L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
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martedì 7 gennaio 2020
Teoria pura del piddinismo
...scusate: uno di voi, qualche tempo fa (si parla di almeno cinque anni) postò qui, o mi segnalò per email, un fantastico articolo, archiviato su SSRN, che quantificava l'impatto della literacy e della numeracy sui bias dei soggetti analizzati. Insomma: l'articolo dava rilevanza quantitativa al fenomeno qui tante volte analizzato euristicamente, secondo cui l'uomo che "sa di sapere", il semicolto, forte dei suoi imparaticci, è più restio ad apprendere concetti nuovi dell'ignorante, che è tabula rasa. Insomma: la "cultura" come corazza, anziché come chiave di lettura del reale. Se chi lo ha fatto è ancora vivo e presente, lo ringrazierei se ci segnalasse nuovamente quel lavoro, perché mi interessava seguirne gli sviluppi. Sono pressoché certo che quel filone di ricerca sarà stato debitamente sottofinanziato, ma intanto sarebbe utile sapere se aveva superato la mitica pirreviù...
...se non ricordo male, il paper si concentrava sulla numeracy, e infatti più che come teoria pura del piddino mi ricordo che lo utilizzammo come teoria pura dell'ingengngniere, altro idolo polemico del nostro blog, chiedendoci che cosa sarebbe successo estendendo questo studio alla literacy, cioè includendovi i "semicolti" nell'accezione italiana del termine (sapete che condizione necessaria per essere considerato colto in Italia è non essere portato per la matematica...). Questo forse può indirizzarvi nei vostri ricordi...
RispondiEliminaEro io. Domani cerco. Negli articoli si parlava di creme e di armi.
RispondiElimina…e chi poteva essere?
EliminaEra questo?
RispondiEliminahttps://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2319992
G.R.A.Z.I.E!
EliminaGrazie a Lei e grazie a Stefano che mi ha dato gli indizi giusti. Era il mio primo post sul blog e non mi sono neanche presentato :), aquilafelice o Felice Aquila è il mio nick un po' dappertutto (anche su Twitter). Mi ripromettevo di presentarmi col vero nome quando avessi scritto su Goofynomics ma nella foga di rispondere è partito il post con le coordinate del mio account Google, vorrà dire che manterrò l'anonimato ancora per un po'.
EliminaGrazie ancora e buon lavoro.
Il paper ha una storia interessante. Da quando Stefano ce l’ha presentato è uscito su rivista, ha avuto oltre 400 citazioni (non tutte pertinenti), un paio di piddini sono intervenuti a confutarlo (respinti con perdite), ma nessuno ha pensato all’ovvio: ripetere l’analisi considerando la literacy. Credo che nessuno faccia una domanda di cui non vorrebbe ascoltare la risposta…
EliminaLa “letteratura scientifica” ha preso il posto della filosofia per mezzo degli empiristi epistemologi di origine barbarica, quello che lei descrive è il principio alla base della dialettica del pensiero pensante: la negazione dialettica, che non tutti sono in grado di compiere ad ogni grado dello sviluppo della coscienza!
RispondiEliminaOvviamente, ogni conoscenza è ostacolo, in opposizione dialettica, ad ogni nuova forma di conoscenza: quindi più si conosce più l’opposizione dialettica è forte. All’opposto, il fanciullino, che nulla conosce, non fa alcuno sforzo e tutto assimila come fossero mono saccaridi...
Caro, credo che tu sia nuovo di questo blog, ma va tutto bene, rilassati. Non ce l’ho con te, anche se mi sembra di intuire che non leggi Proust. È “letteratura scientifica” anche l’Etica nicomachea, per quel che mi riguarda, e un “io” che non ha il coraggio di morire per lasciar spazio a un “io” meno ottuso condanna chi lo indossa all’irrilevanza, nella migliore delle ipotesi. Leggiti il paper: ti farà bene.
EliminaQuindi il piddino è una macchina sulla quale è stato intenzionalmente montato un software con una backdoor.
RispondiEliminaVanno individuati i programmatori.
L'ignoranza diventa un fattore protettivo. (sono fortunato)
No, per fortuna. Se fosse l'ignoranza, di cui comunque abbondiamo, saremmo condannati a ripetere sempre gli stessi errori (e a pensarci, in effetti a volte il dubbio viene...).
RispondiEliminaIl fattore protettivo non sembra essere l'ignoranza bensì la curiosità. Questa comunità mi sembra dia ulteriori argomenti a supporto.
