Lo squadrone a cui apparteneva Rostov, avuto appena tempo di
montare a cavallo, fu disposto con la faccia al nemico. Di nuovo, come là sul
ponte di Enns, tra lo squadrone e il nemico non c’era più anima viva, e tra l’uno
e l’altro, separandoli, giaceva quel tremendo limite dell’ignoto e del terrore,
simile al limite che separa i vivi dai morti. Tutti avevano la sensazione di
quel limite, e la questione se avrebbero o non avrebbero varcato, e in che modo
varcato, quel limite, li agitava nell’intimo.
Lungo lo schieramento sopravvenne il comandante, rispose
stizzito alle domande degli ufficiali, e, col tono di uno che disperatamente
resta sempre del suo parere, impartì degli ordini. Nessuno diceva nulla di
preciso, ma si diffuse nello squadrone la voce che si stava per andare all’attacco.
Risonò il comando di disporsi a plotoni, poi sibilarono le sciabole, sguainate
dai foderi. Ma ancora nessuno, tuttavia, si moveva. Le truppe del fianco
sinistro, fanteria e ed ussari del pari, sentivano che i comandanti per primi
non sapevano cosa fare; e l’irresolutezza dei comandanti veniva a comunicarsi
alle truppe.
“Presto, presto...” pensava Rostov, sentendo che finalmente
era arrivata l’ora di provare quella voluttà della carica, di cui aveva tanto
sentito parlare dagli ussari suoi colleghi.
– Con Dio, ragazzi! – s’alzò squillante la voce di Denisov. –
Al trotto, marsc!
Nella fila di testa incominciò un movimento di groppe di
cavalli. Corvetto tirò le redini e, per proprio conto, partì.
Sulla sua destra Rostov vedeva le prime file degli ussari
del Pavlogradskij, mentre più lontano, in avanti, scorgeva una scia scura, che
non poteva distinguere bene, ma che considerava fosse il nemico. Qualche sparo
giungeva all’orecchio ma di lontano.
– Accelerare il trotto! – risonò il comando: e Rostov sentì
come alzava di posteriore, passando al galoppo, il suo Corvetto.
Quest’ultimo indovinava in anticipo ogni suo movimento, e
lui si sentiva crescere dentro un senso d’allegria. Aveva notato, innanzi, un
albero isolato. Era un albero che, da principio, stava là innanzi, al centro di
quel limite che si presentava tanto tremendo. Ma ecco che ormai l’avevano
varcato, quel limite, e non solo non c’era nulla di tremendo, ma il senso d’allegria
e d’animazione cresceva sempre. “Oh, che fendenti gli menerò!”, pensava Rostov,
stringendo in pugno l’elsa della sciabola. – Urraaaaà! – rimbombarono delle
voci.
“Via, mi capiti innanzi, adesso, chi vuole...” si disse Rostov,
premendo gli sproni nei fianchi a Corvetto; e , sorpassando altri compagni, lo
lanciò a tutta carriera. Innanzi, era già visibile il nemico. A un tratto, come
un ampio ventaglio di verghe di betulla, qualche cosa diede una frustrata allo
squadrone. Rostov alzò la sciabola preparandosi a menar fendenti, ma, in quel
momento, quello che gli galoppava innanzi, il soldato Nikitenko, lo distaccò, e
Rostov ebbe la sensazione, come in sogno, di continuare a esser portato innanzi
con innaturale rapidità, e nello stesso tempo di restare sempre a un punto. Di
dietro a lui, il ben conosciuto ussaro Bondarčuk venne a galoppargli addosso, e rabbiosamente gli
diede un’occhiata. Il cavallo di Bondarčuk
fece uno scarto, e quello, evitandolo, gli passò accanto al galoppo.
“Ma com’è che io non mi muovo? Io sono caduto, sono morto...”
in un lampo si domandò e si rispose Rostov. Egli era solo, ormai, in mezzo alla
campagna. Invece di cavalli in corsa e schiene di ussari, si vedeva tutt’intorno,
immobile, terra e stoppie. Caldo, del sangue gli stava sotto. “No, io sono
ferito, e il cavallo è morto”. Corvetto cercò di sollevarsi sulle zampe anteriori,
ma ricadde, schiacciando la gamba al cavaliere. Dalla testa del cavallo il
sangue colava a fiotti. Il cavallo si dibatteva e non riusciva ad alzarsi.
Rostov fece per sollevarsi, e ricadde anche lui: la taschetta del cinturone gli
s’era impigliata alla sella. Dove fossero i nostri, dove fossero i francesi,
non sapeva più. Non c’era nessuno tutt’intorno.
Liberatosi il piede, si tirò su. “Dove, da quale parte è
adesso quel limite, che con tanta nettezza separava i due eserciti? – domandava
a se stesso, e non trovava risposta. – Non sarò stato colto da qualche malore?
Si possono dare dei casi simili; e che bisogna fare, in casi simili?” si
domandò, rizzandosi in piedi: e, in quel momento stesso, sentì come un di più
che gli pendesse dal braccio sinistro, intorpidito. Quella mano gli era come
estranea. Si guardò attentamente la mano, invano cercandovi del sangue... “Bah,
ecco gente – pensò con sollievo, avvistando un certo numero di uomini che
correvano verso di lui. – Costoro mi soccorreranno”. In testa a quegli uomini
ne veniva uno con un casco strano e col cappotto turchino; nero, abbronzato, di
naso gobbo. Altri due, e poi ancora molti altri, venivano dietro di corsa. Uno
disse qualche strana parola, che non era russa. Tra quelli che venivano dietro,
con quegli stessi caschi in testa, c’era, isolato, un ussaro russo. Lo tenevano
per le braccia; alle sue spalle, portavano a cavezza il suo cavallo.
