Gentile
Professore,
Torno a scriverle
a qualche mese di distanza dall’invio e dalla gentile condivisione della mia prima
lettera, cui sono seguiti tanti inaspettati – e in qualche caso davvero troppo
generosi – apprezzamenti da parte dei lettori del blog. Colgo l’occasione per
ringraziarli individualmente e collettivamente della vicinanza intellettuale e
umana espressa nei loro commenti, che mi ha fatto sentire parte di una preziosa
comunità di pensanti. Ancorché la mia lettera fosse ricca di accenni a vicende
personali, più di un commentatore ha detto di avere gradito il taglio giuridico
del mio intervento (e per fortuna, altri registri non ne conosco!). È dunque
nel medesimo solco che intendo svolgere qualche considerazione in ordine a un
tema sul quale lei ha molto spesso insistito – con la consueta chirurgica capacità
di individuare e anticipare le linee di tendenza del dibattito politico – ossia
quello del rapporto tra media, garanzie e limiti costituzionali della libertà
di espressione e recenti proposte di legge – dal sapore più o meno apertamente censorio
– tendenti ad espandere l’area delle condotte di manifestazione e diffusione del
pensiero meritevoli di limitazione e/o di sanzione penale. Mi propongo, in
particolare, di fare qualche considerazione sulla proposta di legge Fiano in tema di
“propaganda del regime fascista e nazifascista”, in corso di approvazione in queste settimane,
alla luce del più ampio quadro delle garanzie costituzionali in tema di libertà
di espressione e in materia penale, anche attraverso un’analogia con il diritto
internazionale . Mi scuso in anticipo per l’ovvietà delle premesse e per
qualche passaggio che forse potrà sembrare, agli addetti ai lavori, un poco
“bignamistico”.
Come è noto,
il diritto penale rappresenta la più incisiva delle forme di reazione che
l’ordinamento giuridico può approntare a fronte di comportamenti che ledono
beni giuridici meritevoli di protezione quali la vita, l’integrità fisica, il
patrimonio, la sicurezza dello Stato, ecc. Esso si caratterizza per la
possibilità che lo Stato, quale detentore dello jus puniendi, infligga in esito a un procedimento giurisdizionale una
certa misura di sofferenza legittima attraverso l’irrogazione di sanzioni
afflittive (pene) che colpiscono il responsabile dell’illecito nei suoi beni
più preziosi: la vita (negli ordinamenti che ammettono la pena di morte); la
libertà personale (attraverso la detenzione e altre misure restrittive); il
patrimonio (tramite multe, confische, ecc.) e la capacità di entrare in
relazione con gli altri soggetti dell’ordinamento sul piano politico, economico,
professionale e sociale (attraverso varie e incisive forme di interdizione o
sospensione quali pene accessorie). Data la sua intrinseca carica di violenza, la
grande tradizione penalistica occidentale di matrice illuministica – cui
l’Italia ha dato contributi decisivi con autori come Beccaria, Romagnosi,
Carrara, Verri – ha sempre insegnato che lo strumento penale deve essere
impiegato solo in caso di stretta necessità e quale extrema ratio. Esso è cioè soltanto l’ultimo degli strumenti che
l’ordinamento dovrebbe prendere in considerazione per rispondere a fenomeni
sociali devianti, laddove ogni altra risposta di politica sociale si riveli
inefficace o inadeguata. Il costituzionalismo postbellico – reso edotto dall’esperienza
storica circa l’estrema fragilità delle garanzie individuali offerte dallo
Stato liberale – ha riaffermato e rafforzato tale orientamento, circondando
l’individuo di forti guarentigie costituzionali a fronte dell’esercizio del
potere punitivo dello Stato. Tali sono ad esempio la presunzione d’innocenza; il
principio di legalità penale con tutti i suoi corollari (riserva di legge e di
giurisdizione, irretroattività della legge penale, divieto di analogia,
principio di tassatività/determinatezza delle fattispecie penali) e la piena garanzia
del diritto di difesa.
Com’è
altrettanto noto, la libertà di pensiero e della sua manifestazione e diffusione
costituisce, assieme ad altre libertà e diritti fondamentali nella sfera civile
e politica e in quella economico-sociale, un architrave fondamentale dello
Stato costituzionale di diritto. Essa è assistita da ampie garanzie
costituzionali che limitano entro confini rigorosi – ancorché variabili a
seconda dell’ordinamento considerato – la possibilità dello Stato di intervenire
per limitarla, vincolando tali limitazioni al perseguimento di scopi legittimi
secondo l’ordinamento (ad es. la tutela di altri diritti con essa potenzialmente
confliggenti, quella della sicurezza dello Stato, ecc.) e sotto condizione di
necessità, proporzionalità e ragionevolezza delle misure impiegate, soggette a
verifica da parte dell’autorità giudiziaria – anche e soprattutto
costituzionale – mediante operazioni di “bilanciamento” tra diritti in
conflitto.
Insomma, la
dialettica e il potenziale conflitto tra libertà di espressione e diffusione
del pensiero da un lato e, dall’altro, la necessaria tutela anche attraverso lo
strumento penale di altri valori giuridici fondamentali con essa potenzialmente
confliggenti, rappresenta un problema filosofico e giuridico cui l’ordinamento
è costantemente chiamato a rispondere mediante opportuni aggiustamenti e
mediazioni, tanto sul piano della produzione legislativa, quanto su quello
della soluzione pratica delle controversie in sede giurisdizionale.
Alla luce di
queste premesse, vorrei brevemente esaminare contenuti e metodo sottesi alla
proposta di legge Fiano, che considero solamente l’ultimo esempio di una ormai
pluridecennale perniciosa tendenza normativa – spesso con solidi addentellati
europei, come dimostra la vicenda dalle leggi sul negazionismo – volta ad
espandere l’area del penalmente rilevante per rispondere a presunte necessità
di difesa sociale, spesso sulla scia emotiva di spiacevoli fatti di cronaca.
