(...chiudiamo l'anno con questo contributo di un nostro nuovo amico...)
Michael Schotensack ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "L'intervista":
Gentile professore, qualche giorno fa ho inviato un commento non pubblicato. Non so se perché era critico o perché x mancanza di know-how è partito anonimo o si è perso da qualche parte nell'etere. Ci riprovo:
Sono grato e ammirato per il lavoro che sta facendo per stimolare una riflessione che vada oltre Striscia la Notizia o il pensiero unico.
Essendo tedesco capirà forse che trovo difficile da digerire e incompatibile con il livello della discussione i repentini attacchi di razzismo ai quali è soggetto (cyclon b e simili). Inoltre il mio livello di expertise in economia è dilettantistico, si tratta quindi del punto di vista di un "uomo della strada".
In sintesi trovo indegno di un grande paese come l'Italia continuare a puntare il dito contro la Germania come causa di tutti i propri guai.
Non è, direi, colpa della Germania se i trattati europei, pur essendo in contrasto con la Costituzione di questo paese, siano stati firmati, accettati all'unanimità dal parlamento, senza, mi pare, contestazioni da parte di chi è deputato a vigilare il rispetto della Costituzione.
Non è colpa della Germania se nell'81 i "grandi statisti" Andreatta e Ciampi hanno perpetrato un colpo di stato senza incontrare alcun'opposizione, soprattutto a sinistra. Non è colpa della Germania se in Italia si utilizza soltanto una minima fetta dei fondi europei, e quella per di più male (per non parlare delle solite cose di mafia, sprechi, corruzione e un livello alto di disonestà - vedi ultimamente le casette per i terremotati).
Ha del patetico lamentarsi che la Germania esporti troppo quando il ministro del lavoro (sì, del LAVORO!)si fa scarrozzare in BMW, Berlusconi gira in Audi, Visco in Mercedes, la polizia italiana più che altro in Skoda e BMW, ecc,ecc. Anche la Deutsche Bank mi pare abbia una serie di sportelli che funzionano in questo paese. Non è colpa della Germania se l'Italia esprime una classe politica inetta e senza fierezza, non è colpa della Germania se nessun partito politico al governo ha le palle per stampare biglietti di stato per la ricostruzione post catastrofe o semplicemente per rilanciare l'economia domestica (cosa secondo Galloni e Contini assolutamente compatibile con i trattati senza bisogno di uscire dall'€), invece di piangere per la rubata sovranità monetaria (per non parlare delle possibilità date in questo senso dal lancio di una cryptovaluta, se si superano i problemi energetici). Infine non capisco dove sta scritto che gli italiani debbano fare o subire tutto ciò che viene in mente ai tedeschi! È o non è un paese sovrano?
Con tutto ciò ovviamente non voglio dire con la solita arroganza tedesca che da noi tutto vada bene, che abbiamo il monopolio della verità (anche se spesso siamo convinti del contrario), sono anche consapevole dei vari scandali Siemens, Volkswagen ecc.
Mi sembra semplicemente un enorme peccato che l'eventuale arroganza tedesca non incontri nessuna resistenza seria. Anche questo vuol dire colludere con un europa deludente, anche questo vuol dire non dare il proprio contributo, morale soprattutto.
Postato da Michael Schotensack in Goofynomics alle 27 dicembre 2017 20:17
Caro Michael,
passato l'iniziale urto di nervi per il tuo piagnisteo sul non esser stato pubblicato (non ci sono più i tedeschi di una volta!), ecco che finalmente posso dedicare un po' di tempo alla tua lettera, della quale ti sono grato perché mi permette di chiarire la mia posizione (che è quella di molti altri lettori del blog), e anche di legare in un ragionamento coerente una serie di contributi sparsi nel flusso di questo blog, operazione particolarmente salutare a fine anno.
Comincio col rassicurarti: il tuo primo commento, qui, non è mai arrivato. Temo che tu abbia fatto qualche errore nell'inviarlo, una eventualità che tu stesso con molta onestà consideri e che un italiano "medio" (o mediocre, come un qualsiasi giornalista) escluderebbe a priori. "Come!" (direbbe il mediocre: ce ne sono ovunque, anche qui, come tu ci ricordi con solidarietà) "Un tedesco, un figlio di quel popolo che ha fatto della precisione (ma gli orologi sono svizzeri, Ndr) e della tecnologia (ma la VolksWagen è tedesca, come tu stesso ammetti) un vanto, avrebbe commesso un errore nell'effettuare un compito tanto banale quanto inviare un commento a un blog! Questo non è possibile! In Germania i treni arrivano in orario (ma gli aeroporti no, Ndr), quindi se il commento non è stato pubblicato, vuol dire solo che Bagnai censura perché ha paura del confronto!"
(...nota che ti ho messo un link in tedesco perché io, che sono ingenuo, do per scontato che tu sia quello che dici, cioè tedesco, nel qual caso sei molto colto perché la tua lettera è scritta molto bene, e anche anziano, perché nella tua lettera c'è memoria, e una certa saggezza - ovviamente, pro domo tua, il che non è un male, anzi...)
Noi, qui, abbiamo fatto opera di verità, e siamo quindi stati i primi a dire due cose che oggi tutti ammettono (almeno nella letteratura scientifica, e sui giornali tedeschi: quelli italiani no per i motivi che anche tu stigmatizzi): ovvero che il relativo successo tedesco non era dovuto a una strategia di politica industriale basata su importanti investimenti in infrastrutture e ricerca e sviluppo (qui è un esempio di dove lo dicevo io, qui un esempio di dove lo dite voi, e qui un esempio di dove lo dicono i nostri padroni: nostri: miei e tuoi... Per inciso: il problema era chiaro a voi prima che a tutti gli altri, come le date dei link dimostrano), ma piuttosto a una suicida politica di "moderazione" salariale (ne parlo più avanti).
Anche tu (lo dico con simpatia), in coerenza con la non-politica industriale del tuo paese hai inviato il tuo primo commento prima di investire in conoscenza: e così è andato perso. Poi, però, in coerenza con una qualità del tuo popolo, alla quale cerco di ispirarmi, la tenacia, hai insistito: ed eccoti qui, in prima pagina!
Ho poco tempo: mi attende una serata piddina (forse non sai di cosa si tratti, i miei lettori lo sanno e mi piangono), e quindi non potrò dar corso a tutti gli stimoli che la tua lettera propone (ma se vorrai ci sarà un seguito). Parto da due presupposti metodologici: uno riguarda la Germania, e uno riguarda l'Europa.
Mi rendo conto che il mio modo un po' brusco di ricordare un certo passato possa essere urticante per un tedesco e mi dispiace. D'altra parte, credo che l'alternativa, cioè dimenticarselo, non sia molto valida. In questo momento abbiamo molto bisogno di memoria: una pessima memoria è meglio di nessuna memoria, proprio perché il potere insiste nel cercare di convincerci che "questa volta è diverso". La Bayer, nella sua lunga storia, non ha prodotto solo insetticidi, o, per meglio dire: i suoi prodotti non sempre sono stati destinati all'uso per il quale erano stati concepiti. Ricordarlo può essere inopportuno, ma non è razzismo. Peraltro, la storia italiana non è molto più gloriosa. Ma l'esercizio della conta dei morti a me non interessa, lo trovo squallidamente disumano. Il punto è che dobbiamo convivere, io e te, col fatto che né la nostra, né la vostra storia è stata scritta da noi, per il semplice fatto che i nostri paesi hanno perso una guerra, per essere subito dopo coinvolti in un'altra, "vinta" nel 1989. Quello che però vorrei ti fosse chiaro è che io non sono animato da un pregiudizio antitedesco. Tutt'altro! Leggi, leggi questa pagina, dove presentavo ai miei lettori (che sono un po' ruspanti, ma brave persone, in fondo), una grande pagina della nostra (mia e tua, dal 2013 anche loro) letteratura, una pagina mirabile sulla libertà di Dio, una pagina che utilizzo ogni giorno della mia vita, e nel farlo dicevo come sarebbe andata a finire (e in questi giorni abbiamo visto quanto avessi ahimè ragione). Quella pagina io l'ho scritta quattro anni fa: sono quattro anni, quattro fottuti anni, capisci, che sto dicendo che gli "europeisti" italiani, quelli che, come tu giustamente appunti, ci hanno condotto in Europa senza leggere (o facendo finta di non saper leggere) i Trattati, avrebbero rinnegato le loro responsabilità nella catastrofe che hanno concorso a preparare accusando voi, i tedeschi, di aver "tradito" un'idea tanto bella, che era bella perché, guarda un po', l'avevano avuta loro (i padri nobili italiani).
Io sono l'unico italiano ad aver chiarito ai suoi concittadini che la via di fuga degli "europeisti" sarebbe stato il fomentare un pericoloso sentimento antigermanico, e qui, su questo blog, che tu lo sappia (o lo capisca) o meno, ho cercato di fare una difficile, ma in alcuni casi proficua, opera di mediazione culturale per convincere i miei lettori, e gli italiani tutti, di quanto sbagliata fosse questa operazione.
Tuttavia, caro Michael, anche dando per scontato che tu, razionalmente, capisca e condivida questo mio sforzo nello smascherare le distruttive strategie delle nostre élite, devo dirti, con molto rispetto, che almeno sotto un profilo non sei molto migliore di loro. Perché, vedi, in fondo il tuo approccio è speculare e antisimmetrico al loro: anche tu sostieni che gli italiani dovrebbero opporsi all'arroganza tedesca, e questo, se non capisco male, per rendere l'Europa (che tu scrivi con la minuscola: ipercorrettivismo, o lapsus? Ma Freud era austriaco...) meno "deludente". Insomma: anche per te l'"Europa", cioè l'Unione Europea (che non è l'Europa: l'Europa siamo io e te, e poche altre persone), sarebbe un progetto valido, che però è reso deludente non (solo) perché i tedeschi sono arroganti, ma soprattutto perché gli italiani non si oppongono.
Ora, tu dai prova di un certo senno e di una certa sensibilità. Non ti viene quindi da ridere, rileggendo la tua lettera, che comincia accusandomi di razzismo (e quindi di fomentare con argomenti particolarmente inappropriati un conflitto fra le nostre culture), e termina sostenendo che la colpa è nostra perché... non vi combattiamo abbastanza!? Cosa può andare storto in un progetto comune che va male non perché i suoi partecipanti non cooperano abbastanza, ma perché non ci combattono abbastanza?
Vedi, tu naturalmente metti le mani avanti, dici, con umiltà (o con modestia, che non sono la stessa cosa), di non intendertene di economia, ecc. I soliti disclaimer che (perdonami) ho ascoltato mille volte, e sempre in contesti che mi hanno fatto dubitare della loro sincerità (ma tu sarai senz'altro sincero, ce lo dirà il seguito del dialogo, se ci sarà). Io però ti ho appena fatto capire quello che tu stesso ci hai detto, forse senza una completa Bewusstsein: non c'è alcun bisogno di accedere alla tecnica economica per capire che questo progetto non funziona e non può funzionare. La sua irrazionalità, quella di essere un progetto che per funzionare deve fomentare il conflitto, non dipende, in prima istanza, dall'arroganza tedesca, o dalla vigliaccheria italiana: non sono le qualità morali dei nostri popoli, che fra l'altro differiscono meno di quanto si creda (il che mi permette di essere sufficientemente a mio agio in Germania) a costituire il problema. Il problema è altrove: nelle intenzioni politiche, che sono state, come i miei lettori sanno, in primo luogo intenzioni classiste. L'euro è un episodio particolarmente acuto di lotta di classe, una cosa scoperta, pensa un po', da un tedesco (anche lui ebreo, guarda tu...). La sua natura è quella di imporre come unica valvola di aggiustamento macroeconomico il taglio dei salari (questo gli economisti lo sapevano e fin dall'inizio feci vedere che ne erano perfettamente coscienti), creando, fra l'altro, le condizioni politiche perché questa scelta politica si presenti come ineluttabile, come dato di natura (e di questo ho parlato tante volte, ma più organicamente qui).
Ora, tu ci racconti una Germania arrogante perché vincitrice e vincitrice perché arrogante.
Ma se tu fossi un vincitore, non perderesti tempo con me. La verità è che la Germania non esiste, come non esiste l'Europa. O, per meglio dire: non esistono la Germania e l'Europa della quale tu parli nella tua lettera. L'Europa esiste, ed è ormai confinata in questo blog e in poche altre sacche di resistenza: è memoria e esercizio del nostro patrimonio culturale, della nostra identità condivisa, della nostra feconda diversità. Insomma, è una cosa così (dove, per inciso, mi occupavo di uno che come te, e per i tuoi stessi motivi, mi aveva dato del razzista: perché non lo ero abbastanza col mio popolo). Non è l'Unione Europea, progetto fallimentare e nazista condannato dagli uomini e dalla storia. La Germania, qui, abbiamo imparato che non esiste. Non c'è una signora bionda, con l'elmo, che mangia crauti, produce macchine, e pensa solo a fottere il vicino. Ci sono tanti attori sociali, tanti interessi, tante aspirazioni, e tante classi sociali, che cercano, faticosamente, un equilibrio, una convivenza, in un processo faticoso, che i vostri governanti, tanto quanto i nostri, spesso ostacolano più che favorire (guarda ad esempio questo bel risultato!).
Ma il segreto dell'Unione Europea, il più accuratamente nascosto da quelle autentiche merde (perdona la caduta di stile, tu che sei così sensibile: è un giudizio statistico, ammette un 5% di eccezioni) che sono i nostri giornalisti (ma anche i vostri non scherzano: magari un giorno ci faremo spiegare da voi come risolvere il problema), il segreto più tremendo dell'Unione, perché se rivelato sarebbe più distruttivo, è che il paese vincitore, lungi dall'essere un monolite, è profondamente lacerato e pieno di perdenti, e lo è per il semplice motivo che in assenza di investimenti (vedi sopra), la superiorità competitiva è stata raggiunta distruggendo diritti e salari dei lavoratori. Io, questo, lo dico nel mio blog da tanti, tanti anni (ad esempio qui), e ne parlavo, con accenti di sincera solidarietà per i lavoratori tedeschi, nel mio primo bestseller (sai, il vantaggio di vivere in un paese di ignoranti è che ci vuole poco a scrivere un bestseller...). Non sai quanti insulti mi sono preso (senza querelare, perché allora non querelavo) da centinaia di persone: tutti italiani! Eppure, oggi quello che dicevo io lo dice, farisaicamente e in ritardo, un tedesco non da poco (per gli addetti ai lavori).
Capisci quindi qual è il problema? Se i nostri governanti hanno firmato i Trattati, un motivo c'è, e ce lo ha spiegato tanto bene Kevin Featherstone (ne parlo nel mio secondo bestseller, se vuoi te lo mando): il loro problema (delle élite italiane, quelle che oggi "i tedeschi sò tanti cattivi, signora mia!") era vincere la lotta di classe in casa loro, creando un sistema che schiacciasse i salari dei loro lavoratori (degli italiani). Non hanno capito una cosa molto semplice: che i lavoratori tedeschi stavano (meritatamente) meglio in termini relativi, e che quindi mettendosi sulla strada della compressione dei salari e della domanda le élite periferiche giocavano a un gioco al quale il paese avrebbe perso: perché un conto è tagliare del 10% un salario tedesco, e un altro conto tagliare della stessa percentuale un salario italiano. A simple as that: come vedi, non c'entra nulla il carattere, la morale, il moralismo: c'entra il perseguire i propri interessi in modo miope, che, se vuoi, è la definizione stessa di politica, in Italia come in Germania (tant'è che ogni tanto il resto del mondo si coalizza contro di voi e vi pialla, cosa della quale non sono particolarmente contento, e che temo presto succederà di nuovo). Naturalmente, il gioco al ribasso è per sua natura un gioco al quale tutti perdono: Armut, Ungleicheit, e fatalmente, se le cose stanno così, e ovvio che si cerchi un'Alternative.
Ai poveri voglio bene, per carità... ma i tedeschi poveri sono più pericolosi di quelli ricchi!
Pensa che di questa semplice verità (impoverire i tedeschi non è una buona idea), che io affermavo anni or sono, perché è banale (tutti gli storici sanno com'è andata), ora i Bocconi boys vengono a parlarci come fosse un parto delle loro geniali menti (ovviamente, mentre i loro sodali negano la correlazione fra voto per AfD e povertà in Germania: vedi a cosa serve la memoria, e quanto ce n'è bisogno?).
Tutto il resto sono dettagli. Certo che alla fine, prima o dopo l'esplosione inevitabile di questo sistema irrazionale, dovremo anche disobbedire alle norme dei Trattati. Tutte le opzioni che ci proponi per "opporci" sono in effetti violazioni dei Trattati: lo è stampare la propria moneta, lo è non indire un bando europeo per una fornitura pubblica, ecc. Non lo sapevi? Ma il vero problema è: possiamo continuare a vivere in un sistema nel quale il nostro unico orizzonte politico è lottare con i nostri alleati più ferocemente che con i nostri pretesi nemici (la Cina, la Russia, ecc.)?
E la risposta è ovvia, ed è: nein.
Ecco: questo è il primo cortese ma fermo nein che un tedesco sente da un italiano in tanti anni. Se capiterà, se la mia vita me ne darà l'opportunità, ne andrò a dire qualcun altro a qualche tedesco più importante di te e di me. Ma non lo dirò per "salvare" un progetto "deludente". Lo dirò per terminare un accordo irrazionale. Sono due cose diverse, e spero che questa breve chiacchierata ti abbia dato qualche elemento per valutare apprezzare la differenza.
E ora, buon anno, e buona fortuna. Io abito Roma, e a Roma è andata meglio che a Dresda. So che sono inopportuno a ricordarlo, ma alla fine il problema resta sempre quello: per un italiano allearsi con un tedesco significa essere costretti a fare la guerra agli americani (se ne parlava poco fa). Anche questo non è molto razionale: il minimo che si possa dire è che non ha funzionato. Spero che questa volta non si arrivi a tanto, e, ne sono sicuro, tu lo speri più di me.