“Dev’essere uno dei nostri prigioniero... Senza dubbio. Ma
dunque anche me prenderanno? Che gente sono? – continuava a pensare Rostov, non
credendo ai suoi occhi. – Possibile che siano i francesi?”. Guardava
avvicinarglisi i francesi e, sebbene un momento prima non stesse galoppando per
altro che per raggiungere i francesi, e massacrarli di fendenti, la loro
vicinanza gli appariva ora così spaventosa, che non poteva credere ai suoi
occhi. “Chi sono? Perché vengono di corsa? Da me, forse? Possibile che da me
vengano così di corsa? E a che fare? A uccidere me? Me, che tutti amano tanto?”. Gli sovvenne quanto amore per lui
avevano sua madre, i suoi di casa, gli amici: e l’intenzione dei nemici di
ucciderlo gli apparve impossibile. “Eppure, chissà... proprio ad uccidermi!”.
Dedicato all’hidalgo
de la Sierra, don Mariano Montov. E così Moody’s ti ha degradato!
E certo tu non te lo aspettavi. Ma come: degradare te, proprio te, che a
Goldman Sachs tutti amano tanto! Eri partito a passo di carica, col tuo
squadrone di governo, per sciabolare diritti e redditi delle classi
subalterne... Ma poi è arrivata questa fucilata...
E tu non capisci, proprio non capisci... “Che bisogna fare in casi simili?”.
Fatuo ussaro di primo pelo! Ma forse sei più Vronskij che Rostov, a ben vedere.
Perché il cavallo sul quale dovresti cavalcare, più che una fucilata esogena,
sei stato tu a ucciderlo, con una manovra sbagliata... Anzi, era una cavalla...
Ricordi? « Froufrou franchit, ou plutôt survola le
fossé sans y prendre garde; mais au même moment Vronski sentit avec horreur qu’au
lieu de suivre l’allure du cheval, le poids de son corps avait, par suite d’un
mouvement aussi incompréhensible qu’impardonnable, porté à faux en retombant en
selle. Il comprit que sa position avait changé et qu’une chose terrible lui
arrivait : quoi au juste ? il ne s’en rendait pas encore bien compte
quand il vit passer devant lui comme un éclair l’alezan de Makhotine. » Povera
Froufrou, povera Italia ! Tu non te ne rendi proprio conto, eh, di quello
che stai facendo? Eh, no, certo che no. Perché alla fin fine anche tu, come
Vronski, sbagli manovra perché sei innamorato della donna sbagliata. Eh sì, lo
hai detto tu (certo non io, che però lo sapevo): il tuo scopo è rassicurare
quella donna perduta (alle prossime elezioni non ci arriva, sai?), quella che sta segando il ramo
sul quale è seduta, e sotto al quale stiamo noi. E certo non ha il fisico di
tua sorella, se sei Rostov, ma forse in effetti sei più Vronski, e sei colpito
dall’”ampleur assez marquée de ses formes”... Sì, quel concetto che B. aveva
espresso con una certa icasticità (il famoso C.I.), e la cui prima implicazione è che a star
sotto al ramo si rischia di grosso, e tu per primo. Ma tu, per rassicurarla,
metti il peso dalla parte sbagliata: siamo in recessione, e tu tagli. Sì, lo
so, dai, diciamocelo: non sei così tanto ingenuo! Tu tagli perché sai che solo
indebolendo il tuo paese riuscirai a svenderlo al miglior prezzo agli
acquirenti esteri. I tanti ultimi arrivati che impreziosiscono questo blog dei
loro intelligenti commenti ignorano che questa cosa l’abbiamo capita un po’prima e un po’ meglio degli altri. E a fare il lavoro sporco ci hai messo
un altro ortottero (certo, il DDT inquina, però...). Se ne sentiva la mancanza. Perfino la vocedel padrone non è d’accordo, ma a te che importa?
Certo, dai suoi illustri commentatori non ci possiamo aspettare che capiscano
esattamente cosa sta succedendo. Capiscono anche loro che è sbagliato quello
che fai, perché sai, dalla tribuna tutti sono in grado di vedere che il cavallo
ti sta rotolando sotto, e che stai finendo con la faccia nel fango (se è
fango). Ma naturalmente sono dei luogocomunisti, e il loro luogomuro di
Luogoberlino non è ancora crollato: e così vanno avanti a
debitopubblicoimproduttivobrutto. Schiavi (del luogo comune, si può dire, no?)!
Ma io che i tuoi salvataggi non ci avrebbero salvato te l’ho detto subito, e ti ho anche detto perché: perché stai dando la rispostagiusta alla domanda sbagliata, come spesso fanno i miei studenti di Pescara, i quali però in media saprebbero
meglio dei tuoi ministri cosa fare, e non perché siano dei geni (sono tutti
intelligenti e simpatici, però), ma perché cosa fare sta scritto nei libri del
primo anno, libri che tutti hanno letto.
Tutti tranne te,
naturalmente, che, apparentemente algido, sei preso nella foga dell’azione. E i risultati si vedono, e come!
Perché certo, molto non capirai, ma che bisogna fare in fretta sì, perché che gli
altri stanno capendo, questo sì, lo capisci. Con che orrore guardi ai mercati!
Ma sai, i mercati sono come i francesi: giocano il gioco che anche tu stai
giocando. Tu volevi sciabolare, e loro sciabolano. Eh già! I mercati, amico
caro, ussarino di primo pelo, non sono la mamma, non sono Natascia e non sono Sonia.
I mercati rivogliono i soldi che hanno incautamente prestato. Non hanno tutti i
diritti di rivolerli indietro, secondo me, come forse nessuno ha il diritto di
prendere a sciabolate il prossimo. Però li rivogliono, e hanno capito che tu,
con la tua austerità, sei pericoloso, perché stai uccidendo i loro debitori.
Salvo versare lacrime di circostanza.
E allora?
