martedì 7 gennaio 2025

Shock di offerta e come produrli (il fallimento del green)

Sono molto contento di essere tornato qui, a passare un po’ più di tempo con voi. La cloaca nera non consente di organizzare un dibattito, elaborare un pensiero, ritrovare e referenziare nei suoi gorghi tumultuosi il materiale utile che pure vi si troverebbe, ma che viene immediatamente travolto da ondate e ondate di sterco. Gli scambi sono troppo estemporanei e rapidi, lo spazio è comunque compresso, anche dopo l’allargamento del vincolo sul numero dei caratteri (allargamento di cui non sono mai stato un granché entusiasta, come di altri allargamenti, perché trovavo interessante la dimensione epigrammatica, mentre trovo snervante "er microblogghinghe"...).

Poche settimane di lavoro qui hanno riattivato il dibattito fra di voi, consentendoci di mettere a fuoco i nostri argomenti e permettendo ai più curiosi di sottoporci tanto materiale interessante. Hanno anche messo in evidenza, queste poche settimane di lavoro, un fenomeno abbastanza peculiare e solo apparentemente paradossale. Accade infatti che, con una certa regolarità, siano proprio gli interlocutori teoricamente più favorevoli al “mercato”, al “liberismo”, a trovarsi completamente digiuni dei rudimenti di quella cosa che gli “studiati“ chiamerebbero basic economic reasoning. Non una grande scienza: semplice buon senso, quello di qualsiasi massai*. Non a caso qui coniammo la definizione di "spaghetti-liberisti": perché questi araldi del libero mercato nulla sanno né di libertà, né di mercato, e sprecare per loro una categoria tutto sommato dotata di una sua dignità intellettuale come quella di "liberismo" ci sembrava un insulto alla storia del pensiero economico, ma anche, più semplicemente, un insulto al pensiero.

Fra gli adepti di questo orientamento, che ha in Oscar Giannino il suo esponente più rappresentativo, abbiamo qui fra noi l'amico Marco, che mi dispiace di aver deluso. Fatto sta che il suo ragionamento secondo cui "una moneta è migliore di un'altra se ha i tassi più bassi" proprio non tiene! Quale che sia il mercato, il prezzo migliore è quello di equilibrio, non "il più basso". Un prezzo troppo basso infatti incentiva una domanda eccessiva da un lato, e deteriora la qualità del prodotto dall'altro (perché per soddisfare l'eccesso di domanda bisogna necessariamente abbassare gli standard di produzione: lavorare più in fretta, utilizzare materie prime meno pregiate, ecc.).

Questo vale in modo particolarmente plateale nel mercato del credito!

Dal lato della domanda, cioè di chi chiede un mutuo, tassi di interesse troppo bassi incentivano le famiglie a indebitarsi in modo eccessivo per sostenere i propri consumi ("Prendi oggi e paghi in 36 rate a partire da Natale prossimo!") e i propri investimenti immobiliari (con la creazione di bolle immobiliari cui abbiamo assistito in Spagna, ma non solo). Inoltre, tassi troppo bassi sui depositi o su altri strumenti tradizionali a basso rischio di investimento del risparmio spingono le famiglie ad assumere rischi eccessivi (perché la loro ricerca di prodotti finanziari più remunerativi li porta ad acquistare prodotti molto più rischiosi). Il pensionato di Civitavecchia è stato ucciso precisamente da questa distorsione del mercato.

Ma anche dal lato dell'offerta (cioè delle banche) un tasso troppo basso crea problemi: intanto, crea un incentivo a recuperare sui volumi quello che si perde sul margine, e quindi in definitiva a elargire credito in modo non particolarmente accurato (e deriva da qui, cioè dal tentativo di arginare questa distorsione, l'onere regolatorio che l'Unione Bancaria impone agli istituti di credito). Poi, a tendere sposta l'attività delle banche da quella di intermediazione del risparmio (raccolta di depositi, erogazione di prestiti) a quella di outlet di prodotti finanziari (rischiosi), rendendo piuttosto complicata la vita alle tante medie, piccole e microimprese per le quali il credito bancario potrebbe ancora essere una (fisiologica) fonte di finanziamento. Non c'era nulla di buono nel fatto che i tassi greci o italiani fossero uguali a quelli tedeschi, e chi non ha capito prima che questa era una gigantesca distorsione del mercato l'ha, in molti casi, dovuto capire dopo.

Poi c'è anche chi non lo capirà mai, come Marco, ma noi gli vogliamo comunque bene.

Oggi però volevo parlarvi di un'altra cosa che Marco credo non capirà (il che non ci impedirà di continuare a volergli bene). Ci riflettevo oggi,


mentre scendevo verso Roma dai non abbastanza gelidi altopiani d'Abruzzo, sotto un cielo livido, frustato da una pioggerellina puntuta e gelida. Continuavo a rimuginare uno dei grafici che avevo commentato con voi:

(qui), un grafico tutto sommato sorprendente perché mostra come il pass-through fra costi internazionali dell'energia e inflazione nazionale non sia poi stato alterato in modo drammaticamente significativo dall'entrata nell'Unione economica e monetaria: negli anni '70 inflazione al 20% con un incremento dei prezzi dell'energia del 200%, negli anni '20 inflazione all'8% con un incremento dei prezzi dell'energia dell'80%...

Da questa riflessione sugli shock di offerta e su come le loro conseguenze nel tempo tutto sommato non siano cambiate, nonostante la continua e profonda evoluzione delle tecnologie e delle istituzioni, il mio pensiero andava a una considerazione svolta da Blanchard nel suo commento al rapporto Draghi.

Ve la copio qui sotto:

Nel suo compitino Draghi deve naturalmente dire che il "green" sarà (o dovrà essere) un motore di sviluppo ecc. ecc. Blanchard gli spiega asciuttamente perché non potrà esserlo. Non potrà esserlo perché la lotta al cambiamento climatico condotta all'interno del paradigma predominante (quello degli effetti climalteranti della CO2), equivale a trasformare la CO2 da prodotto di scarto (in quanto risultato della combustione) in una materia prima come il petrolio (in quanto i produttori devono acquistare il "permesso" di emetterla, o devono spendere in altro modo per non emetterla), imponendo su di essa un prezzo artificialmente alto al preciso scopo di contenerne l'utilizzo.

Ne consegue che il green è un gigantesco shock di offerta, che in quanto tale non può che avere effetti recessivi.

Insomma: il "green" è uno spostamento dall'equilibrio E all'equilibrio E' nel modello keynesiano standard:


modello che vi spiegai qui, non a caso a proposito dell'incremento delle bollette (segnalo che, come il post prevedeva, lo científico non volle restare al governo...).

Nota bene: non mi interessa, e non deve interessare neanche a voi, in questa sede, confutare o contestare il paradigma! Ci inchiniamo, ci prosterniamo, ci prostriamo ai piedi del paradigma! A me sta benissimo (no!) pensare che le cose stiano esattamente così, che ogni mio atto espiratorio comprometta gli equilibri del globo.

Va bene.

Fatto sta che, se ragioniamo così, in termini economici stiamo trasformando uno scarto in una materia prima, stiamo insomma rendendo la CO2 una cosa analoga al petrolio, e quindi il suo desiderato, auspicato incremento di prezzo di fatto equivale a uno shock petrolifero, come quelli degli anni '70.

