sabato 7 gennaio 2012

La crisi, la svendita, e mi’ cuggino: riflessione sull'art. 18

(Un lettore mi ha appena rimproverato una scemenza detta per non aver controllato una fonte. Visto che la storia dell’euro è una storia di perseveranza nell’errore, mi adeguo alla linea del partito, e faccio un altro breve intervento basato su una fonte secondaria, che non posso controllare.)

I saldi di fine stagione
Un lettore molto attento di questo blog (sono molto orgoglioso dei miei lettori!) mi indica che secondo Emiliano Brancaccio l’uscita dall’euro aprirebbe la strada alla svendita di imprese italiane a imprenditori esteri. L’Italia, uscendo, svaluterebbe la “nuova lira” di circa il 20% rispetto al “nuovo marco” o al “neuro” (Nord-euro). Per gli imprenditori tedeschi le imprese italiane da un giorno all’altro verrebbero a costare il 20% in meno (a spanna). Lieti di questo sconto, gli imprenditori del “centro” europeo ne approfitterebbero per comprare le migliori imprese della “periferia”.

Notate bene: stiamo dicendo che in effetti l’uscita dall’euro favorirebbe l’afflusso di capitali esteri (che entrerebbero in Italia per comprarsi imprese). Altro che “saremo isolati dai mercati dei capitali, i capitali fuggiranno da noi, saremmo reietti, verremo gettati nelle tenebre dell’autarchia finanziaria, ubi erit fletus et stridor dentium...”! Esattamente il contrario. Saremmo inondati di capitali esteri, in particolare sotto forma di quelli che il manuale della bilancia dei pagamenti chiama “foreign direct investments (FDI) in reporting country” e che noi chiamiamo “investimenti diretti esteri (IDE) in entrata”.


Lezioncina: cosa sono gli IDE
Gli IDE sono definiti dall’ottava edizione del manuale della bilancia dei pagamenti come:


“a category of cross-border investment associated with a resident in one economy having control or a significant degree of influence on the management of an enterprise that is resident in another economy” (una categoria di investimento internazionale legata al fatto che un operatore residente in una economia – es.: la Germania – acquisisce il controllo o comunque un significativo livello di influenza nell’amministrazione di un’impresa che risiede in un’altra economia – es.: l’Italia). Bop manual, par. 6.8.


Se le imprese sono quotate, lo shopping avviene attraverso l’acquisto di azioni. Il Bop manual (par. 6.12) ci dice che si ritiene “significativo livello di influenza” l’acquisto di un pacchetto di almeno il 10% del capitale, e “controllo” l’acquisto di un pacchetto di maggioranza (più del 50%). Insomma, si ha un IDE quando le azioni non vengono acquistate per motivi speculativi (cioè perché ti aspetti che il loro prezzo salga), ma per aver voce in capitolo nell’azienda. Risparmio le ulteriori complicazioni (scatole cinesi, imprese non quotate, ecc.). Il senso è comunque che se le nostre imprese costassero da un giorno all’altro il 20% in meno, ciò attirerebbe capitali esteri, sotto forma di IDE in entrata (in Italia).

Quindi tutto bene? I capitali arrivano! I giornalisti, i nostri “informatori”, che tanto deploravano la scarsa attrattività dell’Italia, dovuta (secondo loro) all’assenza di politica industriale del Satiro, tireranno un sospiro di sollievo. I sindacalisti anche, e soprattutto la Camusso, per la quale, par di capire, lo scopo della “politica industriale” è quello di vendere aziende alle multinazionali straniere. E gli economisti, che in tante occasioni hanno studiato la relazione fra IDE e crescita, e hanno cantato le lodi degli IDE, a causa della loro natura “produttiva” e non “speculativa”, e quindi della loro maggiore stabilità (perché chi acquisisce il controllo di un’azienda lo fa perché questa faccia profitti, e non – almeno in teoria – per rivendere il pacchetto azionario il giorno dopo), si aggiungeranno al coretto degli informatori: “Alleluia! In exitu Israel de Egipto...”. Se i capitali arrivano, vuol dire che siamo attraenti (alla nostra età è sempre una soddisfazione), quindi ne siamo quasi fuori. Un po’ di Purgatorio, ed è fatta.

Invece no, assolutissimamente no.

E la svalutazione dell’ipotetica “nuova lira” non c’entra nulla. Sono convinto che la segnalazione del lettore derivi da una lettura affrettata (un po’ di confusione è scusabile quando si leggono troppe cose, soprattutto se si legge solo di economia, stante la lecita, ma un po’ fuorviante, abitudine dei colleghi di dire tutto e il contrario di tutto). Brancaccio, non va dimenticato, è stato fra i primi economisti italiani a denunciare la reale natura degli squilibri determinati dall’euro. E l’aritmetica, ne sono certo, la sa. Quindi è difficile che abbia messo la cosa in questi termini. Vediamo perché.


Cosa ci dice l’aritmetica.
Il 20% sembra un bello sconto, finché non si aprono gli occhi. Quando lo si fa, e ci si guarda in giro, si vede un campo di macerie. Gli attacchi speculativi iniziati questa estate, tradottisi in vendite coordinate di titoli di stato italiani da parte di chi ne deteneva quantità sufficienti a influenzare il mercato, hanno determinato ondate successive di panico e sbriciolato le quotazioni delle imprese italiane. Fornisco a caso alcune performance a un anno:

Geox – 40%
Fiat  –48%
Mediobanca -39%
Mps –68%
Safilo -63%
Unicredit -75%

(I dati vengono dal sito http://www.borsaitaliana.it/ e sono riferiti alla data di pubblicazione di questo post. Ringrazio il prof. Santarelli, PhD ai Bagni 93 Luigi di Cattolica, emerito di Goofynomics all’università di Topolinia, nonché mio private banker - disoccupato, visto che col mio stipendio non riesco a risparmiare).

A chi volesse acquistare un’impresa italiana, la crisi finanziaria ha già fatto uno sconto che va dal 40% al 75%. Certo, la svalutazione farebbe un ulteriore sconto del 20%. Questo, però, non andrebbe applicato ai valori di un anno fa, ma a quelli odierni, e sarebbe quindi sostanzialmente trascurabile. Esempio: supponiamo che una banca tedesca sia interessata ad acquistare Unicredit. Poniamo costasse 100 un anno fa. Oggi costerebbe 25. Se svalutassimo, costerebbe 20 (perché il 20% di 25 è 5). Quindi con la svalutazione del 20% il nostro fratello teutone non risparmierebbe 20, rispetto ai 100 iniziali, ma solo 5. Certo, questi 5 in pratica non sono bruscolini. Ma non mi sembra siano determinanti, rispetto ai 75 già risparmiati a causa della crisi finanziaria, e degli attacchi speculativi scatenati, guarda caso, dai grossi investitori istituzionali del centro (perché i titoli li vende chi li ha, e la casalinga di Voghera, per quanto sia sfiduciata, difficilmente influenza il mercato).

Siamo seri, per favore! Agli investitori del “centro” lo sconto glielo ha fatto l’euro, ponendo (come abbiamo più volte chiarito) le condizioni per la fragilità finanziaria della periferia. Questa fragilità e il conseguente tonfo sono stati il vero saldo di fine stagione. La svalutazione aggiungerebbe poco. Quindi non credo che Brancaccio abbia detto questa cosa (sbagliata), tanto più che gli ho visto spesso dire la cosa giusta, cioè che una qualche forma di controllo dei movimenti di capitale sarà un ingrediente necessario per ristabilire ordine in Europa.

Purtroppo, però, non sono in grado di controllare la fonte perché, guarda caso, l’articolo citato dal mio lettore, ambiziosamente intitolato “L’unica cosa da fare”, è anche l’unico articolo che non riesco a scaricare dal sito di Brancaccio. Chi ci riesce e me lo manda vince... una svalutazione del 20%!


Il vero sconto
Naturalmente il tonfo in borsa riguarda solo le imprese quotate in borsa. E per le altre (posto che interessino)? Mettiamola così: nello scenario attuale, dopo il crollo delle quotazioni, il vero sconto, il maggiore regalo agli investitori esteri, arriva dalle politiche di austerità e di svalutazione “interna”. Il motivo è semplice: deprimendo la domanda sul mercato interno, quello più immediatamente accessibile, queste politiche intaccano pesantemente la redditività delle imprese italiane, mettendo alle corde (come diceva Dornbusch) i pochi imprenditori italiani rimasti. I quali, a questo punto, hanno un ovvio incentivo a svendere a imprenditori esteri e ritirarsi a vita privata. Che bello, arrivano i capitali...

Anche le politiche di “svalutazione interna”, cioè di taglio dei salari, concorrono a questo quadro. Queste politiche ci vengono richieste dalla Germania sulla base del fatto che da loro sono state attuate, e che noi dovremmo seguire il loro virtuoso esempio. Mi chiede però con affettuosa insistenza Marino Badiale: “che senso ha da parte della Germania, con la quale siamo sostanzialmente in una guerra commerciale, indicarci la strada da seguire per sconfiggerla? (cioè invitarci a recuperare competitività con politiche dei redditi aggressive in senso commerciale: pago meno gli operai, faccio un miglior prezzo all’estero)”. La risposta è che se lo scopo fosse quello dichiarato (indicarci la strada per essere più competitivi verso di loro) la cosa non avrebbe senso. Ma lo scopo è un altro, ed è duplice. Primo, mettere le imprese italiane in ginocchio mettendo in ginocchio i loro lavoratori. Una strada che, come ho detto più volte e come sta sui libri, le imprese italiane hanno imboccato da sole, ma sulle quali ora viene loro chiesto di proseguire. Tagliare i salari significa, in definitiva, compromettere il fatturato delle aziende (chi compra, se tutti hanno meno soldi?), ottenendo lo stesso risultato delle politiche di austerità: intaccare la redditività per indurre a cedere le aziende. Secondo...  ve lo dico dopo una breve parentesi.