Prima di passare ad alcuni punti di merito, mi sembra opportuno porre mente
alla relazione di accompagnamento della proposta di legge, per meglio
comprendere quali siano le (apparenti) motivazioni che a giudizio dei
proponenti ne rendono necessaria l’adozione. Si legge nella relazione (i
grassetti sono miei):
“[T]uttavia, sembrano
sfuggire alle maglie di queste fattispecie di reato [quelle previste dalle esistenti
leggi c.d. Scelba e Mancino] comportamenti talvolta più semplici o estemporanei, come ad esempio può essere il
cosiddetto saluto romano che, non essendo volti necessariamente a
costituire un’associazione o a perseguire le finalità antidemocratiche
proprie del disciolto partito fascista, finiscono per non essere di per sé solo
sanzionabili.” E ancora: “[g]li orientamenti non
uniformi della diversa giurisprudenza sembrano confermare l’opportunità di un
intervento normativo che colpisca in maniera inequivoca l’espressione di un gesto così inequivocabilmente
legato, ad esempio, alla retorica del
passato regime fascista. Altrettanto grave e non derubricabile a un mero
fatto di folklore è tutta la complessa attività commerciale che ruota intorno
alla vendita e al commercio di gadget
o, ad esempio, a bottiglie di vino riproducenti immagini, simboli o slogan esplicitamente rievocativi dell’ideologia del
regime fascista o nazifascista. Sono ormai frequenti i fatti di cronaca che
riportano la denuncia e lo sconcerto da
parte di turisti in viaggio nel nostro Paese che si trovano di fronte a vetrine
che pubblicamente espongono oggetti o immagini che si richiamano a tali
ideologie. Da qui l’esigenza di prevedere una fattispecie aggiuntiva nel
codice penale, all’interno dei delitti contro la personalità dello Stato, di
cui al titolo I del libro secondo, che punisca chiunque propagandi le immagini
o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista
tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o
vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente
riferiti, ovvero ne richiami pubblicamente la simbologia o la gestualità. Altrettanto
importante è l’aggravante di pena
derivante dall’aver commesso il fatto attraverso strumenti telematici o
informatici: non c’è dubbio, infatti, che la propaganda di determinate
condotte ha ormai trovato un terreno
privilegiato attraverso le nuove tecnologie che consentono con pochi click di
veicolare messaggi, immagini o simboli a una platea di destinatari
certamente sconosciuta ai tempi in cui fu approvata la legge Scelba.”
Dalla lettura della
relazione si possono ricavare alcune osservazioni:
1) Vi sarebbero nel
diritto penale vigente delle lacune da
colmare, poiché alcuni comportamenti socialmente riprovevoli sfuggirebbero
all’area delle condotte sanzionabili.
2) Le condotte (sul
deficit di tassatività nella loro definizione ritornerò in seguito) cui
estendere la sanzione penale si caratterizzano per il richiamo a gestualità e simbolismi propri
dell’ideologia fascista e nazista, nonché alla produzione/distribuzione/diffusione/vendita di oggetti, immagini e
quant’altro ad esse rimandino.
3)
L’intervento si giustificherebbe per la necessità, tra l’altro, di evitare ai
turisti stranieri in visita nel nostro Paese di vedere questi gesti, simboli,
oggetti, evitando così di generare in loro “sconcerto”.
A me pare
che la relazione, nell’esplicitare più o meno candidamente la ratio legis della proposta, dimostri l’ignoranza
di alcuni principi della buona “scienza della legislazione” e della logica
giuridica in materia penale, ed in particolare:
Sub 1) Nel
diritto penale non vi sono lacune in senso tecnico ma scelte normative. Certo, può accadere che condotte sostanzialmente analoghe
ad alcune espressamente criminalizzate siano per incuria o dimenticanza del
legislatore escluse dal penalmente rilevante. Tuttavia, nel campo penale al
giudice è preclusa, in ossequio al principio di legalità, la possibilità di
ritagliare per analogia una nuova norma non scritta che abbracci il caso analogo,
vestendo così i panni del legislatore e costruendo ex post la norma incriminatrice. Ebbene, se il costituente con la
XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione e il legislatore con la
legge Scelba che vi ha dato attuazione hanno optato
per criminalizzare solo certe condotte e non altre, e se la giurisprudenza (anche
costituzionale) ha ritenuto di interpretare tali fattispecie in modo
restrittivo, deve essere chiaro che ciò è stato fatto scientemente e non per
incuria o incompetenza, come invece invita a credere la proposta di legge in
esame. Nel diritto anche i silenzi sono eloquenti e possono legittimamente esprimere
una certa visione di politica criminale.
Sub 2) Nel
costruire le fattispecie penali, specie quando ci si accosta alla limitazione
della libertà di espressione del pensiero e ad altri diritti costituzionalmente
garantiti, deve essere rispettato il principio di offensività: di regola non si punisce una condotta che non abbia
una manifestazione tangibile nella realtà esteriore e che non sia idonea a mettere
in pericolo o a ledere il bene giuridico protetto dalla norma penale. I costituenti,
il legislatore e i giudici italiani hanno fin qui limitato l’area del
penalmente rilevante alle sole condotte concretamente idonee a ledere la
personalità dello Stato e a mettere in pericolo la sua essenza democratica,
come consacrata nella Costituzione Repubblicana antifascista. Ciò hanno fatto ricostruendo
i reati di cui alla legge Scelba (ricostituzione del disciolto partito
fascista, apologia del fascismo e manifestazioni fasciste) come reati di
“pericolo concreto”: non si puniscono in quanto tali il pensiero o la
gestualità che si richiamano al fascismo, ma soltanto quelle condotte ed
attività – specie se caratterizzate da certi requisiti organizzativi e/o da
metodi violenti – che mirano alla concreta riproposizione del disciolto partito
fascista o sono comunque tali da minacciarne seriamente gli assetti democratico-costituzionali.
Sub 3) Mi
pare che ci sia ben poco da commentare. È grottesco che si debba legiferare in
una materia così delicata e ricca di implicazioni costituzionali per rispondere
al vero o presunto sentimento di sdegno del turista straniero in visita nel
nostro Paese alla vista dei memorabilia incriminati. Il fatto che in Germania, per
ragioni che sarebbe ora troppo lungo esaminare, l’impostazione legislativa e
giurisprudenziale sia stata storicamente più rigorosa (il proverbiale rigore
teutonico…) e fattispecie analoghe siano ricostruite come reati di “pericolo
astratto” – ossia le condotte sono punibili in quanto tali a prescindere da un
accertamento circa la concreta idoneità a ledere il bene giuridico tutelato –
non deve indurre a liquidare con leggerezza le ragioni di politica criminale
che hanno ispirato le scelte del nostro ordinamento.
