sabato 30 settembre 2017

Solidarietà a Jacques Sapir

Mi ero sempre chiesto cosa fosse quell'"hypothèses" che compariva nell'URL del blog di Jacques Sapir: http://russeurope.hypotheses.org/, ma questo dubbio non era esattamente in testa alla lista delle mie priorità, e quindi non avevo mai approfondito.

Hypothèses, con Calenda, Revues.org, OpenEdition Books, è una piattaforma informatica inserita nel portale francese Open Edition, un progetto il cui scopo è quello di promuovere la pubblicazione e la discussione di risultati scientifici nell'ambito delle scienze umane e sociali secondo i criteri dell'open access. Tanto per placare subito i lettori fallaciati, chiarisco che qui Soros non c'entra molto: anch'io ho pubblicato in open access, tant'è vero che se cliccate qui potete leggere uno dei miei ultimi articoli. Quindi placate i vostri riflessi pavloviani: la open society è un'altra cosa, e andiamo avanti.

Il portale si articola su quattro assi: pubblicazione di riviste on line (Revues.org), pubblicazione di ebook (OpenEdition), una bacheca di eventi scientifici (Calenda), e un aggregatore di blog, appunto, Hypothèses. Quest'ultimo comprende 2408 blog, fra cui anche LEO (L'Edition électronique ouverte), blog di Open Edition che informa sugli sviluppi del progetto. Il 28 settembre questo blog annunciava che il Comitato scientifico di Hypothèses e quello di Open Edition sospendevano il blog di Sapir, aperto cinque anni or sono, a causa della pubblicazione di post privi di attinenza con il contesto scientifico e accademico del blog. I contenuti pubblicati non verranno rimossi, ma a Jacques verrà impedito di pubblicare nuovi post sulla piattaforma.

Voi sapete benissimo come la penso: quando a me accadde una cosa sostanzialmente simile, ne presi atto e reagii con successo. Ma il mio temperamento è portato agli estremi: se subisco un torto, non penso a ottenere giustizia, ma più semplicemente a schiacciare chi me lo ha fatto. Jacques, invece, ha una mentalità più strategica. Pubblicare su Hypothèses, in effetti, ha un suo valore. Il fatto che l'aggregatore raccolga 2408 blog significa che scrivendoci ci si rivolge a un pubblico potenziale di diverse migliaia di persone qualificate (insomma, non vorrei dirvelo: non a dei buzzurri come voi...). Questo spiega, fra l'altro, perché, nonostante Russeurope faccia circa un terzo degli accessi di Goofynomics, Jacques sia (meritatamente) molto più influente in rete di chi vi scrive (un pezzo di questa storia è anche la vostra scelta di farmi scrivere in italiano perché, detto con affetto, siete dei poverini...).

Ieri Jacques ha scritto ai membri del Manifesto di Solidarietà Europea per chiarire la situazione:



Carissimi,

Hypothese.org e Open Edition hanno sospeso l’accesso al mio blog RussEurope. Non posso scrivere più sul mio blog. In una breve lettera pubblicata sul mio blog il direttore di Open Edition, Marin Dacos, spiega che questa misura è stata presa perché i miei ultimi post non sono più “accademici”. In effetti fin dagli esordi del blog ho pubblicato articoli di diverso tipo, che vanno da lunghi articoli scientifici, a pezzi brevi. Questo pezzo del 22 settembre 2012 dà un buon esempio del contenuto “politico” di alcuni miei post.

L’accusa di utilizzare il blog come spazio puramente politico è falsa e tende a occultare il fatto che è impossibile scrivere di economia o scienze politiche senza essere coinvolti in polemiche politiche. Ho sempre rispettato lo statuto di Open Edition e in particolare il suo capitolo 10 che definisce i diritti e gli obblighi degli autori.

Il fatto che Dacos sia, dai primi di luglio, consulente di un direttore del Ministo dell’Istruzione Superiore e della Ricerca del governo francese potrebbe spiegare perché mi sia stata applicata una simile sanzione. Come minimo, c’è un conflitto di interessi fra la posizione di Dacos come direttore di Open edition e la sua nuova funzione di consulente ministeriale.

Naturalmente è del tutto verosimile che il successo del mio blog, che è passato da 26000 a oltre 200000 connessioni al mese


spieghi perché quello che veniva ritenuto tollerabile nel 2012 non lo sia più nel 2017 sotto il governo Macron.

Questa sospensione è un atto arbitrario di censura politicamente motivata.

Ho già ricevuto il sostegno di diversi professori francesi, fra cui Giavarini, Lecour, Taguiev, Rials, e altri. Chiedo solennemente a Dacos e al suo superiore gerarchico presso il Ministero, Alain Beretz, di garantirmi nuovamente pieno accesso a RussEurope.

Potete inviare le vostre proteste a Dacos (marin.dacos@openedition.fr) e Beretz (alain.beretz@recherche.gouv.fr).

Cordialmente.

Jacques Sapir


Vorrei aggiungere qualche considerazione.

Una si salda al post in cui vi ho riportato l'invettiva di Cesaratto contro la sinistra.