M’ha detto mi cuggino...
Devo occuparmi dell’argomento “mi’ cuggino”. Eh sì, perché quando si arriva a questo punto, quando si fa notare che la Germania ha praticato fin dal secondo dopoguerra una politica di deflazione competitiva, salta sempre fuori qualcuno che, come nella canzone di Elio, se ne esce con: “m’ha detto mi’ cuggino che alla Volkswagen stanno meglio che alla Fiat”. Se non l’ha detto “mi’ cuggino” l’ha detto “un amico che lavora lì”, se non è un amico è un giornale, uno di quei giornali che vi hanno informati così bene finora, e continuano a farlo, con professionalità e indipendenza (da voi) seconde solo a quelle delle banche centrali.

L’argomento “del cuggino” è che il “netto in busta” sarebbe più alto in Germania, il che rende assurdo sostenere che la Germania faccia competizione sui salari, cioè tramite una “svalutazione interna” competitiva. Argomento sposato da un’altra mia affezionata lettrice, Dana74. Cara, carissima, adorabile Dana74:


Mi piaci. Penso che leggendo questi
miei versi tuoi, non mi comprenderesti,
ed a me piace chi non mi comprende.
(Gozzano, La signorina Felicita)


Vediamo insieme cosa non comprende (in my humble opinion) Dana, e in che cosa l’argumentum ad cugginum è fallace.



I dati che mi’ cuggino non conosce... (ma basta chiedere)
Una cosa credo di aver capito studiando l’economia: se si è disposti a saltabeccare dal livello dell’analisi economica a quello dell’aneddoto, dal ritaglio di giornale ai database dell’OCSE, dalla sociologia alla statistica economica, si può dimostrare tutto, e il suo contrario. A me qui interessa il livello macroeconomico (gli aneddoti ben vengano nei commenti) e mi interessano i dati provenienti dalle fonti ufficiali, che come al solito vi fornirò.

Con questa premessa, faccio alcune ovvie considerazioni.

1. La Germania non è la Volkswagen, come l’Italia non è la Fiat. Tutti gli aneddoti sono utili, ma alla fine il risultato complessivo va valutato in termini complessivi. Ad esempio: saranno tutti così felici i lavoratori dell’indotto? Ma non voglio indurvi a raccontare altri aneddoti. Voglio guardare all'aggregato.

2. Nell’aggregato i salari reali tedeschi, dal changeover in poi, sono diminuiti, mentre quelli italiani sono rimasti stazionari. Il dato è ampiamente noto (tranne che in Italia), e ampiamente ammesso dall’establishment tedesco, che, per bocca di Roland Berger, consulente della Merkel, ammette che la ricetta del successo tedesco sta nella "liberalizzazione" del mercato del lavoro e in aumenti dei salari reali inferiori a quelli della produttività. Che poi significa aumenti dei profitti superiori a quelli della produttività (a meno che lo scarto non venga dato in beneficenza). E i risultati si vedono, sono nei dati. Guardate la Fig. 1:


Si vede benissimo che dal 2003 al 2009 i salari reali tedeschi (cioè i salari corretti per la variazione del costo della vita) sono diminuiti del 6%. Quelli italiani dello 0%. Siccome c’è sempre qualche ingenuo che arrivato a questo punto mi accusa di complottismo e vuole vedere la “smoking gun”, faccio notare che è proprio il consulente della Merkel a dire che questa è una delle due cause del successo tedesco (l’altra essendo la “liberalizzazione” del mercato del lavoro). Quindi non è complottismo: è una precisa, univoca, dichiarata, esplicita intenzione politica che si riflette nei dati.

Ora io mi chiedo, e soprattutto lo chiedo a Dana74: lo dicono i dati, lo dicono i responsabili della politica tedesca: occorre altro per capire che la Germania fa competizione sui salari (cioè pratica una “svalutazione interna” o deflazione competitiva)? Evidentemente a te sì. E allora mi arrendo. Hai vinto.

3: "Ma io sto meglio in Germania che in Italia, dice un altro mio carissimo lettore. Nel senso che hai più soldi in busta paga. Giusto. Solo che all’imprenditore non interessa quanto dà a te, ma quanto gli costi, e le due cose sono diverse. In mezzo c’è il cuneo fiscale. Il costo del lavoro non è il netto in busta, e questo voi, che a differenza di me siete uomini pratici, lo capite meglio di me: ci sono di mezzo contributi e tasse. Quindi c’è ovviamente anche un problema di sistema fiscale, e ovviamente un enorme freno alla competitività italiana è posto dall’iniquità italiana, cioè dal fatto, talmente macroscopico che lo vedo anch’io, che sul lavoro dipendente cade il maggiore onere fiscale. E poi: sei sicuro di comprare a Brema lo stesso paniere di beni che compri a Viterbo? Perché tu ci hai detto che guadagni di più, ma... non ci hai detto quanto costa un chilo di pane, quanto spendi per il biglietto dell’autobus, ecc. Siamo sicuri che in Germania la vita costi di meno? L’OCSE tanto sicura non lo è. Se convertiamo i redditi unitari da lavoro dipendente (diciamo, il salario medio al lordo delle tasse) in una comune unità di misura, vediamo che a parità di potere d’acquisto i salari nominale tedeschi e italiani sono perfettamente allineati. Anzi: prima del changeover, cioè prima dell’operazione 1000 lire = 1 euro, la vita in Italia costava sensibilmente di meno, tant’è che a parità di potere d’acquisto i nostri salari erano superiori. Lo si vede bene nella Fig. 2:


Vedete che bel "tuffo" fra 2002 e 2003? Ma naturalmente è solo un problema di percezione. Lo abbiamo percepito noi, e l'OCSE. Il governo (Berlusconi) e i suoi apparati (Istat ecc.) un po' di meno. "Noi veggiam come quei c'ha mala luce...". Anche gli uffici statistici, forse, vedono meglio a distanza. E il tempo, comunque, è galantuomo.


4: il mio lettore dichiara di essere rimasto allibito quando il suo capo (Führer) ha licenziato una sua collega dall’oggi al domani. Caro lettore, hai capito come stanno le cose? Lo sai come si chiama questo? Si chiama liberalizzazione del mercato del lavoro. Che poi sarebbe un eufemismo per disoccupazione. Perché la diminuzione del salari reali vista in Fig. 1 non è stata ottenuta con la moral suasion: è stata ottenuta con la minaccia dei licenziamenti e delle delocalizzazioni, e imponendo un tasso di disoccupazione in alcuni anni fino a 3 punti più alto che in Italia (per citare un esempio). Non credi a me? Hai, come ognuno di noi, me compreso, un lato Dana? E allora guardati i dati della Banca Mondiale:


Vedi come decolla la disoccupazione nel 2003, l'anno che Berger indica come anno della "riscossa", delle "riforme" tedesche? Ma io so che tu lo sai...

La morale della favola (ma non ditela a mi’ cuggino...)
Chiedo scusa per la lunga parentesi. Vorrei non fosse necessaria, e soprattutto vorrei non fosse inutile. Temo sarà l’uno e l’altro. Continuo quindi lasciando Dana74 al suo sbigottimento (“e lo mperché non sanno”) e rivolgendomi agli happy few.

Riassumo: la Germania pratica una svalutazione interna competitiva che realizza comprimendo i diritti dei lavoratori, e pretende che noi adottiamo questo modello. Lo fa perché così possiamo competere con lei? No. Lo fa perché i suoi imprenditori vogliono trovare da noi, una volta acquistate le nostre aziende, le stesse condizioni di “liberalizzazione” (leggi: licenziamenti facili e compressione dei salari reali) che gli hanno garantito elevati profitti a casa loro. L’invito alla “virtù alamanna” è ovviamente “pro domo sua” (cioè loro): “buono fantolino, a tu piace voli vola...” dalla finestra, se chiedi l’aumento all’imprenditore alamanno.

Fateci caso: in questa ottica (e solo in questa ottica) l’insistenza del governo sull’art. 18 acquista una logica che altrimenti non avrebbe. Sappiamo che esso non interessa alle aziende italiane.  E allora perché interessa tanto al governo degli italiani? Semplice: perché sopprimere l’art. 18 interessa alle aziende tedesche (che ce lo hanno chiesto per interposta Bce). E infatti Berlusconi è stato “sostituito” non appena si è capito che non ce l’avrebbe fatta a imporsi su questo punto. Tu mi intendi, vero, Marino?


Obiezioni inutili
Qualcuno potrebbe obiettare: ma se le politiche di austerità compromettono la redditività, gli imprenditori esteri che affare ci fanno? E la risposta è abbastanza ovvia: intanto, quello che si perde in traino della domanda sul nostro mercati, lo si guadagna in compressione dei salari. Ma il punto è un altro: chi ha detto che gli imprenditori esteri siano interessati al nostro mercato? Sono interessati alla nostra eccellenza manifatturiera, che ha mercato nel mondo. Il nostro destino è quello di diventare una gigantesca “fabbrica cacciavite”, una specie di “Cina” europea, dove gli imprenditori del Nord vengono a produrre per riesportare, approfittando dei bassi salari e dei bassi diritti. Direte allora: ma la Cina ci ha guadagnato! Certo: ma il processo lo ha gestito lei, con regole sulla corporate governance, sul trasferimento di tecnologia, sui requisiti occupazionali, sui contenuti nazionali minimi, ecc. Noi invece lo stiamo subendo. Direte ancora: ma comunque gli investitori esteri porteranno crescita, che alla fine è quello che ci serve. Rispondo: certo! Come in Irlanda. Porteranno crescita, e riporteranno all’estero i profitti realizzati, dando un’ulteriore spinta in discesa all’indebitamento estero (secondo quanto ho spiegato qui).