E allora ti faranno
vivacchiare fino alle elezioni di Obama, se ce la fai, e poi dovrai correre,
come il povero Rostov. Sperando che dietro i cespugli ci siano i fucilieri
russi. Cosa che io ti auguro di tutto cuore. Perché se invece ci sono i mercati, ecco, lì sì che son dolori...
Kutuzov, accompagnato dai suoi aiutanti, s’inoltrò col
cavallo, al passo, dietro ai carabinieri.
Percorso un mezzo chilometro in coda alla colonna, sostò
presso una casa isolata, deserta (doveva esserci stata un’osteria), alla
biforcazione di due strade. Sia una strada che l’altra divallavano in basso,
e per l’una e per l’altra le truppe fluivano.
La nebbia incominciava a dissiparsi, e in modo confuso, a un
paio di chilometri di distanza, si scorgevano già le truppe nemiche sulle
alture di faccia. Verso sinistra, dal basso, la fucileria incominciava a
giungere più distinta. Kutuzov sostava a discorrere con un generale austriaco.
Il principe Andrej, fermo un pochino più indietro, osservava i due, e ad un
tratto, con l’intenzione di chiedere il cannocchiale a un aiutante, si girò
verso quest’ultimo.
-
Guardate, guardate – esclamò l’aiutante, scrutando non già verso le truppe
lontane ma giù in basso, per la costa sottostante. – Sono i francesi!
Due generali e gli aiutanti ricorsero angosciosamente al
cannocchiale, strappandoselo di mano a vicenda. Tutte le facce, d’improvviso,
erano mutate, e su tutte era affiorato lo sgomento. I francesi, che si
supponevano a due chilometri di distanza, apparivano, di sorpresa, dinanzi a
noi.
-
Sono i nemici questi?... No!... Ma sì, guardate, sono loro... non c’è dubbio...
Come può essere? – s’alzavano voci qua e là.
Il principe Andrej, ad occhio nudo, distingueva là in basso,
da destra, salire, incontro ai soldati dell’Apšeronskij, una densa colonna di francesi, a non più
di cinquecento passi dal luogo dove Kutuzov sostava.
“Eccolo, è scoccato il momento decisivo! È ora che io prenda
le cose in pugno! pensò il principe Andrej, e, dato di sproni al cavallo, si
avvicinò a Kutuzov.
-
Bisogna arrestare l’Apšeronskij
– gridò: - Eccellenza...
Ma, in quello stesso istante, tutto fu invaso dal fumo,
risuonò la fucileria, e una voce ingenuamente spaventata, a due passi dal
principe Andrej, gridò:
-
Ohé, fratelli, si salvi chi può! – E fu come se quella voce fosse un comando. A
quella voce avvenne un fuggi-fuggi generale.
Scompigliate, sempre più numerose, frotte di fuggiaschi
tornavano indietro verso quello stesso luogo dove, cinque minuti prima, erano
sfilate le truppe al cospetto dei due imperatori. Non soltanto era difficile
arrestare queste frotte, ma era impossibile non cedere e non indietreggiare
insieme con esse. Bolkonskij metteva tutte le forze unicamente nel non essere
travolto, e si guardava intorno, sconcertato, incapaci di capire quello che gli
si svolgeva sotto gli occhi. Nesvickij, infuriato, rosso, da sembrare un’altra
persona, gridava a Kutuzov che, se non si ritirava immediatamente, correva il
rischio d’esser fatto prigioniero. Kutuzov restava là fermo, sempre in quel
punto, e, senza risponder, tirò fuori un fazzoletto. Dalla guancia gli colava
il sangue. Il principe Andrej riuscì a spingersi fino a lui.
-
Siete ferito? – domandò, stentando a frenare il tremito della mandibola.
-
Non è qui la ferita: ecco dov’è! – esclamò Kutuzov, comprimendosi col
fazzoletto la ferita alla guancia e accennando ai fuggiaschi. – Fermateli! –
proruppe, e nello stesso tempo, convinto evidentemente che non era possibile
fermarli, spronò il cavallo e si diresse verso destra.
Una nuova folla di fuggiaschi, sopravvenendo dal basso, lo
prese in mezzo e lo trascinò con sé all’indietro.
Le truppe fuggivano ormai in una folla così fitta, che, una
volta incappati in mezzo a quella folla, era difficile trarsene fuori. Chi
gridava: “Cammina! Che hai che ti fermi?”; chi, lì tra il fitto, si voltava
indietro e sparava in aria; chi batteva il cavallo che montava lo stesso
Kutuzov. Trattosi fuori a grande fatica dal torrente della folla sulla
sinistra, Kutuzov, col suo seguito, ridotto a meno della metà, si diresse dove
si sentivano poco lontano sparare le artiglierie. Il principe Andrey, trattosi
fuori anche lui dalla folla dei fuggiaschi, cercando di non restare indietro a
Kutuzov, avvistò su un costone, tra il fumo, una batteria russa che ancora
faceva fuoco, e i francesi accorrenti dal basso. Più in alto stava attestato un
reparto di fanteria russa, senza muovere né in avanti, in aiuto della batteria,
né indietro, nella direzione di tutti i fuggiaschi. Un generale a cavallo si
staccò dal reparto di fanteria, e venne incontro a Kutuzov. Del seguito di
Kutuzov non restavano che quattro persone. Tutti erano pallidi, e si guardavano
l’un l’altro in silenzio.
-
Fermate questi vigliacchi! – ansante, proruppe Kutuzov, additando al generale i
fuggiaschi: ma in quello stesso istante, quasi a castigo di quelle parole, come
uno stormo d’uccelli passò fischiando un volo di pallottole sulla fanteria e
sul seguito di Kutuzov.
I francesi venivano all’assalto della batteria e, avendo
avvistato Kutuzov, gli avevano sparato contro. Da quella raffica il generale
rimase colpito a una gamba; caddero parecchi soldati, e un sottotenente,
piantato là con la bandiera, se la lascio sfuggir di mano: tentennò la bandiera
e cadde, impigliandosi nei fucili dei soldati più vicini. I soldati, senza
ordine, incominciarono a sparare.
