dette, o non come me le riporta il primate in servizio. E spero che mi perdoni la gentile signora cui, qualche giorno fa, ho detto: "Mi scusi, ma non le rispondo perché sono contrario a questo modo di fare giornalismo. Ho ottimi rapporti con la vostra redazione, se vi interessa sapere cosa penso verrò presto a dirvelo."
Ma soprattutto l'incidente non è chiuso, perché, per uno sfortunato susseguirsi di circostanze, è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E ora il vaso è traboccato, quindi... andiamo avanti!
Esco dallo studio, dove mi aveva accompagnato un altro membro del mio staff, controllo (io) Twitter, e che trovo? Ma ovviamente la notizia (falsa) secondo cui per me si sarebbe potuto pensare a nazionalizzare Carige, quando io invece avevo detto l'esatto contrario, cioè che nessuno ci stava pensando (questo lascia impregiudicata la questione del perché in Germania il 60% delle oltre 1500 banche sia di proprietà pubblica, ma oggi parliamo di altro). Ovviamente la incapsulo immediatamente in una smentita, che però, anche su Twitter, è una notizia data due volte:
Mi rivolgo su WhatsApp alla redazione, pregandola di restare in rapporti cortesi. Il tweet viene rimosso, con il solito discorsetto: non è un fake, è solo sintesi giornalistica! Certo, se la sintesi giornalistica trasforma una "soluzione di mercato" in una "nazionalizzazione", magari riuscirebbe anche a trasformare lo sterco in oro, il che apre interessanti prospettive sulle quali non mi addentro.
Tweet rimosso, incidente chiuso? No, incidente chiuso un bel niente! Intanto, se io non sapessi di venir travisato sistematicamente, e se quindi non controllassi ossessivamente e di persona (visto che tanto laggente nun capischeno che deveno controllà) tutto quello che mi riguarda, il tweet sarebbe rimasto lì per qualcosa di più di quei dieci minuti che è rimasto, e avrebbe potuto creare danni di vario tipo: polemiche, lanci di agenzie straniere con conseguenti fremiti dello spread, perdite di tempo a catena...
Ecco, appunto, parliamo del tempo... Ma vi pare normale che ogni intervento sui media, oltre al tempo necessario per prepararmi e per intervenire, debba anche assorbire del tempo per verificare come quanto detto è stato riportato, e per correre ai ripari quando viene tradotto nel suo diretto ed immediato contrario!? Ma vi sembra normale questa roba qui!? A me no. Non solo non è normale, ma è anche un evidente e diretto ostacolo oggettivo allo svolgersi del processo democratico. Questo modo di fare giornalismo è oggettivamente nemico della democrazia.
E siccome non c'è modo di sapere prima come si comporterà quello che ti interpella, direi che il gioco non vale la candela...
L'agenzia era fasulla (inutile ripetere che c'è un contratto di governo, ecc.), ma questo rileva poco. In ogni caso erano fatti di Claudio, o almeno così credevo. Sbagliavo. Infatti:
Ora, io sollevo pesi, non ipotesi. Quel giorno, poi, non avevo sollevato nulla. Ho dimostrato scientificamente che le regole che ci siamo dati ci creano grossi problemi, tutti ampiamente previsti dalla letteratura scientifica, ma questo è un altro discorso e non interessa le agenzie, che vivono nell'attimo. Mando un WhatsApp al direttore dell'agenzia, sollecitandolo per tempo sul tema: "Sa dirmi quando avrei detto le parole che la sua agenzia mi attribuisce?" Lui fa le sue verifiche, si scusa per WhatsApp, e:
esce la correzione, che, guarda un po', non dice in cosa fosse sbagliato l'originale.
Incidente chiuso? Se semo sbajati, tranquillo, basta che sse capimo? Eh, insomma, mica tanto! Un po' perché questo episodio dimostra che non basta stare attento a quello che dici tu, devi anche stare attento a quello che non dici, cioè che dicono gli altri, e così sinceramente diventa un po' difficile. E poi, perché, come al solito, se non hai mille occhi il veleno circola nella falda, con risultati non banali. Ne volete una prova? Eccola! Due giorni dopo, per interposto furbetto italiano, il Financial Times mi onorava delle sue attenzioni insieme con Claudio:
Così, mentre i nostri amici tuttosubitisti qui imperversavano al grido di haitraditooooh, lassù a Londra si scriveva una diversa favola, non innocua, per i motivi che qui chiarisce un altro amico, al punto (2) di una simpatica FAQ che mi ha inviato come piccolo vademecum:
Quindi non sono poco professionali, anzi: sono professionalissimi, il loro lavoro lo sanno fare molto bene. Ma per apprezzarlo prima bisogna capire qual è...
e mi assale un intenso disagio, per un motivo tanto semplice quanto incontrovertibile: questo virgolettato non era mai stato pronunciato, perché l'intervista era stata rilasciata per iscritto! Il motivo ve lo immaginerete: parlando al telefono lasci al professionista di turno ampio margine per fare il suo lavoro (vedi slide in fondo al paragrafo precedente): se invece le risposte le scrivi, cambiarle diventa un po' più delicato. Ma a nulla erano valse le mie precauzioni. Non avevo capito una cosa fondamentale: tu puoi anche, con il consueto scrupolo, dedicarti alla parte che nessuno leggerà (il corpo dell'articolo). L'unica parte che il lettore leggerà (il titolo) resta affidata all'arbitrio del titolista, il quale ci metterà letteralmente quello che gli pare, indipendentemente da qualsiasi appiglio trovi nelle parole da te dette: se occorrerà, si servirà di quelle non dette (e nemmeno pensate).
Immaginatevi il mio raccapriccio nel constatare che mi veniva attribuita, e con enfasi (nel titolo) una frase non solo insensata, ma anche inesistente: mai pronunciata! Tutte le agenzie sul 2%, in un momento in cui ognuno di noi stava ben attento a non dare numeri per il semplice motivo che darne non avrebbe avuto alcun senso, e anzi sarebbe stato controproducente. Avevo appena parlato col ministro di questi aspetti comunicativi, trovandomi d'accordo con lui, ed ecco che un anonimo titolista, che il Signore ricompenserà, come ricompenserà tutti noi, per lo scrupolo col quale svolge il suo lavoro, mi fa fare la figura del coglione o del doppiogiochista col ministro e collega Tria, mettendomi in bocca un target da me mai espresso!
Anche qui, prima di prendermela, ho voluto controllare. Tornato in ufficio, ho cercato prima la cifra 2 nel testo: trovandola solo nei numeri 2000 e 2017 (date delle riforme del fisco proposte da Visco e da Rossi), ma non in 2%. Nel testo, la parola "due" proprio non c'è.
In questo caso, avendo consuetudine col vicedirettore, l'ho chiamato, per capire come fosse possibile che in un titolo e fra virgolette mi fosse stato attribuito un numero che non avevo mai pronunciato, e che per la mia posizione attuale poteva contribuire a guidare le aspettative del mercato dove mai avrei inteso di condurle (dandomi quindi la responsabilità di contraccolpi laddove le cose fossero andate in modo diverso da come qualcuno potesse pensare che io avessi inteso indicare che avrebbero potuto andare). Telefonata cordiale, grande disponibilità, ma... ggnente! Il problema non ha rimedio.
(allego fotina sfuocata, per chi non se lo ricordasse: non voglio violare il diritto d'autore). Nel rileggere il titolo, mi assalì un dubbio: "Ma veramente io ho detto che procedere è difficile? A me sembra di aver detto che in difficoltà sia la cosiddetta Europa, come dimostrano certi suoi scomposti atteggiamenti minatori!" Anche qui, aiutandomi con la funzione Trova di Word, andai alla ricerca nel mio file di questo aggettivo sideralmente lontano dal mio pensiero, e, naturalmente, non lo trovai. Nulla nell'intervista accennava a difficoltà, anzi!
Ma questo, rispetto al precedente, era un peccato veniale: certo, veniva messa fra virgolette, attribuendomela, una cosa che non avevo né detto, né pensato, e che era ortogonale rispetto a quanto volevo esprimere nella mia intervista. Ma almeno non mi si facevano dare i numeri! E poi, diciamocelo: dopo anni passati a sentirmi dire che "la facevo facile!", per una volta sentirmi dire che "la facevo difficile!", pur essendo ugualmente una bufala, aveva almeno la freschezza della novità!
Gombloddoneeeeh! Bagnai, minacciato da Tria e da Visco, sta insabbiando la Commissione d'inchiesta sulle banche!
Ovviamente nulla di tutto questo. Avevamo una serie di pareri da rendere, e alcune scadenze tecniche che potrete tranquillamente consultare (come avrebbe potuto chiunque) qui. Io di pressioni, da quando sono in Parlamento, ne ho viste due sole: la minima o diastolica, sempre a 80, e la massima o sistolica, sempre a 120 (anche quando leggo minchiate come questa). Né Tria né Visco, che rappresentano istituzioni con le quali devo confrontarmi e vorrei poterlo fare, nell'interesse di tutti, senza che il gossip intorbidi i nostri rapporti, hanno mai esercitato alcuna pressione: non è nel loro stile, non è il loro ruolo, e con tutto il rispetto io non rispondo a loro. Anche qui, ho pensato a una mia ipersensibilità. Magari sarò troppo sospettoso, mi sono detto. Certo, è assurdo che qualcuno possa pensare che io non dia corso a una proposta di legge che ha l'avallo dei vicepremier. Il Parlamento, peraltro, è indipendente sia dalla Banca d'Italia che dal Governo, cui dà la fiducia, e questo perché è espressione diretta della sovranità popolare. Il discorso, insomma, non tiene. Ma sarà stata una svista.
Poi, però, mi arrivò quest'altro bel capolavoro:
che, attribuendomi un perentorio (e mai detto) "verità sulla vigilanza", mi dipinge come un tribuno del popolo che vuole mettere Visco sul banco degli imputati. Insomma: il Fatto vuole farmi litigare con Visco, questo ormai è ovvio (come ha constatato ironicamente uno dei suoi giornalisti). Io però non litigo, e non faccio processi a nessuno (nemmeno ai giornalisti: quelli che riporto sono fatti, i giudizi ce li metta chi desidera farlo...). La Commissione di inchiesta avrà cose più serie da fare e le farà.
Nel riportare le parole di un maestoso rudere di precedenti stagioni politiche con idee tutte sue sulle statistiche dell'economia italiana (da noi ampiamente commentate quando avevamo tempo di dedicarci a persone irrilevanti), viene riportata out of the blue e senza virgolette la frase "Per Bagnai e Borghi uscita dall'Euro è l'unico sbocco". Ovviamente, a una lettura superficiale appare che o io o Claudio ci siamo espressi in questo senso, laddove questa simpatica affermazione è un parto della mente irrilevante di Della Vedova (che, scontando un forte isolamento culturale, non è in grado di comprendere quanto sia sfaccettata la nostra critica al progetto europeo, né è in grado di capire che alcuni argomenti non sono "di Bagnai", ma della letteratura scientifica: ma questo è un suo problema, cui gli elettori provvederanno). Certo, poi nel testo (che nessuno legge) dell'agenzia le cose sono rimesse al loro posto, cioè nello sproloquio di un nostro inconsistente avversario politico:
Ma credo che tutti voi possiate apprezzare il modus operandi: le virgolette che vengono messe per dare a Bagnai quello che non è di Bagnai, poi non vengono messe per dare a Bagnai quello che è di Della Vedova (cioè per lo stesso motivo)! Scopo: preparare il terreno in modo che gli algos, quando accadrà l'inevitabile, impazziscano. Ma l'isteria degli algos, cari operatori informativi, è breve: non potrete fermare il vento con le mani.
Ora, gli operatori informativi, in tutta evidenza, si sono costituiti, come altri poteri asseritamente indipendenti, in organo politico, in partito politico. Quale? Quello che ha perso le elezioni e deve ancora elaborare il lutto. Mentre questa dolorosa elaborazione va avanti, per non saper né leggere né scrivere i nostri amici continuano a far propaganda giocando sporco, con grave detrimento dei loro conti economici e della democrazia (che non trarrà particolare beneficio dalla loro scomparsa, come non ne trae dalla loro presenza).
Perché il giochino è chiaro: ti mettono in bocca cose che non hai detto, e lo fanno da una posizione sottoesposta comunicativamente, in modo che tu le ripeta da una posizione comunicativamente sovraesposta, per smentirle, naturalmente: ma una smentita è una notizia data due volte! Insomma: vogliono che tu lavori per loro, portando acqua al loro mulino. Ma con me, purtroppo, non funziona così, e questo per un motivo molto semplice. A differenza dei tanti colleghi che hanno un percorso di militanza nei territori, percorso che rispetto ora che ne so la difficoltà e la fatica, io ho fatto un percorso di militanza nel dibattito. Quindi, a me, di avere l'attenzione dei media interessa relativamente poco. Ne ho fatto a meno per sette anni, quando avevo tante cose interessanti da dire, ne faccio volentierissimo a meno ora che la mia attività è tenuta a doveri istituzionali di riservatezza, e che la mia posizione politica mi espone al rischio di creare incidenti se (cioè quando) le mie parole vengono riportate in modo inesatto.
Quindi, cari giornalisti, fatevene una ragione: io non ho bisogno di voi. Io sono la notizia, non voi. Io sono la vostra materia prima. Voi avete bisogno di me. Converse is not true. So benissimo che questo vi fa sclerare, che vorreste tanto avere a che fare con uno che per vedere il suo nome su dei fogli che nessuno più legge rifila il fascicolo degli emendamenti prima che vengano depositati, o fa la dichiarazione urlata, o sussurra il pettegolezzo, il retroscena. In questa maggioranza, di gente così, credo che ne troverete poca, ma naturalmente cercare è lecito. Ora sapete però perché vi scanso (con un sorriso e con cortesia): da voi posso avere solo noie, nessun vantaggio. Un mio tweet fa più visualizzazioni di un vostro articolo, il mio blog è la fonte delle fonti, i miei lettori sanno dove trovare le fonti primarie: disintermediazione o barbarie! Se volete farmi dire quello che vi pare, non avete bisogno di me (come l'ultimo esempio, quello della prestigiosa agenzia ADN-Kronos, dimostra), e quindi, col vostro riverito permesso, tengo per me la cosa più preziosa che ho: il mio tempo. Me ne serve molto, qui seduto in riva al fiume.
Come? Mi dite che cosa c'entra il titolo col contenuto del post? Bè, evidentemente nulla, il che dimostra che potrei fare il giornalista anch'io! E allora accettate un consiglio da un collega: per sopravvivere alla sfida della modernità vi occorrono tre ingredienti. Sono sicuro che quasi tutti voi ne disponete, in proporzioni variabili: schiena dritta, dati, e capacità di approfondimento. Il resto, il gossip, la dichiarazione travisata, il tentativo di provocare l'incidente politico, vi condanna al fallimento. Io ve l'ho detto, con solidarietà e simpatia (annovero fra di voi i miei più cari amici). Poi voi fate come vi pare, ma... not in my name!