Ne derivano alcune conseguenze piuttosto ovvie: intanto, per questi motivi il green avrà un impatto inflazionistico sulla nostra economia, impatto difficile da quantificare (perché non credo che esistano ad oggi le basi statistiche per farlo, dato che lo stesso quadro normativo è in continua evoluzione), ma che si può prevedere sarà molto protratto nel tempo. Siamo in mano, come nota Blanchard, a un elemento imprevedibile: la rapidità del progresso tecnologico. Finché questo non ci condurrà nell'Eldorado di tecnologie superiori e a buon mercato, la conseguenza dello shock di offerta autoinflitto sarà un clima economico recessivo, una perdita di potere d'acquisto delle famiglie e di competitività delle imprese, mentre il vasto resto del mondo, fottendosene del paradigma, prospererà e ci inonderà dei suoi prodotti "sporchi".

Basic economic reasoning.

Quanto occorrerà ancora per capire che questo progetto politico danneggia la nostra libertà (come oggi gli ha rinfacciato perfino Pan di Zucchero!) perché distorcendo le più elementari regole economiche provoca inevitabilmente un malcontento che può essere gestito solo in chiave repressiva?

Le due cose vanno insieme: distorsione del mercato e censura del pensiero sono due forme di coartazione della libertà e sono l'una la causa dell'altra, in una spirale al ribasso di cui non si vede la fine, nonostante le evoluzioni che segnalavamo nel post precedente.

Ci vorrà molta pazienza e molta attenzione...

62 commenti:

  1. “ Sono molto contento di essere tornato qui, a passare un po’ più di tempo con voi”.
    E noi siamo molto contenti di questa scelta. E quando dico Noi intendo sia quelli che qui commentano che, soprattutto, quelli come me che non essendo qui dall’inizio, stanno in silenzio, studiano e imparano…anche se sono bloccati sulla cloaca nera.
    Ora posso leggere l’articolo

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  2. Blanchard però scrive della CO2 (o Co2, il dicobalto come scrivono taluni piddini) o qualunque altro gas serra. Insomma, che si prenda questo o quello non ha importanza quanti e quali danni ha sulla salute, basta che gli si dia un prezzo per dare un senso alla guerra senza quartiere al cambiamento climatico, laScienza si adeguerà a reti unificate così come gli operatori informativi si prodigheranno di farcelo sapere.
    Questo spiega anche con quale superficialità non hanno compreso in quale vicolo cieco si sono voluti infilare.

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    1. Una delle conseguenze della vittoria di Trump, cioè del fatto che votare serve, è che ora la diffusione non sarà più a reti unificate. Perfino pan di zucchero ha dovuto cambiare business model, anche se questo non gli è stato possibile in Europa, il che si rifletterà in modo deleterio sull’immagine dell’Unione Europea, adeguandola a quella che sappiamo esserne la sostanza: quella di un regime totalitario. Ora sarà impossibile nascondere che è così.

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    2. Vladimir K. Bukovski ha parlato in tempi non sospetti di come in URSS vedessero il progetto di UE come simile al loro …..

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  3. [quote]Quanto occorrerà ancora per capire che questo progetto politico danneggia la nostra libertà (come oggi gli ha rinfacciato perfino Pan di Zucchero!) perché distorcendo le più elementari regole economiche provoca inevitabilmente un malcontento che può essere gestito solo in chiave repressiva?[/quote]

    Penso che quello sia l'obiettivo. E penso che quello sia l'obiettivo anche delle sanzioni alla Russia.

    (A proposito, sarebbe interessante un'analisi dell'economia russa, che secondo i sinistrati, grazie alle sanzioni, sarebbe al collasso.)

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    1. Sull’economia russa, consiglio sempre di seguire Jacques Sapir. Io non riesco a star dietro a tutto, ma magari più avanti diamo un’occhiata.

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    2. Ho trovato questo: https://scenarieconomici.it/la-crescita-russa-sta-rallentando-linteressante-analisi-di-jacques-sapir/

      Fondamentalmente se ho capito bene hanno il problema di essere in piena occupazione e quindi non hanno più margini per manovre espansive senza far salire l'inflazione. Questo è dovuto in parte alle commesse belliche ed in parte ad un incremento reale dei salari che spinge la domanda.

      Tuttavia sempre mi par di capire che le sanzioni abbiano reso necessario imparare a produrre in casa quello che prima conveniva comprare da fuori, spingendo l'industria manifatturiera a scapito dei servizi. Aggiungo io che secondo me questo favorisce l'acquisizione di nuove abilità in settori tecnologici e quindi la Russia si sta di fatto rafforzando.

      In altre parole l'idea che mi sono fatto (ma che avevo anche prima) è che se un paese dispone contemporaneamente di materie prime e di cervelli, è favorito dalle sanzioni estere, non il contrario.

      Nonostante questo elemento positivo la saturazione dei fattori di produzione impedisce ulteriori manovre espansive e questo fa rallentare la crescita. Crescita che comunque permane alta, quindi piacerebbe a noi avere i problemi che hanno loro.

      La domanda a questo punto sarebbe: i vincoli europei (rapporto deficit/PIL etc.), sono compatibili con la supremazia militare che l'UE dichiara di voler perseguire ?

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  4. Le rinnovabili, se riusciranno a superare i problemi che ne limitano lo sviluppo tecnologico, servono a sostituire risorse fossili in via di esaurimento. Quello che gli "abbondantisti", di cui fanno parte tutti gli economisti, non comprendono, è che il redde rationem è più vicino di quanto si pensi. Allora sì che ci sarà un colossale "shock di offerta.

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    1. Wow! Quindi mi stai dicendo che il petrolio non è finito nel 1921? Perché la prima previsione era questa e la trovi anche su Wokepedia:

      https://en.m.wikipedia.org/wiki/Predicting_the_timing_of_peak_oil

      Come esempio di incapacità di basic economic reasoning e di strategia di comunicazione inefficace non c’è male!

      La storia del Green altro non è che un corollario del teorema di Bagnai, quello che afferma che tutto quanto ci è stato detto che accadrebbe uscendo dall’euro accadrà dentro l’euro (e infatti sta accadendo). Il corollario è semplice: tutto quello che ci hanno detto che accadrà quando il petrolio terminerà, sta accadendo in abbondanza di petrolio. Come ho più volte detto, ma mi fa molto piacere ripeterlo qui, l’idea che i giacimenti di petrolio siano come il cassone dell’acqua del condominio, tale per cui arrivato in fondo improvvisamente non ce n’è più, è, come dire, lievemente imprecisa dal punto di vista geologico. Anche escludendo le teorie abiotiche e restando nel paradigma della risorsa limitata, in tuttissima evidenza lo shock causato dalla progressivo esaurimento delle risorse fossili sarebbe molto meno impattante di quello che abbiamo causato decretando arbitrariamente la fine del loro utilizzo: gli incrementi di prezzo sarebbero più graduali, e guiderebbero una transizione più graduale e tecnologicamente neutrale verso le nuove energie, che non hanno solo problemi di sviluppo tecnologico, ma anche di disponibilità di materie prime, e di distruzione dell’ambiente connessa alla necessità di accaparrarsele, per non parlare poi dei problemi geopolitici che il passaggio dall’una all’altra classe di materie prime genera. Sono veramente stupito che si ragioni in termini così semplicistici nel 2025. Però, se è così, meglio saperlo!