-
Ooooh! – con un’espressione di disperazione mugolò Kutuzov, e si girò a
guardarsi indietro. – Bolkonskij... – mormorò, e gli tremava, nella consapevolezza
della sua impotenza senile, la voce: - Bolkonskij... – mormorò accennando allo
scompiglio del battaglione e al nemico: - che cosa è questo?
Ma, prima che avesse terminato di dire quelle parole, il
principe Andrej, sentendo lacrime di vergogna e di rabbia salirgli alla gola,
era già saltato giù dal cavallo, e correva verso la bandiera.
“Ecco, ci siamo” pensava il principe Andrej, afferrando l’asta
della bandiera e rallegrandosi del fischiare delle pallottole, dirette
evidentemente proprio contro di lui. Qualche soldato cadde.
-
Urrà! – gridò il principe Andrej, sorreggendo a fatica fra le mani la pesante
bandiera: e si slanciò a correre innanzi con la più profonda certezza che tutto
il battaglione gli sarebbe corso dietro.
Effettivamente, per pochi passi corse innanzi da solo. Si
mosse un soldato, un altro, e tutto il battaglione, al grido di “urrà!”, si
slanciò innanzi di corsa, sorpassandolo. Un sottufficiale del battaglione,
accorrendo, prese la bandiera, che al principe Andrej vacillava tra mano dalla
pesantezza, ma subito cadde morto. Il principe Andrej afferrò di nuovo la
bandiera e, arrotolandola intorno all’asta, corse oltre col battaglione.
Scorgeva, innanzi, i nostri artiglieri, dei quali alcuni si battevano, altri
gettavano i fucili e gli correvano incontro; scorgeva anche i francesi, soldati
di fanteria, che acchiappavano i cavalli della batteria e rigiravano i cannoni.
Il principe Andrej, col battaglione, era ormai a venti passi dai pezzi.
Sentiva, sul suo capo, incessante, il sibilo delle pallottole, mentre alla sua
destra e alla sua sinistra, senza tregua, gemevano e cadevano soldati. Ma egli
non li guardava: teneva fisso lo sguardo soltanto a ciò che stava accadendo là
innanzi, intorno alla batteria. Già chiara gli appariva una figura fra tutte,
quella di un artigliere di pelo rosso, col casco storto su un orecchio, intento
a tirare da un’estremità uno scovolo, che un soldato francese tirava a sé dall’estremità
opposta. Al principe Andrej appariva già chiara l’espressione sbalordita, e
insieme inferocita, dipinta sulle facce di quei due uomini, che non parevano
rendersi conto di quel che facevano.
“Ma che cosa fanno? – pensava il principe Andrej guardandoli.
– Perché non scappa quel rosso di quell’artigliere, se non ha nessun’arma?
Perché non l’infilza con la sua baionetta, il francese? Prima che riesca, però,
a fuggire, il francese si rammenterà del fucile che ha indosso, e lo
infilzerà...”.
Effettivamente, un altro francese, col fucile tra le mani,
si avvicinava di corsa ai due che lottavano, e la sorte del rosso artigliere
(che seguitava a non rendersi conto di quel che lo aspettava, e con aria
trionfale era riuscito a strappare lo scovolo) stava ormai per decidersi. Ma non
vide, il principe Andrej, come la cosa andasse a finire. Fu come se di tutta
forza, con un grosso bastone, qualcuno dei soldati più vicini a lui (così gli
parve) lo colpisse sulla testa. Un po’ di dolore gliene venne, ma soprattutto
sentì disappunto che questo doloro lo distraesse, gl’impedisse di vedere quanto
stava guardando.
“Che cos’è? sto cadendo? le gambe mi si piegano sotto...”
pensò, e cadde sulla schiena. Riaprì gli occhi, sperando di scorgere com’era
finita la lotta tra i francesi e gli artiglieri, con un gran desiderio di
sapere se era stato ucciso o no l’artigliere rosso, se erano stati catturati o
salvati i cannoni. Ma non vedeva nulla. Sul suo capo non c’era più nulla,
tranne che il cielo: un cielo alto, non limpido, ma tuttavia immensamente alto,
con un silenzioso scivolare di nuvole grigie. “Che silenzio, che pace, e che
solennità! In tutt’altro modo da come correvo io – pensò il principe Andrej –
da come tutti insieme correvamo, gridavamo e ci battevamo; in tutt’altro modo
da come, inferociti e spauriti, cercavano di strapparsi lo scovolo quel
francese e quell’artigliere... in tutt’altro modo scivolano le nuvole per
questo cielo alto, sconfinato. Come mai, prima, non m’accorgevo di questo cielo
così alto? E come sono felice di averlo riconosciuto, finalmente! Sì, tutto è
vano, tutto è inganno, fuorché questo cielo sconfinato. Nulla, nulla esiste,
all’infuori di esso... Ma neanche questo esiste, nulla esiste, all’infuori
della quiete, del sentirsi placato. E grazie a Dio!...”.
E questo, col vostro
riverito permesso, lo dedico a chi so io, e a Nicola (non Rostov) di circa vent’anni.
Lui sa chi è, lui sa com’è, lui sa perché.
Pierre conosceva questa storia da un pezzo. Sei volte, a lui
solo, Karataev aveva raccontato questa storia, e sempre con una particolare,
gioiosa emozione. Ma per quanto bene Pierre conoscesse la storia, in quel
momento aveva teso l’orecchio ad ascoltarla, come se fosse qualche cosa di
nuovo: e quella sommessa esultanza che, raccontandola, provava evidentemente
Karataev, s’era comunicata anche a Pierre. Era la storia d’un vecchio mercante,
che, nel decoro e nel timor di Dio, viveva insieme con la sua famiglia, e che
era partito un giorno con un suo compagno, ricco mercante, alla volta di Makar’e.