"Grazie, grazie. Grazie a Enrico Giovannini per l'invito, e a Marco Tarquinio per la cortese introduzione.
Intanto vorrei scusarmi se dovrò comportarmi come un politico e, per compensare il fatto di essere arrivato in ritardo, me ne dovrò andare in anticipo.
La vita del politico è fatta così, qui abbiamo più di una persona familiar with the matter, per cui non devo spiegare che in aula ci sono stati alcuni incidenti, manifestazioni diciamo di giubilo per l'approvazione al Senato del decretone, che hanno un pochino fatto slittare i lavori. E alle ore 14 la mia commissione audirà (ed è la prima volta che ciò accade da quando la legge che lo consente esiste - mi riferisco alla legge 234/2012, legge Moavero sulla partecipazione dei parlamenti nazionali al processo legislativo europeo), audirà il ministro Tria sulle risultanze dell'ultimo Ecofin. Questo per dire che questa maggioranza e questo governo stanno dando dei segni concreti di voler andare oltre un europeismo fideistico e di maniera, per passare verso un europeismo partecipato e costruttivo. Ma naturalmente ciò prende del tempo. Ciononostante ho voluto essere qui e voglio anche chiarire, perché poi occasioni di approfondimento così importanti, di livello così elevato (io mi sento anche a disagio nell'essere in compagnia di esponenti politici che hanno una vita politica e una serie di risultati al loro attivo molto più lunghi e corposi dei miei) appuntamenti di questo tipo sono preziosi, e secondo me lo sono soprattutto se vengono colti come occasione di approfondimento, e quindi mi sento, visto che l'ho fatto ieri in aula lo faccio anche qui, molto rapidamente, di deprecare una certa informazione che cerca di politicizzare in modo un po' petulante e gossipparo chi c'è, chi non c'è, in un'occasione che è soprattutto un'occasione di approfondimento scientifico e di riflessione sui principi, dove quindi i tatticisimi politici dovrebbero essere tenuti fuori, anche se li si usa nella vana speranza di attizzare la curiosità di lettori che invece rifiutano proprio questo modo di fare politica, perché vogliono essere informati sui principi, vogliono essere informati sulla sostanza delle cose, e ne hanno un pochino abbastanza dei ragionamenti di corto respiro.
Non è di corto respiro la mia frequentazione con Enrico Giovannini. Ho fatto prima il calcolo, con la calcolatrice, perché ormai, essendo un politico, anche le sottrazioni non riesco a farle (il che testimonia comunque di una certa onestà, almeno per il momento): sono 33 anni che ci conosciamo, perché Enrico è stato mio insegnante al corso di econometria tenuto dal professor Carlucci (che abbiamo accompagnato insieme alla sua ultima dimora pochi mesi fa), presso l'università di Roma La Sapienza.
Enrico Giovannini è una di quelle persone che hanno fatto di me una persona in grado di entrare nella dimensione tecnica dell'eccellente lavoro fatto con questo rapporto.
Però non vi voglio annoiare con la dimensione tecnica, siamo in una sede politica. E allora vorrei fare qualche considerazione politica. Io, devo dire la verità, sono qui a titolo personale, sono un presidente di commissione: è andata così! I miei commissari sono abbastanza contenti che lo sia io, tranne qualche volta: ieri qualcuno si è lamentato, ma è la prima volta in sei mesi e ci sta. Quindi, come sapete, non sono nell'esecutivo, e sono leghista dal 18 gennaio dell'anno scorso: quindi sono l'ultima persona al mondo intitolata ad esprimere o a distillare il pensiero politico e la linea politica di un partito che rispetto e al quale sono grato, perché mi ha accolto e mi ha aperto ulteriori spazi di dialogo oltre quelli che mi ero aperto da me (perché qualcuno ero riuscito ad aprirmelo anche da me).
Ma non sono evidentemente qui per parlare a titolo, diciamo, collettivo, se non su alcune cose sulle quali ho avuto l'opportunità di condividere.
Ho appreso dal rapporto intanto, con un certo piacere, che fra i barbari, che saremmo noi e i colleghi a cinque stelle, la Lega è il partito il cui elettorato ha, sia pure marginalmente, per qualche decimale - ma oggi i decimali vanno di moda - la maggiore conoscenza dell'agenda 2030. Io, devo dire, ce l'ho per puro caso, per circostanze esistenziali, per il rapporto che mi lega a Enrico Giovannini. E devo dire, lo dico subito, così almeno do una delusione a Enrico, che non è esattamente al centro della mia attività professionale, e in un certo senso neanche dei miei pensieri. Tant'è vero che quando ieri il mio addetto stampa mi ricordava sull'agenda 2030 ho chiesto: "Stai parlando della 2020?" "No, è la 2030!". "Ah!".
E questo ci porta ad un pezzo di discorso che volevo fare. Le agende sono belle, soprattutto se sono quelle in pelle, sono degli oggetti che dovremmo usare, io ormai uso solo l'iPhone per registrare i miei appuntamenti e invece amo chi ancora scrive. Non voglio negare che sia importante per i politici avere un richiamo di forte autorevolezza scientifica ad allargare gli orizzonti. Però voglio fare un warning (visto che sono un economista ogni tanto, perdonerete, devo mettere qualche parola in inglese), un avvertimento, un richiamo al fatto - qui certamente non è successo - che bisogna stare un pochino attenti anche alla dimensione retorica, che poi rischia di svuotare la effettività di questi risultati.
Se noi vediamo cosa è successo all'agenda 2020, e parto dal dato della occupazione, l'agenda si proponeva di portare al 75% il tasso di occupazione della popolazione in età attiva.
Son partiti dal 70,3% sono arrivati al 72,2%, quindi in nove anni sono aumentati di due punti, e adesso per raggiungere l'obiettivo bisognerebbe che in tre anni questo tasso di occupazione aumentasse di tre quando tutti noi del mestiere, io, Enrico e gli altri del mestiere sanno che siamo alla vigilia di un altro massiccio evento economico avverso a livello globale. Non dubitiamo che nella meravigliosa famiglia europea qualcuno cercherò di addossarne l'esclusiva colpa a noi, ma siamo anche abbastanza fiduciosi nel fatto che le dinamiche che si esplicheranno chiariranno che...
Allora, c'è il problema della verifica dei risultati. Avere degli indicatori misurabili è un primo passo. L'agenda 2030 ha come primo vantaggio quello di farci dimenticare quella 2020 e il fatto che non siamo riusciti a realizzare gli obiettivi che erano lì. Quindi su questo richiamo la mia attenzione di politico, pur marginalmente, perché voi sapete che mi occupo di tasse e di banche, quindi non mi occupo di tutta una serie di aspetti di tecnologia, di ricerca scientifica, tutti altri elementi che concorrono alla sostenibilità. Io ho delle resistenze culturali quando si parla di sostenibilità, ho dei sospetti, vivo con un certo sospetto questo dibattito. Quando se ne parla vedo aleggiare lo spettro di Malthus, e vedo anche aleggiare poi lo spettro dell'Europa, e questo è molto evidente, è emerso anche nel dibattito: è stata identificata l'Europa con la sostenibilità.
Quindi, due osservazioni spot, perdonatemi sono osservazioni che possono sembrare un po' polemiche, sono un po' contrarian, ma insomma ci vuole nel dibattito qualcuno che la pensi in un modo diverso. Quando in un dibattito si affermano cose con le quali si dice che non si può non essere d'accordo, beh naturalmente certo, diciamo, nessuno è contro la mamma (forse qualcuno sì, di questi tempi...), ma insomma nessuno è contro il bene, nessuno è contro l'amore, nessuno è contro l'ambiente. Quindi, adottare una certa agenda significa, di per sé, escludere la possibilità di un contraddittorio. E questo, dal mio punto di vista, è la negazione della politica e anche, se vogliamo, l'essenza della propaganda. Quindi nella scelta della comunicazione bisogna stare attenti a mantenere comunque una comunicazione, su temi così rilevanti, che valorizzi la dimensione politica e quindi la dimensione di confronto.
Quando sento dire che su certe cose non si può non essere d'accordo io, automaticamente, non sono d'accordo. Questo però non è un fatto politico, è un fatto etnico, sono fiorentino e quindi ho delle specificità culturali che mi impongono di essere un bastian contrario. Ci sarà qualcuno qui che condivide con me questo infausto destino. Allora, attenzione alle cose sulle quali non si può non essere d'accordo. E poi, diciamo, essere per lo sviluppo sostenibile significa essere fortemente europeisti. Io amo l'Europa, ho delle forti riserve sull'Unione Europea, le ho argomentate scientificamente nel dibattito, e non solo sull'Unione Europea come progetto politico ma su alcuni altri aspetti specifici di questa costruzione. Però, il semplice fatto che noi stiamo parlando di una agenda che è propugnata dalle Nazioni Unite, Nazioni Unite che non stanno portando avanti il progetto di stati uniti del mondo, perché si farebbero ridere dietro, perché è chiaramente nonsensical, dimostra che il richiamo a una dimensione sovranazionale politicamente organizzata, cioè con un parlamento, un governo, o un ente simile, non è di per sé condizione né necessaria né sufficiente per proporre o realizzare un agenda simile.
Tant'è vero che l'agenda 2020 è fallita, quindi se dovessimo dire che ci dobbiamo affidare a chi ha fallito sulla 2020 per realizzare la 2030... Fallita, sto tagliando con l'accetta, ci sono stati dei progressi importanti, sono stati promossi dibattiti importanti, sono state introdotte norme importanti, non voglio fare le pulci ai numeri, non voglio essere così capzioso. Però voglio solo aprire una discussione serena sul fatto che ci sono molti modi di dibattere e molti modi di organizzarsi fra comunità per ragionare sul tema del nostro destino comune.
Vi avrei voluto raccontare la breve storia triste che accadde tre miliardi di anni fa, quando iniziò la fotosintesi clorofilliana e per un po' l'ossigeno venne catturato dal ferro che era libero in superficie, in particolare nelle acque del mare, poi precipitò, tutto questo ferro, e alla fine questo ossigeno cominciò ad accumularsi e ci fu un evento particolarmente catastrofico per i batteri anaerobi. Una volta la terra era una palla ricoperta di muffe, due miliardi e mezzo di anni dopo arrivammo noi, che pensiamo di essere qualcosa di più di una muffa, ma forse non lo siamo... Quindi ricorderei sempre il salmo 127, quando si vuole allungare lo sguardo, cioè "Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt, qui aedificant eam". Ecco, ricordiamoci sempre, anche se so che questo è un riferimento culturale che verrebbe molto condiviso dal senatore Pillon e forse poco da altri, ma insomma la dimensione della nostra finitezza umana è qualche cosa che dobbiamo tener presente proprio nel momento in cui allarghiamo lo sguardo al lungo periodo e esattamente perché allunghiamo lo sguardo al lungo periodo. E quindi dobbiamo sapere che quello che facciamo lo faremo per lasciare il testimone ad altri. A chi? Ai nostri figli, che sono stati menzionati in varie forme, e anche a chi ci succederà, perché avrà il gradimento delle generazioni future come politico al governo del paese. Siamo consapevoli del fatto che il nostro orizzonte temporale, come politici, non è infinito. A questo proposito vorrei dire anche due cose costruttive e un pochino più sul punto di queste con le quali oggi ho cercato di descrivere il recinto culturale all'interno del quale valuto e apprezzo il lavoro che viene svolto dall'ASVIS.
Lo considero importante, perché qualsiasi lavoro di misurazione è importante. Questo l'ho imparato alla scuola alla quale sono stato formato accademicamente, una scuola nella quale, tra l'altro, l'elaborazione di indicatori sintetici come quelli che il rapporto propone era presa molto sul serio.
Intanto vorrei dire che, quanto sarà sostenibile, in particolare sotto il profilo ambientale (perché una cosa che va apprezzata nel rapporto è quella di considerare altre dimensioni di sostenibilità, in particolare quella sociale, io nel mio lavoro mi occupo della sostenibilità finanziaria, che è un'altra cosa ancora), quanto sia sostenibile ambientalmente un certo percorso di sviluppo dipende dallo sviluppo della tecnologia, una cosa che è anche in parte imprevedibile, avanza per salti, per eventi discontinui, come quello della scoperta e dell'applicazione tecnica dell'elettricità, che è stato menzionato poc'anzi, ma che è anche qualcosa su cui occorre investire. E allora qui dobbiamo stare un po' attenti, perché noi, da un lato, vogliamo affiancare al PIL misure di cose svariate (mi pare che in Bhutan si misuri addirittura la felicità, a livello aggregato, che può essere un esperimento interessante ma, insomma...): il BES e altri esperimenti di questo tipo. Io non sono assolutamente contrario a questo tipo di sperimentazione, fra l'altro voglio ricordare che il Senato, in particolare, ha un Ufficio di valutazione d'impatto, che effettua analisi di questo tipo, che ha preso in forte considerazione il BES, ecc.
Però ci sono anche cose più semplici da fare, e perché non le facciamo?
Se vogliamo pensare alla sostenibilità del nostro percorso di crescita, dovremmo smettere di contabilizzare in contabilità nazionale, tra i consumi, gli investimenti in capitale umano. Cioè la spesa per l'istruzione dovrebbe essere considerata per ciò che è, per un investimento, e dovrebbe essere valorizzata in quanto tale.
Visto che abbiamo questa simpatica retorica supply side, "offertivista", neoliberale, di cui qui a destra ho un esponente valido che capita anche che sia un amico (non potrò litigarci perché dovrò scappare, quindi poi tu massacrami), insomma, perché non giochiamo su questa retorica dell'investimento e mettiamo il capitale umano fra gli investimenti una volta per tutte? E mettiamo una golden rule nelle regole europee, che consideri tutti gli investimenti, anche quello in capitale umano, tra gli investimenti che devono essere promossi? "Investimento in capitale umano", lo traduco, significa stipendio degli insegnanti. Sono in conflitto d'interesse perché ero un insegnante e tornerò ad esserlo, non sono un politico perché vi confesso il mio conflitto d'interesse, però il tema esiste. E, con mia grande sorpresa, il presidente Bassanini mi segnalò, arricchendo la mia cultura, che questo tema era stato sollevato nientemeno che da Jacques Attalì. E se lo ha sollevato lui, ma è poi rimasto sotto al tappeto, vuol dire che c'è proprio una fortissima resistenza a considerarlo. Fortissima, molto più che a considerare la purezza dell'aria o dell'acqua, e questo ci dovrebbe far fare una riflessione.
