(iniziato a Orly, come l’altra volta, proseguito per tutta l’Italia, e finito a
Roma...)
A tutti coloro ai quali la Natura matrigna e un minimo di
forza di volontà hanno consentito di raggiungere un certo livello, anche lo
studio dell’economia, al pari di qualsiasi altra attività umana (lo scopone
scientifico, il beach volley, la
fisica quantistica), offre una inesauribile miniera di profonde soddisfazioni
intellettuali. Perché, vedete, gli economisti le cose non è che non le sappiano
o che non le dicano. Le sanno, e le dicono, e quando se le dicono, queste cose,
i loro rigorosi e un pochino arzigogolati discorsi somigliano tanto, ma tanto
tanto tanto, alle vostre schiette e limpide intuizioni. Solo che da un lato
loro, un po’ per pudore (forse), e molto per allungare il cv, le loro cose se
le dicono in separata sede, in linguaggio aulico, e non perdono tempo a
divulgarle. Un libro divulgativo non è un libro, in accademia, quand’anche
contribuisse, chissà, magari, forse, a orientare il dibattito politico di un
paese. Dall’altro, voi le vostre
intuizioni siete stati abituati a reprimerle: vi è stato suggerito, o meglio
imposto, di non credere ai vostri occhi, e alla fine, de guerre lasse, vi ci siete abituati.
Il luogocomunismo ha vinto.
O meglio: aveva vinto, fino a quando non è arrivato un tipo
strano che ha cominciato a spiegarvi cosa dicono gli economisti (quelli veri,
quindi non il signor
Creosoto o i gianninizzeri), usando però un linguaggio meno aulico.
E voi avete cominciato a poter credere ai vostri occhi, a
poter esprimere quello che avevate sempre pensato, riconoscendo che quanto
avevate intuito coincideva, in effetti, con le conclusioni di ponderosi studi
scientifici. Il che, posso immaginare, deve essere stato una bella
soddisfazione intellettuale: riconciliare i fatti con le proprie intuizioni,
incasellare le (proprie) sensate esperienze nelle (altrui) certe dimostrazioni,
che goduria! Mai quanto la mia nel constatare che vi ho aiutato a emanciparvi,
e questo nonostante il noise di
fondo, un po’ white, e un po’ red (Giorgio il precisazionista è a
disposizione per chiarire i termini acustici della metafora, il cui significato
però è evidente: ormai non reggo più nessuno, e da oggi sarà guerra totale, e mi dispiace per le anime belle: io sono con Gibilisco...).
I numeri del declino
Rientra a pienissimo titolo fra gli economisti veri, anche
se voi lo avete criticato in modo un po’ spiacevole (cosa che lui ha fatto
benissimo a farmi notare), Francesco Daveri, che leggevo sempre con interesse
su lavoce.info (prima di cominciare a scrivere, cosa che ha sottratto ahimè
tempo alla lettura). Ricorderete che lo ho incontrato in due occasioni (qui
e qui),
per scambi di idee sempre interessanti, che spero possano ripetersi in futuro.
La realtà cambia, un aggiornamento ogni tanto male non fa. Il professor Daveri
si è occupato, con alcune coautrici, di una cosa della quale mi occupo anch’io,
e della quale vi occupate anche voi (o, per meglio dire, è lei ad occuparsi di
voi): mi riferisco al declino
dell’economia italiana, che abbiamo visto ad esempio qui. Me ne
sto occupando, in particolare, nel mio ultimo lavoro, dal quale proviene questa
tavola:
La tavola descrive la crescita del reddito pro-capite in
termini reali nell’Eurozona a 12 paesi e in tre sue suddivisioni: il nucleo
(Germania, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Austria, Finlandia), l’Italia,
e la periferia (Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo). Nota: in termini reali
significa depurato dall’effetto dell’inflazione, cioè valutato a prezzi
costanti (chi queste cose non le sa può studiarsele qui).
Questa ripartizione
territoriale, lo ricordo a chi se lo fosse dimenticato, si basa sullo studio
condotto da Harvey e dai suoi coautori sui “club” di
inflazione nell’Eurozona. Per chi non lo ricordi, lo studio prefigurava
esattissimamente quali sarebbero stati i problemi dell’Eurozona: gli squilibri
di competitività derivanti dalla mancata convergenza dei tassi di inflazione,
convergenza prevista dai
liberisti de noantri (per i quali, come continuano a ripeterci, sarebbe
bastato “legarsi” ai paesi virtuosi per mandare le cose a posto), ma
decisamente smentita dal
modello minskyano (quello che chiamiamo “ciclo di Frenkel”). Com’è andata
lo sapete: la convergenza non c’è stata, la
divergenza di competitività è esplosa e con essa gli squilibri che ci
stanno portando al redde rationem.
Questo breve ripassino solo per farvi capire che la ripartizione territoriale
proposta nella tabella ha un ben preciso significato ed è fondata in studi
rigorosi. Ma torniamo al punto.
Che un declino dell’Italia ci sia è innegabile.
Attenzione. Non facciamo confusione.
Il rallentamento della crescita, cosa che i
Savonarola da quattro soldi non capiranno mai, perché è troppa fatica per
loro studiare dieci pagine di economia (quando è molto ma molto più remunerativo
in termini politici berciare slogan che non vogliono dir nulla), è cosa del tutto fisiologica e prevista dai
modelli standard di crescita economica (sulla cui fondatezza si può comunque
discutere). Il problema non è tanto che la crescita italiana diminuisca di un
po’ più di un punto a decennio, partendo dal 5% degli anni ’60. Quello che
Savonarola non sa è che il modello standard di crescita economica prevede
proprio che il sistema evolva verso uno stato stazionario. Ma per capire questo
bisogna arrivare a pagina 30, e siccome Savonarola di solito è un ingegnere,
leggere 30 pagine di cose che a lui sembrano semplici (come al diciassettenne
la sonata di Mozart) è troppa fatica. Non chiediamogliela, ma non stiamolo più
a sentire, e torniamo a occuparci dei problemi veri, che sono due:
1)
il primo
è che il rallentamento della crescita (fisiologico) è più rapido in Italia che
nei paesi del nucleo, e questo nonostante in effetti l’Italia, essendo in
posizione di relativa arretratezza rispetto al nucleo, avrebbe dovuto, in teoria,
continuare a crescere in modo relativamente più rapido del nucleo (essendo
questo relativamente avanzato), per portare a termine il proprio processo di
convergenza (catching up),
così come aveva fatto nei primi tre decenni considerati (dagli anni ’60 agli
anni ’80).
2)
il secondo, che questo rallentamento, invece di
portare a uno stato stazionario (crescita zero del reddito pro-capite), diventa un declino in termini assoluti
del reddito pro-capite (una crescita negativa, una decrescita, una recessione).
Quanto questa decrescita sia felice è sotto gli occhi di tutti, e va detto che
Daveri e la sua coautrice, che sono due economisti professionisti (chiaro?)
l’avevano vista arrivare fin dal loro primo studio del 2005 (di cui vi dico
subito dopo un breve corsivo).
(vorrei per favore non
dovermi occupare più di chi non capisce che il Pil è reddito, che è composto
per oltre il 70% di servizi e non di beniconsumisticiinquinantibrutto, che è
una misura di valore e non di volume fisico e quindi di rifiutiingombrantifiniremosepoltisottolaplasticabrutto.
Basta. Gli idioti e i dilettanti devono fare un passo indietro, o il sangue dei
tanti suicidi ricadrà anche sopra le loro teste. Non c’è risposta, ma ci sarà
una Norimberga, questo ricordatelo sempre.)
L’anatomia del declino
Chiusa la parentesi, Daveri parte proprio dall’analisi di questi
due aspetti problematici. Due suoi contributi mi sono sembrati particolarmente
interessanti: il primo risale al 2005, con Cecilia Jona-Lasinio dell’ISTAT, e
il secondo al 2010, con Maria Laura Parisi dell’Università di Brescia.
Nel primo, intitolato “Getting
the facts right”, pubblicato sul Giornale degli Economisti (vol. 64,
n. 4), Daveri e Jona-Lasinio (DJL) analizzano,
in una rigorosa prospettiva neoclassica, il declino che abbiamo descritto. Cosa
intendo per “rigorosa prospettiva neoclassica”? Intendo che l’analisi è
incentrata sul lato dell’offerta, cioè trascura totalmente il ruolo della
domanda nel determinare la crescita di un sistema economica. L’idea che la
crescita possa essere influenzata anche dalle condizioni della domanda è propria
dell’approccio keynesiano (oggi qualcuno dice “postkeynesiano”) e lo distingue dall’approccio
neoclassico (vagamente assimilabile a quanto alcuni chiamano “liberismo”). Insomma,
nell’ormai consueta metafora del cinico Guerani, i neoclassici sono quelli per
i quali il miglior barista è quello che fa più caffè al giorno, e i
keynesiani sono quelli per i quali il bravo barista è quello che vende
più caffè al giorno, considerando il fatto che se ti domandano spesso di fare
qualcosa, magari diventi più bravo a farla (e qui ognuno potrebbe portare la
propria esperienza).
(E i neokeynesiani?
Sono “supply siders” mascherati, ma ne parliamo un’altra volta.)
Incentrare l’analisi dal lato dell’offerta significa
ricondurre la crescita al dato ingegneristico
(quanto sono buone e moderne le macchine che usi) e organizzativo (quanto ti alzi presto la mattina, e magari anche,
giustamente, quanti lacciuoli – con la “u” – ti mette lo Statoladroooooo),
trascurando il dato più propriamente economico
(quanto mercato hanno le cose che produci). I tre elementi potrebbero
convivere, e la scelta di separarli è analitica, ma anche, come sempre,
ideologica.
In termini analitici, l’approccio neoclassico conduce a
utilizzare come strumento per “organizzare” i fatti la funzione di produzione
aggregata, cioè la relazione fra il totale degli input (capitale e lavoro) e il
totale dell’output (prodotto) di un settore o di un’intera economia, e questo fa
Daveri con le sue coautrici, producendo risultati a mio parere molto
interessanti.
“Orrore!”, anzi, “Ovvove!”, diranno gli economisti “de
sinistra”, drappeggiandosi nei loro tweed molto britannici, e immediatamente
esibendosi, a titolo di rito purificatorio, in quella simpatica attività che
istwine ha icasticamente definito “lo scambio di figurine”: “La funzione di
produzione aggregata! Ma Garegnani ha detto... Ma Joan Robinson ha ribadito...
Mi dai due Kaldor che ti passo un Kalecki? Sì, però allora insieme ci voglio
anche uno Sraffa. Qualcuno ha quella di Godley in sahariana?...” E così
blaterando, di santino in santino, in uno sterile e deliquescente
chiacchiericcio filologico che in effetti a me, dall’esterno, ricorda molto
certe dispute fra tifosi di calcio (mi perdonino tutti gli amici, dalla A di
Angelini alla Z di Zezza).
Che poi uno si
chiede: ma perché persone che mediamente sono state troppo zitte sull’euro,
diventano mediamente troppo loquaci appena uno cerca di fare informazione?
Ma lasciamo stare...
Istwine è icastico, e io so’ pragmatico (pure istwine, del
resto).
Se una persona mi
racconta delle cose interessanti, la sto a sentire. Il pedigree mi interessa
poco. Intanto ascolto, poi si vede...
Cosa ci raccontano DJL, usando la funzione di produzione
aggregata?
(Amici “de sinistra”, ripeto:
lo so che Y=F(K,L) non esiste, tranquilli, non è questo che mina la sacrosanta
“unità da ‘a sinissra”, no: è la vigliacca e opportunistica difesa dell’euro da
parte di alcuni, magari al grido di “più Europa”, inclusi alcuni che magari,
immagino, oggi, pur di non dover mai ammettere di aver avuto torto e di aver
tradito, oggi, suppongo, tifano Letta sperando veramente che possa servire a
qualcosa! Ma di questo il conto non ve lo chiederò certo io: vedete bene che ho
altro da fare).
Scusate, oggi divago. Capisco che questo renda difficile la
lettura. Ma bisognerà pure che condivida con voi il senso di quanto, e per
quali sterili e insulsi motivi, il mio lavoro è difficile...
DJL ci raccontano, dicevo, delle cose che, appunto, mi
sembrano interessanti. Ve le enumero, così potrete valutare anche voi:
1)
il declino dell’economia italiana è dovuto a un rallentamento della produttività del
lavoro, non a una riduzione del numero di ore lavorate. Un rallentamento
che, come ricorderete, abbiamo visto qui
(nella Fig. 1). Non sembra quindi si applichi all’Italia l’argomento di Alesina, Glaeser e Sacerdote
(2005) (li chiameremo AGS), i quali imputano la minor crescita dell’Europa
rispetto agli Stati Uniti al fatto che “Europeans today work much less than
Americans”, naturalmente per colpa dei sindacati, ça va sans dire (e chi è che oggi vuole “abolire” i sindacati?)...
Il punto merita un approfondimento. Come mostrano DJL, la
valutazione di AGS è viziata da un
errore di quelli che il prof. Bisin nella sua velina esorta a non fare
(sagge parole): la confusione fra livelli e tassi di crescita. Perché è vero sì
che nel 2004 lo scarto di prodotto pro capite fra Italia e Stati Uniti
dipendeva in effetti per due terzi da un minore input di lavoro, e per un terzo
dalla minore produttività (lo vedete nella Tab. 1 di DJL). Ma, come
giudiziosamente e correttamente osservano DJL, questo dato puntuale, riferito ai
livelli di un singolo anno, è il risultato di una storia precedente, e lungo
questa storia si vede bene che da quando
è iniziata la stagnazione dell’economia italiana (cioè, secondo DJL – e anche
secondo me – dal 1995), in effetti le ore lavorate per addetto sono andate
costantemente aumentando, e non di poco: dell’1% all’anno (Tab. 2 di DJL),
mentre quella che è rallentata (non diminuendo, ma sostanzialmente stagnando) è
la produttività.
2)
il rallentamento della produttività si è concentrato nel settore manifatturiero,
mentre nel settore delle “utilities” (gas, luce, acqua, ecc.) ci sono stati
rilevantissimi incrementi di produttività, la cui crescita è piuttosto
accelerata (e questo lo vedete nella Tab. 3 di DJL).
Insomma: vi ricordate il
meraviglioso mondo di Balassa-Samuelson, quello con due settori, uno di
beni commerciabili (tradable) e uno
di beni non commerciabili (non tradable)?
Bene: in Italia la crescita della
produttività ha rallentato nel settore tradable
per eccellenza, il manifatturiero, addirittura azzerandosi nel settore dei beni
di consumo durevole (tipo le automobili, per intenderci).
Perché?
Bo’!
DJL registrano il fatto, dicono che è startling (isnt’it, my dear?),
ne enumerano le infauste conseguenze (ad esempio, è un peccato che la crescita
della produttività sia tanto assente proprio nel settore – quello dei beni
durevoli – nel quale generalmente si concentra l’attività di ricerca e sviluppo
e che quindi svolge una funzione di avanguardia e di traino per l’intera
economia). Ma di spiegare perché questo accada non se ne parla. Eppure...
...ma va be’, ne parliamo sotto.
3)
il rallentamento della produttività è
praticamente tutto imputabile a un
effetto within anziché between.
In altre parole, si tratta di un effettivo calo della
produttività all’interno dei (within) singoli settori, anziché dell’effetto
di una riallocazione di lavoratori fra (between)
settori (con l’idea che se metti una persona a lavorare in un settore
caratterizzato da produttività più bassa, nell’aggregato la produttività cala).
Attenzione, siamo precisi: il calo ha riguardato il tasso di crescita della
produttività – sapete che sono nel mirino di Bisin, vedo il fastidioso pallino
rosso del puntatore laser ronzarmi intorno come una mosca... Meno male che la
mano è malferma (per i noti
motivi!). In altre parole, quello che gli economisti chiamano “cambiamento
strutturale”, cioè l’evoluzione nel tempo dei pesi dei singoli settori (da una
società agricola a una industriale a una di servizi), c’entra poco con quanto
ci è successo: il calo della produttività non è dovuta al fatto che, come
berciano gli idioti, siamo passati tutti dal produrre elettronica al produrre
ciabatte di gomma.
E questo lo vedete nella loro Tav. 4.
So far so good.
Ma la domanda resta:
perché?
Le spiegazioni del declino: tre teorie
Ora, non è pensabile che un dato così macroscopico non abbia
suscitato dei tentativi di spiegazione. Ma naturalmente, le spiegazioni, come
neoclassicismo vuole, sono tutte dal lato dell’offerta, ignorando rigorosamente
quello della domanda. Si soffermano, cioè, su elementi riferiti alla struttura
del processo produttivo (i famosi 100 caffè del barista di Torny Guerani),
senza minimamente considerare il fenomeno economico nella sua completezza (che
produci a fare se nessuno compra?). Sembra ovvio: se la causa del declino
risiede nella produttività, bisogna occuparsi della condizioni della produzione.
Lo dice la parola stessa. L’idea “goofynomica”, ma in realtà economica, che
l’economia si faccia in due, e che quindi la domanda retroagisca sull’offerta,
a questi non passa minimamente per il cervello. D’altra parte, è pur vero che
il modello accademico statunitense ci spinge a settorializzarci: “offertisti”
neoclassici e “domandisti” postkeynesiani.
L’America è il paese delle grandi praterie e delle grandi
porzioni, non quello delle grandi sintesi, lo sappiamo.
Ma vediamole, allora, queste spiegazioni settoriali, che
sono tutte molto interessanti, e vediamo se si può fare di più (senza essere
eroi).
Il nanismo
La prima spiegazione la conoscete, anche perché è condivisa
da una fetta significativa (in termini mediatici) degli economisti “de
sinistra”. E quale sarebbe? Quella secondo la quale le imprese italiane
sarebbero poco produttive perché troppo piccole. Il “nanismo” delle imprese
italiane, in grande parte piccole e medie imprese organizzate in distretti
industriali, sarebbe all’origine della loro scarsa produttività. Va da sé che,
come i più accorti fra voi intuiscono, questa
spiegazione si coniuga naturalmente con una difesa ad oltranza dell’euro,
difesa, beninteso, da “sinistra”.
E perché, diranno i più distratti?
Ma è semplice!
Perché (e su questo mi ha fatto riflettere molto Alessandro
“Torny” Guerani) negli ideatori del progetto fascista dell’euro (sì, del progetto
fascista, sorprendentemente difeso ultra
vires da molti compassati economisti di rito cantabrigense antico e
osservato), negli ideologhi dell’euro, c’era, indubbiamente, anche spazio per
un certo margine di buona fede. È
indubbiamente probabile, molto probabile, che una delle motivazioni più o meno esplicite del progetto eurista fosse
quella di “indurre” (amorevolmente) le piccole imprese a fondersi per diventare
grandi e quindi produttive. Un “quindi”
messo un po’ a casaccio, sulla base di un atto di fede, come sono i “quindi”
dei piddini.
Ma come
si voleva realizzare questo nobile, ancorché forse non pienamente fondato
intento?
Be’, lo
sappiamo. Il fascismo di Mussolini usava il manganello. Quello di Barbapapà e dei suoi
accoliti “de sinistra” usa il vincolo esterno. Sotto la morsa di un cambio sopravvalutato, le (piccole)
imprese sarebbero state costrette a fare la cosa giusta, anzi, a farne due:
pagare di meno i salariati, e unirsi per cercare economie di scala. Due cose
intrinsecamente di sinistra, come ognuno vede, soprattutto la seconda, che
piacevolmente evoca i Kombinat
sovietici (ah, quanta nostalgia di quando si poteva inneggiare a certi carri
armati, eh, compagni? Che cce voi fa’, i tempi cambiano...).
Lo
possiamo dire con una frase, volete?
Uno degli elementi più deliranti
del progetto eurista è stata la sua fede nel fatto che la politica
macroeconomica (nella fattispecie, la manovra del cambio) si potesse sostituire
alla politica industriale (ad esempio, la creazione di infrastrutture o lo
snellimento della burocrazia). Certo, trovare testimonianze aperte di questa decisione è
piuttosto difficile, per il semplice motivo che i piccoli e medi imprenditori
sono tanti, e nessun partito politico è così scemo da andargli a dire in
faccia: “immolatevi per il bene del paese”! Ci sarebbe poi stato da spiegare
come mai i politici di un paese la cui prosperità si fondava in modo
significativo sui distretti industriali fossero così proni a un progetto,
quello europeo, che per tante vie favoriva la grande impresa del Nord, come i giuristi ben vedevano. Ma sono sicuro che i sagaci
lettori di queste testimonianze ne troveranno, e come. E del resto, sapete che
c’è? Anche se ha sempre fallito, l’uso del vincolo esterno come strumento di
politica industriale non è nemmeno una grande novità.
Sentite
cosa ci racconta Pierre Gaxotte nella sua storia della rivoluzione francese (ve
l’ho raccontato a Padova): nel 1786 una crisi da
sovrapproduzione fa crollare il prezzo dei prodotti agricoli, e il governo,
nella persona di Charles Gravier de Vergennes, si preoccupa di rianimare
l’esportazione. In che modo? Con un trattato commerciale bilaterale concluso
con il Regno Unito, con il quale si sposa una logica liberista: abbattimento
dei dazi, per favorire il commercio, il quale, va da sé, sarebbe servito a
consolidare la pace (in un solo trattato due novità: “l’euro ci ha dato la
pace” e “più Europa”: cose nuove, come vedete!). Certo, i prodotti agricoli
francesi diventavano così più appetibili per gli inglesi. Ma la riduzione dei
dazi sui prodotti industriali inglesi corrispondeva a una rivalutazione reale
del cambio francese, a un inasprimento del vincolo esterno (i prodotti
industriali francesi diventavano meno convenienti). Qual era
l’idea geniale del de Vergennes? “Vergennes espérait que les difficultés
contraindraient les usines à moderniser leurs machines et leurs méthodes et
qu’un petit mal serait payé par un grand bien” (il vincolo esterno avrebbe
costretto le imprese ad adottare innovazioni di processo per migliorare la
produttività).
Invece la ricompensa venne sotto forma di rivoluzione: “Sur
l’heure, on ne vit que les stocks invendus, les ouvriers sans travail errant
dans les rues des villes, demandant du pain et maudissant les riches”.
L’idea
delirante che le imprese debbano essere pungolate col vincolo esterno quindi
non è né di oggi, né di ieri. Scommetto che lettori di buona volontà potrebbero
trovarne esempi nell’Antico Testamento. Del resto, altrimenti perché mai
avremmo passato tanti millenni a combatterci?
R&S
La
seconda spiegazione la conoscete, perché è anch’essa parte integrante del
mantra luogocomunista. La spesa in ricerca e sviluppo! La piccola impresa va manganellata col vincolo esterno perché, oltre
tutto, fa poca ricerca e sviluppo. “Noi non facciamo abbastanza ricerca e
sviluppo”, ecc. Vi ricordate il trollazzo cojone, Alex78, quello dei
maglioncini, appunto? Vi ricordate quello delle ciabatte di gomma? Ecco, quel
discorso lì, autorevolmente supportato da una ricerca della Banca di Credito
Cooperativo di Casteltrollazzo di sotto. Economisti di vaglia, si intende, mica
gente ai margini della comunità scientifica.
Ora,
nessuno nega che la ricerca e lo sviluppo siano importanti. Ci sono fior di
lavori che ne dimostrano l’importanza. Uno per tutti, quello di Parisi, M.L.,
Schiantarelli, F., Sembenelli, A. (2006) “Productivity, innovation and R&D:
micro evidence for Italy”, European
Economic Review, 50, 2037-2061. Lavoro accuratissimo, rivista
prestigiosissima. Ma anche non ci fossero lavori così convincenti, figuratevi
se io, che nel settore della ricerca ci lavoro, andrei a dire che la ricerca
non è importante: un sano e italico conflitto di interessi mi condurrebbe naturalmente
a dirne tutto il bene possibile! Ovvio, no?
Madri, date ricerca alla Patria! Un altro slogan eurista, che
però un fondamento pare averlo. Solo che... i dati che ci dicono?
Una
cosa molto semplice e molto nota: la spesa in ricerca e sviluppo in Italia ha
viaggiato, nel tempo, attorno a un punto di Pil. In Germania, pensate, nella
virtuosa Tedeschia, era il doppio: il 2% del Pil. E, va da sé, nella viziosa
Ellade era quasi la metà. Il che lascia
peraltro ai supply-siders l’ingrato
compito di spiegare come mai un paese con così poca ricerca sia cresciuto così
rapidamente (prima del botto), e lo abbia fatto soprattutto per via di un potente
recupero di produttività (crescita media della produttività del lavoro al 3%
dal 1999 al 2008, quasi il doppio di quella tedesca).
Ma non
mettiamo in imbarazzo i supply-siders.
Produttività e flessibilità
Eh, ma
queste cose le sapevate! Ora invece sto per stupirvi con effetti speciali, e,
se non mi inganno, sto anche per farvi godere profondamente. Perché... c’è una
terza spiegazione del calo di produttività del lavoro in Italia (e più in generale
in alcuni paesi europei).
E sapete qual è?
Quella proposta da Gordon, R.J. and Dew-Becker, I.
(2008) “The role of labor market changes in the slowdown of European
productivity growth”, CEPR Discussion
Papers, February (scaricabile dal NBER). Oh,
attenzione: Robert Gordon è un economista importante, non
è che stiamo parlando del primo venuto. Tra l’altro, io la macroeconomia l’ho
studiata (per dovere di istituto) sul suo libro di testo, che era quello
adottato nel corso di Maurizio Saltari.
(Grande esame. Alla fine Saltari mi
propone un 27, e io gli chiedo perché. E lui: “Ma vedo che lei con Tenenbaum ha
preso 26, e io ho grande stima della capacità di valutazione di Tenenbaum.” E
io: “Ma la spiegazione è semplice: l’esame del prof. Tenenbaum non l’ho
studiato, perché la microeconomia non mi interessa. La macroeconomia mi
interessa di più e quindi vorrei un’altra domanda”. Fatta la domanda, preso 28.
Il prof. Saltari era (ed è) fortemente autocorrelato: sarà per questo che gli
riesce doloroso pensare di dover abbandonare l’euro! Oh, Enrico, si scherza eh!
Lo sai che io sono un buon diavolo...).
(Oltre che per dovere sul Gordon,
fortunatamente la macro me l’ero studiata per mio piacere anche sull’Ackley,
quello in italiano comprato da Maraldi a Roma, e quello in inglese comprato da
Barblan et Saladin à Fribourg, e ricordo ancora quando Vianello mi disse: “Che
bel libro l’Ackley!”. E lui, che era “de sinistra”, proprio non poteva credere
che uno come me, che gli sembrava “de destra” perché faceva econometria, cioè
perché preferiva i dati allo sterile e deliquescente chiacchiericcio
filologico, avesse letto Keynes, avesse studiato Ackley, e tante altre
cosucce... Eh, chissà cosa direbbe oggi Vianello? Forse fa parte anche lui di
quelli come Dornbusch, dei quali dobbiamo pensare che alla fine è meglio per
loro – anche se peggio per noi – che non ci siano più...).
Comunque,
scusate, divagavo, so che non vi interessa, ma era solo per darvi contezza del
fatto che la teoria che sto per esporvi è stata formulata da uno che ce l’ha
lungo (il CV).
E che
teoria è?
Semplice.
Gordon e il suo coautore
sostengono che la colpa del calo di produttività del lavoro in Europa sia da
attribuire alle riforme del mercato del lavoro.
E come?
Semplice:
la disponibilità di lavoro reso più conveniente dalle opportune
“flessibilizzazioni” avrebbe indotto gli imprenditori a adottare metodi di
produzione a più alta intensità di lavoro, a detrimento della produttività.