Scesi alla locanda, i due mercanti s’erano addormentati, e l’indomani
il coltello del mercante era stato rinvenuto sotto il guanciale del mercante
vecchio. Avevano processato il mercante, lo avevano sottoposto alla
fustigazione, e – dopo avergli strappato le narici (“tutto come si deve,
secondo le regole”, diceva Karataev) – lo avevano mandato ai lavori forzati.
– ...E così, fratello mio... – a questo punto del racconto
di Karataev Pierre era giunto – passano dopo il fatto una decina d’anni o anche
di più. Se ne sta sempre, il vecchietto, ai lavori forzati. Sottomesso, come si
deve, non fa male a nessuno. Non chiede a Dio altro che di morire. Già... Ed
ecco che si riuniscono insieme, nottetempo, i forzati, proprio come adesso
noialtri stiamo qua: e con loro c’era anche il vecchietto. E cadde il discorso su
quello da cui ciascuno era stato portato lì a soffrire, su quello di cui
ciascuno era colpevole dinanzi a Dio. E incominciarono a fare i loro racconti:
questo aveva sulla coscienza un’anima, quello due, quell’altro aveva appiccato
il fuoco, quell’altro ancora era disertore, e via via ognuno il suo. Finalmente
domandarono al vecchietto: “E tu si può sapere, nonnino, perché stai qui a
soffrire?”. “Io, fratelli miei cari – dice quello – per i peccati miei e per
quelli degli altri sto qui a soffrire. Io non ho nessun’anima sulla coscienza,
né ho tolto mai nulla a nessuno, ché anzi vestivo i nostri fratelli poveri. Io,
fratelli miei cari, ero un mercante: e possedevo grandi ricchezze...”. E così,
una parola dopo l’altra, racconta loro, insomma, ogni cosa com’era andata per
file e per segno. “Io – dice – per me stesso non mi rammarico mica. Si vede che
Dio m’ha messo alla prova. D’una cosa sola, dice, sento pena: della mia vecchia
e dei miei figliuoli”. E allora, il vecchietto si mise a piangere... O non si
diede la combinazione che in quella compagnia di forzati si trovasse per l’appunto
quel tale, eh, che aveva ucciso l’altro mercante? “Nonnino – dice – ma dov’è
accaduto il fatto? Quando, e in che mese?” e s’informò d’ogni cosa. Allora si
sentì stringere il cuore. Cosa vuoi, s’avvicina a quel vecchietto, e giù in
ginocchio ai suoi piedi. “Per causa mia – gli dice – vecchietto, stai qui a
soffrire. Tutta verità sacrosanta: innocente come l’acqua, ragazzi miei, quest’uomo
sta sopportando tante tribolazioni. Sono stato io – dice – che ho commesso quel
fatto, e sotto al guanciale, mentre dormivi, t’ho infilato il coltello.
Perdonami, nonnino, per l’amore di Cristo!”.
Karataev tacque e, con un sorriso gioioso, teneva fissi gli
occhi al fuoco, dove assestò meglio i pezzi di legna.
– E allora il vecchio gli rispose: “Che Dio ti perdoni:
quanto a noialtri – dice – di fronte a Lui siamo tutti peccatori. È per i
peccati miei che io sto qua a tribolare!” e intanto le lacrime gli venivano giù
brucianti dagli occhi... Be’ [a proposito, perché scrivete tutti bhè? Siete
curdi? n.d.g.], cosa credi tu, falchetto? – con un tono sempre più luminoso,
tutto raggiante d’un sorriso sempre più rapito, diceva Karataev, come se in ciò
che stava per raccontare tra poco, fosse racchiuso il maggior incanto e l’intero
significato della storia – cosa credi tu, falchetto? Quell’assassino andò a
denunciarsi da sé alle autorità. “Io – dice – ho sei anime sulla coscienza (e
infatti era un gran malfattore), ma quello che mi rimorde di più, è questo vecchietto.
Voglio che lui, per causa mia, non pianga più!” Confessò tutto: misero per
iscritto, spedirono la carta, ogni cosa come si deve. Il posto era lontano;
prima che i giudici sbrigassero ogni faccenda, prima che tutte le carte fossero
proprio secondo le regole, a uno e all’altro di questi comandanti... ce ne
volle, insomma, del tempo. Si arrivò fino allo zar. Finalmente, arrivò da parte
dello zar il decreto: liberare il mercante e dargli un certo compenso, quanto
avrebbe giudicato giusto. Arrivò questa carta, e subito vennero a cercare il
vecchietto: “Dov’è quel vecchietto così e così, che è stato qui a tribolare
innocente come l’acqua? Qui da parte dello zar è stata mandata una carta!” Si
misero a cercare il vecchietto... – la mandibola di Karataev ebbe un tremito. –
E lui, invece, il Signore lo aveva già perdonato: era morto. Proprio così,
falchetto! – concluse Karataev, e per un pezzo, in un silenzio sorridente,
restò con lo sguardo teso in avanti.
Non tanto il racconto in sé, ma il senso segreto di esso,
quella rapita esultanza che raggiava dal viso di Karataev mentre lo raccontava,
il significato segreto di questa esultanza, era ciò che vagamente e
gioiosamente veniva a riempire ancora adesso l’anima di Pierre.
E questo, infine, è dedicato ai liberisti
alle vongole: sì, avete ragione voi: di burocraziastatoimproduttivospesapubblicacostidellagiustiziabrutto
si può morire, a quanto pare. Credo che sia l’unica cosa che potreste capire, piccoli
ributtanti dottor Livore, marci di frustrazioni e di odio sociale, se mai vorreste avventurarvi per le mille e passa pagine
senza figure dalle quali ho tratto questi brani. Il cui significato è un altro,
ed evidentemente non vi riguarda: qui si parla di umanità, non di rate del flatscreen. Da ciascuno secondo i suoi bisogni, a ciascuno secondo le sue possibilità. Tornate in curva a fare la ola per Mariano,
che ci pensa lui a liberarvi dallo stato. Forse...