Per quanto riguarda il contenuto sostanziale
della legge, tali e tanti sarebbero gli spunti critici che occorre limitarsi a
sottolineare qualcuna delle assurdità pratico-applicative che sorgerebbero non
appena la legge varcasse le soglie di un’aula di tribunale. A titolo d’esempio:
·
Cosa
s’intende per “[i] contenuti propri del partito fascista e
nazionalsocialista […] ovvero le relative ideologie”
la cui “propaganda” esporrebbe alla
sanzione penale? Al di là dell’infelice formulazione nella nostra maltrattata
lingua italiana, in base a quale tipo di indagine e metodologia (storiografica,
filologica, politologica, sociologica) il giudice dovrà accertare quali idee,
discorsi, scritti, ecc. costituiscono “contenuti propri” dei suddetti partiti e
ne siano propaganda? E che dire di “immagini e contenuti” che pur essendo anche
propri dei suddetti partiti, possano tuttavia essere ricondotti pure ad altri
contesti semantici, non necessariamente collegati a tali partiti o ideologie nella
loro forma storicamente realizzata? [ad esempio c’è chi si è posto il problema
di capire se l’esposizione di oggetti d’arte del
periodo fascista possa integrare la propaganda]. Che dire poi della ricostruzione dei contenuti
oggettivi del concetto di “ideologia”,
la cui indeterminatezza secondo i parametri del linguaggio giuridico è del
tutto palese, e attorno al quale ruota la costruzione della fattispecie?
·
Il
focus sulle immagini, le persone e i
simboli “chiaramente riferiti” ai partiti o ideologie in questione e la cui “produzione, distribuzione, diffusione o
vendita” espone a sanzione penale, mostra chiaramente l’intento di colpire
il fenomeno dei gadgets e memorabilia
di ispirazione fascista e nazista. Saranno dunque sulla base di questa
formulazione perseguibili il pasticciere che ha realizzato la torta con
l’immagine di Hitler esponendola in vetrina (notizia di qualche settimana fa)?
Il tatuatore che tatua croci celtiche, fasci o volti di Mussolini? Lo scultore
che fa un mezzobusto del Duce da esporre in galleria? La copisteria che stampa
il calendario fascista, il laboratorio tessile che produce magliette, il tabaccaio
che vende accendini recanti simboli del fascismo e del nazismo? Ora, per quanto
si possa provare una sana repulsione politica – e aggiungerei estetica, poiché
nella maggior parte dei casi sono semplicemente brutti – per questi oggetti e
rappresentazioni, siamo sicuri che colpire con lo strumento penale chi li produce/distribuisce/vende
dia un qualche contributo alla riflessione sul passato e che far sparire dalla
vista questa paccottiglia sia un modo efficace per contrastare le idee in
questione? Perché non essere allora coerenti fino in fondo e punire anche chi
acquista, commissiona o addirittura sfoggia detti oggetti sul proprio corpo? Esporre
in spiaggia petti e bicipiti tatuati a tema fascista o nazista non può forse considerarsi
un atto di propaganda o, per usare il linguaggio della proposta, non
costituisce forse un “pubblico richiamo” alla simbologia fascista? Perché non
prevedere espressamente l’obbligo di confisca e distruzione dei beni
incriminati, ivi compresa la cancellazione, a quanto pare molto costosa e
dolorosa, delle infami immagini dalla pelle? La (il)logica di punire soltanto
chi offre tali beni e servizi e non chi li domanda mi ricorda tanto il tentativo
di criminalizzare la prostituzione punendo solo le prostitute e non i clienti...
·
Sul
saluto romano, ricompreso tramite il riferimento normativo alla “gestualità”, valgono le considerazioni
già svolte in precedenza e condivise da quella parte della giurisprudenza che
ritiene il gesto tendenzialmente non punibile in quanto tale, poiché inidoneo –
almeno in forma episodica ed estemporanea – a determinare il pericolo concreto
e attuale di riproposizione del movimento fascista.
·
Sul
trattamento sanzionatorio, colpisce per incoerenza la scelta di prevedere
soltanto la pena detentiva ed entro limiti edittali tali da rendere largamente
ineffettiva la sanzione, per l’intervento assai probabile della sospensione
condizionale della pena, ad esclusione dell’ipotesi aggravata di cui al punto
seguente.
·
La
legge introduce una presunzione di
maggiore gravità del fatto – da cui l’aggravamento di pena di un terzo – se
“commesso attraverso strumenti
telematici o informatici”. Essa si colloca in pieno nella tendenza repressiva
verso certi strumenti di diffusione del pensiero come il web, tendenzialmente
“anarchici” e di più difficile controllo da parte del potere rispetto ai media
tradizionali; tendenza che sta monopolizzando il dibattito recente (si vedano
le vergognose proposte in tema di fake
news e di “polizia del pensiero” su Internet da appaltarsi a soggetti
privati in veste di cacciatori di notizie false). Tale scelta chiarisce come i
proponenti non tengano in alcun conto il principio di materialità dell’offesa e
quello dell’attualità del pericolo e abbiano
in realtà di mira lo strumento info-telematico di diffusione del pensiero in
quanto tale. Da questo punto di vista l’aggravamento di un terzo della
pena, tale da consentire in teoria lo sfondamento delle soglie oltre le quali
non può concedersi la sospensione condizionale della pena, introduce un’eloquente
disparità di trattamento tra chi commette i reati in forma “ordinaria” e chi li
commette via web (quasi soltanto in questo caso, infatti, la pena detentiva da
irrogare avrà qualche possibilità di concreta esecuzione).
Questa
impostazione, oltre a mettere in luce la sempre più scadente tecnica
legislativa contemporanea, si discosta nettamente dalla legge Scelba, che in
piena consonanza con la XII disposizione transitoria e finale della
Costituzione costruisce le fattispecie di reato ponendo l’accento sui profili
concreti e ben più pregnanti della (ri)organizzazione, del perseguimento di
finalità antidemocratiche, dell’uso della violenza come metodo di lotta
politica, dell’esaltazione attraverso manifestazioni pubbliche di “esponenti,
principii, fatti o metodi” del fascismo.