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    2. Il petrolio convenzionale ha "piccato" da tempo, come si vede nel grafico contenuto in questo mio post https://www.facebook.com/share/p/15c4W8Quyd/
      La domanda mondiale è oggi garantita da tight oil e shale gas americani, risorse effimere e di breve durata.
      Purtroppo le rinnovabili sono ancora molto lontane da poter sostituire integralmente i consumi di energia primaria da fossile, che rappresentano più dell'80% della domanda globale. In particolare pare insormontabile la questione degli accumuli stagionali. Abbiamo già visto in passato come i prezzi energetici siano sensibili alle strozzature dell'offerta

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    3. La teoria del picco petrolifero è stata in parte "screditata" dal meccanismo in fondo irrazionale che si potrebbe definire esopicamente "al lupo! al lupo". La "scoperta" di tight oil e shale gas americani ha dato un 'illusione di fallacia che però contrasta con il meccanismo di veloce esaurimento di tale risorsa aggiuntiva, come si vede in quest'altro grafico allegato a un mio post https://www.facebook.com/share/p/15K5BgGk1H/
      Intendiamoci, la produzione di energia elettrica continuerà ancora per un po' con gas naturale e carbone, la Cina usa quest'ultimo al 60% di energia primaria, ma il settore dei trasporti andrà in crisi prima. A mio modesto parere la questione dell'auto elettrica va interpretata anche come consapevolezza dei produttori di questa situazione energetica.

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    4. L'abiogenesi del petrolio è molto più affascinante del petrolio che picca.
      Comunque il grafichino bidimensionale dell'estrazione non dice nulla, se non lo si confronta con parametri economici. Se il Kuwait sta sopra un oceano di petrolio ma ne estrae meno "perché la Panda inquina", il grafico dell'estrazione mostrerà un "picco".
      Facciamo seppuku perché abbiamo capito male un grafico? Eh, suvvia.

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    5. @Terenzio

      Rimangono inevasi almeno due punti:

      1) come la mettiamo con le materie prime?

      2) come gestiamo l'intermittenza delle rinnovabili?

      Sono due dettagli, non perdiamoci troppo tempo! ;)

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    6. @Andreas

      Sì, in effetti questa storia dell’esogenità dell’offerta è piuttosto “neoclassica” (aka “neolibberista bbrutto”). Intravedo cortocircuiti.

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    7. Mi pare di aver già risposto alle due domande, se le ho capite bene. Come ho scritto, l'intermittenza, soprattutto quella stagionale è il vero limite delle rinnovabili. Le soluzioni per l'accumulo sono ancora lontane dalla industrializzazione e non completamente risolutive. Occorrerebbe una pianificazione nazionale associata a finanziamenti. Qualcuno come Aspoitalia ci ha provato https://aspoitalia.wordpress.com/2023/04/11/scrutando-il-futuro-un-sistema-energetico-italiano-basato-sulle-fonti-rinnovabili/?fbclid=IwY2xjawHrY9JleHRuA2FlbQIxMQABHW3I7DSAnZ8Ugi1UePb22IsC0VcBaZ9_2uW8dorYcjo3kHmfEr6bOZi5Kw_aem_-WowGhoJOQ1IZwPgKikgbw
      ma l'impegno sul piano economico, logistico, tecnologico e industriale è da fare tremare i polsi.
      Sul punto di Andreas faccio notare che la domanda energetica globale è sempre in crescita, seguendo il modello esponenziale della crescita economica illimitata

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    8. Carissimo, abbiamo qui tre o quattro (mila) amici che potranno farsi loro un’idea su quali domande sono evase e quali no. A me pare che si stia girando intorno al problema della disponibilità di materie prime. Inoltre, sono contento che tu riconosca che l’intermittenza delle materie prime è un problema. E quindi? Come la gestiamo? Con il nucleare o con il fossile? O ci sono altre possibilità? Perché sottostante a questo approccio c’è un orientamento ideologico che qui abbiamo sempre criticato, quello della decrescita: una gigantesca foglia di fico tesa a nobilitare le politiche di deflazione salariale che l’unione monetaria rendeva necessarie. Vogliamo andare a parare lì? Perché ragionare a tecnologie future anziché a tecnologie presenti non mi sembra molto costruttivo.

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    9. A me sembra un po' paradossale citare la limitatezza delle materie prime per le rinnovabili e fare finta che il problema non si ponga per le fossili. Comunque, un sistema energetico centrato su fotovoltaico ed eolico off shore, essendo basato su silicio ed altri materiali ancora abbondanti sulla terra, non crea problemi a medio termine.
      Io non ho nessun problema a descrivere i limiti delle rinnovabili, non faccio discorsi ideologici, i sostenitori della decrescita mi paiono velleitari. Ma penso che ignorare o rimuovere il problema della limitatezza delle fonti fossili ci porti a sbattere.

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    10. @Terenzio: Un conto sono le riserve assolute, un conto la produzione, giusto? Ma chi può dire con certezza quanto petrolio c'è, che so, nel sottosuolo della Siberia? O nella Cina interna, o sul fondo del Pacifico? Si tratta più che altro di questioni di costo: lo shale si produce se il prezzo del barile è sopra i 64 dollari al barile, ad esempio. Se il barile va a 40 non si produce, e questo sposta il picco del petrolio. Non so, mi sembra che la dinamica sia un po' più complessa, pur nel rispetto di limiti fisici che certamente vi saranno. Ma sono tecnologia e costi a spostare il picco.

      Sulle rinnovabili, c'è un equivoco di fondo: le rinnovabili non saranno MAI in grado di sostituire l'energia primaria da fossile. Per farlo, serve un mix di accumuli con altre tecnologie. Batterie di rete, accumuli idro, accumuli di qualunque energia potenziale (tipo i volani o i pesi sospesi). L'equivoco è qui: non si dice che per ogni MW di rinnovabile bisogna installare (almeno) un MW di accumulo, altrimenti si scarica l'onere dell'aggiustamento del profilo sul sistema, cioè sulle bollette. Il quale sistema oggi deve aggiustare con il gas e con il carbone. Ma un MW di accumulo costa di più del MW di eolico o di solare. E per farlo ci vogliono materie prime.
      Rendiamoci conto che stiamo duplicando un intero sistema energetico con una fonte che ha un quarto della producibilità e che richiede il doppio delle installazioni (gli accumuli) per poter essere gestita. Cioè, per 1 MW di potenza a gas servono 8 MW tra potenza elettrica e accumuli. Una cosa folle.
      In tutto questo, se parli di nucleare ti danno del fascista :-)

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    12. Vedi che è utile confrontarsi, caro Terenzio? Quindi per te la sostituzione è fra petrolio scarso e silicio abbondante? Perché non sono così tanto convinto? 🤔