Insomma: il problema sarebbe nella relativa abbondanza di offerta di lavoro
resa possibile, appunto, dalle mirabili riforme à la Schroeder, per dirla con l’ortotterone
nostro...
Daveri, F. e Parisi, M.L. (“Temporary
workers and seasoned managers as causes of low productivity”, paper presented at the Ifo, CESifo and OECD Conference on Regulation
“Political Economy, Measurement and Effects on Performance”, Munich, 29-30
January 2010), questa storia ce la raccontano così:
“Queste modifiche legislative (il
pacchetto Treu) dettero pieno riconoscimento legale a una quantità di forme
contrattuali part-time e temporanee, alcune delle quali esistevano da prima,
anche se confinate al mercato del lavoro non ufficiale (NdC: un modo elegante
per dire “nero”). L’abbondanza di lavoro a buon mercato derivante da queste
riforme monche ha determinato un declino
del rapporto capitale/lavoro di equilibrio. Potrebbe anche aver scoraggiato la capacità innovativa di
molti imprenditori, che sono stati posti a confronto con la tentazione
irresistibile di adottare tecniche che usassero in modo intensivo i lavoratori
part-time, la cui disponibilità sul mercato del lavoro era aumentata”.
Ma...
Scusate...
Sto
trasecolando...
Le riforme del mercato del
lavoro nel senso della flessibilità (in uscita, va da sé) non sono forse quella
cosa tanto bella, che i tedeschi hanno fatto prima di noi perché sono tanto
bravi, e che l’Europa (o la Bce, visto che l’Europa è l’euro) ci chiede a gran
voce? E
proprio queste riforme sarebbero all’origine del calo di produttività, e quindi
del declino della nostra economia e anche degli squilibri esterni e interni del
nostro paese?
Perché, vedete, se cala (o non cresce) la produttività diminuisce
la crescita del prodotto e quindi del reddito, per cui diventa più difficile il
risanamento finanziario (pubblico, ma anche privato): i privati guadagnano
meno, sono in difficoltà col rimborso dei propri debiti, e pagano meno tasse,
per cui anche lo Stato è in difficoltà col rimborso dei propri debiti. Ma se
cala la produttività, cala anche la competitività, perché lo stesso costo del
lavoro si ripartisce su un numero proporzionalmente minore di prodotti, e
quindi i prezzi dei prodotti nazionali aumentano relativamente a quelli dei
prodotti esteri, e quindi succede quello che succede (sbilanci esteri,
accumulazione di debito estero, crisi di bilancia dei pagamenti, ecc.).
Bene.
Non so se avete capito: per
Daveri e Parisi (DP) questi processi perversi sono attivati da cosa? Dalle
“benefiche” (o forse erano “venefiche”?) riforme del mercato del lavoro! Sì,
avete capito bene! Ve lo dicevo, no, che vi sareste divertiti...
Attenzione:
non si tratta di una mera ipotesi. Lo studio di Daveri e Parisi sottopone
questa ipotesi a una seria verifica empirica, analizzando la relazione fra
produttività e impiego di lavoratori “flessibili” (de gomma...) in 4177 imprese
italiane nel periodo dal 2001 al 2003 (nel quale la produttività aggregata calò
dell’1.8%). Conclusioni? L’ipotesi è “consistent with our data” (anche se
naturalmente questo indica solo una correlazione, non è detto che implichi un
nesso causale, ecc.). Ma i dati questo raccontano.
Quando
l’ho fatto notare a istwine, la risposta è stata abbastanza esilarante. La domanda
era (affettuosa): “Ma Daveri c’è o ce fa?”. E la risposta (perdonate i
francesismi del giovane istwine):
“Comunque
non lo capisco neanche io, speravo di aver capito male, cioè, non pensavo fossero così al contrario. Mi son
anche cercato recenti articoli per vedere se fosse contro la flessibilità.
Macché, addirittura contro l'art.18. Boh, ma che cazzo scrivono a fare questi?
Sono il corrispettivo degli economisti de sinistra che fanno articoli su Marx,
Kalecki e Keynes e poi si fanno le seghe con Fassina. Ma che cazzo di senso ha?
Mi
ricordano quelli che dicono "la classica? Bellissima, soave."
"cosa ascolti?" "e boh, Allevi, Einaudi".
Ah.”
Insomma,
dilettanti?
Oppure
no.
Perché
vedete, che la flessibilizzazione del lavoro abbia effetti perversi non è certo
Daveri il solo a dirlo (in Italia). Sentite ad esempio Giuseppe Travaglini, un
economista “de sinistra” e anche un amico che mi ha mandato qualche giorno fa,
qui ai margini della comunità scientifica, un suo saggio, dove leggiamo:
“Il basso costo del lavoro ha
agito da disincentivo per le imprese ad accrescere l’efficienza, rendendo
profittevoli attività a basso valore aggiunto, altrimenti marginali... La
moderazione salariale quindi oltre che deprimere le retribuzioni e in consumi,
favorendo l’indebitamento, ha depresso l’investimento di qualità, i processi
innovativi e la crescita della ricchezza nazionale.”
in “Alcune riflessioni sulle cause
reali della crisi finanziaria”¸ Quale Stato n. 1/2, 2009 (un
saggio che dovreste comunque leggere, il link è al pre-print).
Insomma:
sia gli economisti di “destra” (intendo: neoclassici, più vicini alla Bocconi
che alla CGIL) che “de sinistra” (intendo: neokeynesiani, più vicini alla CGIL
che alla Bocconi) in fondo sono d’accordo: la flessibilizzazione, premessa
essenziale della moderazione dei salari (perché chi ha diritti rivendica, e chi
non ne ha abbozza) è all’origine del problema.
Ma il
punto che sorprendeva me e istwine (e spero sorprenda anche voi) è questo: che
un economista relativamente vicino al sindacato (faccio per dire, non so quanto
Giuseppe lo sia) possa pronunciarsi contro la flessibilizzazione selvaggia del
lavoro è anche scontato, diciamo fa parte del gioco, anche perché (suppongo)
questo economista magari sarà stato critico verso la Fornero, ecc. Uno però potrebbe
giustamente chiedersi, come del resto fa istwine: “A Daveri, invece, chi glielo fa fare di adottare una
spiegazione del declino (il declino causato dalla flessibilità) così poco in
accordo con le premesse ideologiche e teoriche del blocco ideologico/politico al
quale appartiene? Una tesi così contrastante con la sua difesa a spada
tratta di Monti, Fornero, dell’Europa che per definizione ci chiede sempre cose
giuste (fra cui la flessibilità)?”
Come fa
un economista schierato (legittimamente) come Daveri a dire che il problema della
produttività è causato dalle riforme che hanno portato flessibilità?
Credo
che dipenda dalla necessità di scegliere il male minore, l’ammissione meno pericolosa in termini ideologici, come passo a
spiegarvi.
Le spiegazioni del declino: un fatto contro tre teorie (e daje a rideeee....)
Vedete,
nella descrizione del declino data dalla Table 2 qua sopra ho adottato, per
mera convenzione di calendario, una suddivisione della storia economica
italiana per decenni. Ma è un dato assodato che i decenni non corrispondono (in
generale) ad effettivi punti di svolta, né ci sarebbero motivi per crederlo. Non
si può chiedere alla Storia, e nemmeno alla SStoria, di piegarsi alle
convenzioni del calendario. La Storia, e anche la SStoria, quando si volta
pagina lo decidono loro, senza stare a vedere se fa cifra tonda.
Ora, osserviamo
il profilo temporale della produttività media del lavoro in Italia (cosa che abbiamo già fatto):
Basta un
colpo d’occhio ai dati per capire subito che alcune delle dotte spiegazioni di
destra e “de sinistra” volano in cocci.
Cosa
mostrano infatti i dati? Che l’arresto
nella crescita della produttività è repentino e si situa inequivocabilmente a
metà degli anni ’90.
DJL non contestano minimamente questo dato di
fatto, anzi! Le loro analisi prendono come punto di “rottura” del trend della
produttività il 1995 (vedi le varie tavole). Al di là di quale sia la datazione
precisa del fenomeno, è chiaro che l’arresto della crescita della produttività
è piuttosto improvviso e si situa in quei paraggi. Ancora una volta, “destra” neoclassica e “sinistra” neokeynesiana sono
perfettamente d’accordo su questo che è un dato, il dato. Ad esempio,
Giuseppe Travaglini (“Il rallentamento della produttività del lavoro in Italia
– Cause e soluzioni”, Quaderni di
Rassegna Sindacale, n 1, 2013), usando un approccio analogo a quello di Daveri,
situa il punto di svolta nel 1994 (in entrambi i casi manca un’analisi formale
del punto di rottura, ma la coincidenza di vedute è piuttosto significativa).
Questo,
però, crea un ovvio problema!
Prendete ad esempio la spiegazione
che vede la causa del problema nel “nanismo” delle imprese, come sentiamo
spesso profferire dai compassati colleghi “de sinistra” (quelli che “la piccola
impresa è una metastasi”), per una volta in celeste corrispondenza di amorosi
sensi con quelli “de destra” (quelli che “la mobilità internazionale dei
capitali è come la Roma, non si discute, si ama”).
Scusate,
compagni e camerati, lo vedete il dato? La produttività rallenta
improvvisamente a metà anni ’90. Cioè, fatemi capire, compagni e/o camerati, mi
state dicendo che nel 1995 le imprese italiane sono improvvisamente diventate
tutte troppo piccole? State sostenendo
che in quell’anno i distretti industriali italiani sono stati tutti lavati in
lavatrice col programma sbagliato, facendo l’ingloriosa fine del golfetto
d’angora strinato a 90 gradi?
Mi
sembra chiaro che questa spiegazione non sta in piedi. L’arresto della
produttività è improvviso, quindi non può essere connesso al “nanismo”, che
eventualmente è un fenomeno strutturale, di lungo periodo, e riconosciuto per
tale, perché la piccola e media impresa è da sempre uno degli assi portanti
dell’economia italiana.
Del
resto, il modello dei distretti industriali italiani era stato lodato, fino
alla prima metà degli anni ’90, proprio per il suo dinamismo, e questo non solo
nella letteratura scientifica nazionale (il nazionaliiiiiismo!), ma anche e
soprattutto in quella internazionale (ad es., Pyke, F., Sengerberger, W. (eds)
(1992) Industrial districts and local
economic regeneration, Geneva: International Institute for Labor Studies).
Non esistono solo le economie di scala. Esistono anche le esternalità di rete, tanto
per dirne una. E qui mi fermo.
Ma non
va molto meglio se prendiamo in considerazione le spiegazioni basate sull’altro
mantra, quello della scarsa ricerca e innovazione. Questa spiegazione, come la precedente
(nanismo), non spiega il profilo dei dati. Perché, vedete, la spesa per ricerca
in Italia è sempre stata la metà di
quella tedesca, virgola più, virgola meno. Ma ora guardatevi l’andamento delle
produttività italiana, francese e tedesca:
(nota:
in questo
post di Krugman si parla del rapporto fra la linea verde e la blu, cioè fra
la produttività italiana e quella francese, senza capire bene cosa è successo –
vedi sotto...).
A me
pare che fino al 1989 la produttività italiana sia cresciuta allo stesso tasso
di crescita di quella tedesca. Poi, come abbiamo visto, c’è un primo arresto
corrispondente allo Sme “credibile”, e un arresto definitivo dal 1996. Ora: non è che quando la produttività
italiana cresceva allo stesso ritmo di quella tedesca (cioè fino al 1995) il
livello della spesa in R&S italiano fosse pari a quello tedesco, per poi
calare improvvisamente, dal 1995 in poi, tirandosi dietro la crescita della
produttività. Eh no, amici. Come nel caso delle dimensioni delle imprese,
così in quello della spesa per R&S, non è che a un certo punto, nel 1995,
la lavatrice della SStoria ha girato col programma sbagliato, restituendoci
delle variabili “ristrette” e condannandoci in quell’anno al declino. No no no!
Le cose non stanno così.
E anche
sui livelli ci sarebbe qualcosa da dire, perché è sì vero che la spesa formale
in R&S è relativamente bassa in Italia, ma è anche vero, e ce lo spiegano,
ad esempio Belussi, F., Pilotti, L. (2002) “Knowledge creation, learning and
innovation in Italian industrial districts”, Geografiska Annaler, 84B, pp. 125-139, che il modello del distretto industriale vede uno dei propri punti di forza
nella capacità di produrre e diffondere rapidamente i risultati di innovazioni
economicamente rilevanti che non nascono da un’attività di ricerca e sviluppo
formale (quella che ricade nelle statistiche: l’esistenza cioè di uno staff o di un progetto esplicitamente
dedicato e finanziato), ma all’interno delle singole imprese, per iniziative
non formalmente assimilate a R&S. Quindi non è detto che le statistiche
rispecchino l’effettivo impegno in R&S dei due sistemi industriali.
Ancora
una volta, non ci siamo.
Il
fallimento empirico (incapacità di spiegare il punto di svolta) dei due
approcci che fanno la parte del leone sui media (il “nanismo” e il “ricerchesviluppismo”),
spiega però la strana contorsione logica di DP. Perché la loro spiegazione,
per quanto contraria alla loro ideologia “libertaria”
(flessibilizzare sempre e comunque), sembra però quadrare con i dati. In
effetti, come dicono loro (abbiamo visto la citazione sopra), il pacchetto Treu
è stato adottato a metà degli anni ’90, e quindi
l’idea che il declino della produttività sia dovuto alle norme di
flessibilizzazione in esso contenute sembra finalmente fornire una spiegazione
coerente.
Sembra...
Perché
il pacchetto Treu, va ricordato, è stato emanato a metà 1997, e anche ammettendo che abbia
da subito dispiegato i suoi effetti, bisogna riconoscere che difficilmente
avrebbe potuto spiegare il rallentamento marcato della produttività che si
verifica fra 1995 e 1996 (due anni prima), o addirittura, se ha ragione
Travaglini, fra 1994 e 1995 (tre anni prima). Certo, fa parte della mistica
neoclassica il principio delle cosiddette “aspettative razionali”. Come dire:
magari nel 1995 un imprenditore, perfettamente informato di quello che sarebbe
accaduto nel 1997, avrà cominciato ad assumere lavoratori sapendo che due anni
dopo gli sarebbero costati di meno e abbassando così il rapporto
capitale/lavoro ottimale...
Suvvia!
Nessuno,
soprattutto non Francesco Daveri, può credere a una spiegazione simile. E
infatti, come ricorderete, la sua ipotesi che sia la quantità di lavoratori “flessibili”
ad abbassare la produttività lui non la sperimenta in un intorno del punto di
svolta, ma alcuni anni dopo, sul triennio 2001-2003 (nel quale sono successe
anche altre cose).
Ma
allora perché usare una spiegazione che per una volta non è controintuitiva (la
flessibilità deteriora la produttività) ma che è senz’altro controideologica
(la flessibilità deve essere sempre buona e bella perché ce la chiede
l’Europa!).
Quello che i dati dicono e gli economisti non dicono
Semplice.
Per non dire che la colpa è anche dell’euro. Posto nell’alternativa
fra profanare due totem (la flessibilità e l’euro), il male minore a molti
economisti sembra quello di profanare la flessibilità (accusandola di
compromettere la produttività), pur di non attribuire alcuna responsabilità
all’euro. Ma i conti non tornano.
Il fatto stilizzato par excellence dell’economia italiana,
negli ultimi venti anni, è questo:
In
verde trovate, come sopra, la produttività del lavoro (ALP, average labour productivity). In rosso il tasso di
cambio lira/ECU (lire per ECU), che dal 1999 diventa il tasso di cambio
irrevocabile con l’euro. Ricordo a beneficio delle eventuali persone dalla
limitata capacità di comprensione che questo tasso, cioè quello rispetto agli
altri paesi europei, è il più significativo per quanto riguarda l’effettivo
“peso” della valuta italiana, dato che le valute che componevano il paniere
dell’ECU (e che poi sarebbero di fatto confluite nell’Eurozona) corrispondono
ai paesi che esprimono la maggior parte del commercio dell’Italia (paesi europei,
perché, guarda caso, si tende a commerciare di più con chi è più vicino...).
Segnalo anche che il cambio è espresso in lire per ECU, cioè incerto per certo,
il che significa che un suo aumento implica una svalutazione (quella cosa che
viene variamente descritta dagli scienziati economici come un cancro, come il sorpassare
in corsia di emergenza, e via luogocomunando, quando in fondo è solo l’operare
della legge della domanda e dell’offerta...).
Per chi
ama le misure, le due serie hanno una correlazione di 0.973 in livelli e di
0.431 in tassi di variazione, entrambe significativamente diverse da zero: c’è
poco da dire, le due serie si muovono insieme, e in particolare, è visibile, si
fermano insieme. Nel 1996, dopo aver raggiunto un picco di svalutazione,
l’Italia rivaluta, e da quell’anno la crescita della produttività pare
arrestarsi (espertoni, un attimo! Arrivo subito!).
Vorrei
fare due ordini di considerazioni.
La
prima è per i miei amici del cuore, gli espertoni, i quali saranno pronti con
il loro cavallo di battaglia: “la correlazione non implica causalità”! E
vengono a spiegarlo a me, che da vent’anni insegno cosa sono le regressioni spurie! Sus Minervam docet, come
al solito.
Ora: se
due variabili A e B si muovono insieme, questo può succedere per svariati
motivi: perché A causa B; perché B causa A; perché C causa A e B; o per caso
(esiste anche questo).
Vediamo
un po’...
Che
quello che accade nella figura sia effetto del puro caso, sinceramente tenderei
ad escluderlo. Un caso può verificarsi, una volta ogni tanto, ma noi
constatiamo nella figura che ogni volta che il cambio si irrigidisce (smette di
“crescere”), la produttività flette (cresce meno rapidamente). Il fenomeno è
abbastanza evidente fra 1988 e 1989, ad esempio, e un’analisi più dettagliata è
stata fatta qui. Non credo si possa invocare il
caso (che pure produce meravigliose correlazioni).
Allora
vogliamo pensare che sia una terza variabile a influenzare sia il cambio che la
produttività? Io, sinceramente, non conosco un modello che funzioni in questo
modo, ma se qualche trollazzo di passaggio ha un’idea, perché no? A me sembra però
che nel campo delle idee plausibili rimangano le due più semplici: A causa B o
B causa A.
Vediamo...
Vogliamo
pensare che sia la produttività a causare il cambio? Cioè che il rallentamento
della produttività causi un apprezzamento nominale.
Sinceramente, mi sembra strano. Una rivalutazione (o un rallentamento della
svalutazione) del cambio implica che la moneta del paese sia più domandata
dagli operatori esteri (commercianti, investitori). E perché mai qualcuno
dovrebbe desiderare di più la valuta di un paese che, essendo meno produttivo,
offre meno opportunità di profitto? Se qualcuno me lo spiega, forse lo capisco,
ma gradirei che lo facesse per iscritto, così, a futura memoria. Per non
parlare del fatto che l’irrigidimento del cambio che osserviamo nella figura è
determinato da un cambiamento istituzionale (l’adesione all’Eurozona) ed è
quindi largamente esogeno, predeterminato, indipendente dalla logica economica.
Che una variabile esogena (cambio) possa essere causata da una variabile
endogena (produttività) suona strano: come fa una variabile “esterna al
modello” ad essere causata da una variabile “determinata dal modello”? (per
usare un linguaggio semplice).
Non c’è
niente da fare! Rimane in piedi solo l’ultima ipotesi: che la stasi della
produttività (declino) sia causata da quella del cambio (fissazione del cambio
nominale). Questa ipotesi quadra con la dinamica dei dati (il rallentamento
della produttività coincide con la rivalutazione del 1996) ed è supportata da
un preciso modello causale di riferimento, il modello di crescita kaldoriano di
Dixon e Thirlwall (1975). Questo modello si basa sulla legge di Verdoorn, che
vi ho già illustrato: a causa della presenza di rendimenti crescenti, il tasso
di crescita della produttività è influenzato positivamente dalla crescita della
domanda. Il barista diventa più produttivo se gli chiedono più caffè, perché
impara a farli meglio. Questo meccanismo attiva un processo di causazione
cumulativa che può agire da circolo virtuoso o vizioso, a seconda della spinta
iniziale.
Se a un
paese si aprono nuovi mercati, questo aumento di domanda stimola la
produttività, permettendo di produrre a prezzi inferiori e di consolidare così
l’espansione nei nuovi mercati, secondo un processo cumulativo. Se invece i
mercati si chiudono, si avrà uno shock di domanda negativo che porta il paese
su un percorso di crescita della produttività e del reddito inferiori.
Ora,
cos’è successo secondo voi nel 1996? Visto che abbiamo drasticamente rivalutato
rispetto ai partner europei, è facile che ci sia stato uno shock negativo di
domanda, tramite esportazioni. In effetti, questa figura:
mostra
che nel 1996, in sincrono con una rivalutazione dell’8%, si è verificato un bel
tuffo delle esportazioni di più del 2%, per di più dopo un periodo di forte
crescita.
Direi
che il modello di Dixon e Thirlwall mette insieme almeno un paio di fatti
stilizzati dei quali le altre spiegazioni non danno conto:
1)
la
data del cambiamento di struttura, che coincide con la rivalutazione
preliminare all’aggancio della lira all’euro (tutte le altre spiegazioni o non
forniscono una data, o, nel caso di quelle articolate sulla flessibilità, ne
forniscono una posteriore);
2)
il
fatto che il calo di produttività abbia riguardato prevalentemente i settori “aperti”
al commercio internazionale e, in particolare, come ricordano DJL, i settori
del “made in Italy” (le altre spiegazioni non illustrano come mai proprio i
settori più aperti e dinamici sarebbero stati colpiti da un improvviso calo di
produttività, mentre se prendi in
considerazione il ruolo del cambio, il motivo diventa ovvio).
Siete
sempre convinti che l’euro non c’entri, e che sia solo un problema di
produttività? L’unico modello che si riconcilia coi dati ci dice una cosa
diametralmente opposta: proprio perché è un problema di produttività l’euro
(cioè l’improvvisa rivalutazione della lira e l’adozione di un cambio
sopravvalutato) c’entra, e come!
I paradossi del vincolismo
Attenzione.
Io non
sono eretico (sono inquisitore) e non sono eterodosso (sono ortodosso), ma sono
eclettico: non ho alcun motivo particolare per ritenere che nel mondo ci siano
solo la domanda, o solo l’offerta. Questo tipo di spiegazioni le lascio ai pasdaran.
Nel mio mondo il mercato ha due lati.
Quindi?
Quindi
secondo me c’è del vero anche nella
spiegazione di DP e di Travaglini. Sicuramente, dopo essere stata messa su un sentiero di crescita della domanda e
quindi della produttività inferiori dallo shock del 1996, l’Italia è stata
mantenuta su questo sentiero anche
dalle riforme del mercato del lavoro, con gli effetti perversi descritti da DP
e da Travaglini (disincentivo all’innovazione di processo e di prodotto
determinato dalla disponibilità di manodopera flessibile a buon mercato).
Ma...
attenzione! Questo non fa che raddoppiare le responsabilità dell’euro!
Perché?
Ma
perché la flessibilità, con i suoi effetti perversi, ci è stata venduta in nome
del “ce lo chiede l’Europa” come necessaria risposta alle rigidità “virtuose”
indotte dal cambio fisso. Dato che la moneta italiana era rigida, dovevano
diventare flessibili i lavoratori, e ciò sarebbe stato un bene perché avrebbe
aumentato l’occupazione e la produttività. Non ricordate? Eppure ce l’hanno
detto, io me lo ricordo, e chissà quante citazioni voi, che siete bravi, troverete...
Quello
che si perdeva in competitività con un cambio troppo forte, lo si doveva
guadagnare con riduzione dei costi di produzione interni, cioè del costo del
lavoro, riduzione che è più facile se la disoccupazione è alta o se il
lavoratore è precario e quindi ricattabile. Questo era lo scopo che si voleva
ottenere: lo sbriciolamento dei diritti dei lavoratori. Ma per renderlo
politicamente “accettabile” era necessario che questo scopo venisse proposto in
nome di un ideale superiore: insomma, il solito “ce lo chiede l’Europa”.
Ora,
pensateci un attimo. L’idea del vincolismo è che lavoratori e imprese devono
essere manganellati dal vincolo forte per migliorare (farsi pagare di meno,
essere più produttivi). Ma... ragioniamo un attimo sulle imprese. Le imprese
operano per fare profitti, e i profitti sono dati dai ricavi meno i costi:
Profitti
= Ricavi – Costi
L’ideologia
vincolista sostiene che se un’impresa viene messa in condizione di fare meno
profitti, si darà da fare per migliorare (fondendosi con altre, diventando più
produttiva) per farne di più. Da Vergennes a Prodi, passando per Andreatta, l’idea
sottostante è questa.
Ora, in
tutto questo la manovra del cambio, usata come strumento di politica
industriale, agisce prevalentemente sul lato dei ricavi: se la moneta nazionale
è troppo forte, l’impresa esporterà di meno e incasserà di meno. Questo viene
visto come virtù.
Ma,
paradossalmente (e questo l’ho capito leggendo Travaglini), viene vista come
virtù anche la flessibilità, che allenta il vincolo dal lato dei costi: il
lavoratore flessibile viene pagato di meno, e l’impresa fa più profitti.
Vedete?
È sempre la solita storia della differenza fra etica e moralismo. Il moralismo è asimmetrico. Perché mai
di due cose che riducono i profitti (cambio forte e diritti dei lavoratori), e
che quindi vincolano le aziende stimolandole – in teoria – a diventare più
produttive, una deve essere vista come buona e perseguita (il cambio forte), e
l’altra come cattiva (i diritti dei lavoratori) e sostituita dalla
flessibilità? Non è chiaro.
Anche perché lo sgretolamento di diritti e retribuzioni
dei lavoratori conduce a un esito inevitabile: il crollo della domanda interna,
che spinge ad esasperare (per forza di cose) la strategia mercantilista di
promozione delle esportazioni, cioè, in presenza di cambio rigido, a ulteriori
risparmi di costi da cercare con ulteriori compressioni dei redditi e dei
diritti.
Questo
è il triplo fallimento dell’ideologia vincolista del quale parlavo a Padova (in
dipartimento, non filmato). Il vincolismo ha condotto al declino l’economia
italiana attraverso tre canali:
1)
la
relazione fra domanda e produttività (modello di Dixon-Thirlwall, 1975), ovvero
il rallentamento della produttività determinato (nel 1996) dalla
sopravvalutazione e conseguente fissazione del cambio nominale, via shock sulle
esportazioni;
2)
la
relazione fra flessibilità del lavoro e produttività (Gordon, DP, Travaglini), ovvero l’adozione
da parte delle imprese italiane di un rapporto capitale/lavoro non ottimale,
con il ricorso massiccio a lavoro precario sottopagato e conseguente calo della
produttività (una risposta resa inevitabile dalla sopravvalutazione del
cambio);
3)
la
relazione fra moderazione salariale e crollo della
domanda interna, che ha portato all’aumento del debito di famiglie e imprese e
alla rincorsa (senza speranza) del “modello tedesco”, i cui fallimenti,
peraltro, cominciano a dispiegarsi ai nostri occhi, come era ampiamente
prevedibile.
È un
fallimento economico, ma è anche e soprattutto un fallimento politico, non
dimentichiamolo mai. Quello di élite che per motivi che gli storici appureranno
(collusione con interessi esteri? Accecamento ideologico?) hanno
paternalisticamente deciso di governare gli italiani col manganello del cambio,
sapendo di esporli a difficoltà, ma confidando nel fatto che queste li avrebbero temprati.