Buonanotte, e agli
etilisti scrivo questa mattina.
P.s. Santo Subito Dopo a Eco, come al solito, per aver trovato gli errori di battitura. E siccome ce n'era anche uno che non ha trovato, figurati quanti ce ne saranno rimasti...
E grazie pure a roberto b: era il coltello...
malinconico,eticamente perfetto,giustamente livoroso,in una sola parola unico.
RispondiEliminaIl professor Livore...
EliminaDal che comunque si dimostra che anche copiando si può fare un pezzo unico. E allora perché i miei colleghi, così poco familiari con certi libri senza figure, si ostinano a voler fare cose originali, controintuitive!? (come dicono loro e come ho spiegato in Crisi finanziaria ecc.) Non sarebbe meglio che copiassero il capitolo 11 del Mankiw?
anche perchè copiare non è così semplice e sopratutto abbisogna di grande capacità creativa.
Eliminaps.i Baronetti Paul& John lo dimostrano bene
Bè prof, ma è un classico: bisogna anche essere bravi a copiare (ne sa qualcosa chi nei compiti in classe pur copiando male le espressioni arrivava al risultato giusto. Si l'obiezione ce la metto io: qui è sbagliato anche il risultato...).
EliminaChapeau all'elitista etilista! Ma non illuderti: nessuno riconoscerà che sei stato il primo (e a lungo l'unico) a parlar chiaro. Ma i pochi che ti hanno letto (con crescente ammirazione e stupore) dall'inizio, non dimenticheranno. Nelle loro cantine ci sarà sempre una bottiglia del miglior vino per ricordare, in compagnia di Goofy, che "“è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita".
RispondiEliminaMa Eco, il principe Andrej non prende la bandiera perché Kutuzov gli dia la medaglia! La prende perché la deve prendere, e la prende per trovare pace. Credimi, è così. So benissimo, e l'ho sempre detto, che il 9 settembre (metaforico) a spiegare che in televisione che l'euro è stato un errore ci sarà la desinenza in "in" al gran completo (Kuragin, naturalmente... che hai capito!). Figurati! Quelli sì che sono buoni per tutte le stagioni. Va anche detto che un po' dopo Austerlitz c'è stato il famoso palazzo d'inverno...
EliminaMio zio fa un vin santo stupendo nella sua vigna... se restiamo tutti in vita il profe e i goofynomists ne potranno valutare personalmente la commovente veracità.
EliminaA profe, sono messaggi in bottiglia.
RispondiEliminaVia via vieni con me fuori dall’UERO http://www.youtube.com/watch?v=emq3n4KKPdk
È un OT, ma lo cerco di dire in tutte le lingue meno quella musicale (classica) che non conosco bene, neanche per ascolto, e quella economica.
E di ciò, con orgogliosa umiltà, le ho scritto con email.
Beppe
A profe, fase etilista.
RispondiEliminaPer una metà abbondante di italiani è un Mondo difficile, felicità a momenti e futuro incerto: Tonino Carotone. Per la restante metà lo comincerà.
http://www.youtube.com/watch?v=7tkLc2npBZg
MARIANO con tanto moderno e tanto provinciano
http://www.youtube.com/watch?v=04Q3PSMjd8k
Alè giddy up
http://www.unita.it/italia/ecco-gli-arruolati-da-giannino-br-il-pdl-a-rischio-spaccatura-1.429928
RispondiEliminae lo vedete che alla fine i Movimenti contro la Contabilità Nazionale scendono in campo? certo, non hanno accolto il nome da me consigliato, ma anche Sedizione Liberale non è male. Forse era meglio Sedicente Liberale, ma l'importante è il contenuto, e io sinceramente ci spero perché oggi ho fatto la fila alle Poste.
L'economista Giannino si circonda di colleghi di pari prestigio intellettuale, come l'espertone della Cina (uno dei tanti). Certo, sarebbe bello se chi sa risolvere gli hamiltoniani non si dimenticasse le quattro operazioni. Ma non si può avere tutto, ormai ci sono abituato. Ricordo che a una domanda su Platone rivolta durante un'interrogazione su Epicuro in mio collega, al liceo (millanta anni or sono), rispose "ma Platone l'abbiamo fatto prima di Natale".
EliminaChissà questi quando hanno studiato la definizione di Pil...
magnifico post. Grazie Alberto
RispondiEliminaBe' (o bhè, per i curdi), che vuoi, è il segreto della mia cucina: ingredienti scelti e cotture rapide alla fiamma viva dell'indignazione. E la carne, soprattutto quella di cavallo, mi piace molto al sangue. Se n'è accorto anche il mio direttore di dipartimento, che commenta le mie uscite più virulente con un paterno ma sardonico "Professor Bagnai, lei è un vero sentimentale...".
EliminaCaro professore,
RispondiEliminaho l'impressione che il nostro Mariano le conseguenze delle sue azioni le avesse previste benissimo perchè, come dici tu, sono scritte nei manuali del primo anno. E lui li conosce, probabilmente li ha anche scritti. Quindi, quando parla di "tagli necessari alla crescita" sta semplicemente mentendo. E che sarebbe successo questo lo sapeva benissimo ma evidentemente lo ha considerato un "danno collaterale".
Nel frattempo anche Repubblica inizia a capire che la Germania non ha un comportamento collaborativo
Grazie per la segnalazione. Oh, poi io naturalmente scrivo per il piacere di scrivere, quindi se uno interviene senza aver letto non me la prendo, la mia soddisfazione ce l'ho già avuta. Nella frase "Sì, lo so, dai, diciamocelo: non sei così tanto ingenuo! Tu tagli perché sai che solo indebolendo il tuo paese riuscirai a svenderlo al miglior prezzo agli acquirenti esteri" qual è (o quali sono) le parole che non capisci?