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    13. @durezza del vivere certo che il problema è tremendamente complesso, se fosse semplice l'avremmo già risolto. Non solo, potrebbe anche essere privo di soluzione. La teoria di Hubbert prevede il picco per limiti fisici ed economici dello sfruttamento di una risorsa. Comunque, la questione degli accumuli delle rinnovabili è cruciale. Bisogna distinguere tra accumulo circadiano, cioè per compensare gli squilibri giornalieri, che sono già disponibili e utilizzati in tante esperienze applicative, dell'accumulo stagionale, per coprire la domanda nei periodi di scarsa insolazione, allo stato attuale per nulla risolto. Potrebbe essere l'idrogeno o, come propone lo studio che ho citato prima, il metano di sintesi. Qui una descrizione sintetica del sistema prefigurato, anche a livello di costi.
      https://aspoitalia.wordpress.com/2024/07/24/la-scalata-al-net-zero-senza-miraggi-nucleari-ne-chimere-californiane/?fbclid=IwY2xjawHrrcNleHRuA2FlbQIxMQABHfxHfmfG2fgpktl0q6aUMnRIPo3MUb8H52fRhhT4NZHYoDB-zYZJVvyleg_aem_Ernpgx5_CDxHFFlZDvTiZw#respond
      La transizione energetica non si fa a chiacchiere o con proclami, occorre un'alta capacità di programmazione che i governi non esercitano.
      Quanto al nucleare, non penso che sia più proponibile per il nostro Paese. Per una questione di costi, la Francia non costruisce centrali da 25 anni (a parte Flamanville dopo innumerevoli ritardi e costi lievitati) ed è stata costretta a prolungare la vita utile degli impianti esistenti a 60 anni per evitare una crisi energetica. Inoltre, non controlliamo i processi di arricchimento dell'uranio e confezionamento delle barre di combustibile, in mano a poche aziende e Paesi. Last but non least, anche l'uranio è una risorsa sempre più limitata e presidiata da pochi paesi.

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    14. @alberto bagnai il silicio è l'elemento più abbondante sulla Terra dopo l'ossigeno. Il sole (e il vento) sono risorse sostanzialmente infinite. Naturalmente, per le cose che ci siamo detti, questo non implica che le rinnovabili costituiscano una soluzione fattibile del problema energetico.

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    15. Caro Terenzio, grazie per la lezione di geofisica, relativamente superflua, e per l’altrettanto superflua conferma del fatto che tu ignori completamente la vastità della gamma e della quantità di altre materie prime che sono indispensabili per realizzare una transizione al fotovoltaico e più in generale all’elettrico. Banalmente, questa energia elettrica va trasportata, e semplicemente ci manca il rame per realizzare la rete che occorrerebbe nelle ipotesi più realistiche di elettrificazione totale globale! Non è un piccolo dettaglio. Non so da quanto sei qui, ma sappi che sei capitato in un posto dove queste cose si studiano da tanto tempo. Non entro in altre questioni più di nicchia, quali ad esempio la quantità di CO2 che si produrrebbe se si facesse gestire dalla sinistra e dalla Cina la transizione al fotovoltaico (cioè se la si realizzasse a base di carbone cinese). Un altro difetto di basic economic reasoning peculiare in questo tipo di posizione ideologica, che non a caso affascina gli ingegneri, è l’incapacità di ragionare in termini di ciclo di vita di un prodotto, e anche quella di ragionare in termini di filiera. Tutto questo naturalmente viene fatto con grande scioltezza in nome della complessità!🤗

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    16. @Terenzio. Piccola (enorme) premessa: si stanno cercando toppe da mettere ad un sistema di per sé instabile, insicuro, inefficiente e costoso come quello rinnovabili 100%, che è stato SCELTO.
      Detto ciò: 1) Nucleare: "il nucleare in Italia no" perché... e giù con la solita lista di luoghi comuni. Anche gli USA dipendono dalla russa Rosatom per l'arricchimento dell'uranio delle loro centrali nel Kansas o giù di lì! Anche la Francia non è completamente autonoma, anzi: compra uranio dal Kazakistan e lo fa arricchire (anche) da Rosatom. Invece, quanta parte della filiera delle rinnovabili controlla l'Europa, o l'Italia? Presto detto: zero. Si cita la Francia che non fa centrali nucleari da anni, ma perché avrebbe dovuto farlo, fino a pochi anni fa, avendo raggiunto un equilibrio energetico stabile? Ora deve farlo, vista l'elettrificazione dei consumi energetici imposta dal Green Deal, e Macron ha lanciato un fior di programma da 60 miliardi, nazionalizzando EdF. Anche perché ha visto l'opportunità di esportare il baseload a quegli allocchi tedeschi. Poi, se uno va in Cina, vede che lì entro il 2029 avvieranno 26 reattori nuovi. Il problema del nucleare sono i costi? Forse solo se non si considerano i costi extra-LCOE delle rinnovabili. C'è ampia letteratura scientifica sul tema del System LCOE (i costi di integrazione delle rinnovabili nel sistema, considerati quindi i costi di profilo, accumuli, bilanciamento, rete). In altre parole, le rinnovabili rendono il baseload risorsa scarsa, alzando tutta la curva di costo dell'energia elettrica.
      2) L'accumulo circadiano, come lo chiami tu, non è sufficiente in nessuna parte del mondo, oggi, e non lo sarà per lungo tempo ancora, e soprattuto costa un occhio della testa. Sull'accumulo con idrogeno stendo un velo pietoso, considerata l'inefficienza del processo e considerato anche che oggi le regole dicono che si può fare solo con energia rinnovabile (quindi devi aggiungere altra potenza rinnovabile solo per fare l'idrogeno: ma ci sarà tutto il rame, l'acciaio, il nichel, la grafite, l'alluminio, il manganese, lo zinco, per mettere in piedi un sistema mondiale fatto a rinnovabili ed elettrolizzatori alimentati a rinnovabili? Risposta: no, altro che picco del petrolio!).
      3) Il metano di sintesi è bello ed ingegneristicamente funziona. Ma qui si palesa il difetto di visione tipico dell'ingegnere, se posso, per cui se una cosa "funziona" allora il problema è risolto. Ho passato quasi trent'anni della mia vita tra gli ingegneri (gasp!) e non ho rilevato eccezioni a questo difetto di visione d'insieme. Tra una soluzione tecnologica e la sua applicazione c'è di mezzo l'uomo, la storia, l'insieme, l'opportunità, il costo, e soprattutto il buonsenso. Si cercano soluzioni sensate ai problemi creati da una scelta insensata.
      Ovviamente, è tutto, filosoficamente, un non-senso. Un metanatore funziona, ma che senso ha?