Vengo ora
all’analogia storica che illustra come anche al livello internazionale, nel
cercare di rispondere agli orrori nazifascisti, si sia cercato di circoscrivere
molto attentamente l’aerea del penalmente rilevante in relazione alla
manifestazione del pensiero, con prudenza analoga a quella adoperata dal
costituente e dal legislatore italiani. Nel 1948, dopo l’esperienza di
Norimberga e dei processi susseguenti nella Germania occupata, fu adottata –
anche grazie al fondamentale contributo del giurista ebreo polacco Raphael
Lemkin, “inventore” del termine genocidio – la Convenzione per la prevenzione e
repressione del crimine di genocidio (già preparata da una dichiarazione adottata nel dicembre 1946
alla prima sessione dell’Assemblea generale dell’ONU). La convenzione in esame, in particolar
modo ei suoi lavori preparatori, offre un interessante spaccato circa la
posizione degli Stati a proposito della criminalizzazione di forme di manifestazione
del pensiero che si pongono in rapporto con la commissione di atti genocidiari.
Infatti, la Convenzione, oltre a tipizzare le condotte che costituiscono
genocidio e gli elementi di contesto che devono ricorrere affinché esso si
configuri, introduce una distinta e autonoma fattispecie di reato rubricata “incitamento diretto e pubblico a commettere
genocidio”. Ciò sulla scia dell’esperienza di Norimberga (e sebbene in modo
diverso del Tribunale per l’Estremo Oriente di Tokyo), che aveva mostrato
chiaramente il ruolo della propaganda nel preparare il terreno per le politiche
di guerra d’aggressione prima e di sterminio poi (si vedano i casi contro
Julius Streicher e Hans Fritzsche).
Ebbene, durante
il negoziato alcuni Stati, e con particolare insistenza gli USA, manifestarono una
netta contrarietà rispetto all’introduzione di norme che consentissero di punire
la mera manifestazione del pensiero, in conformità con la propria tradizione costituzionale
ispirata ad una robusta tutela di tale libertà (il maccartismo era ancora agli
albori…). Al contrario, l’Unione Sovietica propose di introdurre nella
convenzione una fattispecie allargata che consentisse di punire anche il
generico hate speech. La proposta
sovietica mirava a proibire: “[a]ll
forms of public propaganda (press, radio, cinema, etc.) aimed at inciting
racial, national or religious enmities or hatreds or at provoking the
commission of acts of genocide” (se gli odierni corifei del politically correct avessero un po’ di
cultura storica si troverebbero già una bella proposta di legge pronta all’uso...).
Nel campo occidentale prevalse l’idea che avallare questa formulazione avrebbe
consentito all’URSS – e ad altri Paesi non proprio a loro agio con la libertà
di espressione – di sfruttare la legittimazione
derivante da un importante trattato internazionale per giustificare la
repressione del dissenso politico a livello nazionale. La proposta
sovietica fu seccamente respinta e dopo un serrato confronto sul testo da
adottare, si coagulò il consenso su una formulazione che si fonda sui qualificativi
“diretto” (direct) e “pubblico” (public) che devono necessariamente
caratterizzare il discorso di incitamento perché questo divenga penalmente
rilevante. In altre parole, per la Convenzione non ogni discorso di propaganda,
comunque veicolato, è suscettibile di sanzione, ma soltanto quello che assuma
le vesti di una pubblica ed inequivoca “chiamata alle armi” per commettere atti
di genocidio.
Avviandomi
alla conclusione vorrei provare a tracciare qualche rapsodica considerazione di
carattere generale sul rapporto tra diritto penale, libertà di espressione e
costruzione della memoria storica condivisa, evidenziando i principali rischi
insiti nell’attuale corso legislativo.
In primo
luogo, è del tutto evidente che nel caso della proposta di legge Fiano – come
di altre simili iniziative – ci troviamo di fronte ad un uso esclusivamente simbolico dello strumento penale. Ora, che il
diritto penale abbia un’innata componente simbolico-stigmatizzante (selezionare
certi comportamenti come esempi di disvalore sociale meritevoli di pena) è
pacifico, ma che esso operi esclusivamente sulla base di qualificazioni
identitarie ed opposizioni antagonistiche – come quella fascista/antifascista –
rappresenta una chiara patologia del sistema, peraltro evidente in altri ambiti
ispirati alla logica “del diritto penale del nemico” (dal diritto penale
dell’immigrazione, al reato di negazionismo, ai reati c.d. di genere a quelli legati
a particolari pratiche religiose). Nel caso specifico, inoltre, l’uso simbolico
dello strumento penale si arricchisce di una connotazione estetico/cosmetica: si vogliono colpire simboli, gesti ed oggetti
che nella nostra società dominata dall’immagine semplicemente dà fastidio vedere. Il solo fastidio rispetto alla visione di tali fenomeni
giustificherebbe l’intervento penale con funzione
pedagogica e l’affidamento alla liturgia processuale del compito di educare i consociati ai valori
democratici. La totale inadeguatezza e prevedibile inefficacia dell’impianto
sanzionatorio e la parziale sovrapposizione con le fattispecie già esistenti dimostrano
oltre ogni ragionevole dubbio l’intento puramente simbolico e la sostanziale inutilità ed inidoneità della
proposta di legge a perseguire i fini esplicitamente prefissati (il che induce
a chiedersi se i propositi reali siano dei più commendevoli…). Istruttivo è poi
il fatto che la proposta abbia preso nuovo slancio a partire da fatti di
cronaca, come la grottesca vicenda dello stabilimento balneare di Chioggia. Una
vecchia massima giuridica angloamericana, resa famosa dal giudice della Corte
Suprema Oliver Wendell Holmes Jr., insegna che “Hard cases make bad law”: legiferare a partire da fatti di cronaca
che provocano un momentaneo e morboso interesse mediatico suscitando vivaci
reazioni emotive, non può che produrre cattive leggi. Ma è forse vero anche
l’opposto, ossia che “Bad laws make hard
cases”: la legge Fiano, per gli errati presupposti di politica criminale e
per la sua maldestra formulazione, rischia di produrre pessimi processi,
suscettibili di mettere in seria difficoltà tutti i protagonisti del processo
penale.