Lasciate perdere... o anche no: non lasciate perdere: parliamone: decenni e decenni di disinformazione non possono non aver lasciato scorie. Depuriamoci insieme. L'acqua della salute è meglio di quella del Letè, che mi sembra tutti stiano bevendo a garganella!


Concludendo
In Italia, a sinistra, va per la maggiore una certa esterofilia un po’ provinciale e un po’ autolesionista, alla Tafazzi. Anche chi intuisce che l’ideologia del vincolo esterno ha creato più problemi economici di quanti ne abbia risolti, anche chi non si nasconde la gravità del furto di democrazia che essa ha determinato, insiste ad autoflagellarsi: ce lo meritiamo, perché non siamo bravi come i tedeschi! I tedeschi ci confessano che in realtà la loro bravura consiste solo nel comprimere salari e diritti, ma i nostri Tafazzi non possono crederci. Confessio regina probationum, ma non per loro. Questi ingenui, che vivono nel “mito della razza ariana”, sono poi quelli che appena arrivano all’estero cercano, come Totò e Peppino, un ristorante italiano, preferendo un pessimo piatto di spaghetti a un’ottima Flammkuchen (salvo poi lamentarsi che gli spaghetti erano scotti... e grazie!).

Ma come non capirli? Trovare all’estero le cose di casa è indubbiamente rassicurante, soprattutto per personalità non sufficientemente strutturate. Flaiano, che era di Pescara (terra di spaghetti alla chitarra), definiva non a caso l’Italia una Matria (chi per la Matria muor vissuto è assai). E quando penso ai miei studenti di Pescara, che adoro e rispetto (e loro lo sanno), capisco benissimo quanto la chitarrina della mamma (in senso gastronomico ed edipico) abbia parte nella loro feroce determinazione di non studiare le lingue (ma una cosa la sanno dire: mannàggement – management). E io a dirgli: “non ascoltate me, studiate l’inglese, andatevene”. Ma il campo gravitazionale della chitarrina, anche di quella ai frutti di mare, è invincibile (amor omnia vincit).

Ma questo non è solo un vizio (se è un vizio) italiano: lo condividono anche i nostri “cuggini” tedeschi. I quali in fondo vorrebbero solo trovare qui, da noi, dopo che ci avranno comprato, le cose di casa. Un desiderio innocente: quasi modo geniti infantes. E non mi riferisco tanto alla fragrante Flammkuchen della mamma... quanto alla rassicurante e  familiarmente alamanna possibilità di licenziare in tronco i lavoratori che eventualmente desiderassero appropriarsi in busta paga di una parte degli incrementi di produttività.

Del resto, ci mancherebbe altro che fosse difficile licenziare in Italia quegli italiani che è così facile licenziare in Germania! Non per questo abbiamo (chi?) fatto l'Europa!





(Dedicato a Dana74. Carissima, non posso volertene per l’arroganza con la quale, senza disporti all’ascolto, senza verificare le fonti dei dati, senza avere strumenti culturali e linguistici adeguati, pretendi di dare lezioni a chi sta solo cercando di capire - nonostante, suo malissimo grado, ne sappia già molto più di te. E non posso volertene non perché io non sia permaloso e suscettibile: sono permaloso come un aspide e suscettibile come un piddino! Ma non posso volertene perché intuisco, da come scrivi, che in questo gioco che non vuoi capire, e che mi accusi di non aver capito, e che sicuramente non ho capito nemmeno io, tu hai molto, ma molto più da perdere di me. Perché io ho molte, ma molte cose più di te che nessun Monti può togliermi, e ce le ho perché sono stato ad ascoltare gli altri, tutti gli altri - nonostante le apparenze! Beccate 'sto vagone di paternalismo, e la prossima volta, magari, se qualcosa non è chiaro, fai una domanda. Petite et dabitur vobis).

91 commenti:

  1. Caro Prof. Bagnai,

    l'analisi che lei pone è molto chiara e convincente. Se potessi, però, vorrei fare una piccola osservazione.
    Non sarebbe più opportuno fare il raffronto tra i tassi di occupazione invece che tra i tassi di disoccupazione tra Italia e Germania?

    Carlo.

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  2. Caro Carlo,

    non è la prima volta che mi sento fare questa osservazione, ma sinceramente non la capisco. Se pensa che sia più opportuno, può spiegarmi perché? Prima però consideri che se fosse veramente molto più opportuno, le curve di Phillips sarebbero specificate in termini di tassi di occupazione. E a me serve capire come si fa a tener giù i salari!

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  3. Secondo me sarebbe più opportuno in quanto il tasso di disoccupazione è calcolato come il rapporto tra le persone in cerca di occupazione e la forza lavoro, mentre invece il tasso di occupazione come il rapporto tra gli occupati e la popolazione totale.

    Poiché potrebbe porsi il problema secondo la quale i lavoratori scoraggiati - e quindi non più in cerca di un'occupazione - non vengano computati nel tasso di disoccupazione, ciò potrebbe falsare le stime di tale indicatore se rapportato ad esempio a quello di un paese dove il fenomeno degli "scoraggiati" si manifesterebbe in maniera diversa.
    Mentre invece nel tasso di occupazione questo problema non si porrebbe.

    Inoltre i cassintegrati non verrebbero computati nel tasso di disoccupazione, cosa che invece non accade in quello di occupazione.

    Non vorrei aver fatto errori in ciò che ho detto. Non credo assolutamente che l'analisi venga intaccata nella sostanza, volevo soltanto capire in che modo l'adozione dell' uno o dell' altro tasso modifichi le stime che lei ha dato, e in che misura.

    In ogni caso, la curva di Phillips nel lungo periodo è verticale (scherzo!)

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  4. Mi scusi, ero sempre io, Carlo. Mi sono dimenticato di firmarmi.

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  5. Sono d'accordo su tutto, incluso sul fatto che non farebbe molta differenza. Il sito OCSE non mi fornisce dato dei tassi di occupazione confrontabili, me li calcolerò e le farò sapere.

    Naturalmente, se la curva di Phillips fosse verticale, questo blog non avrebbe motivo di esistere!

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  6. Dana non ha mai capito una mazza.

    Marino invece registra e comprende tutto.

    Stringiamo le fila, noi felici pochi

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  7. Scusi, ma io non ho capito come avviene il cambio 1 euro=1000 lire. Non erano 1936,27 lire? Quindi come e perchè sono diventate 1000?

    Bàtjushka

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  8. Professore, sull'articolo di Clerichetti ci sarebbe questo articolo di Boldrin, che ne pensa? http://www.facebook.com/#!/notes/michele-boldrin/gli-argomenti-di-carlo-clericetti-sullart-18/319264088094970

    Io penso che quelli di Noise siano un bel po' fuori dalla realtà però volevo una conferma da un professore. Grazie comunque, il suo blog è fantastico..

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  9. La domanda di oggi e' questa, non sarebbe dunque bene iscriversi all'IG metal, fare una bella battaglia per l'aumento dei salari tedeschi del 15, 20% (non so fare il calcolo preciso) e porre fine in questo modo allo scorretto mercantilismo tedesco? Avremmo come alleati 42 milioni di lavoratori tedeschi, potremmo tenerci l'euro e fare tutti insieme una bella Europa basata sull'equilibrio, la produzione e gli alti salari (almeno dei tedeschi). Mi parrebbe meglio che la lotta rancorosa dell'"io non ci sto piu', tenetevi il vostro euro di m...., io torno alla mia lira" Bho, lo so che non sei d'accordo ma parliamone

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  10. Non capisco però la netta differenza tra le fig. 1 e 2. Possibilie che ci sia uguale potere d'acquisto tra lavoratori di due paesi con salari reali così differenti e con la stessa moneta? Non dovrebbe già la fig.1 misurare il potere d'acquisto dei salari? E dunque -suggerisco, ma sicuramente mi sbaglio- non è che magari la prima si riferisce ai redditi netti e la seconda ai lordi (in Italia la tassazione dovrebbe essere più alta)?

    Claudio

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  11. @Grecale

    D'ora in avanti ti chiamerò tramontana. A parte questa rotazione della rosa dei venti, il tuo commento è interessante e merita opportuno post.

    Prendi una mano di terzaroli...

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  12. @Claudio

    Hai ragione, l'accostamento dei due grafici non è molto efficace.

    La fig. 1 è espressa in euro a prezzi costanti del 2000 (italiani per l'Italia, tedeschi per la Germania).

    La fig. 2 è espressa in dollari correnti a parità di poteri d'acquisto.

    La prima quindi è adatta per un confronto intertemporale, cioè per vedere come si è evoluto nel tempo il potere di acquisto dei redditi lordi all'interno dei due paesi.

    La seconda è adatta per un confronto internazionale: la base qui è il dollaro, e la logica della misura è espressa abbastanza bene qui.

    Bisognerebbe mettere insieme le due misure, ovviamente, e questo sarebbe semplice se le rilevazioni nazionali dell'inflazione in Europa fossero state corrette. Invece non lo sono state, e la prova è nel fatto che nelle statistiche nazionali italiane un simile "dente" non mi sembra si veda. Mi rendo conto che l'impiego di due misure diverse per lo stesso fenomeno può creare confusione, ma è finalizzato a esplorare due dimensioni diverse, e comunque, ai fini dell'analisi degli squilibri regionali dell'eurozona, la figura più importante è la 1.

    Questo risponde anche alla domanda del piccolo padre, che spero sia provocatoria: amico, se fai la spesa, se vai al ristorante, se vivi in questo splendido paese, sai bene che, con eccezioni in genere scarsamente rilevanti nella vita di tutti i giorni, il tasso ufficiale non è stato applicato, per il semplice motivo che fare le divisioni è difficile. Quindi la margherita (pizza) è passata da 6000 lire a 6 euro. Se ti è capitato di pagarla 3.09 euro ti prego, esibisci lo scontrino. Io li conservo tutti...