L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
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domenica 31 dicembre 2017
venerdì 29 dicembre 2017
Ad Andrea Mazzalai sul cambio (dei lettori)
Andrea Mazzalai ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "L'euro ci difende dalle guerre valutarie. Svolgime...":
Intervengo solo perché mi è stato segnalato da alcuni lettori... Non credo che Alberto si riferisce al sottoscritto usando la parola cialtrone ricordo solo che post Trump il dollaro è passato da 1.13 a 1.03 il che mi scuso con i lettori se non si è trattato della parità esatta! Per il resto la verità è figlia del tempo e in un ambiente così complesso come quello valutario dove si transano più di 4 trilioni di dollari al giorno al sottoscritto interessa più il medio o lungo termine come si comporta il dollaro a fronte di shock finanziari e via dicendo Buina giornata Andrea
Postato da Andrea Mazzalai in Goofynomics alle 29 dicembre 2017 09:55
Caro Andrea,
tu sei del mestiere più di me (non scherzo) e quindi questo te lo ricorderai:
e ovviamente dal layout sai riconoscere di chi è. Mi ci gioco una, anzi, due palle (di biliardo) che ricordi anche questo:
del quale altresì ricorderai l'autore. Ma prima ancora, almeno tu (a differenza di qualche mio e tuo lettore diversamente acuto), ricorderai questo famoso grafico:
Inutile dire che chiunque abbia come noi interesse alle vicende monetarie, anziché a rompere i coglioni, può con una immediata ricerca trovare, che so, questo, e tanto altro.
Insomma: come noi sappiamo, c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Non ho idea del perché i miei lettori ti abbiano chiamato in causa. Può essere che anche tu abbia emesso in un qualche periodo uno scenario nel quale vedevi ulteriori indebolimenti dell'euro, o magari la sua parità col dollaro? Mi sembra che uno dei miei collaboratori me ne abbia parlato verso l'inizio di quest'anno. Non ho avuto tempo di approfondire, e nemmeno di chiedergli come abbia gestito i suoi dollari. Io, se avessi dei soldi, li affiderei a te. Tuttavia, come il mio risicato staff sa, quando mi venne fatto vedere questo grafico fui piuttosto scettico. In effetti, ora siamo a 1.2, non a 1, e quindi ho avuto ragione.
Ci possono essere mille e una ragione per prevedere un indebolimento o un rafforzamento di un valuta, e in assenza di un orizzonte temporale specifico queste previsioni possono sempre essere dichiarate corrette o sbagliate. Anch'io, come te, mi occupo più di medio che di breve periodo, il che mi costringe ad aspettare un po' prima di vedere se le cose sono andate come pensavo dovessero andare. L'atteggiamento scientifico è sempre quello di analizzare gli errori, cosa più immediata se il modello di riferimento è formale (matematico) anziché concettuale (e anche questo lo sappiamo). Le previsioni di Goldman Sachs non solo sono sbagliate, ma rivelano anche un profondo non capire un cazzo di un cazzo di come stanno le cose (a mio sommesso avviso) e questo per un motivo molto semplice: perché se già con un cambio a 1.2 abbiamo le tensioni che abbiamo (surplus estero dell'Eurozona - cioè della Germania - alle stelle, tensioni intrazona determinate dall'insofferenza tedesca verso i bassi tassi che mandano in sofferenza il loro sistema bancario, ecc.: le cose che tu sai e che i cretini farebbero meglio a ripassare, anziché metter zizzania), con un cambio a 1 avrem(m)o (avuto) molte ma molte più tensioni (scegli quali parentesi mettere o togliere).
Lo scenario di Goldman era, io credo, uno scenario politico. Un misto di wishful thinking, probabilmente connesso in modi che non riesco compiutamente ad analizzare all'idea che Trump non ce l'avrebbe fatta. Se ci andiamo proprio con l'accetta, e per semplificare diciamo che Hillary sarebbe stata il presidente di Wall Street (la comunità finanziaria cui il dollaro forte fa comodo perché rafforza la credibilità del sistema e attrae investimenti finanziari esteri), mentre Trump quello di Main Street (l'economia reale, cui un dollaro debole fa comodo per rilanciare le esportazioni), possiamo in effetti leggere la previsione errata di G&S come un pio desiderio.
Ma i sogni non si avverano, soprattutto quando di mezzo c'è l'Europa. Gli Usa hanno, nei fatti, scelto un diverso percorso di sviluppo. Dopo il deterioramento dei conti esteri subito a causa della svalutazione dell'euro:
(lo si vede bene qui dal 2014 al 2016) hanno deciso di concedersi il sottile piacere di rendere la pariglia. L'amore non è bello se non è litigarello.
Come finirà non lo so, ma so che lo vedremo. Molto probabilmente, non finirà. Non esiste, secondo me, un mondo in cui un paese con un surplus di 400 miliardi di dollari possa svalutare moltissimo, soprattutto se un paese più cazzuto di lui ha bisogno di riprendere a crescere sul serio prima che sia troppo tardi (ed è già troppo tardi: tu lo sai meglio di me). Questo dilemma si può risolvere in due modi: o si rinuncia alla quotazione (cioè il cambio non va a 1) o si rinuncia al paese (cioè l'eurozona esplode). Resta inteso che questa valutazione molto schematica è venduta as is, ovvero rebus sic stantibus. Esistono mille e uno elementi più o meno utopistici che potrebbero compensare le tensioni create da un cambio totalmente disallineato rispetto ai fondamentali del paese egemone: quest'ultimo potrebbe decidere di sostenere gli altri paesi membri (#DAR), oppure una vigorosa (#DAR) crescita proveniente dal resto del mondo potrebbe dare ossigeno a tutti (ma ne darebbe sempre di più a chi ha la testa fuori dall'acqua), oppure 6 miliardi di esseri umani potrebbero impazzire e cominciare a considerare la valuta un bene di Giffen... la fantasia è l'unica cosa, ma proprio l'unica, che non deve avere confini!
Però, allo stato attuale, mi viene da dire che se alla GS avessero letto gli stessi libri di macroeconomia che ho letto io... avrebbero fatto le stesse previsioni ridicole che hanno fatto loro, perché le loro non erano previsioni: erano un programma politico!
Eh già: loro possono permetterselo!
Noi no.
C'è però un lusso che possiamo permetterci, e io me lo permetto subito: quando qualche poraccio che non gioca nel nostro campionato viene a dirmi cosa tizio o caio hanno detto di me, io lo blocco subito. Posso farlo perché a me un lettore in meno non toglie nulla, anzi! Soprattutto se è di questa risma, eliminarlo mi restituisce il bene più prezioso: quel famoso tempo dal quale io e te aspettiamo la verità (e qualche soddisfazione l'abbiamo avuta).
Ora torno al post dove ho trovato il tuo commento e filtro al trash chi semina zizzania. Tu fai come vuoi: non avresti avuto bisogno di precisare, e non ce lo avrei avuto nemmeno io, visto che ci conosciamo e ci stimiamo. Tuttavia, visto che siamo seguiti da una minoranza di persone intelligenti (Cipolla rules), ho pensato che a loro questo scambio, che poi, in effetti, è un backstage nella monnezza che quotidianamente ci tocca leggere, sarebbe stato utile.
Ti mando un forte abbraccio e un sincero augurio di buon 2018. Come forse ti ho detto, le mie vicende personali non mi portano più dalle tue parti. Spero però di creare io un'occasione di incontro e di scambio di idee, magari qui a Roma, magari in a/simmetrie.
Auguri!
Alberto
P.s.: eh, in effetti no: non mi rivolgevo a te. Come tu sai, e i segati non sanno, il mio obiettivo era un altro, leggermente più grosso (sparo a quelli grossi perché ho una cattiva mira e mi spiace non colpire il bersaglio...).
Intervengo solo perché mi è stato segnalato da alcuni lettori... Non credo che Alberto si riferisce al sottoscritto usando la parola cialtrone ricordo solo che post Trump il dollaro è passato da 1.13 a 1.03 il che mi scuso con i lettori se non si è trattato della parità esatta! Per il resto la verità è figlia del tempo e in un ambiente così complesso come quello valutario dove si transano più di 4 trilioni di dollari al giorno al sottoscritto interessa più il medio o lungo termine come si comporta il dollaro a fronte di shock finanziari e via dicendo Buina giornata Andrea
Postato da Andrea Mazzalai in Goofynomics alle 29 dicembre 2017 09:55
Caro Andrea,
tu sei del mestiere più di me (non scherzo) e quindi questo te lo ricorderai:
e ovviamente dal layout sai riconoscere di chi è. Mi ci gioco una, anzi, due palle (di biliardo) che ricordi anche questo:
del quale altresì ricorderai l'autore. Ma prima ancora, almeno tu (a differenza di qualche mio e tuo lettore diversamente acuto), ricorderai questo famoso grafico:
Inutile dire che chiunque abbia come noi interesse alle vicende monetarie, anziché a rompere i coglioni, può con una immediata ricerca trovare, che so, questo, e tanto altro.
Insomma: come noi sappiamo, c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Non ho idea del perché i miei lettori ti abbiano chiamato in causa. Può essere che anche tu abbia emesso in un qualche periodo uno scenario nel quale vedevi ulteriori indebolimenti dell'euro, o magari la sua parità col dollaro? Mi sembra che uno dei miei collaboratori me ne abbia parlato verso l'inizio di quest'anno. Non ho avuto tempo di approfondire, e nemmeno di chiedergli come abbia gestito i suoi dollari. Io, se avessi dei soldi, li affiderei a te. Tuttavia, come il mio risicato staff sa, quando mi venne fatto vedere questo grafico fui piuttosto scettico. In effetti, ora siamo a 1.2, non a 1, e quindi ho avuto ragione.
Ci possono essere mille e una ragione per prevedere un indebolimento o un rafforzamento di un valuta, e in assenza di un orizzonte temporale specifico queste previsioni possono sempre essere dichiarate corrette o sbagliate. Anch'io, come te, mi occupo più di medio che di breve periodo, il che mi costringe ad aspettare un po' prima di vedere se le cose sono andate come pensavo dovessero andare. L'atteggiamento scientifico è sempre quello di analizzare gli errori, cosa più immediata se il modello di riferimento è formale (matematico) anziché concettuale (e anche questo lo sappiamo). Le previsioni di Goldman Sachs non solo sono sbagliate, ma rivelano anche un profondo non capire un cazzo di un cazzo di come stanno le cose (a mio sommesso avviso) e questo per un motivo molto semplice: perché se già con un cambio a 1.2 abbiamo le tensioni che abbiamo (surplus estero dell'Eurozona - cioè della Germania - alle stelle, tensioni intrazona determinate dall'insofferenza tedesca verso i bassi tassi che mandano in sofferenza il loro sistema bancario, ecc.: le cose che tu sai e che i cretini farebbero meglio a ripassare, anziché metter zizzania), con un cambio a 1 avrem(m)o (avuto) molte ma molte più tensioni (scegli quali parentesi mettere o togliere).
Lo scenario di Goldman era, io credo, uno scenario politico. Un misto di wishful thinking, probabilmente connesso in modi che non riesco compiutamente ad analizzare all'idea che Trump non ce l'avrebbe fatta. Se ci andiamo proprio con l'accetta, e per semplificare diciamo che Hillary sarebbe stata il presidente di Wall Street (la comunità finanziaria cui il dollaro forte fa comodo perché rafforza la credibilità del sistema e attrae investimenti finanziari esteri), mentre Trump quello di Main Street (l'economia reale, cui un dollaro debole fa comodo per rilanciare le esportazioni), possiamo in effetti leggere la previsione errata di G&S come un pio desiderio.
Ma i sogni non si avverano, soprattutto quando di mezzo c'è l'Europa. Gli Usa hanno, nei fatti, scelto un diverso percorso di sviluppo. Dopo il deterioramento dei conti esteri subito a causa della svalutazione dell'euro:
(lo si vede bene qui dal 2014 al 2016) hanno deciso di concedersi il sottile piacere di rendere la pariglia. L'amore non è bello se non è litigarello.
Come finirà non lo so, ma so che lo vedremo. Molto probabilmente, non finirà. Non esiste, secondo me, un mondo in cui un paese con un surplus di 400 miliardi di dollari possa svalutare moltissimo, soprattutto se un paese più cazzuto di lui ha bisogno di riprendere a crescere sul serio prima che sia troppo tardi (ed è già troppo tardi: tu lo sai meglio di me). Questo dilemma si può risolvere in due modi: o si rinuncia alla quotazione (cioè il cambio non va a 1) o si rinuncia al paese (cioè l'eurozona esplode). Resta inteso che questa valutazione molto schematica è venduta as is, ovvero rebus sic stantibus. Esistono mille e uno elementi più o meno utopistici che potrebbero compensare le tensioni create da un cambio totalmente disallineato rispetto ai fondamentali del paese egemone: quest'ultimo potrebbe decidere di sostenere gli altri paesi membri (#DAR), oppure una vigorosa (#DAR) crescita proveniente dal resto del mondo potrebbe dare ossigeno a tutti (ma ne darebbe sempre di più a chi ha la testa fuori dall'acqua), oppure 6 miliardi di esseri umani potrebbero impazzire e cominciare a considerare la valuta un bene di Giffen... la fantasia è l'unica cosa, ma proprio l'unica, che non deve avere confini!
Però, allo stato attuale, mi viene da dire che se alla GS avessero letto gli stessi libri di macroeconomia che ho letto io... avrebbero fatto le stesse previsioni ridicole che hanno fatto loro, perché le loro non erano previsioni: erano un programma politico!
Eh già: loro possono permetterselo!
Noi no.
C'è però un lusso che possiamo permetterci, e io me lo permetto subito: quando qualche poraccio che non gioca nel nostro campionato viene a dirmi cosa tizio o caio hanno detto di me, io lo blocco subito. Posso farlo perché a me un lettore in meno non toglie nulla, anzi! Soprattutto se è di questa risma, eliminarlo mi restituisce il bene più prezioso: quel famoso tempo dal quale io e te aspettiamo la verità (e qualche soddisfazione l'abbiamo avuta).
Ora torno al post dove ho trovato il tuo commento e filtro al trash chi semina zizzania. Tu fai come vuoi: non avresti avuto bisogno di precisare, e non ce lo avrei avuto nemmeno io, visto che ci conosciamo e ci stimiamo. Tuttavia, visto che siamo seguiti da una minoranza di persone intelligenti (Cipolla rules), ho pensato che a loro questo scambio, che poi, in effetti, è un backstage nella monnezza che quotidianamente ci tocca leggere, sarebbe stato utile.
Ti mando un forte abbraccio e un sincero augurio di buon 2018. Come forse ti ho detto, le mie vicende personali non mi portano più dalle tue parti. Spero però di creare io un'occasione di incontro e di scambio di idee, magari qui a Roma, magari in a/simmetrie.
Auguri!
Alberto
P.s.: eh, in effetti no: non mi rivolgevo a te. Come tu sai, e i segati non sanno, il mio obiettivo era un altro, leggermente più grosso (sparo a quelli grossi perché ho una cattiva mira e mi spiace non colpire il bersaglio...).
Rendite e svendite
(...oppure saturnino e alpigiano, con gli occhi incavernati dalla diffidenza, con lo sfinctere strozzato dall'avarizia, e rosso dentro l'ombra delle sue lèndini... d'un rosso cupo... da celta inselvato nelle sue montagne... che teme il pallore di Roma e si atterrisce dei suoi dattili...)
L'economia, quella mainstream, ci insegna che il valore di mercato di un cespite (loro dicono: asset) è dato dal valore attuale del flusso dei suoi redditi futuri. Segue breve lezioncina di matematica finanziaria ad usum piddini (cioè vostro), che, per rendere assolutamente semplice, sfronderò da alcune ovvie complicazioni riferite al fatto che stiamo parlando del futuro, il quale, com'è noto, è avvolto dall'incertezza (soprattutto per il PD).
Per capire come vanno le cose, meglio prenderla al rovescio. Supponiamo di avere una somma R0 e di investirla al tasso i per un anno. Alla fine dell'anno ci dovrà essere restituita la somma R1:
R1 = (1+i) R0
Esempio: se investo 100 al 5% mi dovrà essere restituito 100x(1.05)=100+5=105, dove 105 è il montante, che consta della restituzione del capitale di 100 con gli interessi di 5.
Ora, nella vita il tempo non è reversibile. In matematica finanzaria sì: per valutare se una scelta finanziaria conviene, bisogna essere in grado di far andare i soldi avanti e indietro lungo l'asse dei tempi (la necessità di questo andirvieni scaturirà naturaliter dal seguito del ragionamento). La cosa può essere complicata a piacere, ma nel caso in specie è molto semplice. La formula precedente risponde alla domanda: quanto ottengo a fine anno se oggi investo R0? La domanda inversa è: per ottenere R1 a fine anno quanto devo investire oggi? La risposta alla domanda inversa si ottiene invertendo la formula, cioè risolvendola per R0:
Vale il discorso che le formule sono una risposta concisa. Strano che piacciano a un prolisso come me, ma la vita, si sa, è strana: negli ultimi cinque giorni, su Twitter, ne abbiamo viste di ben peggiori. Se volete ficcarci dei numeri, per non usurare la vostra capacità di astrazione, potete metterla così: se il tasso di interesse è al 5% e voglio ottenere 105 euro fra un anno, oggi dovrò investire 105/1.05=100, che è il valore attuale (ovvero: odierno) della somma che otterrò in futuro. Questa divisione, quindi, riporta finanziariamente una somma futura (105) al tempo presente.
Naturalmente se sono più paziente, e posso aspettare due anni, immaginando che il tasso di interesse sia noto e costante (il che potrebbe banalmente accadere perché lo ho stipulato contrattualmente), il discorsetto di cui sopra diventa:
R2 = (1+i)x(1+i) R0 = (1+i)2 R0
supponendo, come generalmente si fa in questi casi, che gli interessi vengano "capitalizzati" annualmente, che poi equivale a dire che alla fine del primo anno ti prendi i tuoi 105, e li reinvesti al 5%, ottenendo alla fine del secondo anno 105x(1.05) = 110.25 = 100 x 1.052 = 100 x 1.1025.
I conti tornano, no?
Se voglio riportare finanziariamente a oggi (tempo 0) una somma di 110.25 che percepirò fra due anni, posso calcolarne il valore attuale invertendo la formula, ovvero così:
Chiara la logica, no?