In secondo
luogo, emergono in tutta la loro evidenza i rischi della impropria delega al
potere giudiziario del compito di costruire, attraverso il delicato congegno
processuale, una memoria storica condivisa fondata sui valori dell’antifascismo
costituzionale. Il grande Piero Calamandrei, al quale nessuno dei Fianos moderni può certo fare la
lezioncina di antifascismo, nel suo magistrale “Il giudice e lo storico” ammoniva a proposito della solo apparente
analogia tra il lavoro del giudice e quello dello storico, mettendo in guardia sui
limiti del processo come luogo di costruzione di una storiografia condivisa. Pretendere
di affidare alla dialettica processuale – caratterizzata da contrapposte
domande e narrazioni delle parti, preclusioni, limitazioni e divieti probatori,
rigide formalità procedurali, precisi confini temporali e dal divieto di non liquet – la costruzione di una
coscienza storica condivisa su fenomeni di così ampia portata rischia di rendere
un cattivo servizio tanto al processo quanto alla memoria storica. Al processo,
perché costringe i suoi protagonisti – in
primis il giudice – a deformare il proprio ruolo fisiologico nel vano
tentativo di non deludere mal riposte aspettative di giustizia sostanziale e
trasformazione sociale. Alla memoria storica, perché è assurdo (e anche un filo
autoritario) pretendere di costringerla a forza nelle rigide maglie del
processo, che mira ad accertare solo quel tanto di fatti necessari a
pronunciarsi sulla fondatezza dell’accusa e a produrre decisioni che
cristallizzano una verità destinata a divenire irrevocabile, cioè sottratta
all’incessante lavorio di ricerca, discussione e revisione critica che sono il
senso profondo della storiografia. Non stupisce che i più accesi critici di
queste proposte siano stati, negli ultimi anni, proprio gli storici di
professione. In ultima analisi, far gravare sulle già sovraccariche spalle del
giudice e del processo la responsabilità di “fare memoria”, colpendo le propaggini
simboliche delle ideologie del passato è l’ennesimo segno evidente di resa
incondizionata e deresponsabilizzazione della Politica: si occupi il giudice con
le sue sentenze di costruire ciò che le istituzioni democratiche, la scuola, le
famiglie, i corpi intermedi non sono stati compiutamente in grado di costruire
nei settanta anni di vita repubblicana del Paese!
In terzo ed
ultimo luogo, si impone una riflessione a proposito dei rischi più in generale
connessi ad interventi normativi che toccano in modo troppo disinvolto il
perimetro di esercizio della libertà di espressione. L’esperienza storica e
l’analisi comparata mostrano come furono le stesse persone che vissero sulla
propria pelle gli orrori fascisti e nazisti ad avere il coraggio di compiere una scelta di valore per un
intervento accuratamente circoscritto del diritto penale. Costoro sapevano
troppo bene che la libertà di espressione è una conquista fragile e che ogni
sua non ben ponderata limitazione si presta a possibili arbitrii e abusi, di
cui i primi a fare le spese rischiano di essere quei “giornalisti ed
intellettuali” che oggi salutano con tanto entusiasmo la polizia del pensiero
via web e forse, domani, via processi penali. I nostri “padri” preferirono
lasciare al Parlamento (per quel che riguarda l’attuazione della XII
disposizione transitoria della Costituzione) e agli Stati (per quel che
riguarda la Convenzione sul genocidio) la scelta dei metodi e degli strumenti
più idonei a scongiurare la riproposizione di quei regimi e di quelle idee,
prevedendo la necessità di sanzionare penalmente soltanto i comportamenti
inequivocabilmente e concretamente idonei a perseguire finalità incompatibili
con i valori della democrazia. Insomma, le proposte di legge che troppo
frettolosamente liquidano come sorpassata questa saggia e lungimirante visione,
propugnando un antifascismo estetico e
di maniera reso apparentemente indefettibile dal mutato contesto sociale e
tecnologico, ci invitano considerare naïf i nostri costituenti e gli
estensori di alcuni tra i più importanti trattati internazionali, persone a cui
i legislatori odierni non sono neppure degni di allacciare i calzari.
In
conclusione, la proposta di legge Fiano è inutile, o nella peggiore e assai più
probabile delle ipotesi, dannosa. Mi pare che ce ne sia abbastanza per rifiutare
toto corde metodi, obiettivi e
contenuti di questa e di altre analoghe proposte, con l’auspicio di rimanere vigili
rispetto ad ogni futuro disegno legislativo che prosegua nella traiettoria di involuzione
civile, giuridica e politica che il nostro Paese e l’Europa hanno ormai
stabilmente imboccato in questa fase storica.
Un carissimo
saluto e un augurio di buon lavoro,
Guidubaldo
Bisogna spazzarli via.
RispondiEliminaOnestamente, non credo ci sia molto da fare: stanno facendo tutto da soli. I voti che non hanno perso propugnando un immigrazionismo insensato e suicida li perderanno voltando gabbana. Poi ci sarebbero anche le questioni economiche, e alla gente sarebbe convenuto capirle prima: ma visto che non le vuole capire, come dimostrano i tanti che si affacciano qui senza studiare, meglio che la realtà presenti loro il conto in modo più esplicito.
EliminaNoi non dobbiamo fare nulla.
«non credo ci sia molto da fare».
EliminaProfessor Bagnai, lei sta forse sottovalutando ciò che finora ha fatto e per cui in molti oggi le devono dei ringraziamenti, compreso il sottoscritto: diffondere conoscenza e non retorica.
Edoardo
Si spazzeranno via da soli, e poi...?
EliminaIncrociamo le dita sperando sorga dal nulla una nuova classe dirigente che metta al centro politiche basate sulla Costituzione del 48?
Il famoerpartitismo non è sbagliato. Verranno minimo 700/800 persone al goofy, esistono i lettori di vocidallestero, di orizzonte48 e tanti partitini da 300-400 persone attive che dicono di rifarsi alla Costituzione. Penso che potremmo essere veramente tanti se ogni generale come Lei indicasse le proprie "truppe" nelle varie città per farle aggregare sul territorio. A quel punto basterebbe farci conoscere. Chi conosce queste tematiche ha più responsabilità degli altri, perchè sente il dovere di tutelare i più deboli.
Un caro saluto Professore.
La mia esperienza mi dice che è molto più complicato di come la stai rappresentando. (Ti capisco).
EliminaSecondo me ha ragione il prof., fanno tutto da soli , ogni giorno un pezzettino in più...
Eliminahttp://www.repubblica.it/cronaca/2017/10/03/news/_diritto_di_asilo_anche_per_chi_scappa_da_poverta_e_fame_-177227273/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P9-S1.6-T1
"La (il)logica di punire soltanto chi offre tali beni e servizi e non chi li domanda ..."