    Naturalmente questo è un punto molto delicato, che necessiterebbe di molti approfondimenti, e che è ovviamente aperto ad altre interpretazioni. Del resto, anche in Germania lo hanno chiamato "Teuro", no? E se lo scopo era tagliare i salari reali...

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  13. E' interessante come il grafico sul tasso di disoccupazione si fermi al 2007, per dimostrare che la Germania sta peggio di noi :-)
    A parte le battute, è evidente che gli effetti delle riforme si vedono dopo un po' di tempo, e infatti dopo un paio di anni il tasso di disoccupazione in Germania comincia a diminuire, e ha continuato a farlo anche durante la crisi, e per questo il grafico è stato opportunamente tagliato. Per questo l'Italia è destinata al declino: perché pensando solo al presente, non vogliamo le riforme, e quindi stiamo sempre peggio come la rana bollita.

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  14. Capisco che tu non voglia metterci la faccia, caro anonimo. Io non devo proprio dimostrare nulla! I grafici si fermano al 2007 perché il mio intento era studiare la genesi della crisi, cioè, per dirla con le tue parole, il modo in cui la Germania fa le riforme.

    Fare riforme a spese dei partner non è il modo migliore di dimostrare capacità di leadership. Ma questa cosa, che molti tedeschi capiscono, non posso chiedere di capirla a te. Come non posso chiederti di capire cosa c'è dietro al miracolo tedesco degli ultimi anni:

    http://www.voxeu.org/index.php?q=node/7200

    Se ti sembro scorretto io, ti sembreranno corretti quelli che ti dicono che l'euro ci ha salvato da un default argentino e ci serve per fare le riforme. A proposito: quali?

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    1. L'anonimo è un cazzone perchè il tasso di disoccupazione tedesco dopo è diminuito perchè sono aumentati quelli degli altri cioè perchè la germania era in surplus eccessivo e quindi la gente lavorava perchè compravano gli altri paesi.

      Però Prof. Bagnai i grafici non studiano per un bel niente la genesi della crisi perchè la crisi è stata innestata dall'esterno.

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  15. Veramente, complimenti prof. Un articolo degno di nota con dati e spiegazioni di rilievo. Dubito che arriveremo mai ad avere giornalisti che trattino argomenti in questo modo, per fortuna che possiamo usufruire di questi blog. Tralasciando per un attimo le "mosse" tedesche riguardo il mercato del lavoro, a mio avviso noi abbiamo un estremo bisogno di dare una ristrutturata al nostro perche' a partire dai contratti c'e' un "groviglio" da cominciare a scardinare per cercare di recuperare qualcosina. In primis quindi parlo di semplificazione, non crede? Continui cosi' :D

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  16. Anch'io gradirei una risposta dell'anonimo alla domanda 'quali?'. Qui non facciamo altro che far riforme, una dietro l'altra, e continuano a dirci che dobbiamo far riforme. D'accordissimo, ma le vorrei di segno opposto a quelle fatte fino ad ora, visti gli esiti delle stesse: non hanno risolto i nostri problemi, anzi verosimilmente li hanno creati, o quantomeno aggravati.

    Claudio

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  17. Caro Professore,

    cosa ne pensa dell'adozione della Tobin Tax a 3 (Germania, Italia e Francia) con l' esclusione della Gb? Cameron ha detto espressamente di non adottarla a meno che non la adottino tutti i paesi in tutto il mondo. Teoricamente non sbaglia, in quanto la Svezia quando la adottò sperimentò una pericolosa fuga di capitali dal paese.

    Crede che Cameron stia facendo gli interessi del proprio paese (ossia dei lavoratori) allontanandosi dall' Europa oppure che stia facendo gli interessi della City? Poichè non conosco la risposta a questa domanda volevo chiederlo a lei, che se ne intenderà sicuramente più di me.

    Carlo.

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  18. Le ho inviato l'articolo del Prof. Brancaccio. Buona Vita, Alessandra

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  19. http://www.altramente.info/archivio/8-articoli/290-germania-quante-bugie.html

    Sottolineo i circa 7,5 milioni di tedeschi che hanno minijobs, con uno stipendio massimo di ben 400 euro al mese......

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  20. Sempre a proposito di Germania io invece segnalo questo.

    http://it.finance.yahoo.com/notizie/germania-bara-sui-conti-pubblici-151000295.html

    Non so se le cose scritte sono vere, ma se lo fossero mi sembra strano che nessuno ne parli.

    Luciano

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  21. Non so se sia la verità, ma ho letto che in Germania esista una sorta di articolo 18, per cui sarebbe impossibile licenziare senza giusta causa. Se è vero, a quali lavoratori si applica? Anche lì esiste un dualismo nel mercato del lavoro?

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  22. Ho accontentato l'anonimo delle 9:54 completando la Fig. 3. Veramente non mi ero nemmeno accorto della differenza temporale nei campioni. Come vedete, non c'è nulla di particolare da nascondere. Le "riforme" alla tedesca si fanno con la disoccupazione: questo era il punto, e questo rimane nei dati. I benefici successivi dei quali si blatera vanno letti alla luce di questo articolo:

    http://www.voxeu.org/index.php?q=node/7200

    Ma il vero punto rimane quello politico, che ho accennato nella risposta al nostro simpatico ospite (nel deserto l'ospitalità è sacra).

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  23. @All

    Letto Brancaccio. Effettivamente è strano che a novembre non si rendesse conto del fatto che lo sconto era già stato applicato via crollo dei valori di borsa. Sergio aveva letto bene, e Brancaccio meno bene.

    La proposta è corretta, ma debole. Da un lato è chiaro che quello che alla Germania fa paura non è tanto il danno emergente (perdite negli attivi delle loro istituzioni finanziarie se ci sono default o svalutazioni), quanto il lucro cessante (impossibilità di investire i 1000 miliardi di dollari lucrati in 10 anni acquistando imprese in giro per la periferia). Questo Brancaccio lo vede molto bene.

    Dall'altro, non credo che la minaccia di una uscita dall'Unione sarebbe risolutiva.

    Il fatto è che, come dice Leonardo "le minacce sono l'armi dell'amminacciato", e come dice Machiavelli "li inimici si debbono vezzeggiare o spegnere, perché li omini si vendicano delle leggeri offese, delle gravi non ponno" (cito a memoria, correggete pure l'ortografia).

    In altre parole, la minaccia migliore rimane uscire dall'Unione (perché restando dentro non potremmo impedire lo shopping).

    Eh sì, una volta in Italia c'erano menti politiche! Ma nemmeno loro sono riuscite a salvarci da francesi, spagnoli, austriaci, tedeschi... ecc.

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    Risposte
    1. "Niuna altra cosa le minacce essere, che arme del minacciato", è Boccaccio, Decam., 8, VII, prima che Leonardo.

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    2. Grazie, me l'ero perso. Il concetto è antico quanto il mondo, Celso ne troverà esempi in Tucidide, ne sono certo.

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  24. @Carlo

    Bella domanda, ma non so rispondere. Non è detto che gli interessi della City e quelli dei lavoratori siano sempre divergenti. Sganciarsi dall'euro credo stia facendo bene a entrambi. Ma è chiaro che la questione andrebbe approfondita.

    Tuttavia, intorno alla Tobin tax sento puzza di demagogia. I movimenti di capitale si controllano controllando i movimenti di capitale. Questa è una tautologia, ma non è demagogia, e alla fine dovremo arrivarci (anche se finora solo Brancaccio, da queste parti, sembra rendersene conto!).

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  25. A propositi di Tobin Tax, tempo fà partecipai al convegno di Buiter alla Sapienza - che lei citava in un articolo precedente - e a fine seminario le ho rivolto la seguente domanda:

    "Do you think that the Tobin Tax could be the right policy to stabilize the globalised financial system?", la risposta fù la seguente: "It's good for more earnings, but non to stabilize the financial system".

    Quanto pensa che la risposta di Buiter fosse influenzata dal suo ruolo di Chief Economist a Citygroup? E cosa ne pensa lei?

    E' utile a stabilizzare il sistema finanziario? Oppure ci vogliono misure ulteriori quali restrizioni forzose sul mercato dei capitali?

    Carlo.

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  26. Caro Professore,
    leggo regolarmente (non da molto purtroppo) i suoi post che trovo interessanti perché costruiti su dati chiari (da economista), ma redatti con una simpatica vena satirica.
    Relativamente a questo utlimo devo segnalare il mio disaccordo sulle conclusioni che trae dai dati che presenta.
    Ma davvero lei ritiene che i tedeschi ci spingono a perseguire la strada che loro hanno intrapreso diversi anni fa (moderazione salariale e flessibilità dei fatori produttivi)per poter poi comperare le ns migliori aziende?
    Può anche darsi che alcuni di loro (penso, ovviamente ai referenti politici degli industriali) abbiano queste mire, ma la richiesta di "fare prima i compiti a casa" ce la ripetono tutte le volte che economisti, politici e opinion leadres dei paesi periferici invocano il loro intervento per essere aiutaio dalle difficoltà in cui i mercati finanziari stanno mettendo i loro paesi.
    E mettendosi nei loro panni, siamo così certi che anche noi non chiederemmo le stesse identiche cose, dopo che per anni abbiamo lavorato per far aumentare la competitività comprimendo spesa pubblica improduttiva, tagliando benefit e privilegi delle strutture pubbliche per ridurre il cuneo fiscale e con esso il costo del lavoro?
    Ma del resto professore, quale altra via abbiamo oggi noi Italia, anche uscendo dall'Euro e svalutando, per recuperare , in modo duraturo la competitività.
    Grazie in anticipo per le risposte che vorrà darmi
    Con stima
    Roberto Boschi.

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  27. (Una pura curiosità: che programma usi per fare i grafici?)