Poi, vorrei aggiungere una considerazione che emerge anche dalla lettura degli indicatori. Ecco, diciamo, la povertà non dipende dalle persone che ci hanno preceduto in questa esperienza di governo, che io sto imparando a conoscere ed apprezzare (perché naturalmente la politica ti insegna il rispetto dell'avversario). Però attenzione, dire che la povertà dipende dalla crisi è un pezzo della storia, perché le crisi si gestiscono. Le crisi si gestiscono, si fabbricano anche. La fragilità intrinseca del sistema nel quale viviamo dipende anche dal non aver adottato regole razionali come quella che ho appena menzionato. E dipende anche dall'essere costretti a fare delle cose irrazionali, che compromettono il nostro breve periodo, compromettendo anche il lungo periodo. Perché se adesso mi arriva, grazie alla solerzia dei miei collaboratori, un'agenzia che dice che, secondo l'Unione Europea, arriveremo al 132% del debito/pil (vediamo, perché anche le previsioni, come le agende, sono uno strumento di comunicazione politica, in senso alto - non voglio fare una critica), io non posso non ricordare che eravamo scesi sotto il 100 (nessuno se ne era accorto perché la contabilità nazionale venne riformata due anni dopo che noi potessimo argomentare di essere scesi sotto al 100) e siamo tornati sopra il 130 per come la crisi è stata gestita.
Quindi, nel prendere le responsabilità della parte nella quale ho deciso di militare, per quello che succederà da qui in avanti, vorrei però che non ci dimenticassimo che, se noi siamo qui, un motivo c'è. E il motivo non è solo la crisi. La crisi, se gestita bene, non sarebbe bastata. Penso di avervi detto tutto quello che volevo dirvi, c'è la domanda politica: volete mettere in costituzione questa o quell'altra cosa? In realtà, se proprio dovessi esprimermi su questo punto, lo farei a titolo personale, e vi direi che, a titolo personale, prima di mettere qualcosa in costituzione vorrei togliere qualcosa che ci è stato messo con il solito meccanismo delle condizioni di necessità ed urgenza gestite o create ad arte. Cioè vorrei togliere il pareggio di bilancio. Perché per fare queste cose ambiziose, che qui ci poniamo come obiettivo e che sono in massima parte condivisibili, occorre un ruolo dello Stato attivo, interventista. Occorre anche ragionare a mente fredda e con scientificità sulla retorica delle generazioni future, intese come quelle alle quali noi lasceremmo in eredità il debito. Pensando di non lasciargli in eredità il debito, gli abbiamo lasciato in eredità un'altra cosa. Io potrei dire a chi mi ha preceduto: potevate scegliere se lasciare alle generazioni future il debito o la povertà, avete rifiutato di lasciargli il debito, gli avete lasciato il debito e la povertà (parafrasando uno statista col quale ho solo in comune un pessimo carattere).
Ecco, ragionamo seriamente su come uno Stato debba recuperare dei gradi di libertà nella sua azione, perché altrimenti su questi temi si possono fare proclami, si possono fare modifiche della Costituzione, ha sicuramente senso promuovere un dibattito a quel livello, ma se manca la volontà dello Stato di intervenire, finanziando progetti di simile respiro, ho come la sensazione che ci si avvii ad un'altra realizzazione parziale di obiettivi che invece sicuramente meritano tutti la nostra massima attenzione e il nostro massimo impegno. Io vi saluto perché devo accogliere il ministro Tria, che prima conoscevo da collega e adesso conosco da figura istituzionale, spero di non avervi annoiato troppo, spero di non aver troppo deluso Enrico, con il mio scetticismo da keynesiano vecchia maniera, e spero anche di aver risposto alle domande del cortese moderatore."
Moderatore: "Ha sviluppato il suo ragionamento in modo molto coerente e teso, direbbe qualcuno."
"La ringrazio per la definizione, grazie, perdonatemi veramente. Visto che prima si parlava di bambini, questa audizione è stata un parto perché il ministro è molto impegnato. Apro e chiudo una parentesi, per dire qui una cosa che dirò dopo, noi abbiamo voluto fare la razionalizzazione e avere un ministero dell'economia, poi abbiamo una commissione bilancio e una commissione finanze. Ora se noi avessimo quattro ministeri, com'era quando eravamo giovani, avremmo un'interlocuzione più fluida con il governo, in re ipsa. Queste cose certe volte non ci si pensa, quando si fanno gli interventi di riforma e razionalizzazione. Tipo sopprimere questo, sopprimere quello, adesso non parlo se no poi sembra che voglia parlar male degli assenti. Grazie ancora per l'attenzione, scusatemi."
(...so che aspettate il terzo capitolo della saga di "awanagana", ma perdonatemi: come sempre, le mie priorità le decido io, e come sempre non avrete da lamentarvene...)
Poche ore fa Claudio Borghi ha pubblicato sul suo profilo questo tweet eloquente:
Siamo in campagna elettorale, e purtroppo occorrerà, per un minimo di igiene del dibattito, tornare alle vecchie regole. Le ricordate? Eccole:
Diciamo che alla luce degli sviluppi recenti molti di quelli che allora non capirono la fondatezza di queste regole ora l'avranno afferrata: il succitato dibattito con gli scienziati coNpetenti awanagana è di per sé una spiegazione sufficiente del terzo e del quarto motivo di blocco, il secondo dovrebbe essere self-explanatory, e del primo ci occuperemo oggi, in modo che quando vi capiterà di essere bloccati non abbiate poi a lamentarvi. Ricordo con l'occasione che un clic è come un diamante: è per sempre (e porta con sé il blocco di chi intercede per il malcapitato). Nell'ampio contenitore del #chennepenZa rientra infatti l'attività di sedazione dei boccaloni cui allude Claudio. Attività in pura perdita, come chiarisce la prima legge della termodidattica: ci sono cose che se potessero essere capite non andrebbero spiegate! Se una persona non capisce da sé le motivazioni sottostanti alla diffusione di certe "notizie" da parte dei soliti noti direi che spiegargliele è tempo inutile. Noi abbiamo bisogno di combattenti, e comunque di minus habens non ha bisogno nessuno!
Tuttavia, fedele al motto "severo ma giusto", mi sentirei in colpa, non ci dormirei la notte, se bloccassi sui social qualcuno di voi senza prima avergli spiegato bene il perché. Oggi vorrei soffermarmi su uno dei motivi di blocco che prevedo saranno più frequenti nel prossimo mese e mezzo: quello del malcapitato che avendo letto sulla fonte di stampa x la minchiata y a noi attribuita viene, con toni melodrammatici, a chiederci chiarimenti. Questo "Radames discolpati!" sarebbe già insopportabile (perché petulante) in una persona che fosse entrata in contatto con me da poco, ma è del tutto ingiustificato in chi abbia seguito, o pretenda di aver seguito, il lavoro da me svolto in questi anni su questo blog e altrove. Vorrei ricordare, a costo di ripetermi, che uno dei fili conduttori di questo blog (in effetti il più importante, a insindacabile avviso del suo autore) è stato lo smascheramento delle balle colossali diffuse dalla propaganda avversaria in tema economico (ad esempio qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, ecc.). A fronte di tanti esempi, mi aspetterei che chi si accosta alle fonti di stampa "autorevoli" avesse maturato negli anni un minimo di senso critico. E invece no! Ogni volta si torna daccapo, ogni volta il boccalone (vero o presunto) di turno chiede a te di smentire la notizia tale, invece di chiedere a se stesso quali possano essere le motivazioni di chi gliela sta proponendo. Inutile dire che la macchina della propaganda si è portata avanti col lavoro, e quello che una volta mi venne insegnato dalla mia insegnante comunista in seconda media (valutare criticamente le fonti significa in primo luogo vedere a quali interessi economici, cioè politici, rispondono) oggi verrebbe derubricato a complottismo: la morte della sinistra è tutta qui, e non occorre spenderci altre parole.
Ora, vorrei che voi capiste una cosa della quale il post precedente credo possa darvi una pallida idea (farò un maggiore sforzo per farvelo capire meglio). Il lavoro parlamentare è molto complesso, e richiede tempo. Tanto per fare un esempio, al di là del lavoro tecnico (legislativo e scientifico), dietro alla risoluzione sulla COM(2018) 135 c'è stato tanto lavoro politico, che è consistito, ad esempio, nel parlare (in aula o in corridoio) con i membri dell'opposizione più interessati al tema per sondare le loro posizioni, nel diffondere a tutti i membri della Commissione la bozza (via capigruppo) e raccogliere le loro indicazioni, nel far verificare ai funzionari che l'impostazione fosse formalmente corretta, ecc. In questo particolare caso questo sforzo rispondeva a quello che per me è un principio incontestabile, ovvero che in Europa si va da Italiani, e quindi su atti di questo tipo occorre l'unanimità, che non è una cosa che gli altri ti regalano: devi costruirla, e costruirla nel tempo. Naturalmente, come potrete immaginare, se è difficile trovare unanimità con le opposizioni, non è semplice nemmeno trovare una linea politica all'interno di un partito o di una maggioranza. Si chiama democrazia, e se il vostro argomento è che la dittatura è più efficiente accomodatevi altrove...
Intanto, se il PD avesse messo agli atti una risoluzione in cui fosse stato scritto a chiare lettere quello che oggi dice l'EBA/ESMA (ovvero che il bail in è stata una solenne minchiata) forse se la passerebbe meno male, anche perché se avesse avuto il coraggio di dire quelle cose, avrebbe poi avuto il coraggio di farne altre, e il Paese starebbe meglio. Ma indipendentemente da quello che pensiate del lavoro parlamentare (perché fra voi ci sono molti Padoa Schioppa in erba, come ho avuto modo di stigmatizzare a inizio anno), resta il fatto che se nella giornata standard occorre prevedere un'ora di tempo per smentire cose che non si sono dette, più un'ora di tempo per commentare cose che nessuno ha detto, più un'ora di tempo per gestire con gli specialisti chi ha esagerato, capite bene che 24 ore non bastano! Ora, in modo fattuale e oggettivo, vorrei chiarirvi una volta per tutte un punto essenziale, che dovete afferrare per il vostro, non per il mio bene: la qualità dell'informazione politica è molto peggiore di quella dell'informazione economica, della quale per anni vi ho mostrato lo stato desolante.
Non ci dovrebbe essere niente di particolarmente sorprendente. Intanto, è chiaro che dove il messaggio si fa esplicitamente politico, le dinamiche partigiane, propagandistiche, che, lo sottolineo,
SONO LECITE,
si fanno più esplicite e pervasive. Ma poi, ed è soprattutto qui che oggi insisterò, dovrebbe essere chiaro che chi ha la faccia di tolla sufficiente a dirvi che una variabile osservabile e riportata dagli organi di statistica è diminuita quando invece è cresciuta (o viceversa), chi non teme di essere smentito su elementi oggettivi e facilmente accessibili come i dati economici, figuratevi un po' se teme di essere smentito su dati più evanescenti come quelli politici, fatti di dichiarazioni che possono tranquillamente essere travisate, senza che colui al quale sono state attribuite se ne accorga, o, se se ne accorge, possa reagire, o, se reagisce, possa farlo in modo efficace (considerando che una smentita è una notizia data due volte: il che, peraltro, rafforza la mia tesi che solo un completo imbecille o una persona in totale malafede può venire a chiedere smentite)! Il sistema mediatico è profondamente malato, ma il problema non è soggettivo, non sono le persone: sono alcune dinamiche oggettive che vorrei provare a interpretare con voi e per voi. Prima di interpretarle, però, di queste occorrerà dare evidenza, occorrerà descriverle. Il mondo delle anime belle è pronto a scandalizzarsi senza se e senza ma laddove si critichino quei media che rimangono il loro ultimo rifugio (cit.): l'habitat nel quale è ancora consentito loro sentirsi buoni, sentirsi colti, sentirsi superiori. Occorre quindi esercitare un'estrema cautela nell'affrontare il tema, che di per sé è divisivo e anche oggettivamente scivoloso. La democrazia, come argomenterò, è in serio pericolo, ma sarebbe illusorio difenderla con misure che la intaccassero ulteriormente. Il rimedio sarebbe peggiore del male. Tuttavia, per decidere serenamente se vogliamo tenerci il male, o come sarebbe possibile porvi rimedio, bisognerà che ancora una volta ci affidiamo alla nostra guida, che in sette anni di dibattito è sempre stata il dato. Seguono alcuni esempi, di gravità variabile. Ve li riporto un po' in ordine sparso, perché è roba che si è accumulata nel tempo. Questo è quel famoso post sul giornalismo che non riuscivo a pubblicare perché non riuscivo a rileggere: c'è voluto un viaggio a Lecco per consentirmelo.
Bagnai infuriato
Come ricorderete, dalla dottoressa Gruber è andata così. Vedendo o rivedendo il video vi farete o rifarete un'idea. Il mio commento è molto semplice: quando si incontrano due professionisti, e lo scopo del gioco è chiaro, lo spettacolo merita sempre (anche nei casi in cui, come in questo, l'unica regola è che non ci sono regole). Biasimo quindi il tifo da stadio che molti hanno esternato su Twitter. A tal proposito, vi segnalo l'autorevole commento del Truzzolillo, che trovate qui (mandategli un abbraccio fortissimo). Avvicinandoci al tema di oggi, vi sottopongo altresì il sereno resoconto di Libero, del quale qui vi accludo screenshot originale:
Apprezzerete il solito giochetto del reverse SEO, la foto a occhi chiusi (selezionata con cura), e la lapidaria descrizione: "Le domande fanno infuriare il leghista Bagnai?" (Bagnani nel tweet). Dopo un mio sereno commento su Twitter (una risata a crepapelle) e su Facebook (una pacata analisi degli effetti di un simile business model sul conto economico di chi lo applichi, peraltro suffragata immediatamente dopo dai messaggi di alcuni amici edicolanti), allo stesso URL, che è questo:
https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13435865/otto-e-mezzo-lilli-gruber-domande-alberto-bagnai-case-chiuse-leghista-sbotta.html
(...notate: alberto-bagnai-case-chiuse-leghista-sbotta... e ditemi voi se ho sbottato!...)
si trova un titolo ben diverso, questo:
(quindi siamo passati da "le domande fanno infuriare" - che lascia supporre un'atmosfera rovente, che non c'è stata - alla "sconcertante domanda, gelo in studio" - che altresì non c'è stato).