RispondiEliminaPer il piddino esiste solo l'offerta (come per "legge dell'offerta e dell'offerta" in ambito economico), forse perché il concetto di domanda è incomprensibile per chi possiede tutte le risposte.
"Il concetto di domanda è incomprensibile a chi possiede tutte le risposte"
EliminaGrande Porter, per questo fondamentale corollario alla definizione del piddino come "colui che sa di sapere". La fenomenologia del piddino dev'essere studiata a fondo.
Articolo magistrale.
RispondiEliminaPer quanto riguarda la Germania evidenzio che, nonostante la legislazione tedesca sia differente da quella italiana (e ben più pesante come si affannano a dimostrare le nostre gazzette), nessuno si scandalizza delle folle oceaniche che giornalmente salgono (in cambio di 30€ a cranio) al nido dell'aquila, mentre qui si vorrebbe vietare pure la scampagnata a Predappio.
Nella mia "rossa" (?) Forlì già da tempo ci si scanna (esteticamente) sul valore dei simboli. http://www.lastampa.it/2017/02/24/italia/cronache/la-guerra-sul-faro-di-mussolini-non-riaccendete-quella-ferita-ZB6HRnKlS5d0xxJJCwSGoN/pagina.html
EliminaLa censura non è un'implicita ammissione di mancanza di proposte ideologiche alternative? Di inadeguatezza culturale? Di debolezza politica?
dopo la legge Fiano bisognerà riallagare l'Agro Pontino...
RispondiEliminaMolto più probabile sarà la chiusure dell' IN(F)PS e delle funzioni ad essa assegnate nel 1933 ed oggi in alcune parti di molto svuotata e dell' INAIL.
EliminaMagari la legge prevederà la galera per chi si azzarderà a ricordare ancora certe questioni.
A Latina c'è da abbattere il Palazzo Emme
Eliminanon vorrei essere uno dei cittadini di Salò.
EliminaMolto interessante l'uso dello strumento penale ai fini estetici/cosmetici.. Peraltro in parte si collega ad una analoga iniziativa avviata negli USA da parte dei democratici americani che hanno cercato di votare per la distruzione di qualsiasi simbolo (statue, bandiere) che ricordasse gli stati confederati del sud "schiavisti" del 1860. L'idea era che vietare per legge alcuni simboli dello schiavismo (premesso che lo fossero, posto che erano statue di uomini politici e militari che difendevano la loro causa) avrebbe migliorato lo stato della popolazione di colore..
RispondiEliminaLo scopo (non dichiarato) era di mettere in difficoltà Trump e la destra americana..
Parallelamente, seguendo queste logiche politically correct, dovremmo abbattere a Roma il complesso del Foro Italico perché costruito dal Fascismo oppure il Colosseo (che rappresenta il più grande simbolo vivente dello schiavismo dell'impero romano)..
Cancellare (per legge) la storia che non piace è un atto sempre censurabile (non a caso si accusa l'ISIS di demolire le rovine delle civiltà antiche mediorientali non islamiche) che nasconde l'incapacità di far conoscere la storia ai propri cittadini.
La vigente correttezza politica condanna l'Isis, a parole.
EliminaVisti o sentiti una manifestazione di cordoglio, una dichiarazione, un rigurgito di protesta o un monito (ah, no, quello era del Quirinale precedente) a proposito dello studioso di sito archeologico trucidato?
Eh no, eh.
Se però qualcuno ne ha notizia, mi informi perché non voglio esporre questo blog ad accuse di ospitalità e diffusione di notizie false.
Tenete presente che sono una gran distratta e anche una cosa così importante potrebbe essermi sfuggita.
Grazie.
Mettere in difficolta' Trump con lo schiavismo...peccato che il kkk aveva fra i suoi fondatori diversi membri del partito democratico americano e che quei tempi gli anti-schiavisti erano i repubblicani. Questa parte della storia la dimenticano...
EliminaAggiungere qualcosa, oltre ai dovuti ringraziamenti a Guidobaldo per quanto così chiaramente esposto, risulta arduo.
RispondiEliminaLa parte conclusiva mi riporta in mente la discussione del post La sinistra e l'istruzione: la funzione pedagogica è compito della scuola, non delle aule di tribunale. La conoscenza, lo studio della storia e delle cause dei suoi accadimenti, la difesa della libertà di pensiero come sentire diffuso e profondo, solo queste sono le armi per combattere le dittature ed i loro nefasti esiti, non la censura e leggi che limitino la libertà d'espressione. Diversamente si ottiene quello che Guidobaldo, con calzante espressione, ha definito antifascismo estetico e la cui vera natura ha legami con il fascismo.
Forse perchè ancora impressionato dalla visita di domenica scorsa al castello di Fumone (ed alla piccolissima cella dove fu incarcerato fino alla morte papa Celestino V), lo zelo insensato dell'onorevole Fiano (e degli altri proponenti del moderno 'partito spoletino') mi ricorda molto la figura di papa Stefano VI ed il celebre sinodo del cadavere.
RispondiEliminahttps://it.wikipedia.org/wiki/Sinodo_del_cadavere
Speriamo che gli zeloti del PD non vogliano accanirsi pure con la tomba (e la salma) di Mussolini a Predappio.
Temo infatti siano pure pronti a depenalizzare il reato di vilipendio di cadavere (come fatto nel 2016 con il vecchio reato di 'atti osceni in luogo pubblico') per poter celebrare un bel processo (in eurovisione ovviamente) alla Stefano VI.
La damnatio memoriae, la abolitio nominis, la conventio ad tacendum e la rescissio actorum sembravano ormai appartenere solo al trapassato remoto.
Grazie all'onorevole Fiano possiamo invece ricordare qualche episodio della più che bimillenaria storia italiana.
Attirare l'attenzione sulle differenze per non far scorgere le somiglianze.
RispondiEliminaArticolo condivisibile in toto, i rischi insiti nella proposta di legge sono veramente gravi.
RispondiEliminaUn unico appunto [disclaimer: entro in modalità non sono un giurista, ma …]. A proposito delle guarentigie costituzionali Guidubaldo riporta la "presunzione d’innocenza", peraltro contenuta nella convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU – art. 6 n.2).