EliminaProfessore, so che lei è stato il primo, e per molto tempo l'unico, e anche adesso non è che ce ne siano tanti, in Italia a chiarire quale fosse il mandato di questo governo. E' che ogni volta mi ribolle il sangue al pensiero che si possa con tanta freddezza pianificare miseria e dolore per milioni di persone. A me sembra nazismo allo stato puro.
EliminaA proposito dell'articolo di Repubblica:
Elimina"bisogna ricordare che i tassi sui Bund a 10 anni [...] offrono rendimenti ai minimi di sempre, attualmente all'1,4%; il che, considerata un'inflazione che viaggia vicino al 3%, significa un rendimento negativo"
Questo ussaro montoviano lo saprà che l'inflazione annuale rilevata a giugno è stata del 3,6% in Italia ma solo del 2% in Germania?
Come trasformare una noia mortale come l'economia in qualcosa che sfiora le corde dell'anima fin quasi alla commozione. Incredibile la metafora del posteriore teutonico e giunonico che sta per cadere sulle nostre teste. Più la seguo più mi sento onorato di poterla seguire.
RispondiEliminaA proposito di cultura economica e competenza dell'informazione giornalistica su euro e politiche economiche:
RispondiEliminahttp://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/la-bilderberg-del-patonza-a-villa-gernetto-la-rivincita-di-antonio-martino-che-ha-41612.htm
Qui vediamo come l'autore, con magistrali tocchi di fuffa, riesca, con un unico plastico gesto (dell'ombrello a nosotros), a dare a Mundell il ruolo di "padre dell'euro", arruolandolo in politiche economiche della scuola di Chicago a fianco degli amici di Martino che comunque, euro o non euro, non promettono mai nulla di buono: privatizzazione pensioni e sanità, rutto libero per le banche-assicurazioni
E questo mi ricorda un blogger economista e accademico che di recente ha "aperto" proprio su questi temi, con la dovuta ambiguità, ma con obiettiva consonanza...sarà un caso?
Caro Quarantotto sinceramente non ho capito: perché tocchi di fuffa e arruolandolo?
EliminaLeggo qui che a Robert Mundell viene attribuito il merito di aver aiutato a far partire il movimento noto come economia dal lato offerta («helped start the movement known as supply-side economics») e di aver dato contributi allo sviluppo dell'Euro («contributions to the development of the euro»), oltre a quelli importanti sulle AVO.
Anche un recente articolo sul Guardian (Robert Mundell, evil genius of the euro), a firma di Greg Palast, sostiene un suo ruolo importante nell'architettare la moneta unica (con buffi retroscena idraulici).
Hai notizie più attendibili di segno diverso?
Un post bellissimo. Così bello che - contrariamente a quasi tutto il resto che si può leggere in argomento - fa perfino passare l'ansia (come anche i lieder di Schumann, peraltro). Mi ha fatto venire in mente un brano del Mulino del Po (ma non sono riuscita a trovarlo in rete), quando la moltitudine in fuga si riversa disperatamente verso un ponte che finisce a metà su un fiume vorticoso e gelido, spintonando e spingendo, e travolgendo i pochi che gridano "Fermi, fermi, il ponte è interrotto!".
RispondiEliminaAllora aveva ragione Cicerone (& Co.): Si vis pacem, para bellum. O se si preferisce (in versione DWM più aggiornata): Parabellum.
RispondiEliminaSapete cosa mi succede ultimamente? Che quando sono in mezzo alla natura, mi guardo in giro, e ne ammiro la grandezza. La perfezione. L'infinita energia che pervade l'intero universo. La bellezza del vento sul mio viso quando sono in moto mi da sensazioni che sono impagabili. Il sapore di un frutto fresco mi fa sentire felice.
RispondiEliminaIn quei momenti, penso a Monti, alla Merkel, allo spread, a Moodys, ai piddini, a Grillo, a Grilli e a tutta l'allegra compagnia, e mi viene da ridere :)
So che questo non c'entra nulla con il post, ma volevo comunque condividere con tutti voi le sensazioni che provo nei rari momenti in cui rinsavisco e penso che alla fin fine le creazioni masochistiche dell'uomo sono veramente da malati mentali.
Spero un giorno di farmi una pizza con il prof ed i vari istwine, eco, marcodapalermo, e gli altri pazzi che spendono il loro tempo come me a farsi del male in questo loco di pazzoidi.
Prof, non so se sono OT, ma vorrei segnalarle l'ultimo articolo di Brancaccio, che mi sembra prendere (finalmente) una posizione definitiva, omnicomprensiva, e inequivocabile (sembra un riassunto in poche righe di tutta la Gofynomics): http://www.emilianobrancaccio.it/2012/07/17/gli-intellettuali-di-sinistra-e-la-crisi-della-zona-euro/
RispondiEliminaLe volevo però fare una domanda tecnica, sperando di aver capito: Brancaccio, in sistesi, afferma tra le altre cose, che "il peso" della svalutazione può essere in qualche modo indirizzato, e ovviamente si auspica che questo peso non sia scaricato sui salariati.
Ciò mi fa pensare tra le altre cose al dato dell'inflazione post 92, che Brancaccio infatti cita come esempio a sostegno della sua tesi.
Poi aggiunge anche: "La caduta della quota salari negli anni successivi all’uscita dallo Sme è indicativo, in questo senso. Affermare che tale andamento sia stato dovuto all’accordo sul costo del lavoro, senza alcun nesso tra questo e lo sganciamento dal sistema dei cambi fissi, mi fare francamente azzardato. Il problema che dunque si pone, almeno dal punto di vista degli interessi del lavoro subordinato, consiste nella individuazione di criteri che consentano di evitare che il peso di un deprezzamento del cambio si scarichi interamente sui salari."
La domanda è: cosa si intende per "peso del deprezzamento del cambio"? Del perchè si voglia eventualmente scaricarlo sui salari invece mi sembra chiaro...