Alla fine anche lui non ce l'ha fatta più. Il mio punto di non ritorno è arrivato un po' prima, e sapete tutti quando: quando all'inizio di quest'anno la sostanziale acquiescenza di Fassina alla decisione di Forenza di escludermi dal Plan B (avrebbe dovuto fare una sana politica della sedia vuota: ma l'ha fatta ugualmente, sedendocisi), preceduta dal diniego suo e di D'Attorre di prestare attenzione al tema delle fake news, e seguita dal convinto sostegno verbale dato da Fassina alle iniziative censorie della terza carica dello Stato (a mio parere potenzialmente eversive, perché tale ritengo l'affidare la definizione di "verità" in ambito politico a enti "tecnici" e ad attori privati per lo più rei di aver scientemente falsificato dati storici - come questo blog ha dimostrato in diverse occasioni - e a esperti dal curriculum quanto meno meritevole di approfondimento...), mi convinsero che queste persone, che erano state alleati piuttosto inefficienti, si stavano trasformando in nemici assolutamente spietati ed efficientissimi dell'unico bene al quale tengo: la mia libertà di parola (e ci tengo perché è la mia libertà che vi ha portato qui). Elogiando le iniziative irresponsabili di chi, in spregio al dettato costituzionale, ha deciso di arrogarsi una funzione di indirizzo politico che spetta al governo, facendo strame della posizione di terzietà che dovrebbe essere assunta e mantenuta da chi dirige il dibattito parlamentare, il gatto e la volpe, l'unico lembo di sinistra col quale mi fosse sembrato possibile costruire qualcosa, si ponevano senza mediazione e senza redenzione oltre la sottile linea rossa.

Per alcuni mesi mi sono chiesto se avessi esagerato.

Quando ho incontrato Fassina a un convegno promosso da Baldassarri mi è venuto abbastanza spontaneo non salutarlo, ritenendo che lui non lo meritasse e sapendo che non avevo nulla da dirgli, né da farmi dire. Eppure, come sapete, io sono un buono: preferisco essere cortese, mantenere le forme, essere amico di tutti. Mi restava il dubbio di essere stato troppo integralista sul tema della libertà di espressione.

Quanto accade a Jacques mi dimostra che purtroppo avevo ragione. Fermo restando che i miei clic (metaforici o reali) sono tutti irreversibili, e tanto più quanto sono più ingiusti (perché servono a insegnarvi che la vita è ingiusta), e dato quindi per assodato che in ogni caso non sarei tornato sulla decisione presa, resta il fatto che nel contesto attuale di spiaggiamento della sinistra, descritto da questi dati:


e spiegato in questo mio articolo:


dove mi ero permesso di chiarire col solito anticipo che la sinistra si stava suicidando a causa della sua adesione al paradigma neoliberista (il fenomeno che Cesaratto chiama: "sinistra monetarista"), questi sviluppi, insomma, ci fanno capire che le socialdemocrazie utili idiote del capitale, che hanno garantito la tenuta sociale di un sistema in cui gli shock si scaricano sui redditi della maggioranza, hanno un'unica possibilità di resistere allo sgretolamento: ricorrere alla violenza della censura.

L'ho detto mille volte, e lo ripeto: quando, per il fatto di aver inibito gli aggiustamenti di cambio, crei un sistema in cui l'unica valvola di sfogo è la compressione dei salari... l'esito inevitabile è la compressione dei diritti politici!

Quindi, no, non credo di aver sbagliato nell'interrompere i rapporti con i complici della censora: ancora una volta i fatto dimostrano che il fronte è dove l'ho individuato, e il nemico è quello che avevo nel collimatore. Il caso di Jacques non è il primo, non sarà l'ultimo, ma è particolarmente significativo.

Ci sono poi alcune considerazioni che riguardano il signor Dacos, che non conosco, ma al quale credo che sarebbe il caso che faceste pervenire una breve nota invitandolo a riconsiderare la sua decisione.

Dacos, in effetti, è quello che in francese si direbbe un pauvre sire: da questa storia lui, con i suoi pennacchi CNRS-ministeriali, esce piuttosto male per almeno tre motivi.

Il primo è adombrato nella lettera di Jacques, ma vale la pena di esplicitarlo: partire dall'assunto che il dibattito nelle scienze sociali debba, o anche soltanto possa, spogliarsi della sua dimensione politica, significa sposare toto corde l'agenda liberista, la cui essenza, come avete potuto apprezzare seguendo questo blog, e come era del resto chiaro anche a Keynes, consiste nel tentativo di trasformare le scienze sociali in scienze naturali, per i noti motivi (ostentare prestigio intellettuale, imporre una narrazione moralistica, perseguire bellezza formale, deresponsabilizzare gli intellettuali, ecc.: tutte cose che trovate qui nel terzo paragrafo). Il povero Dacos si trova quindi in una situazione analoga a quella della terza carica dello Stato: lui dovrebbe garantire il dibattito su una piattaforma aperta (lei in un parlamento), e entrambi lo fanno, o meglio pretendono di farlo, partendo da una forte petizione di principio in favore dei principi neoliberali (sui quali ormai perfino gli economisti cosiddetti mainstream cominciano ad avere qualche dubbio). Sono cose che riconciliano con la morte della sinistra.

Il secondo motivo è anch'esso delineato da Jacques: non è certo la prima volta che l'analisi socioeconomica porta Jacques a criticare un presidente in carica. Hollande ha preso la sua vagonata di sberle, ma nessuno ha mai pensato, per quattro anni, di sospendere il blog di Jacques perché era "partigiano" (nel senso di "di parte" - avversa al presidente). Il fatto che poco dopo la nomina a consulente governativo del direttore della piattaforma parta il provvedimento censorio oggettivamente porta a credere che Dacos stia eseguendo ordini. Magari non sarà così: forse, a dirgli di sospendere Jacques, è stato l'arcangelo Gabriele, o la sua coscienza. Ma il fatto è che in ogni caso sembra così, e bisognerebbe ricordarsi che la moglie di Cesare, così come la terza carica dello Stato, o chi si fa vanto e fregio di promuovere una discussione "aperta", non deve solo essere onesto: deve anche, e soprattutto, sembrarlo.

