domenica 1 maggio 2016

Terza globalizzazione e primo maggio: lavoro, capitale e Costituzione

Il 01/05/2016 07:25, R A ha scritto:
Salve Maestro,
Chiarisco subito perché le scrivo, per via di uno dei suoi vari articoli su goofynomics, "Eurodelitto ed Eurocastigo", ho pianto nelle ultime due ore. Le scrivo quindi per ringraziarla.
Sono uno studente di psicologia, appassionato di politica e di altre cose, seguo il suo blog da un anno in silenzio ma adesso, ritrovando quel vecchio articolo che avevo saltato per non so quale motivo, ho sentito questo desiderio di scriverle.
Prima era soltanto un professore, divertente, egomaniaco, paziente, colto, sensibile, severo e capace (quindi con tutte le qualità che un buon professore dovrebbe avere) ma un professore sostanzialmente, che stava tentando di inculcare nella testa vuota mia e di altri delle nozioni importanti per renderci anzitutto dei cittadini. Ora no, di qui l'incipit che non si riferisce solo al campo musicale.
Premessa: io a livello razionale non credo più nella sinistra Italiana da un bel po', tuttavia...
Quell'articolo su SEL (o su tutto il centrosinistra), ha provocato in me diverse cose: mi sono arrabbiato davvero anzitutto, mi sono chiesto come questi abbiano potuto svendere così tutto quello in cui credevano e considerazioni su questa linea. Poi è crollato tutto il discorso, ho capito finalmente che di quel discorso ne ero convinto col cuore e non con la testa, e ho iniziato a stare male.
Soprattutto, deve sapere che Dostoevskij è uno dei miei autori preferiti, se non il mio preferito in assoluto, e insomma, pensavo in breve che si riferisse agli altri con quel libro, non a me, a me non poteva succedere, io non ero come Raskolnikov, semmai assomigliavo al principe Miskin! (Idiota lo ero sicuramente, su questo non sbagliavo).
Io non avevo capito Dostoevskij, che parlava a tutti e soprattutto a me.
Mi sono chiesto se fossi sicuro che, se non fossi stato da sempre di base uno non in grado di uniformarsi per più di una settimana a qualsiasi pensiero di qualsiasi gruppo, oltre che un pigro, non avrei fatto la loro stessa fine. Perché anche se ero relativamente piccolo io ci credevo a Prodi, e ho creduto pure a Monti in età meno innocente credendo a giornali che sapevo mentissero su molte cose in maniera sistematica, per esempio. Solo per ideologia. E ho pure propagandato il falso, per anni, credendomi migliore di altri quando spesso anche il più semplice e "rozzo" ragazzo di destra della mia scuola diceva cose più sensate di me, e io lo trattavo da cretino. Mi sono creduto migliore di altri anche sapendo che fosse una idiozia, anche avendo tutti gli strumenti per dubitare che fosse così per un'illusione del cazzo che sceglievo di tenere in vita io credendo a contraddizioni e bugie! (E poi magari schernivo i cattolici, tzè...) 
Prima di questo articolo, ero convinto di dover mettere da parte certe cose del mio carattere e rimboccarmi le maniche, aiutare nel nuovo FSI (so dei vostri contrasti e se dovessi incontrarla vorrei chiederle anche una sua completa versione, anche se ho più di una teoria). È inutile dire che ormai questa prospettiva mi terrorizza. Non voglio diventare come loro. 
Soprattutto ora devo dirlo. Ho già cominciato, ma senza confessione, e gradualmente, se capisce. Un altro dei miei autori preferiti scrisse "l'orrore! L'orrore": di dover dire a tutti che ci hanno pugnalato, e l'hanno fatto perché ci siamo tutti girati di spalle. Ai miei amici, a mio padre e a mio fratello (entrambi m5s), ma soprattutto a mia madre. Che è un'insegnante pubblica, che andava al biliardo con due futuri (ormai passati) membri delle br, che da quando è single e cinquantenne in tre cose crede: il Cattolicesimo, i figli e il PD.
Insomma, è difficile. Spero di farcela.
La lettera è confusa e non si capisce bene anche se l'ho riletta e ricorretta, ma non vorrei tradirla più di quanto abbia già fatto. Il succo è che la ringrazio, ha tutto il mio supporto e spero di incontrarla quanto prima, anche perché deve spiegarmi davvero quale tecnica di meditazione usa per non esplodere in mezzo a tutto questo schifo. 

Con immensa stima,
(emphasis added)

Il mio primo maggio è iniziato così, nel modo giusto, direi: con un riconoscimento per il mio lavoro. A Riccardo voglio solo dire di non prendersela: l'ethos piddino ci impone di considerare e utilizzare i classici come un complesso apparato di segnalazione della nostra appartenenza culturale. Pochi di noi si emancipano fino a utilizzarli per quello che sono: uno strumento di analisi della realtà, la cui validità è confermata dall'aver resistito all'usura del tempo. L'analisi la detta la linea del partito: a quella devi obbedire, senza analizzarla, e Dostoevskij lo devi leggere, senza usarlo. Se alla fine ce l'hai fatta è perché, come dici tu, sei pigro e incapace di uniformarti. Sei arrivato tardi, ma sei arrivato, e per di più in un momento nel quale, come credo si capisca, i ponti levatoi di questa cittadella sono stati tirati su. Complimenti.

Capiti al momento giusto, perché volevo appunto parlarvi di Eurodelitto ed eurocastigo.

Anche secondo me è il post centrale di questo blog, perché evidenzia il nostro principale problema politico: quello causato da un'intera generazione di progressisti che hanno tradito se stessi perché si sentivano migliori degli altri. Pensare che un Fassina o un D'Attorre facciano l'operazione di verità di Raskolnikov è ovviamente utopistico né mi sentirei di consigliarglielo: il coraggio chi ce l'ha non lo può dare, e va anche detto che io rispetto le competenze altrui. I politici sono loro, loro sono stati eletti, loro sapranno come, e ovviamente se ritengono che dire la verità in questo momento li condannerebbe all'estinzione sono liberi di non farlo. Il momento non è semplice, mancano anche le occasioni, per farla, questa operazione, va riconosciuto. Di fatto, la sinistra, intesa come schieramento progressista organizzato a tutela dei diritti dei lavoratori, è spacciata. Fra internazionalisti da operetta come "er Fiatella" (leggetevi la sua tweetline per tirarvi su il morale), timidi praticanti delle mezze ammissioni (più liberi di dire la loro nel PD in contrapposizione a Renzi che dentro SEL in alleanza con il Fognatore Vendola), e superomisti in sedicesimo, tutti false certezze e disprezzo verso il popolo bue e bottegaio che cerca rappresentanza politica al di fuori della cerchia degli eletti, la sinistra è sconfitta.

Il capitale l'ha sconfitta, conquistando in modo tatticamente e strategicamente impeccabile una egemonia culturale inscalfibile. L'errore strategico fondamentale della sinistra credo che ormai ci sia chiaro: ci ho anche scritto un articolo, e lo evidenzio continuamente. L'errore è stato utilizzare le categorie del nemico, lasciare che fosse la destra, che fosse il liberismo, a circoscrivere il perimetro del dibattito.

L'esempio più sfolgorante in questo senso è quello der Nutella, nostro vecchio amico, che scrive libri sul debbitopubbblico tre anni dopo la confessione da parte della Bce che il debito pubblico non è un problema, e va in giro a presentarlo quando ormai perfino Giavazzi, per salvare la faccia, deve dire la verità (cosa per la quale l'ho ringraziato a modo mio sul Fatto Quotidiano). Ma anche gli stolti pinochettiani malgré eux del QE for people non scherzano, quelli che oggi non capiscono, o fanno finta di non capire, che dare una mancia (magari sotto forma di reddito della gleba), anziché un lavoro, è una strategia che rafforza il capitale (più esattamente, è un tassello di una strategia complessiva che l'OCSE aveva dettato in tempi non sospetti, e che Agénor ci ha descritto in modo meticoloso qui).

In entrambi i casi il suicidio politico deriva dall'aver accettato l'impostazione data al dibattito dall'avversario, contribuendo così a legittimarla nonostante fosse smentita dai fatti, infondata teoricamente, e distorta politicamente a vantaggio dell'avversario: il problema è il debbbitopubblico, l'unica politica è quella monetaria, ecc.

Lascio agli storici il discorso nel quale vi scongiuro, in nome di ciò che avete di più sacro (i vostri morti, i vostri figli, o la vostra squadra), di non entrare: se questo sia un errore o un disegno, se questi personaggi, e altri prima di loro, siano in buona o in cattiva fede. Chi si pone questo problema è un povero cretino, per motivi spiegati mille volte (il principale è che questi due atteggiamenti psicologici possono tranquillamente convivere, e quindi pretendere di trarre conseguenze politiche dalla loro discriminazione non ha alcun senso).

Non era per questo che volevo parlarvi di Eurodelitto ed eurocastigo, ma per un altro motivo. Quattro anni dopo quel post aleC, il lettore che mi poneva la domanda dalla quale il racconto prendeva le mosse (e che avevo conosciuto all'incontro descritto nel post), è diventato dottore di ricerca, dopo tre anni di lavoro con me, e qui trovate un capitolo della sua tesi, quello in cui si occupa, in modo ahimè un po' tecnico, del concetto di disoccupazione strutturale e della sua relazione col calcolo del saldi di bilancio utilizzati per verificare il rispetto delle regole europee. Vale comunque la pena di dare un'occhiata: è un altro modo, per me, di festeggiare il mio primo maggio (ringraziando Alessandro per il contributo che ha dato al nostro lavoro).

Una lieta ricorrenza, questa, che i lavoratori festeggiano un giorno all'anno, mentre negli altri 364 (o 365) è il capitale a festeggiare, a modo suo, il lavoro. Come faccia lo abbiamo visto in tante occasioni e sotto tante sfaccettature, ma l'essenza è in alcuni dei post più recenti - quello sulla Lettonia e quello sull'Irlanda (con il relativo aggiornamento statistico): utilizzando le crisi per guadagnare terreno sul lavoro.

È significativo in questo senso, ed è una vera chicca per intenditori quali voi siete, il discorZetto che la Bce faceva nell'ottobre 2011:







Vedete? Anche se io all'epoca non lo sapevo, la Bce nell'ottobre del 2011 aveva già detto tutto, perché bastava far parlare i dati, e i dati questo dicevano: erano stati gli squilibri nella finanza privata ad ampliare la dicotomia fra centro e periferia che si sarebbe poi dimostrata fatale all'arrivo della crisi. Il settore pubblico non c'entrava, ma... attenzione! Per la Bce una colpa questo settore ce l'aveva! E qual era? Ma è chiaro: quella di non aver risparmiato abbastanza (cioè depresso abbastanza la crescita) prima della crisi ("many governments failed to build up a surplus position substantial enough..."). Cosa avrebbero dovuto fare i governi, insomma, secondo la Bce? Rubare di più ai poveri prima della crisi (sotto forma di minori stipendi ai dipendenti pubblici, minori pensioni, minori prestazioni sociali e sanitarie, ecc.) per poter dare di più ai ricchi durante la crisi. Insomma: avrebbero dovuto comportarsi tutti come l'Irlanda. Portare al 40% del Pil il debito pubblico prima della crisi, per poterlo poi portare al 120% allo scopo di salvare le banche (e mandare assolti i simpatici banchieri), tutelando i profitti a danno dei salari.

Bello, no?

Inutile dire che a questa analisi manca un tassello fondamentale, che a voi non sfugge, ovvero il fatto che per i governi della periferia questa strategia era resa impraticabile da una serie di problemi: il fatto che i tassi troppo bassi allentassero il loro vincolo di bilancio (cioè il fatto che se il denaro è troppo a buon mercato, elementari regole economiche suggeriscono che si tenderà a sprecarlo), il fatto che il cambio rigido e sopravvalutato metteva in difficoltà l'economia e determinava (insieme ai tassi troppo bassi) una riallocazione del capitale verso settori a bassa produttività e a basso valore aggiunto, ecc. ecc.

Ma oggi volevo farvi un altro discorso.

Vedete?

Tutto era già scritto.

Nel mio ultimo libro, e in innumerevoli post, abbiamo delineato una analisi articolata della fase storica nella quale ci è toccato di vivere. All'inizio degli anni '80 la fine dell'epoca della repressione finanziaria approfondisce il divario fra salari e profitti. A partire da quel momento il capitalismo affida la propria sopravvivenza al finanziamento della domanda tramite debito, prima pubblico, poi, perso ogni residuo freno inibitorio col crollo del muro di Berlino, privato. La montagna di debito periodicamente frana, e le crisi vengono utilizzate, con la logica del "fate presto", per penalizzare ulteriormente il lavoro, ponendo le basi per una ulteriore finanziarizzazione (cioè fragilizzazione) del sistema. Sono tendenze mondiali, che però in Europa incontravano una maggiore resistenza, perché gli stati europei erano usciti dalla loro ultima guerra civile (la Seconda guerra mondiale) con costituzioni socialdemocratiche che presidiavano i diritti economici dei lavoratori. Per frantumare questo presidio era necessario adottare la logica politica del vincolo esterno, cioè la possibilità di giustificare politiche fortemente regressive (ovvero: di impoverimento dei poveri) con necessità superiori e oggettive (ce lo chiede l'Europa), scaricando la responsabilità dello schiacciamento del lavoro dai capitalismi locali verso le istituzioni sovranazionali, quelle che chiedono le famigerate riforme.

L'euro era necessario qui, perché qui c'erano delle istituzioni che avrebbero reso più complesso il lavoro che il capitale stava comunque svolgendo a livello planetario. Ecco, vedete:


È scritto a p. 230 de L'Italia può farcela, dove esplicitamente si riconosce la dimensione globale del fenomeno (per non parlare di quello che viene dopo, nel testo).

Ma allora, si chiedeva qualche post fa Fabrizio Laria, come è possibile che i miei colleghi ancora mi facciano la lezioncina "Bagnai la fai facile, il problema è più ampio, non è solo colpa dell'euro ma soprattutto della globalizzazione?"

Sono vicinissimo alle parole di Fabrizio:

Fabrizio Laria ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Some unpleasant democratic arithmetic":

Addendum - A distanza di qualche ora, la mente continua a portarmi sulla figura che più mi ha colpito stamattina: quella del prof. Franzini. Non lo conosco professionalmente e l'ho mai visto prima, ma l'impressione a caldo è stata di una persona di valore. Una persona che, per strumenti concettuali/culturali, libertà di giudizio (CEPR permettendo) e sensibilità sociale, certe evidenze dovrebbe coglierle prima degli altri. E per il quale, quindi, il problema di arrendersi alle stesse quando qualcun altro gliele fa notare non dovrebbe neppure porsi. Eppure si percepiva nettamente che nessuna evidenza, neppure quella, palese, della contraddittorietà insanabile delle sue affermazioni rispetto alle premesse condivise con Bagnai e Tancioni, avrebbe potuto smuoverlo dal suo schema mentale di fondo: ANDARE AVANTI, COSTI QUEL CHE COSTI.