La
filosofia politica di Charles Gravier de Vergennes.
Il
cinico Guerani, ricordando l’Unione Monetaria
Latina, e la tassa
sul macinato che ne fu l’ovvia conseguenza (certo, certo, adesso c’è la
Cina), dice che le unioni monetarie se le possono permettere solo quei paesi
che possono cannoneggiare gli operai, come fece il feroce monarchico
Bava. Ma Alessandro in fondo è un buono. Fa un po’ il cinico per
impressionare le donne bionde dal marcato accento palermitano (Lidia, si
scherza, va da sé!), ma in fondo in fondo è un pezzo di pane, perché il raccontino
che ci siamo fatti dice che le cose stanno molto peggio di così! Quanto meno,
bisogna riavvolgere il nastro di almeno un secolo.
Possono
permettersi un’unione monetaria i paesi nei quali vige ancora il feudalesimo,
stati pre-borghesi nei quali la classe imprenditoriale non ha una rappresentanza
politica, e il buon pater familias,
il de Vergennes di turno, può decidere, se lo desidera, di bastonarli col
cambio rigido, magari per favorire un’altra classe sociale (che all’epoca
potevano essere gli agricoltori, oggi magari le imprese finanziarie). In
quei paesi va bene il gold standard,
o, il che è lo stesso, l’euro.
Dice:
ma noi non siamo così, oggi gli imprenditori votano!
Può
darsi.
Ma ho
come la sensazione che comincino a capire che la fregatura l’hanno presa anche
loro. Forse gli sarebbe convenuto un regime con meno rigidità del cambio, e
meno flessibilità del lavoro: avrebbero avuto più domanda estera e più domanda
interna. Un po’ meno vincolo esterno, e un po’ più vincolo interno, insomma,
quello dato dalla necessità di usare bene un fattore lavoro un po’ più costoso.
Dove sarebbe lo scandalo nel ripristinare questa simmetria? In fondo, il senso
della proposta di “external compact”
che faccio alla fine del Tramonto dell’euro è essenzialmente questo, ed è
essenzialmente questo il modello di sviluppo e integrazione europea che aveva
in mente Meade: mantenere la flessibilità del cambio come tampone rispetto a
shock esterni e meccanismo dissuasivo rispetto a politiche beggar-thy-neighbour, e sincronizzare la dinamica delle
retribuzioni su quella della produttività per evitare svalutazioni reali
competitive e sostenere la dinamica della domanda interna.
Ma di
questo parliamo con più calma un’altra volta.
Oggi, il
primo maggio 2013, mi interessava farvi capire che quando vi dicono: “il
problema non è l’euro, ma la produttività!”, la risposta corretta è: “appunto!”.
(dedicato, ovviamente, a quelli che "il problema non è l'euro, ma la produttività...". Degli infiniti modi che una persona ha a disposizione per farci capire di non capirci assolutamente niente questo è uno dei più ricorrenti. Speriamo che da oggi la piantino, o forniscano un modello, non dico pubblicato sugli Oxford Economic Papers, mi sta bene anche sulla tovaglia di carta della trattoria, che spieghi perché l'arresto della produttività in Italia coincide con la fissazione del cambio. Un modellino, due equazioni, che cce vo'... Visto che voi sapete qual è il problema, erudimini... Siamo qui, per una volta non chiamiamo noi, chiamate voi, se avete qualcosa da dire. Sento che dormirò tranquillo.
Un pensiero commosso alle vittime del delirio di onnipotenza paternalistico che ci ha condotto a questo punto, alle vittime delle nostre élite corrotte e nemiche dei nostri interessi. Non durerà perché non può durare. Manteniamo i nervi saldi e aiutiamoci a resistere.)
prima di iniziare lo studio vorrei indicarle un articolo del telegrah.
RispondiEliminahttp://www.telegraph.co.uk/finance/comment/ambroseevans_pritchard/10016431/Italy-needs-Churchillian-leader-to-fight-war-damage-of-EU-austerity.html
All'incirca dice le cose che diciamo qua.
Aspettiamo il "nostro" Churchill. Magari è più vicino di quanto pensiamo!
Salve prof.,oggi in maniera un po bislacca e con l'aiuto di Bacco ho rinsavito una decina di persone.Fra una salsiccia,una braciola e un buon bicchiere di vino(inzolia e catarratto fatto in casa)gli ho fatto capire il per che uno stato debba gestire autonomamente la propria economia e la propria moneta.Stasera andrò a letto soddisfatto. A Professò, l'orata,dalla colorazione delle squame,mi sa che era di allevamento.Deve avere sulla nuca una discreta colorazione giallo-oro per essere di mare.Saluti.
RispondiEliminaGrazie,come il cacio sui maccheroni, manco a farlo apposta proprio in questi giorni stavo rimuginando su alcune delle cose che lei ha qui trattato
RispondiEliminaCiao italiano, è successa anche a me la stessa identica cosa. In questo il prof non si smentisce mai, come faccia non lo so.
EliminaHo come il sospetto però che il suo prossimo lavoro verrà ignorato dai suoi colleghi mainstream (che potrebbero dire? bò), ma non da Brancaccio: spero che tra loro nasca una forte discussione su questo, credo che farebbe solo del bene alla sinistra che verrà.
PS_bazzichi ancora su Presseurop? Il noto covo di troll alamanni...
Ma perché dovrebbe fare bene solo alla sinistra? perché non alla destra? liberismo non è destra e keynesismo non è sinistra.
EliminaScusa Attilio, come fai a dire una cosa del genere? Mi dispiace deluderti ma nella lotta redistributiva delle risorse a disposizione, Keynes è a favore diuna redistribuzione più equa possibile, che deve puntare alla piena occupazione, mentre il liberismo dice che il mercato è sovrano nel distribuire le risorse, senza alcuna implicazione con valore etici di qualsiasi tipo. Mi dispiace, ma anche e soprattutto in economia esiste una differenza enorme fra destra e sinistra: anche se va molto di moda dire che destra e sinistra sono superate, in economia c'è una netta linea di distinzione o separazione che dir si voglia.
EliminaNon direi. La destra "sociale" si rifà a concezioni tipicamente keynesiane e anche i popolari europei fino agli anni '80 (emblematica nella Democrazia Cristiana la figura di Fanfani). In realtà, più o meno dalla metà degli anni '30 fino all'esplosione della crisi petrolifera anni '70, le teorie keynesiane erano prevalenti. Anche i repubblicani statunitensi ai tempi di Nixon e i conservatori inglesi pre Thatcher erano tutt'altro che iper liberisti (d'altra parte Beveridge e Keynes erano liberali). Nell'attuale maggioranza probabilmente la politica economica meno liberista e meno prona ai diktat Ocse, Fmi e Germania, è sostenuta da esponenti del Pdl (e ho detto tutto...direbbe il Principe De Curtis).
EliminaIL fatto che le teorie Keynesiane a partire dal 1933 abbiano avuto un tale successo (erano diventate mainstream!) che nemmeno le destre di allora osavano metterle in discussione - pena la perdita di ogni elezione (vedi Goldwater nel 1964 - Nixon vince nel 1968 dicendo non avrebbe messo in discussione Keynes) - non vuol dire che non esiste una demarcazione fra sinistra e destra in termini di politica economica. E' chiaro che politicamente essere di sinistra negli anni '70 voleva dire votare PCI, oggi si è definiti di sinistra se voti PD......il che è tutto dire. Oggi Fanfani sarebbe a sinistra del PD e di Enrico Letta in quanto sostenitore delle politiche Keynesiane. NOn ho mai capito che cosa sostiene la cosiddetta "Destra Sociale", quindi Marco è da parte mia ben accetta ogni dritta da parte tua, in quanto mi sembra che il termine Destra sociale sia erede del detto "Il duce ha fatto anche cose buone"
Elimina@Attilio
Elimina"Credo che avere uno stipendio dignitoso e diritti garantiti potrebbe fare solo del bene alla nostra democrazia"
In questo senso ho scritto "solo", non certo per escludere una parte politica dal dibattito: semplicemente mi sembra difficile che "a destra" (se vuoi definire destra fallo pure, io una idea ce l'avrei...) possa interessare, mentre siccome la "sinistra" in questo paese è ridotta a un cumulo di macerie... (in larga parte per sua responsabilità nel non aver detto la verità quando si poteva e doveva, per poi potersi sedere al tavolo del potere - che essendo truccato ha garantito agli utili idioti della nomenklatura un tornaconto, mentre ha mandato al macello la propria base sociale) Da qualche parte bisognerà pure iniziare. Sai, ci sarebbero ancora quelle cose chiamate classi sociali, ben note sia al prof Brancaccio che al prof Bagnai.
Poi le scuole economiche non le ho inventate io, e non ce le hanno esattamente regalate i marziani (non marXiani eh!). Certo, in determinate circostanze storiche (lo spirito del tempo) i rapporti di forza o gli interessi contingenti hanno spinto l'avversario verso le posizioni altrui, ma questo non significa che sotto la cenere non covasse la brace...
Oltre all'esempio di Nixon citato da Luca mi viene in mente la Thatcher. Al culmine del suo potere personale l'egemonia culturale del liberismo era tale da portarla a rispondere a chi le domandava quale fosse il suo più grande successo:"Il New Labour". E venne Blair, e la City of London Corporation non ha mai avuto tanto potere come da allora.
Personalmente non vedo l'ora che si esca dall'euro anche per poter tornare a dividersi, come è giusto e fisiologico che sia.
accidenti prof. .... è difficile leggerselo tutto a mezzanotte, dopo una giornata passata all'ospedale per le escoriazioni procurate dalla caduta scooteriana dei primi giorni di sole estivo.....rimbambito dall'aulin mi trovo costretto ad interrompere la lettura onde evitare la perdita di anche una sola delle gocce di sapienza dispensate con l'articolo!...Grazie!
RispondiElimina"UN POCHINO MENO (sic)"
RispondiEliminaE dal nuovo esecutivo arrivano le parole del premier Enrico Letta e del ministro del Lavoro Enrico Giovannini che lasciano spazio a modifiche della riforma Fornero. “Una legge in cui ci sono alcuni punti che in una fase recessiva stanno creando dei problemi”, dice il presidente del Consiglio in conferenza stampa a Parigi, dopo l’incontrato con il presidente francese François Hollande. “In un momento straordinario come questo è necessario un pochino meno di rigidità”, aggiunge facendo riferimento ai contratti a termine.
E il capitano disse al mozzo di bordo
"Giovanotto, io non vedo niente.
C'è solo un pò di nebbia che annuncia il sole.
Andiamo avanti tranquillamente".
(F. De Gregori)
Ma chi me lo fa fare di infilarmi sotto le coperte e leggermi Ellroy quando questi post notturni hanno il sapore del poliziesco che odora di tabacco e pistole fumanti?
RispondiEliminaPeccato che l'assassino sia sempre lo stesso! Quale che sia il delitto, eccolo lì, sempre lui, immancabilmente lui, il vincolo esterno.
Ogni volta che arrivo alla fine è sempre un "lo sapevo!". Ma la trama è di quelle che ti tengono incollato allo schermo, c'è poco da fare....
Buona notte
Grazie prof. come sempre, ed avendo letto il libro alcune cose erano già ben chiare.
RispondiEliminaVorrei chiedervi a tutti una delucidazione, in quanto faccio tutt'altro nella vita e quindi non è semplice capire.
Come mai le riforme Hartz hanno portato notevole successo alla Germania mentre a noi dal pacchetto Treu in poi siamo andati verso il baratro? Si può ricondurre questa differenza sempre al problema del tasso di cambio e all'apprezzamento che ne è seguito?
Grazie, e scusatemi se magari la mia domanda può sembrare banale.
Ci sono diverse differenze.
EliminaLe riforme italiane sono intervenute dopo uno shock determinato da una forte rivalutazione del cambio (in logica difensiva), le riforme Hartz all'interno di un sistema che impediva alla Germania di rivalutare (in logica aggressiva).
Le riforme italiane miravano di fatto alla sola precarizzazione (salvo errore), quelle tedesche prevedevano una cospicua serie di "ammortizzatori" finanziati con soldi pubblici (e infatti sono state all'origine dello sforamento dei parametri di Maastricht).
In tutto questo, anche in Germania l'effetto della flessibilizzazione sulla produttività NON c'è stato, la produttività del lavoro ha continuato a declinare, a parte una esplosione di natura ciclica subito dopo la deflazione competitiva, alimentata verosimilmente da un effetto Verdoorn.
Non si nota insomma alcuna particolare inversione del trend, come sarebbe lecito attendersi da interventi che si fregiano del pomposo titolo di "strutturali".
Sono semplici politiche di dumping salariale di breve respiro, che dovrebbero far incazzare noi, e invece fanno incazzare i belgi, un popolo più piccolo e dall'identità nazionale più frammentata della nostra, ma dotato di un briciolo di dignità, che a noi e soprattutto ai nostri "rappresentanti" manca totalmente.
Grazie mille prof. esaustivo come sempre!
EliminaQuesto tema lo vivo in modo molto delicato perché sono un giovane architetto, e come tantissimi colleghi e non, vivo il precariato a suon di partita iva ma lavorando da dipendente! Ho la p.iva nel regime dei minimi, quindi con molte agevolazioni, ma che agevolano il datore di lavoro...
E come ribellarsi a questa deflazione imposta? Ho provato svariate volte ai colloqui a dire che avendo la p.iva sarei stato libero di lavorare come mi pare, ma la risposta è stata sempre un sorriso sarcastico...
Grazie mille prof. per tutto quello che fa.
Paradossi del libero-professionismo all'italiana, che accomuna a te tanti giovani avvocati: sei libero di arrivare al lavoro prima, di andartene più tardi, di lavorare anche di sabato e di domenica e di rinunciare alle ferie. Ma non sei libero di lavorare quando vuoi e soprattutto non sei libero di avere tuoi clienti (che è l'essenza della libera professione: l'essere punto di riferimento per qualcuno in ragione delle proprie competenze).
EliminaPurtroppo bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che negli studi professionali ci possano essere due categorie di strutturati: i soci, che condividono utili, rischi e clienti, e i professionisti dipendenti, che lavorano come tali.
Ma questa è fantascienza.
E i gudici del lavoro sono ancora abbastanza sordi.
Ma quanto e` bello e vero il dato sulle piccole e medie imprese che funzionano perche` riescono ad utilizzare rapidamente lo sfruttamento di nuove tecnologie, metodologie di produzione o di invenzioni, senza che queste risultino nei dati relativi a ReS.
RispondiEliminaE` questo infatti il vero segreto del successo dell`imprenditoria italiana, penso.
Ho un`ottimo esempio: azienda familiare di mio suocero, produzione di attrezzature zootecniche da almeno inizio anni `70.
Molto del suo successo e` stato grazie alla genialita` che ha permesso loro di inventare nuovi prodotti che hanno avuto riscontro di mercato, riuscendo pure ad esportare in germania....
Faro` una piccola indagine statistica per capire cosa sia successo loro nel 1994-96, visto che ad un certo punto, so che non hanno piu` esportato....
Sono sempre piu` convinto che alle conferenze del prof. bisognerebbe portare artigiani e piccoli industriali, so che c`e` stata una conferenza a Carpi, organizzata dall`Associazione artigiani, ci sono stati riscontri positivi?
Nei giorni in cui era a Padova, sentivo in tv o radio diversi PUDIANI far riferimento all`Argentina per terrorizzare gli ascoltatori sugli effetti dell`euroexit, perche` erano uscite diverse notizie preoccupanti su blocco delle carte di credito e mercato nero con pagamento in dollari.
Avrei voluto chiederle se e` in grado di darci aggiornamenti sulla situazione economica reale Argentina (non di regime), visto che sento molti ciarlatani citarla dandola per prossima al disastro.
inoltre avrei voluto chiederle di spiegarci cosa sta succedendo in giappone, che politica economica stanno attuando, quali risultati positivi a quali negativi ci possiamo aspettare. Naturalmente al momento sembrano tutti positivi...
tralasciando di approfondire le motivazioni del senso di nausea e vomito causato dalla rielezione di napoorsocapo, e dall`incarico a letta, nell`ottica della rifondazione della dittatura PUDE che ai nostri occhi appare sempre piu` evidente e spudoratamente arrogante sprezzante dei morti sul campo,
confermo che gli unici momenti di conforto macroeconomico sono nel sentire la voce der cavajere nero in una delle ormai innumerevoli conferenze disponibili sul web,
voglio proprio sperare che alla fine del tour non ci lasci soli fino a settembre,
viste le innumerevoli richieste di presenza nei programmi apertamente PUDE della prima serata, perso per perso, non sarebbe il caso di accettarne qualcuna per infliggere qualche stoccata prima che l`informazione di regime chiuda i rubinetti della pseudo informazione? cosa che avviene solitamente ad inizio giugno....
La cosa che mi colpisce di più, forse perché sono in fase di fascinazione per Sweezy, è la prima tabella. Da quella sembra proprio che il declino sia un affare di tutti gli Europei. Forse vinciamo noi al fotofinish ma al traguardo della stagnazione sembra che ci arriverannno presto anche i fratelli del core e della periferia. Ci sono cose oltre l'euro che noi umani non stiamo considerando?
RispondiEliminaHo quasi le lacrime. Questo post è superbo.
RispondiEliminaTrovo qui qualcosa che non mi è stato minimamente accennato in due anni di Economia.
"Svalutare = drogare il PIL", questo mi è stato detto. Questo ha avuto il coraggio di affermare L. C., professore di Macroeconomia in Cattolica alla mia domanda "Per allineare i nostri fondamentali, non sarebbe utile uscire dall'Euro e deprezzare il cambio?".
E allora è facile capire perché poi è un gioco da ragazzi disinformare e mandare un Paese allo scatafascio.
Grazie Alberto.
e ora tocca alla Francia, ad immolare qualche milione di lavoratori sul putrido altare dell'Euro:
RispondiEliminahttp://vocidallagermania.blogspot.it/2013/05/hartz-iv-varca-il-reno.html?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed:+VociDallaGermania+(Voci+dalla+Germania)&m=1
No,no divaghi pure,senza le storie sull'esame e senza i daje a ride come faremmo ad arrivare fino in fondo.
RispondiEliminaL'€ non va bene,la flessibilità peggio e adesso chi glielo dice all'amica/o che quando la svalutazionecompetitiva,l'economia è sciiiiiiiiiiiiiiiiiiienza,quando il tasso di cambio fisso che non puoi sostenere fa costare i tuoi prodotti di più non li vendi e allora che ne parlamo da 'a produttività,e ma sai l'economia mica è la fisica o la matematica.
"Quello che si perdeva in competitività con un cambio troppo forte, lo si doveva guadagnare con riduzione dei costi di produzione interni."Questa è quella che ho sempre preferito,per un semplice fatto,l'amico del ppppiùeuropa ti guarda stupefatto e ti dice vuoi rendere i prodotti più appetibili svalutando?Ma non lo sai che c'è la Ciiiiiiiiiiina?Perchè quando lui vuole renderli più appetibili dimezzando il mio stipendio,non dovrebbe esserci la Ciiiiiiiiiiiiiina?Già che sciocco io,sennò non sarebbe piddino.
Pressò,ci si vede Sabato a Jesi e Lunedì a Bergamo,nella speranza che quelli de a fotografia non siano troppi
Epico, Professor Bagnai, epico....solo la lettura del "tallone di ferro" di Jack London in lontana gioventu' mi aveva riportato alla voglia di partecipare in una lotta epocale.
RispondiElimina"Il tallone di ferro", che ricordi!
EliminaMi associo all'epico. Ed è bello vedere che, leggendola, le cose diventano ogni giorno più chiare.
Non so, non sono un esperto e mi sembrano così chiare che mi dico: il trucco dove sta? Me lo dica, prof
EliminaQuesto post mi ha fatto venire in mente molte cose, alcune troppo sdolcinate come al solito.
RispondiEliminaSoprattutto però ricordo un'antica intervista (intorno al 1980?) a Gino Giugni il padre dello Statuto dei Lavoratori. Giugni, con molta semplicità, spiegava a quelli che già allora blateravano di "lacci e lacciuoli" (le tutele dello Statuto) che non erano le regole imposte dalla legge a limitare la produttività delle imprese: la legislazione "rigida" sul lavoro promuove lo sviluppo (secondo Giugni) perché NON premia l'impresa che vuole ergersi non sull'efficienza del processo produttivo ma sullo sfruttamento di manodopera a basso costo. Mi era parsa un'argomentazione chiara e lineare. E poi per 30 anni ci hanno ridotto gli ellissoidi alle dimensione del bosone di Higgs con la necessità della "flessibilità". Ecco sì, bravi, flettetevi in avanti, il passaggio dalla mano invisibile al cetriolo visibile sarà meno doloroso ...
Che l'euro sia "un metodo di governo" appare in modo cristallino nell'argomentazione del post.
Sono quasi le 2 del mattino, fra qualche ora devo andare a lavorare ma non sono riuscito a staccare gli occhi dallo schermo.
RispondiEliminaContinuare a dirle grazie per la chiarezza, il metodo, la precisione, lo ritengo sempre più opportuno.
La trasposizione in numeri e teorie delle intuizioni aiuta a tirare avanti. A volte leggi la realtà e pensi di essere matto perchè tutto sembra così chiaro e non capisci come mai studiosi e Professori dicano il contrario. Poi scopri che gli studiosi veri il contrario lo dicono (e i dati lo confermano) e che quelli che non lo dicono o non sono studiosi o mentono sapendo di mentire e, pare strano, ti senti meglio.
RispondiEliminaGrazie Prof, vado a dormire non dico più tranquillo ma almeno più cosciente.
Cosciente che siamo pieni di gente che ci ha governato e che va a dormire la notte raccontandosi che "Bisogna amare così tanto Dio per capire come sia necessario il male"...
Sono le due di notte, io sono cotto anzi ero cotto perché ora sto bello arzillo e posso testimoniare che tira più 'sto post che ecc. ecc.
RispondiEliminaTu dici che "Il moralismo è asimmetrico. Perché mai di due cose che riducono i profitti (cambio forte e diritti dei lavoratori), e che quindi vincolano le aziende stimolandole – in teoria – a diventare più produttive, una deve essere vista come buona e perseguita (il cambio forte), e l’altra come cattiva (i diritti dei lavoratori) e sostituita dalla flessibilità? Non è chiaro."
Non è pura lotta di classe? A me pare chiaro che intanto ricacci indietro i figli dei lavoratori (per carità,uno su mille ce la fa) che studieranno meno, si cureranno sempre peggio, saranno sempre più invischiati nella lotta per la sopravvivenza e non potranno più ambire a certe professioni, salvaguardando altri blocchi sociali (magari la mobilità tra le classi in certi paesi è storicamente più rigida ). Poi il giochino ti scappa di mano e seghi il ramo (fosse la prima volta...), ma tanto quasi nessuno se ne accorge in tempo utile, chi istituzionalmente dovrebbe farlo è occupato a posizionare sé stesso e la sua prole e ormai fa parte del ceto privilegiato. Il piccolo imprenditore è un gran lavoratore ma non ce lo vedo a interrogarsi meditabondo come Olivetti sui destini del mondo, la puzza dell'inganno l'avrà pure percepita e ora indubbiamente soffre, ma forse scattano certi vecchi riflessi ancestrali e fai fatica a pensare dopo 30 anni di bombardamento culturale che in fondo è un male avere la tua naturale controparte in braghe di tela, e tra un po' manco quelle.
Ma io sto qui per imparare e migliorare, non scherzo, e quindi correggimi/correggetemi.
Bello. ha un eleganza che quasi rende superflui i commenti...
RispondiEliminalo vorrei comunque pubblicato sul prossimo libro assieme ad altri post che sono rimasti esclusi dal 'tramonto' >>> (edulcorando un po' istwine) anzi è necessario che sia pubblicato...
note : in quegli anni meta' 90' non entrano in europa i paesi est europei ?
che correlazione possiamo immaginare?
comunque l'impressione che è che prodi e compagnai fossere abbastanza consapeveli dello scenario ma affascianti dal sogno delirio ^geopolitico^(che uso apposta) degli stati uniti d'europa : e che la germania e i vincitori avrebbero garantito i debiti dei creditori ,associata ad un forte redistribuzione (simile a quella fra nord e sud d'italia) che avrebbe riequilibrato o comunque mantenuto constante la domanda delle varie regioni/stati degli stati uniti d'europa...Che molte pmi italiane sarebbero state state fregate nel processo era evidente a bossi (nel '98)
e a craxi (nel '92) quindi figuriamoci se prodi e amato non lo sapevano
(non potevano non sapere)
Poi c'è un altro punto , comunque gli stati uniti d'europa servono e nascono per favorire la globalizzazione e le supermultinazionali che possono governare gli opacissimi processi decisionali dei vari consigli d'europa commissioni normative europee...schiacciando i piccoli
(amazon non potrebbe fatturare in lussemburgo quello che vende in uk ita ger fra ecc...) E non a caso in italia i difensori piu' irrazionali dell'euro vengono da torino (grande industra pd sindacati) ricordo a tutti che una delle curiosita' emerse dalle inchieste di tangentopoli (su cui ovviamente sono con istwine contro ale guerani ^^) è che i vertici dei sindacati erano a libro paga della fiat e della grande industria (cosa per altro legale...) A mio avviso ci sono fondati motivi che sindacati in italia siano esattamente come giannino (e chi vuole capire ha capito)
Globalizzazione & grande industrie che si possono disinteressare della domanda interna e perfino del problema della produttivita'
Retrospettivamente mi sembra perfino ovvio che i problemi posti da questa impostazione economica siano stati colti da un tremonti da un bossi (deglia anni '90) in parte da berlusconi piuttosto dalla ^sinistra^ (che ha come sottostanti ^famiglia Fiat&grande industria^ raiders alla ^debenedetti^ sistema ^finaziario^ )
L'impatto delle disastrose privatizzazioni di telecom (acquistata a debito e finita a telefonica dopo spolpamento e licenziamenti per decine di migliaria)un azienda centrale in un momento di cambiamento storico delle telecomunicazioni, autostrade (dove benetton hanno puntato a massimizzare il profitto) tante altre ...tutte attorno al '95 ...
Ma alla fine la crisi cab dei paesi euromediterranei è causata dai crediti privati esteri(i diffenziali ,scarti,di inflazione e competitivita' da soli sarebbero stati piu' progressivi e lenti)...quindi liberta' dei capitali ...Ora a cosa sia
servita questa liberta' di movimento dei capitali in europa e il credito
selvaggio possiamo immaginarcelo no? Monte paschi ...miliardi di euro che girano , vanno e vengono e ritornarno ...(il problema dei deritati è successivo) pure i derivati venduti a comuni e regioni italiane (illegale perfino in uk) con advisor e mediatori spesso parenti stretti di politici (di sinistra ...) provvigioni multimilionarie...tutto legale ovviamente
L'altra primaria banca italiana che si allea con i tedeschi per colonizzare l'est europa...Questo è l'altra faccia del progetto euro (sono note e frammenti )
Per una volata devo spezzare una lancia a favore del parafulmini televisivo del PD, il povero Fassina.
RispondiEliminaTutta questa pappardella per dire quello che Fassina ha confessato in tv, dicendo :"NON POTENDO PIÙ SVALUTARE LA MONETA, SI SVALUTANO I SALARI"
Grande prof ! Bellissimo post.
P. S. Hai capito Guerani.... :-)
Il ragionamento, ancora una volta, non fa una piega.
RispondiEliminaAggiungere contributi diventa veramente arduo ma con il rischio di risultare banale oppure anche solo ovvio, provo a farlo.