Del terzo motivo Jacques non parla, per carità di patria, ma possiamo farlo noi. Come dicono a Livorno, Macron ce n'ha per du'... I fondamentali macroeconomici lo condannavano, come abbiamo visto, e la sconfitta della Merkel (più esattamente: la progressione dei liberali) gli danno il colpo di grazia. Il poverino sarà costretto a fare politiche impopolari sul fronte interno, senza nemmeno poter placare gli elettori con qualche scampolo di grandeur acquistato sulla bancarella dell'altra Europa. Quando il governo del fesso megalomane cadrà rovinosamente, il povero Dacos rimpiangerà di aver puntato una somma così elevata di reputazione sul cavallo che tutti noi, qui, grazie al ragionamento scientifico, sappiamo essere quello sbagliato. I fondamentali macroeconomici non perdonano nessuno speculatore: Dacos non sarà certo il primo (né l'ultimo) a prendere una bella lessata, a tempo debito. Si renderà allora conto di avere il vuoto intorno: perché per i perdenti, come lui sarà e ha dimostrato di essere col suo gesto, non c'è solidarietà. Per i combattenti, come Jacques, invece c'è: e sta a voi dimostrarla, come già hanno fatto molti ai quali ho comunicato per le vie brevi. Semplicemente, chiedete che Jacques possa continuare a pubblicare.

A mio parere, Dacos non restituirà i diritti di accesso a Jacques. Farlo sarebbe per lui una terribile sconfitta. Preferirà attendere che gli crolli in testa la Bastiglia (e, del resto, anche al governatore della Bastiglia aprire le porte non portò bene). Ma non sarà inutile far vedere a questa gente che siamo tanti: bisogna che abbiano paura. La mossa intrapresa contro Jacques è già un segno di paura, nella sua irrazionalità. Più paura avranno, più errori commetteranno. E per terrorizzarli non c'è bisogno di molto: basta, con molta cortesia, far notare che noi esistiamo, e non siamo d'accordo. Il resto, poi, lo faranno gli elettori francesi. Nel frattempo, Jacques si sarà aperto un suo blog, e avrà schiacciato la concorrenza, come facemmo noi. Ma aiutarlo a difendere il punto è doveroso, e spero di essere riuscito a spiegarvi perché. Quindi, coraggio: una email ai nostri due nuovi amici, e poi giriamo pagina...

giovedì 28 settembre 2017

Il processo alla sinistra

Questa la requisitoria del pubblico ministero Sergio Cesaratto, nella quale c'è tutto quello che ci avrei messo io, con una cosa in più: la voglia, che non ho più, di ripetere verità tanto amare per chi le pronuncia quanto, ahimè, inutili per quelli cui si rivolgono.

Giudice è la Storia.

La condanna è la morte (della sinistra), e il boia è la sinistra stessa.

Non ho altro da aggiungere.

mercoledì 27 settembre 2017

Ci siamo...

Dice: "Si chiamano occhiali da computer. Una volta si chiamavano occhiali da musica...". 

Dico: "Io sono un tipo all'antica!"


(...e voi aspetterete un po': la moderazione dei commenti è meglio che non la faccia più dal cellulare. Per il resto, ho perso diversi chili, e un po' di vista. Ma da lontano ci vedo benissimo, e questo lo sapete...)

martedì 26 settembre 2017

Brexit e ripresa in una figura

Si è parlato molto nei post precedenti del ruolo delle "figure" nella formazione degli individui. Questa mattina, prendendo lo zaino di Uga, uno dei vantaggi della comunicazione "visuale" mi è immediatamente balzato agli occhi, o meglio ai bicipiti: le figure prendono spazio, ed esigono carta di una certa qualità. Ne beneficiano ortopedici e, naturalmente, editori, cui non pare vero di poter diluire in macigni da un chilo l'uno quello che un tempo poteva essere contenuto in manuali più snelli, anche se, in effetti, meno sgargianti.

Questa non vuole essere una critica radicale e senza appello: naturalmente le figure spesso servono, e questo potrebbe essere un buon esempio. Incrociando i dati sui tassi di crescita di Italia, Grecia, Portogallo e Spagna, Lorenzo Totaro di Bloomberg nota che, nonostante tutto il terrorismo sulla Brexit, l'Inghilterra continua ad accogliere molte persone in provenienza dai paesi dove la crescita in pratica non c'è (o almeno noi non la vediamo: ma è dei fenomeni il manifestarsi...).

Resta da chiedersi quale crescita sia quella che invece vediamo negli altri paesi. Sulla Spagna ci siamo dati delle risposte piuttosto univoche. Resta da fare lo stesso lavoro per il Portogallo, dove, corre voce, dei compagni tanto bravi e tanto cheinesiani stanno facendo cose egregie (così mi si dice). Ma lo facciamo un'altra volta: mi resta da scrivere una lettera di invito per il #goofy6 (coming soon)...

lunedì 25 settembre 2017

QED 84: AfD (quei nazisty dei povery...)