Come sempre: GRAZIE!
Sera prof.
RispondiEliminaDopo questo post però l' invito per la trasmissione di Gigi Marzullo arriva di sicuro !
Già immagino : " questa sera ospite con noi il professor Alberto Bagnai, insegnante , musicista classico, scrittore e blogger di successo..... si faccia una domanda ( giusta) e si dia una risposta ( giusta )" :-)
Bellissimo post, un articolo di natura economica con dediche romanzate è una vera e propria chicca.
P.S. Ma Giannino vuole fare il remake del film L' ESERCITO DELLE 12 SCIMMIE ? Altro che Sedizione Liberale, questi sono Sedicenti Mentali !
P.P.S. Le interessa fare una scommessa sulla Spagna lanciata da un adepto di Giannino ?
http://www.rischiocalcolato.it/2012/07/il-gomblottone-tedesco-ora-diventa-franco-tedesco-belga.html
Io ho scommesso contro di lui ( centopercentothc ).
Guerra e pace l'ho riletto l'inverno scorso. Io, poi, mi commuovo sempre alla scena di Bolkonskij ferito che rivede Nataša:
RispondiEliminaIl principe Andrej mandò un sospiro di sollievo, sorrise e tese la mano.
«Voi?» disse. «Che fortuna!»
... Nataša gli si accostò sulle ginocchia e, prendendogli la mano con riguardo, ci si chinò sopra col viso... ecc. ecc.
Comunque, su indicazione di istwine, ho dato una scorsa all'articolo su Oscar Giannino. Com'è noto (??), Giannino ha presentato una sua lista: Sedizione liberale. Non se ne sentiva il bisogno, ad onor del vero, ma in Italia uno 0,3% non si nega a nessuno - e poi, puoi sempre vendere i voti. Tra gli elementi di spicco figurano Zingales, Boldrin e De Nicola.
Per presentare la lista e darsi un tono, la scorsa settimana Giannino ha organizzato un congresso a Firenze, coadiuvato da Taradash, Guido Crosetto, Straquadanio, Mario Sechi, Arturo Diaconale. Insomma, le menti migliori del moderno pensiero liberale.
Mancava il divino Otelma; in compenso Sgarbi si è fatto il "partito della Rivoluzione" imperniato su un programma che da la misura dello spessore culturale del celebre polemista a gettone : “No alle Regioni, sì alle case chiuse”.
Si dicono convinti che la stragrande maggioranza dei cittadini chieda a gran voce “soluzioni liberali”. Pensano di organizzare delle “primarie aperte all’americana”, e si propongono la realizzazione di riforme istituzionali, tra cui il “rafforzamento dei poteri decisionali del leader eletto e di controllo Parlamento”.
Inevitabile ricordare Totò. Eh già. Adesso le riforme le facciamo fare a questi qui. Ma mi faccia il piacere...
Nell'articolo non se ne parla, ma va da sé che la cessione di sovranità è uno dei cardini del programma dei coscritti di Giannino. Per come la vedo io, accettare la cessione di sovranità in nome dell'Ue è un'idiozia. La tragedia è che gli unici ad opporsi a questa scelta demente, e a criticare la gestione Monti sono i cioccolatai dell'Idv e della Lega nord. La sinistra è in coma da anni. Quindi...
Come diceva Flaiano, la situazione è grave, ma non seria.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/un-partito-da-oscardabagno-la-rivoluzione-liberale-li-fa-e-poi-li-accoppia-oscar-41686.htm#Scene_1
RispondiEliminaCome Dagospia già rivelava oltre un anno fa, il ticket del partito sarà costituito dala coppia Oscar Giannino / Emma Macegaglia (seduzione liberale).
Professore, sono commossa... ammetto che non ho mai finito Guerra e Pace, alla morte del principe Andrej tutto perdeva di senso, se Natasha scappava con Pierre pensando ad Anatole non mi importava poi molto, il libro non aveva più lo stesso sapore, e nemmanco l' odore.
RispondiEliminaMa intanto, visto che sappiamo che lei aveva ragione, Cesaratto aveva ragione, Roubini aveva ragione, e tutti avevamo ragione, la domanda che resta è: come arrivare alle scialuppe di salvataggio prima della prima classe, stavolta ( è cambiata la vicenda... )?
Alain Parguez dice che ha risollevato con le sue soluzioni l' Argentina. Noi che abbiamo la Donna Perduta di Babilonia sulla testa, non possiamo più dire 'avevamo ragione'. Dobbiamo pensare a ridurre i danni della sfiga, ora che anche la Lombardia, polmone produttivo, si prende il downgrade...
Anche il sig. Parguez ha salvato l'Argentina? È proprio vero che le vittorie hanno molti padri. Puoi indicarmi la fonte? Roberto Frenkel è stato così gentile che fargli fare due risate mi sembra il minimo...
Eliminaegregio Prof sono d'accordo con lei quasi in tutto,analisi e conseguenze. Mi ha dato da pensare la sua riflessione che oggi in Italia non c'è nessun esponente politico a cui poter chiedere un cambiamento della nostra linea economica. Nessuno tra quelli presenti in parlamento vuole o può farlo, e questo è terrificante.
RispondiElimina"...Karataev tacque e, con un sorriso gioioso, teneva fissi gli occhi al fuoco, dove assestò meglio i pezzi di legna.
RispondiElimina– E allora il vecchio gli rispose: “Che Dio ti perdoni: quanto a noialtri – dice – di fronte a Lui siamo tutti peccatori. È per i peccati miei che io sto qua a tribolare!” e intanto le lacrime gli venivano giù brucianti dagli occhi... Be’ [a proposito, perché scrivete tutti bhè? Siete curdi? n.d.g.], cosa credi tu, falchetto..."
Non crede, gentile professore, che l'EURO ce lo siamo meritati per i nostri peccati?
Tu di sicuro. Io no.
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