Intanto una sintesi, estrema ma utile, penso, a quelli che per far ripartire l’economia occorre dimezzare i parlamentari, eliminare il finanziamento pubblico, a chi a i partiti, si ma anche a qualsiasi altra cosa, se è pubblico deve essere brutto e dannoso, a quelli che occorre abbassare le tasse tagliando la spesa ect. :
Le risorse che ha un sistema economico per funzionare sono appunto essenzialmente le risorse prima della efficienza con cui queste vengono utilizzate.
Il potere è in mano a chi controlla le risorse.
Ma si può dire anche e soprattutto che chi controlla le risorse lo fa in virtù di un potere che con le buone o le cattive si è presso, a me piace di più dire arrogato.
Questo soggetto se non è categoricamente pubblico e possibilmente democraticamente eletto, siamo in presenza di una qualsivoglia specie di dittatura.
In un sistema capitalistico la questione prima citata per le risorse si applica al capitale.
In un sistema capitalistico cartalista, quindi non in regime di gold standard o ancor più in un sistema che è cartalista per le elites e gold standard per i cittadini e le imprese (ogni somiglianza col sistema euro non è casuale ) il potere è in mano a chi controlla la emissione di moneta, o altrimenti detto chi ha il potere, alias chi si è arrogato più o meno violentemente o con metodi antidemocratici il potere, lo può assolutamente esercitare semplicemente facendo un sola e antica cosa, battere monete e obbligarti quella ad usare.
Tutte le disgrazie che capitano ad un sistema i cui poteri sono fortemente accentrati e che tratta centinaia di milioni di persone che parlano decine di lingue diverse che abitano in tanti posti diversi come se fossero una cosa sola, sono ormai ovvie.
Una sola cosa vorrei dire a proposito della diminuzione di produttività in un sistema in cui si tende a mortificare le risorse umane, penso che questo avvenga non solo perché se i lavoratori costano meno ci sarà la tendenza a sfruttarli di più piuttosto che investire in sviluppo quindi in tecnologie e processi più evoluti e tendenzialmente più produttivi, al netto quindi della efficienza del personale ma anche perché le risorse umane si differenziano dalle macchine proprio perché umane sono, sono persone che umanamente si daranno da fare se valorizzate, viceversa tenderanno ad andare nel c..o al “padrone” se mortificate !
Al contrario di quanto molti vorrebbero le persone non solo pensano, hanno perfino un’anima, quella che certe elites pensano di avere solo loro mentre sono quelli che al mondo dalla loro essenza si sono più allontanati !
a proposito di opinioni in tal senso.. penso due anni fa lo ha scritto pure Tito Boeri che però di recente sulle pagine di "internazionale" (che forse riprende i suoi lavori sul suo sito) se l'è presa con le aziende italiane perché vetuste, non innovative.
RispondiEliminaquale esperienze mostrare?
un esempio su un'azienda.. paga una miseria i lavoratori, a distanza di mesi..
domanda: che produttività avranno queste persone?
una mia amica (del Nord) mi ha fatto notare una cosa sulle commesse del Sud (o chi serve o sta alla reception): lavorano sbuffando spesso, operando come se facessero un favore.
le ho spiegato che possibilmente saranno al secondo turno, al settimo giorno consecutivo di lavoro e che non viene pagata da tre mesi..
produttività n. 2
parlo con (ex, perché disoccupato) operaio che mi dice:
"anni fa, un manovale aveva una certa paga e chi lo guidava molto di più.. il manovale aveva l'ambizione di far bene e pure chi lo guidava perché sapeva che poteva crescere! io avevo come esempio tuo padre per esempio. invece adesso un operaio viene pagato quasi quanto un manovale.. domanda: il manovale è interessato a migliorare e prendersi responsabilità con la stessa paga? e l'operaio che guida il manovale che motivazioni avrà?"
valsandra,
RispondiEliminaSi.
Gli esseri viventi esistono.
Gli esseri umani, a differezna degli animali, lo sanno.
Gli esseri umani hanno consapevolezza della loro condizione.
Il lato umano di tutto quello che siamo e facciamo è di fondamentale importanza.
Semtimenti come ambizione e speranza di migliorare la propria condizione fanno dell'uomo un essere che tende a crescere ed evolvere.
Tendenza che purtroppo si inverte drammaticamente quando prevalgono sentimenti negativi di odio, paura, desiderio di sopraffazione o terrore di essere sopraffatti.
I sentimenti positivi possonno anche essere mortificati dall'eccesso di uso della ragione, ma qui occorre che mi fermi, altrimenti ci addentriamo in sentieri per lo più inesplorati.
magari più avanti ...
produttività n. 3
RispondiEliminaesempio studi commercialisti
redigo il corpo centrale (motivazioni) di un'istanza di disapplicazione e lo studio (milanese) che la invia all'agenzia delle entrate incassa € 16k (non sedici euro.. sedicimila).
stessa cosa per un'azienda siracusana ma gratis.
domanda: lo studio siracusano per "campare" che politiche deve adottare? se ha dei bravi dipendenti questi se ne andranno (vedete, € 400 euro per anche 60 ore settimanali di lavoro non sono una cifra elevatissima.. qualche mal di pancia viene pure pensando che l'aggiornamento te lo devi pagare pure da solo!).
per arrivare ad un certo volume di soldi devi fare volume di lavoro.
ma il volume come ben sanno gli atleti è inverso rispetto alla qualità.
in quale studio ci saranno persone più preparate? in quale studio ci sarà una migliore assistenza all'azienda?
esempi indiretti, tratti da racconti altrui
nelle aziende del nord girano ceffi che controllano la produttività dei singoli dipendenti.. che si sentono osservatissimi, sono più nervosi, indisposti e impauriti.
la produttività è aumentata o diminuita complessivamente?
ah ecco!
Professore,
RispondiEliminaho trovato questo articolo molto interessante e istruttivo, pur essendo, di norma, non d'accordo on quanto Lei sostiene a proposito del fatto che il problema SIA l'euro. Nella mia umilissima opinione l'euro è stata la MICCIA che ha fatto deflagrare una polveriera fatta di problemi pre-esistenti.
Lei porta dei dati che mostrano che nanismo e scarsa spesa in R&S non erano stati un problema fino a metà degli anni '90. E questo è vero, ma lo è perché la flessibilità del cambio ne mascherava l'impatto negativo. Una volta fissato il cambio nanismo e scarsa spesa in R&S, e aggiungerei anche sottocapitalizzazione delle imprese, sono diventati un problema, come è abbastanza logico che sia.
Sono d'accordo con Lei per quanto riguarda la flessibilità. Le varie forme di contratti atipici andrebbero abolite, ma al tempo stesso si dovrebbe permettere all'imprenditore di liberarsi dei lavoratori indesiderati (ho letto poche settimane fa di un imprenditore costretto a riassumere un dipendente che aveva licenziato perché l'aveva trovato a letto con la moglie - la moglie dell'imprenditore ovviamente, non quella del dipendente).
C'è un altro fattore di cui si dovrebbe valutare l'impatto, ed è un evento occorso anch'esso a metà anni '90, ovvero internet.
Internet ha reso cosa facilissima spostare i capitali dove rendono di più, seduti comodamente in poltrona nel salotto. Ha pemesso il tele-lavoro, ad esempio il supporto IT dell'azienda in cui lavoro sta in Romania e in India, insomma ha permesso di fare tutta una serie di cose che mettono sicuramente in difficolà un paese non ben attrezzato per competere a causa, appunto, di nanismo e mancanza di R&S e, aggiungere, normativa bizantina. Tanto per fare un esempio, a quanto ne so la normativa italiana limita moltissimo la possibilità di sviluppare il "venture capitale". Insomma se io, privato cittadino, voglio investire in una piccola impresa start-up fondata da un genialoide in un garage (a parte che con le norme sulla sicurezza e similari, il genialoide manco la fonda), non lo posso fare. E' ovvio che a quel punto se voglio investire in una attività reale e non in titoli di stato, considerando quanto la Borsa italiana è asfittica e popolata da imprese simbolo del crony capitalism, finisco per comprare azioni della Coca Cola o della Exxon-Mobil o, se voglio un po' di esotismo, della Lukoil.
Personalmente non ho mai dato la responsabilità della situazione italiana solo alla politica; anche la classe imprenditoriale è fortemente inadeguata. E di questo i supply-siders dovrebbero tenere sicuramente conto
Carissimo, alcune osservazioni sparse.
EliminaTu hai delle simpatiche e plausibili chiacchiere da offrire, io ti ho fornito un preciso modello di riferimento.
Mi sembra ti sia sfuggito il fatto che i dati sulla spesa in R&S sono fortemente distorti per i motivi che esprimo nel testo.
Mi sembra ti sfugga che non esiste alcun motivo per dotarsi di un regime di cambio che fa gli interessi del resto del mondo e non i propri.
Diciamo che tu vedi come una polveriera di problemi preesistenti quello che illustri colleghi vedevano come un modello di successo. Vedetevela fra voi.
Le considerazioni sulla propensione degli imprenditori a investire in ambito finanziario (interno e estero) anziché nella propria o in altrui imprese sono senz'altro fondate, ma vanno inquadrate a valle della scelta di lasciare al "mercato" la determinazione del costo del denaro, con l'ovvia distorsione aggiuntiva determinata dalla difesa del cambio fisso (che comunque c'è stata anche negli anni '90).
Non farei all'imprenditore italiano una colpa dell'aver voluto investire al 6% reale risk free in Bot anziché magari al 10% reale nella sua azienda, ma con rischi e facendosi un discreto mazzo.
Non è mio stile chiedere sacrifici eroici a nessuno, nemmeno agli imprenditori. Il mio lavoro è diverso: cerco solo di capire se è possibile organizzarsi secondo regole meno irrazionali di quelle attuali.
E' disdicevole il comportamento del dipendente che si tromba la moglie dell'imprenditore, assolutamente, ma la fattispecie del licenziamento d'onore è dura da far passare - per ora - in un Tribunale del Lavoro. Voglio approfondire la questione.
Elimina@Vincenzo Sangiorgio.
Elimina"Lei porta dei dati che mostrano che nanismo e scarsa spesa in R&S non erano stati un problema fino a metà degli anni '90. E questo è vero, ma lo è perché la flessibilità del cambio ne mascherava l'impatto negativo."
Oppure potremmo dire che la rigidità assoluta del cambio (moneta unica) HA CREATO il problema del nanismo e della scarsa spesa in ricerca e sviluppo.
Voglio dire, in soldoni: ma perchè la moneta, secondo il suo ragionamento, deve stare al di fuori della legge della domanda/offerta? Già, perchè parlare di flessibilità del cambio vuol dire -pari pari a tutti i fattori economici che vogliamo ipotizzare- assoggettare un bene alla legge della domanda e dell'offerta. Perchè mai il "bene"-moneta ne dovrebbe stare fuori?
Aggiungo che difatti non ne sta fuori. Anche l'euro ha svalutato (per essere precisi il proto-euro, cioè l'ECU) rispetto al dollaro ed ora ha rivalutato; adesso siamo ad 1,30 circa, giusto?
Ed allora perchè demonizzare la flessibilità di cambio?
Ovviamente son domande retoriche... le risposte le sappiamo.
Lascio ad altri le considerazioni generali.
EliminaPer quanto mi riguarda, mi soffermo su due esempi (senza voler negare che in Italia dei problemi li abbiamo. Ma qui nessuno lo nega).
1. Gustosa la storia del lavoratore licenziato per la scappatella che ha ottenuto la riassunzione. Ma, a parte che vorrei conoscere come sono andate davvero le cose, resta un fatto: perché secondo te dovrebbe essere ammissibile un licenziamento per ritorsione? Il rapporto di lavoro è regolato da un contratto e ha un oggetto ben preciso (la prestazione di un'attività, non le condotte personali, a meno che queste non incidano sulla prima o integrino comportamenti sanzionabili dal punto di vista disciplinare). Ti può piacere o no, ma è così (e ha anche un senso: prova a pensare, per quale ragione Marchionne - che peraltro penso sia legalmente separato - dovrebbe poter licenziare un operaio di Pomigliano se lo trova a letto con la moglie? Che pregiudizio può venirne alla Fiat?). Piuttosto, e sarei curioso di sapere se è successo, la legge in casi del genere consente all'imprenditore di sospendere temporaneamente (ed eventualmente di risolvere in un secondo momento) il contratto concluso con la terza persona coinvolta nell'accaduto. Persona alla quale la legge impone precisi obblighi di condotta.
Come dire, dura lex, sed lex...
Poi se vuoi possiamo cominciare a discutere di diritto del lavoro e sul modo milgiore per governare un rapporto (quello tra datore di lavoro e lavoratore subordinato) che è connotato da uno squilibrio sostanziale dei rapporti di forza. Squilibrio che, piaccia on no, è ineliminabile (come sono ineliminabili le diseguaglianze nella vita, a cominciare da quelle che ci regala madre natura).
2. I garagisti genialoidi. Non per dirti, sai, ma le norme sulla sicurezza sono ormai norme europee: noi non si decide niente, si deve solo trovare i modi per attuarle e farle rispettare (daje a rideee! Come dice il padrone di casa...).
@tolomeo
EliminaBeh, magari se l'operaio FIAT va a letto con la moglie di Marchionne non c'è pregiudizio per la FIAT. Ma quando parliamo di aziende più piccole il rapporto di fiducia conta pure qualcosa.
Per quanto attiene alle varie norme, non solo di sicurezza, tempo addietro ho sentito che per aprire una carrozzeria, insomma non certo una centrale nucleare, servono 64 diversi adempimenti burocratici. A qualcuno magari passa la voglia, o no?
@ Professor Bagnai
EliminaGrazie della risposta.
Personalmente tenderei a preferire un sistema di moneta libera, quindi manco ancorato alle nazioni, con libera determinazione dei tassi di interesse, senza azioni distorsive da parte dello stato e della banca centrale.
Da questo punto di vista mi ritengo quindi un anti-euro e un anti-BCE .
Detto questo, aggiungo che, per quanto l'ho conosciuta e per quanto valga la mia opinione, la classe imprenditoriale italiana ha una scarsissima dimestichezza con il business. Fondamentalmente si tratta di bravi artigiani un po' cresciuti. Non è un caso che troppo spesso le aziende vanno in crisi al momento del cambio generazionale. E questo con la moneta non c'entra niente.
Le pongo poi un quesito.
Nell'articolo Lei, molto correttamente, afferma che non conta solamente produrre ma anche vendere ciò che si è prodotto, insomma è importante che ciò che si produce sia apprezzato dal pubblico. Questo rende giustizia ai "venditori" che in Italia sono spesso guardati per storto.
Ma se questo è vero, e lo è, ne dovremmo trarre la logica conseguenza che considerare la spesa pubblica come componente del PIL è quantomeno azzardato. Molti dei servizi "prodotti" dallo Stato non trovano certamente largo apprezzamento da parte del pubblico che è piuttosto obbligato ad acquistarli. Evitando di entrare in polemiche politiche, penso che un buon 90 % degli italiani sarebbe ben contento se l'Italia facesse a meno dell'esercito o quanto meno lo riducesse in modo estremamente significativo. Come la mettiamo quindi?
Trovo punti di accordo su entrambi i fronti.
EliminaConosco per esperienza diretta il devastante problema del cambio generazionale nella piccola e media impresa. Non esiterei a definirlo IL problema, perché è chiaro che un'attività imprenditoriale non può trasformarsi in una specie di servituù della gleba. Se poi il principino è figlio unico, è la catastrofe esistenziale.
Mi sembra però che il cambio fisso abbia ucciso più imprese delle legittime aspirazioni allo studio del violoncello da parte del figlio del lanificio X di Biella.
Il problema della misurazione del servizi pubblici all'interno del Pil non è di soluzione particolarmente semplice e si appoggia su convenzioni che rendono, fra l'altro, del tutto aleatoria una misurazione macroeconomica della produttività del lavoro in quei servizi. Quando parlo di "vendita" mi riferisco però non all'attività di servizi commerciali, ma semplicemente al lato "domanda" del mercato (per la precisione). L'Italia ha una spesa pubblica sotto la media dell'Eurozona. Se vogliamo ridurla, prego. La proposta fatta mi sembra convincente. Evidentemente non riesco a far capire perché questa oggi NON è una priorità, ma fa niente.
Sul peso della burocrazia sono perfettamente d'accordo: non posso passare una mattina solo per farmi rimborsare tre biglietti di treno (e infatti quando viaggiavo poco preferivo farlo a spese mie senza nemmeno toccare i fondi di dipartimento). Un pezzo di questo problema, però, è europeo. La burocrazia europea (e chi fa il mio lavoro lo sa) è molto, ma molto peggiore di quella italiana, e una serie di adempimenti sostanzialmente inutili per le piccole imprese (in questo caso ho esperienze dirette nel campo dell'artigianato) derivano da normative europee a misura di grande multinazionale (non entro negli esempi, che vanno dalla necessità di stivare in cassette separate le diverse specie di pesci anche se fai pesca sottocosta nel mediterraneo (quindi per una zuppa ti servono 10 metricubi di plastica) alla necessità di mettere in un piccolo laboratorio di oreficeria una cappa aspirante grande come il LEM, ecc.).
Su questo siamo d'accordo, mi pare.
E allora credo che siamo d'accordo sul punto centrale: l'Italia ce la dobbiamo riprendere e la dobbiamo "normare" noi. Non abbiamo bisogno dei consigli interessati altrui e delle altrui interessatissime regole di politica economica.
In ordine sparso:
Elimina1. non girarla e rigirarla, ti ho scritto chiaramente che bisognerebbe vedere come sono andate le cose per poter giudicare. Ma il senso del mio discorso resta quello. E comunque, non è che perchè uno ti fotte la moglie (con rispetto parlando) ti fotte anche i soldi... Che poi in genere ti girino i coglioni in entrambi i casi non significa che le due situazioni possano essere trattate allo stesso modo.
2. 64 autorizzazioni son troppe dici? Quante ne bastano? No, perchè se a te va bene che il tuo vicino di casa vernici auto all'aperto sotto il tuo naso, lasci le vernici sul marciapiede (sia mai che qualcuno butti una cicca di sigaretta) e tiri una lampada con una prolunga per vederci meglio quando fa sera si può anche fare. Se sei d'accordo possiamo anche far a meno di prevedere permessi e autorizzazioni... Poi però non venire a lamentarti se ti viene l'enfisema polmonare o ti salta per aria la casa.
Per dire, è un'attività un tantino rischiosa...
Che poi l'amministrazione possa funzionare meglio, non discuto.
3. Sistema di moneta libera? Aspetto che il padrone di casa spieghi qualcosa... Io capisco che chiunque può battere moneta... Be' se vuoi vendermi qualcosa ti offro i soldini di carta di mia figlia. In casa nostra hanno corso legale, tu li accetti?
@tolomeo
Elimina1) Ho parlato di rapporto di fiducia; il tipo che si tromba la moglie del capo mi sembra che lo rompa. Oppure tu riusciresti a lavorare con uno, non importa se sia tuo sottoposto o tuo capo o tuo pari, che si tromba tua moglie?
2) Esiste un principio profondamente liberale che dice che qualsiasi attività uno faccia non deve ledere il corpo, ergo la salute, e la proprietà altru. Se il vicino si mette a verniciare auto in giardino lo denunci e lo fai smettere. Ma, come ha anche osservato il Professor Bagnai, obbligare un piccolo peschereccio ad avere a bordo 10 metri cubi di plastica per pescare il pesce per la zuppa è francamente assurdo.
Mi permetto di aggiungere alle considerazioni di tolomeo che le 64 autorizzazioni occorrenti per aprire una carrozzeria sono una delle tante leggende metropolitane che girano in rete e sui giornali e che si leggono senza manco chiedersi se sia vero, perchè tanto la burocrazia in Italia è quella che è se la paragoni a quella tedesca! Intanto il termine "autorizzazione" praticamente non esiste più nel linguaggio amministrativo sostituito da un evocativo SCIA (Segnalazione Certificata Inizio Attività) che però presuppone l'autocertificazione del possesso dei requisiti urbanistici, ambientali, igienico-sanitari e di sicurezza previsti dalla normativa, normativa, ricordiamolo, ormai quasi solo di provenienza comunitaria! (Fra l'altro la certificazione del possesso dei requisiti lo faranno fra un po' i privati con le agenzie per le imprese...) E ragione ha il professore quando sostiene che essa (la normativa) è modellata sulle grandi imprese, con le ovvie conseguenze di difficoltà applicative ed interpretative per le piccole imprese. Giusto per dirne una: a fine mese non sarà più possibile l'autocertificazione in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro per le imprese fino a 10 dipendenti. Sarà anche un bene, per l'amor di Dio, ma fatto sta che - per evitare le sanzioni dell'UE - dal 1° giugno anche chi ha solo un dipendente dovrà fare il suo bel documento di valutazione dei rischi.
EliminaVogliamo parlare poi delle norme capitate tra capo e collo sui dipendenti pubblici nel giro di pochi mesi? Chiedete cosa pensano di CUP, CIG, DURC, tracciabilità dei flussi finanziari, trasparenza, anticorruzione ecc. e vi diranno che metà del tempo lo devono dedicare a queste stupidaggini.
Vogliamo riformare seriamente la pubblica amministrazione? Cominciamo a fare piazza pulita dei luoghi comuni anche in questa materia ed iniziamo un lavoro paziente, certosino, faticoso e lungo di analisi delle procedure amministrative e delle modalità di valutazione delle performance dei dipendenti.
Ho già scritto troppo e chiudo qui
@ saverio primavera
EliminaE' bufo leggere che i dipendenti pubblici si lamentano di CUP, CIG, DURC e via discorrendo quando tutta questa marea di carta è l'unica giustificazione del loro impiego. O pretenderebbero di essere pagati non solo per non fare alcunchè di veramente utile ma di non fare assolutamente nulla? Per non dire che solo il solito tipo che fa del "luogocomunismo" sui dipendenti pubblici, preciso che sono andato a lavorare nel privato perché ben conoscevo l'impiego pubblico in cui hanno lavorato o tuttora lavorano (e anche in posizioni di alta dirigenza) mio padre, mia madre, mio fratello e sua moglie, la mia ex-moglie nonché una schiera infinita di zii, zie e parenti assortiti vari. Ovvio che al dipendente pubblico in senso stretto vanno poi associati tutti coloro, commercialisti, certificatori, avvocati, notai e chi più ne ha ne metta, che svolgono attività che esistono solo perché vi sono norme astruse da seguire.
Più passa il tempo più mi rendo conto che la genialità di Keynes stava nel fatto che lui intendeva sul serio la spesa pubblica come "scavare buche e poi riempirle" ovvero fare qualche cosa che non andasse assolutamente a distorcere il vero mercato.
Caro Vincenzo, a questo punto ovviamente non le auguro di avere un incidente, tanto per fare un esempio, perché oltre alle conseguenze spiacevoli dal punto di vista fisico, ciò potrebbe anche farle crollare la sua certezza che i dipendenti pubblici traggano la giustificazione del proprio impiego unicamente dal tritare carte.
EliminaIn trepida attesa dell'ambulanza privata la saluto cordialmente.
Ah, caso mai non si fosse capito, qui la discussione viaggia su altri binari. Anch'io sono dipendente pubblico, lo erano mio padre e mia madre e lo è mio fratello. Se lei vuole buttare il bambino con l'acqua sporca si accomodi: la Somalia è a due passi, il paradiso del liberismo. E pensi la comodità: il calcolo delle probabilità ci dice che per quel paese basta un biglietto di sola andata...
Mi sto chiedendo cosa penserebbe la sua mamma se sapesse quello che lei scrive. Sicuramente lo sa già e si sarà adeguata alla sua ingratitudine. Lei pensa di essere tanto controcorrente ed invece è solo uno che sputa sul piatto dove ha mangiato. Soffermiamoci un attimo sui servizi che compongono un qualsiasi ente provinciale (argomento alquanto attuale)che secondo l’opinione che imperversa compresa la sua, non servono a nulla e vediamo se si sa di cosa si parla. Sono convinta infatti che questo modo di esternare disprezzo non è altro che una grandiosa ignoranza sugli atti che un’amministrazione pubblica svolge. Il servizio ambiente farà delle belle fotografie alla campagna circostante, o si occupa tra l’altro anche della qualità dell’acqua, delle bonifiche, della difesa del suolo, della tutela dell’aria? Il servizio che si occupa delle strade che farà ? Conterà quante ce ne sono nel territorio o servirà a mantenere in efficienza il manto stradale (sintetizzando eh)? Vigilanza costruzioni farà dei bei disegnini della pianta della città o dovrà considerare la tenuta strutturale dei vari edifici pubblici tra i quali le scuole? Il servizio formazione professionale e lavoro dove io svolgo le mie mansioni si divertirà a compilare dei bei diplomi oppure gestisce corsi di formazione e tirocini formativi presso aziende che hanno consentito l’assunzione di vari ragazzi ? O ancora nel biennio 2007-2009 (all’interno del POR programma operativo regionale 2007-2013) ha servito circa 8.000 richieste di voucher formativi? O ha gestito gli ammortizzatori sociali? O tutto il lavoro del centro per l’impiego tra cui quello dedicato alle categorie disagiate? Mi fermo qui altrimenti divento noiosa. Perché non si sceglie un paese dove non ci sono dipendenti pubblici, e ci va così avrà quello che si merita – NIENTE –
EliminaRelativamente invece alla questione R&S perché non si rilegge il libro del Prof. a pagina 74 dove si parla con chiarezza delle svalutazioni italiane del 1976, 1981 e 1993 che hanno avuto carattere difensivo e si citano le rivalutazioni applicate nei sei anni precedenti al 1992, quindi è scorretto affermare "... E questo è vero, ma lo è perché la flessibilità del cambio ne mascherava l'impatto negativo." A pag 75 si ribadisce il concetto dicendo che è riduttivo e falso sostenere che l’Italia sia campata solo sulla svalutazione tanto è vero che lo smentisce la figura 4 che mostra come fino al 1996, con una parentesi a fine anni 80, la produttività del lavoro italiana sia cresciuta allo stesso ritmo di quella tedesca”. Per chiudere la flessibilità da sempre ha aiutato l’uomo ad adattarsi e a cercare risposte alle varie incognite che si presentavano, la rigidità ha favorito invece l’acuirsi delle difficoltà, questo vale anche per l’economia, ma vale soprattutto oggi non solo per il tasso di cambio, ma perché ci ostiniamo a non voler vedere il colossale errore che ci schiaccia e che ci irrigidisce su posizioni che non aiutano a scoprire la verità.
lo so adesso arriveranno i soliti che mi diranno ecco il fascista di turno, perche non ci dobbiamo drogare di svalutazione? che c'è fa male?io ricordo quando svalutavamo a parte qualche articolo sui giornali non si suicidava nessuno perche la propria azienda falliva per mancanza di esportazione,Valsandra io in cantiere ho lavorato per dieci anni e si guadagnava bene da operario semplice nel 1986 poratvo a casa non meno di 1300000 lire piu i lavoretti extra a 75 mila al giorno......oggi un mio carissimo amico lavorava a 30 euro al giorno........ lo stesso lavoro che facevo io e lo sai perche? perche qualcuno a deciso che dovevamo far entrare tutti le frontiere non esistono piu quando sono entrato a lavorare in cantiere esisteva una gerarchia che neanche gli imprenditori mettevano in discussione,il lavoro andava svolto in quel modo con tot operai e gli operai andavano PAGATI IN QUEL MODO e il lavoro c'era anche in tempi di crisi oggi si deve essere flessibbili cioè sfuttati perche "se te stabene è cosi altrimenti la lista è lunga e de operai che costano la metà ne trovo quanti ne volgio" questa è la risposta che danno (tante volte manco te pagano) lo dico spesso io ho litigato quando misero l'euro ritenevo che fosse un grande passo verso un mondo migliore,non un passo verso la miseria.