Ora cambiamo leggermente prospettiva. Supponiamo di sapere che un certo cespite (un investimento finanziario, un'azienda, il Colosseo...) in futuro ci procurerà un flusso di ricavi Rk, dove k = 1, 2, ... indica l'anno al termine del quale riscuotiamo i ricavi. Cominciamo facendola semplice e immaginando che un asteroide pietoso venga fra tre anni a sollevarci dallo spettacolo penoso della nostra politica. In altre parole, ci restano due anni di dibattito sullo ius soli (questo per riconciliarvi con la vostra morte, che comunque se siete vecchi conta meno, come abbiamo recentemente appreso da un novello Raskolnikov - va notata l'infinita sapienza dell'onomastica, che ha attribuito a quest'ultimo il nome Rodion, giustappunto perché rosicava). In questo caso, sempre ipotizzando un tasso di interesse costante, il valore attuale dei ricavi futuri percepiti si otterrà riportandoli finanziariamente a oggi:
Sì, avete capito bene: VA sta per valore attuale (in inglese sarebbe PV: present value). Il resto dovrebbe esservi ovvio.
Purtroppo, "del doman non v'è certezza" (verso che il mio amico Romeo Nepomuceno Ciuffa, maestro di cappella dei colli romani, riassumeva con un beneaugurante: "Oggi ce semo, domani nun ce sei"...). Non possiamo pensare che gli astri pietosi vengano a sottrarci al delirio di certa feccia: dovremo conviverci, ma non sappiamo per quanto. Gli economisti hanno un modo piuttosto spiccio di risolvere il problema dell'incertezza degli orizzonti: stante la difficoltà di imporre una condizione terminale che non sia arbitraria, normalmente essi lavorano con orizzonti infiniti. Venendo al nostro caso, supponiamo che l'azienda che stiamo valutando (o il Colosseo) non abbia una data di liquidazione certa. Bisognerà fare come se fosse eterna, il che significa che il suo valore attuale dovrà essere calcolato come somma di tutti gli infiniti ricavi futuri. Manca una parolina: ricavi futuri attesi. Tuttavia vi ho chiarito che per semplicità avrei fatto (parzialmente) astrazione dall'incertezza, altrimenti sarei stato costretto a introdurre nel discorso il calcolo delle probabilità, per la gioia di alcuni (inclusi i soliti precisazionisti rompicoglioni che sarebbero venuti a spiegarmi cose che non capiscono), ma per lo sconforto delle moltitudini. Quindi, facciamo come se noi i ricavi futuri li conoscessimo. In base alla logica precedente, il valore attuale della nostra azienda (o del Colosseo), supponendo di conoscere i ricavi futuri, e supponendo che il tasso di interesse sia costante, sarebbe una cosa del tipo:
Che formulona complicatissima! Qualcuno di quelli che oggi si lamentano di non essere riusciti a combinar nulla in tanti anni, ai bei tempi l'avrebbe chiamata una "fumisteria econometrica" (perché nel dubbio sul da farsi, preferivano attaccare me anziché il nemico...). La logica, però, credo di avervela spiegata: ogni addendo prende la somma percepita in futuro e la "sconta" riportandola ad oggi. Che poi, se le formule complicate non piacciono, c'è un modo semplice per venirne a capo. Basta fare l'ulteriore ipotesi che i ricavi futuri non solo siano certi, ma siano anche costanti e uguali a R. Se è così, possiamo raccogliere R a fattor comune (aka "tirarlo fuori" dalla sommatoria), ottenendo questo risultato:
dove il secondo passaggio, mi rendo ben conto, non è immediato, ma la sua dimostrazione, se interessa, è qui (usiamo l'intertestualità, finché ce la fanno usare: non durerà). Questa semplice formula, quella che dice che il valore attuale di una rendita perpetua è uguale alla rata della rendita divisa per il tasso di interesse, torna comoda in molti ragionamenti, e noi l'abbiamo usata, ad esempio, qui (senza esplicitarla) e prima ancora qui. Come vedete, essa stabilisce una relazione inversa fra il prezzo di un cespite (il valore attuale del flusso infinito dei suoi redditi futuri) e il tasso di interesse. Voglio farvi notare che è tutt'altro che una remota astrazione, irrilevante per il dibattito, anzi! Una sua conseguenza è che quando i tassi di interesse crescono, i prezzi dei titoli scendono, determinando una capital loss (perdita in conto capitale) per i detentori. Lungi dall'essere un curiosum matematico, questo fatto della vita spiega perché raffinati intellettuali "de sinistra" siano contrari all'uscita dall'euro: perché temono che il rialzo dei tassi di interesse (che ci sarà solo nella loro testa, ma lasciamo stare) determini un calo del valore di portafoglio dei loro sudati Btp (e quindi i giovani disoccupati si fottano). Uno me lo ha detto in faccia, e non ve ne faccio il nome. Per completezza, aggiungo che avendo letto Dostoevskij non ho pensato "perché vive un uomo simile?".
Sarebbero #lebbasi.
Volendo metterci dei numeri, la formula de cujus ci dice che se, ad esempio, ci aspettiamo di ricevere dal nostro cespite un reddito annuo costante di 39 milioni, e il tasso di interesse a lungo termine è del 2,8%, il valore attuale del cespite (quello che gli economisti chiamano il valore fondamentale, perché basato sui fondamentali di mercato, per distinguerlo dal prezzo corrente che potrebbe essere scollato dai fondamentali per effetto di una bolla), sarà pari a:
che poi, in soldoni, significa che con un tasso di interesse simile, per cedere un cespite che fornisce una rendita simile senza rimetterci il venditore deve esigere quasi un miliardo e quattrocento milioni (un miliardo trecentonovantadue milioni e ottocentocinquantamila euri, per la precisione).
Perché vi do queste cifre a casaccio?
Ma naturalmente perché non sono a casaccio! Trentanove milioni sono gli incassi annui del Colosseo nel 2016 (quando ti visitano quasi sette milioni di turisti, ti può capitare di fare un po' di soldi), e il 2.8% è esattamente il tasso al quale l'Italia colloca i suoi bond a cinquanta anni.
E tanto vi dovevo per la parte rendite.
Proseguo citandovi questo brano dall'Anteprima di Giorgio Dell'Arti (utilissima):
Tutto si può dire della valutazione espressa dalla Ragioneria dello Stato, ma non che non sia puzzling. Intendiamoci: quella che vi ho proposto io è esagerata, per un motivo evidente: ciò di cui bisogna tener conto per valutare il prezzo di un cespite non sono i ricavi (39 milioni), ma i guadagni, cioè quello che resta dei ricavi una volta sottratti i costi (per il personale, in particolare per il direttore; per la manutenzione, anche se quella straordinaria è "gratis"; per il servizio di biglietteria, e via dicendo). Il tema è complesso ed ha suscitato qualche legittima perplessità, tuttavia, per farla semplice, due calcoli back of the envelope ci dicono che mantenendo l'ipotesi circa il tasso di interesse, un valore attuale di 151,5 milioni di euro lo si ottiene ipotizzando un guadagno futuro pari a 4.24 milioni di euro all'anno, il che significa ipotizzare costi pari a un po' meno di 35 milioni all'anno (4.242/0.028=151.5).
Ora: spese di riscaldamento non ce ne sono, spese di condominio nemmeno... ma questi 35 milioni come andrebbero spesi?
In alternativa, si mantiene forse l'ipotesi che il 30% degli incassi vada comunque alla Soprintendenza (e quindi costituisca un costo per l'eventuale investitore privato)? In questo caso i ricavi sarebbero 39 meno il 30%, cioè 27.3, e quindi un guadagno di 4 implicherebbe altri costi pari a oltre 23 milioni l'anno.
Oppure chi ha fatto questa valutazione sa qualcosa che noi non sappiamo circa eventuali oggetti Apollo, e ha accorciato la sommatoria di conseguenza? O magari si aspetta che usciamo dall'euro e i tassi schizzino (si dice così) oltre il 25%?
Saperlo!
Magari se qualcuno di voi più bravino di me con le ricerche trova il testo originale di questa valutazione ce lo guardiamo insieme: sono sicuro che un motivo ci sarà e sarà interessante vedere quale sia.
Resta un fatto: in mezzo a così tanta, tantissima incertezza, esasperata, fra l'altro, dal fatto di non avere un governo nel pieno dei suoi poteri, pubblicare (che non significa: "fare") una valutazione simile non mi sembra un capolavoro di opportunità politica. Ci sono così tante polemiche in corso sulla svendita del patrimonio pubblico: abbiamo appena smesso di commentare la simpatica operazione di spin lanciata da quello che parlava di torri di monetine, a supporto della proposta del governo di alienare beni demaniali... Ora: siamo d'accordo che Colosseo e Fontana di Trevi sono cedibili solo in un film di Totò. Ma siamo anche d'accordo sul fatto che la classe politica che stiamo accompagnando, per quanto riottosa, a una meritata e rapida estinzione, ci ha fatto e ci sta facendo sempre più rimpiangere Totò. Quindi, forse, di argomenti simili sarebbe meglio non parlare, o almeno non ora. In subordine, sarebbe opportuno parlarne in modo trasparente e tecnico.
Questo post è stato appunto scritto per offrire ai proprietari del Colosseo, cioè a tutti gli italiani (lo so, è una parolaccia), strumenti per comprendere la logica di certe valutazioni tecniche.
Si apra la discussione...
(...ah, naturalmente per tutti tranne che per Martinetus: anche rendite e svendite sono dattili. No, Davide, non datteri: dattili. E googlateli, cazzo!...)
L'economia, quella mainstream, ci insegna che il valore di mercato di un cespite (loro dicono: asset) è dato dal valore attuale del flusso dei suoi redditi futuri. Segue breve lezioncina di matematica finanziaria ad usum piddini (cioè vostro), che, per rendere assolutamente semplice, sfronderò da alcune ovvie complicazioni riferite al fatto che stiamo parlando del futuro, il quale, com'è noto, è avvolto dall'incertezza (soprattutto per il PD).
Per capire come vanno le cose, meglio prenderla al rovescio. Supponiamo di avere una somma R0 e di investirla al tasso i per un anno. Alla fine dell'anno ci dovrà essere restituita la somma R1:
R1 = (1+i) R0
Esempio: se investo 100 al 5% mi dovrà essere restituito 100x(1.05)=100+5=105, dove 105 è il montante, che consta della restituzione del capitale di 100 con gli interessi di 5.
Ora, nella vita il tempo non è reversibile. In matematica finanzaria sì: per valutare se una scelta finanziaria conviene, bisogna essere in grado di far andare i soldi avanti e indietro lungo l'asse dei tempi (la necessità di questo andirvieni scaturirà naturaliter dal seguito del ragionamento). La cosa può essere complicata a piacere, ma nel caso in specie è molto semplice. La formula precedente risponde alla domanda: quanto ottengo a fine anno se oggi investo R0? La domanda inversa è: per ottenere R1 a fine anno quanto devo investire oggi? La risposta alla domanda inversa si ottiene invertendo la formula, cioè risolvendola per R0:
Vale il discorso che le formule sono una risposta concisa. Strano che piacciano a un prolisso come me, ma la vita, si sa, è strana: negli ultimi cinque giorni, su Twitter, ne abbiamo viste di ben peggiori. Se volete ficcarci dei numeri, per non usurare la vostra capacità di astrazione, potete metterla così: se il tasso di interesse è al 5% e voglio ottenere 105 euro fra un anno, oggi dovrò investire 105/1.05=100, che è il valore attuale (ovvero: odierno) della somma che otterrò in futuro. Questa divisione, quindi, riporta finanziariamente una somma futura (105) al tempo presente.
Naturalmente se sono più paziente, e posso aspettare due anni, immaginando che il tasso di interesse sia noto e costante (il che potrebbe banalmente accadere perché lo ho stipulato contrattualmente), il discorsetto di cui sopra diventa:
R2 = (1+i)x(1+i) R0 = (1+i)2 R0
supponendo, come generalmente si fa in questi casi, che gli interessi vengano "capitalizzati" annualmente, che poi equivale a dire che alla fine del primo anno ti prendi i tuoi 105, e li reinvesti al 5%, ottenendo alla fine del secondo anno 105x(1.05) = 110.25 = 100 x 1.052 = 100 x 1.1025.
I conti tornano, no?
Se voglio riportare finanziariamente a oggi (tempo 0) una somma di 110.25 che percepirò fra due anni, posso calcolarne il valore attuale invertendo la formula, ovvero così:
Chiara la logica, no?
Ora cambiamo leggermente prospettiva. Supponiamo di sapere che un certo cespite (un investimento finanziario, un'azienda, il Colosseo...) in futuro ci procurerà un flusso di ricavi Rk, dove k = 1, 2, ... indica l'anno al termine del quale riscuotiamo i ricavi. Cominciamo facendola semplice e immaginando che un asteroide pietoso venga fra tre anni a sollevarci dallo spettacolo penoso della nostra politica. In altre parole, ci restano due anni di dibattito sullo ius soli (questo per riconciliarvi con la vostra morte, che comunque se siete vecchi conta meno, come abbiamo recentemente appreso da un novello Raskolnikov - va notata l'infinita sapienza dell'onomastica, che ha attribuito a quest'ultimo il nome Rodion, giustappunto perché rosicava). In questo caso, sempre ipotizzando un tasso di interesse costante, il valore attuale dei ricavi futuri percepiti si otterrà riportandoli finanziariamente a oggi:
Sì, avete capito bene: VA sta per valore attuale (in inglese sarebbe PV: present value). Il resto dovrebbe esservi ovvio.
Purtroppo, "del doman non v'è certezza" (verso che il mio amico Romeo Nepomuceno Ciuffa, maestro di cappella dei colli romani, riassumeva con un beneaugurante: "Oggi ce semo, domani nun ce sei"...). Non possiamo pensare che gli astri pietosi vengano a sottrarci al delirio di certa feccia: dovremo conviverci, ma non sappiamo per quanto. Gli economisti hanno un modo piuttosto spiccio di risolvere il problema dell'incertezza degli orizzonti: stante la difficoltà di imporre una condizione terminale che non sia arbitraria, normalmente essi lavorano con orizzonti infiniti. Venendo al nostro caso, supponiamo che l'azienda che stiamo valutando (o il Colosseo) non abbia una data di liquidazione certa. Bisognerà fare come se fosse eterna, il che significa che il suo valore attuale dovrà essere calcolato come somma di tutti gli infiniti ricavi futuri. Manca una parolina: ricavi futuri attesi. Tuttavia vi ho chiarito che per semplicità avrei fatto (parzialmente) astrazione dall'incertezza, altrimenti sarei stato costretto a introdurre nel discorso il calcolo delle probabilità, per la gioia di alcuni (inclusi i soliti precisazionisti rompicoglioni che sarebbero venuti a spiegarmi cose che non capiscono), ma per lo sconforto delle moltitudini. Quindi, facciamo come se noi i ricavi futuri li conoscessimo. In base alla logica precedente, il valore attuale della nostra azienda (o del Colosseo), supponendo di conoscere i ricavi futuri, e supponendo che il tasso di interesse sia costante, sarebbe una cosa del tipo:
Che formulona complicatissima! Qualcuno di quelli che oggi si lamentano di non essere riusciti a combinar nulla in tanti anni, ai bei tempi l'avrebbe chiamata una "fumisteria econometrica" (perché nel dubbio sul da farsi, preferivano attaccare me anziché il nemico...). La logica, però, credo di avervela spiegata: ogni addendo prende la somma percepita in futuro e la "sconta" riportandola ad oggi. Che poi, se le formule complicate non piacciono, c'è un modo semplice per venirne a capo. Basta fare l'ulteriore ipotesi che i ricavi futuri non solo siano certi, ma siano anche costanti e uguali a R. Se è così, possiamo raccogliere R a fattor comune (aka "tirarlo fuori" dalla sommatoria), ottenendo questo risultato:
dove il secondo passaggio, mi rendo ben conto, non è immediato, ma la sua dimostrazione, se interessa, è qui (usiamo l'intertestualità, finché ce la fanno usare: non durerà). Questa semplice formula, quella che dice che il valore attuale di una rendita perpetua è uguale alla rata della rendita divisa per il tasso di interesse, torna comoda in molti ragionamenti, e noi l'abbiamo usata, ad esempio, qui (senza esplicitarla) e prima ancora qui. Come vedete, essa stabilisce una relazione inversa fra il prezzo di un cespite (il valore attuale del flusso infinito dei suoi redditi futuri) e il tasso di interesse. Voglio farvi notare che è tutt'altro che una remota astrazione, irrilevante per il dibattito, anzi! Una sua conseguenza è che quando i tassi di interesse crescono, i prezzi dei titoli scendono, determinando una capital loss (perdita in conto capitale) per i detentori. Lungi dall'essere un curiosum matematico, questo fatto della vita spiega perché raffinati intellettuali "de sinistra" siano contrari all'uscita dall'euro: perché temono che il rialzo dei tassi di interesse (che ci sarà solo nella loro testa, ma lasciamo stare) determini un calo del valore di portafoglio dei loro sudati Btp (e quindi i giovani disoccupati si fottano). Uno me lo ha detto in faccia, e non ve ne faccio il nome. Per completezza, aggiungo che avendo letto Dostoevskij non ho pensato "perché vive un uomo simile?".
Sarebbero #lebbasi.
Volendo metterci dei numeri, la formula de cujus ci dice che se, ad esempio, ci aspettiamo di ricevere dal nostro cespite un reddito annuo costante di 39 milioni, e il tasso di interesse a lungo termine è del 2,8%, il valore attuale del cespite (quello che gli economisti chiamano il valore fondamentale, perché basato sui fondamentali di mercato, per distinguerlo dal prezzo corrente che potrebbe essere scollato dai fondamentali per effetto di una bolla), sarà pari a:
che poi, in soldoni, significa che con un tasso di interesse simile, per cedere un cespite che fornisce una rendita simile senza rimetterci il venditore deve esigere quasi un miliardo e quattrocento milioni (un miliardo trecentonovantadue milioni e ottocentocinquantamila euri, per la precisione).
Perché vi do queste cifre a casaccio?