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    17. Ma ancora il metano di sintesi e l'idrogeno?
      Avrei voluto scrivere di più, ma vedo che è già stato detto sostanzialmente tutto, se non un paio di cose forse superflue (se non esiste rame a sufficienza per la transizione, è inutile pensare alla transizione).
      Dal mio ultimo esame di fisica tecnica, dei 3 tipi di pannelli (cinesi) fotovoltaici ne rimangono 2, poli e monocristallino, legati come sappiamo all'incidenza dei raggi solari sul pannello e che quindi avremo abbondanza di energia quando ci serve di meno.
      Riesce a rendere le abitazioni indipendenti? No. Nemmeno con le batterie.
      A livello di centrale energetica però può fare la differenza...? Se non lo fa con le abitazioni, figuriamoci.
      L'eolico non ne parliamo.
      Le centrali a sali fusi non fondono né di notte né con cielo nuvoloso e comunque divorano una quantità eccessiva di suolo pianeggiante che potrebbe essere usato per altro.
      A me il grin sembrava morto già quindici anni fa, il volercisi accanire ha dato qualche speranza, ma sappiamo tutti ormai che 'lu grin sa mort'.
      Sul petrolio e i suoi picchi, forse non sono chiare le implicazioni del suo totale abbandono.
      Senza lavorazione del petrolio non esiste la filiera della chimica, o se non tutta, gran parte; ad esempio, nel tessile bisognerebbe ritornare alla filatura della canapa, rimpiazzata dal nylon, cosa che potrebbe sembrare bellissima a quelli a cui piace la bruschetta all'olio di canapa. Peccato che non ci sarebbero trattori o macchine agricole a meno di farle funzionare a idrogeno (i quali per ora nemmeno esistono anche se li prevedevano, "scientemente", nel PNRR) o con motori elettrici.
      Ancora, mi sembra sia stato proprio Muschio a spiegare ai suoi accaniti sostenitori che non esiste tecnologia per sostituire le turbine dei jet o creare un razzo spaziale con motore elettrico, lo voglio vedere alzarsi in volo un Boeing con 40 mila tonnellate in più di batterie a bordo. Senza petrolio non esiste benzina avio; a questo punto punto suggerirei di ripartire dagli esperimenti di Leonardo Da Vinci sulle macchine per il volo umano.
      E poi tantissimo altro.
      Davvero, non capisco come i sostenitori della transizione energetica non capiscano che questo cambierebbe totalmente la nostra vita e dovremmo fare a meno di tanti oggetti di uso quotidiano, responsabili per altro di un certo progresso.

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    18. @durezza del vivere e altri Premessa generale: anch'io ho dubbi sulla sostenibilità del green, soprattutto relative alla carenza di analisi serie di sistema, che andrebbero sviluppate dai decisori politici, ma il mio intervento riguardava l'insostenibilita' del BAU (Business as usual) che rende inevitabile approfondire scenari alternativi.
      Per quanto riguarda il nucleare, sul processo dell'arricchimento dell'uranio, la situazione è quella che ho scritto qui https://www.facebook.com/share/p/1GrAtEhwUF/
      In sostanza ogni paese che ha il nucleare controlla un'azienda del processo. Noi dovremmo dipendere da uno di loro e sappiamo già che sarebbe la Francia.
      La situazione delle centrali francesi è ben descritta qui https://www.pubblicazioni.enea.it/component/jdownloads/?task=download.send&id=476&Itemid=520
      La Francia avrebbe dovuto costruire altre centrali da tempo perché quelle esistenti erano quasi tutte vicine alla fine della vita utile, fissata finora a 40 anni, ed è stata costretta ad allungarla a 60 anni, come mai?
      La situazione delle risorse di uranio è quella che ho descritto qui http://aspoitalia.blogspot.com/2009/09/le-risorse-di-uranio-cronaca-di-una.html
      e qui http://aspoitalia.blogspot.com/2011/02/la-censura-del-forum-nucleare.html
      qualche anno fa, ho rivisto i dati di recente e la situazione è sostanzialmente confermata.

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  5. "... un grafico tutto sommato sorprendente perché mostra come il pass-through fra costi internazionali dell'energia e inflazione nazionale non sia poi stato alterato in modo drammaticamente significativo dall'entrata nell'Unione economica e monetaria: negli anni '70 inflazione al 20% con un incremento dei prezzi dell'energia del 200%, negli anni '20 inflazione all'8% con un incremento dei prezzi dell'energia dell'80%..."

    Domanda: sarebbe sorprendente anche se il rapporto tra PIL reale e energia consumata fosse rimasto abbastanza costante (se, quindi, l'innovazione tecnologica non avesse diminuito di molto l'energia necessaria a produrre un certo valore di beni)? Perché, da quello che ho trovato (con tutti i dubbi dovuti alla mia incompetenza e a una ricerca troppo veloce), sembrerebbe che non sia variato moltissimo. In quel caso, l'aumento del prezzo dell'energia non dovrebbe causare un aumento dell'inflazione abbastanza simile? Dove sbaglio?

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    1. All’inizio della pandemia chiesi a qualche “esperto” se esistessero serie storiche di dati sull’intensità energetica della produzione, ma nessuno fu in grado di rispondermi. La mia preoccupazione era esattamente questa: se le produzione fosse diventata meno “energy intensive”, lo shock da offerta che all’epoca vedevamo solo qui avrebbe avuto minori conseguenze sull’inflazione. Tu i dati dove li hai trovati?

      Comunque, questo è uno dei due “macroaspetti” della questione. L’altro è la “qualità” delle istituzioni, cioè la Banca centrale indipendente. E anche in questo caso si vede che non moltissimo è cambiato. Leggendo “Sorvegliata speciale” ho trovato un interessante resoconto dell’appoggio di Berlinguer alle politiche di austerità, derivante (indirettamente) da un impulso estero, e motivato da considerazioni strategiche non banali. Le sue condizioni non erano molto diverse dalle nostre oggi, con una differenza: lì i muri stavano per cadere (anche se nel 1976 nessuno se lo immaginava), mentre ora tutti si immaginano che si stiano rialzando (anche se forse non succederà). Una differenza probabilmente inesistente, quindi…

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    2. La ricerca incompetente e veloce di cui dicevo è nata dalla prima domanda che mi sono fatto: come varia nel tempo la quantità di energia necessaria a produrre il valore totale dei beni scambiati in un paese (del quale mi interessa osservare l'inflazione e come questa eventualmente dipenda dal costo dell'energia) ?
      La prima difficoltà che ho incontrato cercando articoli scientifici è stata che tutti erano interessati soprattutto alla relazione di causalità tra consumo di energia e GDP, con risultati i più vari possibili e contrastanti tra studi e paesi: qui il consumo energetico causa il GDP, lì il contrario, altrove causalità non se ne osserva. Il mio problema è che, non avendo accesso accademico agli articoli completi, avevo difficoltà a trovare i dati grezzi, sul tempo, delle due variabili.
      Poi, ho trovato diversi grafici (per paesi diversi, per il mondo...) nei quali si approssimava GDP vs energy con una retta, con risultati variabili ma, tutto sommato, a occhio non così fuori luogo. In diversi casi veniva citata la Banca Mondiale come origine dei dati, o altre istituzioni internazionali. Ne posto alcuni di esempio: 1, 2, 3, 4 ... ce ne sono molti, ma come dicevo, ricerca veloce e non molto ragionata, solo per farmi un'idea. Quindi, forse, una relazione abbastanza stabile tra le due quantità poteva esserci. Però avevo bisogno di altro: della dipendenza temporale e dell'applicazione al paese specifico.
      Sulla dipendenza temporale ho trovato altro, ad esempio,
      questo... sempre piuttosto incoraggiante rispetto all'ipotesi. Ma, per farla breve, dopo vari altri grafici, alla fine ne ho trovato anche uno relativo proprio all'Italia che aggiungeva la serie storica (dal 1965 al 2017) al fit lineare GDP vs energy: qui.
      Ora, mettendo le mani avanti per l'ennesima volta (perché non è la mia materia, non ho controllato a fondo le fonti, potrei aver fatto errori marchiani non avendoci ragionato abbastanza), mi sembra che, tutto sommato, un certo livello di indipendenza dal tempo e da altre condizioni dell'energia necessaria per produrre un valore totale di beni e servizi in un paese non sia una conclusione così peregrina, soprattutto testandola con un paio di misure a campione su un arco di tempo specifico come si faceva nel post. A quel punto ho domandato qui, magari stavo facendo un ragionamento errato e non valeva la pena perderci altro tempo.
      Se però è effettivamente "fissa" la quantità di energia necessaria per produrre PIL, allora i mutati assetti politici e finanziari entrerebbero nel risultato inflattivo dell'aumento dei costi energetici solo tramite i loro effetti sul valore della moneta, giusto?
      Cioè, due componenti:
      1. ribaltamento del fabbisogno energetico sul PIL e quindi sui prezzi;
      2. effetti politici/finanziari sulla moneta d'acquisto.
      Il secondo effetto, però, non mi aspetto di vederlo molto marcato sulla crescita percentuale dell'inflazione... o ho detto un'altra stupidaggine?
      Per fare le cose fatte bene bisognerebbe cercare i dati storici completi GDP e energia su fonti affidabili e rifare tutto...