Eh già! La figura da "cronisti non estremamente accurati" fatta in diretta web su due canali sui quali ho un certo seguito ha convinto immediatamente i redattori di Libero a rettificare titolo e contenuto (peraltro, rasandolo dalla cache di Google con una certa prontezza), ma senza scusarsi e senza segnalarlo. Una prassi non del tutto anglosassone, ma, come vedremo, molto diffusa. E fino a qui siamo su imprecisioni tutto sommato lievi: mi viene attribuito un atteggiamento che non ho (L'Alberto furioso!), ma non parole che non ho detto. Paulo maiora canamus...
Bagnai è contro lo sviluppo sostenibile
In calce troverete "sbobinato" il breve discorso che ho fatto a braccio al convegno La politica italiana e l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. A che punto siamo? In questo caso verificare che cosa io abbia effettivamente detto è semplice, perché l'evento si svolgeva presso la nuova aula dei gruppi alla Camera, e quindi ne esiste una registrazione video che qui vi sottopongo:Io intervengo intorno ai 2:50 e la "sbobinatura" del mio intervento è in calce a questo post. Ora, qui ci sarebbero tante considerazioni di merito da fare, ma non mi addentro in esse, limitandomi a una domanda sul metodo: è più noioso leggere la "sbobinatura" di un intervento orale, o assistere alla lettura di un intervento scritto? Io, generalmente, in pubblico preferisco non leggere, così come, se poi devo scrivere un mio intervento estemporaneo, faccio interventi editoriali per evitare ripetizioni, spezzare incisi, risolvere forme troppo colloquiali. In questo caso non l'ho fatto, e quindi il testo sembra scritto in stato di ubriachezza! Me ne scuso, ma mi è sembrato indispensabile attenermi rigorosamente alla lettera di quanto ho detto, e riportarvela per iscritto, perché solo così potrete apprezzare l'entità della "tempesta emotiva" (cit.) che mi ha assalito nel leggere la seguente agenzia:
Ci sono capitato per caso: pago persone per farlo al posto mio, cioè per verificare che la stampa non mistifichi quanto dico, o meglio: per documentare come ha mistificato quanto ho detto (trattandosi di un evento con probabilità uno). Ora, uno che mi sta accanto tutti i giorni, e che magari ha anche assistito all'evento, dovrebbe capire che queste parole non mi somigliano, ricordarsi che non le ho dette, comprendere l'assoluta gravità del fatto che a un politico del mio rango istituzionale vengano messe in bocca parole che non ha detto, avvertirmi tempestivamente affinché io possa prendere le azioni correttive necessarie per evitare l'insorgere di fastidiose e controproducenti polemiche.
Questa volta ci sono arrivato sopra io, evidentemente la gravità del fatto era stata sottovalutata, ma siamo tutti qui per imparare... Nessuno dei virgolettati che mi venivano attribuiti era stato da me pronunciato, ma soprattutto il senso complessivo del mio intervento era stato totalmente travisato! Non dicevo certo di essere "contrario allo sviluppo sostenibile", anzi: affermavo il nonsenso di una simile asserzione, e sviluppavo alcune considerazioni che sarebbe superfluo ripetere per chi le ha capite, e inutile per chi non può capirle. C'è anche chi le ha capite, come Uno de passaggio:
che, non a caso, non è l'ultimo arrivato, ma un imprenditore sopravvissuto (e bene) alla crisi (SD non sta per standard deviation...)
Mi sale immediatamente il crimine (cit. Garavaglia). Lavati in famiglia i panni sporchi, con l'ordine assoluto di non intrattenere più rapporti con agenzie di stampa, rivolgo le mie sollecite attenzioni al "giornalista amico" dell'agenzia de cujus, con le seguenti cortesi e testuali parole: "Ma siete proprio sicuri che io abbia detto così? Un consiglio: io non smentisco mai. Riascoltate e scusatevi. That's all, folks!"
Mi tremavano le mani dalla rabbia. Per uno strano caso, avevo finito di lavorare un po' prima, potevo andarmene via alle 18, e mi volevo godere Giulia un paio d'ore. Vado a prenderla a inglese, e lei: "Babbo, cosa hai?"... Io: "Niente, poi mi passa. Mi hanno fatto dire una cosa che non ho detto." Lei: "Ma è grave?" Io: "Per loro sì...".
Poi torno a casa, entro in cucina, e un po' perché astratto nei miei pensieri furibondi, un po' perché ancora fisicamente scosso dall'ira, esordisco rovesciandomi addosso una pentola! Devono vivere anche le lavanderie, penso, e mi cheto lentamente, dopo aver preso la determinazione di chiarire una volta per tutte a chi di dovere come si lavora. Chiedo al mio addetto stampa di verificare se il lancio è stato rettificato, e apprendo così che le agenzie non si scusano quando mettono in bocca a un politico parole che non ha detto, e che comunque non si poteva rettificare perché "s'era fatta una certa" (virgolettato giornalistico: cioè, non hanno detto così. Anzi, aspettate: virgolettato quasi giornalistico, perché è vero che non hanno detto così, ma il concetto era questo).
Ci metto una pietra sopra, blocco tutti i contatti di quella roba lì che mi trovo ad avere in agenda (poi con calma bloccherò qualsiasi cosa da ovunque, ma non può diventare un lavoro a tempo pieno: lo farò quando mi chiameranno), e aspetto.
Il giorno dopo esce questo:
E voi direte: incidente chiuso!
Eh, no, se ne parlo qui evidentemente l'incidente non è chiuso!
Intanto, mi hanno avvelenato due ore con mia figlia, bene piuttosto raro di questi tempi. Dice: "Non te le hanno avvelenate loro. Te le sei avvelenate tu, perché potevi fottertene e vivere felice". Certo, capisco. Io sono inquieto. Non c'è pace per chi non vuole pace, questo ce lo siamo detto tante volte, anche in musica. Ma il fatto è che io non sono (solo) un politico: sono anche un artista, altrimenti Brilliant non pubblicherebbe i miei dischi e voi non sareste qui, dove non vi ha trattenuto il fascino delle partite correnti o del tasso di cambio reale (cioè dell'ancora ignoto, per voi, otto anni dopo...), ma quello della prosa (qui, qui, qui, ecc.). Scriverete sulla mia tomba le parole di Rilke: Er war ein Dichter und haßte das Ungefähre. Odio le imprecisioni. E siccome la parola è divina, alterarla non è solo poco professionale: è blasfemo.
Ma soprattutto, purtroppo io non sono (solo) un artista, ma (anche) un politico. Le dichiarazioni de cujus hanno provocato le stucchevoli querimonie di alcuni colleghi della Camera, sui quali appongo il suggello di un tombale Vae victis! Tuttavia, avrebbe potuto reagire anche qualche organismo pluricellulare minimamente più rilevante, e magari parole riportate in modo inaccurato avrebbero potuto mettere in difficoltà qualche mio collega in qualche trattativa, o dibattito, o intervista. "Viceministro Garavaglia, Bagnai ha detto di essere contrario allo sviluppo sostenibile, lei cosa ne pensa?" Quante volte sono stato inseguito dai lemuri che stazionano, con la telecamerina a spalla, intorno ai palazzi, per farci commentare cose che nella maggior parte dei casi nessuno di noi ha detto (l'episodio che vi sto riportando è la regola, non l'eccezione, come poi vedrete), alla ricerca dell'incidente, della polemica costruita ad arte? Capito perché io non commento mai le parole di nessun collega? Perché so sempre che non sono mai state dette, o non come me le riporta il primate in servizio. E spero che mi perdoni la gentile signora cui, qualche giorno fa, ho detto: "Mi scusi, ma non le rispondo perché sono contrario a questo modo di fare giornalismo. Ho ottimi rapporti con la vostra redazione, se vi interessa sapere cosa penso verrò presto a dirvelo."
Ma soprattutto l'incidente non è chiuso, perché, per uno sfortunato susseguirsi di circostanze, è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E ora il vaso è traboccato, quindi... andiamo avanti!
Quel giorno che ho nazionalizzato CARIGE...
Per farvi subito un esempio di "errore" che avrebbe potuto essere minimamento più nefasto nelle conseguenze (ma che, stranamente, mi ha dato meno ai nervi), vorrei ricordarvi di quel giorno che ho privatizzato Carige, ovviamente a mia insaputa (come nella migliore tradizione dei politici genovesi, appunto)! Ero stato invitato da Class CNBC, il 12 febbraio, il video è qui (anche se in questo momento stranamente non si riesce a caricarlo: ma io ne ho fatto fare una copia). Verso la fine mi viene detto che il commissario Modiano dice che Carige non sarà nazionalizzata, e mi viene chiesto: "Bagnai, su questo si sente di fare una rassicurazione?" (il solito giochino descritto sopra, by the way). Io testualmente rispondo: "Non sta a me farne perché non sono un membro dell'esecutivo. Secondo me esistono le condizioni, mi viene detto da diverse fonti più o meno informate che esistono le condizioni perché si trovi una soluzione di mercato".Esco dallo studio, dove mi aveva accompagnato un altro membro del mio staff, controllo (io) Twitter, e che trovo? Ma ovviamente la notizia (falsa) secondo cui per me si sarebbe potuto pensare a nazionalizzare Carige, quando io invece avevo detto l'esatto contrario, cioè che nessuno ci stava pensando (questo lascia impregiudicata la questione del perché in Germania il 60% delle oltre 1500 banche sia di proprietà pubblica, ma oggi parliamo di altro). Ovviamente la incapsulo immediatamente in una smentita, che però, anche su Twitter, è una notizia data due volte:
Mi rivolgo su WhatsApp alla redazione, pregandola di restare in rapporti cortesi. Il tweet viene rimosso, con il solito discorsetto: non è un fake, è solo sintesi giornalistica! Certo, se la sintesi giornalistica trasforma una "soluzione di mercato" in una "nazionalizzazione", magari riuscirebbe anche a trasformare lo sterco in oro, il che apre interessanti prospettive sulle quali non mi addentro.
Tweet rimosso, incidente chiuso? No, incidente chiuso un bel niente! Intanto, se io non sapessi di venir travisato sistematicamente, e se quindi non controllassi ossessivamente e di persona (visto che tanto laggente nun capischeno che deveno controllà) tutto quello che mi riguarda, il tweet sarebbe rimasto lì per qualcosa di più di quei dieci minuti che è rimasto, e avrebbe potuto creare danni di vario tipo: polemiche, lanci di agenzie straniere con conseguenti fremiti dello spread, perdite di tempo a catena...
Ecco, appunto, parliamo del tempo... Ma vi pare normale che ogni intervento sui media, oltre al tempo necessario per prepararmi e per intervenire, debba anche assorbire del tempo per verificare come quanto detto è stato riportato, e per correre ai ripari quando viene tradotto nel suo diretto ed immediato contrario!? Ma vi sembra normale questa roba qui!? A me no. Non solo non è normale, ma è anche un evidente e diretto ostacolo oggettivo allo svolgersi del processo democratico. Questo modo di fare giornalismo è oggettivamente nemico della democrazia.
E siccome non c'è modo di sapere prima come si comporterà quello che ti interpella, direi che il gioco non vale la candela...
Quel giorno che ho fatto impensierire Moscovici
Ah, quel giorno! Era il due ottobre dell'anno scorso, e me ne stavo bello tranquillo perché non avevo dichiarato nulla. Per una volta, non aveva dichiarato nulla nemmeno Claudio, ma gliela avevano fatta dichiarare ugualmente (nun se famo mancà ggnente...). Durante un'intervista alla radio credo fosse uscita, una domanda del tutto ipotetica sul regime monetario ottimale per il nostro paese aveva scatenato il seguente, del tutto ingiustificato, putiferio:L'agenzia era fasulla (inutile ripetere che c'è un contratto di governo, ecc.), ma questo rileva poco. In ogni caso erano fatti di Claudio, o almeno così credevo. Sbagliavo. Infatti:
esce la correzione, che, guarda un po', non dice in cosa fosse sbagliato l'originale.
Incidente chiuso? Se semo sbajati, tranquillo, basta che sse capimo? Eh, insomma, mica tanto! Un po' perché questo episodio dimostra che non basta stare attento a quello che dici tu, devi anche stare attento a quello che non dici, cioè che dicono gli altri, e così sinceramente diventa un po' difficile. E poi, perché, come al solito, se non hai mille occhi il veleno circola nella falda, con risultati non banali. Ne volete una prova? Eccola! Due giorni dopo, per interposto furbetto italiano, il Financial Times mi onorava delle sue attenzioni insieme con Claudio:
Così, mentre i nostri amici tuttosubitisti qui imperversavano al grido di haitraditooooh, lassù a Londra si scriveva una diversa favola, non innocua, per i motivi che qui chiarisce un altro amico, al punto (2) di una simpatica FAQ che mi ha inviato come piccolo vademecum:
Quindi non sono poco professionali, anzi: sono professionalissimi, il loro lavoro lo sanno fare molto bene. Ma per apprezzarlo prima bisogna capire qual è...
Quel giorno che ho previsto (o deciso?) l'obiettivo di deficit
Sempre a proposito di favole, voglio raccontarvi di quel giorno in cui ho previsto l'obiettivo di deficit del Governo (e ci ho anche preso)! Era l'anno scorso: all'uscita da una riunione complessa e interessante su un tema non facile (lo stato del nostro sistema bancario), uno dei tanti impegni in agenda, dopo essermi deliziato con MREL, TLAC, UTP, AMC, ecc., ricevo dall'addetto stampa questa simpatica email di sintesi:e mi assale un intenso disagio, per un motivo tanto semplice quanto incontrovertibile: questo virgolettato non era mai stato pronunciato, perché l'intervista era stata rilasciata per iscritto! Il motivo ve lo immaginerete: parlando al telefono lasci al professionista di turno ampio margine per fare il suo lavoro (vedi slide in fondo al paragrafo precedente): se invece le risposte le scrivi, cambiarle diventa un po' più delicato. Ma a nulla erano valse le mie precauzioni. Non avevo capito una cosa fondamentale: tu puoi anche, con il consueto scrupolo, dedicarti alla parte che nessuno leggerà (il corpo dell'articolo). L'unica parte che il lettore leggerà (il titolo) resta affidata all'arbitrio del titolista, il quale ci metterà letteralmente quello che gli pare, indipendentemente da qualsiasi appiglio trovi nelle parole da te dette: se occorrerà, si servirà di quelle non dette (e nemmeno pensate).
Immaginatevi il mio raccapriccio nel constatare che mi veniva attribuita, e con enfasi (nel titolo) una frase non solo insensata, ma anche inesistente: mai pronunciata! Tutte le agenzie sul 2%, in un momento in cui ognuno di noi stava ben attento a non dare numeri per il semplice motivo che darne non avrebbe avuto alcun senso, e anzi sarebbe stato controproducente. Avevo appena parlato col ministro di questi aspetti comunicativi, trovandomi d'accordo con lui, ed ecco che un anonimo titolista, che il Signore ricompenserà, come ricompenserà tutti noi, per lo scrupolo col quale svolge il suo lavoro, mi fa fare la figura del coglione o del doppiogiochista col ministro e collega Tria, mettendomi in bocca un target da me mai espresso!