Ma naturalmente perché non sono a casaccio! Trentanove milioni sono gli incassi annui del Colosseo nel 2016 (quando ti visitano quasi sette milioni di turisti, ti può capitare di fare un po' di soldi), e il 2.8% è esattamente il tasso al quale l'Italia colloca i suoi bond a cinquanta anni.
E tanto vi dovevo per la parte rendite.
Proseguo citandovi questo brano dall'Anteprima di Giorgio Dell'Arti (utilissima):
Tutto si può dire della valutazione espressa dalla Ragioneria dello Stato, ma non che non sia puzzling. Intendiamoci: quella che vi ho proposto io è esagerata, per un motivo evidente: ciò di cui bisogna tener conto per valutare il prezzo di un cespite non sono i ricavi (39 milioni), ma i guadagni, cioè quello che resta dei ricavi una volta sottratti i costi (per il personale, in particolare per il direttore; per la manutenzione, anche se quella straordinaria è "gratis"; per il servizio di biglietteria, e via dicendo). Il tema è complesso ed ha suscitato qualche legittima perplessità, tuttavia, per farla semplice, due calcoli back of the envelope ci dicono che mantenendo l'ipotesi circa il tasso di interesse, un valore attuale di 151,5 milioni di euro lo si ottiene ipotizzando un guadagno futuro pari a 4.24 milioni di euro all'anno, il che significa ipotizzare costi pari a un po' meno di 35 milioni all'anno (4.242/0.028=151.5).
Ora: spese di riscaldamento non ce ne sono, spese di condominio nemmeno... ma questi 35 milioni come andrebbero spesi?
In alternativa, si mantiene forse l'ipotesi che il 30% degli incassi vada comunque alla Soprintendenza (e quindi costituisca un costo per l'eventuale investitore privato)? In questo caso i ricavi sarebbero 39 meno il 30%, cioè 27.3, e quindi un guadagno di 4 implicherebbe altri costi pari a oltre 23 milioni l'anno.
Oppure chi ha fatto questa valutazione sa qualcosa che noi non sappiamo circa eventuali oggetti Apollo, e ha accorciato la sommatoria di conseguenza? O magari si aspetta che usciamo dall'euro e i tassi schizzino (si dice così) oltre il 25%?
Saperlo!
Magari se qualcuno di voi più bravino di me con le ricerche trova il testo originale di questa valutazione ce lo guardiamo insieme: sono sicuro che un motivo ci sarà e sarà interessante vedere quale sia.
Resta un fatto: in mezzo a così tanta, tantissima incertezza, esasperata, fra l'altro, dal fatto di non avere un governo nel pieno dei suoi poteri, pubblicare (che non significa: "fare") una valutazione simile non mi sembra un capolavoro di opportunità politica. Ci sono così tante polemiche in corso sulla svendita del patrimonio pubblico: abbiamo appena smesso di commentare la simpatica operazione di spin lanciata da quello che parlava di torri di monetine, a supporto della proposta del governo di alienare beni demaniali... Ora: siamo d'accordo che Colosseo e Fontana di Trevi sono cedibili solo in un film di Totò. Ma siamo anche d'accordo sul fatto che la classe politica che stiamo accompagnando, per quanto riottosa, a una meritata e rapida estinzione, ci ha fatto e ci sta facendo sempre più rimpiangere Totò. Quindi, forse, di argomenti simili sarebbe meglio non parlare, o almeno non ora. In subordine, sarebbe opportuno parlarne in modo trasparente e tecnico.
Questo post è stato appunto scritto per offrire ai proprietari del Colosseo, cioè a tutti gli italiani (lo so, è una parolaccia), strumenti per comprendere la logica di certe valutazioni tecniche.
Si apra la discussione...
(...ah, naturalmente per tutti tranne che per Martinetus: anche rendite e svendite sono dattili. No, Davide, non datteri: dattili. E googlateli, cazzo!...)
giovedì 28 dicembre 2017
L'euro ci difende dalle guerre valutarie. Svolgimento.
(...lasciamo perdere gli invasati che "tu non ami li piccini": lo spettacolo di una torma di sottoproletari che tifa per i propri carnefici è istruttivo, ma anche ributtante. Forse è il caso di tornare ad occuparci di struttura economica, anche se in questo caso lo spettacolo, proprio perché intellettualmente appagante, rischia di essere molto più noioso, almeno per me. Ma so che voi vi divertite così...)
Sapete bene che una delle mie principali critiche all'attuale assetto europeo è che l'alleanza con la Germania da esso determinata ci spinge fatalmente a combattere una guerra economica contro gli Stati Uniti, un paese che sarebbe meglio non avere come avversario. Questo a voi è noto perché ne parlavo nel Tramonto dell'euro. Mi riferisco, fra gli altri, al passo che inizia a p. 373 della prima edizione:
Da allora, questo scenario è stato sostanzialmente confermato. Le tensioni fra Stati Uniti e Germania sono andate crescendo, come abbiamo più volte commentato in questo blog, e questo per motivi assolutamente oggettivi. Ci aiuta a capirli (o quanto meno a seguirne la scansione temporale) questo disegnino:
Si tratta, come molti di voi vedono immediatamente, del tasso di cambio euro/dollaro (in notazione certo per incerto: quanti dollari compri con un euro; una diminuzione del cambio implica una svalutazione dell'euro, cioè il fatto che con lo stesso euro compri meno dollari, che ovviamente equivale a una rivalutazione del dollaro).
Nel grafico vedete due puntini rossi. Il primo è in data 19 maggio 2014, corrispondente al giorno in cui scrissi che l'Italia correva un maggior rischio di drastica svalutazione sotto l'euro che in caso di ipotetico ritorno alla lira, per il semplice motivo che se l'euro non si fosse pesantemente svalutato l'eurozona sarebbe andata in frantumi (dato che un cambio vicino al valore di equilibrio per la Germania penalizzava fortemente - in quanto troppo alto - i paesi del Sud, che quindi alla lunga sarebbero stati costretti dalla recessione a uscire). Ovviamente per noi la svalutazione sotto l'euro (cioè la svalutazione dell'euro) sarebbe stata maggiore di quella stimata in caso di ritorno alla lira, per il semplice fatto che nel primo caso ci saremmo dovuti far carico non solo e non tanto della nostra "debolezza", quanto della fragilità finanziaria ed economica di paesi come la Grecia e il Portogallo. Insomma: mentre in caso di uscita la valuta italiana sarebbe tornata a un valore di equilibrio compatibile con l'economia italiana (cioè con la seconda potenza manifatturiera dell'Eurozona), in caso di permanenza l'euro sarebbe dovuto scendere a un valore vicino a quello di equilibrio per il paese più a rischio geopolitico di uscita, la Grecia (messa decisamente peggio di noi).
Il grafico mostra che quanto annunciavo si è puntualmente verificato, con una svalutazione della nostra valuta nazionale pari a circa il 30%, e con le conseguenze che avevo previsto: nessun incremento dell'inflazione (che secondo gli imbecilli, molti dei quali ancora in giro, sarebbe dovuta aumentare del 30%, cosa che questo nostro studio, in compagna di infiniti altri, smentiva), e nessun particolare beneficio addizionale al saldo delle partite correnti, per i motivi chiariti in questo policy brief (poi pubblicato qui).
Il secondo puntino rosso è in data 26 ottobre 2016, quando, prima dell'elezione di Trump, vi suggerivo che eravamo di fronte a un "Nixon moment": ovvero, all'elezione di un presidente repubblicano che avrebbe indebolito il cambio del dollaro per porre rimedio a una situazione di debolezza strutturale dei conti esteri, in questo caso esacerbata dalla svalutazione competitiva praticata dalla Germania, per interposta Bce, non tanto per promuovere il proprio surplus commerciale, quanto, come specificato sopra, per tenere insieme i cocci del giocattolo "Eurozona". Purtroppo, un cambio vicino ai fondamentali dei paesi deboli (tale cioè da aiutarli a sopravvivere), è per forza di cose lontano dai fondamentali del paese forte (e in quanto tale lo avvantaggia indebitamente, costituisce un autentico dumping valutario).
Anche questa previsione si è sostanzialmente avverata. Dopo una prima fase di ulteriore cedimento, l'euro si è rafforzato (cioè il dollaro indebolito), recuperando circa metà della svalutazione avvenuta tre anni prima. I cialtroni, nel 2016, parlavano di un dollaro a parità con l'euro. Ora è a 1.2.
La fine del QE, e quindi il rialzo dei tassi europei, del quale la Germania ha bisogno, richiamerà capitali nell'eurozona spingendo al rialzo il tasso di cambio dell'euro (cioè ulteriormente al ribasso quello degli Usa), cosa della quale la Germania ha bisogno per non litigare con gli Usa, ma... non ha bisogno se vuole tenere insieme i cocci (cioè se non vuole generare tensioni economiche politicamente insostenibili nei paesi periferici).
Tutto non si può avere, e chi vuole tutto, spesso, non ottiene nulla. La Germania, in particolare, ogni tanto viene riportata dalla storia alla casella di partenza: il gioco dell'oca al passo dell'oca.
Queste sono le logiche sulle quali i nostro governanti dovrebbero riflettere e farci riflettere, perché da queste dipende anche la nostra possibilità di ridiventare attori politici ed economici importanti, e quindi, fra l'altro, di articolare una politica efficace nei riguardi dei paesi in via di sviluppo. Invece, i nostro politici preferiscono promuovere una riflessione totalmente fake sul dramma del povero piccino che non potrà giocare nella nostra nazionale. Questo ci dice una sola cosa: che negli Stati Uniti non si è ancora delineata una linea strategica nei riguardi dell'Eurozona (pur nella consapevolezza che il gioco non durerà), o che, se una linea sta prevalendo, è quella che vuole l'Europa balcanizzata dalle conseguenze distruttive di un accordo monetario infelice, voluto dai governanti locali per le sue conseguenze di classe (schiacciamento dei salari), e da quelli esteri per le sue conseguenze geopolitiche (indebolimento degli stati europei). Se andate a leggere le biografie di chi vi distrae con dibattiti di piccolo momento, vedrete come queste siano radicate in certi ambienti statunitensi: quelli che verosimilmente sognano un'Europa balcanizzata, da usare come "ammortizzatore sociale globale" per i costi finanziari e umani delle guerre a bassa ed alta intensità scatenate dagli Stati Uniti in giro per il mondo, in ossequio a un principio vecchio quanto noi: divide et impera. Il partigiano Joe è il loro volto presentabile, e poi ci sono i volti meno presentabili, e quelli che non vedremo mai.
Noi, intanto, avremo avuto la soddisfazione di aver fatto due previsioni giuste. Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l'economia (che è una scienza, tranne quando chi la pratica è pagato per sputtanarla).
Sapete bene che una delle mie principali critiche all'attuale assetto europeo è che l'alleanza con la Germania da esso determinata ci spinge fatalmente a combattere una guerra economica contro gli Stati Uniti, un paese che sarebbe meglio non avere come avversario. Questo a voi è noto perché ne parlavo nel Tramonto dell'euro. Mi riferisco, fra gli altri, al passo che inizia a p. 373 della prima edizione:
Da allora, questo scenario è stato sostanzialmente confermato. Le tensioni fra Stati Uniti e Germania sono andate crescendo, come abbiamo più volte commentato in questo blog, e questo per motivi assolutamente oggettivi. Ci aiuta a capirli (o quanto meno a seguirne la scansione temporale) questo disegnino:
Si tratta, come molti di voi vedono immediatamente, del tasso di cambio euro/dollaro (in notazione certo per incerto: quanti dollari compri con un euro; una diminuzione del cambio implica una svalutazione dell'euro, cioè il fatto che con lo stesso euro compri meno dollari, che ovviamente equivale a una rivalutazione del dollaro).
Nel grafico vedete due puntini rossi. Il primo è in data 19 maggio 2014, corrispondente al giorno in cui scrissi che l'Italia correva un maggior rischio di drastica svalutazione sotto l'euro che in caso di ipotetico ritorno alla lira, per il semplice motivo che se l'euro non si fosse pesantemente svalutato l'eurozona sarebbe andata in frantumi (dato che un cambio vicino al valore di equilibrio per la Germania penalizzava fortemente - in quanto troppo alto - i paesi del Sud, che quindi alla lunga sarebbero stati costretti dalla recessione a uscire). Ovviamente per noi la svalutazione sotto l'euro (cioè la svalutazione dell'euro) sarebbe stata maggiore di quella stimata in caso di ritorno alla lira, per il semplice fatto che nel primo caso ci saremmo dovuti far carico non solo e non tanto della nostra "debolezza", quanto della fragilità finanziaria ed economica di paesi come la Grecia e il Portogallo. Insomma: mentre in caso di uscita la valuta italiana sarebbe tornata a un valore di equilibrio compatibile con l'economia italiana (cioè con la seconda potenza manifatturiera dell'Eurozona), in caso di permanenza l'euro sarebbe dovuto scendere a un valore vicino a quello di equilibrio per il paese più a rischio geopolitico di uscita, la Grecia (messa decisamente peggio di noi).
Il grafico mostra che quanto annunciavo si è puntualmente verificato, con una svalutazione della nostra valuta nazionale pari a circa il 30%, e con le conseguenze che avevo previsto: nessun incremento dell'inflazione (che secondo gli imbecilli, molti dei quali ancora in giro, sarebbe dovuta aumentare del 30%, cosa che questo nostro studio, in compagna di infiniti altri, smentiva), e nessun particolare beneficio addizionale al saldo delle partite correnti, per i motivi chiariti in questo policy brief (poi pubblicato qui).
Il secondo puntino rosso è in data 26 ottobre 2016, quando, prima dell'elezione di Trump, vi suggerivo che eravamo di fronte a un "Nixon moment": ovvero, all'elezione di un presidente repubblicano che avrebbe indebolito il cambio del dollaro per porre rimedio a una situazione di debolezza strutturale dei conti esteri, in questo caso esacerbata dalla svalutazione competitiva praticata dalla Germania, per interposta Bce, non tanto per promuovere il proprio surplus commerciale, quanto, come specificato sopra, per tenere insieme i cocci del giocattolo "Eurozona". Purtroppo, un cambio vicino ai fondamentali dei paesi deboli (tale cioè da aiutarli a sopravvivere), è per forza di cose lontano dai fondamentali del paese forte (e in quanto tale lo avvantaggia indebitamente, costituisce un autentico dumping valutario).
Anche questa previsione si è sostanzialmente avverata. Dopo una prima fase di ulteriore cedimento, l'euro si è rafforzato (cioè il dollaro indebolito), recuperando circa metà della svalutazione avvenuta tre anni prima. I cialtroni, nel 2016, parlavano di un dollaro a parità con l'euro. Ora è a 1.2.
La fine del QE, e quindi il rialzo dei tassi europei, del quale la Germania ha bisogno, richiamerà capitali nell'eurozona spingendo al rialzo il tasso di cambio dell'euro (cioè ulteriormente al ribasso quello degli Usa), cosa della quale la Germania ha bisogno per non litigare con gli Usa, ma... non ha bisogno se vuole tenere insieme i cocci (cioè se non vuole generare tensioni economiche politicamente insostenibili nei paesi periferici).
Tutto non si può avere, e chi vuole tutto, spesso, non ottiene nulla. La Germania, in particolare, ogni tanto viene riportata dalla storia alla casella di partenza: il gioco dell'oca al passo dell'oca.
Queste sono le logiche sulle quali i nostro governanti dovrebbero riflettere e farci riflettere, perché da queste dipende anche la nostra possibilità di ridiventare attori politici ed economici importanti, e quindi, fra l'altro, di articolare una politica efficace nei riguardi dei paesi in via di sviluppo. Invece, i nostro politici preferiscono promuovere una riflessione totalmente fake sul dramma del povero piccino che non potrà giocare nella nostra nazionale. Questo ci dice una sola cosa: che negli Stati Uniti non si è ancora delineata una linea strategica nei riguardi dell'Eurozona (pur nella consapevolezza che il gioco non durerà), o che, se una linea sta prevalendo, è quella che vuole l'Europa balcanizzata dalle conseguenze distruttive di un accordo monetario infelice, voluto dai governanti locali per le sue conseguenze di classe (schiacciamento dei salari), e da quelli esteri per le sue conseguenze geopolitiche (indebolimento degli stati europei). Se andate a leggere le biografie di chi vi distrae con dibattiti di piccolo momento, vedrete come queste siano radicate in certi ambienti statunitensi: quelli che verosimilmente sognano un'Europa balcanizzata, da usare come "ammortizzatore sociale globale" per i costi finanziari e umani delle guerre a bassa ed alta intensità scatenate dagli Stati Uniti in giro per il mondo, in ossequio a un principio vecchio quanto noi: divide et impera. Il partigiano Joe è il loro volto presentabile, e poi ci sono i volti meno presentabili, e quelli che non vedremo mai.
Noi, intanto, avremo avuto la soddisfazione di aver fatto due previsioni giuste. Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l'economia (che è una scienza, tranne quando chi la pratica è pagato per sputtanarla).
martedì 26 dicembre 2017
L'immigrazionismo è la fase suprema del colonialismo
Dilettissimi fratelli e sorelle,
vengo qui a voi, in questo clima di riconciliazione e di sorellanza (fratellanza sarebbe politicamente scorretto) che le festività inducono, per confessarvi, sperando nella vostra indulgenza, una delle più sanguinose macchie nel mio passato che, se non candido, è forse meno lercio di quello di tanti altri. Ma questa macchia, questo peso, questo gravame di infamia nella mia biografia, ecco, io ve lo dico, ho cercato in tutti i modi di nascondervelo, ma ora non ce la faccio più: voglio entrare nel 2018 essendomi liberato dallo stigma della mia abiezione, dopo aver affrontato le vostre giuste reprimende; voglio fare atto di contrizione per l'abominio inconfessabile del quale sono stato capace; desidero purgarmi da questa mia colpa così flagrante, nella sua evidenza, che a tutti voi è evidentemente sfuggita, nonostante sia, almeno a valutarla col metro della cronaca odierna, la più infamante delle colpe.
Non voglio tenervi in sospeso, non voglio che l'angoscia vi opprima, e ho ansia di sottopormi ai riti espiatori che voi, col vostro illuminato giudizio, saprete propormi: fra il 2001 e il 2005 ho insegnato nel corso di laurea in Economia della cooperazione internazionale e dello sviluppo (ECIS), laurea triennale attivata dall'Università di Roma "La Sapienza", per i cui studenti scrissi questo testo.