...e poco più di 24 ore dopo (scusatemi, avevo da fare) arriva puntuale come la Morte il QED. I dati sulla distribuzione dei voti per Land sono disponibili qui (ringrazio @Stat_wald) e incrociandoli con i dati sul reddito pro-capite (in logaritmi) si ottiene questa cosa qui:


cioè questa cosa qui:

Il reddito pro capite (misurato in euro per persona e convertito in logaritmi) spiega il 44.8% della variabilità del voto per AfD, con una t di Student di -3.37, significativa all'1% (ovvero: la probabilità che questa relazione sia nulla, sia un artefatto statistico, uno scherzo del caso, è inferiore all'1%).

Eppure, sui giornali, è tutto uno stupirsi, uno stracciarsi le vesti sull'avanzata dei nazisti razzisti xenofobi!

A parte il fatto che il risultato era scontato (almeno, per noi lo era), vorrei evidenziare che perfino Fassina è costretto ad ammettere che la xenofobia (che non è il razzismo: ad esempio, a me fanno paura i tedeschi, e più sono ariani più me ne fanno) con quanto è successo c'entra ben poco, perché AfD ha avuto più voti dove l'immigrazione è stata più bassa.

Sta succedendo semplicemente quanto ho annunciato, in modo secondo me molto limpido, ma senza che nessuno lo capisse veramente (forse c'era bisogno del disegnino) nel 2011, scrivendo sul manifesto: le politiche di destra, nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra. Come diceva molto saggiamente Celso: avete fatto le politiche di Bruning (in Italia le ha fatte anche Fassina, per un po'), e poi vi stupite se la gente vota a destra?

I nostri gazzettieri dovrebbero fare molta attenzione nel parlare a sproposito di nazismo. Demonizzare l'avversario è una tattica molto stupida, perché espone a un ovvio contraccolpo: c'è il caso che le persone si chiedano se il nazismo (quello vero) è tanto peggiore del PD! Ma soprattutto la demonizzazione chiude spazi politici (la Merkel è costretta a un'alleanza traballante con i Verdi anziché a una più solida con AfD perché ha condotto una simpatica caccia alle streghe contro i suoi esponenti), e chiude percorsi di comprensione.

Ad esempio, il gazzettiere medio, o chi quotidianamente si abbevera al suo sterco, avrà fatto spallucce, dicendo: "Ma questo Bagnai, che scemenze dice! La Merkel ama gli immigrati, non è rasssisstaaah come AfD..." (infatti, s'è visto: vedi alla voce "nuove priorità"...). Sfugge totalmente che l'AfD, come la CDU, è un partito liberal-liberisteggiante. E su questo ci sarebbero tanti discorsi da fare, ma ora devo lasciarvi. Vi ricordo solo che nel Tramonto dell'euro era spiegato molto bene che le meravigliose "riforme" tedesche avrebbero fatto tanti danni, perché avevano causato tanta povertà in Germania (che il governo nascondeva sotto il tappeto).

E anche su questo oggi i gazzettieri ci cadono dal pero...

Ma siamo proprio sicuri di doverli mantenere con le nostre imposte? Tanto, per sapere quello che succede nel 2017, a voi basta leggere p. 228 di un libro pubblicato nel 2012:








domenica 24 settembre 2017

Chi voterà i nazisti?

Intanto, per diversamente europei, un ripassino de #lebbasi. La cartina politica della Germania la trovate qui, e quali fra gli stati federati appartenessero all'ex RDT potete vederlo qui, laddove vi dimenticaste che l'est è a destra (mai come in questo caso, temo). Viste #lebbasi, passiamo ai fondamentali, dove ho evidenziato in rosso per voi gli stati federati dell'est.

Disoccupazione

  


Crescita del PIL
(rectius: del valore aggiunto ai prezzi base in termini reali)



Reddito pro capite



Povertà e rischio di esclusione sociale

Dati regionali non disponibili (!).



Che peccato! Purtroppissimo i dati più preziosi per intuire la distribuzione geografica di un eventuale voto "di protesta" non sono disponibili. Sappiamo che non è un caso: come farebbero, altrimenti, i gazzettieri cialtroni delle colonie ad alimentare il mito di una Germania invincibile? Ma noi sappiamo che così non è, che la Germania è pervasa da pericolose tensioni sociali e razziali, e voi lo sapete quasi tutti da quando lo avete letto ne Il tramonto dell'euro. Capisco che il governo tedesco voglia nasconderlo, ma non fa niente. I dati di cui disponiamo bastano per farci un'idea. Domani potremo vedere se questa idea sia giusta o sbagliata, lavorando come abbiamo fatto qui.

Buon divertimento!

sabato 23 settembre 2017

Simmetrie

Chi è qui da un po' se lo ricorda: ho passato i primi sei anni di questa battaglia a sentirmi dire che sì, l'euro non funziona, ma bisogna stare attenti a come se ne esce, perché se non si esce abbastanza da sinistra si rischia di sgretolare quel presidio delle classi subalterne che è il salario reale: ce lo insegnava l'esperienza degli anni '90, nel corso dei quali la quota salari era diminuita a seguito di una svalutazione. A nulla serviva far notare che tutto quanto veniva etichettato come "uscita da sinistra" era già ampiamente presente nel mio testo del 2012, e a nulla servì scrivere nel 2014 un altro testo, rovinandomi la salute (sono tornato sotto gli 80 chili solo pochi giorni fa, e intendo restarci), nel tentativo di chiarire le già perspicue pagine del Tramonto dell'euro. Vano fu documentare come la svalutazione nominale di norma non erodesse il salario reale, e rimarcare che la preoccupazione sulla fetta (il monte salari) di una torta in caduta libera (il Pil nominale) era sì commendevole, ma un tantinello troppo accademica date le circostanze.