Per quanto possa valere la mia opinione, Maurizio è esattamente come lo descrive Fabrizio: persona di valore, di elevata sensibilità sociale, libera di giudizio (e anche convinta, purtroppo e nonostante tutto, che si debba andare avanti costi quel che costi - agli altri, ovviamente!).

Questo ci riporta in qualche modo al punto di partenza, alla domanda iniziale di questo post, e di Eurodelitto ed eurocastigo. Perché persone così giuste difendono cose così sbagliate? Perché colleghi migliori e più preparati di me si appiattiscono, nella prassi, sulle posizioni di un Oscar Giannino senza che questo faccia suonare un campanellino di allarme nella loro testa?

Un pezzo della risposta è in Eurodelitto ed eurocastigo: è stata la consapevolezza della loro superiorità (scientifica? Sociale? Etica?) a condurli al tradimento di quanto di migliore c'era in loro. Hanno tradito se stessi perché si ritenevano migliori degli altri: ripeto questa formula nella quale secondo me c'è tutto. E questo è il pezzo che, naturalmente, non potrà esser loro perdonato (soprattutto non potrebbe esserlo da loro stessi, ed è per questo che preferiscono "andare avanti" anziché riflettere sull'enorme errore fatto).

Poi però c'è un altro pezzo. Ricordate quando sopra vi ho detto che a novembre 2011, scrivendo I salvataggi che non ci salveranno, non ero consapevole del fatto che la Bce avesse detto praticamente le stesse cose un mese prima? Ora, ascoltate questa obiezione di Franzini: "non condivido questa idea che tutto quello che succede ai salari dipende dall'Europa".

Molti hanno osservato, in particolare su Twitter: "ma i tuoi colleghi il tuo libro l'hanno letto?". La risposta, ovviamente, è no. Risulta immediatamente chiaro se si mette a sistema la domanda di Maurizio con la citazione del mio ultimo libro. So che voi avete una certa tendenza a non perdonare questo tipo di atteggiamento, sul quale io invece sono piuttosto indulgente e scherzoso: "io il libro non l'ho letto ma...", alla fine, mi fa meno alterare di "io non sono un economista ma...". Dovrebbe esservi chiaro perché: perché nemmeno io ho letto tutto quello che avrei dovuto leggere, perché nessuno può riuscire a farlo.

Ora, se da un lato (tanto per fare un esempio) l'aver intuito più o meno in contemporanea alla Bce, ma indipendentemente da essa, quale fosse la natura del problema mi fa onore, considerando, fra l'altro, che le basi statistiche delle quali disponevo io erano senz'altro meno raffinate e dettagliate di quelle delle quali dispongono i suoi uffici, dall'altro, però, scoprire l'acqua calda, o, come si dice in inglese, reinventare la ruota, non è motivo di vanto per uno scienziato, il quale avrebbe il dovere di conoscere tutto quanto è stato fatto, per fare un pezzo di strada in più partendo da dove sono arrivati gli altri. Aggiungo che nel dibattito sarebbe stato molto meglio poter dire già dal 2011 "guardate che la Bce dice una cosa diversa da quella che dite voi austeriani!".

Questo è il motivo per il quale anche se i miei colleghi, non solo i rinnegati che hanno tradito i principi primi della loro scienza per motivi di opportunità politica (gli esempi sono noti), ma anche quelli integri come Maurizio, non hanno letto il mio libro, in fondo non me la sento di biasimarli. Peraltro, è un libro (l'ultimo) che chiama pesantemente in causa l'etica professionale della nostra professione, e quindi, come dire, se non lo leggono sono assenti giustificati: quello che ho da dire, per loro, non è piacevole. Ma, soprattutto, più vado avanti con lo studio e più mi rendo conto di non aver detto in fondo nulla di particolarmente originale. Ecco, magari ho unito i puntini, quello sì. Ma i puntini c'erano tutti, e da tempo.

Me lo ha confermato il lavoro fatto preparando il piccolo corso che ho tenuto, e che penso di ripetere prima o poi, allo Spaziottagoni di Roma per la Mameli Onlus. Un'occasione per sistematizzare e formalizzare un minimo il discorso portato avanti nel blog in modo rapsodico, e nel libro in modo... inutile (perché nessuno lo legge)!

La domanda che mi sono posto nell'ultima lezione, dopo aver scherzato un po' su quelli che "oggi c'è la Cina" mostrando qualche dato che credo vi sia noto:


(l'elaborazione è tratta da questo sito, e la fonte dei dati è il sito di Angus Maddison, che ci ha lasciato sei anni fa ma vive nella sua opera), la domanda, dicevo, era questa: cosa sappiamo noi della terza globalizzazione?

Per capirci: la prima è quella situata storicamente nel periodo classico del gold standard (diciamo dal 1870 al 1914) ed è ben descritta in questo utile lavoro di Violaine Faubert; la seconda è quella che accompagna il mondo durante le Trente glorieuses, che hanno visto una ripresa del commercio internazionale, e la terza è quella che inizia quando succede questo:


cioè quando i salari si fermano dappertutto (sì, Maurizio, tranquo: lo so), mentre la produttività resta sul suo trend di crescita del 3% l'anno, con l'ovvia conseguenza che la quota salari scende, e la disuguaglianza aumenta.

Ecco: cosa sappiamo noi di questa fase storica ed economica, della terza globalizzazione e del suo elettrosalariogramma piatto? Quello che sappiamo l'ho riassunto in questo grafico:


Cerchiamo di descriverlo in una serie di proposizioni.

[1] Il calo della quota salari è innescato dalla fine della repressione finanziaria
La "repressione" finanziaria, cioè il controllo dei movimenti internazionali di capitale, e il controllo da parte dello Stato del circuito del risparmio, in particolare attraverso la cooperazione fra banche centrali e ministeri del Tesoro, è descritta per filo e per segno da Reinhardt e Sbrancia (2011) in un lavoro che vi ho citato più volte.

Nel discorso su globalizzazione e salari c'è un punto che normalmente sfugge (ed è lo stesso che sfugge nel discorso su Italia ed euro). Esattamente come nel caso dell'Italia il problema è localizzato in un punto ben preciso, che dai dati risulta in modo inequivocabile, cioè l'aggancio all'ECU nel 1997 dopo la forte rivalutazione fra 1995 e 1996:


allo stesso modo l'appiattimento dei salari reali (e quindi il calo della quota salari) inizia in un intervallo di tempo ben preciso e sincrono in tutti i paesi del mondo (lo sa, Maurizio, come vedi: lo so, lo so, tranquo: lo so). Ce lo documenta in particolare questo lavoro di Diwan (2001), che mostra l'andamento della quota salari non solo nei paesi avanzati (cosa della quale mi sono occupato spesso anch'io), ma anche in quelli emergenti:



le uniche eccezioni essendo i paesi asiatici e i paesi OCSE non anglosassoni e non colpiti da crisi finanziarie:



Ora, fatte salve queste eccezioni, il turning point della quota salari si vede dov'è: come nota Diwan, e come ci siamo già detti diverse volte, esso si situa fra il 1975 e il 1980 praticamente ovunque.

Ciò pone un evidente problema: se vogliamo spiegare una cosa che accade in quel periodo, dobbiamo farlo usando qualcosa che accade nel medesimo periodo (o magari un po' prima).

Proprio come le tesi sul declino italiano dei dilettanti, quelle basate sul "nanismo delle imprese", o magari sul "familismo amorale", sulla "corruzione", e su altra sociologia spicciola da bar, mostrano la corda perché nulla dimostra che questi fenomeni siano coincisi con l'inizio del declino stesso (cioè si siano presentati o rafforzati fra 1995 e 1997: ne parlammo esattamente tre anni or sono e ora è un articolo scientifico), allo stesso modo le spiegazioni del crollo della quota salari globale basate sullo sviluppo del commercio (come quella, molto affascinate e articolata, di Helpman et al (2012)) non sono particolarmente convincenti, per il semplice motivo che dal 1945 ad oggi il commercio si è andato sviluppando in modo pressoché costante, sia in termini quantitativi che in termini normativi. La soluzione di continuità, se vogliamo vederla, potrebbe essere eventualmente l'avvio del WTO. Fra 1973 e 1979 (cioè nel periodo in cui i salari cominciano a cedere) si svolge l'unico round del GATT che nessuno ricorda, il Tokyo round, e se di questi negoziati ce ne siamo dimenticati forse un motivo ci sarà, ed è probabilmente che non sono stati determinanti nell'impartire una spinta alla globalizzazione degli scambi, che quindi non può essere presa come spiegazione del massiccio e globale arretramento dei salari verificatosi in quel periodo.

Anche perché un'alternativa plausibile c'è. Se leggiamo Reinhardt e Sbrancia, vediamo che il maggior numero di misure di liberalizzazione dei mercati finanziari interni e dei movimenti internazionali dei capitali si situa appunto nel periodo che va dal 1975 al 1984 (Table 2).

Correlazione, certo, non vuol dire causazione: le due cose potrebbero essere accadute insieme per caso, o perché Saturno era entrato nel Sagittario. Vai a sapere... Ma il punto è che abbiamo precise evidenze teoriche ed empiriche del fatto che la liberalizzazione dei mercati finanziari, cioè la fine della repressione finanziaria, schiaccia i salari. Che la liberalizzazione dei movimenti di capitali abbia effetti avversi sui redditi da lavoro oggi lo dice il Fmi (Furceri e Loungani, 2015, Capital Account Liberalization and Inequality). Questo è l'abstract, per vostra edificazione:

Chiaro? Gli autori giungono a questa conclusione (che è quella sottostante al nostro lavoro) analizzando i dati forniti da due basi dati interessanti:

1) il KAOPEN di Chinn e Ito (misura di liberalizzazione degli scambi finanziari), e
2) lo Standardized World Income Inequality Database (SWIID) di Solt (che si capisce cosa misuri...)

I risultati sono statisticamente robusti: la liberalizzazione dei movimenti internazionali di capitali (capital account liberalization) ha un impatto positivo sulla disuguaglianza, cioè la aumenta. Qui il disegnino di cosa succede nel corso degli anni all'indice di Gini quando aumenta l'indice KAOPEN:

Per inciso: impatto positivo vuol dire che se aumenta la liberalizzazione dei movimenti di capitali, aumenta la disuguaglianza, cioè chi è povero diventa più povero. Quindi, come dire: l'impatto è positivo per i ricchi ma  negativo per i poveri...

Ovviamente anche questa è solo una (raffinata) regolarità statistica, ma ci sono ben precisi motivi, elencati da Furceri e Loungani, che ci consentono di argomentare che la terza globalizzazione (liberalizzazione finanziaria) deprime la quota salari:

1) in teoria, l'apertura dei mercati finanziari dovrebbe consentire di ripartire meglio il rischio (diversificando), per cui, ad esempio, se il povero risparmiatore italiano che ha un governo corotto co' du ere vuole mettere al sicuro i suoi risparmi, invece di "metterli ai bbotte" (investirli in Bot), con potenziale rischio di default, può investirli anche in titoli statunitensi, giapponesi, ecc. Insomma: la globalizzazione finanziaria dovrebbe permettere una mutualizzazione del rischio finanziario fra risparmiatori di paesi diversi, minimizzando l'impatto avverso delle crisi sui loro portafogli. Purtroppissimo però sappiamo fin da Kose et al (2009) che le cose non stanno esattamente così:

Eh già: "in theory"!

I paesi meno avanzati non hanno beneficiato di questa condivisione del rischio, e, aggiungo, anche all'interno dei paesi avanzati l'accesso al credito è segmentato e la qualità delle istituzioni tale da rendere un pericoloso boomerang (per i poveri) l'aprirsi dei mercati. Esempio: il bond argentino rifilato alla vecchietta. Chi è ricco, è anche ben consigliato, e mediamente evita le sòle. Chi è povero è terreno di caccia dei simpatici promotori (ai quali va il mio abbraccio, e presto andrà anche quello del mercato). Quindi, come dire: il teorico risk sharing si traduce in pratica in una situazione nella quale il rischio viene assorbito dai meno ricchi (e più inconsapevoli). Il che, ovviamente, fa aumentare la disuguaglianza.

2) la liberalizzazione dei movimenti di capitale aumenta la disuguaglianza anche per due effetti legati alla dinamica degli IDE. Il primo è quello della "complementarità fra capitale e lavoro specializzato". Cosa significa? Significa che se non sei abbastanza istruito da saperlo usare, con un macchinario evoluto (prendo ad esempio un PC, ma altri se ne potrebbero fare) al massimo ci schiacci le noci (che non è l'uso più produttivo). Quando un'azienda si sposta in un paese più povero per profittare del basso costo del lavoro, nel paese di accoglienza aumenta quindi a domanda di lavoro specializzato, il che acuisce il divario salariale fra lavoratori specializzati e non (e quindi la disuguaglianza). D'altra parte, quello che è avanzato per un paese arretrato, spesso è arretrato per un paese avanzato. Quindi, la macchina che si sposta dal paese ricco a quello povero fa salire i salari del ricco nel paese povero, e fa scendere i salari del povero nel paese ricco (pensate alla delocalizzazione del tessile o del calzaturiero: da noi sono attività relativamente low-skilled - non è meccanica di precisione, per dire - mentre in Laos sono relativamente high-skilled). Chiaro quello che succede?

3) se non fosse chiaro, c'è il secondo effetto legato alla dinamica degli IDE, un effetto che qui abbiamo invece ricordato spesso. La possibilità di delocalizzare aumenta il potere contrattuale dell'imprenditore: o accetti quello che ti offro, o me ne vado (ricordate l'Electrolux)? Non è mica una novità! Ne parlava Rodrik già nel 1997, e poi ad esempio Harrison (2002) (che nel suo abstract ci ricorda come il controllo dei movimenti internazionali di capitali e la spesa pubblica tornino a vantaggio della quota salari...). Un po' più sorprendente trovarlo scritto oggi in pubblicazioni del Fmi, come appunto il già citato Furceri e Loungani:

"Una minaccia credibile di riallocare la produzione all'estero può portare a un incremento del rapporto fra profitti e salari e a una diminuzione della quota dei salari sul reddito". Lo dice il Fmi, non la Camusso (fra una risata e l'altra).