Anche qui, prima di prendermela, ho voluto controllare. Tornato in ufficio, ho cercato prima la cifra 2 nel testo: trovandola solo nei numeri 2000 e 2017 (date delle riforme del fisco proposte da Visco e da Rossi), ma non in 2%. Nel testo, la parola "due" proprio non c'è.
In questo caso, avendo consuetudine col vicedirettore, l'ho chiamato, per capire come fosse possibile che in un titolo e fra virgolette mi fosse stato attribuito un numero che non avevo mai pronunciato, e che per la mia posizione attuale poteva contribuire a guidare le aspettative del mercato dove mai avrei inteso di condurle (dandomi quindi la responsabilità di contraccolpi laddove le cose fossero andate in modo diverso da come qualcuno potesse pensare che io avessi inteso indicare che avrebbero potuto andare). Telefonata cordiale, grande disponibilità, ma... ggnente! Il problema non ha rimedio.
Bagnai la fa difficile
Aveva cominciato Il Mattino di Napoli, sempre a settembre scorso. Titolo: "Difficile procedere, ma dopo le europee rinegozieremo regole fiscali e monetarie".(allego fotina sfuocata, per chi non se lo ricordasse: non voglio violare il diritto d'autore). Nel rileggere il titolo, mi assalì un dubbio: "Ma veramente io ho detto che procedere è difficile? A me sembra di aver detto che in difficoltà sia la cosiddetta Europa, come dimostrano certi suoi scomposti atteggiamenti minatori!" Anche qui, aiutandomi con la funzione Trova di Word, andai alla ricerca nel mio file di questo aggettivo sideralmente lontano dal mio pensiero, e, naturalmente, non lo trovai. Nulla nell'intervista accennava a difficoltà, anzi!
Ma questo, rispetto al precedente, era un peccato veniale: certo, veniva messa fra virgolette, attribuendomela, una cosa che non avevo né detto, né pensato, e che era ortogonale rispetto a quanto volevo esprimere nella mia intervista. Ma almeno non mi si facevano dare i numeri! E poi, diciamocelo: dopo anni passati a sentirmi dire che "la facevo facile!", per una volta sentirmi dire che "la facevo difficile!", pur essendo ugualmente una bufala, aveva almeno la freschezza della novità!
Bagnai insabbiah la Commissione d'inchiestaaah!
D'altra parte, perfino un giornale che con me era sempre stato equilibrato da tempi non sospetti, il 20 settembre cosa mi fa trovare? Questo:Gombloddoneeeeh! Bagnai, minacciato da Tria e da Visco, sta insabbiando la Commissione d'inchiesta sulle banche!
Ovviamente nulla di tutto questo. Avevamo una serie di pareri da rendere, e alcune scadenze tecniche che potrete tranquillamente consultare (come avrebbe potuto chiunque) qui. Io di pressioni, da quando sono in Parlamento, ne ho viste due sole: la minima o diastolica, sempre a 80, e la massima o sistolica, sempre a 120 (anche quando leggo minchiate come questa). Né Tria né Visco, che rappresentano istituzioni con le quali devo confrontarmi e vorrei poterlo fare, nell'interesse di tutti, senza che il gossip intorbidi i nostri rapporti, hanno mai esercitato alcuna pressione: non è nel loro stile, non è il loro ruolo, e con tutto il rispetto io non rispondo a loro. Anche qui, ho pensato a una mia ipersensibilità. Magari sarò troppo sospettoso, mi sono detto. Certo, è assurdo che qualcuno possa pensare che io non dia corso a una proposta di legge che ha l'avallo dei vicepremier. Il Parlamento, peraltro, è indipendente sia dalla Banca d'Italia che dal Governo, cui dà la fiducia, e questo perché è espressione diretta della sovranità popolare. Il discorso, insomma, non tiene. Ma sarà stata una svista.
Poi, però, mi arrivò quest'altro bel capolavoro:
che, attribuendomi un perentorio (e mai detto) "verità sulla vigilanza", mi dipinge come un tribuno del popolo che vuole mettere Visco sul banco degli imputati. Insomma: il Fatto vuole farmi litigare con Visco, questo ormai è ovvio (come ha constatato ironicamente uno dei suoi giornalisti). Io però non litigo, e non faccio processi a nessuno (nemmeno ai giornalisti: quelli che riporto sono fatti, i giudizi ce li metta chi desidera farlo...). La Commissione di inchiesta avrà cose più serie da fare e le farà.
Quel giorno che sono uscito dall'euro
Dice: "Vabbè, questi coi virgolettati abbondeno un po', ma nun è che ssò cattivi, ssò ssolo un po' distratti, ssò regazzi...". Sicuro? E allora perché quando le virgolette andrebbero messe non le mettono? Qui un preclaro esempio di professionismo:Nel riportare le parole di un maestoso rudere di precedenti stagioni politiche con idee tutte sue sulle statistiche dell'economia italiana (da noi ampiamente commentate quando avevamo tempo di dedicarci a persone irrilevanti), viene riportata out of the blue e senza virgolette la frase "Per Bagnai e Borghi uscita dall'Euro è l'unico sbocco". Ovviamente, a una lettura superficiale appare che o io o Claudio ci siamo espressi in questo senso, laddove questa simpatica affermazione è un parto della mente irrilevante di Della Vedova (che, scontando un forte isolamento culturale, non è in grado di comprendere quanto sia sfaccettata la nostra critica al progetto europeo, né è in grado di capire che alcuni argomenti non sono "di Bagnai", ma della letteratura scientifica: ma questo è un suo problema, cui gli elettori provvederanno). Certo, poi nel testo (che nessuno legge) dell'agenzia le cose sono rimesse al loro posto, cioè nello sproloquio di un nostro inconsistente avversario politico:
Ma credo che tutti voi possiate apprezzare il modus operandi: le virgolette che vengono messe per dare a Bagnai quello che non è di Bagnai, poi non vengono messe per dare a Bagnai quello che è di Della Vedova (cioè per lo stesso motivo)! Scopo: preparare il terreno in modo che gli algos, quando accadrà l'inevitabile, impazziscano. Ma l'isteria degli algos, cari operatori informativi, è breve: non potrete fermare il vento con le mani.
Mi avvio a concludere...
...come dice un politico prima di tirarla in lungo per altri venti minuti. Ma a me ne occorreranno di meno. Gli esempi che ho riportato sono solo una piccola quantità, ex multis, di cose capitate a me. Nelle nostre chat ormai la mattina ci salutiamo chiedendoci: "Oggi che cosa ti hanno fatto dire?", e i giornali non li leggiamo più. La notizia siamo noi, e non abbiamo bisogno di essere fuorviati o indotti a scaramucce inutili da chi lavora come io con serenità, continenza verbale, e fattualità, ho documentato (inutile scaldarsi: che parlino i dati).Ora, gli operatori informativi, in tutta evidenza, si sono costituiti, come altri poteri asseritamente indipendenti, in organo politico, in partito politico. Quale? Quello che ha perso le elezioni e deve ancora elaborare il lutto. Mentre questa dolorosa elaborazione va avanti, per non saper né leggere né scrivere i nostri amici continuano a far propaganda giocando sporco, con grave detrimento dei loro conti economici e della democrazia (che non trarrà particolare beneficio dalla loro scomparsa, come non ne trae dalla loro presenza).
Perché il giochino è chiaro: ti mettono in bocca cose che non hai detto, e lo fanno da una posizione sottoesposta comunicativamente, in modo che tu le ripeta da una posizione comunicativamente sovraesposta, per smentirle, naturalmente: ma una smentita è una notizia data due volte! Insomma: vogliono che tu lavori per loro, portando acqua al loro mulino. Ma con me, purtroppo, non funziona così, e questo per un motivo molto semplice. A differenza dei tanti colleghi che hanno un percorso di militanza nei territori, percorso che rispetto ora che ne so la difficoltà e la fatica, io ho fatto un percorso di militanza nel dibattito. Quindi, a me, di avere l'attenzione dei media interessa relativamente poco. Ne ho fatto a meno per sette anni, quando avevo tante cose interessanti da dire, ne faccio volentierissimo a meno ora che la mia attività è tenuta a doveri istituzionali di riservatezza, e che la mia posizione politica mi espone al rischio di creare incidenti se (cioè quando) le mie parole vengono riportate in modo inesatto.
Quindi, cari giornalisti, fatevene una ragione: io non ho bisogno di voi. Io sono la notizia, non voi. Io sono la vostra materia prima. Voi avete bisogno di me. Converse is not true. So benissimo che questo vi fa sclerare, che vorreste tanto avere a che fare con uno che per vedere il suo nome su dei fogli che nessuno più legge rifila il fascicolo degli emendamenti prima che vengano depositati, o fa la dichiarazione urlata, o sussurra il pettegolezzo, il retroscena. In questa maggioranza, di gente così, credo che ne troverete poca, ma naturalmente cercare è lecito. Ora sapete però perché vi scanso (con un sorriso e con cortesia): da voi posso avere solo noie, nessun vantaggio. Un mio tweet fa più visualizzazioni di un vostro articolo, il mio blog è la fonte delle fonti, i miei lettori sanno dove trovare le fonti primarie: disintermediazione o barbarie! Se volete farmi dire quello che vi pare, non avete bisogno di me (come l'ultimo esempio, quello della prestigiosa agenzia ADN-Kronos, dimostra), e quindi, col vostro riverito permesso, tengo per me la cosa più preziosa che ho: il mio tempo. Me ne serve molto, qui seduto in riva al fiume.
Come? Mi dite che cosa c'entra il titolo col contenuto del post? Bè, evidentemente nulla, il che dimostra che potrei fare il giornalista anch'io! E allora accettate un consiglio da un collega: per sopravvivere alla sfida della modernità vi occorrono tre ingredienti. Sono sicuro che quasi tutti voi ne disponete, in proporzioni variabili: schiena dritta, dati, e capacità di approfondimento. Il resto, il gossip, la dichiarazione travisata, il tentativo di provocare l'incidente politico, vi condanna al fallimento. Io ve l'ho detto, con solidarietà e simpatia (annovero fra di voi i miei più cari amici). Poi voi fate come vi pare, ma... not in my name!
Il testo che del mio intervento (che mi sono fatto sbobinare perché quando cancello qualcuno dalla mia anagrafe desidero avere la più assoluta certezza di non compiere errori).
"Grazie, grazie. Grazie a Enrico Giovannini per l'invito, e a Marco Tarquinio per la cortese introduzione.
Intanto vorrei scusarmi se dovrò comportarmi come un politico e, per compensare il fatto di essere arrivato in ritardo, me ne dovrò andare in anticipo.
La vita del politico è fatta così, qui abbiamo più di una persona familiar with the matter, per cui non devo spiegare che in aula ci sono stati alcuni incidenti, manifestazioni diciamo di giubilo per l'approvazione al Senato del decretone, che hanno un pochino fatto slittare i lavori. E alle ore 14 la mia commissione audirà (ed è la prima volta che ciò accade da quando la legge che lo consente esiste - mi riferisco alla legge 234/2012, legge Moavero sulla partecipazione dei parlamenti nazionali al processo legislativo europeo), audirà il ministro Tria sulle risultanze dell'ultimo Ecofin. Questo per dire che questa maggioranza e questo governo stanno dando dei segni concreti di voler andare oltre un europeismo fideistico e di maniera, per passare verso un europeismo partecipato e costruttivo. Ma naturalmente ciò prende del tempo. Ciononostante ho voluto essere qui e voglio anche chiarire, perché poi occasioni di approfondimento così importanti, di livello così elevato (io mi sento anche a disagio nell'essere in compagnia di esponenti politici che hanno una vita politica e una serie di risultati al loro attivo molto più lunghi e corposi dei miei) appuntamenti di questo tipo sono preziosi, e secondo me lo sono soprattutto se vengono colti come occasione di approfondimento, e quindi mi sento, visto che l'ho fatto ieri in aula lo faccio anche qui, molto rapidamente, di deprecare una certa informazione che cerca di politicizzare in modo un po' petulante e gossipparo chi c'è, chi non c'è, in un'occasione che è soprattutto un'occasione di approfondimento scientifico e di riflessione sui principi, dove quindi i tatticisimi politici dovrebbero essere tenuti fuori, anche se li si usa nella vana speranza di attizzare la curiosità di lettori che invece rifiutano proprio questo modo di fare politica, perché vogliono essere informati sui principi, vogliono essere informati sulla sostanza delle cose, e ne hanno un pochino abbastanza dei ragionamenti di corto respiro.
Non è di corto respiro la mia frequentazione con Enrico Giovannini. Ho fatto prima il calcolo, con la calcolatrice, perché ormai, essendo un politico, anche le sottrazioni non riesco a farle (il che testimonia comunque di una certa onestà, almeno per il momento): sono 33 anni che ci conosciamo, perché Enrico è stato mio insegnante al corso di econometria tenuto dal professor Carlucci (che abbiamo accompagnato insieme alla sua ultima dimora pochi mesi fa), presso l'università di Roma La Sapienza.
Enrico Giovannini è una di quelle persone che hanno fatto di me una persona in grado di entrare nella dimensione tecnica dell'eccellente lavoro fatto con questo rapporto.
Però non vi voglio annoiare con la dimensione tecnica, siamo in una sede politica. E allora vorrei fare qualche considerazione politica. Io, devo dire la verità, sono qui a titolo personale, sono un presidente di commissione: è andata così! I miei commissari sono abbastanza contenti che lo sia io, tranne qualche volta: ieri qualcuno si è lamentato, ma è la prima volta in sei mesi e ci sta. Quindi, come sapete, non sono nell'esecutivo, e sono leghista dal 18 gennaio dell'anno scorso: quindi sono l'ultima persona al mondo intitolata ad esprimere o a distillare il pensiero politico e la linea politica di un partito che rispetto e al quale sono grato, perché mi ha accolto e mi ha aperto ulteriori spazi di dialogo oltre quelli che mi ero aperto da me (perché qualcuno ero riuscito ad aprirmelo anche da me).
Ma non sono evidentemente qui per parlare a titolo, diciamo, collettivo, se non su alcune cose sulle quali ho avuto l'opportunità di condividere.