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    3. ***l'intermittenza, soprattutto quella stagionale è il vero limite delle rinnovabili***
      Ma quale "limite" caro terenzio! "per l' estate" basterebbe coprire la valle padana di pannelli solari ( ad esempio coprendo di silicio tutti i tetti) ed utilizzare l' energia diurna in eccesso per pompare l' acqua in centinaia e centinaia di bacini artificiali alpini per poi estrarne l' energia idroelettrica per la notte ( e le giornate di pioggia)-
      "Per l' inverno" (quando purtroppo c è anche tanta nebbia) invece si potrebbe far arrivare l' energia solare raccolta con enormi distese di pannelli nel sahara attraverso enormi elettrodotti .
      Non c' è limite alla fantasia( specie quando nessuno fa uno straccio di conti)

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    4. L'intensità energetica del PIL è in calo in tutti i paesi avanzati, per via della progressiva de-industrializzazione e dell'aumento del PIL derivante dai servizi, che ovviamente necessitano di meno energia. Qui c'è un piccolo thread sul tema:
      https://x.com/durezzadelviver/status/1696587458828218631.

      Dati aggiornati si possono trovare qui, espressi in kg di olio equivalente per dollaro di PIL reale: https://yearbook.enerdata.net/total-energy/world-energy-intensity-gdp-data.html .
      Si tratta del totale del consumo energetico dei paesi, non solo di energia elettrica, ovviamente.
      C'è anche la misura dell'intensità carbonica nella produzione di energia elettrica paese per paese, qui: https://ourworldindata.org/grapher/carbon-intensity-electricity?tab=chart , che però, appunto, esclude l'attività industriale e i consumi delle famiglie (trasporti compresi).
      Poi c'è la misura dell'intensità carbonica del PIL, che indica quante emissioni sono state necessarie per un dollaro di PIL: https://ourworldindata.org/grapher/co2-intensity?tab=chart&time=1995..latest&country=USA~CHN~ITA~FRA~DEU.
      Sull'impatto inflattivo del green rispondo sotto.

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    5. Grazie, Durezza. La parola agli esperti che sanno e sanno dove cercare. Dati interessanti. La serie comincia dal 1990 e, per l'Italia, dal 1990 al 2004 il consumo energetico per unità di PIL è praticamente costante (direi in linea con il grafico che avevo trovato). Poi si assiste a un calo di circa il 25% dell'impatto energetico sul PIL... perfetto. Avevo sbagliato strada.

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    6. Però, tutto è bene quel che finisce bene. Ho ottenuto due risultati:
      1. Ricordarmi di non pensare mai che una cosa che sembra sorprendente al padrone di casa possa avere una spiegazione semplice;
      2. Approfondire un po' il tema, rendendomi conto di quanta complessità contiene e che è difficilmente approssimabile con ragionamenti qualitativi.
      Ho capito di aver fallito il punto ma anche che facendo un conto abbastanza semplice avrei potuto accorgermene prima. Basta vedere quanto è il costo dell'energia associato a un euro di PIL per capire che il pass-through energia-inflazione deve essere tutt'altro che banale.

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    7. @passavo di qui fai lo spiritoso, ma si capisce che non hai dimestichezza con la questione energetica. I conti sono stati fatti e li ho fatti anch'io
      https://www.facebook.com/share/p/1EU2K5TVay/
      possiamo dire che utilizzando il 5% del territorio italiano con installazioni fotovoltaiche si potrebbe soddisfare quasi tutto il fabbisogno energetico italiano. Questa percentuale corrisponde a circa il 50% dei terreni incolti italiani.
      Ma questa soluzione teorica è ostacolata evidentemente da problemi di natura logistica, industriale, economica e soprattutto, sì, dall'intermittenza della fonte, vero problema irrisolto e chissà se mai risolvibile.

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  7. Evidenzio un punto che forse non ho sottolineato abbastanza nel post: allo stato, non credo che abbiamo basi statistiche per valutare l’impatto inflazionistico del green. In altre parole, se dovessi costruire un grafico come quello riportato in questo post per associare all’inflazione il costo dell’energia non saprei come fare, perché il costo della CO2 è a tutti gli effetti una componente di costo dell’energia, ma quanto incida sul totale non è ovvio.

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    1. Questo significa che ci avviamo verso un’era di scenari economici particolarmente incerti, e di un’incertezza radicale e irriducibile. Qui finora abbiamo potuto azzeccare alcune tendenze perché non avevamo motivi ideologici per non azzeccarle, ma da ora in avanti anche lo spazio di chi vuole essere intellettualmente, onesto si restringe. Ovviamente questo riguarda solo l’Unione Europea, perché ricordo che il problema non è l’emergenza ambientale, ma il peculiare modo di gestirla che è stato adottato da noi, a partire dall’emission trading system e da lì in giù per la china dell’autodistruzione.

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    2. infatti il green sembra il pretesto per ridurre drasticamente la produzione industriale e l'economia reale, di stampo keynesiano, in favore di un'economia socialista (di una società nuova, fortemente assistenzialista), dove la domanda è sostituita dal fabbisogno (indotto). Ricordo che la co2 è presente in grandi quantità nelle profondità oceaniche e nei ghiacci antartici e viene emessa in milioni di ton/anno dai vulcani e dalla combustione magmatica, è una componente imprescindibile del ciclo aria/acqua. La china dell'autodistruzione porterà ad una cessione di sovranità e ad una società di stampo neofeudale, ma prima i nuovi padroni dovranno acquisire con la forza il monopolio delle materie prime

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    3. Sto pensando che almeno per quanto riguarda l'energia elettrica si può risalire a quanto pesa il costo della CO2 sul prezzo dell'energia all'ingrosso, a seconda della tecnologia di generazione. Ci sono dei coefficienti standard da applicare (a memoria 0,41 tonnellate di CO2 a MWh prodotto per il gas, e 0,91 per il carbone, ma dovrei controllare) e ci sono i prezzi della CO2 quotata sul mercato future (volendo ci sono anche i risultati delle aste periodiche, più o meno i prezzi sono simili). In questo modo si riuscirebbe a risalire a quanto pesa il costo della CO2 sui prezzi medi dell'e.e., considerato che a livello statistico abbiamo tutti i dati storici di produzione di e.e. distinti per tecnologia di generazione.
      Più in generale, l'impatto inflattivo del Green Deal sarebbe un bel campo di analisi. Ho letto alcune cose, che cito in un capitolo de L'impero minore, anche se non ho ancora avuto tempo di approfondire compiutamente. Vi sono anche effetti indiretti, come tu mi insegni: ad esempio, vi è un impatto sull'inflazione per gli stranded cost degli operatori del fossile. Vi è un impatto inflattivo per la domanda di tecnologie green come i rotori delle pale eoliche, oltre che per la accresciuta domanda di materie prime. Ma vi sono anche aspetti meno ovvi: ad esempio, la minore producibilità delle fonti rinnovabili è intrinsecamente inflazionistica.