4) c'è poi un ultimo punto che invece a Furceri e Longani per ora sfugge, mentre a noi è chiaro fin dal Tramonto dell'euro, e riguarda la liberalizzazione dei mercati finanziari interni (e quindi non gli investimenti internazionali, siano essi di portafoglio o diretti). Come si evince da Reinhardt e Sbrancia (2011), la fine della repressione finanziaria, cioè, in sintesi, del periodo in cui i governi mantengono il diritto di decidere a quale prezzo finanziare il proprio debito, si traduce, ovviamente, in un innalzamento dei tassi di interesse (determinati dal mercato a proprio beneficio). Qui c'è il disegnino, se occorre:


Ora, è evidente che un cambiamento istituzionale che incrementa la retribuzione del capitale finanziario va, in re ipsa, a discapito dei salari. E infatti i maggiori interessi corrisposti ai detentori dei titoli sono naturalmente stati conseguiti riducendo progressivamente la spesa pubblica in investimenti, prestazioni sociali, ecc. Lo scopo era "affamare la bestia", cioè ridurre il ruolo dello Stato nel circuito di gestione del risparmio, per devolvere risorse alla finanza privata. Scopo raggiunto.

Siamo pronti per la seconda proposizione.

[2] La stagnazione dei salari causa la finanziarizzazione dell'economia
Non è una novità. Ce lo siamo detti molte volte: se il lavoro non viene retribuito correttamente, la domanda di beni può essere sostenuta solo finanziandola col credito, cioè col debito, che in una prima fase è debito pubblico (come ricordava Graziani) e poi diventa debito privato. Una cosa, in fondo, banale, che solo cretini ancorati alla logica di "IO" possono non intuire. Peraltri, gli imbecilli che adottando le categorie del nemico ancora parlano di "debitopubblico" fanno un errore tattico micidiale. Infatti, se si parte dal presupposto che il debito "pericoloso" è quello pubblico, allora poi diventa facile impostare il dibattito in termini di "castacriccacoruzzione" e quindi di una ontologica nocività e superfluità del debito. Ma le cose non stanno assolutamente così. Il debito esplode durante la terza globalizzazione perché esso diventa necessario per finanziare la domanda in un momento in cui la liberalizzazione dei movimenti di capitali e dei mercati finanziari interni permette al capitale di schiacciare i salari. In altre parole, chi, a sinistra, insiste ancora a parlare di spesa pubblica (magari per dire che bisogna farne di più), porta comunque l'acqua al mulino della destra, offuscando il fatto che gli squilibri finanziari di cui siamo vittime nascono dal conflitto distributivo (più esattamente: dall'averlo perso).

Anche qui, tornerà utile il disegnino:


In questa slide, che ho fatto per l'Ecole Centrale di Parigi, si vede che la ripartenza del debito pubblico coincide con il momento in cui l'elettrosalariogramma diventa piatto. Non ci sono santi, è così e basta. Ma la nostra sinistra "critica" (er Nutella) preferisce addentrarsi in fregnacce alla Lannutti sulla "truffa del debito pubblico" (le solite minchiate sul fatto che una parte è dovuta al pagamento di interessi, scemenze da digiuni di matematiche), mentre, dall'altra parte, economisti nel circolo del Fmi ci dicono che la spesa pubblica va a favore dei salari e che il problema è la mobilità del capitale privato!

Lo capite, ora, cosa vuol dire vivere in una provincia (culturale) dell'Impero?

Ma passiamo alla terza proposizione.

[3] La disuguaglianza causa crisi finanziarie
E qui, come dire, ci soccorre la dottoressa Grazia Arcazzo (non credo sia parente di Graziani). L'aumento della disuguaglianza rende necessario a chi è sempre più povero di indebitarsi sempre di più. Alla fine arriva il botto (che è amplificato dall'apertura internazionale dei mercati per quel discorso sul risk sharing che non c'è, del quale vi ho parlato sopra). Questa è una cosa che a noi è sempre stata ben chiara, ed è oggetto di recenti analisi econometriche.

Ma:

[4] Le crisi finanziarie causano disuguaglianza
Ecco: lo snodo cruciale è questo, e ne abbiamo parlato spesso. La logica del "FATE PRESTO"! Crisi previste, anche se verosimilmente non causate (come era senz'altro prevista, ma certamente non causata dalla Merkel la crisi migratoria) vengono sfruttate per portare a termine il disegno di oppressione del lavoro, giustificando in termini politici delle misure nocive per gli interessi economici della maggioranza con la logica dell'emergenza. Pensate alla crisi del 1992, con lo smantellamento degli ultimi brandelli di scala mobile, e poi la riforma del meccanismo di contrattazione. Pensate all'ultimo "FATE PRESTO", quello del 2011, quando in nome di una crisi finanziaria dello Stato del tutto inesistente e smentita dagli stessi organi dell'Unione Europea sono state riformate le pensioni, sono aumentate le imposte, ecc. Tutte misure fortemente regressive (le accise sulla benzina non sono un esempio di equità sociale, per dire, eppure tutti quelli che ululano contro la flat tax le hanno accolte con grande favore, perché ci salvavano da una cosa che non c'era: il default. Ragionare per appartenenza è sempre sbagliato).

Anche su questo, come dire, io credevo di essere stato originale, ma non era così. Che le crisi fossero il meccanismo attraverso il quale il capitale si avvantaggia in modo persistente sul lavoro lo aveva detto Diwan, nel 2001, nel lavoro che vi ho citato sopra. Questa la sintesi:


Ecco, il dato essenziale è questo, quello evidenziato in fondo: nel mondo della terza globalizzazione la battaglia fra capitale e lavoro non è costante, ma concentrata in brevi periodi di lotta, che coincidono con le crisi finanziarie, durante i quali il lavoro sistematicamente perde: sono le "cicatrici distribuzionali" delle quali parla Diwan. Perché durante le crisi il lavoro perda ce lo immaginiamo. Se anche i sindacalisti non fossero quei perfetti (utili) idioti che il Signore ci ha dato in sorte, capite bene che durante la crisi la crescita della disoccupazione li indebolirebbe comunque (la disoccupazione toglie al sindacato potere contrattuale), e poi la logica dell'emergenza giustifica tante cose!

Ripeto: è il FATE PRESTO. Ma le conseguenze del FATE PRESTO non svaniscono presto: al contrario, durano per sempre.

Ovviamente, se la disuguaglianza porta alle crisi, e le crisi portano alla disuguaglianza, capirete bene che siamo in un meccanismo tendenzialmente instabile, dove i due effetti si rinforzano, potenzialmente senza che se ne veda la fine. Capite anche che il risultato di questi effetti è una polarizzazione estrema del reddito, cioè lo svuotamento della classe media, cioè un neofeudalesimo dove l'aristocrazia finanziaria domina sui servi della globalizzazione mediante un efficiente sistema di valvassini "de sinistra" che possono aggredire i diritti economici dei lavoratori, trincerandosi dietro l'appartenenza, che tranquillizzerà le loro vittime (vedi la lettera dalla quale siamo partiti).

Ora, vedete, se le cose stanno così, e purtroppo, se lo ammette anche il Fmi, stanno così, dopo aver tranquillizzato Maurizio (che peraltro, lo ribadisco, è la persona che Fabrizio ha dipinto: corretta, animata da passione civile, aperta al dialogo, ecc.) che un po' di quello che lui sa lo so anch'io, possiamo adesso far notare a Maurizio qualcosa che lui ha perso di vista. Perché se ha ragione (e ha ragione, almeno per quanto la nostra esperienza ci dimostra) Diwan nell'affermare che il conflitto distributivo si concentra in episodi di crisi, allora tutto quello che contribuisce a innescare questi episodi di crisi (cioè, in buona sostanza, i cicli di Frenkel), va nell'interesse del capitale.

Il cambio fisso (e quindi, a fortiori, le unioni monetarie) rientrano in questa categoria.

Non solo Frenkel e Rapetti (2009), ma oggi anche il Fondo Monetario Internazionale per bocca di Ghosh et al. (2014) ci ricordano che tutte le crisi finanziarie dei paesi emergenti sono state precedute da una qualche forma di fissazione del cambio. Inoltre, Bohl et al. (2016) ci chiariscono l'ovvio, cioè che non solo il cambio fisso rende meno facile l'aggiustamento degli squilibri esterni (cosa confermata da Ghosh et al 2014), ma anche che aggrava le conseguenze delle crisi (e quindi, deprimendo crescita e occupazione più a lungo, rende più vulnerabili i lavoratori alle aggressioni del capitale).

Chiaro?

Chiaro a cosa serve l'euro qui da noi?

Serve a fare il lavoro che, com'è noto, è stato auspicato da JP Morgan: liberarsi delle costituzioni antifasciste, che sono un ostacolo sulla via del progresso (quello dei profitti, ovviamente). E non è mica da oggi che lo sappiamo: noi, che siamo un po' sempliciotti, che la facciamo facile, ci siamo però letti Kevin Featherstone (al quale io, se non avessi aperto questo blog, non sarei mai arrivato da solo), che chiarisce per filo e per segno quale sia la political economy della moneta unica e in cosa essa minacci(asse) il modello sociale europeo. Quello delle costituzioni keyesiane, per capirci.

E qui si arriva al punto.

Perché, naturalmente, dire che il problema è globale, che la colpa non è (o non è solo) dell'euro, per i miei colleghi anche di ottima volontà, come Franzini, è un ovvio espediente autoassolutorio: l'equivalente "alto", "colto" (non dimentichiamoci che siamo partiti dalla fottuta spocchia dei miei colleghi intellettuali di sinistra) della versione di Oscar, del "dove andremmo con la nostra liretta" che riecheggia in tanti portierati e in qualche radio. A sinistra: "eh, ma il problema è il grande capitale internazionale, che possiamo fare, l'euro non c'entra...".

Questo fatalismo non fa molto onore a chi lo pratica, se non altro perché non c'è onore nel voler combattere solo le battaglie (che si credono) vinte. In realtà, da quanto precede emerge abbastanza chi è il nemico da combattere, e come combatterlo. Il nostro nemico politico (se viviamo di redditi da lavoro) è la liberalizzazione finanziaria, sui mercati interni e su quelli esteri. Sui mercati interni, il nemico è l'indipendenza della Banca centrale (e questo ormai ci è chiaro). Su quelli esteri, la totale liberalizzazione degli IDE (che poi è sempre asimmetrica: tutti sapete che quando il nostro capitalismo ha voluto comprare all'estero, gli sono state opposte barriere invalicabili, e tutti ormai vedete che invece il nostro paese è in svendita...). Dobbiamo combatterlo in primo luogo difendendo quello che lui ci vuole togliere: la tutela dei nostri diritti incarnata dalla Costituzione del 1948.


Oggi abbiamo un'occasione per farlo: l'occasione è il referendum sulla riforma costituzionale. A voi che, invece di impegnarvi a cambiare voi stessi capendo bene cosa sta succedendo, per poi cambiare il prossimo vostro (cosa impossibile senza aver raggiunto consapevolezza), preferite avere un cazzo di foglietto di carta sul quale tirare un frego per mettervi a posto al coscienza, bene: a voi dico: quel cazzo di foglietto di carta, cari amici qualcosisti, è la scheda del referendum costituzionale, e il frego va tirato sul NO. Sarà un miglioramento paretiano: dopo, voi, vi sentirete più utili, penserete di aver fatto "qualcosa" (perché capire, e far maturare una coscienza di classe negli oppressi del neofeudalesimo, ovviamente, quello non è qualcosa: io faccio solo chiacchiere, come diceva un povera scipita ieri su Twitter). E in effetti avrete anche fatto qualcosa: avrete dato al signor Capitale Internazionale un segno di dissenso dal suo progetto di compressione dei vostri diritti, progetto che ci era stato recapitato, come ricorderete, con lettera riservata personale a firma dei signori Trichet e Draghi.

Vi ricordate?

Questa battaglia politica, per chi vorrà combatterla, sarà durissima, e la vittoria non è assicurata. Non solo: è largamente una battaglia di retroguardia. La battaglia, come ho argomentato svariate volte, la si sarebbe dovuta fare sul jobs act, un provvedimento fallimentare in termini di occupazione (come dissi prima e tutti vedono poi), ma che avrà certamente effetti sulla distribuzione funzionale del reddito (li vedremo fra un annetto o due). Sarà una battaglia durissima perché una sterminata legione di cretini di sinistra ha fatto l'errore tattico cruciale del quale vi parlavo sopra: accettare le categorie analitiche dell'avversario, interpretare la crisi come una crisi di debito pubblico, magari anche nel momento in cui si contestavano le politiche di austerity. Ma la cosa giusta va fatta nel modo giusto. Non puoi dire: "Sì, è una crisi di debito pubblico, però c'è stata troppa austerità". Devi dire: "È una crisi di finanza privata - perché lo dice la Bce - quindi non va fatta alcuna austerità".

Ma i nostri ottimati di sinistra sono dei poveracci, degli incolti, delle persone opportuniste, vigliacche, che hanno consentito al peggiore di loro (Renzi) di regnare incontrastato sulla base di una menzogna: quella che lo Stato fosse il male da risanare. Nessuno contesta che ci siano abusi: ma ci sono stati anche quando crescevamo al 3.5% l'anno. Schiacciandosi sulla retorica liberale, invece di rifiutarsi di considerarla come categoria dialetticva, i politici e gli economisti "de sinistra" rendono facile far passare per un progresso una riforma che riduce da 350 a 100 i senatori (si risparmia!), che abolisce le Province (come chiesto dalla Bce) e il CNEL: finalmente qualcuno riduce i costi della politica!

Ma quanto sono questi costi?

Bò...

E delle altre misure? Del rapporto fra Stato e autonomie? del fatto che con questa riforma si cristallizza una situazione nella quale il governo centrale rimane dominus incontrastato (nonostante la creazione di una fasulla "camera delle autonomie") e può così procedere a mani libere sulla strada delle privatizzazioni (soprattutto di quella della sanità) praticando un doppio scaricabarile, cioè gettando la responsabilità delle sue scelte classiste e a favore della finanza internazionale (quella che ci offrirà tante belle assicurazioni private) dicendo da una parte che "glielo chiede l'Europa", e dall'altra che "le Regioni non sono in grado di assicurare i servizi"? Ne vogliamo parlare, di questo?