Finì molto male: la sinistra si ritrovò senza economisti, come ora è (non si possono definire economisti i simpatici colleghi pre-keynesiani della sinistra di "governo", né gli scappati di casa che usualmente adornano i consessi della sinistra "di lotta"), perché né quelli che ce lo avevano più a sinistra, né quelli che ce lo avevano dove normalmente si trova, ritennero, dopo anni di guerriglia fratricida (promossa da quelli che si ritenevano migliori), di aver trovato una sponda minimamente attendibile in quella parte politica, e, d'altro canto, suppongo che anche quei politici, se avessero voluto capirci qualcosa, difficilmente avrebbero potuto farlo nella selva di argomentazioni capziose strumentalmente sollevate per preservare la propria market share dagli incumbent che si sentivano minacciati.

P.Q.M.

vi rappresento qui formalmente la mia decisione di non passare simmetricamente i prossimi sei anni di questa battaglia a sentirmi dire che sì, l'euro, anzi, l'Europa non funzionano, ma bisogna stare attenti a come se ne esce, perché se non si esce abbastanza da destra si rischia di sgretolare quel presidio delle classi subalterne che è la sovranità nazionale, atteso che le rivendicazioni localistiche sono un elemento corrosivo dell'identità nazionale, e dissolvere queste identità è funzionale al progetto imperiale europeo. Non dico che in questo argomento non ci sia del giusto: anzi! Basta vedere come Leuropa utilizza strumentalmente le pulsioni separatiste per creare problemi al nemico di turno (qui l'ottima sintesi di Flavio). Del resto, c'era del giusto anche nell'osservazione che la quota salari negli anni '90 era calata (ma non nei motivi addotti per spiegarlo...). Semplicemente, questo gioco non mi interessa. Non so se la vita sia fatta di priorità, ma la politica, se vuole essere tale, senz'altro deve esserlo, e in questo momento le mie priorità, che vi prego di rispettare come io rispetto le vostre, sono altre.

Al suicidio della sinistra ho dovuto assistere. Nonostante loro mi rinnegassero, quella era casa mia, e l'amaro calice non potevo non berlo fino in fondo. Se anche la destra si vuole suicidare, prego si accomodi, ma nella stanza accanto, perché io qui sto studiando e non voglio essere disturbato.

Già che ci siamo, vi dico anche da subito chi voterò. Voterò, come ho fatto nelle tornate precedenti e come sapete, esattamente quella o quelle persone che Eugenio Scalfari, laddove il Signore nella sua infinita misericordia e imperscrutabile sagacia abbia la bontà di conservarcelo fino a quel momento, ci avrà detto di non votare. Mi affretto a soggiungere che io auspico che il Signore sia misericordioso, e questo non solo per una mia intrinseca mitezza e bontà d'animo, quanto anche per un certo egoismo: la valutazione del dr. Scalfari mi solleverà dal doloroso e imbarazzante compito di scegliere quale votare fra i tanti potenziali perdenti delle prossime elezioni. Sarà lui, la cara immagine paterna, specchio di saggezza ed esempio di lungimiranza, a indicarmi verso dove indirizzare il mio voto. E io, di questo, gli sono già grato.

Quando al resto, ognuno si diverte come vuole, e, soprattutto, come può. Io, ad esempio, prima di friggermi gli occhi col PC e il telefonino, mi divertivo anche così:


Ora faccio un po' più fatica, ma comunque accanto alla scrivania mi sono messo questo:



per ricordarmi che mettere a fuoco da lontano poche note fa molto meglio alla salute che mettere a fuoco da vicino tante cazzate. Me ne sono accorto tardi, ma sapete che io sono un po' lento, e che per compensare, una volta capito, e presa una decisione, sono inesorabile.

C'est là mon moindre défaut...

D'altra parte, non potete chiedere al presidente di a/simmetrie di tollerare una simile simmetria!

O no?

Si apra la discussione, che sarà ampia ed articolata, come tutte le discussioni sul nulla. Ma io sono di sinistra, quindi ci sono abituato...

Macron, Le Pen, e una verità scioccante sull'Eurozona

(...ogni tanto vi do dei compiti da fare, ma poi, siccome devo correggere quelli che sono pagato per correggere, mi dimentico di correggere i vostri. Oggi arriva la correzione. Enjoy!...)


La disastrosa prestazione di Marine Le Pen nel secondo dibattito delle presidenziali ha imposto un cambio di passo al dibattito sull'integrazione europea. Indipendentemente da come lo si consideri (molti lo considerano positivamente), questo autentico suicidio politico ha un che di enigmatico, o forse ci ricorda semplicemente l'importanza del fattore umano. Molti francesi che sarebbero stati disposti a votare anche il diavolo pur di dare un segnale, dopo aver visto la Le Pen farfugliare di doppia moneta, sulla base del precedente (?) dell'ECU che sarebbe stato utilizzato dalle imprese per effettuare i pagamenti (?), hanno reagito come un mio amico di sinistra che ovviamente non posso nominare (apprezzerete il gesto di scrivermi in italiano):


Caro Alberto,

La bionda si è suicidata in diretta alla tv. Da qui, mi viene in mente tre possibilita : (i) Non ha le capacità, (ii) Somiglia al suo padre e non voleva del potere, (iii) E stata creata dal sistema, ne fa parte e serve soltanto per fare paura al francese medio.
Veramente, non c'è nessuno di serio per rappresentarci : ne a destra, ne a sinistra. Domenica andrò a pescare.