Ho appreso dal rapporto intanto, con un certo piacere, che fra i barbari, che saremmo noi e i colleghi a cinque stelle, la Lega è il partito il cui elettorato ha, sia pure marginalmente, per qualche decimale - ma oggi i decimali vanno di moda - la maggiore conoscenza dell'agenda 2030. Io, devo dire, ce l'ho per puro caso, per circostanze esistenziali, per il rapporto che mi lega a Enrico Giovannini. E devo dire, lo dico subito, così almeno do una delusione a Enrico, che non è esattamente al centro della mia attività professionale, e in un certo senso neanche dei miei pensieri. Tant'è vero che quando ieri il mio addetto stampa mi ricordava sull'agenda 2030 ho chiesto: "Stai parlando della 2020?" "No, è la 2030!". "Ah!".
E questo ci porta ad un pezzo di discorso che volevo fare. Le agende sono belle, soprattutto se sono quelle in pelle, sono degli oggetti che dovremmo usare, io ormai uso solo l'iPhone per registrare i miei appuntamenti e invece amo chi ancora scrive. Non voglio negare che sia importante per i politici avere un richiamo di forte autorevolezza scientifica ad allargare gli orizzonti. Però voglio fare un warning (visto che sono un economista ogni tanto, perdonerete, devo mettere qualche parola in inglese), un avvertimento, un richiamo al fatto - qui certamente non è successo - che bisogna stare un pochino attenti anche alla dimensione retorica, che poi rischia di svuotare la effettività di questi risultati.
Se noi vediamo cosa è successo all'agenda 2020, e parto dal dato della occupazione, l'agenda si proponeva di portare al 75% il tasso di occupazione della popolazione in età attiva.
Son partiti dal 70,3% sono arrivati al 72,2%, quindi in nove anni sono aumentati di due punti, e adesso per raggiungere l'obiettivo bisognerebbe che in tre anni questo tasso di occupazione aumentasse di tre quando tutti noi del mestiere, io, Enrico e gli altri del mestiere sanno che siamo alla vigilia di un altro massiccio evento economico avverso a livello globale. Non dubitiamo che nella meravigliosa famiglia europea qualcuno cercherò di addossarne l'esclusiva colpa a noi, ma siamo anche abbastanza fiduciosi nel fatto che le dinamiche che si esplicheranno chiariranno che...
Allora, c'è il problema della verifica dei risultati. Avere degli indicatori misurabili è un primo passo. L'agenda 2030 ha come primo vantaggio quello di farci dimenticare quella 2020 e il fatto che non siamo riusciti a realizzare gli obiettivi che erano lì. Quindi su questo richiamo la mia attenzione di politico, pur marginalmente, perché voi sapete che mi occupo di tasse e di banche, quindi non mi occupo di tutta una serie di aspetti di tecnologia, di ricerca scientifica, tutti altri elementi che concorrono alla sostenibilità. Io ho delle resistenze culturali quando si parla di sostenibilità, ho dei sospetti, vivo con un certo sospetto questo dibattito. Quando se ne parla vedo aleggiare lo spettro di Malthus, e vedo anche aleggiare poi lo spettro dell'Europa, e questo è molto evidente, è emerso anche nel dibattito: è stata identificata l'Europa con la sostenibilità.
Quindi, due osservazioni spot, perdonatemi sono osservazioni che possono sembrare un po' polemiche, sono un po' contrarian, ma insomma ci vuole nel dibattito qualcuno che la pensi in un modo diverso. Quando in un dibattito si affermano cose con le quali si dice che non si può non essere d'accordo, beh naturalmente certo, diciamo, nessuno è contro la mamma (forse qualcuno sì, di questi tempi...), ma insomma nessuno è contro il bene, nessuno è contro l'amore, nessuno è contro l'ambiente. Quindi, adottare una certa agenda significa, di per sé, escludere la possibilità di un contraddittorio. E questo, dal mio punto di vista, è la negazione della politica e anche, se vogliamo, l'essenza della propaganda. Quindi nella scelta della comunicazione bisogna stare attenti a mantenere comunque una comunicazione, su temi così rilevanti, che valorizzi la dimensione politica e quindi la dimensione di confronto.
Quando sento dire che su certe cose non si può non essere d'accordo io, automaticamente, non sono d'accordo. Questo però non è un fatto politico, è un fatto etnico, sono fiorentino e quindi ho delle specificità culturali che mi impongono di essere un bastian contrario. Ci sarà qualcuno qui che condivide con me questo infausto destino. Allora, attenzione alle cose sulle quali non si può non essere d'accordo. E poi, diciamo, essere per lo sviluppo sostenibile significa essere fortemente europeisti. Io amo l'Europa, ho delle forti riserve sull'Unione Europea, le ho argomentate scientificamente nel dibattito, e non solo sull'Unione Europea come progetto politico ma su alcuni altri aspetti specifici di questa costruzione. Però, il semplice fatto che noi stiamo parlando di una agenda che è propugnata dalle Nazioni Unite, Nazioni Unite che non stanno portando avanti il progetto di stati uniti del mondo, perché si farebbero ridere dietro, perché è chiaramente nonsensical, dimostra che il richiamo a una dimensione sovranazionale politicamente organizzata, cioè con un parlamento, un governo, o un ente simile, non è di per sé condizione né necessaria né sufficiente per proporre o realizzare un agenda simile.
Tant'è vero che l'agenda 2020 è fallita, quindi se dovessimo dire che ci dobbiamo affidare a chi ha fallito sulla 2020 per realizzare la 2030... Fallita, sto tagliando con l'accetta, ci sono stati dei progressi importanti, sono stati promossi dibattiti importanti, sono state introdotte norme importanti, non voglio fare le pulci ai numeri, non voglio essere così capzioso. Però voglio solo aprire una discussione serena sul fatto che ci sono molti modi di dibattere e molti modi di organizzarsi fra comunità per ragionare sul tema del nostro destino comune.
Vi avrei voluto raccontare la breve storia triste che accadde tre miliardi di anni fa, quando iniziò la fotosintesi clorofilliana e per un po' l'ossigeno venne catturato dal ferro che era libero in superficie, in particolare nelle acque del mare, poi precipitò, tutto questo ferro, e alla fine questo ossigeno cominciò ad accumularsi e ci fu un evento particolarmente catastrofico per i batteri anaerobi. Una volta la terra era una palla ricoperta di muffe, due miliardi e mezzo di anni dopo arrivammo noi, che pensiamo di essere qualcosa di più di una muffa, ma forse non lo siamo... Quindi ricorderei sempre il salmo 127, quando si vuole allungare lo sguardo, cioè "Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt, qui aedificant eam". Ecco, ricordiamoci sempre, anche se so che questo è un riferimento culturale che verrebbe molto condiviso dal senatore Pillon e forse poco da altri, ma insomma la dimensione della nostra finitezza umana è qualche cosa che dobbiamo tener presente proprio nel momento in cui allarghiamo lo sguardo al lungo periodo e esattamente perché allunghiamo lo sguardo al lungo periodo. E quindi dobbiamo sapere che quello che facciamo lo faremo per lasciare il testimone ad altri. A chi? Ai nostri figli, che sono stati menzionati in varie forme, e anche a chi ci succederà, perché avrà il gradimento delle generazioni future come politico al governo del paese. Siamo consapevoli del fatto che il nostro orizzonte temporale, come politici, non è infinito. A questo proposito vorrei dire anche due cose costruttive e un pochino più sul punto di queste con le quali oggi ho cercato di descrivere il recinto culturale all'interno del quale valuto e apprezzo il lavoro che viene svolto dall'ASVIS.
Lo considero importante, perché qualsiasi lavoro di misurazione è importante. Questo l'ho imparato alla scuola alla quale sono stato formato accademicamente, una scuola nella quale, tra l'altro, l'elaborazione di indicatori sintetici come quelli che il rapporto propone era presa molto sul serio.
Intanto vorrei dire che, quanto sarà sostenibile, in particolare sotto il profilo ambientale (perché una cosa che va apprezzata nel rapporto è quella di considerare altre dimensioni di sostenibilità, in particolare quella sociale, io nel mio lavoro mi occupo della sostenibilità finanziaria, che è un'altra cosa ancora), quanto sia sostenibile ambientalmente un certo percorso di sviluppo dipende dallo sviluppo della tecnologia, una cosa che è anche in parte imprevedibile, avanza per salti, per eventi discontinui, come quello della scoperta e dell'applicazione tecnica dell'elettricità, che è stato menzionato poc'anzi, ma che è anche qualcosa su cui occorre investire. E allora qui dobbiamo stare un po' attenti, perché noi, da un lato, vogliamo affiancare al PIL misure di cose svariate (mi pare che in Bhutan si misuri addirittura la felicità, a livello aggregato, che può essere un esperimento interessante ma, insomma...): il BES e altri esperimenti di questo tipo. Io non sono assolutamente contrario a questo tipo di sperimentazione, fra l'altro voglio ricordare che il Senato, in particolare, ha un Ufficio di valutazione d'impatto, che effettua analisi di questo tipo, che ha preso in forte considerazione il BES, ecc.
Però ci sono anche cose più semplici da fare, e perché non le facciamo?
Se vogliamo pensare alla sostenibilità del nostro percorso di crescita, dovremmo smettere di contabilizzare in contabilità nazionale, tra i consumi, gli investimenti in capitale umano. Cioè la spesa per l'istruzione dovrebbe essere considerata per ciò che è, per un investimento, e dovrebbe essere valorizzata in quanto tale.
Visto che abbiamo questa simpatica retorica supply side, "offertivista", neoliberale, di cui qui a destra ho un esponente valido che capita anche che sia un amico (non potrò litigarci perché dovrò scappare, quindi poi tu massacrami), insomma, perché non giochiamo su questa retorica dell'investimento e mettiamo il capitale umano fra gli investimenti una volta per tutte? E mettiamo una golden rule nelle regole europee, che consideri tutti gli investimenti, anche quello in capitale umano, tra gli investimenti che devono essere promossi? "Investimento in capitale umano", lo traduco, significa stipendio degli insegnanti. Sono in conflitto d'interesse perché ero un insegnante e tornerò ad esserlo, non sono un politico perché vi confesso il mio conflitto d'interesse, però il tema esiste. E, con mia grande sorpresa, il presidente Bassanini mi segnalò, arricchendo la mia cultura, che questo tema era stato sollevato nientemeno che da Jacques Attalì. E se lo ha sollevato lui, ma è poi rimasto sotto al tappeto, vuol dire che c'è proprio una fortissima resistenza a considerarlo. Fortissima, molto più che a considerare la purezza dell'aria o dell'acqua, e questo ci dovrebbe far fare una riflessione.
Poi, vorrei aggiungere una considerazione che emerge anche dalla lettura degli indicatori. Ecco, diciamo, la povertà non dipende dalle persone che ci hanno preceduto in questa esperienza di governo, che io sto imparando a conoscere ed apprezzare (perché naturalmente la politica ti insegna il rispetto dell'avversario). Però attenzione, dire che la povertà dipende dalla crisi è un pezzo della storia, perché le crisi si gestiscono. Le crisi si gestiscono, si fabbricano anche. La fragilità intrinseca del sistema nel quale viviamo dipende anche dal non aver adottato regole razionali come quella che ho appena menzionato. E dipende anche dall'essere costretti a fare delle cose irrazionali, che compromettono il nostro breve periodo, compromettendo anche il lungo periodo. Perché se adesso mi arriva, grazie alla solerzia dei miei collaboratori, un'agenzia che dice che, secondo l'Unione Europea, arriveremo al 132% del debito/pil (vediamo, perché anche le previsioni, come le agende, sono uno strumento di comunicazione politica, in senso alto - non voglio fare una critica), io non posso non ricordare che eravamo scesi sotto il 100 (nessuno se ne era accorto perché la contabilità nazionale venne riformata due anni dopo che noi potessimo argomentare di essere scesi sotto al 100) e siamo tornati sopra il 130 per come la crisi è stata gestita.
Quindi, nel prendere le responsabilità della parte nella quale ho deciso di militare, per quello che succederà da qui in avanti, vorrei però che non ci dimenticassimo che, se noi siamo qui, un motivo c'è. E il motivo non è solo la crisi. La crisi, se gestita bene, non sarebbe bastata. Penso di avervi detto tutto quello che volevo dirvi, c'è la domanda politica: volete mettere in costituzione questa o quell'altra cosa? In realtà, se proprio dovessi esprimermi su questo punto, lo farei a titolo personale, e vi direi che, a titolo personale, prima di mettere qualcosa in costituzione vorrei togliere qualcosa che ci è stato messo con il solito meccanismo delle condizioni di necessità ed urgenza gestite o create ad arte. Cioè vorrei togliere il pareggio di bilancio. Perché per fare queste cose ambiziose, che qui ci poniamo come obiettivo e che sono in massima parte condivisibili, occorre un ruolo dello Stato attivo, interventista. Occorre anche ragionare a mente fredda e con scientificità sulla retorica delle generazioni future, intese come quelle alle quali noi lasceremmo in eredità il debito. Pensando di non lasciargli in eredità il debito, gli abbiamo lasciato in eredità un'altra cosa. Io potrei dire a chi mi ha preceduto: potevate scegliere se lasciare alle generazioni future il debito o la povertà, avete rifiutato di lasciargli il debito, gli avete lasciato il debito e la povertà (parafrasando uno statista col quale ho solo in comune un pessimo carattere).
Ecco, ragionamo seriamente su come uno Stato debba recuperare dei gradi di libertà nella sua azione, perché altrimenti su questi temi si possono fare proclami, si possono fare modifiche della Costituzione, ha sicuramente senso promuovere un dibattito a quel livello, ma se manca la volontà dello Stato di intervenire, finanziando progetti di simile respiro, ho come la sensazione che ci si avvii ad un'altra realizzazione parziale di obiettivi che invece sicuramente meritano tutti la nostra massima attenzione e il nostro massimo impegno. Io vi saluto perché devo accogliere il ministro Tria, che prima conoscevo da collega e adesso conosco da figura istituzionale, spero di non avervi annoiato troppo, spero di non aver troppo deluso Enrico, con il mio scetticismo da keynesiano vecchia maniera, e spero anche di aver risposto alle domande del cortese moderatore."
Moderatore: "Ha sviluppato il suo ragionamento in modo molto coerente e teso, direbbe qualcuno."