Secondo Costituzione, però, sarebbe più corretto parlare di "considerazione di non colpevolezza" ex art. 27, co. 2: "l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva" cioè sino all’esito del terzo grado di giudizio (Cassazione).
La "presunzione di innocenza" è un principio giuridico fondamentale, irrinunciabile, di grande civiltà e la "considerazione di non colpevolezza" ne è appunto la sua traduzione in norma costituzionale. Però l'abuso che se ne fa a livello mediatico mi dà il voltastomaco. Non se ne può più di vedere farabutti incalliti che anche dopo la condanna in appello sbandierano il fatto che dobbiamo considerarli per forza "innocenti": preferisco di gran lunga "non colpevoli".
Basta dare un'occhiata (almeno per chi è addetto ai lavori, ma in molti casi vale per chiunque) a qualsiasi disegno di legge per rendersi conto della abissale ignoranza di chi ci mette mano; la Legge Fiano sarà una legge buona solo a ingolfare inutilmente il sistema giudiziario nell'attesa di essere fatta poi a pezzettini dalla Corte Costituzionale (in buona compagnia insieme alle tante altre leggi emanate dai nostri governoni euristi e letteralmente dilaniate). Rimane rilevante il dato antropologico che giustamente ha sottolineato Guidubaldo, che è poi quello centrale in tutta questa storia.
RispondiEliminaTanto di cappello a Guidobaldo, è stata una lettura bella ed interessante su una questione di cui ammetto avevo capito gran poco.
RispondiEliminaQuando leggo questi pezzi non riesco a non meravigliarmi e arrivo quasi a commuovermi. E mi sembra un miracolo che vi sia qualcuno oggi ( e ancor più se giovane , come pare ) che arrivi a scriverli , tra l’altro con tale equilibrio , riuscendo a trovare spunti interessanti che meritano rilettura ad ogni periodo semmai qualcuno possa permettersi il lusso di riflettere .
RispondiEliminaE anche, altro miracolo, da tale saggezza trapela una vis ironica che riesce a cangiare l’amarezza di fondo in qualcosa di vitale e stimolante . Perché questo sapore amaro ed anzi disgustoso è l’ingrediente principale della produzione normativa attuale (di cui la legge fiano è uno soltanto dei vergognosi emblemi) ormai ridotta ad una specie di frenetico fuoco di fila di parole di pretese di automatismi di formalismi in vista di finalità e di tempi che si vogliono raggiungere e ridurre per forza , per proclami , e che miseramente si falliscono , ottenendo spesso l’effetto contrario.
E farei caso al rilievo dato a quel superiore giudice che è "il turista", incarnazione spicciola di quel "vincolo esterno" che diventa sempre più ossessivo e pervasivo (lovuoleLeuropa, imercatichiedono, ecc.).
RispondiEliminaBellissimo post e bellissimi i commenti. A mio modestissimo parere l’uso cosmetico del diritto penale peraltro è il risultato ineluttabile delle continue cessioni di sovranità. L’unico campo in cui il Parlamento nazionale continua ad avere potestà esclusiva è appunto la materia penale. Ora mettiamoci nei panni dei sedicenti di sinistra: nel campo del lavoro devono attuare le letterine della BCE, idem nella politica economica,dove i margini di manovra sono minimi. Dove rimane loro ancora un margine significativo? Appunto nella materia delle incriminazioni e delle sanzioni penali. E così lì sfogano il loro essere di sinistra. Il suddetto pensierino peraltro può applicarsi indifferentemente anche alla destra. Chi non si ricorda dei mitici decreti sicurezza del Governo Berlusconi, con l’aumento delle pene, l’introduzione di quel mostro che il procedimento detto del sommario cautelare? Come non dimenticare la pasticciata riforma della legittima difesa per consentire ai cittadini di farsi giustizia da sé. Uno Stato civile dovrebbe evitare le rapine e i furti (rimuovendone per quanto possibile le cause) e non limitarsi di concedere al derubato di stendere a fucilate il ladro. Ma rimuovere le cause significa invadere quel campo (politica economica) che si crede sia stato irrimediabilmente ceduto. Ora i sinistrati come possono far dimenticare di essere sinistri e non di sinistra? Semplice, imbarcandosi in una crociata antifascista con settanta anni di ritardo. Sono i celeberrimi eroi della sesta giornata, eroi il cui eroismo ovviamente oggi non costa nulla. Ne va di mezzo solo la nostra libertà.
RispondiEliminaPossono anche fare le loro scellerate porcate nella scuola. Tra riformisti velleitari e aziendalisti schiavisti.
EliminaComplimenti per la sintesi. La dicotomia “riformisti velleitari/aziendalisti schiavisti” la trovo molto indovinata e fotografa le parodie di destra e sinistra esistenti attualmente in tutto l’occidente. Esprime tacitianamente le forze, o per meglio dire, le debolezze politiche che in ogni campo, a partire dalla scuola, hanno devastato anche l’Italia Repubblicana. Che poi il “riformista velleitario” è parente davvero molto stretto dell’ “aziendalista schiavista” perché si preoccupa di tutte le diseguaglianze possibili e immaginabili, ma mai di quei famosi “ostacoli di ordine economico e sociale” che se non rimossi perpetuano la sempre eterna divisione tra oppressi ed oppressori.
EliminaÈ un po' fuori temą, ma riguarda sempre la libertà dell'informazione:
RispondiEliminaDati personali su web e telefono, il governo dà il via alla sorveglianza di massa
Un altro esempio di come il "ce lo chiede l'Europa" venga sfruttato per fare le cose più turpi:
«Le norme non possono essere modificate e passeranno così come sono. La scusa ufficiale è che non si possono procrastinare gli impegni europei, per cui, come ha dovuto constatare amaramente anche il Presidente dell’Autorità garante per la Protezione dei Dati personali, il Parlamento, pur in presenza di norme che contrastano chiaramente con le disposizioni europee che dicono di voler attuare, le fa comunque passare, per evitare di doverle discutere in una ulteriore lettura.»
2. La seconda norma è ancora più inquietante. L’ha proposta, e fatta approvare alla Camera come primo firmatario, il deputato del Partito democratico Davide Baruffi con un emendamento “sprint”.