    Claudio

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  28. @Anonimo su Boldrin

    Ma caro, anche Boldrin è un professore! Per dirtela tutta, una parte delle sue critiche erano venute in mente anche a me, a una prima lettura dell'articolo di Clericetti. Bisognerebbe entrare nei dettagli del loro dibattito, e sinceramente non ho tempo. Ognuno avrà la sua verità. Il fatto è che la Bce, che ha sede a Lisbona... no, scusate, casualmente a Francoforte, sta chiedendo la stessa cosa a tutte le economie periferiche.

    Quindi, a prescindere dall'interesse degli imprenditori periferici, sicuramente questa cosa interessa agli imprenditori centrali. E quindi o questi si vogliono dare la zappa sui piedi, spingendoci a essere competitivi con loro, o la mia spiegazione è quella giusta.

    Del resto, dopo la crisi del 1992 successe la stessa cosa.

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  29. Sono l'anonimo dell 9.54. Non ci ho messo la faccia, come dici tu, perché altrimenti avresti cominciato a insultare me, il mio nome, il mio sesso o i miei avi, invece che rispondere nel merito, come è avvenuto (insultare un anonimo non produce risultati apprezzabili).
    Comunque se mi consenti la tua risposta mi sembra un po' il gioco delle tre carte: prima dicevi in sostanza che le riforme tedesche sono state inefficaci e hanno prodotto disoccupazione, mentre ora dici che hanno funzionato ma a scapito dei partner europei.
    Ma questo è un discorso diverso. Loro (i tedeschi) potrebbero rispondere dicendo che ciò è avvenuto perché noi (i partner europei) le riforme non le abbiamo fatte.

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  30. Caro anonimo,

    sei un abile lettore nel pensiero: sì, in effetti, come avrai constatato, io insulto tutti i miei critici. Sei quindi tanto più magnanimo a cercare il dialogo con un simile teppista. Il Signore te ne renderà merito. E sei anche molto abile nel dissimularti. In effetti non capisco perché non si possa insultare un anonimo, ma va bene così, tanto... non volevo farlo!

    In compenso, però, sei un pessimo lettore di articoli.

    Capisco che segui da poco questo blog, che probabilmente non ti interessa: quindi non seguirlo, tieniti care le tue certezze, che in questo periodo sono merce rara. Se invece seguirlo ti interessasse, sapresti che io mi limito a ripetere quello che fuori dalla nostra provincia tutti dicono: cioè che la Germania ha favorito l'affermazione dell'euro per crescere alle spalle dei suoi partner.

    Questo è illustrato con dati in questo post e in questo post, e nei documenti ivi citati.

    Quindi nessun gioco delle tre carte. Non ho detto che le riforme tedesche sono state inefficaci. Ho detto che le "riforme" tedesche consistono nel fottere i partner. E la richiesta che ci viene fatta non è di "riformare", ma di arrenderci, in buona sostanza.

    Naturalmente tu spieghi il rimbalzo della disoccupazione che vedi nel grafico come effetto delle riforme. Dovresti allora, come si fa in una discussione scientifica, portare un qualche modello a sostegno della tua tesi, un modello che non fosse un manifesto ideologico del tipo "Stato brutto-riforme bello".

    Perché quello che si vede nel grafico, in realtà, ha una banale spiegazione macroeconomica, che con le riforma ha pochissimo a che vedere. Se faccio dumping per spingere le esportazioni, e quindi cresco, ovviamente la disoccupazione diminuisce.

    Ma se pensi a quanto la Germania cresce più di noi, la sua disoccupazione ti dovrebbe sembrare alta (legge di Okun, hai presente)?

    Capisco che tu hai un paradigma "supply side": la crescita per te è un fatto di offerta. Io ho un paradigma post-keynesiano, e quindi per me la crescita è anche un fatto di domanda. Con una pubblica amministrazione efficientissima, massima flessibilità, liberalizzazione di tutto (tranne che delle mamme e delle sorelle), le imprese comunque non crescerebbero e non farebbero investimenti se non avessero mercati di sbocco. E avere un cambio sopravvalutato "pro domo teutonica" non è il miglior viatico verso i mercati internazionali.

    Puoi capirlo o non capirlo, ma è così: l'imprenditore non produce se non sa a chi venderà. E all'estero non vendi se costi troppo.

    Mi dispiace averti deluso: questo blog non è come gli altri che frequenti. Qui non si insulta nessuno, nemmeno chi interviene in modo sterilmente polemico con paraocchi ideologici (ti sto facendo un complimento, non un insulto).

    E il motivo è che non sono uno sfigato che cerca il suo angoletto di Hyde Park per vomitare il proprio dissenso, ma una persona che fa ricerca professionalmente, ed è interessata alla divulgazione.

    Non so se mi capisci, ma sono sicuro che se volessi farlo, ci riusciresti. Vai a vedere quante pubblicazioni impattate hanno i gestori dei tuoi blog. Qualcuno ne ha di più (es.: Boldrin), e molti per niente (e qui gli esempi non si fanno).

    Grazie comunque per lo stimolo interessante, sul quale lavorerò. Hai letto l'articolo di Burda? Che ne pensi? Perché prima di darti altre risposte, vorrei capire se anche tu vuoi capire, o se hai già capito.

    Perché se hai già capito, allora inutile che io ti risponda.

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  31. Propongo al padrone di casa di escludere dalla discussione chi utilizza la locuzione "fare le riforme". Manteniamo almeno qui un pò di garbo e signorilità.

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  32. Sinite parvulos venire ad me.

    Apprezzo l'ironia, ma siccome le controparti non credo abbiano strumenti per apprezzarla, sarà meglio riservarla ai nostri scambi.

    A me in realtà interessa capire quale meccanismo di trasmissione fra "riforme" e "crescita" immaginano certi personaggi (e mi riferisco a Monti, ma anche ai piddini, ma anche all'anonimo). In quale libro sta scritto, in quali dati si vede, in quale mondo si è mai verificato?

    Quindi accettiamo anche la locuzione oscena "fare le riforme", accompagnata però dalla spiegazione di quali riforme, con quale progetto politico, e con quale meccanismo di trasmissione ai fondamentali macroeconomici.

    Supply-siders di tutto il mondo, unitevi, e fateci capire!

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  35. Cosa aggiungere, se non "grazie di esistere"?

    E comunque, per tornare sempre all'albero, vedi come in questo dibattito alla fine ci si riduce al solito scontro fra "supply-side" e "demand-side".

    Il che rende il dibattito ancora più assurdo, perché perfino nei testi dei "Chicago boys" alla Mankiw sta scritto che in recessione è meglio pensare alla domanda, e perfino Solow ci dice che le riforme strutturali è meglio farle in condizioni di ciclo normali o espansive ed è comunque sbagliato farle in recessione.

    Quindi certi atteggiamenti, mi duole molto dirlo, e non vorrei venisse preso per un insulto, possono essere giustificati solo da ignoranza o da cattiva fede. Preferirei la cattiva fede, come segno di intelligenza e di visione politica (opposta alla mia, ma sempre meglio una visione che una non visione)!

    I maestri del "pensiero" di certi anonimi la pensano esattamente come noi! La cosa ha dell'incredibile (per alcuni anonimi), ma non per chi fa ricerca o semplicemente si documenta in una dimensione internazionale.

    Basta poco, che ce vo'!

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  36. @Roberto Boschi

    Caro Roberto,

    in questa fase ciclica le riforme proposte sono un nonsense economico, e lo sarebbero probabilmente anche in condizioni migliori, per i motivi che sviluppo nel post e nei post precedenti (che comunque può leggere, anche se mi conosce da poco).

    Io dico sempre che questa crisi è un film già visto. Coincide con la crisi del 1992 fotogramma per fotogramma. E in fondo alla bobina ci fu una serie di privatizzazioni/svendite, dopo le quali ci trovammo con lo stesso debito e privi del controllo di infrastrutture strategiche.

    Succederà anche questa volta, solo che sarà peggio.

    Ripeto anche a lei, che mi legge da poco, che non sto dicendo che l'unica via è la svalutazione e che occorre solo svalutare.

    Ad esempio, ho appunto detto in questo post che l'iniquità italiana, facendo gravare un peso insostenibile sul costo del lavoro dipendente, è uno dei fattori di scarsa competitività.

    Ma lei conosce una singola forza politica che abbia voluto portare un minimo di equità fiscale in Italia? E ne conosce una che, se volesse, potrebbe farlo abbastanza in fretta da toglierci dai guai?

    Quindi bisogna distinguere il breve dal medio periodo, e non limitarsi a fare nel breve quello che può forse essere efficace solo nel lungo.