"La ringrazio per la definizione, grazie, perdonatemi veramente. Visto che prima si parlava di bambini, questa audizione è stata un parto perché il ministro è molto impegnato. Apro e chiudo una parentesi, per dire qui una cosa che dirò dopo, noi abbiamo voluto fare la razionalizzazione e avere un ministero dell'economia, poi abbiamo una commissione bilancio e una commissione finanze. Ora se noi avessimo quattro ministeri, com'era quando eravamo giovani, avremmo un'interlocuzione più fluida con il governo, in re ipsa. Queste cose certe volte non ci si pensa, quando si fanno gli interventi di riforma e razionalizzazione. Tipo sopprimere questo, sopprimere quello, adesso non parlo se no poi sembra che voglia parlar male degli assenti. Grazie ancora per l'attenzione, scusatemi."
venerdì 12 aprile 2019
NPE: Non Performing Europe
(...mentre nel Kindergarten di Twitter prosegue l'eccidio dei Kindersoldaten nazional-liberisti, con punte di comicità involontaria che stanno rendendo la mia timeline addictive per molti di voi - qui una chicca per intenditori - la vita va avanti, ma il mondo va, ancora per un po', indietro, o almeno ci prova. L'impostazione totalmente sbilenca della politica europea in campo finanziario, tutta incentrata sulla riduzione del rischio delle nostre sofferenze - che abbiamo già ridotto senza l'aiuto di nessuno - prima della condivisione del rischio dei loro derivati - che preferiremmo lasciare in capo a chi ci ha mostrato tanta solidarietà! - ha partorito un altro mostro, la COM(2018) 135 final, della cui tossicità si sono accorti - tardi - in tanti. Qui trovate l'iter legislativo in Europa e qui il testo. Il documento in questione era stato trasmesso ai sensi dell'art. 6(1) della L. 234/2012 alla Commissione che mi onoro di presiedere, che doveva quindi esprimere un atto di indirizzo al Governo ai sensi dell'art. 7(1) della stessa legge. Questo tipo di atti è disciplinato dal Capo XVIII del Regolamento del Senato "Delle procedure di collegamento con l'Unione Europea", dove in particolare suggerisco la lettura dell'art. 144(6):
A conclusione dell'esame delle materie di cui ai commi precedenti, le Commissioni possono votare risoluzioni volte ad indicare i princìpi e le linee che debbono caratterizzare la politica italiana nei confronti dell'attività preparatoria all'emanazione di atti dell'Unione europea, esprimendosi sugli indirizzi generali manifestati dal Governo su ciascuna politica dell'Unione europea, sui gruppi di atti normativi in via di emanazione riguardanti la stessa materia, oppure sui singoli atti normativi di particolare rilievo di politica generale.
Il regolamento lascia un margine piuttosto ampio, consentendo di formulare princìpi e linee di indirizzo anche su indirizzi generale del Governo, e il Governo, ai sensi dell'art. 7(1) della L. 234/2012 è tenuto a osservare l'indirizzo espresso dal Parlamento, e, se non lo fa, è tenuto a spiegare perché non lo ha fatto, ai sensi dell'art. 7(2). Naturalmente questa è la teoria. Ma non esprimere alcun indirizzo significa non creare un presupposto essenziale perché questa teoria venga tradotta in pratica, laddove lo si ritenga necessario. Per esempio, sarebbe interessante andare a vedere se e che cosa disse la Commissione VI del Senato quando le passò per le mani il bail in. Quello che sto cercando di evitare, nel mio piccolo, è che il Governo vada in "Europa" senza un indirizzo parlamentare cui attenersi, perché questa prassi crea il rischio di spiacevoli equivoci e la certezza di non potersene nemmeno lamentare (oltre che di non potervi porre rimedio). La Commissione che mi onoro di presiedere, dopo un esame approfondito, ha ritenuto di esprimersi all'unanimità - nota bene - nel modo che qui vi riporto. Aggiungo al testo alcuni collegamenti ipertestuali che la necessaria formalità degli atti parlamentari mi ha impedito di inserire a corredo della risoluzione, della quale ero il relatore - cioè quello che l'ha scritta. Molti di questi collegamenti, è utile che lo sappiate, mi vengono da voi. Lo scambio fra me e la mia community, cioè voi, continua. Io non ho solo due occhi: grazie a voi ho gli occhi di Argo e le orecchie di Dioniso, e se non sono ovunque, sono però sufficientemente quasi ovunque. Ma non ditelo a nessuno...)
(...il settimo impegno, cioè la richiesta di effettuare il recepimento con apposito disegno di legge, potrebbe sembrarvi un po' oscuro e in effetti è una première: nessuno aveva mai chiesto una cosa simile. Il recepimento delle direttive è normato dall'art. 29 della L. 234/2012, il quale prevede che:
il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, entro il 28 febbraio di ogni anno presenta alle Camere, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un disegno di legge recante il titolo: «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea», completato dall'indicazione: «Legge di delegazione europea» seguita dall'anno di riferimento, e recante i contenuti di cui all'articolo 30, comma 2,
ovvero:
a) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei;
b) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformita' dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;
c) disposizioni che autorizzano il Governo a recepire in via regolamentare le direttive, sulla base di quanto previsto dall'articolo 35;
d) delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea, secondo quanto disposto dall'articolo 33;
e) delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente applicabili contenute in regolamenti europei;
f) disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni dell'Unione europea recepite dalle regioni e dalle province autonome;
g) disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
h) disposizioni che, nell'ambito del conferimento della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome.
La legge di delegazione quindi è un immenso omnibus, del quale si deve far carico la Commissione XIV in quanto Commissione di merito, coinvolgendo le altre Commissioni con funzione meramente consultiva. Si registra quindi un simpatico paradosso: mentre da un lato il Capo dello Stato esorta le Camere a non trasformare ogni decreto in un omnibus - e per questo ha tutta la mia gratitudine, in quanto da Presidente di Commissione trovo molto più facile gestire decreti in cui la specificità del contenuto consenta di applicare criteri di ammissibilità stringenti (cioè di tener fuori gli emendamenti che non c'entrano nulla, il che è ovviamente impossibile se nel decreto è stato messo di tutto!) - dall'altro l'80% della nostra produzione legislativa, che per forza di cose è di matrice europea, viene recepita con un gigantesco, magmatico, illeggibile omnibus nel quale si delega il Governo a fare di tutto! Bello, vero? Lo sapevate? Io no!
Naturalmente sarebbe delirante un sistema che funzionasse così, e infatti in teoria il sistema non funziona così: le Commissioni di merito (ad esempio, in materia di banche la VI) avrebbero uno strumento per esaminare in dettaglio il recepimento di atti di particolare importanza (l'art. 38 della L. 234/2012), ma in sette anni nessuno ha mai chiesto di farlo - come, del resto, nessuno aveva mai audito un ministro a margine di un Consiglio dell'Unione Europea. Questi sono due chiari esempi di cosa sia stato l'europeismo liturgico e di quanti danni ci abbia fatto. La logica era: "Noi italiani siamo merda, se qualcosa viene da lì sarà sicuramente migliore di come l'avremmo fatta noi, e quindi chi se ne frega di come lo hanno fatto: prendiamocelo e pensiamo ad altro!" Una logica che non ha funzionato benissimo, anche perché l'Europa non ha funzionato benissimo, è non performing, è in sofferenza, per motivi che voi conoscete da tempo, e che io ho ricordato ieri a questa tavola rotonda, dal minuto 26:
...un intervento non esattamente liturgico, che spero sia stato compreso. Se poi sia stato condiviso o meno, devo dirvelo, non mi interessa molto. In questo blog non ho mai cercato il vostro consenso, né lo cerco da politico. Purtroppo per tutti noi la Storia ci sta dando ragione e non vedo molti argomenti da opporre ai tre che ho enunciato nei minuti che mi sono stati dati:
1) un progetto la cui forza è la creazione di un mercato unico si indebolisce nel momento in cui pratica una politica mercantilistica di prevalente affidamento alla domanda estera (ma del resto, e questo non l'ho detto, è costretta a fare così se motivi di coesione del sistema costringono a mantenere il tasso di cambio della moneta unica sottovalutato);
2) un progetto che si basa su un forte richiamo etico alle regole perde credibilità se le regole vengono cambiate ogni volta che fa comodo al più forte;
3) un progetto che esclude l'intervento pubblico dal settore finanziario per evitare problemi di moral hazard, e propugna soluzioni di mercato sotto forma di fusioni, conduce a banche too big to fail, riproponendo il problema di moral hazard su una scala più grande.
Tre proposizioni semplici, dirette, incontrovertibili.
Questa è la NPE, cioè la NPEU: Non Performing European Union. E questo è un post su come si lotta sfruttando la forza dell'avversario: con molto studio e molta tenacia. Si lotterà meglio quando, dopo il 26 maggio, avrete dato un po' più di forza a noi: cartolarizzate il vostro dissenso nella scheda elettorale, e lo veicoleremo dove saranno costretti ad ascoltarlo...)
A conclusione dell'esame delle materie di cui ai commi precedenti, le Commissioni possono votare risoluzioni volte ad indicare i princìpi e le linee che debbono caratterizzare la politica italiana nei confronti dell'attività preparatoria all'emanazione di atti dell'Unione europea, esprimendosi sugli indirizzi generali manifestati dal Governo su ciascuna politica dell'Unione europea, sui gruppi di atti normativi in via di emanazione riguardanti la stessa materia, oppure sui singoli atti normativi di particolare rilievo di politica generale.
Il regolamento lascia un margine piuttosto ampio, consentendo di formulare princìpi e linee di indirizzo anche su indirizzi generale del Governo, e il Governo, ai sensi dell'art. 7(1) della L. 234/2012 è tenuto a osservare l'indirizzo espresso dal Parlamento, e, se non lo fa, è tenuto a spiegare perché non lo ha fatto, ai sensi dell'art. 7(2). Naturalmente questa è la teoria. Ma non esprimere alcun indirizzo significa non creare un presupposto essenziale perché questa teoria venga tradotta in pratica, laddove lo si ritenga necessario. Per esempio, sarebbe interessante andare a vedere se e che cosa disse la Commissione VI del Senato quando le passò per le mani il bail in. Quello che sto cercando di evitare, nel mio piccolo, è che il Governo vada in "Europa" senza un indirizzo parlamentare cui attenersi, perché questa prassi crea il rischio di spiacevoli equivoci e la certezza di non potersene nemmeno lamentare (oltre che di non potervi porre rimedio). La Commissione che mi onoro di presiedere, dopo un esame approfondito, ha ritenuto di esprimersi all'unanimità - nota bene - nel modo che qui vi riporto. Aggiungo al testo alcuni collegamenti ipertestuali che la necessaria formalità degli atti parlamentari mi ha impedito di inserire a corredo della risoluzione, della quale ero il relatore - cioè quello che l'ha scritta. Molti di questi collegamenti, è utile che lo sappiate, mi vengono da voi. Lo scambio fra me e la mia community, cioè voi, continua. Io non ho solo due occhi: grazie a voi ho gli occhi di Argo e le orecchie di Dioniso, e se non sono ovunque, sono però sufficientemente quasi ovunque. Ma non ditelo a nessuno...)
Legislatura
18ª - 6ª Commissione permanente - Resoconto sommario n. 104 del 11/04/2019
RISOLUZIONE APPROVATA DALLA
COMMISSIONE SUL DOCUMENTO DELL'UNIONE EUROPEA N. COM (2018) 135 DEFINITIVO (Doc.