Naturalmente, per equilibrio, mi sembra opportuno fornirvi le ragioni particolarmente penetranti esposte dal comitato per il Sì. Dopo di che, sempre per equilibrio, vi segnalo che è sorto anche un comitato per il No: lo hanno costituito alcuni amici di questo blog, a voi noti, fra i quali mi piace ricordare Ugo Boghetta (le cui analisi potete trovare qui, qui, e qui), e Pier Paolo Dal Monte, al quale dobbiamo una icastica disamina della sociopatia liberista (la trovate nel suo blog sul Fatto Quotidiano), oltre a Andrea Magoni e Roberto Buffagni, che tante volte avete letto qui con commenti sempre molto argomentati.

Il comitato si chiama Indipendenza e costituzione, e pone un problema che a noi dovrebbe essere chiaro. Il problema non è fare un plebiscito sul simpatico giostraio di Rignano (quello che vuole a tutti i costi metterla così è lui, forse perché, come già Trippas, sente di aver bisogno di rinsaldare il proprio consenso...). Il problema è approfittare di questa occasione per portare all'attenzione dei nostri concittadini il tema centrale, quello qui che abbiamo imparato ad analizzare grazie ai libri di Giacché e Barra Caracciolo: l'incompatibilità fra Costituzione Italiana e Trattati Europei. Le ragioni di questa incompatibilità evidentemente sfuggono ai promotori di altri comitati per il No, tutti Europa e distintivo (dalla "a" di ANPI alla "z" di Zagrebelski). Questo è uno dei tanti motivi per i quali a me, in particolare, oggi interessa meno che mai "scendere in campo". Perché per vincere bisognerà (bisognerebbe) parlare con persone ed entità che sono oggettivamente state il Male, che hanno creato oggi, difendendo l'euro, i presupposti di quell'austerità che, come sappiamo, era già stata, nella nostra storia, il frutto avvelenato del fascismo, persone che hanno inneggiato ad Efialte Trippas, persone che viaggiano col santino ingiallito di Spinelli sul cruscotto. Insomma: la sentina del dibattito e la fiera del paralogismo: l'Europa che ci salva dalla guerra, la grande moneta per la grande competitività, questa paccottiglia cialtrona e stantia.

Questo, a me, non potete chiederlo. Ma voi, se volete fare qualcosa, dovete dialogare anche con questa roba qui.

Personalmente non mi faccio molte illusioni sul senso strategico di questa battaglia. Come ci siamo detti fin dall'inizio di questo post: abbiamo un problema culturale (quello di chi ha tradito se stesso perché si sentiva migliore degli altri) e un problema politico, quello di un capitalismo assoluto che non conosce freni inibitori perché non conosce, in questa epoca, un modello alternativo. Questi problemi il referendum non ce li risolve. Quando Jacques mi dice: "Sai, in Russia tutti sapevano due cose: che il sistema era fallimentare, e che sarebbe durato per sempre", queste parole suonano consolanti, ma poi, però, riflettendoci, penso che il sistema fallimentare sovietico aveva un'alternativa, militarmente e tecnologicamente ben attrezzata. Dov'è, oggi, l'alternativa al sistema disuguaglianza-debito-crisi-disuguaglianza che vi ho descritto nei miei libri e in questo post? L'unica cosa che possiamo fare è cercare di respingere l'assalto a quei presidi che, in caso di crisi, permettono al capitali di lacerare con cicatrici profonde i diritti del lavoro. Ma possiamo invertire la tendenza?

Su questo ho molti dubbi, ma di una cosa sono certo: diffondere consapevolezza un senso lo ha, sempre. Aiutare il dibattito a uscire dal pantano dello sterile battibecco su Renzi (da lui facilmente derubricabile a una ripicca di rosiconi) per portarci con calma, con pazienza, con tenacia, il tema europeo, è importante. Credo possa contribuire a evitare che venga sottratto troppo terreno al lavoro prima di una ipotetica svolta, che potrebbe essere determinata dalla consapevolezza del capitalismo dominante del fatto che tenere insieme l'Europa nel modo sbagliato non è solo inefficiente (o efficiente, se vuoi dividerla), ma anche molto costoso. Di questo abbiamo parlato più volte, e ogni tanto mi arriva qualche refolo da ovest che induce a una certa speranza. Negli Usa qualcuno sa che il problema esiste. Questo non vuol dire né che voglia risolverlo, né che la soluzione contemplata sia favorevole ai nostri interessi di classe. Ma vuol dire che non dobbiamo arrenderci.

Bene: questo volevo dirvi, nel mio primo maggio. Chi vuole fare qualcosa, ora ha qualcosa da fare: raccogliere firme, organizzare dibattiti, diffondere consapevolezza. Gli servirà a tenersi occupato, e anche, perché no, a capire quanti siamo veramente a pensarla in un certo modo (dato non banale).

Io, per me, ora mi riposo: sto scrivendo e cucinando da questa mattina, e incombe su di me l'incubo di fare i compiti col riottoso Palla.

Un primo maggio cominciato bene, ma finito decisamente male!


(...bè, non è ancora finito: poi ci beviamo tre bottiglie di Amarone con un giornalista e Marco Basilisco, alla faccia vostra...)

90 commenti:

  1. Ottimo come sempre.
    Un punto centrale che ha sollevato e che vorrei sottolineare è proprio questo: una battaglia vinta (NO al referendum) con le ragioni sbagliate (le ha elencate) si potrebbe facilmente piegare a vantaggio (piano B) di chi ha ideato la riforma.
    Io personalmente non credo in una vittoria del SI, la ritengo improbabile, ma temo gli effetti di una vittoria del NO con le motivazioni sbagliate, questa potrebbe semplicemente accelerare una ricomposizione politica dello scenario italiano, lasciando però inalterati i tanti nodi così ben evidenziati in questo articolo.
    Non sono ottimista, spero che si riesca a organizzare qualcosa di comprensibile, così come fu fatto nella campagna per l'acqua pubblica (non sono infatti del tutto d'accordo con quanto sosteneva Borghetta sul fenomeno "beni comuni", se ho bene inteso il contesto all'interno del quale lo collocava), in modo da innescare una rivoluzione a sinistra o comunque un sincero ripensamento, che porterà sì al crollo del PD, col rischio di aprire la strada ad altro (il piano B), ma sarebbe comunque essenziale per ricostruire qualcosa di sensato in primo luogo a sinistra, e poi in senso generale, al di là degli schieramenti più o meno reali (chiamiamola "Resistenza" se vogliamo).
    A livello di media di massa, senza l'outing di qualche figura autorevole, la vedo molto dura... i mezzi di comunicazione sono in mani assolutamente salde.
    Sul discorso etica e scienza, purtroppo credo che sia un problema generalizzato... chimici che lavorano su prodotti che sanno essere potenzialmente pericolosi, o su farmaci che sanno essere del tutto inutili se non dannosi, matematici che elaborano algoritmi per "fottere" meglio il prossimo, fisici ed ingegneri che elaborano tecnologie di distruzione di massa, psicologi che elaborano teorie utili ad aiutare un business più che la salute dell'individuo, filosofi impegnati a sondare la mente umana per poterla manipolare nel migliore dei modi, per aumentare i profitti o mobbizzare i lavoratori... la curva dei profitti si amplia in modo esponenziale rispetto a quella dei diritti, direi quasi in ogni settore.

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    1. Solo un appunto: non so se hai letto qualche testo di sociologia del diritto, io ho avuto modo e mi pare che il concetto di "beni comuni" sia un esempio classico in cui accettando il vocabolario del nemico, ci si condanna ad una battaglia persa in partenza.

      Questi teorici (fra cui spiccava Gallino) accettano infatti il dogma che i beni pubblici siano privatizzabili e da privatizzare. Inventano quindi questa terza categoria, molto ristretta e confusa, per metterci i beni "da difendere"... rendendo indifendibili tutti gli altri!

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    2. Giusta osservazione. Il rischio però che io vedevo (per questo ho detto che non ero del tutto sicuro del contesto entro il quale si utilizzava quel concetto) e vedo, è quello di una generalizzazione eccessiva che prende dentro anche fenomenologie tutto sommato estranee (sarò ripetitivo, ma per me rimane l'esempio della campagna referendaria sulla gestione pubblica dell'acqua, che escludeva a priori ogni possibile gestione privata e/o privatistica).
      Poi concordo sull'osservazione di Alberto, ripresa da te, della necessità di affrancarsi dalla gergalità del "nemico", però ci sono innegabilmente ambiti entro i quali è difficile districare linguaggio e sintassi e rispettive invasioni di campo.

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    3. Penso che sia interessante entrare nello specifico. Partiamo dal fatto che il concetto beni comuni (come terza via rispetto a quelli pubblici e privati) nasce dall'alto, dai teorici del diritto di livello universitario, con i dovuti tecnicismi e cautele. Non è che dicessero "signora mia il pubblico è da privatizzare". Scrivevano (e scrivono) "la gestione affidata ai privati dei beni fungibili esclusivi appartenenti allo Stato è ormai una tendenza diffusa ecc.ecc. QUINDI alcuni beni particolarmente necessari per i diritti costituzionalmente garantiti devono essere considerati comuni quindi esclusi dalla normale dottrina del bene pubblico (che quindi, implicitamente...) ecc. ecc."
      Benissimo. La teoria poi sgocciola fino ai banchetti, i comitati ecc. e fa opinione fra quelli che sanno di sapere.
      Ricordo in particolare uno slogan: "Acqua Bene Comune". Chiaramente funzionava, non è difficile convincere l'uomo della strada che la pioggia è di tutti.
      Questo era il primo punto dialettico. Il secondo si faceva tramite esempi pratici in cui la gestione privatistica rendeva l'acqua più costosa (mi pare di ricordare l'esempio dell'acqua di Parigi).
      E il referendum si vinse.

      E poi? Poi gli anni sono passati, l'attenzione si è abbassata, e quei concetti hanno mostrato la corda. Infatti non è difficile dire "l'acqua è un bene comune, ma le tubature le facciamo riparare ad una SPA mista pubblico-privato che si finanzia con le tariffe".
      E neppure è difficile dire "le società miste pubblico-privato causano corruzione, gli amministratori sono degli incompetenti messi lì dai politici, una società privata come gestore unico sarebbe più seria..."

      Ed ecco il risultato, al 15 marzo scorso:
      http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/14/acqua-governo-contro-esito-referendum-no-allobbligo-di-gestione-pubblica/2543374/
      http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/15/acqua-ok-a-emendamento-pd-gestione-pubblica-non-obbligatoria-proteste-si-m5s-stravolto-referendum/2548044/
      Non solo con il referendum ci si sono fatti il bidet, ma torna con la memoria a solo due mesi fa... I media sono riusciti a non parlare di questo schifo. E soprattutto nessuno (tranne il superlativo Marco Palombi sopra linkato) ha neppure accennato ai mandanti europei.
      Naturalmente non è certo che sarebbe stato diverso, se durante quella campagna si fosse potuta innestare una seria riflessione sul ruolo dello Stato nell'economia come garante dei servizi e generalizzando, sulla situazione giuridica dei beni pubblici... ma sarebbe stato un passo avanti. Comunque, è andata così. Dovremmo però imparare. Va bene cercare alleati, ma se questi lo trasformano in un Renzirendum sarà un fallimento. Il vero passo avanti secondo me sarebbe riuscire non solo a parlare con il Male (come dice il prof) ma fargli una forchetta (scacchistica) tale che se non accettano di parlare di trattati e pareggio di bilancio si squalificano definitivamente agli occhi del loro pubblico. Come, non saprei proprio.

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    4. mmm... non sono del tutto convinto.
      La campagna referendaria, che ricordo bene, riuscì proprio perché si scollegò da logiche di partito, infatti allora il PD osteggiò i referenda sulla gestione pubblica dell'acqua, così come lo fecero i principali media (se ne parlò molto poco) e partiti italiani. Il PD (e intellettuali embedded al seguito) aveva allora la stessa identica posizione di oggi, semplicemente sono trascorsi 5 anni dall'esito referendario e ora si può riproporre pari pari ciò che è stato abrogato in precedenza, ma non c'è una responsabilità che si possa ricondurre agli organizzatori di quella campagna referendaria.
      Per questo io sottolineavo quell'episodio, perché lo vedo nettamente scollegato alla logica movimentista già vista in altre occasioni.
      E' vero "acqua bene comune" era uno slogan, ma non era lo slogan di chi voleva portare verso una gestione anche soltanto privatistica dell'acqua, e mi sembra che di quello slogan non si sia appropriato, a livello comunicativo, chi da sempre spinge verso la privatizzazione di fatto o di facciata dei servizi pubblici.
      Io lo vedo come un episodio isolato, in parte nuovo, e da prendere a modello, riprova del fatto che non ci fu alcun appoggio politico (se non forse dal M5stelle, pur se non determinante) e ancor meno da parte dei mezzi di comunicazione-informazione mainstream.
      Non so come si sia sviluppato il concetto "bene comune" in ambito accademico e quale utilizzo se ne sia fatto, però non ricordo di averlo visto concretamente utilizzato a livello comunicativo sui media per sottindere una gestione non-integralmente-pubblica di un servizio tradizionalmente a gestione pubblica.
      A mio avviso ci fu una seria riflessione sul ruolo dello Stato nell'economia, in quello specifico caso... e aggiungo che funzionò per questo, perché tutto ciò scollego il discorso da ogni logica di partito e di appartenenza, unendo i cittadini.
      Il PD probabilmente in questa occasione si giocherà tutto cercando di spostare l'attenzione sul Renzirendum, come dici tu. E io sono convinto che pur vincendolo, il Renzirendum (nel senso di bocciare Renzi), non si otterrebbe di certo una vittoria.

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    5. Mi scuso con Alberto se ritorno per una precisazione. Mi sono guardato velocemente il materiale della campagna elettorale referendaria sulla gestione dell'acqua, e, pur se lo stesso sito principale e qualche materiale riporta il termine e concetto "Acqua bene comune", nella maggior parte della comunicazione prodotta, compare in realtà il termine "acqua pubblica", sia per quanto riguarda manifesti che comunicati stampa.
      Effettivamente riflettendoci devo darti ragione, usare il concetto "bene comune" suona(va) in questo contesto fuori luogo e in un certo senso contraddittorio.
      Resta il fatto che i contenuti andavano in una direzione ben precisa, quella della (ri)pubblicizzazione del servizio e della critica verso la gestione privatistica, senza però lasciare intendere che la gestione privata potesse essere una soluzione positiva o anche solo il male minore (questa era ed è la posizione del PD).
      Ammetto di non avere dato il giusto valore a questa dissonanza; l'appello a valutare con più attenzione il linguaggio è senz'altro valido e condivisibile, facendo però attenzione a non generalizzare, perché possono sempre esserci spazi di contatto e sovrapposizione.
      Del resto la pessima esperienza (per ora) del M5stelle non dovrebbe condannare all'oblio il concetto di "democrazia diretta" soltanto perché abusato e trasformato in slogan e svuotato di senso da loro (mia opinione).
      Comunque ritengo valido un criterio se non di giudizio almeno di attenzione: ciò che non ottiene rilievo pubblico sui media di massa quasi sempre va nella direzione giusta (vedi la campagna contro TTIP, TISA e affini), quando si notano sruffianamenti e fenomeni di influencer marketing occorre prestare attenzione (anche se le cose sono molto più complesse, a volte può tornare utile creare "personaggi" allo scopo di screditare potenziali interlocutori).