RispondiEliminaIlluminante, va metabolizzato mi sa.
RispondiElimina"È un fallimento economico, ma è anche e soprattutto un fallimento politico, non dimentichiamolo mai. Quello di élite che per motivi che gli storici appureranno (collusione con interessi esteri? Accecamento ideologico?) hanno paternalisticamente deciso di governare gli italiani col manganello del cambio, sapendo di esporli a difficoltà, ma confidando nel fatto che queste li avrebbero temprati."
Non sono un storico, ma ho l'impudenza di appurare.
Se gli "interessi esteri" producono l'ideologia necessaria a conservarli (che poi i dati mostrino in parte l'eterogenesi dei loro fini è un altro discorso), l'accecamento ideologico delle élite politiche è causato proprio dalla collusione che queste mantengono con i suddetti "interessi esteri" (definizione limitata, Confindustria ad esempio risponde sia a interessi esteri che di potere interno). In fondo il fatto che ci credano davvero non è rilevante, rimane un aspetto dialettico; il grande inganno è la propagazione di quella ideologica presso le istituzioni culturali (università, fondazioni, associazioni) e le pubbliche opinioni attraverso l'apparato mediatico di proprietà dei medesimi "interessi esteri" e messo in scena dalle élite politiche e culturali(*).
Follow the money, business as usual e lotta di classe. Se avidità di denaro e potere, e carriera e ambizione, e sensi di colpa e rimozione, e tradizione e razzismo, e guerra... Anche questo aspetto lo inserirei in una prospettiva storica (ciclica).
Chiaramente non esiste alcun complotto, dal momento in cui l'evidenza è sotto gli occhi di tutti la segretezza non è più tale, e il complotto cessa di esistere in sostanza. I nomi e i cognomi degli "interessi esteri" (che lavorano su scala globale) esistono e si possono fare: quelli che ieri hanno "suggerito" l'adozione dell'euro a economie tanto diverse tra loro sono gli stessi (o comunque appartenenti agli stessi gruppi di potere) che oggi "suggeriscono" alle burocrazie comunitarie e nazionali l'adozione delle riforme basate sull'abolizione dei diritti e la svalutazione del lavoro, complementari a un'ulteriore apertura dei mercati con accordi di libero scambio (transatlantico e transpacifico). Vanno solo cercati e riportati.
(*) Nel caso italiano l'anomalia è evidente: abbiamo l'élite politico-imprenditoriale rappresentata da Berlusconi possedere direttamente un proprio apparato mediatico (Mediaset), controllare indirettamente la maggior parte di quello pubblico (Rai, soprattutto attraverso nomine politiche) e influenzare direttamente quello privato (TI Media e Sky, soprattutto attraverso la legislazione in materia e la minaccia di ritorsione nella raccolta pubblicitaria). Appare normale che questo conflitto di interessi interno spesso confligga con gli interessi esteri e con i poteri interni, magari più affini in determinate circostanze a quelli esteri.
@Vincenzo Sangiorgio
RispondiEliminamettiamola in vari aspetti
1) quindi condanniamo il ns paese alla morte
2) quindi tutti coloro che fissano la propria moneta ad una più forte non dovrebbero andare in crisi e quindi ci vanno!
certo, l'Irlanda è più corrotta di noi mentre la Corea del Sud.. beh, so' Coreani e quindi pensano solo a lanciare missili (ops, quelli sono del nord!).
3) ma lei ha presente l'Italia?
no
prenda Taormina-Barcellona Pozzo di Gotto.
in linea d'aria saranno una quarantina di km.
in pratica un'ora e mezzo di strada.
e Reggio Calabria?
per inciso: la Calabria si vede pure da Siracusa... peccato serve una vita per arrivarci.
l'Italia è un paese scarsamente predisposto per le economie di scala!
altro che grandi imprese e via dicendo.
4) su R&S e il resto.
se lei aiuta la fiat con profitti extra industriali e l'ammazza per via dell'euro (ma favorendone le acquisizioni in America!!!!!!!) che R&S ci deve essere.
Vogliamo parlare della chimica distrutta? di finmeccanica?
la deindustrializzazione si è portato via anche questo aspetto.
Oh, vogliamo parlare del divorzio e di quanto ha "succhiato" da questo punto di vista?
infine un esempio spicciolo.
un mio amico di Modica ci spiegò (sa, bisogna saper ascoltare chi racconta le proprie esperienze) che la concorrenza si era innovata e aveva costi inferiori alla loro ditta.
Al che qualcuno ha chiesto: "ma perché non lo avete fatto pure voi?"
risposta: "ma noi vendevamo di meno e con la crisi abbiamo accumulato solo debiti.. come si fanno altri debiti avendone altri che non sappiamo ripagare?"
toh, le idee di Verdoorn nel pratico!
il paese va in crisi, crolla la domanda interna, gli operatori marginali non vendono più e non innovano!
toh, il famoso R&S (o gli investimenti se preferiti) diminuiscono anche perché i datori di lavoro preferiscono pagare prima gli operai.
hanno fatto male?
a proposito di FIAT (punto precedente).. con la moneta forte non solo si importa più facilmente ma si acquistano pure meglio all'estero gli investimenti.
e cosa si fa?
ovviamente si investe all'estero (con il gioco del cambio risparmi anche sino al 40% senza doverti scervellare!).
e cosa si fa a casa nostra? beh, porti avanti le strutture produttive anche oltre il loro limite ("esaurimento del ciclo di ammortamento").
in pratica nel primo periodo ci sono extra profitti in "casa" e si migliora la redditività (via investimenti all'estero che beneficiano di una moneta sopravvalutata e quindi sono acquistati sottoprezzati.. goofy rule!).
PS: certo che abbiamo i nostri problemi!
ma il nostro non è il paese in cui un mafioso sulla carta può aprire facilmente una propria attività.. qualcosa la deve fare o no per aggirare le regole?
alla fine della fiera anche qua: tassazione esagerata per stare nella UE, burocrazia lenta perché gli investimenti non ci possono essere e via dicendo.
come on!
A determinare il calo di produttività a partire dalla metà degli anni '90 potrebbero aver contribuito le coeve privatizzazioni (rectius: svendite) secondo la logica dello "spezzatino" (il contrario del "piano Guarino)?
RispondiEliminaPPS:
RispondiEliminatra le righe ho parlato del regalo dei profitti extra industriali.
Mi riferivo a ciò che poi ha spiegato il prof.
Scenario 1: italia con la lira e la BdI=>tassi reali uguale a zero
Scenario 2: quello degli ultimi 30 anni con momenti più o meno brillanti=> tassi reali 3-4%.
ovvio che per avere profitti del 5-6% uno ci pensa 2 ml di volte ad investire avendo soldi gratis! al 3-4%
Gentile Professore,
RispondiEliminavisto che non c'è il collegamento al paper "Industrial districts
and local economic regeneration " Edited by F. Pyke and W. Sengenberger lo posto per completezza [url=http://www.ilo.org/public/libdoc/ilo/1992/92B09_69_engl.pdf] Industrial districts and local economic regeneration[/url]
Ma infatti le differenze tra neokeynesiani e neoclassici in fondo sono minime (solo per il breve periodo e in rare condizioni) e tutti insieme, ideologicamente, inneggiano alla flessbilita' del lavoro. E qui occorre un po' di chiarezza, perche' i tanti citati e osannati (altrove , ma a volte anche qui) Krugman, Stiglitz, ecc. mettono il "neo" davanti, ma abbracciano la sintesi neoclassica e quel modello AS-AD che imperversa in tutto il mondo e che ci insegnano all'universita' come oro colato. Modello, questo, in cui il mercato del lavoro e' in equilibrio solo al salario offerto dai capitalisti. Quindi se il mercato e' flessibile il salario, piu' basso per ovvi motivi interclassisti (come ci insegnano le figurine Kalecki e Sraffa), e' quello che influisce sulla curva di offerta aggregata.
RispondiEliminaConcludo evidenziando che come non esiste la relazione piu' flessibilita'=piu' produttivita', non esiste neanche che la disoccupazione diminuisca con la flessibilita', come invece vuole farci credere il nuovo presidente del cdm e tutti gli economisti e politici delle tv e dei giornali. Perfino Blanchard o Boeri lo hanno evidenziato, come sintetizzato da Brancaccio in questo articolo
Scusate forse non so usare i link attivi col cellulare. L'articolo e' questo.
EliminaWww.emilianobrancaccio.it/2013/05/01/sul-mercato-del-lavoro-letta-dichiara-il-falso/#more-4451
Devo chiedere (ai lettori più esperti) chiarimenti sul grafico 5 di 5.
RispondiEliminaDovrebbe rappresentare tasso di cambio\ esportazioni, se capisco bene.
Quale è quale?
Perchè si verificano sincronie (quella in oggetto) ma anche corrispondenze inverse ('78, '84, '89)?
Scusa, era un po' per addetti. Sono i tassi di variazione percentuale del cambio nominale incerto per certo (aumento = svalutazione) e del volume delle esportazioni (indice del FMI). Il cambio è ITL/ECU-EUR e le esportazioni sono ovviamente in volume (termini reali). X sono le esportazioni e E il cambio. Le sincronie indicano che a svalutazioni sono associati aumenti e a rivalutazioni diminuzioni della crescita export. Come spiegherò in un post successivo, questo vale in periodi di inflazione bassa quindi stabile. Quando l'inflazione è alta diventa anche più volatile e la relazione fra cambio nominale e competitività diventa meno netta (questo succede verso l'inizio del campione). Spero questa spiegazione basti per ora...
EliminaBuongiorno professore,
Eliminal'articolo é molto interessante. Soprattutto é molto utile il confronto tra diverse possibili spiegazioni del rallentamento della produttività.
Dal grafico che confronta ALP con ITL/ECU-EUR e dalla sua spiegazione mi verrebbe da pensare che se non si fosse fissato il cambio a 1900 e rotte lire per euro, ma ad esempio a 2200, non si avrebbe avuto l'immediato rallentamento della produttività. Questo significa che si sarebbe evitata la crisi o solo posticipata di qualche anno? (Al di là di chi avrebbe detto che saremmo stati più poveri con cambio a 2200).
La domanda può essere riformulata in questo modo: posto che fissare il cambio é artificiale, quanto conta il cambio che si é deciso rispetto alle valute precedenti?
La ringrazio per il tempo che ancora trova per questo blog e mi scuso se ha già discusso di questo problema.
Gian, piddino convertito
Altrochè, grazie; la questione sembra complicata, comunque.
EliminaUn post al riguardo (a suo comodo) mi sarà molto utile.
In bocca al lupo per stasera, spero che la lascino parlare (e che ascoltino, una volta tanto).
OT mi rendo conto, ma per restare sulle notizie di stamane (La fonte è sempre il blog quotidiano del Guardiano della Perfida Albione):
RispondiEliminaOECD takes red pen to Italian forecasts
The OECD has given Italian prime minister Enrico Letta a reminder of the challenge he faces, by slashing its economic projections for Italy.
It cut its forecast for Italy 2013 GDP to -1.5% from 1.0% (in line with the IMF's latest projection).
The OECD also hiked Italy 2013 Debt/GDP Forecast To 131.5% from 130.4%, and its 2014 prediction to 134.2% From 132.2%.
Reminder: Greece's austerity package is designed to drag its debt/GDP ratio down to 120% by 2020 -- seen by the IMF as a key measure of debt sustainability.
@Vincenzo Sangiorgio: Nel suo commento lei dice al Prof. Bagnai che"porta dei dati che mostrano che nanismo e scarsa spesa in R&S non erano stati un problema fino a metà degli anni '90. E questo è vero, ma lo è perché la flessibilità del cambio ne mascherava l'impatto negativo. Una volta fissato il cambio nanismo e scarsa spesa in R&S, e aggiungerei anche sottocapitalizzazione delle imprese, sono diventati un problema, come è abbastanza logico che sia."
RispondiEliminaMa si rende conto che ha una visione "moralistica" dell'Economia (peraltro distorta) che parte dal dato "assoluto" che il cambio fisso sia un bene e che questo non aiuta ad analizzare i problemi ed a prospettare soluzioni?
Quando dice che, a proposito di nanismo e R&S, "la flessibilità del cambio ne mascherava l'effetto negativo" è un po' come se io dicessi che la "non-tetraplegia mascherava gli effetti negativi del decubito"... Il problema è che la patologia sopravvenuta è la tetraplegia perchè il decubito lei lo sostiene quotidianamente ed è parte delle normali posture umane ma non per questo ne risultano piaghe e ulcerazioni.
Traducendo: il cambio fisso è una patologia?
Secondo un'altra visione moralistica dell'economia si.
Io, alla luce dei dati, non posso che considerarla una scelta, una variabile economica che, date determinate condizioni funziona o meno ma che sicuramente influenza altre variabili.
In Europa semplicemente non funziona perchè non ricorrono i presupposti a meno di non considerare l'affamare gli esseri umani un dato come gli altri e non decidere che una popolazione di apolidi in cerca perenne di un lavoro (cosa più volte dimostrata come scarsamente applicabile in Europa perfino se fosse auspicabile) sempre più malretribuito non sia, quello si, moralmente accettabile.
Credo che non abbia compreso ciò che intendevo. Come ho poi scritto personalmente, avendo una visione liberale della vita, i cambi fissi e le banche centrali non mi piacciono affatto.
EliminaHo soltanto voluto sottolineare come certe problematiche, che non vanno assolutamente trascurate, pre-esistessero all'euro.
Che l'euro sia stato una tempesta è vero; ma le tempeste si affrontano molto meglio a bordo di un transatlantico piuttosto che a bordo di una barchetta a remi.
@Sangiorgio
EliminaCon tutto il rispetto, di questi "capitani coraggiosi" ne circolano molti anche su Twitter. Dunque: l'euro è una tempesta, e la tempesta si affronta meglio a bordo di una tempesta? Secondo me la tempesta si affronta meglio cambiando rotta. Se le vuole farsi legare al timone dalla Markel (ormai lo abbiamo capito) ce lo faccia sapere, perché o noi scendiamo dalla sua barca, o lei scende dal nostro blog (ovviamente fatta salvo l'interesse del confronto quando usa metafore brillanti e si eleva al disopra del nostro nemico: il luogo comune).
@Vincenzo Sangiorgio:
EliminaSignor Sangiorgio, io credo di aver compreso perfettamente ciò che, forse (se deve ripeterlo in altre parole), lei ha fatto fatica a spiegare. Ma se vuole ragionare per immagini io le dico con la stessa valenza scientifica ma fose con qualche attinenza alla situazione attuale in più che stiamo, non in una tempesta (quella è passeggera mentre la situazione dell'Euro-zona è strutturale...) ma tra i ghiacci e gli iceberg e questa situazione nei mari del Nord è la norma non l'eccezione (così come lo sono le crisi in economia, strano posto dove la gente continua a comportarsi da persone e non da equazioni...). L'Europa non è una rompighiaccio manco per idea (l'unico Paese che somiglia a un tal natante forse sono gli USA) ma solo un grosso barcone che di suo non ha nemmeno l'agilità dei piccoli natanti (i suoi Paesi che magari riescono ad aggirare gli iceberg) dai cui fasciami è stato costruito.
In compenso, in ossequio ad una scommessa fatta dai Capitani ubriachi e, da bravi Schettino, già pronti sulle due o tre scialuppe di salvataggio presenti si manovra con un braccio legato dietro la schiena (cambio fisso), il timone bloccato ad un angolo massimo di 30° (Deficit) e la pompa di sentina funzionante ma, sarà perchè così si risparmia sul gasolio e si diventa più ecocompatibili, spenta perchè è virtuoso(Debitopubblico=brutto).
Gentile amico: come crede che finirà?
Se lo sente, chieda a Di Caprio (che da buon Americano sarà certo liberale pure lui) che magari lo ha studiato per recitare in quella orrenda pizza che è "Titanic".....
@ Professor Bagnai
EliminaMi perdoni per l'ultima frase che è stata poco chiara. Come le ho detto da liberale non amo l'euro e neanche le banche centrali per cui si figuri se amo la Merkel, degna erede del tipo con i baffetti (o forse di quello con i baffoni visto che è cresciuta nella DDR).
Quello che intendevo dire è che se l'euro è una fregatura, noi abbiamo aggiunto fregatura a fregatura presentandoci all'appuntamento senza avere la minima idea di ciò che stavamo facendo e con una serie di limiti strutturali che comunque esistono, a meno che non vogliamo considerare la qualità dei nostri servizi e della nostra pubblica amministrazione uguale a quella scandinava.
Purtroppo allo stato attuale possiamo ben poco per cambiare la situazione euro, o quanto meno per renderla meno rigida. Possiamo però fare molto per migliorare l'efficienza del sistema paese in modo che non venga sballottato come un fuscello al primo refolo di vento.
Superbo post.
RispondiEliminasarebbe da intitolare: "manuale dell'Euro", come terzomondizzare un'economia avanzata.
La nostra, purtroppo.
"un po’ white, e un po’ red"
RispondiElimina"I rossi e i bianchi", stupendo romanzo di Šolochov.
Mi ha insegnato che il vezzeggiativo di Larissa è Làrochka.
:-)
Mi padre è stato un imprenditore e poi un manager di azienda.
RispondiEliminaNegli anni 90 ha ricominciato da zero dopo aver venduto la sua azienda che non ce la faceva più, l'azienda in cui era andato a lavorare come manager fu in seguito acquistata da un tizio con molti soldi e grandi capacità imprenditoriali.
Il tizio si fidava delle capacità tecniche di mio padre e soddisfaceva tutte le sue richieste, giravano mezza Europa in cerca delle macchine più all'avanguardia per competere ad altissimo livello. Mio padre spiegava cosa intendeva fare con queste macchine, e il tizio si fidava e cacciava i soldi (centinaia di milioni di lire) per comprarle.
E ce l'hanno fatta: ancora oggi, i suoi ex dipendenti che di tanto in tanto vengono a trovare mio padre per fare due chiacchiere, dicono di non aver mai visto un'azienda fare così tanti utili. Erano tra i primissimi in Italia e in Europa, nel loro settore. Mi sembra un bell'esempio di media impresa italiana di successo e un modo forse un po' casalingo, ma di grande effetto, per fare "R&S".
In seguito la proprietà dell'azienda cambiò, e ricordo bene come mio padre si lamentasse del fatto che i nuovi capi sfruttassero le nuove regole sul lavoro per assumere e licenziare periodicamente lavoratori precari, risparmiando nel breve, ma impedendo a lui di costruire uno staff affiatato e competente, perché aveva giusto il tempo per formare il dipendente e poi se ne trovava uno nuovo, e doveva ricominciare da zero.
Ricordo altrettanto bene che, grazie alla forza dell'euro sul dollaro, iniziarono a comprare prodotti di media/bassa qualità in Cina per vendere in Europa, facendo maggiori profitti rispetto a produrre loro stessi. Dal 2005 (circa) in poi, ricordo bene come mio padre mi dicesse che la competitività della Cina fosse dovuta esclusivamente al fatto che il dollaro era debole nei confronti dell'Euro, e con un rapporto 1:1 i prezzi cinesi sarebbero stati allineati con i nostri.
Lui non pensava fosse una buona cosa quella di speculare sulla competività della Cina, perché questo avrebbe progressivamente distrutto la nostra industria.
Scrivo questa esperienza perché dopo aver letto questo articolo, direi che tutto torna.
Professore, la leggo ormai da quasi un anno,e non ho mai studiato Economia.
RispondiEliminaMa nella mia profonda ignoranza in materia, istintivamente, e forse complottisticamente (?), pensavo: e' impossibile che economisti di fama, in Europa, non abbiano PILOTATO questo continente verso il declino, di proposito!
Lo so, il complottismo e' sempre cretino, anche se Andreotti la pensava in modo diverso; il pensar male...
Ma i miei "guts" mi dicevano: per me tutto questo e' sapientemente pilotato verso la distruzione degli stati nazionali verso il super stato elitario (dei soliti Rotschild, ecc.).
Le riforme scriteriate del lavoro, apparentemente superficiali e sciatte come quelle della Fornero, l'austerity vista come idolo davanti al quale tutti, Lettone "nostro" compreso, vanno ad inginocchiarsi, novella Dea Kali......l'estensione degli "esodati" a platee sempre piu' numerose e disperate, ben lontane dalla chimerica eta' della pensione; ma tutto questo, mi chiedevo, e' casuale? Sono tutti cerebrolesi?
A me sembra che le sue dotte osservazioni, e grafici, e links a studi fatti da persone competenti, puntino sempre in questa direzione alla fin fine.
O no?
Dormito tranquillo?
RispondiEliminaImmagino di sì...
Sottoscrivo le considerazioni iniziali sull'autoreferenzialità del mondo accademico (che dimentica spesso che l'essere avanguardia culturale - come a molti piace sentirsi - non autorizza a disprezzare il resto del mondo, ma dovrebbe semmai indurre a contribuire, se si può, ad avvicinare il resto del mondo alle conoscenze raggiunte. D'altra parte, far divulgazione è mestiere tutt'altro che semplice). E condivido la critica verso l'evoluzione che questo mondo sta subendo, sulla base di scelte che paiono fatte apposta per sollecitare l'ambizione di personalità in molti casi tendenti al narcisismo: con il risultato di riprodurre le dinamiche di una corsa di topi (o di levrieri, che mentre corrono si morsicano pure...), nella quale si persegue la pubblicazione a ogni costo, e non solo quando si è convinti di aver qualcosa di interessante da dire. Ma queste sono le regole, prendere o lasciare.
Per il resto, leggo e imparo. E ammiro sinceramente la capacità di proporre letture che offrono una visione d'insieme che non può essere colta ragionando in una prospettiva settoriale: unire i puntini è anche questo, no?
Mentre inizio a leggere il ponderoso articolo del professore, e Enrico Letta è impegnato a rassicurare i tedeschi che farà quanto in suo potere per costringere gli italiani a sacrificarsi per salvaguardare gli interessi delle loro banche, ricevendo in cambio sorrisi di circostanza, frasi fatte e inviti perentori a “tenere sotto controllo il debito e a rispettare gli impegni presi dal governo Monti”, vorrei inaugurare la rubrica Dovremmo essere come i tedeschi!, segnalando che Deutsche Bank ha un'esposizione sui derivati per $73 trilioni.
RispondiElimina«La cifra supera anche i 69,5 mila miliardi che erano nella pancia di JP Morgan alla fine del 2012. Stiamo parlando di €55.605.039.000.000 di euro, che ai tassi di cambio attuali fa $72.842.601.090.000, ovvero due mila miliardi di dollari in più di JP Morgan».
Suggestiva, diciamo così, la tabella che mostra il rapporto tra il Pil tedesco e l'ammontare di derivati a cui è esposta Deutsche Bank.
... da oggi chi mi dice + Europa prende prima un calcio in culo, poi rispondo.
RispondiEliminaE mi voglio fare anche un giro alla prossima riunione nella sede di quartiere del M5S così, per farmi quattro risate (gli argomenti ora non mi mancano). Come diceva quello del film? "SONO INCAZZATO NEROOOO!!!!".
vado un po' OT vorrei portare all'attenzione saccomanni che entusiaticamente prevede che potremo sforare il fiscal compact. abbiamo un tumore al cervello prendiamo la tachipirina mi sembra giusto..
RispondiEliminaOfferta valida per i soli boulugnais,ci sono due posti in macchina per Jesi,partenza dallo stadio alle ore due.Chi fosse interessato mandi una mail a compbakudin@gmail.com datemi il vostro numero chiamo IOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO :) non sono ammessi ritardi le due significa 13:59 non 14:01
RispondiEliminaFantastico post e utilissimo per rispondere con dati e fatti ai tanti competitivisti e svilupporicerchisti che mi trovo ad incontrare.
RispondiEliminaOso aggiungere un elemento, una considerazione alla perdita di competitività determinata dalla flessibilizzazione (non so neanche se esiste il termine...) del lavoro: oltre che per la non ottimale suddivisione fra capitale e lavoro e per la spinta a privilegiare produzioni meno avanzate tecnologicamente, la perdita di competitività la si ha anche per il diminuito valore della forza lavoro impiegata.
Se l'impresa è spinta ad assumere lavoratori a tempo determinato, da agevolazioni fiscali adottate per invogliare tale scelta, per ragioni di mero risparmio nel costo del lavoro e, come accade, di sostituirli spesso, essa accetta di rinunciare al know how che solo un lavoratore formato e con esperienza può dare; questo implica a mio avviso tre effetti negativi:
1- il lavoro viene svolto in tempi non ottimali per mancanza di esperienza, con perdita di produttività;
2- il lavoro è qualitativamente inferiore, per il noto motivo che se faccio da tempo una cosa tendo a farla sempre meglio, ovvero mi specializzo;
3- la risposta ad imprevisti e difficoltà nella produzione del bene o nell'erogazione del servizio è più lenta e/o peggiore. Lo si vede bene nel caso di servizi (tipo banalmente poste o banca), dove il neoassunto ha più difficoltà a rispondere a richieste non standard o ad affrontare problemi.
Tutto ciò ha effetti negativi, sia nel settore privato che in quello pubblico: nel privato, la maggiore lentezza nella produzione del bene o nell'erogazione del servizio porta a non essere concorrenziali con chi può permettersi lavoratori più efficienti e capaci e quindi fornire beni o servizi di migliore qualità o più tempestivamente, o un migliore servizio post vendita; nel pubblico, nei settori in concorrenza con l'offerta privata, come i trasporti o la sanità, la perdita di quota di mercato e di introiti, nei settori esclusivi (come la giustizia), la disaffezione al servizio e l'intolleranza al costo relativo, sia imposta o tassa.
Anche l'evasione fiscale può essere influenzata: è palese che se devo spendere per curarmi privatamente o ritengo che a fronte delle tasse pagate non ho servizi di qualità sufficiente, vedrò aumentare la mia propensione all'evasione, sia per avere maggior reddito da spendere nel privato, sia come ribellione alla scarsa qualità erogata dal pubblico.
Sono considerazioni da profano e forse banali, ma sono le mie prime considerazioni autonome, ragionando su processi economici, che mi azzardo a fare, per merito (o colpa) di questo splendido blog, delle persone che vi commentano e del libro che ho letto.
Solo per questo ha la mia gratitudine.
È tutto giusto e tutto vero. Sottolineo che secondo me la flessibilizzazione giova molto più alla grande che alla piccola impresa. La grande impresa spesso frammenta la catena di produzione in compiti tutto sommato facilmente assimilabili. Nella piccola impresa italiana è investito un rilevante capitale umano (che prima va costituito, come noti). Insomma: ancora una volta le parole d'ordine dell'Europa fanno comodo all'Europa intesa come euro cioè, a posteriori, come Germania.
EliminaNe avevamo parlato l'altro giorno... Una PMI come la mia ha un grandissimo capitale investito proprio nell'esperienza e nella capacità lavorativa del personale più anziano. Licenziare per prendere lavoratori a tempo determinato non solo sarebbe una grandissima perdita capitale ma anche una perdita di produttività. Per questo chi può e riesce a farlo si tiene stretti i dipendenti più esperti. In questo momento la sopravvivenza aziendale è legata moltissimo alla loro capacità. E che questa sia una ricetta vincente lo dimostra il fatto che il nostro paese ha la sua forza proprio nella PMI. A quest'ora altrimenti saremmo già come gli spagnoli. Del resto la ricetta del "per fare una parete grande ci vuole un pennello grande" la conosciamo già ed i risultati sono agli occhi di tutti.