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  37. Sono sempre l'anonimo delle 9.54. Mi dispiace ma so leggere l'italiano, e nel post, dopo un grafico mozzato al 2007 che poteva far credere che la disoccupazione in Germania sia elevata, è scritto: "Vedi come decolla la disoccupazione nel 2003, l'anno che Berger indica come anno della "riscossa", delle "riforme" tedesche?"). Ora invece, dopo che il grafico è stato corretto (e in ciò riconosco dell'onestà intellettuale), si dice che le riforme sono state fatte approfittando della disoccupazione, e in ciò starebbe il nucleo della perfidia teutonica. Quindi: nel 2003 la Germania ha fatto delle riforme ponendosi lo scopo di ridurre la disoccupazione, nel medio periodo ci è riuscita (mi si chiede di portare la prova, ma non serve, se volete credere che è stato un caso, un colpo di fortuna, fare pure), e quindi è cattiva. Altri non le hanno fatte, si sono ritrovati meno competitivi e conseguentemente in deficit commerciale, e quindi sono delle povere vittime innocenti. Che vi devo dire, ciascuno la pensi come vuole, l'importante però è non travisare i fatti.
    Tra i fatti vi è il livello comunque ancora elevato dei salari tedeschi, e il livello comunque ancora generoso dello stato sociale tedesco. Quindi non mi pare si sia fatta macelleria sociale. L'accusa di dumping è anch'essa infondata perché non mi pare che le merci tedesche costino poco. Sono semplicemente apprezzate per la loro qualità. Sarà anche questo un difetto?
    Sì, l'articolo di Burda l'ho letto, e non mi pare dica chissà che, anzi tra le altre cose dice: "we show that if wages had continued rising at the pace of the 1990s (1.12 log points per year), employment would have declined much more in the recession". Quindi la moderazione salariale (che non è macelleria sociale, se si parte da salari elevati, non scherziamo) ha funzionato.
    Detto ciò, non faccio parte della scuola supply-side, non ho detto che basta produrre e fregarsene della domanda, ma è ridicolo accusare la Germania per aver fatto le riforme nel 2003, di tutti i problemi che ci sono adesso nei Paesi dell'Euro.
    Per questo non condivido l'analisi a posteriori per cui la Germania avendo tratto vantaggio dall'Euro più di altri Paesi, sarebbe da biasimare. Le regole erano chiare per tutti già prima. Se io te giochiamo a scacchi e io vinco, dopo non puoi prendertela cone me (o con gli scacchi). Alla fine Alberto hai ragione quando dici che "il vero punto rimane quello politico", ma appunto questo vuol dire che non sono i dati o le analisi scientifiche a dimostrare qualcosa sulla cattiveria della Germania o sull'inutilità dell'Euro, ma tutto dipende soltanto dal (legittimo) punto di vista da cui si osservano le cose. Probabilmente a te non piace l'economia capitalistica nel suo complesso, quindi avresti da ridire comunque, anche se domani la Merkel regalasse mille miliardi ai Piigs.

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  38. Lo scopo dichiarato delle riforme tedesche, fin dal secondo dopoguerra, è quello di effettuare deflazioni competitive per battere la concorrenza, che poi saremmo noi (perché con la Cina la Germania sta messa male).

    Se lo scopo fosse far star bene la popolazione, allora perché non accettare semplicemente che il cambio nominale si rivaluti? Una moneta più forte è un guadagno in conto capitale per i cittadini. Ma nonostante le svalutazioni siano turpi, stranamente la Germania si è messa in un sistema in cui non può rivalutare.

    Questo non lo dico solo io. E quindi le tue continue allusioni alla mia disonestà intellettuale sono controproducenti, te lo dico con serenità: fanno capire molto più che tipo sei te, che come lavoro io!

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  39. E ribadisco che sono un economista assolutamente ortodosso, come la mia produzione scientifica dimostra. La critica al capitalismo c'entra poco. La volontà di sopraffare il prossimo, e il diritto di difendersi, esistono anche in un'economia di baratto.

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  40. Aggiungo (interrotto da una radio) che le regole erano chiare ma sbagliate, a detta di economisti come Krugman, Buiter, Roubini, Feldstein, ecc. (tutte persone che ne sanno meno di te, lo ammetto), e che la Germania le ha violate per prima e continua a farlo (hai seguito le aste dei Bund)?

    Comunque, auguro a tutti noi di vedere come andrà a finire. Ci vorrà poco. E con la tua onestà intellettuale sono certo che saprai ragionare serenamente sui fatti.

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  41. La parola riforma ha dei risvolti semantici evolutivi impliciti. Si potrebbe usare al suo posto ciò di cui esattamente si parla? Nello specifico si potrebbe dire ..."la Germania nel 2003 ha attuato una politica di moderazione salariale...al posto di "la germania nel 2003 ha fatto le riforme..."? Il contenuto del pensiero di Anonimo delle 9,54 non cambierebbe certo ma avremmo mantenuto questo luogo virtuale, almeno questo, indenne da certo turpiloquio.

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  42. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  43. Bravo Sergio. Io pensavo di essere stato chiaro, per una volta sei stato più chiaro di me, ma tornando all'"albero" è evidente che chi non vuole capire non capisce, ed è suo diritto.

    Questo si sposa anche con l'osservazione di Massimo Ciuffini. Sarebbe buona grazia, invece di ripetere la solita solfa ("fare le riforme, fare le riforme"), che si sposa con la solfa di Tabellini ("debito sovrano, debito sovrano") dire cosa si vuole fare. Ma quando si arriva a questo punto, gli anonimi e i nomi illustri si dileguano, o tirano fuori la solita cazzata che prendendosela coi tassisti l'economia rifiorirebbe.

    Non se ne può più. Si capisce benissimo l'insofferenza di Mario Nuti contro la non-parola "riforme" (nonostante lui sia un feroce difensore dell'euro).

    Preciso che questo blog è aperto a tutti, e soprattutto a chi è contrario, e a chi non sa l'economia. Tuttavia, chi la sa, o pretende di saperla, dovrebbe ricordarsi dal primo semestre di studi universitari che le funzioni di domanda sono omogenee di grado zero nei prezzi, il che significa che quello che conta non è il livello del prezzo in un paese ("le merci tedesche costano molto"), ma il rapporto fra i prezzi dei partner commerciali. Si chiama tasso di cambio reale, se qualcuno se lo ricorda o vuole studiarselo.

    Preciso che c'è poco da capire: basta guardare i dati. La Fig. 2 di questo post mi sembra abbastanza eloquente. Tanto più si è apprezzato il tasso di cambio reale (cioè tanto più un paese ha accumulato inflazione rispetto alla Germania), tanto più il suo indebitamento estero è andato aumentando. Occorrono spiegazioni? Chiedetele. Ma non ripetete "riforme, riforme, riforme...", o almeno non qui. Chi continua con questa solfa è oggettivamente complice della svendita, e la cosa più triste è che spesso non ci guadagna nemmeno nulla!

    NESSUNO DICE CHE L'ITALIA NON DEBBA CAMBIARE. NESSUNO DICE CHE L'UNICA COSA DA FARE SIA SVALUTARE E PRENDERSELA CON LA GERMANIA. MA QUALCUNO HA STUDIATO ECONOMIA E SA CHE I PROBLEMI VANNO GRADUATI, E CHE LE ZONE VALUTARIE SI REGGONO SE CI SONO COMPORTAMENTI COERENTI DI TUTTI, E NON L'INFANTILE ATTEGGIARSI A "PRIMO DELLA CLASSE" DI UN PAESE CHE, COME NOI, E' SULL'ORLO DEL COLLASSO.

    Il tuo punto (1) indica che è chiarissimo perfino a livello delle istituzioni europee che sarebbe necessario un coordinamento CON ATTEGGIAMENTO COOPERATIVO DA PARTE DELLA GERMANIA, ma, guarda caso, nessuno vuole saperne di applicare i provvedimenti tecnici che lo renderebbero necessario (es.: limiti all'indebitamento/surplus estero, o clausole della valuta scarsa, ecc.). E questo perché le regole le fa chi sta approfittando della situazione. I cittadini tedeschi trarrebbero benefici da politiche fiscali espansive, e in generale da un apprezzamento reale della Germania. Ma il governo tedesco non le fa perché gli imprenditori tedeschi vogliono comprarsi l'Europa.

    A questo punto chi ha capito ha capito, e chi non ha capito capirà. Da aggiungere, in termini di economia, non c'è molto altro.

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  44. E... bravo per il riferimento al vero problema (finanziare la riunificazione). Nel mio ultimo articolo, che sta per uscire e vi segnalerò, parlo anche di questo. La Germania ha dilapidato tutti i suoi attivi netti esteri per finanziare la riunificazione. Ma quando stava per indebitarsi, casualmente, è scattato l'euro... e l'ha tirata fuori dai guai...

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  45. ...e (ultima cosa, in partenza per Pescara con un freddo boia), nonostante io apprezzi gli inviti alla moderazione (ne faccio spesso), e anche se poi spesso non pratico quello che predico, però voglio farti notare che io ritengo di essere stato abbastanza moderato!

    Io non so cosa venda questo signore che non ha né il coraggio di dire chi è, né la fantasia per inventarsi uno pseudonimo spiritoso. Quello che so è che se entrassi nel suo negozio, la prima cosa che farei non sarebbe dire che la bilancia è truccata!

    Che è quello che ha fatto lui.

    Per cui i suoi riconoscimenti di onestà intellettuale me li appendo fra le tombe etrusche e i quadri del Tintoretto (per chi conosce il cinema italiano), e mi accontento di quelli che ho avuto dai referee delle riviste internazionali.

    Moderazione sì, ma anche capire un minimo a chi si parla...

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  46. Caro prof.,
    non mi aspettavo che si facesse coinvolgere così tanto dagli anonimi provocatori. Tale fatto conferma il suo modo sanguigno di affrontare i dibattiti. Non ha per caso un AVO siciliano? Comunque un mio amico molto più saggio di me (e anche meno sanguigno), in occasione di un mio rifiuto di parlare con un intellettuale che non ritenevo tale, mi suggerì di affrontarlo lo stesso perché il dibattito con le persone ritenute culturalmente cieche o di ideologie opposte aiuta ad allenarsi per affrontare meglio il nemico. Buon viaggio.

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  47. Buoni!

    Intuivo, dallo stile e dagli argomenti, che potesse essere la stessa persona. Un po' strana allora, e forse effettivamente provocatoria, la sua paura di essere vilipeso, visto che qui è stato trattato civilmente (fino a stasera).

    Ma in fondo che differenza fa che sia un anonimo, o che sia Ermes? Un anonimo non si sa chi sia... e qualcuno sa chi sia Ermes?

    Non capisco i vostri inviti a rifiutare il confronto. Potrei moderare i commenti. Non voglio farlo e, per favore, non mi ci costringete voi. Inutile far atteggiare a martire il troll. Tra l'altro, negli interventi di Ermes c'erano delle contraddizioni esilaranti, che dimostravano totale ignoranza del funzionamento di un'economia di mercato. Ma non mi sembrava cortese farlo notare.