      Sarebbe in effetti molto interessante creare un bel modello (a/simmetrie?) che tenga conto di tutte le (o la maggior parte delle) variabili che possono influenzare i prezzi.
      Qui c'è un esempio di calcolo (un po' con l'accetta, ma è per capirsi) di impatto inflattivo della transizione, che arriva al numerello di 1,6%: https://www.carmignac.com/uploads/pdf/0001/24/966817add7b480f1ea904d872b3ad7813ae188d7.pdf

      C'è poi uno studio semiserio come questo: https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0140988324006145
      che pur se incompleto, io credo, ha almeno il merito di provare a dare risposte empiriche.
      Non so se è questo ciò che intendevi compiutamente, ma avendo tempo (la materia prima più importante e più scarsa!) ci si potrebbe lavorare.

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    4. Questo potrebbe anche spiegare, almeno in parte, il calo delle quotazioni dell'ultimo periodo dei titoli governativi area euro sulle scadenze medio / lunghe, pur in un contesto di politica monetaria di abbassamento dei tassi. Si nota sia sul btp marzo 2072, Austria 2120, Oat 2072...Può essere che stiano scontando aspettative molto incerte sui futuri tassi di inflazione e dunque i rendimenti salgono pur in presenza di riduzione dei tassi a breve termine (c'è il tema dell'instabilità politica di Francia e Germania ma non credo incida su scadenze così lunghe).

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    5. @durezza

      Due link interessanti. Quello di Carmignac mi ricorda certi studi sull’impatto dell’uscita dall’euro (come quello di BofA-Merril Lynch). Il problema della greenflation esiste, anche se nello studio “serio” l’impatto appare piuttosto contenuto.

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    6. Visto che ormai la mia figura barbina nei commenti a questo post l'ho fatta, mi permetto senza timori una domanda di metodo. Nello studio Carmignac si fa riferimento a questa stima di ECB. Ora, sono io che non riesco a vederlo per mie mancanze o non c'è alcun senso nel metodo e nel risultato? E che utilità ha confrontare scenari di mitigazione, già di per sé molto incerti, con uno di "climateflation" di fantasia? Solo per inserirsi nel mainstream della necessità di affrontare aumenti dei costi generati dai processi di mitigazione?

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  8. SRAS in questo contesto: Short Run Artificial Supply

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  9. Come sempre, quando si parla di green non posso non commentare.
    Spoiler: condivido quanto detto nel post e aggiungo un paio di considerazioni.

    Il primo, sul progresso tecnologico: perlomeno lato batterie, sembrerebbe che i prezzi siano ulteriormente in discesa: qui ma anche qui. Avevo letto un articolo che parlava esplicitamente di batterie utility scale, anzichè di quelle per veicoli elettrici, ma non lo trovo.
    Riflessione: le batterie sono funzionali alla transizione energetica, ma da sole non servono a niente (non producono energia, anche se alcuni dicono letteralmente questo - i ciarlatani sono ovunque, anche nelle aziende energetiche). Saranno scese di prezzo per una riduzione di domanda? Per il progresso tecnologico o per maggiori efficienze del sistema produttivo? Non ne ho idea: fortunatamente non è più il mio lavoro, quindi non vi so dire. Però, come dato di fatto, un progresso tecnologico c'è e questo, di per sè, potrebbe facilitare la transizione.

    Secondo aspetto: dal primo giorno di triennale ho sempre interpretato la CO2 come una esternalità del processo produttivo. Ritrovarmela come materia prima è un pò spiazzante e forse un pò fuorviante. Vogliamo forse dire che Tesla, producendo certificati verdi (che poi rivende) è un produttore di materia prima? Ci può stare come chiave di lettura, beninteso, ma per me rimane un pò spiazzante. Però, se fosse cosi, allora, qualsiasi meccanismo per correggere le esternalità negative, le trasforma automaticamente in materia prima.. roba da mangiarsi le mani!

    Sarebbe interessante per me, esplodere quest'ultimo concetto: i meccanismi per la correzione delle esternalità, dal momento che richiedono a qualcuno di pagare qualcosa che prima era gratis, automaticamente portano inflazione.

    Tornando all'attualità: anche se sarebbe bello uscirne, al momento nell'UE ci siamo. E le sue stupide regole sul debito sono attive: siamo sicuri che un pò di inflazione ci faccia così schifo?

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    1. Una esternalità è un bene che non ha un prezzo. Se glielo metti, ridiventa un bene (basic economic reasoning). Se per produrre devi acquistarlo, è un fattore di produzione (basic economic reasoning).

      Dopo di che, sono d’accordo in astratto sul fatto che forti debitori siano più avvantaggiati che svantaggiati dall’inflazione, ma dipende anche da che tipo di inflazione e da come viene gestita. Quello che temo succederà è che noi avremo tassi reali molto elevati perché i tassi nominali saranno commisurati al processo inflattivo dei Paesi in cui la transizione è più costosa (un po’ come sta succedendo ora), e questo non favorisce il rientro del debito pubblico.

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  10. Buongiorno, non ho capito completamente come si calcola la necessità di acquistare i certificati verdi. Mi pare di capire che devono essere il 2% della produzione di energia elettrica realizzata. Non ho capito chi li emette, con quale meccanismo, come sono scambiati e tramite quale ente.

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    1. Mauro, i certificati verdi non esistono più. Erano assegnati dal GSE a chi produceva da fonte rinnovabile ed erano quotati su un mercato riservato, dove gli acquirenti erano i produttori termoelettrici, che dovevano comprarne per una certa quota della loro produzione. Sistema archiviato. Ora ci sono altri incentivi e sussidi per le rinnovabili.

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  11. Piccola nota di esperienza personale: in campo edilizio la promozione dell'utilizzo delle fonti rinnovabili sta dando i suoi frutti, soprattutto dopo il DECRETO LEGISLATIVO 8 novembre 2021, n. 199 che all'Allegato III impone che gli "edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni rilevanti sono progettati e realizzati in modo da garantire, tramite il ricorso ad impianti alimentati da fonti rinnovabili, il contemporaneo rispetto della copertura del 60% dei consumi previsti per la produzione di acqua calda sanitaria e del 60% della somma dei consumi previsti per la produzione di acqua calda sanitaria, la climatizzazione invernale e la climatizzazione estiva."
    Avremo certamente edifici energeticamente più efficienti.
    Naturalmente il costo di questi impianti è notevolmente più alto rispetto al tradizionale sistema a caldaia termica in termini di prima installazione, di manutenzione ordinaria e straordinaria. Pompe di calore di vario tipo e pannelli solari vari richiedono una spesa notevolmente maggiore che non tutti riescono agevolmente a sostenere senza conteggiare le complicazioni tecnologiche(quindi manutentive).
    Anche la loro vita utile e il livello di declino del rendimento nel tempo è molto più rapido, verosimilmente più breve nella misura di 1 a 2: ogni 15 anni deve essere rifatto tutto contro i 30 anni degli impianti con caldaia termica. Un costo assai alto che grava e graverà sui proprietari; avremo anche un consumo maggiore di materie prime varie: alluminio, plastica, rame, silicio, oro, ecc. e di materiali per la maggior parte prodotti/trasportati/provenienti dall'estero.