Dopo il paper nato qui (e i diversi ottimi libri pubblicati da frequentatori di questo blog) sono in tranquilla attesa dell'interrogazione parlamentare, del DDL e, perché no, della legge quadro (adesso verrò asfaltato da numerosi esempi di questi atti che mi son perso).
A me fa una notevole impressione la "potenza" (qualcuno ha una parola migliore?) che questo lavoro collettivo esprime. Velocità, precisione, profondità.
A voi no?
Segnalazione molto interessante, Stefano, grazie, questa del lavoro sulla curiosità che citi nel tuo commento!
EliminaVa chiarito, a beneficio del lettore casuale, che l'articolo non parla di "curiosità" in generale ma di "science curiosity", cioè di una ben definita misura che "quantifica lo specifico desiderio di consumare informazione scientifica per istruzione personale" ("a tool developed to measure a distinctive appetite for consuming science-related media for personal edification").
Per quello che vale l'esperienza personale, infatti, ritengo la "curiosità", intesa nel senso di capire i meccanismi di funzionamento di una certa realtà, una caratteristica importante di chi fa il mio mestiere di professore universitario. E per questo ho tentato spesso in questi anni di convincere colleghi a informarsi sul reale funzionamento della macro-economia su questo blog. Con risultati abbastanza scarsi, ahimé!
Il fatto che l'antidoto sembri essere la "science curiosity" nel senso sopra definito e non la "curiosità" come la intendo io, è più coerente con la mia esperienza personale e col fatto che i lettori di questo blog siano persone di tutti i profili.
Va anche aggiunto che l'articolo (che merita una lettura approfondita che ancora non ho fatto) chiarisce che le sue "scoperte" - come spesso accade nella scienza, diversamente da LaScienza - non vanno completamente d'accordo con quanto risulta in altri filoni di ricerca, sono ancora ad uno stadio iniziale e lasciano questioni aperte che richiedono ulteriore lavoro.
Ma! Io ho qualche dubbio sul concetto di "science curiosity". Voi no? Secondo me, poi, manca uno studio che investighi il ruolo della "literacy", e credo che manchi per un ben preciso motivo.
EliminaSalve,sono Michele Radogna. Si potrebbe dire che questa ricerca sta semplicemente esprimendo il socratico "so di non sapere", facendolo passare come un'impensabile novità? E' da qualche millennio che sappiamo che la curiosità è il terreno fertile per la cultura. Quindi, perchè abbiamo bisogno di dirci "l'ovvio" con una ricerca scientifica? Non trovate che una parte della ricerca, in generale, si stia appiattendo nel "dimostrare" il già saputo? Tutto ciò a detrimento dell'idea di cultura,scienza come vie di comprensione del reale e a tutto vantaggio di un'idea di cultura come corazza e clava ("Eh, ma la letteratura...").
EliminaCordialmente
Se qualcuno non me lo traduce non ce la farò mai🙄, ma l' astratto mi comunica come misurano la follia,"loro",che è una relazione tra soggetti, intrinseca (altrimenti sapremmo tutti le stesse cose, "proviamo" in base a ciò che sappiamo),e se ne esce rinunciando agli automatismi corporei ai quali siamo abituati.
EliminaL' abitudine è nemica di Gesù.
Buongiorno. Un'altra condizione per essere considerato colto in Italia è non sapere alcunché di musica. Grazie di tutto quello che fa.
RispondiElimina"A mme 'a musica me piace tutta: er gèzz, 'a classice, er rocke...". So tutto, grazie, lasciamo stare, quella è una battaglia del tutto persa e non puoi nemmeno sperare sul friendly fire dell'OCSE.
EliminaAggiungo, Stefano, che c'è una vasta letteratura scientifica a supporto del fatto che la collaborazione e la cooperazione di persone con differenti profili possono condurre ad una migliore decisione. Un punto di accesso divulgativo (ma con riferimenti agli articoli) è questo https://aeon.co/essays/why-we-make-better-decisions-together-than-we-do-on-our-own
RispondiEliminaFondamentalmente il gruppo lavora meglio sia perché collettivamente si ha a disposizione una maggiore conoscenza sia perché differenti persone hanno differenti sensibilità per aspetti del problema che sono meno rilevanti e quindi rispetto a un singolo filtrano meglio il "rumore" associato al "segnale" .