La vittoria dell'astensionismo si spiega anche così. Le conseguenze sono ora sotto gli occhi di tutti. Da un lato, con un certo anticipo su quanto avevamo previsto, tutti si stanno accorgendo che Macron non è una soluzione (il che ovviamente non implica sic et simpliciter che Le Pen lo sarebbe stata). Dall'altro, come era facilmente prevedibile, il partito della Le Pen si sta disgregando, il che dovrebbe essere di monito ai leader (o presunti tali) politici nei loro tentativi di mediare fra l'esigenza di restare ancorati ai fondamentali macroeconomici, che inesorabilmente condannano il progetto europeo, e gli umori dell'elettorato, che in questo momento sembrano improntati all'euforia o alla rassegnazione (o almeno così vengono rappresentati dai media ai politici, che, qui come lì, il polso della situazione non ce l'hanno, perché "popolo" per loro non è che un'astrazione...).

La lezione francese è che chi deflette perde: quindi, viene da pensare, meglio perdere con la schiena dritta...

Comunque, visto come vanno le cose, posso riproporvi un paio di slides che avevo preparato nello scorso inverno, così, per divertimento, e poi avevo lasciato lì: servono a illustrare con un semplice disegnino una scioccante verità sul meccanismo con cui l'Eurozona risponde agli shock esterni. Oggi anche Fassina sarebbe in grado di ripetere "se non svaluti la moneta svaluti il lavoro" (e se ha smesso di farlo è solo perché Le Pen ha smesso di farlo; chiaro indice della subalternità del campo "progressista"). Ma fra ripeterlo e capirlo c'è molta strada, e forse vederlo può aiutare a percorrerla più rapidamente. Non credo che Fassina abbia bisogno di aiuto: lui sa sbagliare da solo, soprattutto le proporzioni. Vedo però in giro molte persone che, dopo aver aperto gli occhi qui, ora stanno smarrendo la strada, e forse (dico forse) a loro può essere utile essere richiamati dalla dimensione emotiva della propaganda a quella razionale dei dati di fatto.

Intanto, bisogna capire cosa intendiamo per "shock esterni". In parole povere, per shock esterni noi qui, in Europa, intendiamo recessioni provenienti dagli Stati Uniti. Gli Stati Uniti restano, ad oggi, di gran lunga la prima economia mondiale:


(...questi sono i dati del 2016, misurati come devono esserlo se quello che interessa è valutare la capacità di spesa di un'economia sui mercati globali, piuttosto che il benessere  - ovvero il potere d'acquisto - dei suoi cittadini. Nel primo caso, che è quello che ci interessa, visto che le economie interagiscono tramite il commercio - cioè attraverso quanto i loro cittadini comprano a casa altrui, non a casa propria! - occorre far riferimento ai dati misurati a prezzi correnti e convertiti al tasso di cambio di mercato nella valuta utilizzata per gli scambi internazionali, che è sostanzialmente il dollaro. Così facendo si misura quanto la singola economia può comprare - se cresce - o smette di comprare - se cala - dai suoi partner commerciali. Non sarebbe invece corretto utilizzare in questa valutazione misure del Pil a parità dei poteri di acquisto, che servono a capire quanto i cittadini di un paese possono comprare a casa loro, non sui mercati internazionali. Questo punto regolarmente sfugge nel dibattito, regalandoci quei titoloni insensati delle nostre gazzette, secondo cui la Cina avrebbe superato gli Usa in termini di Pil. Naturalmente siccome con un dollaro Usa compri più riso a Shanghai che a New York, e siccome i cinesi sono un po' più degli americani, se misuri il Pil in "riso acquistabile pro capite" (ovvero, a parità di poteri d'acquisto) e poi moltiplichi per gli abitanti ottieni risultati molto incoraggianti per la Cina! Se però avete avuto l'impressione che in media sia meglio vivere a New York, posso confermarvi che non avete avuto torto. La disuguaglianza c'è ovunque, ma trovarsi dalla parte sbagliata di essa in Cina è molto peggio che trovarcisi negli Usa. Chiusa la parentesi metodologica...)

Non solo: gli Stati Uniti sono molto più interconnessi con noi, in termini di flussi finanziari e di flussi di investimenti in genere, della Cina. I dati per l'Eurozona e per i suoi paesi membri sono qui e questa è una schermata riassuntiva:



Non so se è chiaro: stiamo parlando di investimenti diretti (questi sconosciuti...) ed è assolutamnte evidente che non solo la posizione netta dell'Eurozona verso gli Stati Uniti è fra le tre e le cinque volte quella verso la Cina, ma soprattutto che le rispettive esposizioni lorde sono infinitamente più grandi nel caso degli Usa: a spanna, gli europei investono negli Usa (e gli statunitensi in Europa) circa venti volte più di quanto lo facciano i cinesi (i dati cambiano di trimestre in trimestre, ma gli ordini di grandezza sono questi...).

Capite bene quindi perché personalmente sbuffi con insofferenza quando il cretino di turno cerca di farmi paura con la Cina! L'elefante nella cristalleria globale, o, per dirla con Bersani, la megattera nello sciacquone, non è certo la Cina (che comunque prima o poi del male ce lo farà): sono gli Stati Uniti.