EliminaE' interessante pero' notare che la produttivita' delle imprese e' dipendente dalle regole che uno stato si da' piu' che dalle scelte che ogni imprenditore liberamente fa. Il luogocomune liberista pretende che in condizioni di libera scelta un imprenditore fa automaticamente la scelta giusta, mentre qui ci sono evidenze del contrario, che se ha la possibilita' di precarizzare tende a fare la scelta sbagliata per il sistema. La mano invisibile e' buona solo per le seghe. Ci sarebbe da approfondire meglio il legame fra profitto e produttivita', ma se lo facessi mi perderei in chiacchiere da bar (vista la mia inadeguatezza) e quindi evito. In realta' non chiedo a nessuno di farlo, volevo solo commentare spinto dall'adagio "la risposta dentro di me e' quella giusta".
EliminaGrazie come al solito per la chiarezza e per aver riabilitato lo studio dell'economia!
RispondiEliminaOggi, 2 maggio, sono alle 18 su "La vita in diretta" di Rai1.
RispondiEliminaE daje a ride con i rappresentanti di turno dell'ortodossia eurista che dipingeranno gli scenari apocalittici della "Vita in Liretta" alla platea nazionalpopolare....
EliminaOggi ho scoperto con mio sommo sgomento che negli anni 70 sono esistite le brigate inflattive! :o
EliminaPerò pure lei,invece di perdere i suoi pomeriggi al conservatorio a quei tempi poteva unirsi al coro degli intellettuali:
-NE CON LO STATO NE CON L'INFLAZZZZZZIONE-
Ancora ieri sera (anzi era già oggi) ho sentito un Agnelli ricordare che "l'Italia ha il costo del lavoro più alto d'Europa" (o forse era il secondo più alto). Forse l'Agnelli ha solo quel disco, poveretto, ma a me è parsa una scelta consapevole, una canto di battaglia: la lotta di classe deve continuare!
RispondiEliminaPerché sì, ci sono imprenditori che cominciano a capire la fregatura che hanno preso. E più in generale lo scontro tra 'liberisti' e 'keynesiani' si sta accentuando e i liberisti sono un po' sulla difensiva (vedi l'infortunio capitato a R&R). Ma siamo piuttosto lontani dalla nascita un qualche consenso su misure tipo "external compact", se l'argomento del giorno è l'asse Letta-Hollande. Insomma, gli "italiani" non sono tanto più fuuurbi dei "tedeschi", il rametto su cui stanno appollaiati non è ancora venuto giù, c'è ancora qualcosa da segare... e vai con la lotta di classe, dicono alcuni. Che poi, a occhio, sono anche quelli che dall'Euro ci hanno veramente guadagnato, con la finanza o le delocalizzazioni o la privatizzazione del patrimonio pubblico.
Questo è sicuramente un post da Annuario di Goofynomics, soprattutto per i data-point che risolvono la questione di causazione e correlazione in modo praticamente definitivo, ma trovo poco persuasiva la storia di una borghesia priva di rappresentanza politica trascinata verso l'abisso da élite corrotte. Ci potrebbe stare anche la storia di una borghesia politicamente debole ma ottusamente antiproletaria, attraversata da periodici deliri di grandezza, per questo facilmente manovrabile, e ancora oggi tentata da soluzioni autoritarie.
Lo dice anche l'OCSE che il problema e' il costo del lavoro (le imposte sul lavoro, per la precisione). Un mantra, negli anni, la cui reduction to practice si effettua con moderazione salariale e cospicue prese per il cuneo (fiscale), che ormai abbiamo capito tutti che potrebbe essere ridotto, eccome, ma buttando a mare i vincoli esterni.....
EliminaMarcello, è importante che sei qui su Goofy. Ma quando ci vediamo per una birra? 'Sta casa aspetta a te ...
EliminaAlla faccia di chi pensa che lo scopone scientifico sia un gioco banale!
RispondiEliminaProf aiuto! E' da stamattina che sto facendo un uno contro tutti con degli amici proeuro, dopo averli malmenati uno se n'è uscito chiedendomi se i paesi fuori dall'euro stessero meglio e oltre alla classica Inghilterra mi è scappata la Polonia, cioè ho detto che ha reagito meglio alla crisi e quello più agguerrito mi ha deriso con la battuta "eh si perchè in Polonia le badanti sono italiane". Ha qualche tabella che dimostra quanto ho affermato oppure di fronte a chi non vuol sentire e meglio lasciar perdere?
RispondiEliminaRisposta per i tuoi amici
Elimina"per il momento non ancora. Vostra sorella però,potrebbe essere la prima "
Beh non so se è di aiuto ma il reddito pro-capite della Polonia è poco più di un terzo di quello italiano, e a me sembra una buona spiegazione della direzione dei flussi della forza-lavoro. Vedi per esempio World Bank - Working for a World Free of Poverty! (non ho potuto trattenermi). Però con l'Euro non ha molto a che vedere. Forse puoi trovare qualche spunto utile in questo commento di Krugman.
EliminaPoi, per come la vedo io, non è che chi sta fuori dall'Euro stia necessariamente meglio, se comunque si è auto-imposto vincoli esterni, riduzione del debito e austerità (e se parte da condizioni meno vantaggiose: se non ricordo male Bagnai nel suo libro parla anche dell'Estonia, mi scuso ma non ce l'ho sotto mano). E' che avere l'Euro significa, oltre al declino economico, non avere neanche la possibilità di immaginare politiche economiche alternative, cose che almeno in linea di principio, altrove, si possono decidere attraverso il confronto democratico, con le elezioni o con le lotte.
Mi correggo: era la Lettonia. Poi per completezza andrebbe citata la comparazione in termini di potere d'acquisto, sempre da World Bank, dalla quale la Polonia esce ovviamente meglio.
Eliminavi ringrazio!
EliminaLa rispostaa quella battuta è che non si deve confondere la statica con la dinamica. La Polonia parte più indietro, il che non toglie che la reazione allo shock esterno sia stata migliore. Cerca la serie della variazione del PIL nel database IMF (World Economic Outlook Database).
Eliminainteressante il grafico sulla produttività comparata tra Italia Germania e Francia, tra l'altro si nota come la produttività italiana sia cresciuta a ritmi relativamente sostenuti sino ai primi anni 80, dopo la crescita rallenta...si nota pure che tra il 1974 e il 1975 c'è un calo brusco della produttività che poi riprendere a crescere coi ritmi consueti a partire dal 1976. Ora, se non erro nel 1974-75 l'Italia ha attraversato la prima recessione dal dopo guerra, conseguenza dello shock petrolifero...ciò confermerebbe la tesi che sia la recessione a determinare il calo di produttività e non il calo di produttività a determinare la recessione.
RispondiEliminaIl brusco rallentamento all'inizio degli 80.... niente a che fare con il divorzio tra Tesoro e Banca di Italia? Secondo Galloni, intervistato da Messora, si', secondo alcuni grafici de "Il tramonto" pure... ah, gia', ma bisogna diffidare dei dati per principio....
EliminaAh, prof, il discorso "all'econometria non ci credo" mi ricorda molto "non credo al Design Of Experiments", frase che nel mio campo ho sentito piu' di una volta, nella maggior parte dei casi proferita da gente con un pessimo rapporto non solo con la matematica, ma pure con l'aritmetica....
@occasionale
EliminaSai che non capisco né cosa vuoi dire né a chi vuoi dirlo? Comunque, ricordo a tutti che questo, purtroppo, è un blog di economia.
Intendevo semplicemente che quelli che "ai modelli matematici (o alle correlazioni ) non ci credo" di solito non ci credono solo e soltanto perche' "de coccio" quando si tratta di numeri... (che poi ci sia modello e modello e che quel che e' scientifico e' pure falsificabile è un altro paio di maniche, e soprattutto del tutto al di fuori dell'orizzonte del piddino medio)... ok, non e' economia polica, ma antropologia...
EliminaAnche f = m*a è un "modello matematico". Certo che se un modello matematico incorpora stronzate tipo "la perfetta razionalità del consumatore" (che non si è mai vista) e via dicendo, il risultato non potrà che essere in contrasto con i fatti, perché l'output di un modello matematico non può che essere in sintonia con l'input.
EliminaComunque ottimo post. Da far leggere a tutti quelli della decrescita felice, che, se non leggono più di 10 pagine, almeno riusciranno a leggere 10 righe scritte dal Prof. Bagnai... e tanto basta per capire come stanno le cose.
"Il lavoro interinale è uno strumento modernissimo: si calcola che le agenzie abbiano già 200 mila nomi da poter avviare al lavoro. Significa aprire le porte delle fabbriche a chi non ha mai visto una busta paga. D' accordo, per periodi brevi. Ma è già molto.
RispondiEliminaE poi è uno strumento straordinario per far emergere il sommerso".
Treu letto su La Repubblica 1997. Poi arrivò baffino col suo "E' finita l'epoca del posto fisso, oggi l'occupazione si crea anche con i lavori a termine" detto alla Fiera del Levante.
Grazie professore!
Lavoro interinale = caporalato creato dal centrosinistra.
EliminaOk, sto finendo di leggere l'articolo.Solo una domanda: la storia della flessibilità che peggiora la produttività possiamo tenercela per il dopo?
RispondiEliminaHo come l'impressione che potrebbe tornarci comunque utile...
Quando ho letto il pezzo sulla flessibilità del lavoro, come causa del declino della produttività, sono caduto dalla sedia. Ma come, ogni giorno sui giornali e nei talk-show gli imprenditori e i giornalisti filo-padronali si lamentano della bassa produttività industriale, dandone la colpa ai lavoratori italiani: dicono che lavorano poco (!), sono pagati troppo (!) in certi settori, sono iperprotetti, non possono essere spostati, licenziati ecc. Il rimedio, ovviamente, è una maggiore flessibilità e la contrattazione de-centralizzata (come nel recente accordo delle parti sociali sull'argomento).
EliminaIo non ci credevo, ma semplicemente consideravo le due variabili come non correlate. Qui invece, dati alla mano, si dimostra che ciò che dovrebbe essere il RIMEDIO (flessibilità) del male (bassa produttività), in realtà ne è la CAUSA ! (una delle cause). E' un po ' come se qualcuno sostenesse che il propoli è la causa del raffreddore: cioè, un conto è dire che non funziona, un altro è che peggiora la malattia stessa.
Posso testimoniare che quando giro per lavoro mi capita spesso e volentieri (anzi, MOLTO spesso e MOLTO volentieri) che siano gli stessi imprenditori ad aprire l'argomento: "Chi l'avrebbe mai detto che con l'euro sarebbe venuta una crisi così?".
RispondiEliminaSolo che quando si approfondisce un po' di più, si finisce sempre sul classico: "Però se abbandonassimo l'euro finiremmo come la Somalia...".
Questo dimostra che le cose gli imprenditori le vedono benissimo, ma che semplicemente sono vittime dalla correlazione anti-intuitiva "senza euro = Somalia" che gli viene ripetuta notte e giorno a reti e radio unificate.
Come imprenditori dovrebbero essere contenti: in Somalia c'è il liberismo perfetto= meno stato e più mercato. Anzi, lo stato non c'è proprio, quindi niente lacci e lacciuoli, niente costi della politica, niente burocrazia, niente fisco crudele (no representation and no taxation). Il macellaio, il birraio e il panettiere possono farsi i loro interessi indisturbati.
EliminaM.Friedman
il problema è che lì, la mano invisibile assume l'aspetto dell'uccello padulo (be', spesso anche qua da noi, se è per questo)
Professore,
RispondiEliminadomando scusa per la pigrizia che mi impedisce di imparare a far elink intelligenti, però fornisco un pò di materiale (non esaustivo chiaramente), che mi pareva richiesto, sui commenti "flessibili" dei nostri esponenti, politici e non:
Monti
http://www.lastampa.it/2013/01/29/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/la-bozza-sul-lavoro-del-premier-piu-posti-e-flessibilita-in-uscita-4rFGFZ3tXaRwFr0JZ8QEoJ/pagina.html
Letta
http://www.corriere.it/politica/13_maggio_01/letta-incontra-hollande-eliseo_e52b902a-b270-11e2-876c-e00ef3e168b7.shtml
http://qn.quotidiano.net/politica/2013/05/01/881818-lavoro-flessibilita-entrata-riparte-da-giovani.shtml
Marcegaglia
http://lavoro.excite.it/lavoro-marcegaglia-flessibilita-in-uscita-N94595.html
Squinzi
http://www.adnkronos.com/IGN/Lavoro/Sindacato/Squinzi-riforma-Fornero-insufficiente-serve-piu-flessibilita_314111202914.html
Prodi (storico)
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/06/15/la-ricetta-di-prodi-per-occupazione.html
Padoa Schioppa
http://www.finanza.com/Finanza/Notizie_Italia/Italia/notizia/Pensioni_Padoa_Schioppa_Dobbiamo_arrivare_alla_piena_acce-199829
Veltroni:
http://www.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1998/11/13/Politica/DS-VELTRONI-FLESSIBILITA-PER-SUPERARE-VECCHIE-RIGIDITA_143900.php
Sperando di aver fatto cosa gradita.
Rimango in breaking news per segnalare, sempre dal Guardiano della Perfida Albione, quest'obbrobrio:
RispondiElimina"Mario Draghi has been signing the new €5 note for a group of young people, all born since the euro was created, while the European anthem rang out.
Draghi was in ebullient mood, calling euro notes:
...the most visible and tangible symbol of European integration, used from one end of the continent to the other.
Just don't try taking too many out of Cyprus at once.
Draghi added:
The children who are here today are growing up in a continent of peace. They belong to the “euro generation” – they have only known one currency.
Scusate, vado a rimettere la merenda.
Verranno rigurgitati dalle loro azioni... questione di tempo. Saranno tutti quanti mescolati in un pastone informe di vomito assieme a tutti i piddini imbecilli.
EliminaNon so perchè ma sentivo una gran mancanza di questi post :D
RispondiEliminaIntanto dal fronte ortottero si muove qualcosa e direi che tranne qualche dubbio sulla tobin tax mi sembra un buon inizio. Almeno stanno dicendo: "Non vogliamo morire per Maastricht.
(E i neokeynesiani? Sono “supply siders” mascherati, ma ne parliamo un’altra volta.)
RispondiElimina- - - -
A' proesso' i "supply siders" sono quelli che er caffé se o beveno...
Ciao
Belgico
post epico !
sono sempre più convinto che la spiegazione dei difetti e dei coneguenti danni dell'euro, fornita da Bagnai, sia rigorosa, ineccepibile e argomentata in modo robusto. Un modello di riferimento per il dibattito che ancora stenta a partire nel nostro paese. Chi ancora testardamente ignora tutto ciò tocca il ridicolo di chi nega l'evidenza.
RispondiEliminaInvito però ora Bagnai ad evitare di perdere tempo a dimostrare l'arcinoto a chi, forse, non lo capirà mai ed indirizzare i suoi sforzi nel formulare e dettagliare gli scenari fattibili di uscita da questo disastro.
Come scritto nelle ultime 70/80 pagine del Tramonto dell'euro, numerosi sono le incognite ed i veri e propri rischi connessi all'abbandono/rottura dell'Unione Monetaria.
Sarebbe di grande aiuto all'avanzamento del dibattito un'analisi approfondita di Bagnai su questi temi, degli ulteriori studi, magari una risposta ad alcuni euroscettici che però temono che la fuga di capitali connessa all'uscita non sarebbe sostenibile.
Professore, la strada appare tracciata, lasciamo che gli euristi ci arrivino da soli e procediamo con i dettagli esecutivi. Il tempo stringe.
@Luigi Pecchioli
RispondiEliminala mancanza di margini di profitto e la concorrenza selvaggia hanno portato a questo ovvero al fatto che non affianchi gli anziani con giovani promettenti..
@Vincenzo Sangiorgio
mi scusi ancora.. in Corea del Sud che cambio generazionale c'è stato?
Confindustria mostra il fatto che questo paese ha avuto una riduzione pazzesca del costo del lavoro rispetto agli anni 90. peccato si siano dimenticati della svalutazione elevata..
cosa dire allora di Irlanda, Brasile, Thailandia, Francia, Spagna, Cipro, Slovenia, Grecia, Slovenia, Cile, Gran Bretagna?
tutti problemi di cambio generazionale?
quando il gioco funziona al 100% vogliamo andare a fare le pulci ad altri problemi che spesso sono consequenziali?
Il cambio generazionale è un problema nella piccola impresa, fenomeno tipicamente italiano.
EliminaIl direttore del VB salmnato sta dicendo delle cazzate orrende...credo che the black knight se lo magnerà..
RispondiEliminaDaje con l'infazione...anch'io ero bambino con l'inflazione a ddu scifre...non mi ricordo alcuna paura.
RispondiEliminaAh, ora arriva il più europa...e stigazzi
Per favore, andate su "la vita in diretta" (streaming RAI1), c'è il professore che si sta suicidando... dalle risate!!!
RispondiEliminaAncora un commento in diretta...cazzo, sei proprio bravo a mantenere la calma con quel Untermensch del Vokischer Beobachter salmonato.
RispondiEliminaProf. Bagnai Santo subito ... per la pazienza ascetica e la calma (solo esteriore (?!?))... a me sono venute le pustole blu sul collo e sotto le ascelle
Elimina@gio pelli
EliminaNon so, forse sono troppo indottrinato, ma a me sembra che questi qui (i salmonati), forse troppo abituati a vincere facile, abbiano sempre le stesse, debolissime argomentazioni, bisognerebbe capire di fronte a un simile dibattito, un italiano medio (disinformato) come si pone, se gli si accende qualche lampadina o no.
Di sicuro, se si aprisse un dibattito serio ed equilibrato, i pro-euro verrebbero seppelliti nel giro di una settimana e la gente scenderebbe in piazza per uscire dall'euro.
Certo che quando il prof. dice che la nuova lira sarebbe 1:1 e poi verrebbe lasciata libera di fluttuare, e il conduttore gli dice di non essere troppo tecnico... Minchia ma l'italiano medio è ignorante, mica lobotomizzato!
@Abdrea Tibaldi
Elimina... un dibattito serio ... mi piacerebbe vederlo, ma faccio veramente fatica ad essere ottimista. Confido che il cambiamento ci sarà ma solo perchè costretti ... ed i soliti si prenderanno il merito
Comunque sia grazie Prof., grazie !!!
Una considerazione a livello di grafichetto sulla tovaglia della trattoria (che hanno comunque la loro importanza, poiché mi sembra di ricordare che i grafici sui tovaglioli di carta possono avere enormi impatti sulle scelte di politica economica). Grafico a pagina 2 della pubblicazione Istat
RispondiElimina< a href = "http://www3.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100803_00/testointegrale20100803.pdf" > misure di produttività < /a >
Domanda: quando, nel corso di 30 anni, la produttività del lavoro registra un maggiore tasso di crescita?
Risposta: tra il 1993 e il 1995. Cioè dopo il 1992. L'anno in cui Mario Chiesa viene arrestato, Scalfaro viene eletto Presidente della Repubblica, la Sampdoria perde la finale di Coppa dei Campioni e .... la nostrana lira si sgancia dallo SME facendo registrare l'ultima sua svalutazione.
G. Amato affermerà in seguito che "la svalutazione ci ha fatto bene" e M. Monti "siamo stati i primi a vedere la strada da seguire". Precisazione: quando dico G. Amato e M. Monti intendo proprio loro. Nessun caso di omonimia.
Nasce il sospetto che i fatti contraddicano un "amatissimo" topos luogocomunista: le svalutazioni sono l'alternativa facile agli aumenti della produttività, che a lungo andare ammazza la stessa. Trova invece conferma empirica che il barista al quale si chiedono più caffè impara a farli meglio. E trovo difficile pensare il contrario, dal momento se il barista impara a fare meglio i caffè .... farà più caffè (intesi come prodotto finito) importando meno caffè (inteso come materia prima). E magari la bilancia commerciale ci guadagna.
La BCE abbassa il tasso di sconto allo 0,5%.
RispondiEliminaTradotto, dato che mi sembra evidente che si sia in una trappola della liquidità dato che il costo del denaro era già basso, la mossa sarà uno sputo nell'oceano per rilanciare l'economia reale, ma una mano santa per tenere in piedi il castello di carte su cui poggia ad esempio Deutsche Bank, permettendo di ripulire il portafoglio titoli ad un costo più basso. Ma sarò sempre io ad esser paranoico.
Il bello è che i primi due canali attraverso i quali si spiega il declino dell'Italia sono stati individuati tempo fa da 2 signori che passavano per caso. Il primo, un certo Adam Smith, aveva ben visto come la dimensione del mercato spingesse alla divisione del lavoro e al learning by doing; il secondo, un certo David Ricardo, aveva illustrato gli effetti positivi del tasso di crescita del costo relativo del lavoro, che sospinge gli investimenti in ricerca e innovazione, in quanto rende conveniente sostituire capitale al lavoro. Per la terza bisognerà attendere il buon John Maynard.
RispondiEliminaCapisco ogni giorno di più perché stiano smantellando da tutte le facoltà di economia la storia del pensiero economico.
Grande post. Concordo con Chiappo sembra proprio un giallo. Personalmente, fermo restando che tutta la trama è avvincente, metterei incorniciate sopra il letto a mo’ di immagine sacra le seguenti affermazioni:
RispondiEliminaChe poi uno si chiede: ma perché persone che mediamente sono state troppo zitte sull’euro, diventano mediamente troppo loquaci appena uno cerca di fare informazione?
Quello che si perdeva in competitività con un cambio troppo forte, lo si doveva guadagnare con riduzione dei costi di produzione interni, cioè del costo del lavoro, riduzione che è più facile se la disoccupazione è alta o se il lavoratore è precario e quindi ricattabile. Questo era lo scopo che si voleva ottenere: lo sbriciolamento dei diritti dei lavoratori. Ma per renderlo politicamente “accettabile” era necessario che questo scopo venisse proposto in nome di un ideale superiore: insomma, il solito “ce lo chiede l’Europa”.
Riguardo invece alla Vita in Diretta quando il conduttore ha chiesto al direttore del VB Salmonato come mai la maggioranza degli italiani vogliono uscire dall’euro lui ha risposto con un enorme faccia da c…o più o meno così “ Per forza se il messaggio che passa è questo cosa vuoi che rispondano” dimenticando che il messaggio che passa a tutte le ore è l’esatto contrario!!! Comunque Prof che pazienza con il salmone del giornale salmonato, tanto scalmanato e tanto impreciso.
Gent.mo Prof Bagnai,
RispondiEliminascrivo poco ma la seguo molto. Grazie per il lavoro e la passione che condivide con il suo pubblico.
Maybe OT, but worth a shot (in case nobody has posted about it before): ho trovato interessante il link che segnalo in calce.
http://mruniversity.com/courses/eurozone-crisis
MRUniversity è curata da Tyler Cowen and Alex Tabarrok, che redigono anche il blog economico "Marginal Revolution". Il corso sulla crisi della zona euro racconta in pochi filmati molto di quanto ho letto sul suo testo e qui sul blog. Potrebbe essere utile per una introduzione accelerata alla questione.
All of it is in English - with subtitles available. Do learn the language.
Hope this helps.
Grazie ancora. Grazie.
Molto interessante. Lo seguo tutto, molto volentieri. Mi pare comunque un contributo interessante perchè dimostra che i focus sull'Unione Europea che mettono in risalto le criticità dell'esperimento Euro-zona sono tanti e in giro per il mondo ritengono i problemi che pone Bagnai in Italia (e che qui sembrano, o meglio sono sembrate sino ad oggi, tesi eretiche) pane quotidiano. Poi dai primi 4 filmati non mi pare che le analisi siano sovrapponibili (me ne stupirei visti i ruoli dei docenti nel Mercatus Center della George Mason University) ma le analisi dimostrano almeno che i dati sono dati....
EliminaFinito di leggere. Non c'è nulla da fare, la morale è sempre quella.
RispondiEliminaCon te, leggi, con i fatti esposti con chiarezza, e raccordati tra loro con coerenza e metodo, o non ti fanno parlare, o vinci!
Tutto il resto, come diceva quel tale, viene dal maligno! Grande post. Grazie!
Della serie "E' sempre la stessa storia":
RispondiEliminaLoro sicuramente hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità ed hanno il dovere morale di ripagare i debiti!
Roba da matti, ripetono le stesse argomentazioni di paese in paese!
Ma perche' non si puo' sognare un'Europa unita con voi? che ci importa se l'Italia sara' un luogo di morti di fame, qui si fa l'Europa!!
RispondiElimina...qui ce se fanno e basta!!!
EliminaIhihih Stefano Fassina viceministro dell'Economia e Finanza!!
RispondiEliminaMa noi lo vogliamo ricordare paonazzo miagolare "vorrei vedere te avere responsabilità di governo.." Tagliente la risposta che prese: "Aspetta e vedrai"! :-)
E invece si è immolato per la causa. Bene, mi accomodo per bene sulla sponda ed aspetto.
Popcorn?
Se non era tutto premeditato c'hanno avuto na sfiga tremenda!!!
RispondiEliminaIo trovo disdicevole che il capo del nostro governo,appena eletto, si sia recato di corsa col cappello in mano a presentarsi ai nostri giustizieri per rassicurarli dei buoni propositi del nuovo governo. Per me è stato altrettanto offensivo del rendiconto di Olli Rehn sui conti dell'ITALIA. Due anni fa non avevamo festeggiato con una certa pompa il centocinquantesimo anniversario della sua unità e indipendenza?
RispondiEliminaGrazie mille per lo stupendo articolo Maestro, La seguo da un anno e mezzo ormai, e L'ho pure incontrata in quel di Milano (era Dicembre scorso se non erro, io ero il ragazzo alto e coi capelli lunghi e biondi -non produttivo purtroppo- che L'ha salutata all'ingresso), ho sempre preferito evitare anche solo di scriverLe un commento di apprezzamento per non disturbarLa visto il peso immenso che ha sulle spalle, ma con questo pezzo non ho resistito, è semplicemente superbo.
RispondiEliminaLa ringrazio ancora calorosamente per tutto, Le auguro tutto il meglio possibile.
Lei non mi ha solo aperto gli occhi. Mi ha anche fatto interessare al mondo dell'economia! Ho ordinato il libro di Krugman "Fuori da questa crisi, adesso! ". Ne varrà la pena professore?
RispondiEliminaOk. Ho gusti strani, ma non si dica che io ce l'abbia con il popolo tedesco. Anzi. Stavo guardando questo video oggi, di uno dei miei gruppi tedeschi preferiti, e devo dire che forse, loro, hanno più che capito cosa stà succedendo. http://www.youtube.com/watch?v=EApMitnsXgg
RispondiEliminaIn questa guerra tra poveri, i tassi di finanziamento alle imprese di un Europa non unita.
RispondiEliminaL'esempio con la Francia:
http://www.linkerblog.biz/2013/04/30/credit-crunch-non-per-le-pmi-francesi/
Hanno messo Fassina all'economia poveri noi il professore lo distrusse in due battute un po' di tempo fa su Rai due e qualche tempo fa ho sentito un suo intervento su SKY Tg 24. Veramente una pena e questo dovrebbe tirarci fuori dai casini. Siamo messi davvero bene
RispondiElimina@Fiore
RispondiEliminaa me la tesi che conveniva lo sbriciolamento dei diritti dei lavoratori convince ma non del tutto.