[...]
Ma...
Ma...
Ma...
Ma come?
Ma veramente non riuscite a capire quale abisso, quale sprofondo, quale baratro di infamia e di ignominia ciò rappresenti? Ma come potete essere così ottusi, così nzenzibbbili, così fascisti!?
Scusate, le parole hanno un significato: cooperazione internazionale, capite? Cooperazione coi paesi in via di sviluppo, vi rendete conto?, insomma: cooperazione allo sviluppo. Sarebbe questa cosa qui, sarebbe...
E voi non vedete...
Ma allora... ma allora forse avrei potuto tacere, e la mia turpitudine vi sarebbe rimasta celata: avrei perso per sempre il rispetto di me stesso, ma avrei potuto sostituirlo col vostro (una sostituzione di rispetti...). Ormai, però, è troppo tardi. Ormai, se non vi confessassi io il mio lurido segreto, sareste voi a sollecitare da me quest'opera di dolorosa verità. Devo applicare il ferro rovente della più profonda e caustica contrizione su questa piaga purulenta della mia anima. Devo farlo, e lo farò: forse, il modo più naturale per farlo è confessarvi quand'è che ho perso il rispetto di me stesso.
Non è passato molto tempo: è successo leggendo questa articolessa, o forse una articolessa consimile. Non capite? Non mi ero accorto di aver partecipato a un progetto nazifascioleghistxenopopulistrassista. Perché, cari amici, per definizione la Cooperazione allo sviluppo si occupa di aiutare le popolazioni in via di sviluppo a svilupparsi (appunto) a casa loro. E aiutare i popoli "a casa loro" è ormai irrimediabilmente, irrevocabilmente, inappellabilmente un progetto di destra! Sono stato, se pure a mia insaputa, nazifascioleghistxenopopulistrassista, perché, si sa, solo i nazifascioleghistxenopopulistrassisti desiderano che ogni comunità si sviluppi in autonomia, si riappropri dei propri territori e delle proprie risorse e le utilizzi per aumentare il proprio benessere, emancipandosi dalle logiche predatorie, retaggio del colonialismo. Le signorine di buona famiglia di sinistra, quelle che ex cathedra separano i salvati dai sommersi, come in un allegorico Giudizio Universale, loro, lo sanno che questo è fascismo: l'unica risposta a tutti i problemi di quello che una volta chiamavamo terzo mondo (e ora non più, per timore di doverci classificare al quarto posto) è l'immigrazionismo: non aiutarli a creare ricchezza, ma condividere con loro la nostra ritrovata povertà (relativa, va da sé).
Dice: ma il Ministero degli Affari Esteri ha una Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo! E cosa volete che vi dica? Questi funzionari, che si occupano di gestire programmi di cooperazione (cioè, in soldoni, di aiutare i nostri fratelli meno avvantaggiati a casa loro), sono in tutta evidenza un covo di nostalgici: la mattina, entrando in ufficio, si saluteranno col braccio teso, avranno tutti la felpa verde, e il busto del Duce sul tavolo, perché aiutare le popolazioni in via di sviluppo a casa loro è fascismo: andate su Twitter, chiunque ve lo dirà: non avrete nemmeno bisogno di interpellare Saviano!
Dice: ma anni e anni di letteratura scientifica sull'economia di sviluppo, con tanto di riviste peer reviewed, di premi Nobel (da Kuznets in giù)... Tutto ciarpame intellettuale fatto per tacitare le coscienze e distogliere dalla vera soluzione del problema, che è e resta una sola, quella che il coro angelico delle anime belle compattamente, massicciamente, tetragonamente ci indica: accoglierli a casa nostra.
Ora sapete.
Questa è la macchia che grava sul mio passato.
Pensate come avrebbero fatto strame di me i leoni da tastiera di cui ho aperto la gabbia con questo tweet, se solo avessero saputo che nel mio passato c'era la smoking gun, la prova inoppugnabile della mia comunione di intenti con quel progetto fascioleghista che fu ECIS!
Un'esperienza (quella dell'apertura delle gabbie - anche ECIS comunque non scherzava!) ai confini della realtà, che vi consiglio di fare con me scorrendo le centinaia di risposte deliranti fornite da personaggi improbabili sia direttamente a me, sia nei dibattiti ancillari al mio post. Credo non ci sia nulla di più salutare e istruttivo per farvi capire bene qual è la radice del male, qual è il problema.
Basterà osservare una cosa: non sono riucito a trovare uno, che sia uno, fra gli iussolisti con la bava alla bocca che non avesse rituittato Cottarelli o Boeri o roba simile.
Questo la dice lunga su molte cose.
Intanto, sulla sbalorditiva ingenuità di questi soggetti: una variopinta congerie di precari in rampa di lancio verso un ramingo futuro da expat (che si vendicano esternando livore razzista verso un paese che disprezzano perché non li ha saputi valorizzare, ma la cui cittadinanza infamante vogliono elargire manibus plenis - o anche no, perché poi dalla discussione è emerso che la legge de cujus non è che apportasse radicali cambiamenti : ma di questo parleremo un'altra volta); decrescisti col portafoglio degli altri, incapaci di comprendere che questa battaglia in difesa delle nazionalità (e della sua salvifica attribuzione ai nostri fratelli immigrati) viene, stranamente, da quella parte politica che ha fatto della demonizzazione della nazionalità l'unica prospettiva messianica, irenica, palingenetica del proprio orizzonte politico: la dissoluzione di questa "polvere senza sostanza" nella super-nazione Europea essendo l'unica nostra fonte di salvezza (per gli iussolisti furbi, quelli che siedono in Parlamento); dottori di ricerca in storia del cetriolo a pois, giustamente remunerati dal mercato accademico con una qualche cattedra precaria in qualche liceo di qualche provincia, incapaci di discernere alcuni ovvi principi sui quali mi appresto ad intrattenervi.
Ecco: diciamo che la giornata di ieri ha dimostrato che essere imbecille non è necessario, per essere immigrazionista. Però aiuta. Con pochissime eccezioni (pochissime e temporanee, aggiungo), i miei gentili interlocutori, nonché rituittatori dei volenterosi carnefici dell'austerità, appartenevano in tutta evidenza al novero delle vittime di quelle politiche scellerate che questo blog nacque per denunciare, prevedendone lo scontato fallimento, quando farlo era un atto di coraggio. Ora farlo è una banalità, e quindi tutti dicono che l'austerità è stata un errore, tranne due categorie di persone: la dott.ssa De Romanis (che fa categoria a sé), e alcune vittime dell'austerità, quelle diversamente lungimiranti.
Mi sono fatto l'idea, leggendo certe risposte (del tipo: "sono i vecchi com voi che ci hanno rubato il futuro, non 800000 ggiovani di colore" o similare), che l'ansia immigrazionista certi imbecilli ce l'abbiano perché hanno abboccato al racconto demagogico e fattualmente infondato di Boeri, quello secondo cui "gli immigrati di pagano la pensione". Un gran mischione dove si confonde immigrazione interna (all'UE) ed esterna, lavoratori regolari e immigrati clandestini, e dove, soprattutto, non si chiarisce che i contributi li paga chi lavora, non chi immigra, e che il governo italiano in questo momento avrebbe la priorità di riportare il tasso di disoccupazione italiano almeno sotto le due cifre?
"Rassisstaaaaaaaa! Dici prima gli italianiiiiiiii!"
No, non è così, è un po' (parecchio) diverso. Io, che mi occupavo di terzo mondo quando gli imbecilli no border erano imbecilli no global (cioè erano imbecilli, cioè erano quello che sono e resteranno), parto da un presupposto molto semplice: quello che mi sento ripetere ogni volta che, da nazifascioleghistxenopopulistrassista, prendo l'aereo per girare il mondo. La mascherina dell'ossigeno devi metterla prima a te, e poi a chi ti sta accanto (se non ce l'ha fatta), per il semplice motivo che da svenuto non puoi aiutare nessuno. Il nostro paese è stato distrutto da quelli che ci propongono come panacea i lavoratori altrui (dopo averci proposto come panacea la moneta altrui, e chi è qui sa fare il collegamento), e un paese distrutto semplicemente non ha risorse per aiutare nessuno: non è questione di alloctoni o di autoctoni. Ci sarebbe poi l'altra questione su cui ci siamo soffermati: non esiste un diritto all'immigrazione, nessuna dichiarazione dei diritti dell'uomo lo sancisce (et pour cause), mentre esiste un dovere di accogliere i rifugiati, e questo dovere non riusciamo ad esercitarlo con sufficiente solerzia proprio perché, per motivi scellerati, abbiamo mandato al potere gli immigrazionisti: quelli che, ideologicamente, vedono nella libera immigrazione in Italia la soluzione dei problemi del mondo, senza se, senza ma.
Certo, i nostri aiuti allo sviluppo sono cronicamente insufficienti. Lo sono sempre stati proprio perché l'egemonia culturale e politica è stata esercitata dai neoliberisti (cioè dagli idoli degli iussolisti scemi - e anche di quelli furbi), i quali, come sappiamo, vogliono reprimere la spesa pubblica - qualsiasi spesa - sotto la fulgida egida del "non ci sono risorse"! Oggi il problema è aggravato dal fatto che, per motivi tanto assurdi quanto noti, parte delle risorse che potremmo dedicare all'emancipazione di quei popoli (tema che la sinistra, inutile dirlo, oggi aborre), viene dedicata al loro traghettamento (pudicamente proposto come salvataggio contro ogni evidenza e contro ogni scandalo). Ma naturalmente le risorse ci sarebbero sia per traghettare, che per emancipare. La scelta di fare solo una di queste cose è una scelta politica, ed è, attenzione!, una scelta nella quale la sovranità popolare non è stata coinvolta, venendo completamente sovrastata da quella di organizzazioni ormai chiaramente individuabili come braccio operativo di un progetto esogeno al nostro paese. Del resto, non fanno molto per nasconderlo...
Naturalmente, gli iussolisti scemi erano praticamente tutti europeisti. Eppure, non ce n'era nemmeno uno che notasse come da questo dibattito l'Europa fosse totalmente assente, sia in chiave comparativa (per lo iussolista scemo l'Italia è merda - e di questa merda vuol coprire chiunque prenda un gommone per arrivarci - ma cosa accada negli altri paesi europei, se provate a chiederglielo, non ve lo sa dire...), che in chiave propositiva (ma cazzo, credete tanto a Leuropa, e allora invocatela per risolvere il problema!) Sì, perché c'è questa strana caratteristica dell'immigrazionismo, che più di essere un'ideologia è una religione (con tanto di pensiero magico). In quanto religione, ha una sua terra promessa, che però è una e una sola: l'Italia - che fra l'altro è esattamente quella dove molti di quelli che arrivano non vorrebero restare! Ma, ecco, vedete, anche qui ce ne sarebbe da dire. Perché un'altra cosa colpisce nello iussolista: a lui di cosa realmente voglia chi arriva qui importa sostanzialmente sega. Dice: "io a sto bimbo la nazionalità di questo paese demmerda gliela devo da dà, a tutti i costi!". E se lui non la vuole? E se ricevendola perde quella del suo paese di origine (o di origine dei suoi genitori)? E se lui qui non vuole restarci? E chi se ne frega! Ogni religione vuole sacrifici, e le vittime dell'immigrazionismo sono, naturalmente, gli immigrati.
Basta sottolineare l'ovvio motivo che un processo così complesso non dovrebbe essere affidato alla carità pelosa di organizzazioni arroganti e non trasparenti, che tanta parte hanno avuto nel generare il traffico (e quindi le vittime). Poi, perché c'è un problema di fondo, strutturale, quello cui accenno nel titolo. Inutile girarci intorno: vale a livelli internazionale quello che è valso qui, a casa nostra, per tanto tempo. L'immigrazionismo, con buona pace dei tanti razzisti che pure circolano e che non hanno la mia simpatia, altro non è, da parte delle ex potenze coloniali, che una fase ulteriore di appropriazione delle risorse delle ex colonie. Dopo averle depredate delle loro risorse naturali, le deprediamo delle loro risorse umane. Sì, ho visto obiezioni allucinanti su Twitter: "Ma qui vengono solo sfaccendati, ruffiani e puttane!" Questo è quello che vedete voi, e non voglio discuterlo. Diciamo che l'Italia ha mandato negli Stati Uniti Gabriele Capone (il padre di Al) e Enrico Fermi (il padre della bomba atomica), in tempi e per motivi diversi. Suppongo che gli americani si saranno lamentati molto del primo, e un po' di meno del secondo. Suppongo anche che qualche razzista commenterà che non abbiamo ancora visto l'Enrico Fermi del Niger. Avrei un'obiezione a questo argomento, ma a me interesse metterne in risalto un altro: se pure quelle che vediamo per strada fossero solo braccia rubate all'agricoltura (sposo la vostra tesi) sarebbero, appunto, braccia rubate all'agricoltura di paesi nei quali l'autosufficienza alimentare non è un dato banale. La forza lavoro è una risorsa, è un fattore produttivo, e la libera mobilità dei fattori produttivi è benefica e equilibrante solo nei modelli neoclassici, cioè nell'ossatura ideologica del liberismo oltranzista. Noi qui abbiamo visto che la mobilità del lavoro è particolarmente destabilizzante perché tende ad amplificare il divario fra paese di provenienza e di destinazione. Nel modello neoclassico, ogni bracciante che parte dal Niger contribuisce a far aumentare il salario di quelli che restano. Nel mondo reale, contribuisce a impoverire il paese. Questa non è una mia idea nazifascioleghistxenopopulistrassista, e non è nemmeno solo una congerie di elucubrazioni teoriche di economisti che "non sono scienziati" (altro ritornello neoliberista cui gli iussolisti scemi, in quanto scemi, sono particolarmente sensibili, come potrete vedere): è anche quanto i vescovi africani vedono e stigmatizzano, perché vale, su scala minore, quello che vale per noi: anni e risorse spesi per istruire persone, che poi vanno altrove, creando un danno al paese di origine.
Ma questo, agli immigrazionisti, non interessa: a loro della vita in Burkina Faso, o in Sierra Leone, frega cazzi! Ben contenti e soddisfatti di essere nati dalla parte giusta del mondo, e, in questa parte giusta, di essere nati dalla parte giusta dello spettro ideologico, a loro interessa solo che qualcuno venga qui a "pakarglilapensione", perché così gli hanno detto che succederà i giornali dei padroni, cui loro, da buoni imbecilli di sinistra, credono, perché Gramsci per loro se va bene è un liceo, se va male una strada, e nella maggior parte dei casi non è niente.
Questa è la feccia con la quale dovremo ricostruire questo cazzo di paese, non so se è chiaro: una torma di imbecilli sottoproletarizzati da decenni di propaganda a reti unificate, pronti a sollevarsi (sotto l'egida di ogni e qualsiasi organizzazione imperialistica i loro caporioni gli propongano in base alle loro logiche elettoralistiche) per difendere progetti la cui matrice ultraliberista (quindi fallimntare e fascista) dovrebbe essere immediatamente leggibile da chiunque avesse delle minime basi di storia del pensiero, ma anche di mero buon senso.
E invece gnente.
E ora venitemi a raccontare che il problema è fare il partito del 51%!
(...i refusi li lascio a voi: tanto vi dovevo, e ora giro pagina...)
vengo qui a voi, in questo clima di riconciliazione e di sorellanza (fratellanza sarebbe politicamente scorretto) che le festività inducono, per confessarvi, sperando nella vostra indulgenza, una delle più sanguinose macchie nel mio passato che, se non candido, è forse meno lercio di quello di tanti altri. Ma questa macchia, questo peso, questo gravame di infamia nella mia biografia, ecco, io ve lo dico, ho cercato in tutti i modi di nascondervelo, ma ora non ce la faccio più: voglio entrare nel 2018 essendomi liberato dallo stigma della mia abiezione, dopo aver affrontato le vostre giuste reprimende; voglio fare atto di contrizione per l'abominio inconfessabile del quale sono stato capace; desidero purgarmi da questa mia colpa così flagrante, nella sua evidenza, che a tutti voi è evidentemente sfuggita, nonostante sia, almeno a valutarla col metro della cronaca odierna, la più infamante delle colpe.
Non voglio tenervi in sospeso, non voglio che l'angoscia vi opprima, e ho ansia di sottopormi ai riti espiatori che voi, col vostro illuminato giudizio, saprete propormi: fra il 2001 e il 2005 ho insegnato nel corso di laurea in Economia della cooperazione internazionale e dello sviluppo (ECIS), laurea triennale attivata dall'Università di Roma "La Sapienza", per i cui studenti scrissi questo testo.
[...]
Ma...
Ma...
Ma...
Ma come?
Ma veramente non riuscite a capire quale abisso, quale sprofondo, quale baratro di infamia e di ignominia ciò rappresenti? Ma come potete essere così ottusi, così nzenzibbbili, così fascisti!?
Scusate, le parole hanno un significato: cooperazione internazionale, capite? Cooperazione coi paesi in via di sviluppo, vi rendete conto?, insomma: cooperazione allo sviluppo. Sarebbe questa cosa qui, sarebbe...
E voi non vedete...
Ma allora... ma allora forse avrei potuto tacere, e la mia turpitudine vi sarebbe rimasta celata: avrei perso per sempre il rispetto di me stesso, ma avrei potuto sostituirlo col vostro (una sostituzione di rispetti...). Ormai, però, è troppo tardi. Ormai, se non vi confessassi io il mio lurido segreto, sareste voi a sollecitare da me quest'opera di dolorosa verità. Devo applicare il ferro rovente della più profonda e caustica contrizione su questa piaga purulenta della mia anima. Devo farlo, e lo farò: forse, il modo più naturale per farlo è confessarvi quand'è che ho perso il rispetto di me stesso.