Questa riflessione è utile perché le esperienze storiche degli ultimi decenni ci consentono di osservare cosa accade all'economia europea quando gli Stati Uniti vanno in recessione, confrontando cosa accade in regime di cambi aggiustabili, o in regime di cambi irrevocabilmente (?) fissi (cioè sotto l'euro). Insomma: osservando i dati storici dagli anni '90 ad oggi siamo in grado di vedere come reagisce a uno shock l'Eurozona, e come reagiva il Sistema Monetario Europeo (SME), in cui le parità erano aggiustabili. A gennaio di quest'anno mi ero trovato a fare questo esercizio per la Francia, partendo da un dato di fatto che regolarmente sfugge ai commentatori dilettanti: le due più gravi crisi europee di bilancia dei pagamenti degli ultimi trent'anni (quella del 1992-93 e quella del 2009-10) sono state entrambe precedute da uno shock esterno, cioè da una recessione Usa.

Tutti ricordano che nel 1992 le economie europee erano state messe sotto stress dalla politica tedesca di alti tassi di interesse. I nostri fratelli tedeschi volevano alti tassi per risolvere un loro problema, la riunificazione tedesca, il cui impatto è ben descritto qui. Gli alti tassi, come immaginate, servivano loro per attrarre capitali i capitali necessari all'Anschluss, ma erano molto meno opportuni per le economie europee più indebitate, come la nostra, cui rendevano più onerose le condizioni di finanziamento del debito, e sottraevano (convogliandoli in Germania) i capitali necessari per il rifinanziamento. Il decoupling della Germania dagli Usa si vede bene qui:


Prima del 1989 il tasso sui prestiti (lending rate) tedesco si muoveva più o meno di conserva con quello Usa (si farebbe prima a dire: quello mondiale, dato che oggi come ieri la piazza finanziaria di gran lunga più importante a livello globale resta Wall Street - con buona pace degli imbecilli che "oggi c'è la Ciiiiina!"). Dal 1989 in avanti è evidente una grande divergenza che arriva fino al 1992, per poi ricomporsi quando la Germania, dopo aver costretto i suoi confratelli europei più deboli a svalutare (per rianimare le proprie economie compresse dai tassi di interesse troppo alti), dovette a sua volta ridurre i tassi di interesse (per rianimare la propria economia messa in difficoltà dal tasso di cambio troppo alto).

Questo molti lo ricordano, ma non molti ricordano invece che un pezzo delle tensioni che mandarono in cocci lo SME proveniva dagli Stati Uniti. Lo vedete qui, dove ho riportato la crescita del Pil statunitense (barre azzurre) insieme con la disoccupazione francese (in arancione) e tedesca (in grigio):



Il 1991 fu negli Usa un anno di recessione (come lo sarebbero stati il 2001 e il 2009), il che spiega due cose: perché il tasso di interesse Usa diverge vistosamente verso il basso fra 1991 e 1992 (arriva una recessione, la Fed abbassa i tassi), e perché noi ci trovammo in difficoltà coi conti esteri nonostante stessimo facendo "le riforme strutturali" (che poi sapete che il nesso è un altro: si viene messi in difficoltà per fare le riforme strutturali...).

Certo che il mondo è proprio cambiato! Pensate! Alla fine degli anni '80 ai tedeschi facevano comodo tassi di interesse più alti (mentre ora...), mentre gli Stati Uniti rispondevano a una crisi della propria economia abbassando i tassi (mentre ora...).

Come dite?

Non è cambiato niente?

Sicuramente non è molto: le tensioni hanno origine e segno molto simili, il che, in fondo, serve a ricordarci che la storia ha sempre qualcosa da insegnarci, soprattutto se parliamo di pochi anni fa, non del Pleistocene (con tutto il rispetto per il Pleistocene, si intende). Ma qualcosa, come vedremo, è cambiato.

Ragioniamo allora sui tassi di disoccupazione dei paesi europei.

In seguito allo shock del 1992, vediamo che il tasso di disoccupazione aumenta in Francia e in Germania, di conserva, e di conserva si riduce a partire dal 1997. In seguito allo shock del 2009, invece, il tasso di disoccupazione tedesco e francese divergono: il primo si riduce, e il secondo aumenta.

Perché?

Per capirlo, dobbiamo dare un'occhiata al tasso di cambio reale bilaterale fra Francia e Germania, che possiamo approssimare come rapporto fra i rispettivi tassi di cambio reali effettivi (sul senso di questa misura e su possibili alternative ci siamo confrontati qui, parlando del fallimento di Macron).

La situazione è questa:

L'economia francese rispose alla crisi del 1992 con una rilevante svalutazione in termini reali rispetto a quella tedesca. Il tasso di cambio nominale del franco rispetto all'Ecu, in effetti, non cedette (come molti ricorderanno):


Al contrario, se nel 1991 per acquistare un Ecu ci volevano 6.95 franchi, nel 1993 ce ne volevano solo 6.57, a indicare che il tasso di cambio nominale bilaterale fra franco e Ecu si era rafforzato (il franco valeva di più). Tuttavia, pur avendo entrambe difeso la parità nominale con l'Ecu, Francia e Germania dopo la crisi si trovarono in condizioni molto diverse in termini di competitività misurata dai costi del lavoro relativi, come si vede qui:


Lo RNULC (relative unit labour cost) della Germania con la crisi aumenta del 16% fra 1991 e 1994 (passando da 99.67 a 115.28), mentre quello della Francia resta stabile attorno a 109 (sono numeri indici a base 2005=100). In effetti, la svalutazione dei PIIGS dell'epoca (Inghilterra e Italia) aveva reso i loro beni molto più convenienti, e questo aveva messo fuori mercato più della Francia la Germania (che competeva con i PIIGS in particolare nel settore della meccanica, come abbiamo recentemente ricordato).