    Povertà non è vergogna. Non voglio censurare nessuno, ripeto. Gli Ermes sono i migliori propagandisti della morte dell'euro. Fidatevi e fateci due risate.

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  48. E facciamo esibire a ognuno le sue qualità!

    Perché dovremmo temere una persona che non ha argomenti, non è particolarmente urbana, e ha paura di mostrarsi? Chiunque vorrebbe avere avversari di questa qualità!

    Vi esorto quindi a non trascendere. Chi lo fa cade nel tranello e ci fa cadere, purtroppo, anche me, che quindi devo prendere provvedimenti mio malgrado.

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  49. Su questo blog sono accettati e gelosamente custoditi solo insulti all'autore, che non è solito porgere l'altra guancia. Insulti a terze parti verranno eliminati. Spero nella vostra comprensione.

    RispondiElimina
  50. Caro anonimo, auspicare una concorrenza tra gli Stati dell' Unione Europea (per inseguire la Germania), non significherebbe, in ultima analisi, favorire una guerra commerciale intra-europea? Considerando che non vi siano mercati di sbocco (in europa) pronti ad assorbire le merci tedesche, non credo vi siano alternative ad una prospettiva bellica.

    Spero in una sua redenzione tempestiva, che si allontani il più possibile dal verbo alesino-perottiano.

    Carlo

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  51. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  52. Mitico il trollone! Grazie! Ora ho le idee ancorà più chiare!

    Comunque è chiaro che nel sito della Goofynomics, il nostro, che deve essere un teorico della scala di Penrose

    http://sp8.fotolog.com/photo/40/49/20/daryoh/1253732389546_f.jpg

    e delle sue applicazioni

    http://www.marianotomatis.it/blog/images/20101007c.jpg

    non poteva che trovare pane per i suoi denti dal nostro Ivan Karamazov/Bagnai

    Try it again SAM!

    Ciao

    Alex

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  53. E certo che è questo, caro Sergio!

    http://voxeu.org/index.php?q=node/5176

    Non mi dire che te lo eri perso! Ma allora ti cucchi solo il lato triste della scienza triste...

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  54. Scherzi a parte: ho paura di avergliela tirata a Unicredit! Sarà ancora italiana lunedì? Gufinomics...

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  55. @Sergio Polini

    Esattamente, intendevo proprio quello! Non riesco a capire come faccia uno "studioso" di economia a dire:

    "But is it Germany’s fault if it became more competitive? And is it reasonable to ask the Germans to carry the burden of a country like Spain that has based its economic development in the past 15 years on construction – the un-competitive sector par excellence? Or of a country like Greece with its retirement at age 53, fake budgets, etc?"

    Tutto ciò è grave. Un economista serio cercherebbe di capire quali meccanismi avrebbero determinato un mal funzionamento del sistema, loro invece risolvono gli articoli con i cori da stadio: Evviva la Germania, seguiamo il loro esempio! Rimango allibito.

    Carlo

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  56. Ripeto: "economista", come "musicista", non vuol dire niente. Alesina è un virtuoso di scacciapensieri. Non gli farei suonare l'op. 110. Unicuique suum.

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  57. comunque mi spiace di non concordare con alberto bagnai sulla gestione dei disturbatori : il punto non è che dobbiamo avere paura o avere qualche altro tipo di reazione(semmai fa paura che molti dirigenti del pd ragionino a quel modo) , il punto è che sono dannosi qualora perseverino nell'occupare spazio&tempo .
    (immaginamo questa sia una lezione , la lezione è sua ma il disturbatore danneggia tutti ; nella misura in cui decidiamo di non trasformare la lezione in una metalezione sul significato del
    perturbamento il disturbatore andrebbe allontanato , capisco non sia esteticamente nelle corde bagnaiaesche ma diversamente si dannaggiano tutti gli altri)

    quanto al trascendere non pare fosse stato il caso :avevo suggerito un caveat
    avevo provato volutamento un cambiamento di tono piu' consono al livello del suo affezionato ...bisogna sapersi anche abbassare
    nei modi e nei toni per farsi capire ...
    se devo curare un raffreddore non mi preoccupo
    certo ma faccio in modo che i sintomi passino velocemente , che non si riprensenti e non si cronicizzi .Questo per eplicitare perchè in fondo la musica barocca posso anche apprezzarla ma sono piu' per frank zappa...
    ps: non voglio derivare oltre il lecito ritorniamo in tema...
    ps2: il mio sogno in realta' è che si presenti emma marcegaglia a dirci : eh no bagnai a noi l'euro fa comodo altroche' ! quella sarebbe una provocazione interessante perchè da quello che conosco molti degli industriali non si rendono conto dei rischi che lo schema dell'eurozona predispone anche per loro

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  59. In Europa siete in due a pensare che il "direttorio" sia franco-tedesco: uno sei tu, e l'altro è Sarkozy.

    Per il resto, le tue considerazioni mi sembrano come sempre informate e corrette.

    Rispondo alla tua domanda: la "pressione" francese trae verosimilmente origine dai surplus accumulati durante gli anni '90, che l'hanno portata da avere un debito estero netto di 11 punti di Pil nel 1991 a un credito estero netto di 13 punti nel 2001 (un miglioramento di 24 punti). Da allora la situazione è andata peggiorando (la fonte è sempre l'EWN database di Milesi-Ferretti e Lane).

    Per la Francia entrare nell'euro è stato un suicidio, ma dei soldi da parte ce li avevano (grazie anche alla svalutazione del 1993), e li hanno investiti bene, in un paese che vale molto, il nostro.

    Quindi... natura non facit saltus!

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  61. Roberto Boschi
    Grazie professore della risposta che condivido quasi totalmente.
    In particolare concordo sul fatto che una unione monetaria non regge se non ci sono comportamenti cooperativi fra i vari stati.
    L'altra considerazione che mi trova concorde è quella realtiva ai due tempi: molto difficile e forse anche pericoloso per la spirale recessiva che può innescare fare riforme "lato offerta" in un momento come questo.
    Lato Italia e in cooperazione cn l'Europa c'è assoluto bisogno di sostenere la domanda utilizzando gli strumenti tipicamente keynesiani, in particolare la spesa pubblica per investimenti (visto che la leva monetaria è in piena autonomia della BCE che, mi sembra, stia facendo del suo meglio all'interno degli stretti vincoli posti dal suo mandato).
    Comportamenti cooperativi richiedono che i paesi in surlups commerciali mettano in atto provvediemnti che stimolino i consumi e con essi il riequilibrio dei conti.
    Però, anche facendo tutto questo, vogliamo, noi Italia, provare a riconquistare un pò di competitività?
    Non penso solo al mero costo del lavoro espresso dal lordo in busta paga+ oneri prev, ma a tutti i costi occulti che un paese poco efficiente nella pubblica amministrazione, chiuso nelle caste dei professionisti protetti, in perenne affanno nella giustizia civile, scarica, volente o nolente, su chi fa impresa.
    Ho volutamente citato l'ultimo aggiornamento della survey annuale della Banca mondiale sulle condizioni ambinateli per "fare Business" perché mi sembra che riassuma perfettamente lo stato di difficoltà che stanno vivendo le ns imprese rispetto a quelle di altri ben più efficienti Paesi (fra cui la Germania).
    Ecco, questa parte della ricetta quando la si deve affrontare?
    Non subito perché abbiamo l'acqua alla gola.... e va bene, ma se non si prende questo toro per le corna la vedo dura ricominciare a crescere!
    Grazie
    Roberto

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  62. @Roberto

    Ma io sono assolutamente d'accordo con lei e in generale sono perfettamente in sintonia quando il discorso delle riforme viene fatto con sincerità e costruttività. Quando viene utilizzato come espediente retorico, per convincere la gente che privarsi di strumenti essenziali per la gestione della congiuntura economica è stata una scelta giusta e "neutrale" (rispetto alla distribuzione del reddito), allora non sono d'accordo.

    Anche perché ritengo che chi mente non voglia poi farle, le riforme. Lei si fida?

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  63. @Sergio

    Dopo aver fatto un'ottantina di esami(altrettante esperienze di vuoto torricelliano) come potrei "invidiarmi" (per dirla col Foscolo) il piacere di intrattenermi con uno al quale l'economia interessa?

    Allora: prima di entrare nel dettaglio (cosa che puoi fare tu meglio di me leggendoti il paper di Milesi-Ferretti e Lane), ti dico che ovviamente il flusso che alimenta la posizione netta sull'estero (stock) è l'accreditamento/indebitamento estero (saldo delle partite correnti). Non lo sapevi? Non ci posso credere! Sei quello delle foglie... ma non fino a questo punto! ;)

    Detto questo, spero che tu non mi stia dicendo che uno stock diminuisce se diminuisce (restando positivo) il flusso che lo alimenta!

    Se stabiliamo questo primo punto, poi parliamo delle varie incongruenze che rilevi... e così mi toccherà leggere l'articolo di Gian Maria, cosa che fino a oggi avevo accuratamente evitato di fare, perché non amo l'economia fino a questo punto. Ma per affetto verso di te farò questo sacrificio...

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  65. Sergio, che due palle! Ma vuoi spiegare a me che

    CA = X-M+RNE=S-I=D AFN?

    Cazzo! Ci costruisco un corso per gli studenti del secondo anno di economia aziendale! Mettiamola così: se il problema dei troll è che fanno perdere tempo agli altri, come sostiene Robert, allora ci stiamo trollizzando, perché non so quanto questo grado di dettaglio possa essere utile per gli altri. Ti assicuro che per me, come per chiunque si occupi di global imbalances e non sia amerikano, CA=S-I! Cosa vuol dire "parlando soli di estero"? Anche quando parli di risparmio parli di estero, perché il risparmio è il reddito che non consumi, e i consumi sono anche importazioni (giusto per fare un esempio).