EliminaQuesta norma si ricollega ad una legge già approvata undici anni fa nel nostro paese relativa ad un decreto legislativo che ha già ampiamente recepito la norma che dice di voler recepire che attribuisce alla Magistratura il compito di intervenire sul web. La proposta di legge sottrae ai giudici (come prevedono la nostra Costituzione e le nostre leggi, prima fra tutte la legge sul diritto d’autore) il compito di intervenire in via cautelare sui contenuti sul web. Come ha detto lo stesso Baruffi, “da oggi con un regolamento dell’Agcom, in Italia si sperimenta la notice and stay down e le piattaforme dovranno rimuovere i contenuti illeciti e impedirne la riproposizione”.
Ora, poiché il web è composto di milioni di informazioni che cambiano in nanosecondi e la maggior parte di questi dati sono all’estero, non c’è modo di conoscere in anticipo la riproposizione dei contenuti che la norma vorrebbe censurare, se non con una tecnica di intercettazione di massa denominata Deep packet inspection. L’unico modo, insomma, di fare ciò che il governo sta per fare approvare, è di ordinare ai provider italiani di “seguire” i cittadini su internet per vedere dove vanno, al fine poi di realizzare questo “impedimento” alla riproposizione, attraverso un meccanismo di analisi e raccolta di tutte le comunicazioni elettroniche dei cittadini che intendano recarsi su siti “dubbi”.
Si preparano a indirizzare le masse in previsione delle prossime scadenze elettorali, economiche e politiche. Sarà facile rimuovere i contenuti contrari alle direttive europee.
Sempre più liberi...di esser spiati. In confronto la Stasi era nulla.
EliminaFascisti che odiano fascisti.
RispondiEliminaCaro prof,mi sento in un Regime e lo dico seriamente. La libertà di espressione,ma anche di pensiero è sempre messa sotto attacco. Le false notizie è per i detentori della Sacra Verità ovvero i merdia di far fuori gli anarchici i fuori posto. Ogni regime si è sempre basato do omologare persone e farle aderire a pieno nel mondo che cambia. I socialdemocratici si trasformeranno in un incubo dittatoriale? Non so,ma so già che chi invoca la non libertà totale imbocca quella strada. Con affetto,la saluto
RispondiEliminanel frattempo...https://www.ilgazzettino.it/nordest/venezia/spiaggia_fascista_chioggia_chiesta_archiviazione_gestore_scarpa_no_apologia_fascismo_chioggia-3280509.html
RispondiEliminaMi sto informando per una bella VPN... magari serve.
RispondiEliminaVenendo ai politici attuali, rimpiango la DC. Col senno di poi, nonostante gli errori e gli eccessi, comunque "ai tempi" facevano (anche) i nostri interessi. Questi più che il mal di pancia a me non fanno venire. Ma il signor Fiano non pensa quale ricordo lascerà (se lo lascerà)?
Come fa a dormire la notte? La risposta la tengo per me.
Scusate, faccio un'aggiunta: non ho (purtroppo) la profondità di Guidobaldo che ha tutta la mia simpatia; in compenso le porcate le capisco benissimo. Questa crisi se non ci ha rincoglioniti ci ha reso più svegli (e ci fa sentire da più lontano la puzza).
RispondiEliminaTrovo di cattivo gusto l'abbinamento tra nazismo e fascismo italiano, in quanto i milioni di morti,le atrocità e gli orrori del primo non sono neanche lontanamente comparabili con quelli,pur gravissimi,del secondo(guerra dalla parte sbagliata,infami leggi razziali e guerra civile,con l'inevitabile corollario di crudeltà tipico di tali conflitti).I recenti disegni o provvedimenti di legge nazionali ed europeisti-compreso quello dell'onorevole Fiano-segnalano un evidente ritorno al medioevo della libertà di parola e di pensiero,nonchè a forme aperte,ma subdole e liberticide,di censura e di autocensura, inevitabili conseguenze del nostro asservimento e della perdita della nostra sovranità monetaria,economica, legislativa e costituzionale,avallate pienamente dalla quasi totalità della sinistra,liberista ed eurista ortodossa,nonchè dal centro-destra berlusconiano ed alfaniano,con esclusione dell'ala salviniana e,forse,di parte dei 5Stelle.Ottimo e convincente lo scritto del giurista Guidubaldo, che forse esagera un po'...,ma in ottimismo,perchè le cose,invece di migliorare,sembrano volgere ulteriormente al peggio,con gli euristi sempre più baldanzosi,i ricchi sempre più ricchi, i lavoratori sempre più ingannati,traditi e schiavizzati,il ceto medio sempre più vessato,la maggior parte delle persone vittime di una propaganda mediatica agguerrita e fornita di mezzi potentissimi.
RispondiEliminaE,come se non bastasse,ora è arrivata in soccorso
(sapete bene di chi) la censura,che,non illudiamoci,ha solo
mosso i suoi primi pesanti passi...Anche in questo caso un
emerito professore,a noi tutti ben noto,si è dimostrato,come sempre,ed in netto anticipo,un infallibile profeta!
Leggere questa prosa di Guidubaldo mi fa venire in mente una scultura di Bernini, ricchissima di dettagli eppure essenziale nel messaggio. Continui ad rimirarla, scoprendo sempre nuove sfumature e non ti stanca mai.
RispondiEliminaEd è ulteriore conferma che questo luogo, in grado di aggregare persone con i più disparati retroterra sociali e culturali, sapientemente gestito dal padrone di casa, è l'unico "laboratorio politico" degno di questo nome esistente in Italia.
Il ricordo del giudice Oliver Wendell Holmes Jr mi ha poi ricordato la recente riaffermazione del diritto al free speech da parte della Suprema Corte di Giustizia degli Stati Uniti: Supreme Court unanimously reaffirms: There is no ‘hate speech’ exception to the First Amendment. Che invece in Italia, che qualche secolo in più di cultura giuridica ce l'ha, si discuta concretamente di normative per stabilire cosa è "notizia falsa" e cosa no è assai deprimente.
Meno male che c'è Goofynomics...
Legiferare per dar retta ai turisti è segno di una pochezza interiore devastante. Dirlo è ancora peggio. E se domani i turisti diventassero tutti ladri? O fossero per la maggior parte pedofili? Meglio non pensarci va'...
RispondiEliminaRepetita iuvant. La fortuna di questo blog è anche la qualità degli utenti/ospiti. A suo tempo, il prof. mi rispose così: c'è del metodo in questo. Allora tardai a recepire. Ora, mi azzardo a chiosare: similes cum similibus facilior coniugantur.
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