Ma non sempre accade (la comunicazione può essere un problema che ostacola questo processo) e un gruppo corre il rischio di perdere vitalità appiattendosi sul rinforzo reciproco.
Grazie Stefano per il lavoro prezioso di divulgazione. Dalle tue segnalazioni puntuali ho appreso davvero tanto. Confido nella possibilità di conoscerti personalmente.
RispondiEliminaConsiglio di leggere questo libro: https://www.luissuniversitypress.it/pubblicazioni/la-conoscenza-e-i-suoi-nemici
RispondiElimina🐴Io un' idea ce l' avrei, ma senza consapevolezza corporea è come usare il laser, ora è tutto diverso, è universale.
RispondiEliminaHo trovato la questione sollevata nello studio molto interessante. Di seguito ciò che ho capito dopo una rapidissima e parziale lettura (faticosa, in quanto diversamente europeo) e a seguire un paio di considerazioni. Quindi, in buona sostanza, sono stati condotti degli esperimenti su soggetti con differenti gradi di capacità di calcolo a cui sono stati sottoposti una serie di problemi. Nel caso di un problema che non riguardava temi di rilevanza sociale, ma in cui si trattava di operare, diciamo in modo impersonale, delle inferenze causali valide a partire da dati empirici, i soggetti con una più elevata capacità di calcolo, cioè di capacità di utilizzo delle informazioni quantitative, hanno, come ci si aspettava, fatto sostanzialmente meglio dei soggetti con minore capacità. Quando però gli esperimenti si sono spostati su temi che hanno messo in gioco un sistema di credenze di riferimento da parte dei soggetti coinvolti, i risultati sono stati differenti. Le risposte dei soggetti si sono polarizzate politicamente, hanno cioè in pari tempo orientato la loro risposta in base ai loro presupposti culturali e perso in termini di precisione logica. Il risultato più interessante riguarda il fatto che tale polarizzazione non si è attenuata tra i soggetti con la più alta capacità di calcolo, ma è aumentata. In altri termini i soggetti con più elevata capacità logica risultano usare in modo più selettivo la loro capacità di ragionamento quantitativo per utilizzare i dati in modo funzionale e coerente con la loro prospettiva politica. Tenuto conto che si tratta di esperimenti che riguardano una determinata capacità logica, che non esaurisce di certo la complessità della natura umana, mi sembra che i risultati di tale ricerca pongano comunque una serie di questioni che contribuiscono a mettere in dubbio le motivazioni con cui perlopiù si spiegano le dinamiche dei conflitti sociali in atto.
RispondiEliminaPrendiamo in particolare il tema dell'odio; se da una parte è chiaro che la violenza verbale sia legata all'esasperazione del conflitto sociale, è anche vero che la causa generalmente considerata come scatenante, cioè l'ignoranza come deficit di ragionamento, di per sé non regge; ciò che mostrano i risultati dell'esperimento è semmai il contrario; non è la mancanza di capacità logiche a rafforzare ed inasprire il conflitto ma è semmai il contrario; tanto più un individuo possiede delle capacità logiche, tanto più le utilizzerà in modo riduttivo e funzionale a difendere la propria posizione. Che poi non è una novità, ma tuttalpiù una conferma sperimentale di ciò che Socrate considerava l'ignoranza peggiore, è cioè la supponenza di sapere. Ma la questione apre a considerazioni che non sono solo di ordine psicologico, ma anche di carattere sociale. Anche da questa prospettiva si tende infatti a riportare le dinamiche dei conflitti alla presenza di limiti, i questo caso specifico dei confini (mentali, geografici etc.) che impediscono la naturale circolazione di idee, cose e persone; è il mondo post-ideologico, la società che ha liquidato e che consuma tutto ciò che si delinea in termini di chiusura in nome di un mondo senza confini; spacciata come una liberazione, come legittima emancipazione, appare più verosimilmente come una rimozione, uno spostamento che riduce i confini spaziali alla dimensione individuale. Il mondo che vagheggia, l'umanità che nomina ma di cui non fa esperienza, ha in realtà privato l'individuo della protezione/vincolo sociale che fu dell'ideologia, per cui da una parte, tanto più sarà privo di strumenti, tanto più si affiderà ad un'identità compensatoria, maggiori saranno gli strumenti, tanto più userà le sue abilità logiche per difendere l'unico confine che legittima le proprie idee, cioè se stesso.