    Dai, so che molti miei colleghi non ci sono ancora arrivati, ma se vuoi... puoi sempre chiedermi la tesi! Sai che risate...

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  66. In altre parole, per molti questo: "Mi viene da pensare che potrebbe essere utile considerare che l'accreditamento/indebitamento estero è anche, nella contabilità nazionale, il saldo del conto del capitale: risparmi più trasferimenti in conto capitale con l'estero, meno investimenti e acquisti di oggetti di valore e di attività non finanziarie non prodotte." è originale, per me è abbastanza ovvio. Il conto capitale ha generalmente un saldo trascurabile. Gli sfasamenti sono dovuti ad aggiustamenti di cambio, considerando che i flussi sono convertiti a tassi medi, e gli stock a tassi di fine periodo, e che anche la Francia ha avuto bei problemi negli anni '90... Chiaro, no? Comunque, la sfida è rendere questa roba appealing per il "grande pubblico". Ci proverò, ma cominciando dall'Italia.

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  67. Urge grafichetto per spiegare il saldo finanziaro dello stato ...( -a fatica - vi seguo , anche se non è la musica che preferisco...pero' in effetti sembra un po' troppo tecnico o almeno scriverlo in inglese che sembra piu' semplice o meno barocco...)

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  68. ^Rimane anche la domanda da un milione di dollari: se per la Francia entrare nell'euro è stato un suicidio, perché l'ha fatto?^

    che siano state le banche a volerlo?
    (considerate poi l'espansione commerciale delle
    colossi della distribuzione francese-non centra non l'euro in senso stretto pero'... , oltre che la acquisto delle case di moda banche l'aumento dell'influenza nella finanza...okay l'ha gia' detto alberto ^^)

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  70. Cioè ti ho fatto capire che il vero troll sono io, cosa che i miei studenti ben sanno.

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  71. Intanto grazie per questo articolo che attendevo da tempo!
    Ne è valsa la pena come usa dire.

    E grazie anche a Sergio sempre efficace negli interventi.

    Antonino

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    1. Sì, Sergio è praticamente coautore, quindi sottostà alla regola del blog, che è quella che gli autori possono essere insultati, i troll no... Ora non so cosa vorrete fare con me, essendo io sia l'uno che l'altro...

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  72. Condivido in toto l'analisi ma vorrei sottolineare il fatto che gli operai tedeschi in gran parte ...non sono tedeschi ma turchi o est-europei forse c'e' ancora qualche italiano che non ha ancora aperto una pessima pizzeria (le pizzerie in germania sono degli italiani e sono loro o i loro cuochi turchi a cucinare dei pessimi spaghetti) pertanto lo straniero dipendente fisso o mangia la minestra o se ne torna a casa sua dove stara' sicuramente peggio. Il fatto e' che la Germania fa concorrenza sleale (tutto sommato anche a se stessa) ed il trattamento riservato ai fannulloni pescatori e contadini greci (ma il fannullone vale per i moltissimi dipendenti statali di Atene presumo odiatissimi dagli altri greci come lo sono da noi i dipendenti dei ministeri romani) ricorda le "strafenspedition" della II e I g.m che poi alla fine si ritorsero tutte contro i teutonici.E la storia e' storia e si ripete sempre.
    Penso poi che se svalutazione ci sara' da parte della nuova lira questa sara del 40-50% non certo solo del 20% ma ci sono anche imprenditori italiani che sono andati all'estero e potrebbero rientrare prima o poi. Insomma l'esempio da seguire e' e resta l'Argentina. Vorrei poi segnalare il fatto che mentre si continua a parlare di spread tra bond italiani e tedeschi di fatto il mercato dei titoli pubblici e' totalmente cessato..nessuno vuole i titoli degli stati indebitati ma nemmeno nessuno compra i titoli dei paesi sedicenti "virtuosi" (tra cui non c'e' la Germania che trucca i conti) perche' danno dei rendimenti bassissimi se non addirittura negativi e comunque sono molto "cari". Di cosa si ciancia quindi sulla nostra stampa? di difficolta' a vendere i frigoriferi agli esquimesi? Comnunque da questo "cul de sac" dobbiamo uscire noi italiani dando un bel calcio nel sedere dei nostri tecnocrati-politici ed eurocrati a Bruxelles e Francoforte.

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    1. Benvenuto. Così, giusto per introdurti alle regole della casa, noi qui quando diciamo una cosa cerchiamo di argomentarla. In particolare, mi interessa la tua stima della svalutazione nominale che ci attenderebbe. Quale ragionamento fai per ottenerla?

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  73. Complimenti per l'articolo e per la solita precisione nel riferimento ai dati.
    Unico dubbio che continua a girarmi in testa è sostanzialmente come sia possibile che sia vera questa compressione dei salari tedeschi?! Ormai quasi ogni giorno si legge sui giornali non solo commenti del tutto contrari a quanto esposto, ma anche analisi dell'Istat e della Banca d'Italia che non fanno che dimostrare che i nostri salari non crescono da anni, che sono in media nettamente inferiori a quelli europei, insomma che siamo "mezze cartucce" da questo punto di vista. Le chiedo se secondo lei la spiegazione potrebbe essere una diversa interpretazione dei dati o variabili diverse nei modelli, rispetto a quelli da lei costruiti? (perchè le sue dimostrazioni sono impeccabili rispetto a qualche commento giornalistico, quindi presuppongo che loro cambino o tralascino qualcosa).

    Grazie,
    Claudio Vullo

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    1. Ah, ma lei proprio non vuole capire chi, o meglio cosa sono i giornalisti! Non le basta questo esempio? O questo?

      Capisco.

      Duro ammettere di essere stati presi in giro per decenni, difficile crederlo, e difficilissimo venire a patti col proprio orgoglio. Ma è così. I dati le dicono che è così (veda la Fig. 1 del post), e anche gli esponenti dell'establishment tedesco le dicono che è così: si legga questa intervista a Berger. Faccia poi lo sforzo di immaginare che la Germania non coincide con la Volkswagen (mi permetto di suggerirglielo perché questa, sulla base della mia esperienza, è veramente la cosa più difficile da capire per gli italiani). E per quanto riguarda la produttività, si legga, se ne ha voglia, questo.

      Dopo di che vedrà che io le offro un quadro coerente e supportato dai dati. I media le offrono menzogne. Tragga le sue conclusioni. Non sono poi così strane. L'informazione è un bene costoso (non sapete quanto costa a me informarvi!), e ovviamente è di chi se lo può permettere. I soldi per comprarla, l'informazione, oggi ce li hanno solo le banche. Buona lettura.

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  74. Sono parole sante, che sotto un altra dialettica ho sempre espresso e sono stato contemporaneamente deriso, ma la realtà è sempre stata figlia del tempo, come vediamo.

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  75. Mi scusi professore, ma sono in molti a ragionare in termini di parte politica, anche quando uno prova a postare i dati.

    http://www.finanzaonline.com/forum/arena-politica/1450167-berlusconi-distrugge-leuro-e-la-germania-12.html

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  76. Caro professore, dopo la lettura di questo articolo sono caduto in preda allo sconforto, ma comunque continui ad informarci, almeno sapremo che cosa ci riserva il futuro! Saluti e grazie

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  77. Oh, professó!
    Lo leggiamo da tempo.
    Personalmente sono argentina (argentino-italiana) quindi come potrá intuire lo trovo accuratissimo. Piacere.
    Come si dice da noi, "el conocimiento libera".

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  78. Caro Professore,
    per cominciare GRAZIE! per lo sforzo e lo stile con cui si oppone ai luoghi comuni della disinformazione italiana!

    La seguo da un paio di anni in maniera più o meno costante ed il suo blog è diventato un punto di riferimento per difendermi dalla violenza intellettuale a cui, su temi di economia, sono sottoposto anche, purtroppo, in famiglia!

    Non essendo un tecnico, per affrontare certi piddini in maniera argomentata vado a fare un po' di ripassino ogni tanto e oggi sono ritornato (per l'ennesima volta, lo so ho una memoria che fa schifo) qui.

    Detto questo ecco il motivo per cui le scrivo.

    Al punto 3 di "quello che mi cuggino non conosce" lei dice:

    "Se convertiamo i redditi unitari da lavoro dipendente (diciamo, il salario medio al lordo delle tasse) in una comune unità di misura, vediamo che a parità di potere d’acquisto i salari nominali tedeschi e italiani sono perfettamente allineati."

    Quello che non capisco ( e mi ci è voluto un po' per capire il concetto di parità di potere d'acquisto, se lo ho capito!) è perché confronta i salari al lordo delle tasse e non al netto, se poche righe prima anche lei parla dell'iniquità del cuneo fiscale?

    Riconosco di non essere una cima quindi abbia un po' di pietà.. e tanta pazienza.. nel prendermi a bastonate! che sono sempre un ottimo strumento didattico.
    (almeno quanta ce ne sto mettendo io per capirci qualcosa dei suoi "Appunti per un corso di Macroeconomia dello sviluppo")

    Grazie per il suo tempo!

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    1. Hai ragione, ma il confronto non è banale perché se vogliamo parlare di carico fiscale allora dobbiamo tener conto della composizione del nucleo familiare (per le detrazioni) ecc. ecc. Detto questo, dato che i regimi fiscali evolvono in modo relativamente lento, nel confronto fra le dinamiche dei fenomeni questo aspetto non è molto rilevante (lo rimane nel confronto fra i livelli).

      Rispetto a quando questo post è stato scritto, è ormai diventato di dominio pubblico il problema della quantità di lavoratori tedeschi con contratti atipici e con bassi salari, quindi la discussione qui svolta non è nemmeno più tanto rivoluzionaria! I cugini si sono convinti perché Repubblica gli ha detto di convincersi, come da copione...

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  79. però non capisco bene perchè le stesse conseguenze negative non affliggano anche alla germania. cioè se diminuiscono salari là anche le imprese di là perdono mercato interno

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