O meglio, non ne vedo il quadro generale!
posso immaginare che come ogni cosa ci siano interessi contrapposti ma era palese che si sarebbe sfaldato un paese (dei paesi!) e che quindi non conveniva in generale adottare politiche di questo tipo.
alla fine penso invece che:
1) ci siano dei fanatici per cui il mondo va suddiviso in elite, subalterni e puttane (loro sono i subalterni delle elite che li muovono come marionette - le puttane siamo noi che per campare dobbiamo porgere l'altra chiappa)
2) ci sono quelli a cui interessa la teoria delle locuste!
oggi mi prosciugo questo, domani la Cina, poi ci sarà spazio per l'africa.. oh, dimenticando però che i continenti stanno per finire a meno che abbiano trovato altri pianeti su cui applicare queste politiche
3) molto prosaicamente nessuno vuole la diversità!
troppo complicata da gestire e allora serve una organizzazione che unifichi ovvero che provi ad appiattire le differenze.
secondo me, il progetto è più ampio e ovviamente l'impoverimento della gente è una diretta conseguenza.
Gent.mo Prof. Bagnai,
RispondiEliminaun grazie di cuore per lo splendido "lavoro" che sta facendo; leggerla è un vero nutrimento per la mente.
Io sono un profano in campo economico e le chiedo scusa in anticipo se troverà la cosa abbastanza banale ma il 16 aprile compare questo articolo su Voxeu.org
Are Germans really poorer than Spaniards, Italians and Greeks?
Paul De Grauwe, Yuemei Ji, 16 April 2013
Alla fine si legge:
There does seem to be a problem of the distribution of wealth in Germany:
•First, wealth in Germany is highly concentrated in the upper part of the household-income distribution.
•Second, a large part of German wealth is not held by households and therefore must be held by the corporate sector or the government.
Mentre leggevo il suo post, arrivato alla frase
"Profitti = Ricavi – Costi"
mi sono sentito come Fantozzi quando diventa de sinistra: "Pina ma allora mi hanno sempre preso per il culo!"
Vediamo se ho capito bene.
Non solo c'è stata deflazione salariale ma i profitti derivanti sono finite nelle tasche di un numero ristretto di cittadini.
A me sembra, da profano, che le conclusioni a cui giunge De Greauwe descrivono uno degli effetti collaterali delle famose "riforme".
grazie ancora
ivan
A proposito del declino italiano, ripropongo un quesito che avevo posto qualche settimana fa in un altro post.
RispondiEliminaMio padre era ingegnere nell'industria metalmeccanica, eppure lui è riuscito a mantenere tre figli fino all'università, pagare l'affitto e poi il mutuo, permettersi vacanze estive e due auto, mentre io con due figlie e una moglie medico in ospedale non riesco a fare le stesse cose.
Questo mi ha sempre fatto pensare che le retribuzioni fossero scese dagli anni 70 a oggi e questo anche se i media dicevano il contrario, o almeno non affrontassero mai la questione. Per questo sono molto grato al Professor Bagnai per la sua opera di divulgazione che finalmente mi spiega che ciò è avvenuto e mi dice anche i motivi. L'unico dubbio che ho è che nel grafico si vede che le retribuzioni sono scese al livello del 1997, mentre io mi sarei aspettato che dalla fine degli anni 80 ci fosse stato un costante calo per spiegare l'abbassamento del tenore di vita delle famiglie che sperimentiamo.
Qual'è la spiegazione di ciò? Esistono altri fattori, oltre alle retribuzioni al netto dell'inflazioni (come immagino siano quelle del grafico) che concorrono a spiegare l'abbassamento del tenore di vita dagli anni 80 a oggi? E se si, quali sono?
Grazie per la sua opera e saluti
Proffe! ma lei possiede lo shining!
RispondiEliminaL'eminente direttore in collegamento con lo studio, quello che "con la lira labenzinalapaghiamosettevoltetanto", era la coppia esatta del signor Creosoto di inizio post!
Appena ha cominciato a parlare lei, lui ha iniziato ad agitarsi senza ritegno sulla sua sedia per poi vomitare ca**ate in modo scomposto! Ammiro la sua calma: riesce a seppellire sti tizi con un sorriso!
Avevo temuto il peggio vedendo il primo servizio con le interviste in strada sul ritorno alla lira, ma poi mi pare che le cose siano andate a meraviglia... in particolare le interviste a Savona e all'altro imprenditore che hanno preceduto il suo intervento sono state a mio avviso di grande impatto ed hanno sicuramente contribuito a riportare la discussione su un piano corretto. Il fatto che su Rai 1 si sia lasciata passare una discussione sulla possibilita` di una fine dell'euro mi sembra un chiaro segnale che ai piani alti e` iniziata la corsa per rifarsi la verginita` su questi temi per poi poter procedere con il mantra veloavevamosempredettochelacolpaeradelleuro! Di questo passo mi sa che la vedremo presto in prima serata da Vespa e per la prima volta in vita mia mi tocchera` guardare Porta a porta (orrore!)
Ho indirettamente assistito anni fa ad un'analisi per portare una grossa manifattura fuori dall'Italia , allora in uno stato non UE e poi diventato tale ma già nel periodo agganciato completamente allo sme .
RispondiEliminaI fattori presi in considerazione sono stati in questo ordine
1)costo energetico per unità di prodotto
2)bassa tassazione statale e relativa facilità di interagire sottobanco con lo stato
3)basso costo del lavoro e possibilità di selezionare il lavoratore senza nessuna regola
nessuna presa in considerazione del cambio fisso che alla fine era ampiamente compensato da i 3 punti precedenti , specialmente dal costo energetico e la tassazione , il costo del lavoro benchè molto più basso non incideva molto sul prezzo per unità di produzione .
La situazione attuale è che il costo energetico è ancora molto conveniente rispetto al nostro , la tassazione pure , l'interazione sotto banco sale e scende in funzione della situazione politica del momento , il costo del lavoro è cresciuto a circa il doppio dell'iniziale , il cambio è rimasto fisso , ma ormai gli impianti sono ammortizzati e i costi produttivi più o meno stabili . i lavoratori locali alla fame più di prima , diciamo che nel 2000 la metà dello stipendio attuale è da rapportare ad 1/8 del costo della vita attuale .
In ogni caso la decisione iniziale del trasferimento è stata molto legata ai costi energetici e di probabile stabilità , del resto l'industria deve fare almeno una previsione a 10 anni,ed alla tassazione e meno legata ai salari .
Naturalmente in Italia non era più possibile produrre ai costi di mercato richiesti ,sia per tutti i motivi qui detti sia per i costi energetici .
certo che...
Elimina1)se un paese rinuncia all'energia nucleare( anche li, la disinformazione terroristica dei media l'ha fatta da padrone)
2)se questo stesso paese si ritrova con una pubblica amministrazione di tipo "borbonico"
3) e se con tali zavorre questo stesso sciagurato paese decide pure di agganciarsi a una moneta forte... le soluzioni, data la situazione di grave urgenza economico-sociale, sono solo 3:
1) o questo paese nel giro di pochi mesi si dota di un bel parco di centralone nucleari ( altro che vento sole mare pizza e mandolino...) e contestualmente trasforma l'amministrazione dello stato ( sempre in qualche mese) da borbonica a scandinava.
2) o nell'impossibilità di attuare il punto 1 si dispone a veder inesorabilmente ridotto il reddito dei propri cittadini a livelli simili alla Romania
3) oppure questo stesso paese si riprende la propria sovranità monetaria e torna ad essere quello che era sempre stato sino alla prima metà degli anni 90.
Non so cosa producesse l’azienda in questione, ma è normalmente possibile che il mercato richieda il tale prodotto ad un certo prezzo che diventa impossibile realizzarlo in Italia - legge della domanda e dell’offerta. In questo caso, è possibile, che la questione dell’Euro non sia minimamente influente sulla decisione di spostare detta azienda. Sicuramente, una valuta “flessibile” l’ avrebbe aiutata ma, la possibilità di aumentare i profitti (si può, non è cosa cattiva), forse, avrebbe convinto ugualmente l’azienda a questa decisione. E comunque se mi parli di grossa azienda, mi fai capire che trattasi di multinazionale (o giù di lì) la cui vocazione alla delocalizzazione è quasi naturale.
EliminaAl contrario, le PMI, che per loro natura sono più radicate al territorio, beneficerebbero in maniera sostanziale di una valuta con un tasso di cambio flessibile e magari caratterizzato da periodi di svalutazione competitiva che tanto bene ci hanno fatto in passato… E’ vero non si può, noi piccoli imprenditori dobbiamo soffrire e batterci il petto con la mazza dell’Europa. Solo così ne possiamo uscire fortificati e capire che, in quanto piccoli, brutti, sporchi e cattivi, dobbiamo solo togliere il disturbo… ce lo chiede l’Europa (mica pippi di fava… si dice dalle mie parti)
Costi energetici? Probabilmente si trattava di un'impresa energivora, ma oggi insistere sul peso eccessivo dei costi energetici è davvero fuori tempo massimo. Non parlo, per intenderci, delle fonti rinnovabili, per le quali, fin quando non saranno disponibili sistemi di accumulazione, si sconterà l'inevitabile dipendenza dal tempo - per quanto, sarebbe bene ricordare, che l'anno scorso ci fu un giorno in cui, sul mercato libero, l'energia costò zero in quanto l'offerta eccedeva la domanda. Parlo del risparmio energetico: non è esagerato sostenere che i costi energetici potrebbero essere abbattuti anche del 60%, ma è un tema che non entra proprio nelle teste dei "capi" troppo presi da altri problemi. Il settore che conosco meglio, quello della distribuzione, presenta sprechi scandalosi: un esempio per tutti. Cosa cavolo serve tenere le colonne d'aria calda accesa all'ingresso dei negozi con le porte APERTE?
Elimina@Luca N
EliminaLe PMI "radicate sul territorio" di solito lavorano conto terzi (costituiscono il famoso indotto). Ma ci sono distretti che da sempre hanno avuto la vocazione dell'export (penso a pellami, calzature, meccanica di precisione): a loro ovviamente l'euro pesa di più (e alle volte se ne accorgono pure, nonostante l'argomento non sia all'ordine del giorno in nessuna associazione di categoria, cosa che trovo assai sospetta). Pero' chiariamo un punto: una svalutazione del 30% conseguente ad un'uscita sarebbe competitiva verso i paesi che restano nell'unione monetaria, ma si tratterebbe di un semplice riallineamento rispetto al dollaro, in cui ragiona tutt'ora la maggioranza dell'economia mondiale.
Quindi nei fatti la spregiativa espressione "svalutazione competitiva" si pone in difesa degli interessi nordeuropei, e tedeschi in particolare.
Il gioco dell'OCA con moneta forte, anzi della "non OCA", e' importare materie prime, semilavorati e prodotti da fuori area per poi rivendere dentro l'area, ma non tanto al centro quanto nel cortile di sbocco (e tanti ce ne sono stati nella storia, vedere stati confederati americani e meridione italiano). Chi parla di competitività pare si riferisca a questo tipo di mercantilismo (vigliacco) sommato all'ormai stranoto pacchetto di politiche deflattive, che con una fantomatico "libero mercato" niente hanno a che fare, perche' la roulette della competitività tra stati europei oltre ad essere insensata e' anche evidentemente truccata. Ma si sa da secoli che nel libero mercato i profitti "veri" si fanno col trucco...
Buongiorno, un suggerimento tecnico che forse potrebbe fare comodo ad altri: su blogspot si può aggiungere un bottone per avere una versione facilmente stampabile del post? Fatico a leggere sullo schermo post lunghi come questo, ma non voglio certo perdermelo. Grazie ancora per il suo lavoro!
RispondiEliminaPer la rubrica Dovremmo essere come i tedeschi!:
RispondiEliminaPer alcuni la Germania è sinonimo di efficienza, laboriosità e solidità economica. Chi è meno sensibile al fascino dei luoghi comuni è invece consapevole che anche i tedeschi hanno i loro difetti, che il mito della Germania “locomotiva d'Europa”, oltre ad essere sovrastimato, sta perdendo smalto sempre più rapidamente, e che l’economia tedesca risente della caduta della domanda e degli scandali.
A Berlino, ad esempio, il nuovo aeroporto Willy Brandt, «non brilla affatto quanto a efficienza: in seguito a una gestazione ventennale, l’inaugurazione è stata rinviata già quattro volte con un ritardo di quasi tre anni rispetto al progetto originale. [...] problemi sarebbero stati riscontrati recentemente anche ai nastri trasportatori per i bagagli, ai controlli delle porte automatiche, ai banconi del check-in e ai programmi informatici. E ora è sorto l’ennesimo problema tecnico, alquanto imbarazzante: [...] per un’anomalia tecnica la luce resta accesa 24 ore su 24.
[...] Il progetto del nuovo aeroporto [...] risale al 1996. La costruzione è stata avviata nove anni più tardi. E se il piano iniziale prevedeva un costo di circa €2 mld, il budget nel frattempo è raddoppiato, superando i €4,3 mld. [...] non esiste ancora una data certa per l'apertura...».
Non solo, dopo gli scandali per corruzione che nel 2008-2009 hanno coinvolto Siemens e Man, nel 2012 la ThyssenKrupp «è stata multata per aver costituito un cartello che fissava i prezzi per la fornitura di binari alle ferrovie; [...] nel febbraio 2013, infine, il gruppo è stato coinvolto in un’indagine che riguarda di nuovo pratiche non competitive nella fornitura di acciaio all’industria dell’auto.
[Poi è emerso che il presidente del Bayern Munich, Uli Hoeness, amico] e consigliere di diversi politici della Cdu-Csu – dal presidente della regione bavarese alla stessa Angela Merkel – [...] aveva nascosto almeno qualche milione di euro in Svizzera.
[...]
Notizie contraddittorie vengono anche dall’andamento generale dell’economia. Le previsioni di crescita del Pil per il 2013 sono indicate da Eurostat allo 0,5% e sembrano forse ottimistiche. Le prime indicazioni per il mese di aprile non sono buone. Il settore dell’auto, il simbolo stesso del miracolo tedesco, ha visto le vendite sul mercato interno diminuire del 13% nel primo trimestre del 2013, notizia veramente inaudita».
E questo è solo l'inizio.
Io il 1 maggio ho avuto modo di scambiare due battute con un sindacalista cigl che come in uno stanco rituale stava vedendo il concertone. La prima cosa che mi dice è "uscire dall'euro ORA non ci conviene". Dopo qualche minuto di conversazione questa posizione si fa molto meno netta ma quasi per istinto di difesa la butta su le colpe dei politici e degli ultimi segretari cigl.
RispondiEliminaPenso in definitiva che:
1. La disinformazione la fa da padrone a quasi tutti i livelli e che solo ai piani più alti essa sia sostituita da consapevole malafede;
2. La disinformazione è la cortina fumogena che permette di nascondere il castello di carte;
3. Pian piano la cortina si sta diradando e quando lo sarà abbastanza verrà tutto giù molto velocemente.
ps: questo articolo mi fa godere..
pps: ma il modello dixon-thrilwall si può scaricare gratuitamente da qualche parte??
Rileggendo il post,ad un certo punto mi fermo sul grafico 3,quello della produttività.mi faccio questa domanda:"come mai la Francia che ha una produttività relativamente maggiore della Germania sta culo quasi all'aria?Ma sopratutto perchè non è crollata visto che anche il Franco si è agganciato ad una moneta più forte?"
RispondiEliminaLa prima cosa che mi viene in mente è nel 96 che faceva il francuccio? ECCO,aaaaaaaaaaaah.Poi mi faccio un'altra domanda,sempre relativa al fatto che, se i francesi sono così biondi e produttivi,come mai non hanno un CAB da far tremar le vene e i polsi?:"vuoi vedere che lo scarto fra salari e produttività e salari....Ricordate BDSM?",ci provo a trovarlo sul webbe,ma non sono bravo come tanti di voi e non li trovo ^se qlcn mi aiuta :)^.Provo allra un'altra strada e mi cerco QUESTO.AAAAAAAAAAAAAh,non si chiama dumping salariale questo?Per i differenziali di inflazione naturalmente c'è il tramonto dell'Euro,di quello la sì del musicista n'zomma :).
A questo punto quella che dentro di me sembra essere la domandona da un milione di dollari è questa."non sarà che la produttività è un indice che se considerato da solo risulta essere una condizione necessaria ma non sufficiente,per stabilire quanto è fico un paese?"
Magari non insegno niente a nessuno,magari mi sbaglio,in quel caso mi corrigerete.
Dalle cronache del Volkischer Beobachter salmonato del 2 e 3 maggio, anno XII E.€.
RispondiEliminaFieren alleaten Galeazzo MusoLetta a rapporten:
“Non c'erano cifre nei dossier .. del premier Enrico Letta .. prima della partenza per Berlino. E non ci dovevano essere. L'importante era usare per il primo viaggio europeo il linguaggio che le cancellerie europee amano sentire [!] soprattutto da un rappresentante di un Paese potenzialmente poco disciplinato [!].”
E come si ottiene disciplinen? Con bastonen und karoten [o rapen?] :
“Il presidente del Consiglio Enrico Letta ha confermato stamani che il suo governo intende fare quanto possibile per consentire alla Commissione europea di decidere l'uscita dell'Italia dalla procedura di deficit eccessivo .. Per tutta risposta, l'esecutivo comunitario ha preso atto della promessa italiana, sottolineando tuttavia l'urgenza di presentare misure "credibili".”
Jawohl! Morto un (von) Papen se ne fa un altro:
“Il nuovo governo ha fatto proprie le promesse dell'esecutivo precedente guidato da Mario Monti.”
“Il presidente dell'esecutivo comunitario si è detto "molto fiducioso" che l'Italia uscirà dalla procedura di deficit eccessivo “purché presenti in dettaglio le misure necessarie per finanziare le azioni a favore del rilancio dell'economia”. La Commissione presenterà le raccomandazioni-paese il 29 maggio, e in quella circostanza deve annunciare se l'Italia potrà uscire dalla procedura di disavanzo eccessivo .. In questo momento, conviene congelare l'uscita dalla procedura di deficit eccessivo per tenere sulle spine il nuovo governo o invece è più utile sancire l'uscita dalla procedura .. in un contesto sociale difficile?”
Ma, nonostante tutto ciò, Galeazzo MusoLetta dichiara: “Torno a Roma più ottimista”.
E ‘sti cazzi! Ottimista de che?
“In attesa di un'Europa migliore che scenda dal piedestallo, dimentichi le ossessioni rigoriste e si riconcili .. anche con la democrazia .. quando ci si prepara ad affrontare il giudizio europeo per uscire, a fine mese, dalla procedura anti-deficit eccessivo .. quando non si può certo ignorare il vincolo del pareggio di bilancio e della riduzione annua del debito (40 miliardi per 20 anni) assunto con il fiscal compact.”
“La congiuntura economica peggiora .. l'Italia piange ed è alla disperata ricerca di risorse e riforme per rilanciare l'economia, la Germania ride sempre meno, con il manifatturiero in calo per il secondo mese consecutivo, la contrazione dell'auto, la fiducia dell'industria in caduta [mettetevi d’accordo ]. Recessione e disoccupati ormai non perdonano quasi nessuno. Non per questo il neopresidente del Consiglio ha trovato Angela Merkel meno ligia alla sua ortodossia. Non poteva essere altrimenti soprattutto nel pieno della campagna elettorale .. Ma così va l'Europa dove la Germania della Merkel resta convinta che la crescita economica sia il premio delle virtù riformiste di un Paese e quindi debba essere di matrice essenzialmente nazionale”
Per fortuna in Italia abbiamo una vera opposizione che contrasta il fieren alleaten Galeazzo MusoLetta, quella di Kamerad Grille …
Sieg heil!
A completamento della sua analisi, in merito alla sua posizione sulla retroattività delle misure di flessibilità introdotte dal pacchetto Treu, vorrei dire che esso non ha fatto altro che istituzionalizzare un dato di fatto che al momento della sua promulgazione andava avanti già da alcuni anni.
RispondiEliminaIl che potrebbe spiegare la questione della sua "retroattività", che lei viceversa tende a escludere.
All'epoca lavoravo in un'azienda all'avanguardia per tutto quello che concerneva la possibile ricerca di metodi atti alla massimizzazione dei profitti, che si contrapponevano paradossalmente al sostanziale anacronismo dei metodi di produzione, basati sull'immobilità se non addirittura sul loro arretramento quanto a produttività ed efficienza.
Quindi ho vissuto in prima persona le sue diverse fasi e ho avuto modo di poterne valutare gli effetti.
Quell'arretramento è stato causato anche da un'esasperata burocratizzazione delle diverse fasi del processo produttivo, dovuta alla necessità di autolegittimazione della pletora di quadri intermedi inseritisi durante il processo di crescita rapidissima di tale azienda per garantire le funzioni di controllo ritenute necessarie per via dell'esternalizzazione di molti servizi, ma che in realtà non hanno fatto altro che gravare su un processo produttivo che se non era modernissimo era almeno ben collaudato, rendendolo farraginoso ed enormemente più costoso. Sia in termini assoluti, sia sul valore specifico dei ricavi realizzabili sull'attività del personale operativo.
Dunque, quando il pacchetto Treu è entrato in vigore, non ha fatto altro che rispondere alle tendenze volte alla ricerca esasperata da parte datoriale non solo della compressione, ma anche della variabilizzazione dei costi del lavoro. Che malgrado sia stata effettuata com abbiamo visto con metodi contraddittori, è stata affiancata da una tendenza altrettanto esasperata all'outsourcing, ovverosia dell'affidamento all'esterno di funzioni e servizi in precedenza svolti direttamente dal personale interno dell'azienda.
Gli effetti di tali azioni, a tutti quelli elencati hanno aggiunto inoltre una sostanziale deresponsabilizzazione dell'azienda, che ha potuto scaricare sui lavoratori esternalizzationeri e funzioni che precedentemente aveva assunto in proprio. A breve termine ne ha ricavato un aumento dei profitti, ma alla lunga ciò ha finito con l'influire negativamente sulla sua immagine. In particolare per quel che riguarda la sicurezza e l'affidabilità dei servizi forniti, il che ha causato il suo riallineamento agli altri concorrenti operanti nello stesso settore nella percezione da parte della clientela, facendogli perdere il primato assoluto prima vantato, che ne faceva qualcosa di a sé stante e gli permetteva di operare in assenza di competitori.
A ben vedere tutto questo riporta ad altre considerazioni della sua analisi, ovverosia al calo di produttività dovuto a caduta della domanda, ma anche alla riduzione della profittabilità aziendale causata da una ricerca di utili troppo esasperata, che finisce con lo svuotare la singola azienda della sua connotazione più efficace ai fini della produzione di capitali, che ampliata su più larga scala si traduce nella perdità di competititività dell'intero sistema paese.
Tutto questo porta a valutare anche l'ambiguità dell'atteggiamento confindustriale, che prima ricerca, esegue e detta all'esecutivo una serie di misure che comportano fisiologicamente un forte calo della produttività, della profittabilità e della competitività delle singole aziende e di tutto il paese, ma poi, resasi conto dei risultati, inizia a battere ossessivamente sull'assoluta necessità del recupero di tale parametro e di neutralizzare gli effetti causati da modalità di azione e di direzione aziendale a dir poco scriteriate che essa stessa ha preteso. Ovviamente senza alcun interlocutore in grado di fargli notare la contraddittorietà prima ancora dell'ambiguità a livelli orwelliani di tale atteggiamento.
Grazie per le argomentazioni articolate, delle quali si capisce il radicamento in un'esperienza concreta e ben conosciuta. Specifico che DP nel loro lavoro citano il fatto che la riforma Treu di fatto era una "sanatoria" di elementi già esistenti a livello informale (sanatoria e esasperazione), come mi par di capire la sua analisi confermi. Credo però che l'azienda della quale lei parla sia un'azienda di servizi (non tradable?) e grande. Il mio discorso si riferiva all'impatto del cambio soprattutto sulle PMI orientate all'export. I due discorsi sono pienamente compatibili. Verosimilmente a voi il cambio ha fatto poco o niente, ma l'Italia non è solo la sua azienda (che non conosco), come la Germania non è solo la VolksWagen. Si riconferma che il modello di flessibilizzazione/precarizzazione è stato ritagliato a misura di grande impresa (su ispirazione di chi ha un sistema basato sulla grande impresa), ma che in Italia nemmeno la grande impresa, oltre certi limiti, poteva permetterselo.
EliminaGrazie.
Grazie a lei professore e a quanto fa per divulgare i fondamenti necessari all'analisi consapevole della situazione attuale.
EliminaEffettivamente quella in cui lavoravo è un'azienda di servizi, che ha fatto anche da laboratorio per la sperimentazione di strategie gestionali e operative applicate in seguito su scala molto più ampia. Si è caratterizzata inoltre per la crescita impetuosa, che nel giro di pochissimo da piccola la ha resa medio-grande, basata sulle manchevolezze dei servizi esistenti, gestiti dallo stato.
Tale crescita è stata sostenuta dalla sistematica elusione della normativa un pò a tutti i livelli, a conferma che il raggiungimento di certi risultati difficilmente si ha in assenza di determinati atteggiamenti.
Quella che alla fine è divenuta un'impresa medio-grande non ha saputo rimodulare le sue dinamiche comportamentali né comprendere le mutate potenzialità del suo nuovo status, ma ha cercato di abbinarvi la flessibilità e rapidità di risposta tipica della piccola impresa, dimostrando carenze culturali molto gravi da parte della dirigenza, incapace di comprendere che oltrepassati certi limiti è necessaria una modalità di azione adeguata alla realtà del momento, soprattutto sotto il profilo etico. Così si è persa la profittabilità che aveva permesso una crescita simile, proprio per aver troppo abusato nella ricerca di un suo accrescimento a oltranza, che non poteva essere. Qui vediamo il limite del sistema capitalistico, che tende a riprodurre meccanismi e risultati che non sono riproducibili, essendo il frutto di condizioni varianti nel corso del tempo. Ne derivano danni che si pretende di scaricare prima sulla forza lavoro e poi sull'intera collettività, come vediamo nella situazione odierna.
Questi argomenti non sono direttamente correlati con le finalità di un sito di macroeconomia, ma sono convinto che l'analisi di comportamenti simili possa dare strumenti più adeguati per comprendere il progressivo isterilirsi della produttività e degli altri fattori che concorrono al benessere del sistema-paese.
Un'ultimo elemento riguarda la difficoltà da parte del sindacato nel confrontarsi con realtà così al di fuori della sua esperienza. Si è rivelato incapace di assolvere alla salvaguardia dei lavoratori, malgrado gli avessero dato ampio sostegno, ma anche di avviare un confronto diretto all'impiego corretto e più proficuo del potenziale di risorse liberato dall'attività di quell'azienda. Nonché alla salvaguardia dell'azienda dalle proprie mire impossibili, elemento questo tipico della ricerca esasperata di profitti che oggi è la norma ma causa insostenibilità tali da minare le basi di un'impresa che, se gestita correttamente, garantirebbe profitti a lungo termine.
Invece, il sindacato si è fatto abbagliare da una crescita della forza lavoro che doveva apparirgli prodigiosa, lasciando mano libera anche negli aspetti più controproducenti di sfruttamento e di esternalizzazione. Ha solo capitalizzato l'aumento delle tessere e i proventi ricavabili dagli accordi palesi e di quelli sottobanco, che ci sono stati in gran numero, con un'azienda che sentiva il bisogno del consenso delle parti sociali quale supporto alla sua crescita. E come tale, al di là degli atteggiamenti di facciata, dava disponibilità ad accordi di maggior favore, che però non si è sfruttata. Ponendo così le basi di quella marginalizzazione che avremmo visto in seguito estendersi un pò in tutte le realtà produttive del paese.