Non è passato molto tempo: è successo leggendo questa articolessa, o forse una articolessa consimile. Non capite? Non mi ero accorto di aver partecipato a un progetto nazifascioleghistxenopopulistrassista. Perché, cari amici, per definizione la Cooperazione allo sviluppo si occupa di aiutare le popolazioni in via di sviluppo a svilupparsi (appunto) a casa loro. E aiutare i popoli "a casa loro" è ormai irrimediabilmente, irrevocabilmente, inappellabilmente un progetto di destra! Sono stato, se pure a mia insaputa, nazifascioleghistxenopopulistrassista, perché, si sa, solo i nazifascioleghistxenopopulistrassisti desiderano che ogni comunità si sviluppi in autonomia, si riappropri dei propri territori e delle proprie risorse e le utilizzi per aumentare il proprio benessere, emancipandosi dalle logiche predatorie, retaggio del colonialismo. Le signorine di buona famiglia di sinistra, quelle che ex cathedra separano i salvati dai sommersi, come in un allegorico Giudizio Universale, loro, lo sanno che questo è fascismo: l'unica risposta a tutti i problemi di quello che una volta chiamavamo terzo mondo (e ora non più, per timore di doverci classificare al quarto posto) è l'immigrazionismo: non aiutarli a creare ricchezza, ma condividere con loro la nostra ritrovata povertà (relativa, va da sé).
Dice: ma il Ministero degli Affari Esteri ha una Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo! E cosa volete che vi dica? Questi funzionari, che si occupano di gestire programmi di cooperazione (cioè, in soldoni, di aiutare i nostri fratelli meno avvantaggiati a casa loro), sono in tutta evidenza un covo di nostalgici: la mattina, entrando in ufficio, si saluteranno col braccio teso, avranno tutti la felpa verde, e il busto del Duce sul tavolo, perché aiutare le popolazioni in via di sviluppo a casa loro è fascismo: andate su Twitter, chiunque ve lo dirà: non avrete nemmeno bisogno di interpellare Saviano!
Dice: ma anni e anni di letteratura scientifica sull'economia di sviluppo, con tanto di riviste peer reviewed, di premi Nobel (da Kuznets in giù)... Tutto ciarpame intellettuale fatto per tacitare le coscienze e distogliere dalla vera soluzione del problema, che è e resta una sola, quella che il coro angelico delle anime belle compattamente, massicciamente, tetragonamente ci indica: accoglierli a casa nostra.
Ora sapete.
Questa è la macchia che grava sul mio passato.
Pensate come avrebbero fatto strame di me i leoni da tastiera di cui ho aperto la gabbia con questo tweet, se solo avessero saputo che nel mio passato c'era la smoking gun, la prova inoppugnabile della mia comunione di intenti con quel progetto fascioleghista che fu ECIS!
Un'esperienza (quella dell'apertura delle gabbie - anche ECIS comunque non scherzava!) ai confini della realtà, che vi consiglio di fare con me scorrendo le centinaia di risposte deliranti fornite da personaggi improbabili sia direttamente a me, sia nei dibattiti ancillari al mio post. Credo non ci sia nulla di più salutare e istruttivo per farvi capire bene qual è la radice del male, qual è il problema.
Basterà osservare una cosa: non sono riucito a trovare uno, che sia uno, fra gli iussolisti con la bava alla bocca che non avesse rituittato Cottarelli o Boeri o roba simile.
Questo la dice lunga su molte cose.
Intanto, sulla sbalorditiva ingenuità di questi soggetti: una variopinta congerie di precari in rampa di lancio verso un ramingo futuro da expat (che si vendicano esternando livore razzista verso un paese che disprezzano perché non li ha saputi valorizzare, ma la cui cittadinanza infamante vogliono elargire manibus plenis - o anche no, perché poi dalla discussione è emerso che la legge de cujus non è che apportasse radicali cambiamenti : ma di questo parleremo un'altra volta); decrescisti col portafoglio degli altri, incapaci di comprendere che questa battaglia in difesa delle nazionalità (e della sua salvifica attribuzione ai nostri fratelli immigrati) viene, stranamente, da quella parte politica che ha fatto della demonizzazione della nazionalità l'unica prospettiva messianica, irenica, palingenetica del proprio orizzonte politico: la dissoluzione di questa "polvere senza sostanza" nella super-nazione Europea essendo l'unica nostra fonte di salvezza (per gli iussolisti furbi, quelli che siedono in Parlamento); dottori di ricerca in storia del cetriolo a pois, giustamente remunerati dal mercato accademico con una qualche cattedra precaria in qualche liceo di qualche provincia, incapaci di discernere alcuni ovvi principi sui quali mi appresto ad intrattenervi.
Ecco: diciamo che la giornata di ieri ha dimostrato che essere imbecille non è necessario, per essere immigrazionista. Però aiuta. Con pochissime eccezioni (pochissime e temporanee, aggiungo), i miei gentili interlocutori, nonché rituittatori dei volenterosi carnefici dell'austerità, appartenevano in tutta evidenza al novero delle vittime di quelle politiche scellerate che questo blog nacque per denunciare, prevedendone lo scontato fallimento, quando farlo era un atto di coraggio. Ora farlo è una banalità, e quindi tutti dicono che l'austerità è stata un errore, tranne due categorie di persone: la dott.ssa De Romanis (che fa categoria a sé), e alcune vittime dell'austerità, quelle diversamente lungimiranti.
Mi sono fatto l'idea, leggendo certe risposte (del tipo: "sono i vecchi com voi che ci hanno rubato il futuro, non 800000 ggiovani di colore" o similare), che l'ansia immigrazionista certi imbecilli ce l'abbiano perché hanno abboccato al racconto demagogico e fattualmente infondato di Boeri, quello secondo cui "gli immigrati di pagano la pensione". Un gran mischione dove si confonde immigrazione interna (all'UE) ed esterna, lavoratori regolari e immigrati clandestini, e dove, soprattutto, non si chiarisce che i contributi li paga chi lavora, non chi immigra, e che il governo italiano in questo momento avrebbe la priorità di riportare il tasso di disoccupazione italiano almeno sotto le due cifre?
"Rassisstaaaaaaaa! Dici prima gli italianiiiiiiii!"
No, non è così, è un po' (parecchio) diverso. Io, che mi occupavo di terzo mondo quando gli imbecilli no border erano imbecilli no global (cioè erano imbecilli, cioè erano quello che sono e resteranno), parto da un presupposto molto semplice: quello che mi sento ripetere ogni volta che, da nazifascioleghistxenopopulistrassista, prendo l'aereo per girare il mondo. La mascherina dell'ossigeno devi metterla prima a te, e poi a chi ti sta accanto (se non ce l'ha fatta), per il semplice motivo che da svenuto non puoi aiutare nessuno. Il nostro paese è stato distrutto da quelli che ci propongono come panacea i lavoratori altrui (dopo averci proposto come panacea la moneta altrui, e chi è qui sa fare il collegamento), e un paese distrutto semplicemente non ha risorse per aiutare nessuno: non è questione di alloctoni o di autoctoni. Ci sarebbe poi l'altra questione su cui ci siamo soffermati: non esiste un diritto all'immigrazione, nessuna dichiarazione dei diritti dell'uomo lo sancisce (et pour cause), mentre esiste un dovere di accogliere i rifugiati, e questo dovere non riusciamo ad esercitarlo con sufficiente solerzia proprio perché, per motivi scellerati, abbiamo mandato al potere gli immigrazionisti: quelli che, ideologicamente, vedono nella libera immigrazione in Italia la soluzione dei problemi del mondo, senza se, senza ma.
Certo, i nostri aiuti allo sviluppo sono cronicamente insufficienti. Lo sono sempre stati proprio perché l'egemonia culturale e politica è stata esercitata dai neoliberisti (cioè dagli idoli degli iussolisti scemi - e anche di quelli furbi), i quali, come sappiamo, vogliono reprimere la spesa pubblica - qualsiasi spesa - sotto la fulgida egida del "non ci sono risorse"! Oggi il problema è aggravato dal fatto che, per motivi tanto assurdi quanto noti, parte delle risorse che potremmo dedicare all'emancipazione di quei popoli (tema che la sinistra, inutile dirlo, oggi aborre), viene dedicata al loro traghettamento (pudicamente proposto come salvataggio contro ogni evidenza e contro ogni scandalo). Ma naturalmente le risorse ci sarebbero sia per traghettare, che per emancipare. La scelta di fare solo una di queste cose è una scelta politica, ed è, attenzione!, una scelta nella quale la sovranità popolare non è stata coinvolta, venendo completamente sovrastata da quella di organizzazioni ormai chiaramente individuabili come braccio operativo di un progetto esogeno al nostro paese. Del resto, non fanno molto per nasconderlo...
Naturalmente, gli iussolisti scemi erano praticamente tutti europeisti. Eppure, non ce n'era nemmeno uno che notasse come da questo dibattito l'Europa fosse totalmente assente, sia in chiave comparativa (per lo iussolista scemo l'Italia è merda - e di questa merda vuol coprire chiunque prenda un gommone per arrivarci - ma cosa accada negli altri paesi europei, se provate a chiederglielo, non ve lo sa dire...), che in chiave propositiva (ma cazzo, credete tanto a Leuropa, e allora invocatela per risolvere il problema!) Sì, perché c'è questa strana caratteristica dell'immigrazionismo, che più di essere un'ideologia è una religione (con tanto di pensiero magico). In quanto religione, ha una sua terra promessa, che però è una e una sola: l'Italia - che fra l'altro è esattamente quella dove molti di quelli che arrivano non vorrebero restare! Ma, ecco, vedete, anche qui ce ne sarebbe da dire. Perché un'altra cosa colpisce nello iussolista: a lui di cosa realmente voglia chi arriva qui importa sostanzialmente sega. Dice: "io a sto bimbo la nazionalità di questo paese demmerda gliela devo da dà, a tutti i costi!". E se lui non la vuole? E se ricevendola perde quella del suo paese di origine (o di origine dei suoi genitori)? E se lui qui non vuole restarci? E chi se ne frega! Ogni religione vuole sacrifici, e le vittime dell'immigrazionismo sono, naturalmente, gli immigrati.
Basta sottolineare l'ovvio motivo che un processo così complesso non dovrebbe essere affidato alla carità pelosa di organizzazioni arroganti e non trasparenti, che tanta parte hanno avuto nel generare il traffico (e quindi le vittime). Poi, perché c'è un problema di fondo, strutturale, quello cui accenno nel titolo. Inutile girarci intorno: vale a livelli internazionale quello che è valso qui, a casa nostra, per tanto tempo. L'immigrazionismo, con buona pace dei tanti razzisti che pure circolano e che non hanno la mia simpatia, altro non è, da parte delle ex potenze coloniali, che una fase ulteriore di appropriazione delle risorse delle ex colonie. Dopo averle depredate delle loro risorse naturali, le deprediamo delle loro risorse umane. Sì, ho visto obiezioni allucinanti su Twitter: "Ma qui vengono solo sfaccendati, ruffiani e puttane!" Questo è quello che vedete voi, e non voglio discuterlo. Diciamo che l'Italia ha mandato negli Stati Uniti Gabriele Capone (il padre di Al) e Enrico Fermi (il padre della bomba atomica), in tempi e per motivi diversi. Suppongo che gli americani si saranno lamentati molto del primo, e un po' di meno del secondo. Suppongo anche che qualche razzista commenterà che non abbiamo ancora visto l'Enrico Fermi del Niger. Avrei un'obiezione a questo argomento, ma a me interesse metterne in risalto un altro: se pure quelle che vediamo per strada fossero solo braccia rubate all'agricoltura (sposo la vostra tesi) sarebbero, appunto, braccia rubate all'agricoltura di paesi nei quali l'autosufficienza alimentare non è un dato banale. La forza lavoro è una risorsa, è un fattore produttivo, e la libera mobilità dei fattori produttivi è benefica e equilibrante solo nei modelli neoclassici, cioè nell'ossatura ideologica del liberismo oltranzista. Noi qui abbiamo visto che la mobilità del lavoro è particolarmente destabilizzante perché tende ad amplificare il divario fra paese di provenienza e di destinazione. Nel modello neoclassico, ogni bracciante che parte dal Niger contribuisce a far aumentare il salario di quelli che restano. Nel mondo reale, contribuisce a impoverire il paese. Questa non è una mia idea nazifascioleghistxenopopulistrassista, e non è nemmeno solo una congerie di elucubrazioni teoriche di economisti che "non sono scienziati" (altro ritornello neoliberista cui gli iussolisti scemi, in quanto scemi, sono particolarmente sensibili, come potrete vedere): è anche quanto i vescovi africani vedono e stigmatizzano, perché vale, su scala minore, quello che vale per noi: anni e risorse spesi per istruire persone, che poi vanno altrove, creando un danno al paese di origine.
Ma questo, agli immigrazionisti, non interessa: a loro della vita in Burkina Faso, o in Sierra Leone, frega cazzi! Ben contenti e soddisfatti di essere nati dalla parte giusta del mondo, e, in questa parte giusta, di essere nati dalla parte giusta dello spettro ideologico, a loro interessa solo che qualcuno venga qui a "pakarglilapensione", perché così gli hanno detto che succederà i giornali dei padroni, cui loro, da buoni imbecilli di sinistra, credono, perché Gramsci per loro se va bene è un liceo, se va male una strada, e nella maggior parte dei casi non è niente.
Questa è la feccia con la quale dovremo ricostruire questo cazzo di paese, non so se è chiaro: una torma di imbecilli sottoproletarizzati da decenni di propaganda a reti unificate, pronti a sollevarsi (sotto l'egida di ogni e qualsiasi organizzazione imperialistica i loro caporioni gli propongano in base alle loro logiche elettoralistiche) per difendere progetti la cui matrice ultraliberista (quindi fallimntare e fascista) dovrebbe essere immediatamente leggibile da chiunque avesse delle minime basi di storia del pensiero, ma anche di mero buon senso.
E invece gnente.
E ora venitemi a raccontare che il problema è fare il partito del 51%!
(...i refusi li lascio a voi: tanto vi dovevo, e ora giro pagina...)
domenica 24 dicembre 2017
Se sò magnati tutto: Frignolo e lo spirito del Natale
Tanto tuonò che piovve: alla fine, dopo anni di rapido e inesorabile declino, i nodi del Sole 24 Ore vengono al pettine. Il crollo della diffusione è impressionante. Nel settembre 2008, quando si scatenò la crisi alla quale devo il piacere di conoscervi, la sua diffusione media era di 335.687 copie (Il Corriere: 597.170; La Repubblica: 520.179; La Stampa: 307.439). Gli ultimi dati certificati disponibili sul sito dell'ADS ci dicono che oggi la diffusione media è scesa a 97.752 copie (-71%), rispetto alle 230.526 del Corriere (-61%), alle 190.458 di Repubblica (-63%), e alle 145.199 della Stampa (-53%). Tra l'altro, ci sarebbe quel problemino delle copie gonfiate, sulle quali mi par di capire che la magistratura stia lavorando. Purtroppo non sono del settore, né ho voglia di fare telefonate per cose di così piccolo momento, quindi non so dirvi se questo increscioso incidente di percorso influenzi i dati, che già così sono eloquenti: in un periodo in cui la violenza della crisi economica ha promosso nel pubblico un interesse appassionato per l'informazione economica, il principale quotidiano economico italiano è anche quello che, fra i grandi del settore, subisce la contrazione più drastica della tiratura!
Per riuscire a vendere di meno un prodotto la cui domanda, almeno potenzialmente, è in crescita, ce ne vuole del bello e del buono!
E così il mercato (che è il nostro pastore) ha presentato il conto, nel più classico dei modi, come ci annunciava un paio di giorni fa il comitato di redazione:
con un comunicato che Malte Laurids Brigge (che ha una marcia in più) riassumeva in questi termini:
In effetti, a prescindere dalle competenze economiche dei suoi estensori, sulle quali ci siamo altre volte diffusamente intrattenuti, va detto che questo comunicato non è esattamente un capolavoro di comunicazione (né, forse, voleva esserlo). Sono gli stessi giornalisti a confessare di non aspettarsi una decisione simile (la disdetta unilaterale di un contratto integrativo) perché "senza precedenti nella storia delle relazioni sindacali del Sole 24 Ore", e di ritenerlo ingiusto perché essi avevano "denunciato in tutti i modi la gestione dissennata del recente passato".
Ora, c'è da dire che con la fulgida eccezione di quattro di loro (Donatella Stasio, Nicola Borzi, Alessandro Galimberti, Giovanni Negri, come racconta Giorgio Meletti), di quel recente passato i giornalisti che oggi si indignano avevano pur fatto parte. Ma soprattutto, è evidente che a sorprenderli non è quanto è successo, ma il fatto che sia successo a loro. Perché non si può proprio dire che sia una disdetta unilaterale di contratto integrativo sia una assoluta novità: i lavoratori di Carrefour, Europoligrafico, Coop Nordest, Ikea, Telecom, e via dicendo, in vari tempi e con diversi esiti si sono trovati in una situazione simile. Ora, queste aziende cosa hanno in comune? Niente, direi. Grandi, piccole, gestite bene, gestite male... tutte da lì sono dovute passare: da un taglio fra il 15% e il 30% dei salari dei loro dipendenti, che poi corrisponde, indovinate un po' a cosa? A spanne, all'ordine di grandezza della perdita di competitività dell'Italia rispetto alla Germania, nelle stime elaborate da Bootle per il suo saggio sull'uscita dall'euro (lo trovate qui, e le stime sono nell'appendice A7).
Ora, questa, per noi, è accademia.
Noi abbiamo studiato, e soprattutto abbiamo studiato gli autori giusti, per cui sappiamo quanto ci racconta Keynes ne Le conseguenze economiche di Winston Churchill, in un passo che abbiamo letto e commentato molto spesso (il commento più accurato forse è qui): la perdita di competitività determinata da un accordo di cambio fisso insostenibile colpisce prima il manifatturiero orientato all'export, ma poi, inesorabilmente, come una cancrena, risale attraverso tutti gli altri settori, fino a quando le retribuzioni di tutti non hanno internalizzato il divario fra prezzi interni e esteri espressi in valuta comune. Eh, già: perché se questo divario non viene ammortizzato dal tasso di cambio (attraverso le normali leggi della domanda e dell'offerta: minor domanda di beni nazionali è minor domanda di valuta nazionale, il cui valore quindi naturalmente flette), deve essere ammortizzato dai salari, e dai salari di tutti. O vi aspettate, forse, che un cambio insostenibile ridistribuisca il reddito a favore delle categorie protette, per cui, ad esempio, i giornalisti del Sole 24 Ore dovrebbero vedere i propri redditi intatti, mentre gli operai dell'Electrolux (come ci riportava Annichiarico) dovrebbero (guarda un po') vedersi sospesa la contrattazione di secondo livello!? Questo equivarrebbe (lo dico per gli eventuali giornalisti che, colpiti dalla crisi, fossero venuti dove si informa per capire cosa è successo loro) a un aumento del reddito dei giornalisti, in termini relativi. Ma perché mai i giornalisti dovrebbero vedere il loro reddito aumentare? Certo, loro hanno il merito, molto apprezzato dal capitale, di negare oltre ogni evidenza le criticità di un sistema che il capitale ha creato a sua immagine e somiglianza, di quella unione monetaria il cui scopo, ben chiaro agli scienziati politici degli anni '90, era favorire lo sgretolamento dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori sotto l'urgenza delle crisi che inevitabilmente si sarebbero prodotte (valgono per tutte le analisi di Kevin Featherstone).