XVIII, n. 14)
La Commissione Finanze e tesoro, esaminato l'atto in
titolo, considerato che:
a)
la proposta di
direttiva si propone di "incoraggiare lo sviluppo di mercati secondari dei
crediti deteriorati nell’Unione eliminando gli ostacoli al trasferimento
dei crediti deteriorati da parte
di enti creditizi a enti non creditizi, garantendo al tempo stesso la tutela
dei diritti dei consumatori", obiettivo da realizzare fra l’altro (i)
armonizzando la normativa in materia di acquisizione e gestione dei
crediti, allo scopo in particolare di
promuovere la dimensione transfrontaliera di queste attività; (ii) definendo
una procedura comune accelerata di escussione extragiudiziale delle garanzie,
con l’intento in particolare di uniformare fra gli Stati membri i tassi di recupero
delle esposizioni deteriorate,
sulla base del presupposto che diversi tassi di recupero
possano incidere sui costi di finanziamento e quindi falsino la concorrenza fra
imprese sul Mercato Unico;
b)
l’intervento si
colloca nel quadro del "Piano di azione per affrontare la questione dei
crediti deteriorati in Europa" approvato dal consiglio ECOFIN dell’11
luglio 2017 e comunicato con la "Comunicazione al Parlamento europeo, al
Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo
a al Comitato delle regioni sul completamento dell’Unione bancaria" (COM (2017)592 final dell’11 ottobre 2017). Più
specificamente, la proposta di direttiva interviene sui punti (ii)
"riforma della disciplina in
materia di [...] recupero dei crediti" e (iii) "sviluppo di mercati
secondari delle attività deteriorate" del piano di azione;
c)
alla fine di gennaio
2019 il Presidente della Commissione ECON del Parlamento europeo è stato
informato dalla Commissione europea del mancato accordo politico sul Titolo V
"Escussione extragiudiziale accelerata delle garanzie" in sede di
Consiglio Economia. Il presidente della Commissione ECON ha sottoposto la
questione ai coordinatori dei Gruppi politici, che a inizio febbraio hanno
deciso a maggioranza di procedere scorporando il Titolo V dalla proposta di
direttiva. Il Parlamento ha informato le altre Istituzioni di questa scelta e
si è provveduto a modificare la proposta originaria eliminando il Capo V. Il Parlamento europeo ha quindi discusso
solo la parte residua della proposta, quella relativa ad acquirenti e gestori
di crediti, rinviando alla prossima legislatura la discussione sullo strumento
unico di escussione extragiudiziale accelerata;
d)
nel frattempo, il 13
marzo 2019 il Parlamento ha approvato in prima lettura e contestualmente
trasmesso al Consiglio europeo per la definitiva approvazione, nel quadro del
procedimento legislativo ordinario, la proposta
di regolamento del Parlamento europeo
e del Consiglio che modifica
il regolamento 575/2013/UE (Capital Requirements Regulation, CRR)
per quanto riguarda la copertura minima delle perdite su esposizioni
deteriorate (COM(2018)0134), proposta che in particolare introduce il
cosiddetto calendar provisioning,
ovvero uno schema di accantonamenti progressivi di capitale a fronte delle
esposizioni deteriorate, distinto fra esposizioni garantite e non, fino alla
concorrenza del 100 per cento delle esposizioni stesse, il cui scopo dichiarato
è quello di scoraggiare "strategie attendiste" nella gestione delle esposizioni
deteriorate da parte delle aziende di credito;
e)
la proposta di
modifica COM(2018) 134 condiziona
significativamente le strategie
degli operatori nel mercato di cui la
proposta di direttiva COM(2018) 135 si propone di incoraggiare lo sviluppo;
si pongono pertanto due ordini di
problemi: uno relativo al rapporto tra le fonti normative in quanto il
regolamento, direttamente applicabile negli ordinamenti degli Stati membri,
dovrebbe collocarsi a valle di una direttiva che abbia definito gli obiettivi
complessivi che l’Unione si prefigge in
un determinato ambito; l'altro
concerne la coerenza logica in termini più squisitamente economici, in quanto
regole che forzano alla vendita conducono in re ipsa a un cosiddetto
"mercato del compratore", distorcendo al ribasso
i prezzi, in contraddizione con il principale obiettivo esplicito della
proposta di direttiva, quello di favorire un aumento dei prezzi di collocamento
delle esposizioni deteriorate (si veda in particolare il considerando (7) della
proposta), come già osservato nel considerando
(c) della risoluzione approvata dalla Commissione Finanze e tesoro del Senato il 10 dicembre 2018 in merito alla proposta COM(2018) 134, che invitava
altresì a esaminare analiticamente gli effetti di questo approccio duale
sul sistema bancario italiano;
f)
il rischio di dare
vita, anche se come effetto non voluto, ad un "mercato del
compratore" potrebbe riportare all'attenzione il progetto, da più parti
ventilato e comunque meritevole di attenzione, di affidare ad un ente pubblico
l'acquisto e la gestione dei crediti deteriorati, anche in qualità di player non esclusivo del mercato che si
intende creare: in tale prospettiva sarebbe opportuno una discussione
sull'opportunità di lasciare facoltà agli Stati membri di procedere
autonomamente o di inserire tale decisione in un quadro armonizzato europeo,
oppure di creare un soggetto europeo;
g)
a tal riguardo, si
rileva che l’approccio definito nel "Piano di azione" (COM(2017)
592), in corso di realizzazione con i citati interventi successivi, incluso
quello in titolo, si basa sul presupposto che elevati stock di esposizioni deteriorate limitino la capacità del
sistema bancario di
erogare credito, compromettendo
la crescita economica e determinando un contesto particolarmente sfavorevole
alle PMI, che per loro natura fanno
ricorso prevalente al credito
bancario; tuttavia, le
ricerche condotte sull’esperienza italiana da esperti indipendenti e
dalle autorità di vigilanza italiane conducono finora a conclusioni opposte a
questi presupposti: in primo luogo, la capacità di erogare credito non apparesignificativamente correlata al livello delle esposizioni deteriorate, e in
secondo luogo il rallentamento della crescita si presenta come causa, non effetto,
dell’aumento dello stock di
esposizioni deteriorate. Sulla
base delle ricerche citate, la Commissione sottolinea che
non esiste alcun
modello economico teorico che
stabilisca un legame causale diretto fra il volume di queste esposizioni e l’allocazione del credito, mentre sul piano empirico le
correlazioni osservate nel mercato italiano appaiono viziate da un problema di
identificazione (cioè non denotano un nesso causale), in quanto l’aumento delle
esposizioni deteriorate, e la riduzione dell’offerta di credito, sonoprecedute logicamente e temporalmente da una causa comune;
h)
inoltre, l’enfasi
sulla necessità di uno smaltimento veloce delle esposizioni deteriorate
attraverso cessioni ad acquirenti specializzati si scontra,
nel caso italiano,
con l’evidenza raccolta
dalla Banca d’Italia sui tassi di recupero delle
"sofferenze". Nel 2017, ultimo anno per il quale sono disponibili i
dati, le sofferenze cedute, a un prezzo medio pari al 17 per centodell’esposizione lorda di bilancio, hanno avuto un tasso di recupero del 26 percento, contro il 44 per cento di recupero sulle sofferenze chiuse medianteprocedura ordinaria, per cui l’aumento delle cessioni (76 per cento delle
posizioni chiuse, rispetto al 45 per cento dell’anno precedente) si è tradotto
nell’aggregato in una riduzione del tasso di recupero medio (dal 34 per cento
del 2016 al 30 per cento del 2017). La cessione degli NPL in simili condizioni
genera perdite che superano l’effetto positivo sui rapporti patrimoniali della
riduzione degli attivi ponderati per il rischio, per cui potrebbe essere la
vendita, anziché il livello raggiunto, di esposizioni deteriorate, a indebolire
l’offerta di credito, con pesanti conseguenze sul tessuto imprenditoriale;
i)
la creazione di un
mercato più spesso, liquido, competitivo e trasparente, tramite la promozione
della dimensione transfrontaliera e la rimozione degli ostacoli determinati dai
costi di conformità e da altre disomogeneità normative, dovrebbe appunto
scongiurare simili esiti, favorendo un incremento dei prezzi di cessione;
tuttavia questi effetti astrattamente prefigurati vanno valutati nella concreta
realtà fattuale del mercato italiano, in cui il rapporto fra sofferenze nette eimpieghi totali è sceso nel dicembre 2018 all’1,72 per cento (rispetto al 4,89
per cento del dicembre 2016), con una dinamica rapida e accelerata rispetto al
picco di 88,8 miliardi raggiunto nel novembre 2015, sceso a 29,5 miliardi a
dicembre 2018 (pari a una diminuzione di oltre il 66 per cento). Da un lato una
riduzione così consistente delle sofferenze, avvenuta nel quadro normativo
attuale, rende meno impellenti ulteriori interventi di smaltimento; dall’altro, è lecito dubitare
che la promozione di ulteriori
cessioni (e quindi
di spinte dal lato
dell’offerta), in un contesto caratterizzato da regole distorsive come il calendar provisioning, possa
effettivamente determinare significative pressioni al rialzo dei prezzi delle
esposizioni deteriorate, allineandoli ai tassi di recupero mediante procedure ordinarie;
j)
preso atto che la
Commissione europea non intende dare seguito alla volontà del consiglio di
sorveglianza bancaria della Banca centrale europea di prevedere meccanismi
automatici ex ante di cessione dei
crediti deteriorati, dovendosi ritenere superato l'addendum a suo tempo proposto dal presidente Nouy;
k)
un simile approccio
lascia sullo sfondo la questione, certamente di pari rilevanza e potenziale
gravità, del rischio di mercato assunto da enti creditizi che fanno largo uso
di strumenti non scambiati su mercati regolamentati, ovvero
delle attività di secondo e terzo livello
(secondo la classificazione proposta dallo standard FAS 157), fra cui i cosiddetti derivati
finanziari, la cui valutazione è ancora in larga parte soggetta a procedure
interne delle banche, e quindi è non
sempre immediatamente sottoponibile
a elementi di giudizio in grado di misurarne il valore di mercato né la
potenziale rischiosità. La proposta di direttiva quindi, mentre enfatizza la
necessità di stabilire parità di condizioni di accesso al credito per le
imprese che operano sul mercato interno, non concorre a sanare una rilevante
asimmetria regolamentare che confligge
con l’esigenza fondamentale di assicurare il rispetto della concorrenza;
Alla luce di queste considerazioni, la Commissione
esprime le seguenti osservazioni ai sensi dell’articolo 144, comma 6, del
Regolamento:
1)
si rileva in primo
luogo in termini generali e preliminari che il tema della stabilità
finanziaria, e in particolare quello delle esposizioni deteriorate, non può
essere scisso da quello complessivo della stabilità macroeconomica. Occorre quindi che nelle appropriate sedi
negoziali il Governo ribadisca l’esigenza di rafforzare la funzione di
stabilizzazione macroeconomica a livello europeo. Si sottolinea a questo proposito che la
dialettica fra le funzioni di "convergenza" e "stabilità"
dei nuovi strumenti di bilancio europei può essere fuorviante, in un contestoin cui le regole fiscali si basano su indicatori inerziali come il"prodotto potenziale", che incorpora in modo persistente l’effetto dishock recessivi. In presenza di regole che accentuano questi
effetti di isteresi, non ci può essere un'effettiva convergenza macroeconomica
senza un'efficace funzione di stabilizzazione, poiché solo quest’ultima può
evitare che la risposta asimmetrica a shock macroeconomici allontani i paesi
membri gli uni dagli altri. In riferimento al sistema bancario europeo, tale
sollecitazione si traduce nell'esigenza ineludibile di una visione non
parcellizzata delle questioni in campo, prima fra tutte la contestualità di
misure di condivisione del rischio rispetto a quelle di riduzione, e di
equivalente valutazione del rischio di mercato rispetto a quello di credito.
2)
La decisione del
Parlamento europeo e della Commissione di convergere su un testo che affronta
solo le tematiche di gestione dei crediti deteriorati (soggetti autorizzati e
vigilanza) non appare risolutiva nella logica sistematica che si sollecita.
3)
Appare opportuno
rimettere alla valutazione delle autorità europee la predisposizione di un
terzo strumento normativo nel quale affrontare il tema del veicolo pubblico di
gestione dei crediti deteriorati ceduti dalle
banche.
4)
In tale contesto
occorre ancora valutare, e segnatamente tale sollecitazione investe anche il
governo italiano, l’adeguatezza dei criteri di condotta stabiliti per i gestori
dei crediti e le misure poste a tutela dei prenditori di credito, assicurando
che queste ultime siano rafforzate, per esempio dando la possibilità al
debitore di riacquistare le esposizioni deteriorate, a condizioni che evitino
l’insorgere di problemi di azzardo morale.
5)
Valuti il Governo, anche nelle prossime sedi
di negoziazione e di deliberazione della proposta in titolo, le possibili
conseguenze di misure che potrebbero indurre le banche a liberarsi più
velocemente dei crediti deteriorati cedendoli, a discapito della tutela del
rapporto col creditore, a fronte di un’esperienza storica che rivela come le
procedure di ristrutturazione e gestione interna si siano rivelate spesso più
efficienti in termini di tassi di recupero e più idonee a mantenere il valore
del credito.
6)
Valuti il Governo la necessità di richiedere
in sede europea un'adeguata valutazione dell’impatto di questo apparato
normativo sui debitori, con particolare riguardo alle dinamiche del mercato immobiliare.
7)
Per quanto concerne infine le procedure
interne di recepimento della direttiva, data la particolare importanza
politica, economica e sociale della materia da essa affrontata, la Commissione
ritiene opportuno attivare la speciale previsione dell'articolo 38, comma 1,
della legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante "Norme generali sulla
partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e
delle politiche dell’Unione europea", al fine di presentare in sede di
recepimento della proposta di direttiva un apposito disegno di legge in modo da
consentire una particolare compiutezza al lavoro svolto in sede di esame in
fase ascendente e valorizzando la specifica analisi compiuta per elaborare la
presente risoluzione e quella in riferimento all'atto 134.
(...il settimo impegno, cioè la richiesta di effettuare il recepimento con apposito disegno di legge, potrebbe sembrarvi un po' oscuro e in effetti è una première: nessuno aveva mai chiesto una cosa simile. Il recepimento delle direttive è normato dall'art. 29 della L. 234/2012, il quale prevede che:
il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, entro il 28 febbraio di ogni anno presenta alle Camere, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un disegno di legge recante il titolo: «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea», completato dall'indicazione: «Legge di delegazione europea» seguita dall'anno di riferimento, e recante i contenuti di cui all'articolo 30, comma 2,
ovvero:
a) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei;
b) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformita' dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;
c) disposizioni che autorizzano il Governo a recepire in via regolamentare le direttive, sulla base di quanto previsto dall'articolo 35;
d) delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea, secondo quanto disposto dall'articolo 33;
e) delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente applicabili contenute in regolamenti europei;
f) disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni dell'Unione europea recepite dalle regioni e dalle province autonome;
g) disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
h) disposizioni che, nell'ambito del conferimento della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome.
La legge di delegazione quindi è un immenso omnibus, del quale si deve far carico la Commissione XIV in quanto Commissione di merito, coinvolgendo le altre Commissioni con funzione meramente consultiva. Si registra quindi un simpatico paradosso: mentre da un lato il Capo dello Stato esorta le Camere a non trasformare ogni decreto in un omnibus - e per questo ha tutta la mia gratitudine, in quanto da Presidente di Commissione trovo molto più facile gestire decreti in cui la specificità del contenuto consenta di applicare criteri di ammissibilità stringenti (cioè di tener fuori gli emendamenti che non c'entrano nulla, il che è ovviamente impossibile se nel decreto è stato messo di tutto!) - dall'altro l'80% della nostra produzione legislativa, che per forza di cose è di matrice europea, viene recepita con un gigantesco, magmatico, illeggibile omnibus nel quale si delega il Governo a fare di tutto! Bello, vero? Lo sapevate? Io no!
Naturalmente sarebbe delirante un sistema che funzionasse così, e infatti in teoria il sistema non funziona così: le Commissioni di merito (ad esempio, in materia di banche la VI) avrebbero uno strumento per esaminare in dettaglio il recepimento di atti di particolare importanza (l'art. 38 della L. 234/2012), ma in sette anni nessuno ha mai chiesto di farlo - come, del resto, nessuno aveva mai audito un ministro a margine di un Consiglio dell'Unione Europea. Questi sono due chiari esempi di cosa sia stato l'europeismo liturgico e di quanti danni ci abbia fatto. La logica era: "Noi italiani siamo merda, se qualcosa viene da lì sarà sicuramente migliore di come l'avremmo fatta noi, e quindi chi se ne frega di come lo hanno fatto: prendiamocelo e pensiamo ad altro!" Una logica che non ha funzionato benissimo, anche perché l'Europa non ha funzionato benissimo, è non performing, è in sofferenza, per motivi che voi conoscete da tempo, e che io ho ricordato ieri a questa tavola rotonda, dal minuto 26:
...un intervento non esattamente liturgico, che spero sia stato compreso. Se poi sia stato condiviso o meno, devo dirvelo, non mi interessa molto. In questo blog non ho mai cercato il vostro consenso, né lo cerco da politico. Purtroppo per tutti noi la Storia ci sta dando ragione e non vedo molti argomenti da opporre ai tre che ho enunciato nei minuti che mi sono stati dati:
1) un progetto la cui forza è la creazione di un mercato unico si indebolisce nel momento in cui pratica una politica mercantilistica di prevalente affidamento alla domanda estera (ma del resto, e questo non l'ho detto, è costretta a fare così se motivi di coesione del sistema costringono a mantenere il tasso di cambio della moneta unica sottovalutato);
2) un progetto che si basa su un forte richiamo etico alle regole perde credibilità se le regole vengono cambiate ogni volta che fa comodo al più forte;
3) un progetto che esclude l'intervento pubblico dal settore finanziario per evitare problemi di moral hazard, e propugna soluzioni di mercato sotto forma di fusioni, conduce a banche too big to fail, riproponendo il problema di moral hazard su una scala più grande.
Tre proposizioni semplici, dirette, incontrovertibili.
Questa è la NPE, cioè la NPEU: Non Performing European Union. E questo è un post su come si lotta sfruttando la forza dell'avversario: con molto studio e molta tenacia. Si lotterà meglio quando, dopo il 26 maggio, avrete dato un po' più di forza a noi: cartolarizzate il vostro dissenso nella scheda elettorale, e lo veicoleremo dove saranno costretti ad ascoltarlo...)