E' un esempio singolo, che però ritengo paradigmatico dell'incapacità a tutti i livelli di pilotare e sfruttare nel modo corretto le possibilità di sviluppo permesse dalle condizioni del tempo, che in ultima analisi non hanno fatto altro che rendere ancora più gravi e pesanti le conseguenze delle scelte fatte in seguito a livello economico e politico
Questo post e' un capolavoro. Niente da aggiungere.
RispondiEliminaAnche io, come Daniele, non vengo dal mondo dell'economia. Sono uno storico della musica, quindi poco avvezzo a masticare questo lessico scientifico: non che quello impiegato per spiegare la notazione neumatica in uso nell'alto medioevo mi fosse, ai tempi dell'università, meno ostico. Eppure, leggendo i post del professore, molto sembra chiarirsi e certo non solo a me. Vi propongo questa lettura che ho trovato in rete; a testimonianza del fatto che altrove (non certo nel PD) la discussione è accesa e matura. http://russeurope.hypotheses.org/1182
RispondiEliminaForse aveva davvero ragione Bagnai quando predisse a Fassina: "Resterete nudi come l'ultimo giapponese nella foresta, baionetta in canna, a difendere il bidone dell'euro. E, quando vi girerete a guardare, scoprirete che dentro non ci sarà rimasto nulla."
Post monumentale, complimenti prof. Non finiremo mai di ringraziarla.
RispondiEliminaProf, OT Tecnico : perchè questo post non mi compare sul Feed Reader contrariamente a tutti gli altri ( compreso l'ultimo dopo questo)?
RispondiEliminaSa com'è, il mio IPAD con tutti i post caricati è un utile compagno di battaglia..
Grazie
@Vincenzo Sangiorgio
RispondiEliminanon è che dice cose inutili o insignificanti.. ma mi pare che non siano contestualizzate!
nella storia capita spesso (sempre?) che se lei si assoggetta il tessuto sociale si impoverisce, imbastardisce, incattivisce.
la Corruzione e la delinquenza sono due esempi tipici.
politici che fanno i bagordi un altro (in francia, da noi, in iran post golpe... per dire!).
negli USA questo "ammodernamento" ha condotto ad una delinquenza e ad una povertà senza eguali nel mondo occidentale.
Domanda: cosa bisogna cambiare per migliorare?
con questo andazzo nulla!
secondo aspetto pratico: i dipendenti pubblici che lavorano poco.
Premesso che lavorano meno di quelli privati (per lo meno un terzo.. non mi riferisco a quelli del front office) c'è sempre da chiarire la differenza tra meridionali e settentrionali (qua al Sud.. ihihihih).
alla fine della fiera non credo che gli indici di "produttività" della PA siano così pessimi (per esempio nella giustizia, vituperata giustizia, siamo i 2i in Europa).
Altro discorso riguarda l'ammodernamento per i famosi risparmi da dedicare a futuri investimenti..
se il padre di famiglia (lo so che questo tizio è vituperato perché viene tirato spesso in ballo a vanvera) perde il posto di lavoro, raccatterà lavoretti per dar da mangiare i figli o per risparmiare in vista dell'università?
secondo i "liberisti" deve risparmiare visto che il rendimento è maggiore.
Peccato che facendo così in questo caso vedremo dei figli (e genitori) morti.
Semplicemente lo stato con l'euro non può più fare nulla
Caro Professore, mi spiace dirlo ma la colpa è sua. Parla bene, è competente, è (mi permetto) simpatico e la sua immagine non risulta essere inflazionata da sovraesposizione. Quasi un Travaglio dell'economia. Con la differenza che Travaglio è dappertutto ma poi, per il suo lavoro, sta sulle scatole a molti. La sua dose di antipatia la suscita anche lei, ma principalmente tra gli addetti ai lavori. La gran parte dei suoi lettori (tra i quali ci sono anch'io) non è così competente da potersi permettere dei sentimenti a lei avversi. Quindi... si incazzi pure ma servirà a ben poco. Purtroppo, c'è bisogno di persone come lei, se ne faccia una ragione. Comunque, con la storia delle due fatiche, un po' di ammiratori rischia di perderli. Certi argomenti suscitano ancora interesse. Se poi riesce anche a buttare là qualche sfondone sul calcio, è fatta, il numero dei suoi seguaci si potrebbe drasticamente ridurre.
RispondiEliminaDa stampare e rileggere ogni settimana!!!, link compresi!!
RispondiEliminaVincolo esterno + flessibilità interna sul mercato del lavoro = minore Export + minore domanda interna
Meno male che "ce lo chiede l'€uropa".
Ps io lo pubblicherei come ulteriore capitolo al libro
Ps2 spero sempre di poter la sentire di persona fra Grosseto e Forlì
"
RispondiEliminaEd ero già vecchio, quando vicino a Roma, al Little Big Horn
Capelli corti Generale ci parlò all'Università
dei fratelli Tute Blu che seppellirono le asce
ma non fumammo con lui, non era venuto in pace.
E a un dio "fatti-il-culo" non credere mai.
"
Fabrizio de Andrè e Massimo Bubola.
La canzone è "Coda di lupo", dall'album "Rimini", 1978.
In un’intervista alla tv tedesca Phoenix il premio Nobel per la letteratura Guenter Grass ha duramente criticato Merkel per le politiche di austerità: «Trovo vergognoso, e ci rimette in una posizione percepita come arroganza tedesca, il fatto che la Repubblica federale, Paese altamente indebitato, costringa altri Paesi a percorrere una rigorosa via di risparmio».
RispondiEliminaIn effetti, la “virtuosa” Germania tanto virtuosa non è, come si evince agevolmente dai dati del governo tedesco, che rivelano che in termini assoluti il debito tedesco è il più alto in Europa: 2.249 miliardi.
Grass ha anche affermato che la «Germania è un Paese segnato dalla corruzione, a partire dalle banche per arrivare al mondo dello sport».
In un recente articolo sul NYT Paul Krugman parte da una considerazione basilare: «l'economia non è come una singola famiglia.
Le famiglie guadagnano quello che possono, e spendono nella misura che stimano prudente; spesa e opportunità di guadagno sono due cose diverse. Nell'insieme dell'economia, comunque, il reddito e la spesa sono interdipendenti: la mia spesa è il vostro reddito, e la spesa è il mio reddito. Se entrambi tagliamo le spese contemporaneamente, anche i nostri redditi crolleranno».
Per mettere fine alla disoccupazione, spiega Krugman, sarebbe sufficiente “aumentare la spesa pubblica a deficit per creare subito posti di lavoro”, ma la classe dirigente internazionale sembra convinta “che la sofferenza sia un bene", ed è determinata a «Far pagare (a noi) un prezzo per i “peccati” del passato, "anche se i peccatori di allora e chi soffre oggi sono dei gruppi sociali di persone completamente diverse". Qualcuno di quei potenti, accusa Krugman, vede nella crisi una magnifica opportunità per smantellare tutta la rete di sicurezza sociale. "E quasi tutti, nelle élites politiche, prendono le parti di una minoranza benestante che in realtà non sta sentendo molto dolore".
L'articolo originale si trova qui.
Ora, sarebbe forse giunto il momento di chiedersi per chi e per che cosa da alcuni anni stiamo facendo sacrifici assurdi e inutilmente dolorosi.
Perché se li stiamo facendo per compiacere la Germania abbiamo preso un colossale granchio, e rischiamo di porre le condizioni per una stagione di tumulti, rancori e sommosse di cui faremmo tutti volentieri a meno.
Letta sembra poco cosciente della gravità della situazione, e sembra persino poco informato sui risultati, a suo dire “positivi”, da lui conseguiti nel suo recente peregrinare in Europa.
O meglio, sembra intenzionato a far credere che lui sta ottenendo risultati importanti pur vagamente consapevole dell'evidenza del contrario, visto che rimanda al prossimo vertice Ue di giugno per confermare ciò che oggi dà per scontato.
In defintiva, non si è ben compreso cosa sia andato a fare Letta a Berlino, ma la sensazione è che non abbia usato gli argomenti giusti con Merkel.
Bellissimo post Prof, mi sono preso un'oretta con calma per legermelo tutto e ho letto anche la discussione finale, tutta davvero molto interessante anche per un "amatore" come me.
RispondiEliminaC'è poi la chicca iniziale, di carattere musicale, sul diciasettenne che affronta la sonata di Mozart e gli sembra semplice. A tal riguardo, in aiuto ad eventuali (e senz'altro pochi) appassionati di economia che non lo fossero anche di musica, mi piace citare testualmente un pensiero del grande pianista Edwin Fisher, così da spiegare meglio la metafora del diciasettenne:
«Il naturale sviluppo musicale - ha scritto Fischer - ci porta da principio molto vicini a Mozart a causa del carattere popolare delle sue melodie, della facile intelligibilità della sua struttura armonica e agogica. Poi segue quasi sempre un periodo d'inclinazione verso un grande apparato di forza, l'amore del pathos; non esiste nessuna espressione esteriormente troppo forte, niente di abbastanza grandioso, virtuoso, travolgente. Siamo così lontani dall'insegnamento di Mozart, in quel momento, come lo siamo nel periodo che segue, dominato dalla ricerca di tutto quello che è assolutamente nuovo raffinato, surriscaldato, rivoluzionario o formalmente problematico. Fino a che un giorno si fa per noi la luce. Qui (in Mozart) c'è tutto: contenuto, forma, espressione, fantasia, effetto strumentale, e tutto ciò è ottenuto con mezzi più semplici».
Grazie, fa piacere sapere di non essere soli, ma ormai (appunto) lo so. Non è comunque necessario che tu spieghi a tutti quello che ho voluto spiegare ad alcuni. Ho detto fin dall'inizio che parlare a tutti non mi interessava, e spero sia chiaro perché: perché qui stiamo costruendo un'élite. Un'élite fatta di magistrati e contadini, di commercianti e di docenti, di camionisti e di pianisti, e di gente d'ogni grado, d'ogni forma e d'ogni età. Ma un'élite. Perché? Perché quello ci serve. A cosa? ... Be', guardati intorno! E abbi (abbiate) fede...
EliminaGrazie #sesemocapiti.
...esatto, sesemocapiti!
EliminaA Bergamo lunedì se trovo posto per entrare vengo a salutarla di persona, ho contattato il caffè letterario di bg per avere lumi sulla disponibilità di posti perchè da Desenzano del Garda è un nel pezzetto di strada e non vorrei restare fuori...
No! non sono piddino, anzi quel tweet in cui ha accennato ai piddini di Desenzano mi ha molto incuriosito...chissà se un giorno scoprirà l'arcano :)
"L'idea che si faranno in futuro tutte queste cose, gli Stati Uniti di Europa, significa pensare che per la crescita bisognerà aspettare 15 anni.
RispondiElimina.......
La Cina, gli USA, il Giappone stampano moneta, solo l'Europa non stampa moneta......
E' strano che tutti dicono la stessa cosa e l'Europa, da cui nascono tutti i progressi di pensiero dell'umanità, ogni trenta o quarantanni impazzisce. Ci ha dato la I Guerra Mondiale, ci ha dato la II Guerra Mondiale e adesso ci stanno dando questa autodistruzione economica."
Stralci di Edward Luttwak su In Onda - LA7
Aggiungerei che Cofferati che, nello stesso momento, parla male della svalutazione è la riprova che la svalutazione è l'unica strada sensata. :-)
Forse è ancora prematuro che io introduca una considerazione specifica, molto manca al rendez-vous richiesto nelle istruzioni per l'uso, tuttavia dopo questa lucida analisi, che pare veramente improbabile si possa generare solo da una sciagurata congiura di equivoci, sono stimolato dal dubbio sollevato sulle ragioni che hanno ispirato i responsabili di queste infauste scelte, dove si dice:
RispondiElimina“motivi che gli storici appureranno (collusione con interessi esteri? Accecamento ideologico?)”.
Così, rimuginando su questi motivi, mi è tornata in mente una trasmissione ascoltata su radio radicale e che forse può essere utile citare.
Ebbene si! Prima di avere la fortuna di approdare in questo sito, una volta sola, diversi anni fa, ebbi la sensazione che il velo si lacerasse e che quello che avevo sempre pensato era, in effetti, giusto. Fu un attimo, eppure fu intenso.
Riporto il link che ho ritrovato:
http://www.radioradicale.it/scheda/269132/genesi-e-conseguenze-della-crisi-finanziaria-in-corso
E' interessante tutta la discussione sulla crisi finanziaria, ma il fulmine a ciel sereno si verifica al primo minuto dell'intervento di Innocenzo Cipolletta, che va richiamato una volta sul sito, perché non può essere indicato direttamente dal link.
La frase cruciale è:
“Questa crisi è il prodotto del successo di tutte le politiche economiche che noi abbiamo fatto negli anni passati.”
Dove va apprezzata, oltre alla sincera ammissione di colpa, e da quel momento considero Cipolletta un uomo onesto, il fatto che Cipolletta estende la responsabilità alle classi dirigenti dell'intero globo, il noi è un noi molto vasto, che parte dai dirigenti di media impresa parastatale e arriva fino al Fondo Monetario.
L'argomento discusso sembra divergente, ma la citazione mi pare in tema, e utile.
In effetti potrebbe anche essere che tutto dipenda solo da una generale fresconeria.
«“Questa crisi è il prodotto del successo di tutte le politiche economiche che noi abbiamo fatto negli anni passati.”»
EliminaA me pare un non senso.
Caspita vuole dire?
E' ironico? Perchè se non lo è sta dicendo il nulla; cosa vuol dire che è il successo delle politiche del passato? Nel passato le politiche adottate, al netto di quelle per l'entrata nell'euro, non hanno fatto stragi. Se si riferisce a quelle adottate per entrare nell'euro, abbia il coraggio di dirlo chiaramente, basta con questa fumosità che dice e non dice, un pararsi il culo se l'esito finale sarà uno o l'altro, mantenersi nel vago con frasi da politichese.
Ho ascoltato tutto l'intervento dell'Innocenzo, mai una volta ha citato l'euro, esempi a cappella, la carta che ha fatto risparmiare all'Isco, la recessione che è buona cosa, riporto : «Per me la recessione non è mai stato un male, anzi il contrario, la recessione è la medicina che guarisce il male, il male sta nello squilibrio precedente che ha generato caratteri recessivi, e questo ce lo siamo un po’ dimenticato che è così», la colpa è degli Usa che non vogliono entrare in recessione, che hanno inondato il mondo di liquido, etc.
Un paraculo statale...
P.S.:
In quanto ad onestà non ci scommetterei, ho letto il curriculum su Wiki, e non mi sembra proprio una verginella.
Per carità! Verginella non è, in generale.
EliminaMa è curiosa l'ammissione, che può ben apparire spudorata, che tutte le trovate economiche delle classi dirigenti mondiali a partire dagli anni settanta erano interamente sbagliate.
Che è è cosa che si può ammettere solo davanti al fisco di vino, oppure in un incontro di studio in un momento di disimpegno della ragione, ma che appunto è quanto io ho sempre pensato, seppure di nascosto.
Non so se posso definirmi un marziano ma mi sembra di capire che il vincolo esterno e l’euro rappresentano solo alcuni degli strumenti di quella che è stata, non so se a giusto titolo, chiamata guerra di classe al contrario. Gli anni ‘90 oltre a quelli di Maastricht, sono anche quelli del WTO, passando per le liberalizzazioni di tutti i settori economici strategici (energia, trasporti, telecomunicazioni…) che hanno creato quel fantastico “libero pollaio” con dentro tante “libere volpi”. Atteso che in Italia il restringimento della domanda ha poi, a catena, creato le condizioni perché la stessa organizzazione dell’offerta perdesse progressivamente colpi, mi domando quanto abbia pesato per il declino della produttività del settore manifatturiero italiano, la concorrenza dei paesi emergenti (un esempio su tutti il settore tessile) avvenuta con la cosiddetta globalizzazione? In che modo, anche su questo fenomeno, ha pesato l’assenza della fluttuazione del cambio? Anche per paesi come Cina, Vietnam, Malesia, Turchia, Egitto etc. avremmo potuto, fuori dall'euro, tenere una politica di cambio difensiva in grado di non ridurre il numero di caffè del noto barista?
RispondiEliminaChe l'euro sia uno strumento di lotta di classe non era una grande scoperta nemmeno quando l'ho detto qui scandalizzando la "sinistra", com'è noto ai lettori di questo blog.
EliminaLe liberalizzazioni in Italia sono state propugnate dall'"Europa" (Maastricht è stato un veicolo di quel tipo di politiche, che comunque hanno avuto ovviamente scala mondiale e sono partite dagli Stati Uniti, e anche questo si sa).
La concorrenza degli emergenti, che è la grande scusa di chi vuole difende l'euro in chiave "internazionalista dei poveri", non può FATTUALMENTE aver nulla a che vedere con il fenomeno evidenziato nel post per alcuni motivi:
1) la Cina entra nel WTO alla fine del 2001;
2) l'accordo multifibre è stato in piedi fino al 2005;
3) non si capisce in qual modo avere una valuta forte ci avrebbe difeso da paesi accusati (non del tutto correttamente) di avere una valuta troppo debole.
Veramente, sono perplesso. Non mi pagano abbastanza per stare a leggere che l'euro ci avrebbe difeso dalla Cina...
Buon Giorno, ho letto attentamente il suo blog e trovo molto interessanti e sensati i suoi argomenti in merito alle dinamiche economiche che ci hanno portato alla situazione attuale. Penso che la sua attività divulgativa sia molto utile e sono felice che ci siano altre persone compreso il signor Grillo che informano le persone su altri temi. Non capisco le ragioni di tanto astio verso chi non ha nessuna responsabilità per l'attuale situazione della politica e dell'economia italiana. Deve essere frustrante sentirsi una delle poche persone intelligenti in una nazione di cretini. Buona fortuna
RispondiEliminaGuardi che qua di persone intelligenti ce ne sono tante. Lei di quale astio sta parlando? Perché forse ha letto un altro blog o magari ha bisogno di una spiegazione. Ci faccia sapere.
EliminaEbbene sì, mi è stato necessario dedicare del tempo alla lettura, o meglio, allo studio di questo meraviglioso saggio. Ma essere arrivato a poterlo commentare mi rende "serenamente consapevole" per aver compreso le dinamiche chiave che hanno contribuito a determinare la situazione che stiamo vivendo non solo noi, popolo di salariati, ma anche gli imprenditori in Italia (e non solo).
RispondiEliminaE capire che calo della produttività, squilibrio tra capitale e lavoro, shock della domanda e dumping salariale sono tutti strettamente correlati e indotti da quel "vincolo" voluto da menti malate che sta distruggendo la nostra economia, il nostro benessere e il nostro futuro.
Per il bene dei nostri figli, spero che il declino non arrivi al punto da cancellare completamente la nostra identità e la nostra straordinaria capacità di creare valore.
Grazie
Onore al Partigiano Bagnai. Grazie.
RispondiEliminaSicuramente lei professore non ha il dono della sintesi, però riassumendo, dopo aver letto tutto ( a proposito quanto tempo a dedicato a scrivere questo articolo?) si denota che la responsabilità della crisi attuale sia in massima parte da attribuirsi al mostruoso taglio dei salari e diritti dei lavoratori in genere, apportato in questi decenni, che in fine hanno prodotto solo depressione della domanda interna, taglio che fatto su scala mondiale ha creato una crisi senza precedenti (America ecc. stanno facendo lo stesso, infatti all'innalzamento e recupero dei posti di lavoro ante 2008 negli Usa, non si conferma innalzamento e ripresa dell'inflazione)
RispondiEliminaQuindi per uscire dalla crisi la strada migliore: ritornare a dare potere d'acquisto cioè innalzare i salari o detassarli.
Ma ci sente qualcuno ai piani alti?
Bentornato Cavajere!!! Che bello leggere i suoi post tecnici
RispondiEliminaProfessore, o chiunque può aiutarmi, avrei bisogno di un chiarimento: nel grafico che mostra la produttività italiana paragonata a quella tedesca e francese si usa l'indice di produttività, e come ha spiegato in "cosa sapete della produttività" un indice fornisce una visione della dinamica di un valore, se ho ben capito.
RispondiEliminaDiscutendo con un tipo a proposito dei nostri problemi di produttività, quando gli ho mostrato l'articolo quell' articolo, lui mi ha subito detto "Ma quello è il grafico sbagliato, se vai sul sito OCSE e invece di selezionare l'indice con base 2005 selezioni semplicemente produttività del lavoro vedrai che i tedeschi sono sempre stati più produttivi e che hanno iniziato a distaccarci già negli anni 70".
Io sapevo che fossero più produttivi perché lo ha detto lei stesso, e il discorso del perché Labour Productivity Index 100=2005 sia più utile di Labour Productivity mi sembra di averlo capito, ho anche dato un'occhiata alla voce L.P. Annual Growth e lì negli anni 70 facciamo anche un po' meglio dei tedeschi; però quando vado a vedere la produttività, per capire di che distacco parlasse il mio interlocutore, vedo che in effetti la differenza fra la nostra produttività e quella tedesca va aumentando già dagli anni 70, e mi viene il dubbio di non aver capito bene in cosa consista l'indice.
L'OCSE calcola la produttività come PIL/ore lavorate, se quel rapporto per la Germania aumenta più in fretta che per noi, cioè il distacco aumenta, perché l'indice che ha preso lei segna una dinamica simile per Italia e Germania?
Il mio problema in soldoni è che non riesco a conciliare le diverse serie di dati, cioè non so che dire a quel tipo che mi ha risposto che il distacco aumenta dagli anni 70
Confesso di essere una schiappa in matematica e quindi forse la risposta è banale e che il mio problema magari è solo un mio problema, in ogni caso grazie in anticipo dell' attenzione, e complimenti per questo post!
Guardi che di espertoni imbecilli che ci vogliono dare lezioncine di statistica ne è pieno il mondo. Simpatico in particolare il suo conoscente, che vuole dare lezioni di statistica all'OCSE. In che cosa l'indice OCSE sarebbe sbagliato, e invece la produttività in termini di Pil per addetto sarebbe giusta?
EliminaQuello che il cretino di turno (non lei, ovviamente) non capisce è la differenza fra statica e dinamica, fra livelli e tassi di variazione.
Il Pil per addetto italiano è sempre stato inferiore a quello tedesco (e così sono stati i redditi pro capite). Ora, lei capisce che il 3% di 10000 è 300 e il 3% di 5000 è 150, giusto? Quindi a parità di tassi di crescita, cioè a parità di dinamica, è OVVIO (anche se stupisce gli espertoni cretini) che lo scarto valutato sui termini assoluti sembri aumentare: si passa da 10000-5000=5000 a 10300-5150=5150. Ma il punto è che ragionare così non ha senso, perché quello che conta è la dinamica della produttività (e quindi, a ricasco, del CLUP), per i motivi che ho spiegato qui. L'indice parte esattamente dalle stesse informazioni. Se lei fa base 100 il primo anno, avrà 103 in entrambi i casi nel secondo. Provi e vedrà. Quindi non sono informazioni diverse, sono la stessa informazione, presentata in modo professionale (perché utile all'analisi del fenomeno) o dilettantesco (mi riferisco all'espertone).
Ma non cerchi di spiegarlo al suo amico. Direbbe che sono "teorie di Bagnai". E invece, guarda un po', sono semplici fatti aritmetici ed economici.
Si ricordi: l'importante è desistere. Sono d'accordo che è importante far circolare una corretta informazione, che questo favorirebbe esiti meno antidemocratici della crisi, ecc., la ringrazio, tutti la ringraziamo, per il suo tentativo.
Ma quando poi ti trovi di fronte una persona teoricamente "acculturata" (sa che esiste il sito dell'OCSE) che fa errori di questo genere (errori che perfino Zonin stigmatizza), sinceramente cadono le braccia. Non ci perda tempo: se uno è così cretino, non ci serve né prima, né durante, né dopo.
Grazie, è stato molto chiaro... mi sa che alla fine dovrò desistere, ma finché ho un po' di tempo da perdere faccio una piccola raccolta di obiezioni cretine almeno.
EliminaBuon lavoro!
Bisin avrebbe molto lavoro da "Fare"... con tutti sti grafici "da smontare" ... Ricordo male forse, ma mi pare ci stesse un'intera giornata a grafico, quindi a occhio : 5 Giorni per i grafici, ed una vita intera per capire il contenuto. Povero Bisin.
RispondiEliminascusi prof,
RispondiEliminama questo può avere una relazione? L'andamento ad occhio sembra simile
grazie, buon lavoro
Salve. Io sono di formazione uno statistico economico, quindi queste cose le mastico (anche se a volte inorridisco di fronte alle definizioni operative di certe variabili). Condivido appieno l'analisi e potrei dimostrare che queste cose le dico da tempo. Sono anche stronzo, e per ciò aggiungo due cose. La prima è che ci sono passaggi in cui si capisce veramente poco; la seconda è che non sempre è necessario scrivere Missione Terra (è un romanzo di quasi 4000 pagine) per dire cose che, sì, non potrebbero stare, come la famigerata e leggendaria dimostrazione del grande teorema di Fermat nel pià di pagina (Wiles scrisse 240 pagine per dimostrarlo) ma neanche nello spazio occupato dal succitato romanzo. Anche il tono supponente e il linguaggio offensivo non è certo edificante. Stronzo me lo sono già detto da solo, quindi è tutto...
RispondiEliminaNo, aspetta, non è tutto. Visto che entrambi siamo stronzi, e tu in più hai anche la concinnitas che a me manca, perché io ho avuto 10 milioni di page views e tu no? Il mondo forse è più stronzo di te... ma per fortuna solo con te! Stammi bene rosicone!...
EliminaSalve Professor Bagnai. Innanzitutto mi consenta di ringraziarla per il suo emblematico e proficuo lavoro di ricerca, di divulgazione e di attivismo politico che porta avanti da diversi o meglio, parecchi anni. Nell'ambito degli squilibri competitivi e commerciali nei rapporti tra il cd. Centro 'virtuoso e produttivo' e la Periferia 'corrottabruttaimproduttiva', ha giocato un suo (fondamentale?) ruolo sulla competitività di valore dei beni capitali tedeschi, tutta l'attività di finanziamento e di risanamento del comparto tecnologico-produttivo della reltiva industria,conseguito negli ultimi due decenni circa dalla KFW!? Intervento tra l'altro pubblico (la kfw infatti, è di proprietà in buona parte del governo tedesco), che non è stato computato neppure sul saldo del bilancio pubblico tedesco, consentendo anche alla Germania stessa di finanziarsi agevolmente sui mercati monetari e dei capitali..... Grazie
RispondiEliminaSalve Professor Bagnai. Innanzitutto mi consenta di ringraziarla per il suo emblematico e proficuo lavoro di ricerca, di divulgazione e di attivismo politico che porta avanti da diversi o meglio, parecchi anni. Nell'ambito degli squilibri competitivi e commerciali nei rapporti tra il cd. Centro 'virtuoso e produttivo' e la Periferia 'corrottabruttaimproduttiva', ha giocato un suo (fondamentale?) ruolo sulla competitività di valore dei beni capitali tedeschi, tutta l'attività di finanziamento e di risanamento del comparto tecnologico-produttivo della reltiva industria,conseguito negli ultimi due decenni circa dalla KFW!? Intervento tra l'altro pubblico (la kfw infatti, è di proprietà in buona parte del governo tedesco), che non è stato computato neppure sul saldo del bilancio pubblico tedesco, consentendo anche alla Germania stessa di finanziarsi agevolmente sui mercati monetari e dei capitali..... Grazie
RispondiEliminaRiletto oggi (undici anni dopo), e sempre con grande piacere, per riprendermi dopo un articolo sul corriere economia di ieri in cui si argomentava che la colpa della stagnazione dei salari in Italia "non è colpa dell'euro ma della produttività": e non c'era neanche il modello...
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