Ma c'è un problema: il processo di distruzione dei redditi è esplosivo e cumulativo, perché c'è una cosa che i giornalisti economici proprio non hanno capito dell'economia di mercato che tanto difendono, anzi: due. La prima è che ogni reddito di qualcuno prima è stata la spesa di qualcun altro (ad esempio dello Stato, come al Corriere si sono accorti, ma al Sole ancora no: che poi è il motivo per il quale meritano quanto sta accadendo...). Naturalmente, a corredo di questa semplice verità (ovvero: del fatto che non puoi guadagnare se nessuno spende), vale un ovvio corollario: ogni prezzo basso per qualcuno è un salario basso per qualcun altro. Questo significa che la prima azienda che taglia i salari taglia subito i redditi di altre aziende, e poi anche i salari delle aziende del medesimo settore (che devono seguirla nella compressione dei salari per non trovarsi fuori mercato), e così, a ricasco, altri redditi dentro e fuori dal settore, e via andare. Il crollo delle vendite si spiega (anche) così: con l'impoverimento del paese determinato da quella moneta unica che Il Sole 24 Ore ha difeso senza sé e senza ma, anche fuori tempo massimo.
L'analisi di Mario quindi è severa ma giusta:
Certo, so benissimo quale canzoncina cantino i giornalisti, anche i migliori, a se stessi. Quelli che rimproverano a voi di dare la colpa all'euro, anziché a voi stessi, quando poi si arriva a commentare i dati sul crollo delle vendite, non potendo dare la colpa all'euro per fedeltà al padrone, e non volendola dare a se stessi per sciocca superbia, si rifugiano in un #hastatoInternet di circostanza. Nessuno nega che Internet sia un problema, ma anche l'impoverimento della popolazione lo è, con in più un'aggravante: che quando si arriva ai redditi dei privilegiati, dei suoi ascari, il capitale sa di aver sostanzialmente già vinto la battaglia, e non vede più l'utilità dei suoi utili idioti, i quali, quindi restano solo degli idioti sacrificabili. Idioti, naturalmente, non in senso dispregiativo: in senso etimologico. Chi, a differenza di loro, ha cercato di non pensare solo a se stesso, e ha cominciato a documentarsi dove gli era possibile farlo, cioè su Internet, sa benissimo cosa sta succedendo: difendendo l'euro per conto dei delocalizzatori à la Squinzi o delle grandi multinazionali esposte in dollari, i compagni giornalisti del Sole 24 Ore hanno segato il ramo sul quale sedevano, e quel ramo si chiama Italia.
Difficile, ora, per chi sa, per chi ha avuto l'umiltà di intraprendere un percorso di formazione, perdonare l'arroganza di certe prese di posizione:
Capisco quindi le dure parole di Cesare:
Tuttavia, non me la sento di prorompere contro queste persone, nonostante spesso abbiano oggettivamente fatto il male, diffondendo una versione dei fatti distorta perché ideologicamente orientata (contro i loro stessi interessi, come la storia ci dimostra), e siano quindi spesso stati un oggettivo pericolo per la democrazia, in un'invettiva come quella che accompagnò la fine di un'altra prestigiosa testata.
Non c'entra molto lo spirito natalizio.
Ci sono due circostanze oggettive che spiegano questa mia relativa mitezza. La prima è che quello che, forse ingenuamente, consideravo come un tradimento sanguinoso da parte dei giornalisti dell'Unità, in quelli del Sole 24 Ore è un comportamento scusabile: cosa dovrebbe fare un giornalista del padrone se non attaccare l'asino dove vuole, appunto, il padrone? Dovrebbe forse morire di fame per fare un piacere a noi? La seconda è che provo solo compassione per chi, messo di fronte all'evidenza del fallimento di un sistema che ha difeso a spada tratta, non riesce proprio a capire cosa stia succedendo:
Ecco, vedete: Flaiano definì l'Italia un paese dove la realtà supera la fantasia. Questo non succede sempre: qualche volta la fantasia prende il vantaggio. In questo caso è successo, e, se permettete, ne vado fiero!
Ricordate come iniziava il mio libro del 2014? Col racconto, un po' romanzato, di uno dei miei pochi (ma inutili) incontri col Berlu:
Vedere una persona colta (ci sarebbe da definire il concetto)... diciamo: una persona istruita, che scrive sui giornali, prorompere seriamente in un'analisi assurda, come quella che io attribuivo caricaturalmente al tassista del 3570, uomo del popolo (nella mia esperienza molto più sveglio di tanti Soloni, ma non entriamo in questo), non ha prezzo!
A testimonianza del fatto che l'involontaria citazione del mio tassista da parte di Annichiarico non è antifrastica, cioè che lui è ben convinto di quanto dice, e non ha assolutamente capito in quale meccanismo è preso, quale sia l'ingranaggio che lo schiaccia (nel meritato dileggio generale), vale questa osservazione di Silvia di Livorno:
Il buon Annichiarico, quello che l'Electrolux doveva tagliare gli stipendi perché #avevastatolaCina e loro invece sono in crisi perché #sesòmagnatitutto, continua imperterrito a difendere le politiche di tagli dei redditi, senza proprio che gli passi per la testa che in un paese il cui Pil è tornato indietro di 20 anni l'euretto per il giornale dei padroni (che tanto oggi ti canta la stessa canzoncina del giornale dei lavoratori) non potrà spenderlo chi non ce l'ha, e non ce l'avranno soprattutto quelli ai quali le politiche che Annichiarico esalta lo avranno tolto. E gnente! Tanto sprezzo per i diritti degli altri lavoratori (quelli a monte della catena), tanta iattanza:
per poi trovarsi così, da un momento all'altro, senza sapere perché, investito da una valanga di pernacchie dopo aver fatto annunci che in tanti altri casi avevano promosso una accorata solidarietà:
Frignolo Annichiarico proprio non riesce a farsene una ragione, lui, e si chiama fuori, lui:
La colpa, ci dice, non è sua. La colpa è della direzione, e, si sa, le testate giornalistiche sono aziende un po' particolari: mentre in tutte le altre aziende, se il management sbaglia linea, è giusto che paghino i dipendenti, in un giornale, par di capire, no. Parola di giornalista!
Ah, bè, certo, la direzione scelte sbagliate ne ha fatte, come quella di riservare indebito spazio, presentandoli come Vangelo, a economisti applicati, esperti e competenti nel loro campo, ma privi di specifica esperienza di ricerca, lasciandoli propalare scenari improbabili, che non passerebbero una peer review in classe A:
(non ho nulla contro Codogno e Galli, mi limito a constatare che le loro poche pubblicazioni Scopus - in due ne hanno un sesto delle mie - di tutto si occupano tranne che di crisi valutarie, il che significa che saranno sicuramente bravissimi nel loro lavoro, ma questo non è, in tutta evidenza, tratteggiare scenari macroeconomici), mentre dai microfoni delle sue radio affidava al trio Monnezza il compito di dileggiare le voci realmente scientifiche presenti nel dibattito, cui non si dava uguale risalto.
Tuttavia, l'argomento "linea editoriale" fa un po' sorridere, per diversi motivi. Intanto, vale la giusta obiezione di Benedetto sulla clausola di coscienza:
Non è esattissimamente vero che i giornalisti debbano essere completamente proni ai voleri degli editori. Diciamo che esiste un sospetto fondato di vis grata puellae. La risposta del nostro nuovo amicoFrignolo Annichiarico, poi, è sinceramente imbarazzante, anche perché la linea editoriale non c'entra nulla! Come hanno attestato negli anni e continuano ad attestare i suoi tweet, lui in quella linea crede fermamente. Lo testimonia Scarpetta di Venere:
Quindi l'argomento secondo cui per sgravare la coscienza dal peso di una linea editoriale che non si condivide (a chiacchiere, perché nei fatti la si sostiene e diffonde su Twitter) sia rimedio efficace far lavorare gratis (sfruttandoli) un manipolo di esperti raccogliticci (fra cui alcuni nostri fuoriusciti), al vero scopo di far concorrenza (fallendo) a questo blog e di intorbidare le acque, simulando una falsa apertura di vedute, questo argomento, ecco... vabbé: è stato elegante Benedetto: no comment!
Del resto, Silvia ci ha fatto vedere che mentre tagliano il suo, di salario, lui continua a esortare Cottarelli a tagliare quello degli altri! Troppo facile, quindi, scantonare sull'argomento che laggente signora mia è tanta tanta cattiva:
Ci vorrebbe, in effetti, un po' più di dignità, o almeno di coerenza. Meglio: ci vorrebbe una vera solidarietà di classe, quella che forse riuscirebbe a far capire anche a questa gente, che nel 2017 ancora ragiona in un modo che a noi sembrava caricaturale già tre anni or sono, che in un paese in recessione nessun taglio di redditi è giustificato, e che a fronte di un attacco indiscriminato e massiccio ai diritti dei lavoratori ogni sciopero tutela tutti gli altri.
Ma possiamo aspettarci una simile "riforma strutturale" da chi si è costituito volenteroso carnefice al grido di FATE PRESTO!?
A chiacchiere sì.
Com'è anche prevedibile, al "laggente sono tanta cattiva signora mia", il nostro amico accompagna, in elegante simmetria, una appassionata perorazione in favore della libertà di pensiero:
Ci sarebbe uno spirito di rifondazione (parole che porta un po' sfiga), che prima o poi (quando?) potrebbe farsi strada (come?), e le battaglie sono lunghe e faticose (soprattutto se le combatti sparando addosso oggi a quelli che vuoi alleati domani!), e non si può semplificare sempre (ma se sono decenni che lo fate in continuazione, propalando la favola dell'eurone che avrebbe risolto tutti i nostri problemi?).
Insomma: siamo ancora molto lontani sia da un'analisi corretta, che da qualche minimo segno di possibile composizione del divario che questa classe giornalistica ha voluto scavare fra sé e il paese, pensando che quanto più ampio e pronunciato fosse il fossato che la separava da noi, tanto meno la crisi l'avrebbe attinta.
E invece...
Al nostro nuovo amicoFrignolo Annichiarico vorrei dire, molto pacatamente, una cosa: dobbiamo trovare un modo diverso di convivere, o sarà guerra civile, come dice Keynes alla fine di quel passaggio che presto, quando avrà più tempo a disposizione, potrà finalmente leggere. Un passaggio preoccupante, anche perché Keynes aveva una qualità che ama condividere con chi lo rispetta: quella di vedere lontano (fra le tante cose che aveva previsto, c'è la Seconda Guerra Mondiale). Sono stati gli operatori informativi a dichiarare guerra al paese, conculcando e distorcendo la verità fattuale nei mille casi che questo blog e i miei editoriali documentano, e in tanti, troppi altri. Non solo: è responsabilità dei media tradizionali anche l'imbarbarimento generale del dibattito, l'atmosfera da opposte tifoserie che è stata alimentata per l'incapacità di ammettere e gestire un dibattito civile, una incapacità (prima ancora che una mancanza di volontà "editoriale") che vi ha portato a demonizzare e delegittimare, senza tregua, senza alcuno scrupolo, senza fare alcuna distinzione, i vostri interlocutori. Questi, però, erano assistiti dalla sterminata e imperturbabile violenza distruttrice della Storia, che non si piegava alle vostre riverite opinioni, ma seguiva, con la sua formidabile massa inerziale, il corso che le delineavano i fatti. Quando è arrivata a voi, non si è fatta né in qua né in là. Come vedete, vi sta schiacciando. Non servite più nemmeno per biascicare "fake news": si è capito che anche questo giochino è controproducente! Quindi non servite più a niente.
Alla fine, sarete stati i migliori alleati di chi proponeva un visione alternativa del mondo (a proposito: grazie!), e quindi i peggiori nemici di voi stessi. Esattamente come il sistema che difendete, avreste in voi i mezzi per riformarvi, ma non ne avete la volontà e non ci sono i tempi. La stampa (di qualsiasi tipo: su carta, online) ormai è completamente screditata et pour cause. I migliori di voi si sono già fatti la loro neswletter e informano "porta a porta", forti della loro autorevolezza. Per i peones la vedo molto, molto male.
Come i miei lettori sanno, non mi rallegro particolarmente di questo esito. Mi fa ovviamente piacere avere una ulteriore dimostrazione della bontà del mio modello e delle mie previsioni. Ma la vostra scomparsa non risolve di per sé il problema della democrazia in questo paese, esattamente come, del resto, la scomparsa dell'euro, pur essendo condizione necessaria per il ripristino di un minimo di vivere civile, è largamente e sempre più insufficiente. D'altra parte, è anche vero che il peso della soluzione non può essere lasciato tutto sulle vostre spalle, nonostante voi siate stati, per ignavia, un gran pezzo del problema.
Bisogna che Confindustria scompaia, e che al suo posto nasca (o rinasca) una associazione "datoriale" (cioè padronale) consapevole del fatto che l'interesse del paese coincide largamente anche con l'interesse delle aziende che ci operano, e che l'integrazione europea (in primis quella monetaria, ma anche quella politica) confligge con questi interessi. Tuttavia... il mondo dei padroni, come quello dei politici, è quello che voi gli raccontate! Finché nessuno di voi avrà non dico la schiena dritta (non chiedo tanto), ma la schiena curva sui libri per poche ore, la rappresentazione che la classe imprenditoriale e quella politica italiana avranno del paese sarà irrimediabilmente distorta, per opera vostra. Non potremo avere un'"altra Confindustria": avremo solo "più Confindustria"!
Dovete quindi capire che chi in questo momento esulta per la vostra scomparsa (che poi non ci sarà, per ora), con i toni da stadio che voi avete se non direttamente introdotto (in radio) quanto meno provocato (ovunque) nel dibattito, non lo fa per fatto personale, ma perché percepisce in modo confuso quanto qui dico in modo esplicito: a meno di un radicale quanto impossibile cambiamento di rotta, la vostra sopravvivenza professionale è un ostacolo insormontabile sul cammino della nostra democrazia, tale da rendere improbabile, o forse impossibile, un esito civile e pacifico del conflitto nel quale i vostri "editori" ci hanno cacciato. Non so come dirvelo: mi dispiace dirvelo così, mi dispiace dirvelo oggi, mi dispiace dirvelo da un blog che nasce come atto di amore per un popolo che non merita di essere consegnato agli orrori di quella guerra fra poveri che voi continuamente fomentate (vedi il tweet contro gli statali). Mi dispiace. Il lavoro fatto qui, a differenza del vostro, è un lavoro di verità e di pace: è tutto scritto, chiunque potrà giudicare. Questo mi autorizza a dire che, purtroppo, nonostante personalmente ritenga che la via migliore sarebbe quella di tentare la costruzione di una difficile solidarietà fra due categorie di oppressi (una delle quali è stata megafono degli oppressori), oggi, data l'urgenza della crisi, e data la necessità, se non di affermare una visione alternativa, quanto meno di indebolire quella prevalente, non riesco a vedere come fatto negativo che voi paghiate per le scelte che avete fatto o cui vi siete prestati.
Voi sapete che io la penso così, ed è per questo che avreste preferito che io non mi esprimessi sul vostro giornale. Lo capisco. Non vi porto rancore e comunque non dobbiamo essere amici. Non lo pensate voi che non potete permettervelo, e figuratevi se lo penso io che posso permettermelo! Io forse non sarò più forte che a maggio, quando grazie a Zingales pubblicai il mio pezzo sull'euro nonostante voi. Voi, però, siete a tutti i livelli più deboli, perché nonostante vi sforziate di raccontare il contrario, è più debole il mondo che ancora vi ostinate a difendere. Quindi, finora ho vinto io, e sarà così fino alla vostra estinzione. Tuttavia io capisco una cosa che voi non volete capire: anche se non dobbiamo essere amici, siamo tutti italiani. E, tanto per essere chiari: io sono un italiano che in due settimane un lavoro all'estero lo trova (consideriamo tutti gli scenari...). Ma nonostante io sappia di potermela cavare meglio di uno qualsiasi di voi, e tanto meglio quanto più grave sarà lo scenario cui il vostro rifiuto di fornire una rappresentazione equilibrata della realtà ci avrà condotto, sono io, qui, a dirvi che forse sarebbe il caso di pensare a soluzioni pacifiche, a una composizione del conflitto.
Il discorso è molto semplice, e si salda in poche parole: chi vuole bene a questo paese passa da qui. Gli altri fanno finta. Voi avete bisogno della solidarietà del paese. Per questi due punti passa un'unica retta. Ma ci passa oggi. Domani uno dei due punti non ci sarà più: voi. Ne resterà uno solo, per il quale di rette, com'è noto, ne passano infinite.
Grande è la confusione sotto al cielo, la situazione è eccellente.
Per riuscire a vendere di meno un prodotto la cui domanda, almeno potenzialmente, è in crescita, ce ne vuole del bello e del buono!
E così il mercato (che è il nostro pastore) ha presentato il conto, nel più classico dei modi, come ci annunciava un paio di giorni fa il comitato di redazione:
con un comunicato che Malte Laurids Brigge (che ha una marcia in più) riassumeva in questi termini:
In effetti, a prescindere dalle competenze economiche dei suoi estensori, sulle quali ci siamo altre volte diffusamente intrattenuti, va detto che questo comunicato non è esattamente un capolavoro di comunicazione (né, forse, voleva esserlo). Sono gli stessi giornalisti a confessare di non aspettarsi una decisione simile (la disdetta unilaterale di un contratto integrativo) perché "senza precedenti nella storia delle relazioni sindacali del Sole 24 Ore", e di ritenerlo ingiusto perché essi avevano "denunciato in tutti i modi la gestione dissennata del recente passato".