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    6. Mi scuso per l'intromissione, ma avete centrato il problema.

      La questione, ad oggi, sempre a mio modesto avviso, nel dibattito pubblico è "la scomparsa delle categorie" (parafrasando uno degli editori del boss): il problema deve passare da (apparente) logico, a epistemologico.
      Cosa significa "creare valore"; cosa, "termovalorizzatore"?
      Cosa significa "democrazia", e cosa "democrazia diretta" (peraltro, io, delle cose dirette, so solo che fanno un sacco di fermate, le compriamo dall'estero e puzzano di vecchio.)?
      Cosa "bene pubblico" e cosa "bene comune"?
      Ai miei occhi, semplificatori, insiste una analoga differenza che c'è tra diritti soggettivi e interessi legittimi: cioè, tempo per tempo, caso per caso, prevale l'una o l'altra visione; del caso particolare o della società.
      Se la visione "condivisa" si conforma a l'uno o l'altro significante, tempo tre giorni l'opinione pubblica tutta, e il dibattito (non accademico, loro sono scienziati, e hanno un loro codice strutturato) si schiaccia sulle posizioni (categorie?) che diventano mainstream.

      Qui viene il punto, cui io premo forte ma raramente: in un mondo che ha smesso di occuparsi dell'istruzione degli ultimi (cui, di buon grado, mi medaglio di appartenere), che opportunità di riscatto da, a costoro, di crearsi una coscienza di classe, immediata?
      I media sono sostanzialmente esclusi dall'educazione lucida; internet (leggi: Wikisuck) è manipolabile: il testimonio dovrebbe passare ai custodi della(e) materia(e). Gli accademici.
      Le riviste scientifiche non le sappiamo leggere, me ce le dovrebbe spiegare qualcuno. come Alberto. Ma Essi no.
      Quando Essi, come do ormai per assodato, sono per lo più dei mendaci, che speranze abbiamo?
      Che compriamo dei libri che tanto non si trovano( Cattivi samaritani), e comunque non capiremmo profondamente?

      Vale il contrario della sua affermazione finale, per me: quello che è venuto meno dal dibattito dei media generalisti, vale la pena che sia dibattuto, SENZA UNA VERA CONSAPEVOLEZZA STRATEGICA DELLA MOSSA SUCCESSIVA, e senza veri "check and balance" culturali? Per me [taaaaaac...] no.

      Se stamo a fa' gli anticorpi.

      Bless, Emilio

      (mi scuso per la lunghezza, e [#perme] taccio per i prossimi tre post).

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  2. "Perché persone così giuste difendono cose così sbagliate?" Forse perche' intimamente convinte che non ci sia vera alternativa, che sia praticamente impossibile frenare, controllare il grande capitale, che bene o male fa girare il (loro) mondo. Convinte che i rimedi siano peggiori dei mali, che si avrebbero guerre peggiori di quelle che gia' ci circondano. Convinte che gli ottimati sapranno gestire i disequilibri da loro stessi creati, perche' appunto sono superiori, hanno la visione d'insieme ed il potere di influenzarla. Convinti che la democrazia effettiva condurrebbe il mondo a frammentazione e gelosie localiste, ma soprattutto al soffocamento della spinta imprenditoriale - che e' l'unico motore di benessere e progresso che esista. Perche' i mediocri, ovvero i dipendenti, sono la maggioranza rispetto ai brillanti, ovvero gli imprenditori.

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    1. "Perché persone così giuste difendono cose così sbagliate?"

      Prima della cura (un violento faccia a faccia con se stesso all'età di 27 anni) anche Dostoevskj era un piddino, forse addirittura un altermondialista, un seguace del Nutella e di papa Bergoglio ...
      Poi lo zar Nicola I, sbrigativo ma profondo psicologo, lo condannò a morte per fucilazione con i suoi compagni desinistra. Sentenza da eseguirsi immediatamente. Spogliarsi, indossare un camicione-sudario nel gelo russo novembrino. Prete, ultimi conforti religiosi. Plotone d'esecuzione, "puntate, mirate..." prima del comando "fuoco" interviene il messo dello zar e commuta la condanna a morte in lavori forzati siberiani.
      D. la pianta con i sentimentalismi sulla povera gente e gli umiliati & offesi sempre vittime innocenti (= è sempre colpa degli altri) e si mette a scrivere cosette non politically correct tipo "Delitto e castigo" (= magari è anche colpa nostra).
      Lo zar Nicola non c'è più. il faccia a faccia con se stessi si può fare ancora, ma di solito serve un succedeaneo del plotone d'esecuzione; anche blando, tipo la sconfitta politica, la perdita del posto di lavoro, la cartellona di Equitalia...

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  3. Da digiuno d'economia la ringrazio per aver smascherato ancora una volta l'incultura, e insieme la baldanzosa ignoranza, e peggio ancora, l'imbroglio, che regna nella cerchia liberista-repubblichina-piddina.

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  4. Sant'Ilario d'Enza 1992, riunione generale di tutti i delegati sindacali CGIL della val d'Enza per votare il documento della "concertazione" tra governo Amato e i sindacati. Ovviamente quasi tutti , tra i quali c'ero anch'io, votarono a favore: per il bene del paese, perché la situazione era grave, per dimostrare che eravamo persone responsabili ecc,ecc. Solo due delegati strapparono la tessera dicendo:" Perché dobbiamo fare dei sacrifici noi che la crisi l'hanno provocata i padroni?" I "rozzi" c'erano anche a sinistra, ma non li abbiamo ascoltati lo stesso.

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  5. Il tema riguardante il declino italiano è molto importante perché ci riguarda più da vicino e anche per le chiavi di letture adottate dagli economisti italiani.Una sorta di autorazzismo può essere ravvisato nell'interpretazione degli economisti "critici" quando si parla dell'economia italiana in quanto sembrerebbe che,per loro,la crisi della grande industria,del taylorismo e i processi di decentramento siano stati un qualcosa che abbia caratterizzato solo l'economia italiana.Quando si parla di euro o,più in generale, di temi europei ci dicono:"L'euro è un problema ma in Italia il declino nasce negli anni sessanta (per intenderci quando c'era il boom economico) per la crisi della grande impresa".Se questi fenomeni ci sono stati solo in Italia come mai negli Stati Uniti,nel secondo dopoguerra,ci furono processi di decentramento e le imprese si localizzarono nel sud-ovest?

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  6. Un post POTENTE.

    Le segnalo un refuso (forse…) nel sestultimo capoverso, verso la fine dello stesso.

    "L'unica cosa che possiamo fare è cercare di respingere l'assalto a quei presidi che, in caso di crisi, permettono al capitali di lacerare con cicatrici profonde i diritti del lavoro." "permettono" o "impediscono"?

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  7. sabato ero a zonzo coi pargoli e sono incappato in questo banchetto raccolta firme contro la riforma costituzione e anche su varie altre questioni (jobs act, scuola, italicum ecc..). L'opuscoletto che ho ricevuto mi pare abbastanza in linea con quanto detto e faceva anche riferimento alla spinta dei poteri forti internazionali (JP Morgan, banca d'affari 2013), la lettera Trichet-Draghi del 2011. Mi pare che si tratti aggregazioni con livello di piddinità non trascurabile. In questo caso perlomeno remano dalla parte giusta? che ne pensate?

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  8. Un post che è quasi un libro.
    Il modo migliore di trascorrere il pomeriggio del I maggio. GRAZIE perché trova ancora la pazienza e la voglia di scrivere e spiegare.
    Da aggiungere non ho niente perché ha già detto tutto perfettamente lei.

    Avrei una domanda che non c'entra proprio niente, una semplice curiosità, un dubbio fuori luogo.
    Dall'anno 1 fino al 500 circa davvero l'Impero Romano aveva un PIL così inconsistente?
    E la Francia e la Spagna non dovrebbero esistere nei primi secoli... e anche alcune civiltà medio-orientali erano sotto l'impero... o non ho capito una mazza?

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    1. Davvero, quasi un libro. Devo rileggerlo solo un altro centinaio di volte per capirlo bene nei dettagli, ma bello. Sono sempre molto belli del resto questi post panoramici. Il saggio breve, tipo le dimensioni dell'Elogio delle frontiere di Debray, intorno alle 100 pagine diciamo, è un prodotto editoriale molto interessante, a mio parere (just saying).

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    2. Quasi un Libro, ma rispetto al 99% delle pubblicazioni attuali che non valgono la carta su chi sono scritti, un Superlibro!
      Hai ragione Nat ci sono molti livelli di lettura e la pronditá dipende dal lettore.
      Rileggo spesso i vecchi post linkati perché ad ogni lettura scopro elementi che erano passati inosservati (perché incompresi). Rileggo anche i miei commenti, di qualcuno adesso mi vergogno un po' ma resisto alla tentazione di eliminarli per ricordarmi da dove sono venuta, quanto (piacevole grazie al prof) impegno mi è costato arrivare qui e quanto devo ancora impegnarmi.
      Grazie Nat per il consiglio.

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    3. In realtà era un esempio di lettura breve e densa, non pensavo a un consiglio, ma in effetti, è vero, te lo consiglio molto: è un libro corto, che si legge in un fiato, estremamente piacevole e straordinariamente intelligente. E fa piazza pulita di parecchi luoghi comuni del "senzafrontierismo" cari ai piddini che mi circondano, smascherandoli a uno a uno (l'autore non è affatto di destra, tra l'altro).

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    4. Leggendo le parole all'inizio del post - quelle di R A - mi sono rispecchiato. Analoga esperienza. L'ho anche 'confessato' qui un paio di volte. La riflessione di oggi - leggendo Silvia e Nat, e Riccardo Buffagni a proposito di Dostoevskj - è che per vedere non basta guardare. Vedi solo quello che, in qualche modo, hai già interiorizzato. Ogni volta che ri-leggo, qui, scopro cose nuove, nuovi livelli di lettura.

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    5. Non si evidenzierà mai abbastanza che si GUARDA con gli occhi ma si VEDE con il cervello .
      Fra il guardare e il vedere c'è lo stesso rapporto che intercorre fra la ferrovia e la locomotiva .
      E'la locomotiva che ci porta a destinazione tramite i binari .
      Nel bel post di Dragan tratto dal romanzo Tempi difficili di Dickens il professore Thomas guarda i fatti e fa calcoli
      ma Sissy vede i fatti e le correlazioni e le sue risposte sono giuste e profonde .

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  9. Meraviglioso post e ottima scelta dei vini per festeggiare questa festa.

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  10. Ogni riferimento all'Irlanda è puramente causale...

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  11. “Che fare? M'Choakumchild dichiarava che la ragazza era ottusa nel calcolo; che, una volta apprese un paio di cose sulla sfera terrestre, non aveva più dimostrato alcun interesse a conoscerne le esatte misure; che era molto lenta nell'imparare le date, a meno che non si collegassero a qualche fatto doloroso, che scoppiava in lacrime quando le si chiedeva di calcolare subito (a mente) il costo di duecentoquarantasette cuffie di mussolina a quattordici pence e mezzo l'una; che a scuola era l'ultima; che solo il giorno prima, dopo che per otto settimane le erano stati inculcati i principi dell'economia politica, un bimbetto alto meno di un metro l'aveva corretta, perché alla domanda: «Qual è il principio primo di questa scienza?», aveva dato l'assurda risposta: «Fare agli altri quello che vorresti gli altri facessero a te».”

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  12. Pare sia in arrivo un consistente "leak" (da Greenpeace) sul contenuto dei negoziati TTIP - dovrebbe essere pubblicato lunedì.

    L'anticipazione arriva da Süddeutsche Zeitung (!).

    Riassumendo molto brevemente pare che i punti salienti siano:

    - Pressioni da parte degli USA perché l'UE rilassi le stringenti regolamentazioni sull'importazione di prodotti agricoli (in particolare: OGM e carni trattate con ormoni) - a quanto pare gli USA minacciano restrizioni sull'importazione di autoveicoli come misura ritorsiva.
    - Il documento rivela inoltre che gli USA si oppongono alla richiesta Europea di rimpiazzare i tribunali di arbitrato privato, che si occupano di cause contro le corporation, con corti pubbliche gestite dallo Stato. Pare che gli USA abbiano presentato una controproposta in merito, ma il contenuto non è stato ancora reso pubblico.

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  13. "L'euro è solo una moneta, mentre il vero nemico da combattere è il capitalismo". Questo refrain intonavano puntuali certi compagni d'antan quando tentavo di dialogare con loro per fargli capire l'intrinseco fascismo della moneta unica. E alla domanda che gli ponevo: Ma tu vuoi combattere contro lo spirito astorico del capitalismo o contro gli strumenti concreti di repressione salariale che il capitalismo s'è dato nell'attuale contingenza storica? mi guardavano con un sorrisetto di tolleranza, come si fa con un amico fuori di testa.
    Tempi passati. Oggi quei "compagni" li evito, e se li vedo da lontano, svicolo. Un detto vuole che non si può fermare il vento con le mani. Il vento, ma anche, e ancor più, la storia.

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  14. Eccellente post, come sempre. Mi ha fatto venire in mente che qui a Varsavia, in pieno centro, c'è un contatore che, instancabilmente, giorno dopo giorno, informa i polacchi sulla crescita del loro debito pubblico, sia in rapporto al PIL che a livello procapite; ma, giudicare da come hanno votato alle ultime politiche, non sembra che questa propaganda abbia avuto in loro la stessa presa che ha avuto da noi. Però, l'idea di usare i dati statistici per fare buona propaganda (questa non deve essere per forza cattiva) in sé non è sbagliata. Avendo le risorse per farlo, comprerei spazi pubblicitari nelle piazze più importanti delle città italiane più popolose e li riempirei con il grafico mostrante il divario tra salari da reddito da lavoro e produttività mostrato nel post, illustrandolo con un sottotitolo del tipo: "produrre di più per guadagnare di meno: ecco come ci hanno impoveriti".