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    1. Oramai mi sembra chiaro che il fine di ogni direttiva europea è impoverire i popoli " soggetti". Nella pratica, ci viene fatta una "guerra " dichiarata "a fin di bene": le "future generazioni" , "l' umanità intera" , "il pianeta" etc..

      Ora però , probabilmente per"accelerare i tempi " , hanno pure intenzione di fare "guerra su due fronti" ( noi "sudditi" e la russia) il che , essendo una classica cavolata strategica ( francia e germania docent) sarà certamente un bello spettacolo ( se visto da fuori).

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  12. La quotazione sul "libero mercato" del prezzo del gas a sostituzione dei contratti trentennali a prezzo fisso + le sanzioni verso chi fornisce a prezzo minore il gas tramite i gasdotti non mi sembra una scelta economicamente razionale dal punto di vista di produttivo. Mi sembra normale che realtà economiche confinanti abbiano un interscambio commerciale vantaggioso per entrambe le parti.

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  13. Quando un economista incontra un ingegnere… Parafrasando aggiungo quando un economista incontra un filosofo: mi riferisco alle Memorie di Amartya Sen con riferimento alla sua amicizia con il nostro grande economista Piero Sraffa conosciuto nel 1953 al Trinity College a Cambridge. Qui nel 1929 torno’ Ludwig Wittgenstein poco dopo l’arrivo di Sraffa: fu un vero evento e John Maynard Keynes scrivendo a sua moglie: “Ebbene, Dio e’ tornato. L’ho incontrato sul treno delle cinque e quarto”
    Il rapporto fra i due fu molto intenso e portò Wittgenstein a modificare la sua teoria espressa nel Tractatus e sintetizzabile con “su ciò che non si può parlare si deve tacere” . Sraffa non aveva alcuna obiezione sull’esigenza posta dall’imperativo del filosofo, ma sosteneva che possiamo parlare e comunicare perfettamente anche senza obbedire alle sue severe regole.
    Come finì? Finì che in Wittgenstein si parla di un prima e di un dopo il 1929 con riferimento al suo pensiero e che i colloqui con Sraffa lo influenzarono in modo decisivo. Alla fine Sraffa si stufò dell’amicizia con quest’ultimo e cessò la sua frequentazione.

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  14. Quando un economista incontra un ingegnere… Parafrasando aggiungo quando un economista incontra un filosofo: mi riferisco alle Memorie di Amartya Sen con riferimento alla sua amicizia con il nostro grande economista Piero Sraffa conosciuto nel 1953 al Trinity College a Cambridge. Qui nel 1929 torno’ Ludwig Wittgenstein poco dopo l’arrivo di Sraffa: fu un vero evento e John Maynard Keynes scrivendo a sua moglie: “Ebbene, Dio e’ tornato. L’ho incontrato sul treno delle cinque e quarto”
    Il rapporto fra i due fu molto intenso e portò Wittgenstein a modificare la sua teoria espressa nel Tractatus e sintetizzabile con “su ciò che non si può parlare si deve tacere” . Sraffa non aveva alcuna obiezione sull’esigenza posta dall’imperativo del filosofo, ma sosteneva che possiamo parlare e comunicare perfettamente anche senza obbedire alle sue severe regole.
    Come finì? Finì che in Wittgenstein si parla di un prima e di un dopo il 1929 con riferimento al suo pensiero e che i colloqui con Sraffa lo influenzarono in modo decisivo. Alla fine Sraffa si stufò dell’amicizia con quest’ultimo e cessò la sua frequentazione.

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  15. ...un po' fuori tema, ma mi domando se il delirio green non abbia offuscato le menti di chi, nella Legge di Bilancio 2025, ha previsto una singolare modifica normativa in merito all'assoggettamento ad Irpef dell'auto aziendali assegnate in uso promiscuo ai dipendenti: se si prendono le tabelle ACI del 2024, nel caso in cui il datore di lavoro decida di assegnare a uso promiscuo al dipendente/amministratore un Porsche Taycan (auto elettrica da oltre 400 cavalli), il fringe benefit in capo al dipendente sarebbe di 1.137 euro.
    Se allo stesso dipendente/amministratore venisse invece assegnata una Fiat Panda 1.0, il fringe benefit tassato sarebbe di 2.198 euro.
    Con le tabelle ACI 2025, pubblicate da poco, non cambierebbe molto.
    Ora, non saprei dire se la Panda 1.000 a trazione non elettrica inquini di più di una Porsche elettrica, ma lo stesso mi domando se l'obiettivo del legislatore fosse quello di approdare a questi esiti.
    Michele

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    1. Direi di sì, per definizione, ma stiamo rimediando con un emendamento su altro provvedimento in commissione Finanze Senato.

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    2. Grazie per la precisazione. Mi auguro passi. Suppongo l' "altro" provvedimento sia il Milleproroghe

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    3. Mi permetto di aggiungere che l'auto 'ibrida' assegnatami per uso promiscuo, scelta per il motivo sopra dalla mia azienda, dopo 6 mesi di utilizzo, ha prodotto circa il 15% in più di consumo carburante rispetto alla diesel pura di prima. Giusto per darvi un dato preciso e spero utile.

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  16. A me sembra che l’enorme debolezza della strategia politica che stiamo adottando per contrastare il cambiamento climatico non risieda in un’attitudine decrescista degli ambientalisti, ma nella continuità con la visione politico-economica liberale che ha dato origine alle regole di Maastricht.
    Se è vero che nella UE “la lotta al cambiamento climatico è condotta all’interno del paradigma predominante degli effetti climalteranti delle emissioni di CO2”, è altrettanto vero che si svolge nel quadro di un altro paradigma: il mercato è l’unico meccanismo capace di allocare le risorse in modo efficiente. Secondo questa visione, il prezzo della CO2 dovrebbe riflettere i costi esterni che essa genera, attraverso l’introduzione di una carbon tax. In questo modo, gli agenti economici dovrebbero allocare le risorse in modo ottimale, rimediando così a un fallimento del mercato (sempre sia lodato).
    Non so se la UE (e Draghi) siano consapevoli del fatto che questa misura possa avere un effetto depressivo dal punto di vista macroeconomico, ma è certamente noto il suo impatto regressivo. Per questo motivo, con l’approvazione della cosiddetta ETS 2, in pari data (e non credo sia un caso), è stato anche istituito il Social Climate Fund, i cui fondi dovrebbero servire a disinnescare tutte le possibili vulnerabilità che scaturiranno dall’aumento del costo dell’energia.
    Anche se, secondo me, sono fondi del tutto insufficienti, cercherei di spenderli il meglio possibile.

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