Ora, c'è da dire che con la fulgida eccezione di quattro di loro (Donatella Stasio, Nicola Borzi, Alessandro Galimberti, Giovanni Negri, come racconta Giorgio Meletti), di quel recente passato i giornalisti che oggi si indignano avevano pur fatto parte. Ma soprattutto, è evidente che a sorprenderli non è quanto è successo, ma il fatto che sia successo a loro. Perché non si può proprio dire che sia una disdetta unilaterale di contratto integrativo sia una assoluta novità: i lavoratori di Carrefour, Europoligrafico, Coop Nordest, Ikea, Telecom, e via dicendo, in vari tempi e con diversi esiti si sono trovati in una situazione simile. Ora, queste aziende cosa hanno in comune? Niente, direi. Grandi, piccole, gestite bene, gestite male... tutte da lì sono dovute passare: da un taglio fra il 15% e il 30% dei salari dei loro dipendenti, che poi corrisponde, indovinate un po' a cosa? A spanne, all'ordine di grandezza della perdita di competitività dell'Italia rispetto alla Germania, nelle stime elaborate da Bootle per il suo saggio sull'uscita dall'euro (lo trovate qui, e le stime sono nell'appendice A7).
Ora, questa, per noi, è accademia.
Noi abbiamo studiato, e soprattutto abbiamo studiato gli autori giusti, per cui sappiamo quanto ci racconta Keynes ne Le conseguenze economiche di Winston Churchill, in un passo che abbiamo letto e commentato molto spesso (il commento più accurato forse è qui): la perdita di competitività determinata da un accordo di cambio fisso insostenibile colpisce prima il manifatturiero orientato all'export, ma poi, inesorabilmente, come una cancrena, risale attraverso tutti gli altri settori, fino a quando le retribuzioni di tutti non hanno internalizzato il divario fra prezzi interni e esteri espressi in valuta comune. Eh, già: perché se questo divario non viene ammortizzato dal tasso di cambio (attraverso le normali leggi della domanda e dell'offerta: minor domanda di beni nazionali è minor domanda di valuta nazionale, il cui valore quindi naturalmente flette), deve essere ammortizzato dai salari, e dai salari di tutti. O vi aspettate, forse, che un cambio insostenibile ridistribuisca il reddito a favore delle categorie protette, per cui, ad esempio, i giornalisti del Sole 24 Ore dovrebbero vedere i propri redditi intatti, mentre gli operai dell'Electrolux (come ci riportava Annichiarico) dovrebbero (guarda un po') vedersi sospesa la contrattazione di secondo livello!? Questo equivarrebbe (lo dico per gli eventuali giornalisti che, colpiti dalla crisi, fossero venuti dove si informa per capire cosa è successo loro) a un aumento del reddito dei giornalisti, in termini relativi. Ma perché mai i giornalisti dovrebbero vedere il loro reddito aumentare? Certo, loro hanno il merito, molto apprezzato dal capitale, di negare oltre ogni evidenza le criticità di un sistema che il capitale ha creato a sua immagine e somiglianza, di quella unione monetaria il cui scopo, ben chiaro agli scienziati politici degli anni '90, era favorire lo sgretolamento dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori sotto l'urgenza delle crisi che inevitabilmente si sarebbero prodotte (valgono per tutte le analisi di Kevin Featherstone).
Ma c'è un problema: il processo di distruzione dei redditi è esplosivo e cumulativo, perché c'è una cosa che i giornalisti economici proprio non hanno capito dell'economia di mercato che tanto difendono, anzi: due. La prima è che ogni reddito di qualcuno prima è stata la spesa di qualcun altro (ad esempio dello Stato, come al Corriere si sono accorti, ma al Sole ancora no: che poi è il motivo per il quale meritano quanto sta accadendo...). Naturalmente, a corredo di questa semplice verità (ovvero: del fatto che non puoi guadagnare se nessuno spende), vale un ovvio corollario: ogni prezzo basso per qualcuno è un salario basso per qualcun altro. Questo significa che la prima azienda che taglia i salari taglia subito i redditi di altre aziende, e poi anche i salari delle aziende del medesimo settore (che devono seguirla nella compressione dei salari per non trovarsi fuori mercato), e così, a ricasco, altri redditi dentro e fuori dal settore, e via andare. Il crollo delle vendite si spiega (anche) così: con l'impoverimento del paese determinato da quella moneta unica che Il Sole 24 Ore ha difeso senza sé e senza ma, anche fuori tempo massimo.
L'analisi di Mario quindi è severa ma giusta:
Certo, so benissimo quale canzoncina cantino i giornalisti, anche i migliori, a se stessi. Quelli che rimproverano a voi di dare la colpa all'euro, anziché a voi stessi, quando poi si arriva a commentare i dati sul crollo delle vendite, non potendo dare la colpa all'euro per fedeltà al padrone, e non volendola dare a se stessi per sciocca superbia, si rifugiano in un #hastatoInternet di circostanza. Nessuno nega che Internet sia un problema, ma anche l'impoverimento della popolazione lo è, con in più un'aggravante: che quando si arriva ai redditi dei privilegiati, dei suoi ascari, il capitale sa di aver sostanzialmente già vinto la battaglia, e non vede più l'utilità dei suoi utili idioti, i quali, quindi restano solo degli idioti sacrificabili. Idioti, naturalmente, non in senso dispregiativo: in senso etimologico. Chi, a differenza di loro, ha cercato di non pensare solo a se stesso, e ha cominciato a documentarsi dove gli era possibile farlo, cioè su Internet, sa benissimo cosa sta succedendo: difendendo l'euro per conto dei delocalizzatori à la Squinzi o delle grandi multinazionali esposte in dollari, i compagni giornalisti del Sole 24 Ore hanno segato il ramo sul quale sedevano, e quel ramo si chiama Italia.
Difficile, ora, per chi sa, per chi ha avuto l'umiltà di intraprendere un percorso di formazione, perdonare l'arroganza di certe prese di posizione:
Capisco quindi le dure parole di Cesare:
Tuttavia, non me la sento di prorompere contro queste persone, nonostante spesso abbiano oggettivamente fatto il male, diffondendo una versione dei fatti distorta perché ideologicamente orientata (contro i loro stessi interessi, come la storia ci dimostra), e siano quindi spesso stati un oggettivo pericolo per la democrazia, in un'invettiva come quella che accompagnò la fine di un'altra prestigiosa testata.
Non c'entra molto lo spirito natalizio.
Ci sono due circostanze oggettive che spiegano questa mia relativa mitezza. La prima è che quello che, forse ingenuamente, consideravo come un tradimento sanguinoso da parte dei giornalisti dell'Unità, in quelli del Sole 24 Ore è un comportamento scusabile: cosa dovrebbe fare un giornalista del padrone se non attaccare l'asino dove vuole, appunto, il padrone? Dovrebbe forse morire di fame per fare un piacere a noi? La seconda è che provo solo compassione per chi, messo di fronte all'evidenza del fallimento di un sistema che ha difeso a spada tratta, non riesce proprio a capire cosa stia succedendo:
Ecco, vedete: Flaiano definì l'Italia un paese dove la realtà supera la fantasia. Questo non succede sempre: qualche volta la fantasia prende il vantaggio. In questo caso è successo, e, se permettete, ne vado fiero!
Ricordate come iniziava il mio libro del 2014? Col racconto, un po' romanzato, di uno dei miei pochi (ma inutili) incontri col Berlu:
Vedere una persona colta (ci sarebbe da definire il concetto)... diciamo: una persona istruita, che scrive sui giornali, prorompere seriamente in un'analisi assurda, come quella che io attribuivo caricaturalmente al tassista del 3570, uomo del popolo (nella mia esperienza molto più sveglio di tanti Soloni, ma non entriamo in questo), non ha prezzo!
A testimonianza del fatto che l'involontaria citazione del mio tassista da parte di Annichiarico non è antifrastica, cioè che lui è ben convinto di quanto dice, e non ha assolutamente capito in quale meccanismo è preso, quale sia l'ingranaggio che lo schiaccia (nel meritato dileggio generale), vale questa osservazione di Silvia di Livorno:
Il buon Annichiarico, quello che l'Electrolux doveva tagliare gli stipendi perché #avevastatolaCina e loro invece sono in crisi perché #sesòmagnatitutto, continua imperterrito a difendere le politiche di tagli dei redditi, senza proprio che gli passi per la testa che in un paese il cui Pil è tornato indietro di 20 anni l'euretto per il giornale dei padroni (che tanto oggi ti canta la stessa canzoncina del giornale dei lavoratori) non potrà spenderlo chi non ce l'ha, e non ce l'avranno soprattutto quelli ai quali le politiche che Annichiarico esalta lo avranno tolto. E gnente! Tanto sprezzo per i diritti degli altri lavoratori (quelli a monte della catena), tanta iattanza:
per poi trovarsi così, da un momento all'altro, senza sapere perché, investito da una valanga di pernacchie dopo aver fatto annunci che in tanti altri casi avevano promosso una accorata solidarietà:
La colpa, ci dice, non è sua. La colpa è della direzione, e, si sa, le testate giornalistiche sono aziende un po' particolari: mentre in tutte le altre aziende, se il management sbaglia linea, è giusto che paghino i dipendenti, in un giornale, par di capire, no. Parola di giornalista!
Ah, bè, certo, la direzione scelte sbagliate ne ha fatte, come quella di riservare indebito spazio, presentandoli come Vangelo, a economisti applicati, esperti e competenti nel loro campo, ma privi di specifica esperienza di ricerca, lasciandoli propalare scenari improbabili, che non passerebbero una peer review in classe A:
(non ho nulla contro Codogno e Galli, mi limito a constatare che le loro poche pubblicazioni Scopus - in due ne hanno un sesto delle mie - di tutto si occupano tranne che di crisi valutarie, il che significa che saranno sicuramente bravissimi nel loro lavoro, ma questo non è, in tutta evidenza, tratteggiare scenari macroeconomici), mentre dai microfoni delle sue radio affidava al trio Monnezza il compito di dileggiare le voci realmente scientifiche presenti nel dibattito, cui non si dava uguale risalto.
Tuttavia, l'argomento "linea editoriale" fa un po' sorridere, per diversi motivi. Intanto, vale la giusta obiezione di Benedetto sulla clausola di coscienza:
Non è esattissimamente vero che i giornalisti debbano essere completamente proni ai voleri degli editori. Diciamo che esiste un sospetto fondato di vis grata puellae. La risposta del nostro nuovo amico
Quindi l'argomento secondo cui per sgravare la coscienza dal peso di una linea editoriale che non si condivide (a chiacchiere, perché nei fatti la si sostiene e diffonde su Twitter) sia rimedio efficace far lavorare gratis (sfruttandoli) un manipolo di esperti raccogliticci (fra cui alcuni nostri fuoriusciti), al vero scopo di far concorrenza (fallendo) a questo blog e di intorbidare le acque, simulando una falsa apertura di vedute, questo argomento, ecco... vabbé: è stato elegante Benedetto: no comment!
Del resto, Silvia ci ha fatto vedere che mentre tagliano il suo, di salario, lui continua a esortare Cottarelli a tagliare quello degli altri! Troppo facile, quindi, scantonare sull'argomento che laggente signora mia è tanta tanta cattiva:
Ci vorrebbe, in effetti, un po' più di dignità, o almeno di coerenza. Meglio: ci vorrebbe una vera solidarietà di classe, quella che forse riuscirebbe a far capire anche a questa gente, che nel 2017 ancora ragiona in un modo che a noi sembrava caricaturale già tre anni or sono, che in un paese in recessione nessun taglio di redditi è giustificato, e che a fronte di un attacco indiscriminato e massiccio ai diritti dei lavoratori ogni sciopero tutela tutti gli altri.
Ma possiamo aspettarci una simile "riforma strutturale" da chi si è costituito volenteroso carnefice al grido di FATE PRESTO!?
A chiacchiere sì.
Com'è anche prevedibile, al "laggente sono tanta cattiva signora mia", il nostro amico accompagna, in elegante simmetria, una appassionata perorazione in favore della libertà di pensiero:
Ci sarebbe uno spirito di rifondazione (parole che porta un po' sfiga), che prima o poi (quando?) potrebbe farsi strada (come?), e le battaglie sono lunghe e faticose (soprattutto se le combatti sparando addosso oggi a quelli che vuoi alleati domani!), e non si può semplificare sempre (ma se sono decenni che lo fate in continuazione, propalando la favola dell'eurone che avrebbe risolto tutti i nostri problemi?).
Insomma: siamo ancora molto lontani sia da un'analisi corretta, che da qualche minimo segno di possibile composizione del divario che questa classe giornalistica ha voluto scavare fra sé e il paese, pensando che quanto più ampio e pronunciato fosse il fossato che la separava da noi, tanto meno la crisi l'avrebbe attinta.
E invece...
Al nostro nuovo amico
Alla fine, sarete stati i migliori alleati di chi proponeva un visione alternativa del mondo (a proposito: grazie!), e quindi i peggiori nemici di voi stessi. Esattamente come il sistema che difendete, avreste in voi i mezzi per riformarvi, ma non ne avete la volontà e non ci sono i tempi. La stampa (di qualsiasi tipo: su carta, online) ormai è completamente screditata et pour cause. I migliori di voi si sono già fatti la loro neswletter e informano "porta a porta", forti della loro autorevolezza. Per i peones la vedo molto, molto male.
Come i miei lettori sanno, non mi rallegro particolarmente di questo esito. Mi fa ovviamente piacere avere una ulteriore dimostrazione della bontà del mio modello e delle mie previsioni. Ma la vostra scomparsa non risolve di per sé il problema della democrazia in questo paese, esattamente come, del resto, la scomparsa dell'euro, pur essendo condizione necessaria per il ripristino di un minimo di vivere civile, è largamente e sempre più insufficiente. D'altra parte, è anche vero che il peso della soluzione non può essere lasciato tutto sulle vostre spalle, nonostante voi siate stati, per ignavia, un gran pezzo del problema.
Bisogna che Confindustria scompaia, e che al suo posto nasca (o rinasca) una associazione "datoriale" (cioè padronale) consapevole del fatto che l'interesse del paese coincide largamente anche con l'interesse delle aziende che ci operano, e che l'integrazione europea (in primis quella monetaria, ma anche quella politica) confligge con questi interessi. Tuttavia... il mondo dei padroni, come quello dei politici, è quello che voi gli raccontate! Finché nessuno di voi avrà non dico la schiena dritta (non chiedo tanto), ma la schiena curva sui libri per poche ore, la rappresentazione che la classe imprenditoriale e quella politica italiana avranno del paese sarà irrimediabilmente distorta, per opera vostra. Non potremo avere un'"altra Confindustria": avremo solo "più Confindustria"!
Dovete quindi capire che chi in questo momento esulta per la vostra scomparsa (che poi non ci sarà, per ora), con i toni da stadio che voi avete se non direttamente introdotto (in radio) quanto meno provocato (ovunque) nel dibattito, non lo fa per fatto personale, ma perché percepisce in modo confuso quanto qui dico in modo esplicito: a meno di un radicale quanto impossibile cambiamento di rotta, la vostra sopravvivenza professionale è un ostacolo insormontabile sul cammino della nostra democrazia, tale da rendere improbabile, o forse impossibile, un esito civile e pacifico del conflitto nel quale i vostri "editori" ci hanno cacciato. Non so come dirvelo: mi dispiace dirvelo così, mi dispiace dirvelo oggi, mi dispiace dirvelo da un blog che nasce come atto di amore per un popolo che non merita di essere consegnato agli orrori di quella guerra fra poveri che voi continuamente fomentate (vedi il tweet contro gli statali). Mi dispiace. Il lavoro fatto qui, a differenza del vostro, è un lavoro di verità e di pace: è tutto scritto, chiunque potrà giudicare. Questo mi autorizza a dire che, purtroppo, nonostante personalmente ritenga che la via migliore sarebbe quella di tentare la costruzione di una difficile solidarietà fra due categorie di oppressi (una delle quali è stata megafono degli oppressori), oggi, data l'urgenza della crisi, e data la necessità, se non di affermare una visione alternativa, quanto meno di indebolire quella prevalente, non riesco a vedere come fatto negativo che voi paghiate per le scelte che avete fatto o cui vi siete prestati.
Voi sapete che io la penso così, ed è per questo che avreste preferito che io non mi esprimessi sul vostro giornale. Lo capisco. Non vi porto rancore e comunque non dobbiamo essere amici. Non lo pensate voi che non potete permettervelo, e figuratevi se lo penso io che posso permettermelo! Io forse non sarò più forte che a maggio, quando grazie a Zingales pubblicai il mio pezzo sull'euro nonostante voi. Voi, però, siete a tutti i livelli più deboli, perché nonostante vi sforziate di raccontare il contrario, è più debole il mondo che ancora vi ostinate a difendere. Quindi, finora ho vinto io, e sarà così fino alla vostra estinzione. Tuttavia io capisco una cosa che voi non volete capire: anche se non dobbiamo essere amici, siamo tutti italiani. E, tanto per essere chiari: io sono un italiano che in due settimane un lavoro all'estero lo trova (consideriamo tutti gli scenari...). Ma nonostante io sappia di potermela cavare meglio di uno qualsiasi di voi, e tanto meglio quanto più grave sarà lo scenario cui il vostro rifiuto di fornire una rappresentazione equilibrata della realtà ci avrà condotto, sono io, qui, a dirvi che forse sarebbe il caso di pensare a soluzioni pacifiche, a una composizione del conflitto.
Il discorso è molto semplice, e si salda in poche parole: chi vuole bene a questo paese passa da qui. Gli altri fanno finta. Voi avete bisogno della solidarietà del paese. Per questi due punti passa un'unica retta. Ma ci passa oggi. Domani uno dei due punti non ci sarà più: voi. Ne resterà uno solo, per il quale di rette, com'è noto, ne passano infinite.
Grande è la confusione sotto al cielo, la situazione è eccellente.