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  15. "Ovviamente, se la disuguaglianza porta alle crisi, e le crisi portano alla disuguaglianza, capirete bene che siamo in un meccanismo tendenzialmente instabile, dove i due effetti si rinforzano, potenzialmente senza che se ne veda la fine. Capite anche che il risultato di questi effetti è una polarizzazione estrema del reddito, cioè lo svuotamento della classe media, cioè un neofeudalesimo dove l'aristocrazia finanziaria domina sui servi della globalizzazione mediante un efficiente sistema di valvassini "de sinistra" che possono aggredire i diritti economici dei lavoratori, trincerandosi dietro l'appartenenza, che tranquillizzerà le loro vittime (vedi la lettera dalla quale siamo partiti)."

    Post bellissimo, monumentale per la ricchezza dei link ed estremamente logico, analitico nella capacità di facilitare il compito di unire i puntini, anche ad un profano come me. Dalla Costituzione a Dostoevskij, passando per il tradimento della sinistra, la liberalizzazione dei mercati e dei flussi di capitali, la compressione dei salari e la moneta unica.
    Il solo modo che trovo per ringraziare Bagnai è confermare l' impegno nella campagna referendaria d' ottobre per il NO, diffondere il documento del comitato Indipendenza e Costituzione e rinnovare, raddoppiando l' importo, la donazione mensile ad a/simmetrie.

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  16. Semplicemente grazie Professore: non poteva scrivere un testo più appassionante per un giorno come questo. La Costituzione della Repubblica Italiana è incompatibile con i trattati dell'Unione Europea: per chi non ha letto i libri di Giacchè e di Barra Caracciolo, per chi non ha letto i suoi libri e i suoi contributi, per chi si affaccia su questo blog solo di passaggio, dovrebbe poter essere sufficiente la lettura dell'art. 1 della nostra Costituzione (che non parla solo di lavoro, ma anche di sovranità) per comprendere l'abisso che separa la nostra Carta dalle carte da parati comunitarie. Già, dovrebbe. Se non fosse per questi quasi venti anni di 'ce lo chiede l'Europa' megafonati dalla mia parte politica che, toccando le parti per così dire meno nobili della Costituzione (a cominciare dalla riforma del Titolo V, passando per la ristrutturazione dell'art. 81 della Costituzione, per finire all'ultimo stupro renziano, sì mi permetto di chiamarlo in questo modo), a colpi di innesti e di incesti (sì mi permetto di chiamarli così), ha finito per svuotare di significato l'intera prima parte della Carta, ridotta, grazie a quell'opera di manipolazione condotta più oltre (e, prima ancora, grazie all'abolizione del proporzionale con i due referendum del 1991 e del 1993), a mera enunciazione di principi. Ma non passeranno. Noi non possiamo, noi non dobbiamo, noi non vogliamo.

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  17. Mi sembra doveroso far parlare in merito una grande mente che ci ha lasciato da poco tempo, Costanzo Preve:
    https://www.youtube.com/watch?v=F-JR7wwSXio

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  18. Buongiorno Professore!
    Per me la settimana non può non iniziare nel migliore dei modi dopo aver letto questo post.
    Esco anche io dal silenzio dopo più di un anno che la seguo. Esco dal silenzio, perché non posso non segnalare la "miracolosa" coincidenza. Che tanto miracolosa poi forse non è, chissà quanti altri.
    Silenzio dovuto essenzialmente al fatto che se non si conosce se deve avere la modestia di imparare, in silenzio, appunto.
    Nel frattempo, ho però condiviso i suoi post su fb, ho estrapolato sue citazioni, ho discusso di quanto scriveva con amici, ho letto i suoi articoli a mia moglie, provocando la stessa "epifania".
    Ma le coincidenze non finiscono qui: le riflessioni che fa il giovane lettore, sono anche le mie, sia su quanto in definitiva lei ha avuto il merito di farmi cambiare idea, sia sulla lacerazione interiore che è avvenuta, di conseguenza, nella mia vita. Io al contrario, del giovane lettore (e qui finiscono le coincidenze) mi appresto ai 60 anni... Io sinistro utopico "internazionalista immaginario", ho dovuto fare i conti con la realtà, con quel reale che è razionale di hegeliana memoria, che lei cita in altro articolo.
    Ma la coincidenza più impressionante è proprio su Dostoevskij. Il mio autore preferito da sempre, che sto rileggendo di nuovo da un po' di tempo a questa parte, in chiave diversa da come l'ho utilizzato in passato, ma come un mezzo attraverso cui interpretare, appunto, la realtà. E quindi mi sono andato a leggere l'impressionante articolo dl 2012 "Eurodelitto ed eurocastigo", saltato anche da me per questioni cronologiche.
    Siamo in molti ad essere idioti, molti siamo i Miskin, e spero sempre di più quelli che prenderanno coscienza di esserlo.
    A tal proposito, nel ringraziarla di tutto cuore, non può immaginare quanto (ringrazio anche quegli amici che hanno contributo a farmi aprire gli occhi, che però non volevo ascoltare, e che la seguono da molto più tempo), la lascio con la citazione posta alla fine proprio dell'Idiota, che l'autore mette in bocca a Lizaveta Prokofevna: "Basta con le esaltazioni, è tempo di tornare alla ragione. Tutti questi paesi esteri e tutta questa vostra Europa, tutto questo non è che una fantasia, e tutti noi all'estero, non siamo che una fantasia... tenete a mente le mie parole e vedrete voi stesso!"

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  19. Grazie mille, Alberto, della segnalazione.

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    1. Siete grandi, meritate il sostegno massimo. La campagna che avete deciso di intraprendere sarà durissima. Nel mio piccolo, mi sono permesso di estendere la conoscenza della vostra iniziativa a persone che non ci stanno a vedere calpestata la nostra bellissima Carta per diffondere il vostro messaggio.

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    2. @giuseppe vetrugno

      Grazie mille. Per adesso siamo piccoli, se tu e voi ci date una mano magari diventiamo grandi sul serio. Fatti vivo che ne parliamo.

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  20. Lo stampo e lo porto al mio sindacalista preferito sono certo che prenderò delle botte, se ci riesce ovviamente!

    E grazie per il suo lavoro

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  21. Grazie, Professore, per la tenacia, l'impegno civile e la passione. La rifondazione (perdonate la parolaccia) di una prospettiva socialdemocratica, socialista, laburista che dir si voglia, non può prescindere dal materiale espresso in questo, come in altri post. Che lo si voglia o no, è dalla sintesi da lei operata che si ripartirà. Sarà stato pure tutto già detto, ma la sintesi e la divulgazione da lei portata avanti caparbiamente, sono una preziosa novità. Quindi semplicemente grazie.

    Mi permetto di segnalare questo post di Boghetta e Porcaro, che a me personalmente fanno ancora sperare nella possibilità di una rinascita della sinistra italiana.
    http://www.socialismo2017.it/2016/03/17/ritorno-al-futuro1/#more-98

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  22. Ieri, negozi aperti.

    Il 1° maggio il lavoratore non fa più festa, perché gli hanno fatto la festa.

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  23. Concordo, un post che ha dentro tanti contenuti quanto un libro... anzi, perché non lo usa come traccia per scrivere il suo terzo libro?

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  24. Letto tutto d'un fiato e destinato a successive riletture: stupendo e chiarissimo. Grazie

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  25. Ieri per la prima volta sono riuscito a fare aprire gli occhi in famiglia. Senza il suo impegno e senza il materiale che lei ha pubblicato non sarebbe mai stato possibile.
    Grazie

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  26. A proposito di crollo delle proprie convinzioni e risveglio traumatico da un sogno, per sdrammatizzare un po', e asciugare le lacrime del lettore R A, consiglio la visione di questo video...

    Tratto da una scena in cui il rag. Ugo Fantozzi, rivisitato ai giorni nostri, cerca di capire la politica italiana in rapporto all'Europa guardando la televisione... e ne trae le dovute conseguenze.
    La scena finale è quello che è veramente successo a me leggendo Il Tramonto dell'Euro... ma penso sia capitato un po' a tutti i lettori di questo blog.
    (non me ne vogliate che la pagina è dichiaratamente pro-M5S, ma io, da buon ortottero bagnaista, questo bazzico...)
    https://www.facebook.com/m5sperungovernodasogno/videos/1664927983773201/

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  27. Qual è la correlazione tra esplosione debito pubblico degli anni 70-80 e la nascita dei consigli regionali (anni '70)?

    Sentii una perla, del tipo che dall'introduzione delle regioni il debito pubblico è esploso. Non c'è limite alla ... ehm ... fantasia.

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    1. Eppure ricordo che mi sembrava una spiegazione plausibilissima, su cui avrei messo la mano sul fuoco. E come avrebbe potuto essere diversamente, alla luce della coincidenza cronologica dei due fenomeni sommata alla martellante cronaca politico-giudiziaria quotidiana incentrata sul racconto indignato di malversazioni e sprechi nelle gestioni regionali, e senza d'altro canto sospettare che l'economia produttiva si basa su un flusso circolare in cui 'banalmente' ogni spesa è anche un reddito, e che quindi domanda e offerta hanno pari rilevanza causale nel determinare la crescita, e che dunque lo spreco, per quanto all'apparenza del tutto deprecabile, è mediamente una forma di sostegno alla domanda (e quindi al salario e al profitto) non più disfunzionale dell'obsolescenza programmata o dell''elicopter money' (ah, Milton, averti conosciuto prima...)?

      E che, siccome il limite principale alla sostenibilità della crescita è il vincolo esterno, se proprio non si riesce a essere bravi nell'impiegare correttamente tutte le risorse pubbliche, allora vada per lo spreco, purché in un contesto normativo-funzionale che lo incanali a essere di stimolo, se non alla produttività, almeno alla produzione INTRENA?

      E che, se per spreco si intende sottrazione/distruzione di ricchezza ai danni della collettività nazionale dei contribuenti-lavoratori, allora non c'è peggior spreco di un profitto (in primis finanziario) generato internamente ed esportato all'estero senza garanzia di ritorno di domanda?

      E che, a proposito di profitto finanziario, decidere di omaggiare i 'mercati' di interessi reali maggiorati e garantiti (dal rischio inflazione) via tri-inibizione coordinata di monetizzabilità del debito, flessibilità del cambio e indicizzazione salariale (se non alla produttività, almeno all'inflazione!) - spacciando per di più il tutto come una necessaria disciplina 'efficientante' - è una oggettiva scelta di campo a favore del capitale (in primis finanziario) e contro il lavoro (e quindi l'economia reale)?

      E che la conseguente prevedibile esplosione del debito pubblico (e poi privato, e poi ancora pubblico) è un effetto collaterale ampiamente messo in conto sapendo di poter/dover ricorrere, a tempo debito, alle 'inevitabili' sterzate correttive (spacciate come misure ulteriormente efficientanti)?

      E qui mi fermo, assalito dallo sconforto al pensiero di tutto quello che, essendo già a malapena pane per i miei denti, non riuscirò mai a far neppure lontanamente sospettare a tutti coloro per i quali (comprensibilmente) uno spreco è uno spreco, e si commenta (e condanna) da sé.

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    2. La coincidenza NON C'È. Perché eri così ignorante?

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    3. Perché se Kahneman mi avesse usato nei suoi esperimenti avrei dato anch'io il mio onesto contributo alla causa del suo Nobel: che saranno mai una decina di anni abbondanti di sfasamento temporale per chi sa già di sapere? La pre-comprensione è di bocca buona e ogni coincidenza 'a grandi linee' le fa saporitamente brodo.

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  28. Ho sempre pensato che la vita organica e l'uomo in particolare sono una delle poche realtà fenomenologiche che vanno in senso opposto a una delle leggi fondamentali dell'universo: l'entropia.Purtroppo nello sviluppo della vita sociale dell'uomo, che è l'essenza della razionalità, si riaffaccia continuamente l'entropia, sotto forma di individualismo e attualmente sotto la forma capitalista di produzione. L'anarchia della produzione capitalista in contrapposizione alla necessità di una organizzazione proficua tra individui(stato) è una dialettica che spesso vede soccombere la seconda.Questo per il motivo che un organizzazione anarchica richiede meno sforzo di una convivenza razionale tra individui.Detto in poche parole costruire è più difficile perché richiede più energia del distruggere. Il sistema capitalista incontrollato è di fatto altamente distruttivo e distorsivo e vincente ma porta in se la propria distruzione. Da un punto di vista scientifico quindi dovrebbe essere coerente ricercare l'ordine è la giustizia. Ma l'arma potente della razionalità c'è chi la usa per distruggere lei stessa.Chi vule essere fedele alla natura umana pur consapevole che nell'esserlo sarà svantaggiato deve ostinatamente lottare per uno stato che metta il guinzaglio al mostro del "capitalismo entropico".

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    1. Un vivente, anche molto piccolo, produce molta piu` entropia di un sasso. Ogni istante il vivente effettua movimenti e trasformazioni chimiche, ognuna dei quali ha un costo termodinamico.

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  29. "Il duello fu brevissimo.L'ira mi aveva infuso una forza da energumeno;in pochi secondi lo costrinsi contro il muro e,avendolo così alla mia mercé,gli cacciai varie volte la spada nel petto,con ferocia brutale.
    In quello stesso istante qualcuno tentò di entrare.Accorsi per impedire l'intrusione,quindi tornai d'un balzo presso il mio avversario,ormai morente.Ma quale lingua umana potrà degnamente descrivere lo stupore,l'orrore che mi assalirono allo spettacolo che si presentò allora alla mia vista?Il breve attimo in cui io avevo distolto gli occhi era bastato a produrre nella stanza una trasformazione repentina e totale.La' dove prima non avevo osservato nulla,stava ora un grande specchio,e mentre io lo fissavo,inebetito dal terrore,ecco venirmi incontro dalla cornice la mia stessa immagine,ma tutta alterata in volto,insanguinata,e con passo incerto e vacillante.
    Così mi parve,ma non ero io,in realtà.Era il mio avversario...era Wilson,colui che mi stava di fronte nell'agonia della morte.La sua maschera e il suo mantello giacevano a terra,là dove li aveva gettati;non v'era una sola piega della sua veste,non una fattezza del suo viso che non fosse in tutto e per tutto assolutamente identica alle mie stesse!
    Era Wilson,ma la sua voce ora non era più un sussurro e mi parve di udir parlare me stesso,mentre diceva:
    -Tu hai vinto,e io cedo di fronte a te;ma,da questo momento,anche tu sei morto...morto al mondo,al cielo,alla speranza!Perche' tu esistevi in me...e,nella mia morte,guarda questa immagine,che è la tua stessa,come ti sei orrendamente assassinato".

    Uccidendo la sua coscienza(di classe),la sinistra ha ucciso sé stessa.