Quella che si vede in giallo nel grafico precedente quindi, più che una svalutazione in termini reali della Francia, è una rivalutazione in termini reali della Germania, determinata dal movimento complessivo delle valute dello Sme, pur in assenza di un riallineamento francese. Insomma: si torna alla solita storia che lo scopo dell'euro non è impedire all'Italia di svalutare, ma alla Germania di rivalutare, e questo non solo e non tanto rispetto all'Italia, ma in generale (perché se l'Italia svaluta, una vettura italiana non diventa più conveniente solo per un tedesco, ma anche per un francese)!

Dopo il 2009, invece, il tasso di cambio reale resta stabile fra Francia e Germania, e le conseguenze si vedono se si combinano le informazioni dei grafici precedenti in modo da mostrare lo scarto fra i tassi di disoccupazione e di cambio reale:


Nel 1992, in seguito allo shock, la Francia aumentò la propria competitività relativa rispetto alla Germania (perché la Germania peggiorò la propria competitività rispetto alla Francia), il che le consentì di ridurre (se pure lievemente) lo scarto fra la propria disoccupazione e quella tedesca. Nel 2009 la Francia peggiorò lievemente la propria competitività rispetto alla Germania, il che mandò da meno di due a più di cinque punti lo scarto fra disoccupazione francese e tedesca. Nel primo caso possiamo dire che la svalutazione del cambio nominale dei paesi periferici, data la struttura del commercio intra-zona, evitò alla Francia di svalutare troppo il lavoro. Nel secondo caso, viceversa, l'implosione dei paesi periferici sta per costringere la Francia a una svalutazione massiccia del lavoro (svalutazione interna, taglio dei salari), nella speranza di tenere sotto controllo la disoccupazione, rianimando l'economia con la domanda estera (esportazioni).

Questo grafico esprime quindi una verità perfettamente nota sul funzionamento dell'Eurozona, che però deve essere ritenuta molto scioccante, tant'è che i media ve la nascondono: se l'aggiustamento non può avvenire sul cambio (al ribasso), avviene sulla disoccupazione (al rialzo). Certo, dire: "La moneta unica metterà a rischio il tuo posto di lavoro!", se pure più onesto intellettualmente, non sarebbe stato altrettanto efficace politicamente. La disoccupazione ai ricchi non dispiace: gli serve a mantenere la propria supremazia, come ormai avrete capito. L'euro a questo serviva, e per questo lo volevano. Il lungo periodo è sempre un problema altrui (finché non arriva)!

Qualcuno dirà: "Ma se proprio quest'anno la disoccupazione francese è prevista a una cifra, per la prima volta dal 2013?"

Certo! Infatti tutti sono convinti che la crisi sia finita, che gli "antieuro" (?) siano sconfitti, che Macron risolverà la situazione... e questo perché tutti dimenticano un dettaglio: nel Secondo dopoguerra negli Usa si sono verificate 11 recessioni, spaziate di circa 5 anni l'una dall'altra. L'ultima dicono sia finita nel 2009. La prossima non tarderà ad arrivare. Quando l'ultima arrivò, la disoccupazione in Francia era al 7.43%. In cinque anni salì a più del 10% dove restò per quattro anni. Ora è al 9.63%. Chiaro qual è il punto?

Tanto è chiaro, che negli Usa i bravi economisti democratici già mettono le mani avanti, vaticinando una crisi "come quella del 1929", e precisando che in ogni caso, qualsiasi cosa accada, #avràstatoTrump (qui un deludente - per i suoi standard elevatissimi: ma la politica corrompe tutto e tutti - Robert Shiller). Insomma, il mercato Usa sarebbe sopravvalutato per colpa dei populismi, che consisterebbero nel promettere tagli di imposte ai ricchi (che sono il popolo?), e non perché la Fed ha cercato di rianimare l'economia mettendo in circolo quantità siderali di monetà, che son finite ad acquistare attività finanziarie anziché beni reali (prevalentemente perché in fin dei conti sono capitate in mano ai sopracitati ricchi...).

Ma a noi di quale sia la genesi della prossima crisi statunitense in fondo interessa anche poco. Quello che ci interessa è che ci sarà: e in quel momento chi ora ha tassi di disoccupazione sotto le due cifre, li vedrà rinforzarsi, e chi già li ha sopra le due cifre li vedrà esplodere, in un contesto in cui i tassi di interesse non potranno scendere ulteriormente (posto che ciò serva a qualcosa) e in cui il tasso di cambio potrà solo salire (perché se ci sarà una crisi è difficile che gli Stati Uniti rivalutino, mettendo se stessi in difficoltà: molto più probabile che svalutino, mettendo in difficoltà noi)! Quindi, come vedete, non è del tutto esatto dire che la storia si ripete, che le dinamiche in atto sono identiche a quelle già sperimentate. La situazione è molto simile, ma il contesto molto peggiore. Come i migliori economisti avevano previsto e continuano a dire, anni di moneta unica hanno portato deflazione, e questa in re ipsa ha sottratto ulteriori gradi di libertà ai politici europei. In un contesto deflattivo, la politica monetaria è impotente. Se quella fiscale ti viene impedito di farla, ecco che la strada può essere percorsa solo in discesa, che per chi, come noi, nella scala dei redditi è piuttosto in basso, somiglia tanto a una salita.

Quindi, se incontrate uno di quelli che "ne siamo fuori, arrendetevi, la vostra battaglia non ha senso", dategli una carezza, e ditegli che è la carezza di Bagnai. Quella della realtà non arriverà molto dopo. Voi cercate di resistere...