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  30. Professore, lascio il commento un mioconetaneo,che non sono io perché so... lassoma stare. Queste le sue parole: "Del suo intervento spero de capirci qualche cosa. Ho litigato con Titta perché dice che so senza lavoro è colpa de tutti perché c'han capito un cazzo, e chi c'ha capito, la maggioranza ha fatto finta de niente e chi ha parlato l'han passato per ol Fanfulla de turno.Alla fine del discorso le chiedo: c'ho 'na possibilità de trovare un lavoro?"

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  31. Bellissimo post, Professore.

    Cosmico, direi.
    Solo un appunto.
    La seguo da anni, e qualcosa e’ cambiato.
    Qualche tempo fa ci dava una speranza. Si parlava di euro, e Lei ci diceva: vedrete, un giorno cadra'. non puo' che cadere. Oggi, invece, il problema euro e' inserito in un contesto molto piu' vasto, e il post ci presenta questa battaglia contro il grande capitale come un'azione di retroguardia, un sacrificio di pochi spiriti liberi, senza reale possibilita' di vittoria, per quanto di grande valore simbolico.
    Una situazione alla Ultimo Samurai, per intenderci...

    O mi sbaglio?

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    1. Però a me continua a rodermi il tarlo del dubbio del dopo referendum.
      Perchè, darei abbastanza per certo che sul tavolo di Renzi ci siano alcune cartelle con titoli simpatici tipo "Tagli alle pensioni" oppure "Progressiva privatizzazione della sanità" oppure "Tagli agli Enti Locali" oppure "Privatizzazione della gestione delle reti di distribuzione dell'acqua".
      Ora, se vincesse il SI' alla riforma costituzionale Renzi porterà probabilmnete avanti queste belle riforme. Se perde, non è che le porterà avanti qualcun altro? Magari un bel "governo tecnico?". Perchè poi, la scienza economica dirà pure tante belle cose, ma è oramai assodato che la politica non ascolta.
      Esiste uno scenario post-referendario aperto ad un minimo di speranza?
      Sempre in vena di ottimismo, dirò di più. Non hanno fatto un bel referendum poco tempo fa i nostri amici Greci, che noi amiamo molto perchè "siamo tutti europei" e naturalmente tra eurocompaesani (italiano-europeo -> una faccia-una razza) vige una fraterna solidarietà?

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    2. @BI Ho avuto la stessa impressione e non da oggi. Si è sempre trattato di qualcosa che trascendeva l'Italia ovviamente, ma i rapporti di forza in gioco vengono posti in maniera diversa da parecchi mesi almeno.

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    3. Cara Pellegrina anche io ho avuto la stessa impressione da un po' di tempo . La spiegazione che mi sono dato coincide con la tua perché l'euro è prima di tutto un problema POLITICO infatti così è nato , e poi molto poi è un problema ECONOMICO . Per la Germania l'euro è e sarà un
      problema economico che pagherà salatissimamente in sede
      politica . Per l'Italia specularmente l'euro è stato e sarà
      un problema politico che pagherà salatissimamente in ambito
      economico.

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  32. Mi permetto un aggiornamento sulla situazione dei "certificatori" dello stato delle aziende in Italia. Spero che sia gradito, visto che descrive ben noti (da queste parti) effetti della pressione esercitata dal capitale sul lavoro. In questo caso, trattandosi di azienda che produce utili, a me sembra chiara la logica che sottostà alle decisioni aziendali: l'azienda non deve solo produrre utili, ma anche soddisfare le aspettative a breve/medio termine dei finanziatori, costi quel che costi. Una logica la cui efficacia distruttiva sarebbe mitigata se il lavoro non fosse qualcosa da mendicare.

    Di seguito l'aggiornamento:

    "Buongiorno a tutti,

    di seguito le ragioni per le quali vi chiediamo uno sforzo per difendere il vostro posto di lavoro, ragioni per le quali è nostro diritto, ma anche nostro dovere, ricordare all'azienda che non siamo disposti a sottostare alle sue pratiche e ai suoi atteggiamenti che nulla hanno a che vedere con il confronto sindacale che dovrebbe contraddistinguere un'azienda sana che fa utili.

    Lavoriamo tutti con la massima professionalità e rivendichiamo il nostro diritto a continuare a farlo e non cifermeremo finché avremo forza e urleremo finché avremo voce per ricordare all'azienda che i numeri di quegli utili, di cui tanto si sono riempiti la bocca i direttori delle varie aree, abbiamo contribuito noi a crearli, con il nostro lavoro, con i nostri sforzi e non certamente motivati da un premio di risultato irrisorio (per chi non se ne fosse accorto, a marzo è stato distribuito un premio individuale medio di 300 euro lordi).

    Gli straordinari chiesti ai colleghi di Cerved Rating Agency per sopperire a delle scadenze e degli accumuli di lavoro sono dovuti unicamente ad una pessima organizzazione del lavoro messa in atto dai dirigenti. Ci dicono che gli straordinari sono dovuti ad una situazione contingente quando è da ottobre 2015 che chiedono di farli. Abbiamo chiesto un accordo che preveda volontarietà e pianificazione degli straordinari, ma ad oggi non abbiamo ricevuto risposta.

    Se da una parte chiedono di fare straordinari dall'altra continuano, in un atteggiamento evidentemente ai limiti della schizofrenia, ad invitare colleghi ad andarsene con l'ausilio di un tagliatore di teste assunto con questo scopo, adducendo ragioni di performance insufficiente. Peccato che non sono chiari questi livelli di performance al di sotto dei quali sentirsi "in pericolo" e al di sopra dei quali sentirsi "in salvo".

    Ad aggiungersi a questo scenario arriva la mobilità per 21 persone di Finservice. Colleghi che hanno dato sempre il massimo e ai quali oggi viene chiesto di farsi da parte, dopo aver formato del personale di Recus in Romania. Dietro l'opportunità, a detta dell'azienda, di costruire delle fantomatiche sinergie, si nascondeva invece il progetto di eliminare interi settori che hanno formato e contribuito al successo di Cerved.

    Siamo stanchi di sopportare tali atteggiamenti da parte della direzione aziendale che ha ormai ridotto il tavolo delle trattative ad un evento in cui noi RSU e in cui le organizzazioni sindacali non hanno alcun ruolo propositivo, ma sono solo meri testimoni e unicamente ricevitori di notifiche su decisioni che l'azienda prende senza possibilità di confronto.

    Continuiamo a mantenere lo stato di agitazione con blocco degli straordinari di tutte le aziende del gruppo Cerved. Invitiamo tutti i lavoratori a rispettare il blocco degli straordinari e vi invitiamo ad essere tutti uniti nelle azioni che attueremo. Non dobbiamo farlo solo per i nostri colleghi di Finservice, dobbiamo farlo perché nella loro situazione domani può esserci ognuno di noi e per ricordare all'azienda che non siamo solo numeri, ma siamo persone e se Cerved ha successo è grazie al nostro lavoro.

    Grazie a tutti

    RSU Cerved Milano"

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  33. P.S.: probabilmente continuerò ad esser un "fortunato" che fino ad ora non ha provato sulla propria pelle cosa sia la "durezza del vivere". Ciò non toglie che mi sento di dover mutuare il rischio mettendoci un po' del mio culo, magari esponendomi un po' di più rispetto a quanto abbia fatto fino ad ora.

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  34. Ho fatto un po' fatica a leggere tutto sia per miei limiti oggettivi, sia perché mia figlia nel frattempo voleva che impersonassi Capitan Uncino. Comunque alla fine ce l'ho fatta. Grazie Professore.

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  35. Titanic post. Solo un commento sulla parte emotiva - mi trovo in questa situazione sempre più spesso : come si può parlare di quello di cui si è pianto, con chi non capisce e non vuol capire? Non si può. E così il divario si amplifica, l'asimmetria cresce.

    Ma suppongo sia l'effetto della realtà - la realtà sempre divide, tra sommersi e salvati, tra lavoro e capitale, tra intelligenti e no, tra chi sa fare e chi no, etc.

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  36. Questo post andrebbe stampato in milioni di volantini e gettato da un elicottero sopra ai grandi raduni dei sindacati, tipo concertone del primo maggio, in cui si ripetono gli stessi concetti, se va bene stereotipati, altrimenti manchevoli o falsi, da anni. Nessuno sa cosa e' il TTIP. L'euro e' solo una moneta. L'europa ci ha dato la pace. Ecc. Gente che si crede di sinistra perche' indossa la maglietta del Che fatta nel far east.
    Ovvio che votero' NO allo stupro costituzionale voluto dalla bce.

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    1. Bell'idea. Ne avevi avuta una niente male anche qualche giorno fa.

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    2. L'Helicopter post!

      Cavezza libberiiiiiiiiista!:)

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  37. Nel mio piccolo ho iniziato una manovra di riavvicinamento ai piddini a me noti (perche' ci servira' anche il loro voto perche' vinca il NO).

    Ci vorrebbe un creativo bravo per coniare qualcosa da far diventare 'virale', sfruttando anche la potenza simbolica del numero 70.

    Pensavo per esempio ad una immagine di un nonno che, guardando in basso dal cielo, dice al nipote:

    "1946 - 2016: La vuoi tu la monarchia, SI o NO?"

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    1. Bellissima immagine con la differenza che il nonno non è stato
      " scippato " del referendum come lo saremo noi .
      Vedere la fine di famosi referendum per credere .

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  38. Segnalo un'interessante corollario del ben noto (per i lettori di questo blog) grafico sulla riduzione della quota salari, che costituisce un ulteriore conferma delle tendenze analizzate così bene da Alberto.

    Si tratta della figura in questo articolo.

    Notate come l'articolista (e la Deutsche Bank) mettano in rilievo la migliore situazione dei "millennials" (cioè coloro che hanno tra 25 e 35 anni) e tralascino il fatto che adesso un cittadino USA ha in media 15.000 dollari di debito in più rispetto a 12 anni fa.

    Sarebbe interessante sapere la situazione dei paesi europei...

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  39. @Riccardo, l'autore del commento che apre questo post. Caro Riccardo, non ho mai condiviso la tua fiducia in coloro che nomini, individui o collettività. Me lo impedivano proprio i miei genitori, non perché abbiano mai fatto ingerenza nelle mie posizioni politiche, ma per avermi abituato sin da piccola a leggere e a soppesare i dati e la propaganda. O almeno a provarci. Una scuola Montessori e la lettura della Costituzione, cioè dei miei e nostri diritti, hanno fatto il resto. Non parliamo di Monti, che entusiasmava tanto i piddini ammaestrati da Scalfari. No, è stata proprio la censura messa consapevolmente per decenni verso qualsiasi discorso sulla struttura economica e la conseguente situazione che si veniva determinando in Italia che mi ha reso impossibile dare fiducia a costoro, quando la vedevo sostituita da un generico umanitarismo rivolto alle povertà estreme, che mirava, riuscendoci, a farci sentire potenti (e anche colpevoli, date le nostre radici) perché non eravamo pezzenti, distraendoci dai reali rapporti di forza e di distribuzione sempre più feroci. Conosco bene la solitudine mentale per i motivi che tu stesso elenchi (trovo insopportabile lo spirito branco-murettistico, in genere compagno del becerismo) e per motivi socioeconomici. So quanto essa indebolisca la resistenza, i neuroni e il sorriso. La mia mamma non ha mai giurato né per il Pd né per il cattolicesimo (ed era single quando aveva l'età della tua, ora non più), ma il pensiero più sconvolgente per me è trovarmi un giorno a non potere curare i miei vecchi come loro si sono presi cura di me, perché il mio reddito non lo permetterà mai, e questa bella roba qui ha smantellato gli ospedali come in Grecia. Davanti a questo, ed è questo ciò che abbiamo davanti, ogni altra ansia per ciò che posso dirgli di me si ridimensiona. Soprattutto se tu sei in grado di pensare quello che pensi e come lo pensi, è senza dubbio anche per ciò che i tuoi genitori ti hanno insegnato ad essere. Per questa via può passare un mutuo riconoscimento, anche se le posizioni raggiunte sono esteriormente diverse. Ma che dico, lo sai meglio di me! Se ti va comunque, puoi scrivermi, ti leggo volentieri. Una via di reazione più politica allo smarrimento individuale di tanti la propone il resto del post. Solo un'avvertenza, per dirla tutta: non conosco il tuo romanziere preferito, ma per questo sei già in buone mani. Fa comunque piacere vedere come viene letto un libro, pur non conoscendolo! Mille auguri.

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  40. Post fantastico, il miglior modo per festeggiare il 1° maggio, ben diverso dall'ascoltare canzonette proposte da finti e paraculi amici del proletariato.

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  41. Ammazza che post!

    Un punto mi colpisce particolarmente:"... Un capitalismo assoluto che non conosce freni inibitori, perché non conosce, in questa epoca, un modello alternativo."

    io credo che il nodo centrale sia rappresentato dal sistema di produzione. Il capitalismo attuale si basa sulla produzione di massa. È da essa che trae il suo massimo potere e vantaggio sui lavoratori.

    Per motivi miei (forse sono pazzo) sto cercando di ricostruire, dal punto di vista tecnico ingegneristico (ce lo so, so ingegnere...ma io questo so fare) la storia della nascita del sistema di Mass production.

    Innanzi tutto james watt e il motore a vapore non c'entrano una bene amata Fava.

    Il tutto si data tra il 1850 e il 1900 grossomodo ed è opera di pochi ingegneri-artigiani che sono rimasti quasi sconosciuti. Vi dicono qualcosa i nomi di ELi Whitney, james Nasmyth, Henry Maudslay, joseph Whitworth, carl edvard johansson ?

    Ebbene è grazie alle loro idee e di pochi altri ancora, poche, semplici , efficacissime ( niente saggi di centinaia di pagine, avranno scritto al più qualche articolo) che tutto sto casino di prodotti che ci circonda ha avuto origine!

    Non entro in ulteriori dettagli potrei farvi morire dalla noia. Quello che vorrei mettere in evidenza è che se il sistema di produzione di massa ha avuto origine da pochi uomini, con mezzi relativamente modesti e in tempi abbastanza rapidi, perché non dovrebbe essere possibile assistere alla ideazione di un nuovo sistema di produzione?

    Ernst friedrick Schumacher (guarda un po' protetto di Keynes) credo sia stato un economista che abbia avviato questo tipo di riflessione e le idee di appropriate technlogy e intermediate technlogy continuano ancora ad oggi a sopravvivere sebbene orientate quasi esclusivamente ai paesi in via di sviluppo.

    Potrebbe essere interessante sviluppare, a livello scientifico questi ragionamenti?
    Oppure sono pazzo...?

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  42. " Perché persone così giuste difendono cose così sbagliate? "
    perchè la sinistra ha assunto nel corso del tempo i valori dell'avversario; perchè nel corso del tempo è avvenuta una profonda mutazione sociale del corpo costitutivo della sinistra; perchè il vecchio proletariato probabilmente non esiste più e quello che oggi può richiamare quello del tempo trascorso è formato dai nuovi schiavi senza alcuna rappresentanza politica -

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  43. E' un post superlativo! Lei continua a distillare il Suo pensiero, regalandoci ogni volta un nettare migliore. Sono felice e grato di poterLa leggere.

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    1. Rileggendolo, c'è però il punto in cui accenna a Fassina e D'Attorre, che mi pare dissonante con quanto scritto in un post precedente: "Poi c'è il caso di Fassina e D'Attorre. Io della loro comprensione dei fenomeni e onestà intellettuale sono ragionevolmente certo (salvo essere smentito dai fatti), e comunque comincio ad averne i coglioni pieni di quelli che chiedono loro sempre "di più"! Si diceva che non sarebbero mai usciti dal PD perché bla bla bla. Sono usciti. Ora cosa devono fare? Andare a Montecitorio e darsi fuoco in piazza come Jan Palach?".
      Poi, voleva forse scrivere che il coraggio, chi non ce l'ha, non se lo può dare? (per darsi fuoco?)
      Oppure non ho capito io (probabile).

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  44. Leggendo questo articolo, che espone molti concetti già esposti su "IPF" e che mi permetto di dire che è un perfetto messaggio al mondo di questi due sottomessaggi principali:
    A)Si sta spingendo al limite di rottura la distanza tra un mondo vivibile ed l' inferno, e l' euro è il sistema che deve abbattere le ultime barricate tra i due universi;
    B)Nel momento in cui avverrà la rottura del muro, per cause endogene e connaturate a questa strategia, si ripeterà necessariamente, ma terribilmente amplificato, nelle quantità, nella qualità, nel tempo e nello spazio, quanto già visto nel '29, tanto per parlare chiaro, con relative conseguenze.

    Vorrei solo trarre questa conclusione: "E' mai accaduto che i popoli diano retta agli avvertimenti prima di schiantarsi"? Forse è accaduto solo con la Bomba atomica, ma ancora non ne siamo certi!
    La speranza che insieme ad Alberto e ad altri, ed a causa dei loro lavori, insegnamenti ed esempi, si creino gruppi di veri uomini, onesti ed intelligenti, che sappiano condurre in porto il Titanic senza che si schianti sulla Bomba Atomica della terza globalizzazione, deve essere ciò che ci consente di non suicidarci!

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  45. OT
    Giampy,te set propri un pistulot!

    http://m.dagospia.com/il-deputato-pd-svela-il-segreto-di-pulcinella-sul-rapporto-incestuoso-tra-draghi-e-i-derivati-123866

    P.S.
    A che gioco gioca Zingy?

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  46. Dico solo grazie per continuare a fornirci quelle conoscenze utili a comprendere ciò che ci era stato sapientemente nascosto. Tra le tante riflessioni che mi vengono a mente c'è ne è una in particolare, che anche tu hai evidenziato nel tuo ultimo intervento a RPL. Mi riferisco alla inconsapevolezza dei giovani che ormai non hanno percezione, visto il tempo che scorre, di ciò che gli è stato tolto e che la nostra generazione di cinquantenni ha visto e fruito grazie alle lotte di chi ci ha preceduto. Quello che inquieta è quel messaggio volutamente distorto che NOI siamo stati coloro che hanno sottratto il loro futuro, avendo ad esempio beneficiato di una sanità senza costi, di un istruzione quasi gratuita, di un lavoro con determinate garanzie ecc. La verità che invece qui tu con chiarezza fai trasparire, e che è inequivocabile, è invece tutt'altra. Quello che mi chiedo è se saremo in grado di farlo comprendere spostando quel conflitto generazionale, tanto caro al capitale, verso il vero artefice di questa condizione. Tu e noi con te ci stiamo provando, certo le forze in campo sono a nostro svantaggio, ma non rimane che confidare nella storia che spesso è venuta in soccorso a situazioni difficili se non impossibili e alla storia bisogna andare incontro.

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  47. Credo che molti abbiano l'atteggiamento del prof. De Cecco il quale, se non ricordo male, pur consapevole di tutto sosteneva in sostanza che oramai la cazzata era stata fatta e non si poteva tornare indietro. Naturalmente non è vero che il processo è irreversibile ma tant'è.

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    1. Sindrome TINA all'ultimo stadio. Il fatto e' che lui si sente al sicuro, altrimenti altro che irreversibile.

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    2. Ecco uno che ha ben chiara la rotta da seguire per il TITANIC, qui c' è tutto ciò che Alberto ha denunciato qui sopra, Lui ha, come nel '56 un solo obiettivo, quello della stabilità universale del governo mondiale (almeno nel '56 gli interessava solo quello del Patto) e indipendentemente da altre considerazioni sulla democrazia offesa, la povertà, la diseguaglianza, la divergenza esplosiva tra capitale e salari etc etc.

      "Viviamo una grave crisi dell’unità europea e del processo di integrazione. Ma abbiamo appena vissuto un intervento storico del presidente degli Stati Uniti, che non è stato sottolineato abbastanza. Obama si è rivolto ai popoli europei e alle leadership. Ha fatto capire che gli Usa non vogliono più trattare con i singoli Stati europei, ma con l’Europa nel suo insieme. Ha detto che la relazione speciale tra Washington e Londra non avrebbe più senso se Londra non restasse nell’Ue. E ha usato un’espressione che mi ha colpito per la sua durezza: “È nella nostra natura umana l’istinto, quando il futuro appaia incerto, di ritrarsi nel senso di sicurezza e di conforto della propria tribù, della propria setta, della propria nazionalità». Insomma, Obama ha messo gli impulsi neonazionalistici sullo stesso piano degli istinti tribali"

      Io mi astengo da qualsiasi considerazione, sono del tutto inutili; il cinismo di questo personaggio è pari solo alla sua incapacità di mostrare una coscienza. E nemmeno si può giustificare perchè sia un ignorante, perchè le cose le conosce a fondo (pag. 24992).

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    3. Grazie.
      Spero di non urtare la tua sensibilità se prendo i pdf e li condivido sui social! Non si sa mai che qualcuno si svegli dal lungo sonno!

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    4. Ah, ma era un migliorista, quello. Anzi IL migliorista, no? Quello più vicino alle ragioni dell'altra parte. E' andato pure a Bruxelles, oltre che negli USA, per istruirsi sulla propaganda liberista che gronda da ogni parola, ogni argomento vieto (il debito pubblico! la Germania europea!!, il conservatorismo!!!, - interessante però il parallelo con il '92 svalutazione della lira tra molte altre cose), dell'intervista.

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  48. Sarebbe più esatto dire che si sentiva al sicuro, visto che dal 3 Marzo c.a. come tutti prima o poi è diventato terra per i ceci, come si dice dalle mie parti (Pescara per i curiosi).

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  49. Il buon Riccardo, da Piddino quale e', anche nella confessione non riesce a evitare di sbrodolare la sua presunta superiorita' culturale e analitica. Probabilmente il piddino che e' in lui l'avra' alla fine vinta

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    1. Ho letto le parole di Riccardo con fastidio e concordo sul finale.
      I piddini riescono a stare lontani dalla "curtura" come un cocainomane dalla cocaina: tra una dose e l'altra.

      Ero riuscita a convincere un'amica - una cara e simpatica persona davvero, ritrovatasi precaria a 50 anni suonati, ma la classica piddina: cinema d'essai, letteratura, teatro d'avanguardia, attivamente impegnata in circoli culturali locali "pis-en-lov" ecc. ecc. - a guardare la puntata di Mizar di Giacché (Anschluss) confidando nel suo spirito ex-marxista.

      Vedendola così favorevolmente colpita, le ho regalato Europa Titanic e L'Italia può farcela. Un successone - anche se solo all'inizio e ancora non ha preso l'abitudine di seguire Goofy - non potevo crederci!

      Oggi è andata al Salone del Libro ed entusiasta mi ha scritto:
      "Leonardo Becchetti presenta il suo libro Capire l'economia in 7 punti".
      Dopo averlo sentito:
      "Ha parlato di un nuovo modo di creare valore da parte delle imprese, connesso all'attenzione ad ambiente e lavoratori e di un trip advisor nascente sulle aziende. Sempre basato su valori etici".

      Aveva ragione Churchill, ma il vecchio Winston non poteva prevedere l'avvento der salottobuonodeRepubbrica, se no avrebbe detto:
      l'elettore colto è l'argomento migliore per la monarchia assoluta.
      (Naturalmente la Vostra, Sire)
      M.A.

      ps
      prima che qualcuno straparli di autorazzismo: ogni stato ha un salottobuonodesinistra.

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  50. Il professore De Cecco ha detto al professore Bagnai che l'euro fosse una cazzata ma in pubblico no ed era un convinto sostenitore...

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  51. Un altro post da antologia. Molto bella anche la lettera iniziale dello studente di psicologia: anche lui si chiede il segreto per non "esplodere". Mi sono spesso posto anche io la stessa domanda, ma a dirla tutta ho paura della risposta.

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  52. Non conoscevo Eurodelitto ed eurocastigo, mi sa che sono arrivato dopo.
    Il "non sono ancora pronti" del cauterizzato mi ha subito ricordato il documento con cui Carlo Galli ha lasciato il PD (lo stesso giorno di D'Attorre e Folino)http://ideecontroluce.it/molte-fini-un-nuovo-inizio-tesi-per-una-sinistra-democratica-sociale-repubblicana/, in cui si legge:
    "La posizione del governo apparentemente aggressiva verso l’Europa è in realtà subalterna rispetto alle logiche ordoliberiste che esplicitamente informano la Ue e l’euro.
    Tali logiche implicano che l’obiettivo primario del sistema economico e politico sia battere l’inflazione e non la disoccupazione, affermare la preponderanza del capitale sul lavoro, escludere a priori il conflitto sociale, sostenere la rigidità della moneta e la flessibilità della mano d’opera"
    e più avanti:"Non deve lasciare alla destra e al populismo l’espressione e la rappresentanza delle contraddizioni del presente stato di cose, in particolare dell’euro; e al tempo stesso DEVE CAPIRE CHE BEN POCHI LA SEGUIREBBERO IN UNA PROPOSTA DI USCITA DALLA MONETA UNICA"

    come dire: la verità non tira, inventiamoci qualcos'altro

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  53. Postone miliare. L'ho rimbalzato su fb ed ho avuto un riscontro positivo da un commilitone di quasi mezzo secolo fa che ha avuto una vita completamente diversa dalla mia: ora è in pensione con una greca sulla manica ed ha apprezzato la lettura concordando con la conclusione: voto NO! Quindi i vecchi intelligenti capiscono, il deserto sono quelli di mezzo visto che un settantenne ci arriva ma convincere un cinquantenne è pressoché impossibile.

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  54. L'inglese lo capisco ma quello dei francesi è proprio orrendo, ecco il link verso il bellissimo articolo sugli insegnamenti della prima globalizzazione: https://www.tresor.economie.gouv.fr/File/330516. Qualcuno mi saprebbe indicare qualche saggio di questa fase storica (la cosidetta "prima globalizzazione") oltre che The first globalization di Suzanne Berger (per chi lo vuole leggere, http://www.rms-republic.com/reference/FrenchPress_Influence2.pdf). Penso che uno dei nodi sia lì. Cosa ha condotto al primo e conseguentemente al secondo conflitto mondiale, il laissez-faire della prima globalizzazione o il nazionalismo brutto e cattivo? E quanto ci sarebbe da dire sul ruolo della storia, in quanto disciplina, e della necessità di controllorne i frutti e orientamenti per governare le anime.

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  55. «Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neolaico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.» Pier Paolo PASOLINI, 9 dicembre 1973. Acculturazione e acculturazione, in Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975

    Ho la sensazione, del tutto personale, che la terza globalizzazione inizi da qui e che quella che stiamo vivendo ora sia la sua fase terminale: in tutto questo, il sistema euro ha il ruolo di una sorta di camera a gas nella quale finire la Civiltà nata dalle macerie della II guerra mondiale, colpevolmente intrisa di Costituzioni che mostrano una forte influenza di idee socialiste (o forse sarebbe meglio dire sociali).

    Per questo non mi convince l’idea che l’euro sia un progetto politico fascista: il fascismo aveva una sua visione, per quanto personalmente non condivisibile, del sociale e del senso dello Stato (che nella terza globalizzazione si vogliono abbattere tout court), e c’era più pluralismo su “Critica Fascista” ai tempi della covata Bottai che non nell’informazione mainstream attuale. La terza globalizzazione mi pare più affine allo stalinismo, che non si faceva scrupoli nell’usare le carestie come mezzo per eliminare le classi sociali non compatibili con il sistema sovietico e deportare intere popolazioni ostili all’omologazione. Ma questi sono solo dettagli: il problema, come sempre, è il qui ed ora.

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  56. Buon giorno, mi chiamo Mauro Magistri, sono architetto e dipendente pubblico. Seguo il blog dal 2013, anche se non sono mai intervenuto (ognuno ha le sue nevrosi).
    Dopo aver letto il post ho lasciato un contributo ad A/Simmetrie ed invito tutti, TUTTI, a fare un giro extra di contribuzione solo per questo post. Quindi prendiamo coraggio, lasciamo per un attimo lo specchietto con cui cerchiamo ogni giorno di guardarci il buco del culo e senza il quale ci sentiamo così insicuri, e versiamo.
    Volevo aggiungere, rispetto al post, che mi ha riportato alla mente una pallosissima frase che ai tempi delle elementari e delle medie, quando si facevano cose come "educazione civica", veniva fuori ogni tre per due e che oggi non va più molto di moda: "L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro". Avrebbero potuto scrivere che "l'Itaila è una Repubblica fondata sul reddito", o sulla cittadinanza, o sui diritti, o sulla libertà, o sulla partecipazione, o sulla divisione dei poteri etc.etc.
    Invece hanno scritto un banalissimo ma nient'affatto scontato "L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro". Perchè il lavoro, quando non è sfruttamento, contiene già tutto.
    Allora mi sembra, anche seguendo ciò che scrive Barra Carracciolo, che allora avessero tutti le idee ben chiare e che questa frase sia stata una grande vittoria verso la quale il capitale ha iniziato da subito a covare un sotterraneo ed indicibile proposito di vendetta.

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